Sindromi mielodisplastiche. - Recenti Progressi in Medicina

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Sindromi mielodisplastiche. - Recenti Progressi in Medicina
Vol. 95, N. 2, Febbraio 2004
Sindromi mielodisplastiche.
Attualità e prospettive terapeutiche
Giorgio Paladini, Paolo Pecorari, Giovanni De Sabbata, Chiara Sammartini
Riassunto. Le sindromi mielodisplastiche (SMD) sono un gruppo eterogeneo di malattie ematologiche dal decorso generalmente cronico, ma inevitabilmente destinato ad
acuirsi in un quadro di leucemia mieloide acuta. Nonostante la storia naturale di queste malattie sia nota da molto tempo, il mancato riconoscimento delle SMD come disordini preleucemici, e quindi neoplastici, ha ritardato il loro inserimento nei registri nazionali delle malattie tumorali e ancora oggi sono rari gli studi epidemiologici valutanti la loro incidenza reale. Per decenni le SMD hanno rappresentato una sfida sia per i
biologi che per gli internisti e gli ematologi chiamati a diagnosticarle e a curarle. Una
indiretta testimonianza del dilemma terapeutico a fronte di queste malattie è l’assenza
sia in Italia che negli Stati Uniti di farmaci approvati con 1’ indicazione specifica per il
loro trattamento. Tuttavia, con il miglioramento dell’inquadramento nosografico e prognostico delle SMD, nonché in virtù della continua ricerca di agenti efficaci e delle più
appropriate strategie terapeutiche, per il trattamento dei pazienti con queste forme morbose vi sono oggi più numerose e più articolate opzioni di quante ve ne fossero in passato. Ciò crea i presupposti per poter incidere positivamente sulla sopravvivenza di questi
pazienti.
Parole chiave. Anemia refrattaria, leucemia mieloide acuta, leucemia mielomonocitica
cronica, sindromi mielodisplastiche.
Summary. Myelodysplastic syndromes.
The myelodysplastic syndromes (MDS) are a heterogeneous group of haematological
disorders with an indolent course, but invariable leukaemic transformation. Despite
this, data on MDS are seldom collected by cancer registries and unbiased results from
population-based studies remain rare. For decades, MDS has been a most challenging
disease for biologists as well as for physicians and haematologists in terms of both diagnosis and treatment. The therapeutic dilemma that confronts the management of patients with MDS is illustrated by the absence both in Italy and in USA of an approvedagent with a specific indication for this disease. However, because of improving in prognostic instruments and because of continuing research into new treatment strategies,
patients with MDS now have more articulate options than even before, with a consequent
better chance of long-term survival.
Key words. Acute myeloid leukaemia, chronic myelomonocytic leukaemia, myelodysplastic syndromes, refractory anaemia.
Introduzione
Le sindromi mielodisplastiche (SMD) rappresentano un gruppo di disordini ematologici in cui,
a seguito di alterazioni intrinseche o acquisite del
genoma di una cellula staminale totipotente già
orientata in senso eritro-mielo-megacariocitario, il
clone cellulare da essa discendente assume un
vantaggio proliferativo rispetto ai restanti cloni
normali del midollo.
Tale proliferazione monoclonale presenta difetti di maturazione denunciati sul piano morfologico
da connotati displastici, variamente combinati,
delle serie cellulari, e su quello fisiopatologico da
apoptosi cellulare eccessiva, determinante ematopoiesi inefficace. È per tale motivo che il quadro
ematologico classico di queste affezioni risulta caratterizzato, in modo solo apparentemente paradossale, da citopenia periferica a fronte di iperplasia midollare.
II Divisione di Medicina Interna e Servizio di Ematologia, Ospedali Riuniti, Trieste.
Pervenuto il 3 marzo 2003.
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G. Paladini et al.: Sindromi mielodisplastiche. Attualità e prospettive terapeutiche
La progressiva severità del difetto genetico alla base della trasformazione neoplastica del clone
coinvolto si traduce in alterazioni sempre più
profonde dei processi non solo maturativi ma anche di quelli inerenti la differenziazione cellulare,
col risultato finale di un incremento progressivo
della componente cellulare blastica fino alla configurazione di un quadro midollare e periferico
sovrapponibile a quello della leucemia mieloide
acuta.
Sebbene, soprattutto negli ultimi anni, si siano
registrate numerose e approfondite acquisizioni
di ordine biologico e clinico nel merito, le SMD rimangono ancora oggi patologia di complesso inquadramento nosologico, di sottovalutata incidenza clinica e di insoddisfacente risoluzione terapeutica.
Epidemiologia
Gli studi inerenti l’epidemiologia delle SMD
sono stati infrequenti e spesso imprecisi. Di fatto,
per molti anni definizioni e classificazioni non
corrette hanno nella sostanza impedito indagini
di questo tipo su larga scala 1,2,3. Valga per tutti
l’esempio che le SMD non erano riportate nella
lista dell’ International Coding System dell’ OMS
del 1977 4 e il fatto che il mancato riconoscimento
delle SMD come disordini preleucemici, e quindi
neoplastici, ha precluso per molti anni il loro inserimento in tutti i registri nazionali e nei programmi di sorveglianza epidemiologica delle malattie tumorali sia negli Stati Uniti d’America sia
in numerosi altri Paesi occidentali, compreso il
nostro.
Malgrado ciò, le SMD risultano nell’esperienza clinica malattie relativamente comuni, di appannaggio
soprattutto dell’età media e avanzata, con tassi grezzi di incidenza compresi tra 3,5 e 12,6 nuovi casi per
100.000 abitanti l’anno 5-7. Inoltre, la loro incidenza
appare in rapida evoluzione, da un lato a causa del
progressivo aumento dell’età media delle popolazioni
occidentali e dall’altro, sebbene in modo spurio, in
virtù dell’affinamento delle tecniche diagnostiche,
che ha fatto falsamente percepire un apparente aumento di queste malattie nel corso degli anni.
Considerate tali caratteristiche, risulta più appropriato determinare la distribuzione delle SMD
per età che la loro incidenza globale, poiché quest’ultima è influenzata dalla composizione di ciascuna popolazione (risulteranno più colpite da
SMD popolazioni con prevalenza di anziani che
quelle con prevalenza di soggetti giovani). Ad esempio, in uno studio svolto in Francia presso un unico
Centro ospedaliero (bacino di utenza: 290.000 persone), in un periodo di 4 anni (1993-96) sono stati
diagnosticati 90 nuovi casi di SMD. L’età media dei
pazienti era di 74,3 anni (23-96 anni), ma il 37% di
essi aveva un’età pari o superiore agli 80 anni.
L’incidenza globale era di 7,7 nuovi casi/100.000
abitanti/anno, ma saliva a 31,4/100.000/anno se veniva calcolata solo sugli ultrasessantacinquenni 3.
