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Jazzitalia - Articoli: Intervista a Alex Milella
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15/09/2006 06:11 PM
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intervista ad Alex Milella
di Alceste Ayroldi
Avere dei punti di riferimento è doveroso per chiunque e se tali riferimenti hanno poi influenzato
pletore di musicisti allora diventa praticamente inevitabile. Quindi tanto vale riferirsi con intelligenza,
comprendendone le innovazioni, le tecniche, destrutturandole e facendole proprie per una evoluzione
che sia il traguardo personale di una crescita a cui si può mirare se si ha talento e voglia di migliorarsi,
confrontarsi. E' ciò che senza dubbio non manca ad un giovane incredibile talento come Alex Milella.
Capace di suonare praticamente di tutto sulla sua chitarra, ha sfoderato un
primo album (Light Shades) che, in modo schietto e sincero, mostra un tributo
ai suoi miti e cioè Scott Henderson e Allan Holdsworth lasciando però ampio
spazio al suo chitarrismo e alla sua vena compositiva già densa di validissima
originalità. Sentirlo fraseggiare in modo così fluido lascia ben sperare sul fatto
che si sia dinanzi ad un musicista che può tranquillamente ambire al suo
ambizioso traguardo personale.
A.A.: Alex, come hai deciso di diventare chitarrista?
A.M.: All'età di quattro anni strimpellavo l'organo che c'era in casa riproducendo
le canzoncine del carosello. I miei genitori vedendo la mia propensione alla musica decisero di farmi
studiare il pianoforte. Purtroppo poi un cattivo insegnamento mi fece odiare il pianoforte e così a dieci
anni smisi di studiare. Dopo due anni, grazie a mio cugino, cominciai ad ascoltare e ad apprezzare
gruppi come i Dire Straits, i Pink Floyd rimanendo colpito da quello che uno strumento come la
chitarra potesse realizzare in quel contesto. Fu così che cominciai a studiare la chitarra.
A.A.: Scott Henderson, Allan Holdsworth, ma anche Robben Ford e John Scofield... le tue mani
toccano la chitarra ispirandosi a questi chitarristi. Qual e' stato il tuo percorso educativo e quando hai
incontrato gli stili di questi grandi chitarristi?
A.M.: Tutto cominciò quando, dopo essermi fatto un'indigestione di rock, lessi su di una rivista
musicale parlar male di chitarristi come Malmsteen e osannare invece musicisti come Allan
Holdsworth (all'epoca un perfetto sconosciuto per me); la cosa divertente è che ad affermare ciò era
uno dei miei chitarristi preferiti di allora: Gary Moore. Non solo, ma a parlar bene di Holdsworth fu
anche Umberto Fiorentino che mi impressionò tanto e che avevo appena conosciuto nella metà degli
anni '80(tutt'ora lo stimo moltissimo e lo ritengo uno dei migliori musicisti internazionali). Quindi decisi
di acquistare il mio primo disco di Allan Holdsworth e… fu uno shock. Già da prima sentivo l'esigenza di
approfondire la mia conoscenza, ma dopo aver sentito Mr. Holdsworth l'impulso si trasformò in frenesia
d'imparare. Da quel punto in poi ho iniziato ad ascoltare musicisti a partire da John Coltrane a
Michael Brecker, da Charlie Parker a Miles Davis, da Bill Evans a Chick Corea, da Wes
Montgomery a Scofield e Scott Henderson, via via sempre di più, ma non solo ad ascoltare ma
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anche a trascrivermi tutto ciò che potevo… quando studiavo io, non esistevano video didattici o spartiti
con trascrizioni… figuriamoci internet; tutta roba tirata da solo e tutto ciò mi è servito tantissimo per lo
sviluppo soprattutto dell'orecchio! Da un paio di anni a questa parte mi diverte molto anche suonare
brani di Robben Ford e Stevie Ray Vaughan...che gente!
A.A.: Ci sono dei musicisti con cui sogni di suonare?
A.M.: Sinceramente mi sarebbe piaciuto suonare con John Coltrane; far parte della formazione di
Miles Davis dal periodo di "Bitches Brew" in poi. Oggi mi piacerebbe molto suonare con Gary Willis,
Chad Wackerman, Marcus Miller… Mi piacerebbe suonare anche in qualche modo con Steve Khan,
magari in duo…
A.A.: Ti hanno recensito molto bene anche su All About Jazz americano...
