ADDIO ALLA BORGATA

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ADDIO ALLA BORGATA
ADDIO ALLA BORGATA
Alberto Moravia
Quei cinematografari, non si sa perché, con tutta la borgata Gordiani a
disposizione, quando si trattò di fare il film, invece di utilizzare le baracche vere, si
costruirono una loro baracchetta nuova nuova, a regola d'arte, in mezzo a un prato. Ma
il cinema deve dire la verità oppure non deve dirla? Se deve dirla, allora la baracca
avevano da costruirla come costruirono tanti anni fa quelle della Gordiani: senza piano
rialzato così che quando piove, l'acqua entra in casa portandoci fango e bacherozzi;
senza cesso, tanto c'è la latrina pubblica, nel mezzo degli spiazzi; senza cucina perché per
cucinare basta il bidone di benzina; di foratini ad un solo strato o, peggio, di mattoni di
paglia compressa che d'estate brulicano d'insetti. Fecero, invece, una baracca modello che
se tutte le baracche della Gordiani fossero come quella lì, la Gordiani, oggi, non sarebbe
quella galera che è. Alla Gordiani, davanti le baracche, ci sono gli steccatelli che limitano
un po' di terreno. Dietro gli steccatelli si fa di tutto: il bucato, la cucina, le pulizie
personali, i lavori casalinghi, la conversazione.
Anche alla loro baracca, gli fecero il suo bravo steccatello di sambuco. Ma il
rigagnolo di acqua sporca e bianca di saponata, il mucchio di stracci e di scarpe vecchie
infradiciate sotto la muffa, il vaso da notte scrostato nel quale cresce la mentuccia, le fasce
del pupo stese ad asciugare sul fil di ferro, il piatto di porcellana rotto che spunta,
candido, dal fango e tante altre cosette del genere non ce le misero e come avrebbero
potuto? La vita ce le mette, il cinema non ce la fa. E come rifare l'intonaco rosa, annerito
e scalcinato, delle baracche con quelle scritte "No alla guerra. Viva Stalin. Abbasso i
tedeschi", che, ormai, a furia di pioggia, sfumano sui muri come l'inchiostro sulla
cartasuga? Nella loro casetta c'inzepparono, si capisce, la solita roba delle baracche: il
lettone matrimoniale e il lettino per i bambini, il cassettone con le immagini, le due
seggiole di paglia e cosi via. Ma questa roba stava lì senza vita, come dal rigattiere; si
vedeva lontano un miglio che in quei letti nessuno ci aveva mai dormito, che quel
cassettone era vuoto, che davanti quelle immagini nessuno aveva mai pregato. E l'odore
delle baracche, dico l'odore del piatto unico giornaliero, minestrone o pasta al sugo,
mescolato con quello del sonno, dei panni sporchi e del fumo, quell'odore come
avrebbero potuto riprodurlo? Ma già dimenticavo che il cinema non ha odore"
Per rendere più vero il film, assoldarono pure alcuni giovanotti della Gordiani e
una sola ragazza. I giovanotti li presero tra i più gagliardi e pazienza, benché, a dire la
verità, per via della denutrizione, gli scorfani1 alla borgata sono più frequenti degli
atleti; ma tra le donne scelsero Giulia che, non lo dico perché fosse la mia fidanzata,
era certo la più bella di tutte, un'eccezione vera e propria. Non che alla borgata le
belle ragazze manchino; ma faticano e non si curano e la loro bellezza si sente più che
non si veda. Invece Giulia, per via che era figlia unica di madre vedova e la madre, che
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Pesce di mare dall'aspetto sgradevole: sta per persona particolarmente brutta.
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faceva la lavandaia, se ne moriva per lei e non le faceva mancare niente, Giulia, dunque,
sembrava proprio una signorina. Alta e dritta, il viso liscio, le mani curate, la sua
grande differenza con le altre ragazze erano i capelli, e questo non soltanto perché
erano rossi, una rarità alla Gordiani, ma anche perché li aveva sempre puliti, gonfi,
leggeri, luminosi, al contrario delle compagne che, loro, andavano in giro spettinate e
sporche. Se li curava i capelli, Giulia: spesso, passando davanti la sua baracca,
potevo vederla che si spazzolava davanti la finestra, di profilo, assorta e
indaffarata come un gatto che si lisci il pelo. Ora, ripeto, perché scegliere Giulia come
ragazza caratteristica della borgata? Sarebbe stato lo stesso che fotografare il susino
che stava di fronte alla baracca di lei, carico, a primavera, di fiori bianchi, come
tipico della Gordiani, mentre ce lo sanno tutti che, all'infuori di quel susino, un
albero che è un albero alla Gordiani non si è mai visto, tanto che certuni, che sono
stati prigionieri di guerra, dicono che la borgata rassomiglia tale e quale ai campi di
concentramento, con questa differenza, però, che quelli erano più puliti.