Il rischio relativo di contrarre l’una o l’altra di
queste malattie aumenta pertanto con l’età, con
tassi d’incidenza variabili, secondo i pochi studi
sull’argomento, tra i 15 e 50 nuovi casi/100.000
abitanti l’anno se calcolati esclusivamente sugli
ultrasettantenni (tabella 1). In altre parole, questi
dati starebbero a significare che le SMD sono comuni, nelle persone anziane, quanto la leucemia
linfatica cronica o il mieloma multiplo 2.
Tabella 1. - Sindromi mielodisplastiche. Tasso grezzo d’incidenza per fasce d’età.
Autore
Età (anni)
≤ 49
50-59
Aul et al.
Randlund et al.
Williamson et al.
Maynadié et al.
0,2
0,7
0,5
5,3
< 0,5
< 0,5
4,9
1,6
15,0
14,0
49,0
18,0
89,0
34,0
60-69
Bauder et al
31,4
70 -79
22,8
15,0
≥ 80
I valori numerici esprimono il numero di nuovi casi per 100.000 persone per anno.
Di conseguenza, allo stato attuale, l’accuratezza della diagnosi e la corretta descrizione dei casi
di SMD sembrano confinate a registri specializzati di casistica oncologica locale o a statistiche su
base ospedaliera. È ovvio che i dati consegnati a
tali istituzioni soffrano all’origine delle limitazioni dovute al tipo di patologia di riferimento e al bacino proprio di utenza 2.
Fisiopatologia
Nel soggetto normale la proliferazione dei progenitori ematopoietici (CD34+) in genere supera o pareggia
l’entità della loro morte programmata cioè dell’apoptosi, mentre nelle SMD non ancora evolute in fase blastica il livello dell’apoptosi delle cellule CD34+ è doppio
rispetto al livello delle stesse trovate in fase replicativa
(fase S) 8.
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Recenti Progressi in Medicina, 95, 2, 2004
L’apparente paradosso che la maggioranza dei pazienti con SMD manifesti citopenia del sangue periferico nonostante la presenza di un midollo normale o ipercellulato è stata attribuita a eccessiva apoptosi dei progenitori ematopoietici. È stato ipotizzato che
l’incremento del fenomeno apoptotico osservabile nelle
fasi precoci della malattia rappresenti un meccanismo
messo in atto dall’apparato ematopoietico nel tentativo
di abrogare cloni cellulari difettosi o, comunque, potenzialmente pericolosi 9,10.
In alternativa, il momento scatenante il processo
patogenetico delle SMD potrebbe dare origine a un clone provvisto di vantaggio proliferativo (con elevato numero di cellule in fase S) e allora l’aumentata apoptosi
rappresenterebbe un meccanismo in sé omeostatico,
volto a controllare l’altrimenti incontrollabile massa
cellulare 8.
Per entrambe le ipotesi, l’evento che nelle fasi iniziali della malattia indurrebbe, secondo la prima, solo il
difetto della cellula staminale e, rispettivamente per la
seconda, anche un primitivo vantaggio proliferativo,
consisterebbe nell’acquisizione o slatentizzazione di un
difetto citogenetico cui successivamente finirebbero coll’aggiungersi altri ancora più gravi che darebbero ragione della progressione blastica fino al quadro di leucemia acuta 8.
Prove inconfutabili, derivate da studi sullo stato di
eterozigosi per l’enzima G6PD e, più recentemente, da
indagini di biologia molecolare, dimostrano la clonalità di tutte le forme di SMD fino dai loro stadi più precoci 11,12. Ma, fatto ancora più interessante è che, almeno in alcuni pazienti, è stata dimostrata una fase di
clonalità della malattia ben prima dell’acquisizione dei
difetti citogenetici tipicamente associati alle SMD 12;
mentre in altri pazienti, in cui la malattia era già evoluta in leucemia, con la remissione clinica dopo chemioterapia si è assistito a una remissione anche citogenetica, ma con persistenza della monoclonalità cellulare. Il che fa pensare che le alterazioni citogenetiche
così di frequente riscontrabili in associazione alle SMD
e considerate fino a poco tempo fa causa primaria della malattia siano in realtà secondarie e indotte da lesioni più primitive, ma non individuabili sul piano citogenetico 8.
Queste sarebbero probabilmente di natura eterogenea, sia ereditarie che acquisite (instabilità del genoma,
deficitaria riparazione del DNA, alterazione dei percorsi di trasduzione dei segnali cellulari, danno somatico
del DNA), tutte aventi però come comune denominatore la capacità di conferire, da un lato, un vantaggio proliferativo alla progenie della cellula staminale colpita e,
dall’altro, di promuovere l’acquisizione di difetti genetici successivi, ora evidenti, caratterizzati soprattutto da
perdita progressiva di regioni cromosomiche (3p-, 3q-,
5q-, 7q-, 12p-, -17,-18-, 20q-).
A rigor di logica, lo squilibrio del rapporto apoptosi:proliferazione a favore della prima dovrebbe provocare un progressivo esaurimento delle cellule staminali e
quindi una ipocellularità midollare piuttosto che l’ipercellularità frequentemente osservabile nelle fasi precoci e in quelle cosiddette “diagnostiche” delle SMD. D’altra parte, è stato ampiamente dimostrato che nelle
SMD in stadio avanzato, e cioè in evoluzione blastica,
l’apoptosi è al contrario decisamente ridotta come ridotto appare il numero di cellule in fase S; i pazienti col più
basso “labeling index” risultando di fatto quelli a maggior rischio di trasformazione blastica. Ciò potrebbe indicare che l’evoluzione leucemica prende le mosse da
successive, ulteriori lesioni del genoma che finiscono col-
l’inibire i meccanismi di controllo apoptotico piuttosto
che col promuovere la proliferazione della massa neoplastica.
Pertanto, l’ipotesi fisiopatologia più plausibile e oggi
più accreditata è 1) che alterazioni genetiche fenotipicamente silenti, incidenti nelle fasi precoci delle malattia, conferiscano un vantaggio proliferativo alle cellule
staminali colpite e alla loro progenie; 2) che la fase diagnostica delle SMD, caratterizzata da citopenia periferica, rappresenti una tappa più avanzata della loro storia naturale, diretta verso l’evoluzione leucemica, e possa realizzarsi solo a uno stadio in cui il numero e/o la
natura delle lesioni genetiche siano tali da far scattare
i meccanismi di sorveglianza con risultante, esaltata
apoptosi delle cellule ematopoietiche con DNA danneggiato; 3) che, una volta perduta del tutto la capacità differenziativo-maturativa per la progressiva gravità del
danno genetico, questo stesso finisca anche coll’inibire
i meccanismi di controllo apoptotico, risultandone una
popolazione cellulare, ora francamente leucemica, non
tanto iperproliferante quanto a lunga sopravvivenza.