A.M.: Sono veramente molto lusingato di come il mio disco stia avendo dei riscontri positivi soprattutto
a livello internazionale; sono molto contento della maniera in cui John Kelman ha apprezzato il mio
disco Light Shades recensendolo su All About Jazz USA; John W. Patterson invece ha inserito il mio
disco nella programmazione della sua radio on line Eer-music.com; anche Len Davis dall'Australia, che
da venticinque anni si occupa di Fusion, mi ha inserito nella programmazione della sua radio
www.bitches-brew.com; nuove anche da Jakarta, Germania e Giappone.
A.A.: Hai mai pensato all'America? Pensi che oggi sia importante cercare di farsi ascoltare in America?
A.M.: Non è indispensabile farsi ascoltare in America ma è indispensabile farsi ascoltare in più parti del
mondo. E' ovvio che in America c'è un mercato così vasto da poter dare spazio anche a quelle
minoranze che in Italia, per questioni di numeri, morirebbero o stenterebbero ad esistere; però è
anche interessante rivolgersi in certe zone del mondo che non sono state "colonizzate"... esistono
ancora? Comunque anche gli americani sognano paradossalmente di venire in Europa come noi
sognamo di suonare in America.
A.A.: Che formazione prediligi?
A.M.: Dipende da quello che voglio suonare: se mi va di suonare in modo più energico prediligo una
formazione più completa a livello sonoro come il quintetto (batteria, basso, synth, sax e chitarra), se
invece mi va di essere più introspettivo preferisco una situazione più raccolta (batteria, basso, chitarra
con l'aggiunta al massimo di un fiato).
A.A.: Tu canti anche, cosa non facile mentre si suona la chitarra in modo solistico. Alcuni maestri sono
George Benson, Robben Ford, il compianto Stevie Ray Vaughan, Jimi Hendrix, ovviamente... Tu
pensi di usare la voce in un prossimo progetto?
A.M.: Usare la voce mentre si sta suonando e improvvisando è un modo di esprimersi più cosciente;
molti musicisti utilizzano la voce non come un vero e proprio strumento ma come un mezzo attraverso
il quale collegare mente cuore e mani per esprimere meglio il proprio concetto musicale; invece altri
essendo più intonati sfruttano la voce come un secondo strumento; in parole povere
tutti i più bravi improvvisatori contemporaneamente eseguono le frasi con la voce e
con lo strumento; quelli che non sanno cantare emettono dei suoni, quelli intonati
invece doppiano letteralmente le stesse note suonate con lo strumento… come se ne
stessero suonando due! Anch'io sovente utilizzo la voce come secondo strumento
perché ho sempre cantato sin da bambino, ma ufficialmente sono un chitarrista e
quindi non penso di usare la voce nel mio prossimo disco come strumento
"principale", ma mi piacerebbe accostarla alla chitarra e… chi vivrà vedrà.
A.A.: Hai mai pensato di "tradire" il tuo strumento?
A.M.: No, mai. Sono un monogamo convinto perché sono dell'idea che sia già difficile
vivere un percorso intenso con il proprio strumento; infatti per me è impossibile star
lontano dalla chitarra per più di due giorni. Solo per comporre uso anche il pianoforte
e il computer.
A.A.: Trai i tuoi allievi c'è "energia"? Nel senso che intravedi nuova linfa, approccio giusto, dedizione,
voglia di studiare e di farcela?
A.M.: E' molto difficile al giorno d'oggi, in un mondo pieno di stimoli tutt'altro che artistici e basati solo
sull'apparire, che un ragazzo si lasci coinvolgere dalla musica in maniera profonda come è successo a
me. Con ciò non voglio dire che non esistano ragazzi motivati, ma lo studio di uno strumento e della
musica è una cosa seria e richiede molto sacrificio e devozione, per cui sono pochissimi quelli che sono
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disposti a farlo; tra tantissimi alunni che ho avuto nel corso degli anni solo in una piccola parte ho
potuto riscontrare lo stesso reale interesse che ho avuto, quando ero adolescente, nello studio dello
strumento.
A.A.: Cosa ti emoziona particolarmente quando ascolti un chitarrista?
A.M.: Il suo feeling, il suo timing e il suo approccio armonico-melodico; mi piace chi è poco manierista
e molto sperimentalista.