Io non volli entrarci nel film perché lavoravo da meccanico in un garage sulla
Casilina e non mi conveniva. E anzi, a tutta prima, rimasi scontento che Giulia ci
lavorasse perché quel film che doveva descrivere la vita di noialtri della Gordiani, per
quanto capii assistendo alle riprese, non diceva la verità non soltanto sulla baracca così
diversa dalle nostre ma anche sul resto. Lasciamo stare la prima attrice che si
presentava alla borgata con la pelliccia di visone buttata sul vestito di rigatino; e il
primo attore, un giovanotto pasciuto, coi fianchi larghi che sembrava un manzo e si
vedeva lontano un miglio che non aveva mai faticato; ma la storia del loro amore
che cominciava alla borgata e finiva, per via di una vincita al totocalcio, in un
appartamento dei Parioli, non mi convinceva. Bella forza, far vincere al totocalcio.
Bisognerebbe invece mostrare uno della Gordiani che ai Parioli ci arrivasse col
proprio lavoro.
Cambiai idea, però, quando una sera, chiacchierando del più e del meno con
l'operatore, venni a sapere che quella bella baracca che avevano costruitoin mezzo al
prato, una volta finito il film, loro se la rivendevano. Prezzo: quarantamila lire. Dico la verità, dal momento che lo seppi, mi venne quasi la febbre. Quarantamila lire, un po' coi
miei risparmi un po' con quelli di Giulia, me la sentivo di metterle insieme; i mobili ce li
avevamo già, stavano nel magazzino di un amico; era aprile, avremmo potuto sposarci tra un
mese, al massimo due. Ne parlai a Giulia; e lei, alla fine, disse a fior di labbra che era
d'accordo: era fatta così, non si scaldava mai, sempre calma e come distratta, senza
trasporti. Aggiunse, però: "Speriamo di vincere anche noi, come i personaggi del film, al
totocalcio e di potere come loro passare dalla tua baracca all'appartamento ai Parioli." Non
feci caso a queste parole; e certo feci male. Giulia, poi, mi presentò all'amministratore; e,
insomma, si era ancora a metà del film che io avevo già versato la caparra e la baracca,
per così dire, era già mia.
Com'è l'uomo. Per se stesso non è capace di far progressi, si contenta, tira a
campare. Ma appena gli sembri di fare qualche cosa per un altro, per esempio la futura
moglie, subito diventa ambizioso, energico, pieno di iniziativa. Così io: dopo aver pagato la
caparra, subito mi diedi da fare con passione, sempre con quel pensiero nella testa: sto
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per sposarmi, debbo far soldi. Lasciai il garage e mi misi con un amico, in una officina
piccola ma nostra, sempre sulla Casilina. Era un progetto vecchio, ma finora, per pigrizia e
sfiducia, non l'avevo mai preso sul serio. Questa volta volli rischiare e, miracolo, subito
gli affari cominciarono ad andar molto bene. Lavoravo tutto il giorno, come un matto, e,
quando rincasavo alla Gordiani, trovavo ancora la forza di trascinarmi fino al prato dove,
alla luce dei riflettori, i cinematografari continuavano le riprese fino a notte alta. Era sempre
la stessa baracca che non rassomigliava a quelle della Gordiani; la stessa storia che non
poteva succedere alla Gordiani; gli stessi personaggi che alla Gordiani non si erano mai
visti; ma adesso sapevo che in quella baracca presto ci sarei andato a vivere con
Giulia e quel film quasi quasi non mi pareva più tanto bugiardo. E quando sulla
porta della baracca illuminata a giorno dai riflettori, mentre il regista urlava: "Silenzio,
azione," si affacciava la mia Giulia coi bei capelli color rame sparsi sulle spalle e il
viso ricoperto del cerone che la faceva parere ancor più bella, io mi illudevo di abitarci
già, nella baracca, e di vedere, appunto, Giulia che si affacciava per venirmi incontro
allorché tornavo dal lavoro.
Basta, il film era ormai giunto al finale nel quale si vedevano i due attori dire
addio alla Gordiani e trasferirsi ai Parioli; per festeggiare il doppio avvenimento della
fine del film e del passaggio di proprietà della baracca, decidemmo di fare un
pranzo un po' speciale, in casa di Giulia. Era sabato e quelli del film avrebbero
lavorato fino a sera; partiti che fossero, ci saremmo messi a tavola, avremmo bevuto
alle nozze, e più tardi, almeno così mi piaceva di immaginare, Giulia ed io, allacciati,
saremmo andati al chiaro di luna a contemplare la nostra baracca in mezzo al prato,
libera e disponibile, finalmente. Alle otto e mezzo, dunque, puntuale, mi presentai
alla baracca di Giulia, una bottiglia di vino buono sotto il braccio. La madre di
Giulia non c'era, ma non doveva essere lontana perché l'uscio era aperto. Dopo aver
chiamato e bussato più volte, mi feci coraggio ed entrai.