Va inoltre ricordato che anche altri meccanismi, oltre
a quello genetico, sono probabilmente in grado di accelerare il processo apoptotico nelle SMD quali, ad esempio, aumentati livelli di certe citochine (TNF alfa; IL-1
beta) e alterate interazioni di adesività tra cellule staminali ematopoietiche e tra queste e il loro supporto
stromale13. Tuttavia, non ci sono ancora conferme circa
l’effettiva corresponsabilità patogenetica di questi meccanismi anche se nota da molto tempo è, ad esempio, la
non omogenea distribuzione nel midollo delle SMD dei
precursori ematopoietici, il che non può non far sospettare la presenza di anomalie dell’interazione
cellule/stroma midollare.
Analogamente, il riscontro nelle SMD di una forte
espressività nei megacariociti di fattore di crescita per
l’endotelio vascolare (VEGF) e di un’aumentata vascolarizzazione del midollo, in particolare nelle fasi di trasformazione leucemica, se da un lato non assurge a elemento fisiopatologico chiave è, tuttavia, dall’altro, meritevole di studio e suscettibile di risvolti di ordine
terapeutico 13.
Allo stesso modo, l’evidenza talora di infiltrazione
linfocitaria midollare e di connotati clinici e biologici di
autoimmunità in corso di SMD può assumere un certo
rilievo fisiopatologico, almeno in alcuni casi, e essere
quindi meritevole di trattamenti sperimentali, pur nella consapevolezza della parzialità e transitorietà della
loro efficacia.
Classificazione
La classificazione proposta nel 1982 da Bennet et al., costituenti il cosiddetto “French-American-British group” (FAB) 14, malgrado le critiche ad essa mosse 15, è stata per un ventennio il
principale punto di riferimento per l’inquadramento delle SMD (tabella 2 a pagina a fronte).
Tale classificazione prevede la suddivisione delle mielodisplasie in anemia refrattaria (RA),
anemia refrattaria con sideroblasti ad anello
(RARS), anemia refrattaria con eccesso di blasti
(RAEB), anemia refrattaria con eccesso di blasti
in trasformazione (RAEB-t) e leucemia mielomonocitica cronica (CMML).
G. Paladini et al.: Sindromi mielodisplastiche. Attualità e prospettive terapeutiche
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Tabella 2. - Sindromi mielodisplastiche. Classificazione FAB.
Categoria FAB
Sangue periferico
Citopenia/e
Monociti
Blasti %
Midollo osseo
Blasti %
Auer rods
Dismielopoiesi
Sideroblasti ad anello %
RA
RARS
RAEB
RAEB-t
CMML
+
+
+
+
<1
<1
<5
<5
+
≥ 1x109/L
<5
<5
–
+
≤ 15
<5
–
+
> 15
5-20
–
+
21 -30
+
+
0-20
–
+
Recentemente, la Società di Emopatologia Europea e la Associazione Europea degli Emopatologi hanno intrapreso di comune accordo un progetto per la classificazione delle neoplasie ematologiche per conto dell’OMS.
Tali studi, sotto l’impulso della classificazione
REAL per una nuova collocazione dei disordini
linfoproliferativi, hanno dato vita ad una “proposed WHO classification of myeloid neoplasms” 16
(tabella 3).
Quale delle due classificazioni appare più convincente? Rappresenta la seconda effettivamente
un superamento della prima? In realtà, ambedue
presentano pregi ma anche difetti.
Il pregio della classificazione FAB è stato quello di inquadrare disordini ematologici mal definiti
prima della sua introduzione e di offrire uno strumento duttile e semplice nella pratica clinica.
I principali difetti consistono nella arbitrarietà
del numero di blasti midollari per tracciare un confine tra le RAEB-t e la leucemia mieloide acuta, e
nella collocazione della CMML. Quest’ultima in-
Tabella 3. - Sindromi mielodisplastiche. Classificazione OMS.
Sindromi mielodisplastiche
• Anemia refrattaria (RA):
(< 5% blasti midollari; displasia solo della serie rossa)
• Anemia refrattaria con sideroblasti ad anello (RARS)
(< 5% blasti midollari; displasia solo della serie rossa)
• Citopenia refrattaria + displasia multilineare
(RC+Dys)
(< 5% blasti midollari; displasia di 2 o di tutte 3 le linee cellulari)
• Sindrome del 5q(displasia della serie rossa, trombocitosi, iperplasia
micromegacariocitaria, delezione del braccio lungo
del cromosoma 5)
• Anemia refrattaria con eccesso di blasti (RAEB) (>
5% < 20% blasti midollari)
• Sindrome mielodisplastica (SMD), inclassificabile
Malattie mielodisplastiche/mieloproliferative
• Leucemia mielomonocitica cronica (CMML)
• Leucemia mieloide cronica atipica (aCML)
• Leucemia mielomonocitica infantile (JMML)
fatti può presentare, da caso a caso, aspetti mielodisplastici variamente associati con aspetti mieloproliferativi, e con la preminenza ora degli uni, ora
degli altri. In particolare, nei casi con più di 13.000
GB per mmc c’è ora consenso che il connotato mieloproliferativo sia così assolutamente preminente
da indurre a classificare questa forma tra le malattie mieloproliferative croniche Ph-negative, come la leucemia mieloide cronica atipica e la leucemia mielomonocitica infantile 17.
Inoltre, dal gruppo FAB non sono state prese
in debita considerazione (né, del resto, da quello
dell’OMS) le SMD ipoplastiche, né quelle con fibrosi midollare, né le SMD con associati fenomeni autoimmunitari, che invece a nostro parere
meriterebbero una sottoclassificazione a parte
(tabella 4).
Tabella 4. - Sindromi mielodisplastiche atipiche 17.
1. SMD ipocellulari
Un numero variabile ma non trascurabile di pazienti
con SMD ha una ipoplasia midollare alla diagnosi. L’incidenza di tali forme “ipocellulate” varia dal 7% al
19% 18. La caratteristica delle forme ipocellulate è quella di avere spesso una prognosi meno severa delle altre.
Una SMD si definisce ipocellulare quando la cellularità
midollare, valutata alla biopsia osteomidollare, è inferiore del 30% rispetto a quella normale in un paziente
al di sotto dei 60 anni o del 20% in un paziente al di sopra dei 60 anni 19.
2. SMD con fibrosi midollare
Un quadro di fibrosi midollare può essere rinvenuto nel
17%-47% di tutti i casi di SMD. Inizialmente descritte
da Sultan e coll. 20, le SMD con fibrosi midollare sono caratterizzate da pancitopenia, organomegalia minima
(che le contraddistingue dalla mielofibrosi idiopatica),
midollo ipocellulato con displasia a carico di tutte le serie, e prognosi infausta a breve termine 21.
3. SMD con fenomeni autoimmuni
I criteri per supporre un coinvolgimento autoimmune in
corso di mielodisplasia sono almeno uno di questi: midollo osseo ipocellulato con proporzione aumentata di
cellule linfoidi, attivazione di linfociti T, presenza del
clone della emoglobinuria parossistica notturna, immunofenotipo HLA-DR15.