A.A.: L'ultimo innovatore della chitarra come strumento...
A.M.: Sicuramente Allan Holdsworth in questi ultimi 30 anni… mi piace molto anche Wayne Krantz e
come compone Kurt Rosenwinkel.
A.A.: Tre dischi da salvare dalla fine del mondo….
A.M.: "Giant Steps" di John Coltrane perché ha inventato veramente qualcosa, quel suo "Coltrane
Change" chiamato anche "Triangolo Magico" ha prepotentemente tracciata la strada verso il futuro;
"Bitches Brew" di Miles Davis perché è stato il disco della rottura del confine tra rock e jazz dando
vita alla prima vera fusione tra suono/energia e armonia/improvvisazione, quella che poi si sarebbe
chiamata "Fusion"; ultimo disco che salverei è "Secrets", primo perché è stato l'album di Allan
Holdsworth che mi ha folgorato, e secondo perché contiene tanta roba didattica che un musicista,
ancor di più un chitarrista, dovrebbe desiderare… in realtà di dischi ne salverei tanti di più!
A.A.: Tre libri….
A.M.: Sicuramente salverei la "Divina Commedia" di Dante Alighieri perché attraverso il grande
viaggio, Inferno, Purgatorio e Paradiso, l'umano e il divino si incontrano in un apoteosi unica ed
irripetibile nella letteratura universale; "Madame Bovary" di Flaubert perché è il primo romanzo in
cui il romanticismo si fonde con il realismo a livello di "metodo scientifico"; è un'opera del XIX secolo
ma è stato un romanzo di grande rottura con il passato; il terzo libro che salverei è "Il signore degli
anelli" di Tolkien; i luoghi, i personaggi e le atmosfere sono calati in un mondo senza tempo in cui
però la lotta del bene contro il male è certamente attuale rendendo questo capolavoro assolutamente
moderno.
A.A.: Quali sono i tuoi progetti futuri?
A.M.: Consolidare questo disco e sperimentare e innovare con il prossimo.
A.A.: Hai un rammarico?
A.M.: Direi di no...
A.A.: A chi vorresti dire grazie?
A.M.: In primis alla mia compagna che mi ha sempre supportato e sopportato… avere qualcuno che
crede in te e che non ti ostacola mai creando il giusto clima di tranquillità e serenità è veramente
vitale per me; ai musicisti che hanno reso vivo il mio progetto: Giuseppe Berlen, Pierluigi Balducci,
Luca Cacucciolo, Michele Carrabba, Davide Santorsola, Beppe Sequestro e Roberta Carrieri; a
Mimmo Campanale, il mio padrino, colui che ha reso possibile il contatto con Lino Nicolosi
dell'etichetta NbM; a Lino Nicolosi per la sua professionalità; ai fratelli Losavio per il loro continuo
supporto aprendomi la strada a questo bellissimo momento… Ernesto per la mia prima bellissima
recensione e Marco per avermi tanto aiutato ed inserito in quello che io ritengo sicuramente il primo
portale italiano di riferimento del jazz: jazzitalia.net; a Steve Khan ottimo musicista ottimo didatta e
persona squisita perché mi ha saputo dare dei giusti consigli; ad Alceste Ayroldi per la stima
reciproca; a Rino Liuzzi e ai ragazzi di "Jazz, Fusion e dintorni" per l'ospitalità e la simpatia; a
Fabrizio Dadò, Maurizio Parri e Gianluca Russo della "Mitica" rivista chitarristica "AXE" che da anni
educa e aiuta il percorso di tantissimi chitarristi italiani… se non proprio tutti!! a John Kelman per le
bellissime parole scritte su "All About Jazz USA"; a Rossella Favia per le slendide foto e il sito insieme
ad Alessandro Turi; a Guido Di Leone e alla scuola di musica "Il Pentagramma"; infine ringrazio di
cuore tutti coloro che credono in me perché senza di loro tutto ciò non si sarebbe potuto realizzare.
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01/06/2004 Light Shades (Alex Milella)
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COMMENTI
Inserito il 21/2/2005 alle 20.12.35 da [email protected] - 82.52.72.70
Giudizio globale: Ottimo
Commento:
Complimenti, Alceste! Ottima intervista, molto interessante!
Eva
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Data ultima modifica: 31/03/2006
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