La baracca di Giulia non era diversa dalle altre della borgata ma una volta
dentro ci si accorgeva della differenza. Qui tutto era in ordine, pulito, lucidato,
spolverato, disposto con quell'amore di cui soltanto le donne sono capaci. Il letto in
cui Giulia dormiva con la madre aveva due cuscini di bucato e una bella coperta
rossa; tra i riccioli di ferro della spalliera c'era infilato l'ulivo benedetto. Sul
cassettone c'era una tovaglina ricamata; e sopra, in bell'ordine, le spazzole e i
pettini di Giulia. In terra c'era un tappeto; alla finestrella due tendine a palline
azzurre e tanti vasetti con le piantine. Non c'era odore perché la cucina stava di
fuori, in un casottino; o meglio c'era, leggero, l'odore buono, personale di Giulia. Ma
rimasi male vedendo che la tavolina, sotto la finestra, non era apparecchiata; e lì per lì
quasi pensai che avessi sbagliato e fosse il giorno dopo. Imbarazzato, la bottiglia
sotto il braccio, girai un poco per la stanza: mi guardai nello specchio, quindi tolsi dalla
spazzola capelli che ci erano rimasti e me li arrotolai intorno l'indice, stretti, che
parevano un anellino di rame. Ma il letto mi attirava: lì dormiva Giulia. Sollevai il
cuscino e accarezzai la camicia ripiegata. Sentii qualcosa di duro, frugai e trovai una
scatoletta. Non so perché, pensai che fosse un regalo per me, per quella sera; e l'aprii.
Non era un regalo per me; erano due orecchini con le turchesi. Non ebbi però il
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tempo di meravigliarmi perché udii la voce di Giulia, improvvisa, che parlava con la
madre, nel casotto della cucina. Rimisi in fretta la scatola sotto il cuscino. Poi Giulia
entrò.
Disse subito dalla soglia, tutto di un fiato: "Luigi, mi rincresce, ma questa sera
non posso stare con te. Danno un pranzo di addio a Roma, per la fine del film, mi
hanno.invitata, non posso mancarci. Vo levo avvisarti, ma eri all'officina, e così non ho po
tuto." Io non dissi niente, ma la mia faccia doveva essere parlante perché lei, tutto ad
un tratto, si snervò e soggiunse con voce più alta, quasi esasperata: "E poi preferisco
dirtelo adesso piuttosto che continuare questa commedia: non siamo fatti l'uno per
l'altro, è meglio che non ci vediamo più. Sarà un mese che ci penso, avrei dovuto
dirtelo subito, lo so, e non farti comprare la baracca." A questo punto io feci un gesto
come per dire: "Che me ne importa della baracca;" ma lei capì alla rovescia e concluse in
fretta: "Non aver paura, però, ho parlato con l'amministratore e, se vuoi, puoi
riavere indietro la caparra. Io, però, al tuo posto, la terrei, la baracca, dopo tutto è un
buon affare e domani puoi sempre andare ad abitarci." Così adesso, lei mi dava anche
dei consigli, preparandosi, come il personaggio del film, a trasferirsi ai Parioli; mi
consigliava di tenermi la baracca: non si poteva mai sapere. Mi si erano empiti gli
occhi di lagrime e stavo per rispondere: "Sì, con la baracca ci faccio la birra," quando
sorpresi un suo sguardo imbarazzato che mi sorpassava e raggiungeva il letto. Compresi,
andai al capezzale, presi la scatoletta degli orecchini e gliela porsi dicendo: "Cercavi
questo, eccolo." Lei rimase un momento interdetta, la scatola in mano guardandomi.
Quindi girò sui tacchi e uscì dalla stanza.
Uscii anch'io. Sullo stradone asfaltato che spacca in due parti la Gordiani, c'era
l'automobile dell'aiuto regista, mezza gialla e mezza rossa. Era buio perché alla Gordiani
i fanali sono pochi, ma, non so come, i colori della macchina risplendevano lo stesso nell'ombra, come se fossero stati fosforescenti. La macchina era illuminata dentro e
piena di gente. Vidi Giulia dirigersi verso la macchina, senza fretta, mettendosi
intanto gli orecchini, prima l'uno e poi l'altro, la testa chinata verso la spalla. Mi
parve che l'accogliessero con voci festose. Quindi la macchina si mosse e filò via, lunga
e colorata, facendo uscire dall'ombra, col raggio dei fanali, via via che avanzava, le
baracchette basse e gli steccatelli della borgata.
La guardai scomparire in fondo allo stradone, e poi me ne andai anch'io, ma
dall'altra parte, verso la fermata dell'autobus per Roma. Alla baracca, alla caparra,
persino a salutare i miei, ci avrei pensato il giorno dopo. Adesso quello che volevo era
lasciare la borgata al più presto, per liberarmi dall'impressione di far tutt'uno, come pareva
che pensasse Giulia, con quelle baracche, quella miseria, quell'isolamento. Col suo
disprezzo involontario,Giulia aveva ammazzato l'amore e destato l'amor proprio: me la
sentivo, pur di non passare nemmeno quella notte alla Gordiani, di dormire magari
su una panchina, ai giardini pubblici. Ma ci avevo un cognato che stava a Ponte, decisi
di andar da lui. Sull'autobus c'era la solita folla e il fattorino, spazientito, mi disse:
"Su, avanti, ragazzo, va' avanti." Pensai che era una frase di buon augurio, che ero un
ragazzo come diceva lui, che dovevo andare avanti e che ci avevo ancora tanti e tanti
anni da vivere, lontano dalla borgata.
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