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Recenti Progressi in Medicina, 95, 2, 2004
La classificazione dell’OMS ha il grande pregio di aver eliminato la RAEBt, assimilandola di
fatto alla leucemia mieloide acuta, avendo abbassato al 21% il limite soglia di blasti midollari
sufficiente per la diagnosi di leucemia mieloide
acuta.
Va detto poi che l’enucleazione della sindrome
del 5q- è apparsa quanto mai opportuna perché sicuramente identifica una parte di pazienti con
prognosi meno severa.
Essa invece non ha risolto del tutto il problema
della CMML, poiché la variante displastica di questa non appare più distinta, come forse dovrebbe,
tra le altre SMD ed è pertanto relegata in quella
specie di “cestino” in cui si ritrovano ora tutte le
mielodisplasie atipiche, come quelle con fibrosi
midollare e quelle ipoplastiche, che meriterebbero, come si diceva, una più attenta valutazione nosografica.
Nella classificazione OMS, la definizione di RA
e di RARS è divenuta più definita, prevedendo la
presenza di connotati displastici unicamente a carico della linea eritroide.
Sono stati inoltre incorporati tre nuovi sottogruppi uno dei quali è la cosiddetta “citopenia refrattaria con displasia multilineare” (RC+Dys),
che è in sostanza equivalente alla RA e alla RARS
della classificazione FAB, nelle quali è prevista la
presenza di displasia a carico di due o di tutte tre
le linee cellulari.
La separazione della RA (e della RARS) dalla
RC+Dys è stata proposta perché si riteneva utile
sotto il profilo prognostico, apparendo le due prime
situazioni più favorevoli rispetto alla seconda. Tuttavia, dati recenti non sembrano confermare questa supposizione, non essendosi registrata differenza alcuna in termini di sopravvivenza globale
tra le due forme e, anzi, riscontrandosi una maggiore transizione in leucemia acuta dei casi con RA
rispetto a quelli con RC+Dys.
È ovvio, inoltre, che i casi non infrequenti con
blasti midollari inferiori al 5% e note displastiche
di una sola linea cellulare diversa da quella eritroide secondo la classificazione OMS non cadrebbero né nella RA né nella RARS e nemmeno
nella RC+Dys, bensì nelle SMD inclassificabili,
benché essi siano per esperienza di tutti a quelle
correlabili sotto il profilo sia clinico che prognostico.
Infine, ma non meno importante, sembra opportuno sottolineare che, pur rimanendo la RAEB
nella classificazione OMS invariata rispetto a
prima, vi è chi suggerisce una distinzione intrinseca tra RAEB I, con una percentuale di blasti
midollari compresa tra il 5% e il 10%, e RAEB II,
con una percentuale dall’ 11% al 20%. In effetti, il
riscontro nel midollo osseo di una percentuale di
blasti midollari superiore al 10%, assieme all’età
del paziente, costituisce già oggi un criterio di ordine decisionale molto importante nella programmazione della strategia terapeutica da adottare.
Presentazione clinica e diagnosi
Non succede pressocché mai che l’esame
obiettivo riveli anormalità specifiche che conducano alla diagnosi di SMD, fatta forse eccezione
per alcuni casi di CMML, allorché la presenza di
epatomegalia (15% dei casi), splenomegalia
(20%), ipertrofia gengivale, lesioni infiltrative
della cute e/o versamento pleurico, pericardico o
peritoneale può essere variamente riscontrata e
sollevare quindi un’ipotesi diagnostica in quel
senso 22.
Di gran lunga più usuale è l’evenienza di una
scoperta casuale di citopenia periferica, il più
spesso in un soggetto anziano. Il riscontro di anemia isolata, normo, o più spesso macrocitica, è il
più frequente, ma talora una neutropenia o una
piastrinopenia isolata possono essere l’unico dato
clinico evidente. Quest’ultima può addirittura precedere di anni lo sviluppo del quadro ematologico
che consentirà di classificare la condizione come
appartenente alle SMD.
Al contrario, talora la presenza di una trombocitosi, tanto più se associata ad anemia macrocitica, potrà indurre ad esaminare la citologia del midollo osseo e a far scoprire, accanto alle note displastiche della serie rossa, un’evidente iperplasia
di piccoli megacariociti con poche o assenti lobulazioni nucleari e, allo studio del cariotipo, una delezione del braccio lungo del cromosoma 5 (sindrome del 5q-).
Sicuramente, l’evidenza di anemia, magari
inaspettata e di non apparente spiegazione, il più
spesso in una persona anziana, è il cliché più frequente alla presentazione clinica. In uno studio di
pazienti anemici ricoverati presso un Reparto geriatrico solo l’anemia sideropenica, quella postemorragica e quella associata ad insufficienza renale o a disordini cronici sono state diagnosticate
più spesso di quella tipica delle SMD 23.
Tuttavia, anche se di fronte al caso classico di
un anziano con anemia nonsideropenica, con modesta riduzione del conteggio leucocitario e/o piastrinico e che all’osservazione di uno striscio del
sangue periferico denoti granulociti ipogranulari e
globuli rossi con punteggiatura basofila (tabella 5),
la procedura diagnostica dev’essere comunque di
esclusione prima di intraprendere una valutazione dell’aspirato midollare e/o della biopsia osteomidollare. Pertanto, dovranno essere prese in considerazione ed escluse le seguenti condizioni che
possono essere associate a citopenia e displasia più
o meno marcate delle cellule ematiche circolanti:
a) deficienza di folati e/o vitamina B12 (sia l’una che l’altra non sono infrequenti tra gli anziani).
b) Esposizione a metalli pesanti.
c) Assunzione di farmaci citotossici, inclusi
methotrexate ed azatioprina per il trattamento di
malattie reumatologiche.
G. Paladini et al.: Sindromi mielodisplastiche. Attualità e prospettive terapeutiche
d) Stati flogistici cronici, incluse le malattie tumorali, quelle reumatologiche, quelle autoimmunitarie e le malattie infettive.
e) Malattia cronica di fegato.
Va detto a margine che l’alcolismo si presenta
quale fattore eziologico di confine, poiché, pur dando nella maggior parte dei casi alterazioni di tipo
tossico sull’eritropoiesi, può, in rare occasioni, innescare un processo di mielodisplasia, che in questo
caso sarà definita “secondaria”. La stessa osservazione può essere applicata ai farmaci antiblastici e
ad agenti tossici come il benzene, che possiedono
notoriamente un effetto proleucemogeno.
Una volta escluse le condizioni cliniche cui s’è
fatto riferimento, la conferma del sospetto diagnostico verrà dall’esame dell’aspirato midollare con
la sua caratteristica morfologia (tabella 5).
Tabella 5. - Sindromi mielodisplastiche. Aspetti morfologici.
Sangue periferico
Diseritropoiesi
Anisocitosi
Poichilocitosi
Macrocitosi
Punteggiatura basofila
Eritrociti nucleati
Disgranulopoiesi
Anomalia di Pelger-Huët
Degranulazione
citoplasmatica
Corpi di Döhle
Distrombopoiesi
Piastrine grandi
Ipogranulazione
Ipergranulazione
Midollo osseo
Multinuclearità
Contorno nucleare anomalo
Anomalie megaloblastoidi
Anomalie citoplasmatiche
Sideroblasti ad anello
Cromatina addensata
Granulazione ipertrofica
Ipersegmentazione
Micromegacariociti
Elementi megacariocitari
mononucleati
Nuclei megacariocitari
piccoli e multipli
La determinazione della percentuale di blasti è
fondamentale in termini sia prognostici che operativi dal punto di vista terapeutico.
L’esame dell’aspirato midollare consentirà anche lo studio del cariotipo, indispensabile per un
corretto inquadramento diagnostico (individuazione della sindrome del 5q -) e prognostico.
Al momento della diagnosi, anomalie del cariotipo sono dimostrabili in circa il 50% dei pazienti
con SMD primitiva e fino nell’ 80% di quelli con
SMD secondaria.
A differenza di altre neoplasie ematologiche, in
cui le anomalie cromosomiche caratteristiche sono
costituite da traslocazioni di materiale genetico, le
SMD sono tipicamente associate a delezioni cromo-
113
somiche, le più frequenti delle quali sono le delezioni 5q, 7q, 20q e 12p. Traslocazioni come la t
(3;3)(q21;q26) ricorrono solo nell’ 1-2% di tutti i casi.
La delezione del braccio lungo del cromosoma 5
(5q-) ricorre in oltre il 30% dei pazienti. In questo
ambito è possibile discriminare fra due gruppi: la cosiddetta sindrome del 5q-, caratterizzata da anemia
refrattaria a prognosi favorevole e dall’assenza di altre anomalie citogenetiche, e l’anomalia 5q- associata a: 1. SMD secondarie; 2. Altre anomalie citogenetiche, a prognosi infausta per la frequente trasformazione in leucemia mieloide acuta. L’importanza
del contributo della biopsia osteomidollare alla diagnosi e alla prognosi delle SMD è stata riconosciuta
solo di recente. Basti pensare che nei pazienti con
SMD vi è una discrepanza nella stima della cellularità midollare fino al 20% dei casi, a seconda che sia
stata dedotta dall’esame del mieloaspirato o della
biopsia ossea. Inoltre, la biopsia osteomidollare ha
consentito di appurare che nelle SMD vi è un sovvertimento della normale architettura della mielopoiesi. La granulopoiesi, dalla sua naturale localizzazione paratrabecolare appare infatti migrata alle
regioni intertrabecolari centrali del midollo. L’eritropoiesi e la magacariocitopoiesi a loro volta assumono una posizione più periferica e vengono dislocate verso la superficie ossea trabecolare. La dislocazione dei precursori granulocitari viene descritta
con l’acronimo ALIP, da Abnormal Localization of
Immature Precursors, localizzazione anormale dei
precursori immaturi e definita come un aggregato
formato da tre a più di cinque mieloblasti e promielociti localizzati lontano dalle trabecole ossee. Vi sono studi che dimostrerebbero come l’ALIP possa rivestire valore prognostico peggiorativo.
Sebbene per definizione le SMD presentino un
midollo ipercellulato, sono stati individuati dei
sottogruppi ad abito ipocellulare con o senza infiltrazione linfoide o con marcata fibrosi 14, quadri
che difficilmente sarebbero identificabili con il solo ausilio del mieloaspirato (tabella 4).
Prognosi
Il decorso clinico delle SMD è caratterizzato da
pancitopenia progressiva.
Se è vero che risulta individuale l’interessamento prevalente di una piuttosto che di un’altra
linea cellulare e che il grado e la velocità di declino del conteggio cellulare periferico è altamente
variabile dall’uno all’altro paziente, è altrettanto
vero che non si assiste mai ad un recupero ematologico durante il decorso della malattia.
Va peraltro sottolineato che spesso decorso e prognosi almeno in parte dipendono dalla coesistenza di
altre condizioni cliniche associate, ma indipendenti
dalla SMD. Ci si riferisce, ad esempio, alla frequente
concomitanza, trattandosi spesso di pazienti anziani,
di miocardiopatia ischemica e/o di insufficienza cardiaca latente per la presenza delle quali il “peso prognostico” dell’anemia, del suo grado di severità, nonché il fabbisogno trasfusionale necessario, risultano
evidentemente maggiore.
114
Recenti Progressi in Medicina, 95, 2, 2004
Lo stesso si può dire per i pazienti con SMD e
concomitante malattia diabetica, in cui se da un
lato anemia e/o piastrinopenia possono non creare
problemi di grave rilievo, dall’altro l’aumentato rischio di sviluppare malattie infettive proprio del
diabete risulta potenziato dalla presenza della
neutropenia e dell’associata disfunzione granulocitaria tipiche della SMD. In uno studio condotto
su 86 pazienti con SMD le complicanze infettive
sono risultate responsabili del 64% dei decessi 24.
Più in generale si può affermare, e questo si
spiega considerando l’occorrenza delle SMD di
gran lunga più comune nell’anziano, che circa il
30% dei pazienti soccombe a condizioni cliniche
coesistenti, ma indipendenti dalle SMD; che un altro 40% decede per le conseguenze dell’insufficienza midollare e che solo il restante 30% muore
per la trasformazione leucemica e per le sue complicanze.
Sottolineate e tenute ferme in mente queste
considerazioni, ogni classificazione prognostica
delle SMD risulta comunque di grande importan-
za, soprattutto per la scelta del trattamento più
opportuno e più commisurato alla diversa valenza
prognostica delle varie forme della malattia, in
particolare per quanto attiene al rischio di una loro progressione a leucemia acuta.
Sono stati proposti nel corso degli anni numerosi sistemi “a punteggio” basati su vari parametri clinici, ematologici, istologici e citogenetici volti a prevedere il decorso della malattia e la sopravvivenza dei pazienti. A prescindere dalle
variabili più comunemente prese in considerazione (citopenia, presenza di fibrosi, LDH, presenza
di ALIP), questi sistemi si basano tutti, ovviamente, sulla valutazione della percentuale di blasti midollari e possono essere divisi in sistemi che
non utilizzano la determinazione del cariotipo (tabella 6) e sistemi che la utilizzano (tabella 7).
Benché i primi possiedano tutti una certa validità, essi peccano in genere nell’identificare correttamente quella frazione di pazienti a rischio
molto basso che non necessita mai, nel decorso clinico, di alcun trattamento.
Tabella 6. - Sindromi mielodisplastiche. Punteggi prognostici senza cariotipo.
Punti
Bournemouth 25
Hb (g/dL)
N (x109/L)
PTS (x109/L)
Blasti midollari (%)
Goasguen 26
Hb (g/dL)
PTS (x109/L)
Blasti midollari (%)
Dusseldorf 27
Blasti midollari (%)
PTS (x109/L)
Hb (g/dL)
LDH
0
1
rischio
punteggio
>10
>2,5 <16
>100
<5
=<10
<2,5 >16
<100
>5
basso
intermedio
alto
0o1
2o3
4
>10
>100
<5
<10
<100
>5
basso
intermedio
alto
0
1o2
3
<5
>100
>9
<200 >200
>5
<100
<9
basso
intermedio (B)
alto ( C)
(A)0
1o2
3o4
Tabella 7. - Sindromi mielodisplastiche. Punteggi prognostici con cariotipo.
Punti
0
Lille28
Blasti midollari (%)
Cariotipo
PTS (x 109/L)
IPSS 29
Blasti midollari (%)
Cariotipo
Citopenia(*)
0.5
<5
buono
>75
<5
buono
001
1
1.5
5-10
sfavorevole
<75
5-10
intermedio
2o3
11-20 21-30
sfavorevole
2
rischio
punteggio
11-30
basso
intermedio
alto
basso
intermedio 1
intermedio 2
alto
0
1o2
3o4
0
0.5-1
1.5-2
2.5-3.5
Cariotipo per Lille = buono: cariotipo normale o con anomalie cromosomiche singole; sfavorevole: più di due anomalie cromosomiche.
Cariotipo per IPSS = buono: cariotipo normale; 5q-;del(20q);-Y; intermedio: anomalie diverse; sfavorevole: anomalie del cromosoma 7
(*) Hb<10 g/dL;PTS<100x109/L;N<1.8x109/L
G. Paladini et al.: Sindromi mielodisplastiche. Attualità e prospettive terapeutiche
I sistemi prognostici che si avvalgono del cariotipo sono penalizzati dall’evidenza che anche in
Centri specializzati non è possibile ottenere risultati citogenetici validi nel 30-50% dei pazienti.
Pur non sottovalutando queste difficoltà, è stato assodato che in base al solo cariotipo è possibile suddividere i pazienti con mielodisplasia in tre
gruppi: 1. Basso rischio, a cariotipo normale o con
aberrazioni cromosomiche isolate (per esempio,
5q-, 20q-, y-); 2. Rischio intermedio, con più di una
anomalia cromosomica; 3. Alto rischio, con anomalie del cromosoma 7 o alterazioni cromosomiche
complesse.
Di conseguenza, da quando è stato riconosciuto alla citogenetica un ruolo cruciale nell’inquadramento prognostico dei pazienti, i vecchi sistemi
basati, oltre che sulla percentuale dei blasti, sui
conteggi di GB e piastrine e sul valore dell’Hb e
del l’LDH, sono progressivamente caduti in disuso.
Nessuno di questi fattori, infatti, sia singolarmente che in combinazione, ha dimostrato di possedere precisa rilevanza prognostica. Questa constatazione ha portato all’elaborazione dello schema prognostico di Lille e all’International Prognostic
Scoring System (IPSS).
In base a quest’ultimo, il più usato, i pazienti poterono essere separati in quattro sottogruppi distinti, sia per gli anni di sopravvivenza mediana
computati a posteriori (rischio basso = 5,7; rischio
intermedio 1 = 3,5; rischio intermedio 2 = 1,2; rischio alto = 0,4) sia per il rischio di sviluppare leucemia acuta (rischio basso: 9,4; rischio intermedio 1:
3,3; rischio intermedio 2: 1,1; rischio alto: 0,2 anni).
Terapia
Nonostante i recenti progressi nella conoscenza di queste sindromi, forse in nessun’altra malattia ematologica come nelle SMD il giudizio clinico deve assumere un peso fondamentale nella
scelta di misure terapeutiche, le quali non potranno che essere calibrate paziente per paziente.
Pertanto, più che mai, in tutte le decisioni terapeutiche è raccomandabile una attenta valutazione del rapporto rischi/benefici, della qualità di
vita attuale del paziente e di quella attesa con la
terapia prescelta.
Le opzioni terapeutiche per ogni singolo caso di
SMD sono pesantemente influenzate dall’età del
paziente e da fattori di ordine prognostico.
La sola terapia oggi in grado di assicurare la
guarigione nei pazienti con SMD consiste nel trapianto allogenico di cellule staminali (allo-SCT).
In via teorica, l’aspettativa di guarigione raggiungerebbe con questa procedura anche il 40%60% dei pazienti più giovani con SMD di basso
grado (per esempio, con grado intermedio 1 secondo l’IPSS) e con un donatore compatibile, possibilmente consanguineo. Tuttavia, gli effetti dell’allo-SCT nel 30%-50% di questi stessi pazienti è
vanificata da grave morbilità o da mortalità intercorrente durante i primi 100 giorni dal trapianto; in un certo numero di essi la remissione
non è duratura; e, da dati recenti, i guaribili di
115
fatto risultano in definitiva solo un terzo dei casi.
Considerando che la grande maggioranza dei pazienti con SMD ha invece un’età superiore ai 65
anni e che le pratiche trapiantologiche da donatore compatibile (ma anche quelle autologhe) dimostrano una morbilità e una mortalità correlate intollerabili in soggetti anziani o con patologie non
ematologiche associate, i beneficiati dall’allo-SCT
(ma anche dall’auto-SCT) restano di fatto ancora
oggi un’esigua minoranza.
Secondo le recenti linee guida per la terapia
delle SMD stabilite da Alessandrino et al. per conto della Società Italiana di Ematologia 30, giunge
la raccomandazione a) di candidare all’allo-SCT
da donatore consanguineo compatibile i pazienti
con meno di 55 anni d’età e con classe di rischio
IPSS intermedia 1, intermedia 2 o maggiore; b) di
candidare all’allo-SCT i pazienti con meno di 40
anni con basso rischio IPSS, se hanno un livello di
Hb inferiore a 10g/dl; c) di candidare all’allo-SCT
da donatore compatibile ma non consanguineo solo i pazienti con meno di 40 anni che abbiano una
classe di rischio IPSS intermedia 1, intermedia 2
o maggiore o coloro, sempre con meno di 40 anni,
che presentino buone condizioni fisiche ma una citogenetica sfavorevole o una granulocitopenia severa.
Per inciso, gli autori di queste linee guida non
raccomandano di far precedere l’allo-SCT da chemioterapia preliminare e, pur considerandolo approccio terapeutico promettente, non esprimono
raccomandazioni esplicite (non essendoci ancora
esperienza sufficiente) circa l’impiego dell’allo-SCT
che preveda regimi chemioterapici di condizionamento a bassa intensità (mini-allotrapianto).
È, invece, auspicabile l’autotrapianto di cellule
staminali periferiche per tutti quei pazienti che,
non potendo usufruire dell’allo-SCT perché non
hanno un donatore HLA-identico, abbiano dovuto
essere sottoposti a chemioterapia e ne abbiano
conseguito una remissione completa. È, peraltro,
doveroso prendere in considerazione una mobilizzazione delle cellule staminali periferiche precocemente nella storia naturale di malattia, nell’ipotesi di trovare ancora una percentuale soddisfacente di precursori normali.
Si potrebbe indicare in 60 anni il limite superiore d’età dei pazienti candidabili all’autotrapianto, ma va anche detto che nella maggioranza
degli studi sull’argomento essi avevano un’età inferiore a 45 anni. È, invece, indicabile in 65 anni
il limite massimo d’età dei pazienti che, non potendo essere candidati a trapianto di cellule staminali, possono essere sottoposti a regimi chemioterapici simili a quelli impiegati nella leucemia
mieloide acuta (Ara-C combinata con antracicline
o fludarabina) qualora abbiano un rischio IPSS intermedio 2 o alto. Tuttavia, anche in coloro in cui
una remissione completa viene raggiunta, questa
è sempre molto breve, dell’ordine di qualche mese.
Da ciò l’indicazione del ricorso all’autotrapianto
per alcuni di questi pazienti (con meno di 60 anni)
o per i più giovani, dopo chemioterapia a dosi massimali.
116
Recenti Progressi in Medicina, 95, 2, 2004
Per quanto riguarda l’età pediatrica, sebbene
raramente coinvolta, nessun bambino con SMD
può essere considerato a basso rischio e quindi
ciascuno dovrà essere sottoposto a terapia.
All’estremità opposta vi sono i pazienti che
non necessitano di alcun trattamento specifico,
ma che comunque devono essere seguiti con esami ematologici ogni 3 mesi ed esame del midollo
e dell’assetto cromosomico ogni anno onde monitorare così il decorso della malattia. Questi, secondo il panel di esperti della SIE30, sarebbero gli
ultrasessantacinquenni con rischio IPSS basso e
livello di Hb superiore a 8g/dl e quelli con meno di
65 anni che abbiano sempre un rischio IPSS basso e con anemia lieve (Hb superiore a 10g/dl). Affermazione, la prima di queste due, che non ci
sentiamo di condividere.
Ci si chiede se abbia senso raccomandare l’astensione da qualsiasi tentativo di migliorare la
qualità di vita della stragrande maggioranza dei
pazienti con SMD, cioè degli ultrasessantacinquenni con tasso di Hb compreso tra 8 g/dl e 10
g/dl, anche tenuto conto che quella è proprio la fascia d’età più colpita da accidenti ischemici, cardiaci e cerebrali. Ci sentiamo pertanto di suggerire
che il limite per il tasso di Hb al di sopra del quale
non sia necessario alcun trattamento venga spostato da 8 g/dl a 10 g/dl. Fermo restando che la terapia trasfusionale, se non in casi particolari, non
è indicata al di sopra di 8 g/dl di Hb, la possibilità
di risposta all’eritropoietina umana ricombinante
(rHuEPO) deve essere secondo noi presa in considerazione, in particolare nella fascia tra gli 8 g/dl
e i 10 g/dl di Hb e soprattutto negli ultrasessantacinquenni. Il razionale per l’impiego dell’rHuEPO si basa sulla possibilità di contrastare il difetto proliferativo e maturativo dei precursori eritroidi col ricorso a dosi farmacologiche del
preparato. Il suo scopo è quello di innalzare il livello di Hb o di ridurre il fabbisogno trasfusionale, migliorando in definitiva la qualità di vita dei
pazienti. La somministrazione di dosi pari a
40.000 U bisettimanali per due mesi, e quindi di
dosi di mantenimento adeguate, ha sortito effetti
inaspettati, in media in un paziente su tre 31 . Ma,
anche dosaggi più bassi, dell’ordine di 150 U/kg
tre volte alla settimana, a patto che siano somministrati per almeno 26 settimane, assicurano una
risposta positiva (incremento dell’Hb >l g; riduzione del fabbisogno trasfusionale di almeno il 50%)
in più della metà dei pazienti con RA, RARS e
RAEB1, particolarmente in quelli con livelli sierici basali di eritropoietina inferiori a 150 U/l e con
buona prognosi citogenetica 32..
Sempre in pazienti con SMD a basso rischio, la
combinazione con l’rHuEPO di fattori di crescita
come il G-CSF ha non solo migliorato la neutropenia, quando presente, ma ha anche potenziato
l’effetto dell’rHuEPO innalzando la percentuale
dei pazienti responsivi33. Si è inoltre notato che in
alcuni che non avevano risposto all’rHuEPO da
sola, una risposta veniva invece ottenuta aggiungendo in associazione il G-CSF.
Circa vent’anni fa, con Baccarani e Tura 34, si
cominciò a pensare di trattare queste forme preleucemiche con chemioterapici a basso dosaggio
sia perché deludenti erano (e in parte sono) i risultati ottenibili con le dosi standard sia nell’ipotesi che i bassi dosaggi potessero indurre la differenziazione delle cellule neoplastiche. Il farmaco
di gran lunga più usato con queste finalità è stato
l’Ara-C (da un minimo di 6 mg/m2/die a un massimo di 30 mg/m2/die) somministrato sottocute o per
via venosa per periodi variabili dalle 2 alle 8 settimane. Non è stata mai dimostrata una stimolazione della differenziazione cellulare; gli scarsi risultati in termini di remissione sono stati semmai
attribuiti ad un effetto citoriduttivo; anche ai dosaggi più bassi il rischio di effetti mielosoppressivi si è dimostrato assai elevato; non si è riscontrata differenza alcuna in termini di sopravvivenza
tra i pazienti sottoposti alle basse dosi di Ara-C e
quelli di controllo trattati con la sola terapia di
supporto 35; né è stato notato un miglioramento
della risposta clinica associandogli fattori di crescita. Sorte analoga ebbero i tentativi terapeutici
con idarubicina a basse dosi (2 mg/die per cicli di
21 giorni consecutivi) 36.
Un certo interesse è stato invece sollevato da
studi recenti in cui melfalan alla dose di 2 mg/die
fino a progressione della malattia o allo sviluppo di
tossicità è stato somministrato a pazienti con
SMD a rischio elevato (38% complessivo di risposte complete o parziali, con sopravvivenza mediana di 27 mesi per coloro che avevano raggiunto
una remissione completa) 37 o a pazienti anziani
con SMD sempre ad alto rischio (40% complessivo
di risposte cliniche) 38.
Tra gli agenti con ipotetica attività differenziativa sui precursori midollari, due in particolare
sembrano meritevoli di applicazione clinica: uno è
la 5-azacitidina, nucleoside che a livello intracellulare ostacola l’ipermetilazione di specifiche sequenze del DNA implicata nella patogenesi delle
SMD, e l’analogo 5-aza-2’deossicitidina (decitabina). La SIE raccomanda un tentativo terapeutico
con l’uno o l’altro di questi farmaci per i pazienti
con meno di 75 anni d’età e SMD ad alto rischio,
che non siano candidati a trapianto di cellule staminali o a chemioterapia-tipo da leucemia mieloide acuta 30.
Di recente è stata riportata una risposta nel
60% dei pazienti con azacitidina per via sottocutanea al dosaggio di 75 mg/m2/die per 7 giorni consecutivi ogni 4 settimane 39. Già 10 anni fa nel primo studio italiano sull’argomento, cui noi stessi
abbiamo contribuito, si ottennero 4 remissioni
complete su 10 pazienti con SMD ad alto rischio
impiegando la decitabina al dosaggio di 40-50
mg/m2 /die per 3 giorni ogni 6 settimane 40.
In uno studio recente, Di Mario et al. 41 hanno
valutato l’efficacia della gemcitabina, un analogo
nucleosidico con attività antileucemica, su pazienti con più di 65 anni e SMD in stadio avanzato.
G. Paladini et al.: Sindromi mielodisplastiche. Attualità e prospettive terapeutiche
Sebbene solo in un paziente su 10 venisse notata una riduzione dei blasti midollari, la curva
della loro sopravvivenza si è dimostrata del tutto
sovrapponibile a quella di un gruppo storico di controllo trattato con Ara-C a basso dosaggio. Considerata l’accettabile tossicità dimostrata dal farmaco, impiegato alla dose di 1000 mg/die una volta la settimana per una media di 7 dosi
complessive, gli autori auspicano studi volti a confrontare il ruolo della gemcitabina con altri farmaci antileucemici o con agenti provvisti di attività differenziativa.
Talvolta è possibile riscontrare, in pazienti con
SMD, connotati sia clinici (anemia emolitica
Coombs-positiva; vasculiti; polimialgia reumatica; manifestazioni acute come sierositi, miositi e
neuriti periferiche) che ematologici (infiltrati
linfoidi nel contesto di quadri midollari normo- o
ipocellulati) evocanti la coesistenza di fenomeni
autoimmunitari che potrebbero anche avere responsabilità diretta nella patogenesi delle SMD.
In questi casi è consigliabile un tentativo terapeutico con ciclosporina A o con corticosteroidi ad
elevato dosaggio, oppure con globulina antitimocitaria (ATG). Il trattamento delle manifestazioni autoimmunitarie con uno di questi preparati o
con una loro associazione
può migliorare per un certo periodo di tempo la citopenia. Pertanto, di fronte
a simili evidenze cliniche e
in particolare in presenza
di un midollo ipoplastico,
merita prendere in considerazione l’opportunità di
sottoporre il paziente ad
un ciclo di 4 giorni con
ATG alla dose di 40
mg/kg/die, oppure a tre
giorni di terapia infusionale con 1000 mg di metilprednisolone/die o, infine,
a 1-2 mesi di terapia per os
con 100 mg 2 volte al dì di
ciclosporina A. La presenza dell’aplotipo HLADRB1-15 farebbe prevedere la positività della risposta a questi trattamenti
immunosoppressivi 30.
Definito da John Bennet 22 il più promettente tra
i nuovi agenti impiegati nel
trattamento delle SMD ad
alto rischio, il topotecan,
un inibitore della topoisomerasi I, dopo essere stato
somministrato da Beran et
al. 42 alla dose di 2 mg/m2
per infusione continua di
24 ore per 5 giorni consecutivi ogni 4-8 settimane e
per un massimo di 12 cicli,
ha determinato il 28% di
117
remissioni complete in 47 pazienti con RAEB,
RAEBT o CMML. Che è una delle più elevate percentuali di remissione completa ottenuta nelle
SMD con un singolo agente chemioterapico. Tuttavia, poiché in questo studio si era registrato un importante grado di tossicità, da più parti sono state
studiate posologie e modalità di somministrazione
del farmaco che risultassero meno tossiche ed
eventualmente suscettibili di associazione con altri agenti farmacologici con dimostrata attività
sulle SMD.
È perciò che sono state valutate combinazioni
del topotecan con Ara-C, con Ara-C e amifostina,
con Ara-C, fludarabina e G-CSF, con mitoxantrone ed etoposide, con fludarabina e carboplatino.
Nel complesso, la tossicità del farmaco risultava
notevolmente ridotta rispetto agli studi iniziali,
tanto da essere impiegato anche nei pazienti con
più di 65 anni a prognosi sfavorevole. Tuttavia,
sebbene la percentuale di remissioni venisse anche di molto incrementata dalle associazioni, la
mediana di durata delle stesse rimaneva dell’ordine di alcuni mesi.
Oggi, pertanto, parte della ricerca clinica sta
spostando la propria attenzione sull’individuazione di associazioni includenti il topotecan.
Figura 1. Sindromi mielodisplastiche. Schema di approccio personalizzato al trattamento.
118
Recenti Progressi in Medicina, 95, 2, 2004
Associazioni che abbiano come finalità, soprattutto nel paziente con più di 65 anni e SMD
ad alto rischio, non tanto quella della remissione
completa quanto il controllo della progressione
neoplastica e quindi il prolungamento della sopravvivenza pur in presenza di malattia.
La constatazione che fino ad oggi i risultati terapeutici riportati nelle SMD sono da ritenersi nel
complesso deludenti, sta stimolando la ricerca farmacologia e clinica nella speranza che nuove molecole e nuove strategie terapeutiche possano migliorare la prognosi di queste forme morbose 13.
L’amifostina, un aminotiolo fosforilato capace
di stimolare la proliferazione e la sopravvivenza
dei progenitori emopoietici ottenuti da midollo di
pazienti con SMD, è stata testata in questi anni in
casi a basso rischio ottenendo risposte terapeutiche solo parziali e spesso non del tutto valutabili
perché impiegata in combinazione con rHuEPO 13.
Il danazolo, un androgeno modificato capace di
aumentare la clearance degli immunocomplessi
ma anche di inibire la produzione di tumor necrosis factor e di interleuchina-1 beta, al dosaggio di
600 mg/die per almeno 3 mesi ha dimostrato un
effetto positivo sulle piastrinopenie severe ma non
sull’anemia né sulla granulocitopenia 30.
La talidomide, molecola “riscoperta” dopo il suo
ritiro dal commercio a causa dei noti effetti teratogeni, possiede un’azione multifattoriale sul microambiente midollare patologico, azione basata
su effetti antineoangiogenetici, antiapoptosici, antinfiammatori e immunomodulanti. Sebbene non
siano state registrate remissioni complete col suo
impiego, in alcuni pazienti con malattia a basso rischio sembra in grado di ridurre il fabbisogno trasfusionale 13. È inoltre ipotizzabile, e attualmente
in studio, un suo ruolo come terapia di mantenimento nei pazienti che abbiano ottenuto una risposta clinica dopo chemioterapia o dopo allo-SCT
o auto-SCT.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
15.
16.
17.
18.
Nella figura 1 è delineato uno schema riassuntivo di approccio personalizzato al trattamento delle SMD.
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Dott. Giorgio Paladini
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