nunc dimittis servum tuum

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nunc dimittis servum tuum
NUNC DIMITTIS SERVUM TUUM
di Angelo Veraldi
Mentre i genitori di Yeshùa adempivano regolarmente agli obblighi legali della circoncisione del primogenito e
dell’offerta corrispondente, entra in scena un cittadino di Gerusalemme “di nome Simeone, uomo giusto [nel senso
biblico: osservante della Legge, intesa non come complesso di norme, bensì come volontà di amore di Dio nei confronti
del suo popolo] e timorato di Dio”, nel senso di fedele, credente (Lc 2,25). Egli (come ogni altro israelita credente), con
incrollabile fede, sperava, come prossima la venuta del consolatore d’Israele. Egli aveva avuto dallo Spirito Santo la
sicura promessa di non morire prima di aver visto, con i suoi occhi, l’Unto del Signore, il messia, garantito ai patriarchi
e annunciato dai profeti. Simeone, in quel giorno, si era recato al Tempio, senza dubbio spinto da una illuminazione
particolare dall’alto. Certamente non per caso (nulla infatti avviene per caso nel progetto di Dio), ma mosso dallo
Spirito Santo che era sopra di lui (Lc 2,26-27) e neppure per sorpresa riconosce Cristo Signore: aspettava però la
consolazione d’Israele (Lc 2,25). Va detto anche che Simeone, al Tempio, non aveva obblighi di sorta, in quanto, come
alcuni supposero, non era un sacerdote. Simeone prendendo nelle sue braccia Yeshùa bambino, proruppe in una
espressione di gioia che gli riempiva il cuore, con un cantico, in latino NUNC DIMITTIS SERVUM TUUM (Lc 2,2932). Simeone non aspettava altro, prima di morire, che l’attuazione della speranza d’Israele e il compimento delle
promesse divine.
Il suo modo di esprimersi rivela un uomo avanzato in età. Egli parla come Giacobbe, carico di anni, quando ritrovò il
figlio Giuseppe: “Posso anche morire questa volta, dopo aver visto la tua faccia, perché sei ancora vivo” (Gn 46,30).
Simeone però vide qualcosa di più e di meglio che non un figlio. Vide colui che i grandi personaggi delle Scritture
Ebraiche avevano desiderato, ardentemente, di vedere, ma invano.
I veggenti d’Israele scrutavano l’orizzonte del tempo, in modo da segnalare al mondo l’approssimarsi del messia;
Simeone invece l’ha finalmente veduto e lo ha mostrato concretamente. Per cui lo scopo e il compito della sua lunga
vita è raggiunto ed assolto. Pertanto egli chiede di andarsene in pace, come la sentinella che fedelmente eseguì la
consegna del suo comandante.
Il “nunc dimittis servum tuum”, a differenza del Magnificat e del Benedictus, sembra sia stato composto dallo stesso
Luca, prendendo testi da Isaia 46,13: “Faccio avvicinare la mia giustizia: non è lontana, la mia salvezza non tarderà. Io
dispenserò in Sion la salvezza a Israele, oggetto della mia gloria”, e da Is 52,10: “Il Signore ha snudato il suo santo
braccio davanti a tutti i popoli; tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio”; ma anche usando come
fonte la storia di Anna ed Elkana con il figlio Samuele e il sacerdote Eli che consacra al Signore Samuele (1Sam 1-2).
Luca poi amplia queste fonti con i suoi temi: adempimento della promessa, il tempio, l’universalismo della salvezza,
ma anche il rifiuto, la testimonianza e le donne.
Dopo i primi tre versetti che riguardano Simeone e la sua morte vicina, gli altri tre descrivono la salvezza universale
portata dal messia Yeshùa: una certezza è un dono anche per il mondo pagano, che ha avuto inizio dal popolo di Dio e
ridonderà a sua gloria.
In Lc 2,29-32 si trova il nucleo teologico di Lc: il messia davidico Gesù non è salvatore solo per alcuni, ma per tutti.
Infatti Lc 2,29-32 mette in risalto il tema dell’universalismo, che è la caratteristica più tipica dei suoi scritti.
Simeone (dall’ebraico, “Dio ha udito”) rappresenta l’Israele credente nel messia (consacrato, unto, cristo), del Signore
(Lc 2,26). E Simeone che cosa ha udito e esperimentato?
1) La consolazione = paraklesis, in cui echeggia la parola di Giovanni sullo Spirito Santo; Simeone parla come
profeta. Isaia 40,1 dice: “Consolate, consolate il mio popolo” e 66,13: “Come una madre consola un figlio, così
io vi consolerò; in Gerusalemme sarete consolati”.
2) Lo Spirito Santo, in quanto l’imminenza della realizzazione della consolazione domina la vita di Simeone e di
quelli che lo ascoltano.
3) La salvezza, tema principale di Lc, come fedeltà di Dio alla promessa. E la salvezza di Dio, in Yeshùa, si
allarga e abbraccia il popolo di Dio: Israele, e poi si estende agli altri, alle nazioni, perché tutti i popoli sono
eredi della promessa di Dio.
Secondo J. Ratzinger (L’infanzia di Gesù, pp. 99-100), nel cantico di Simeone “vengono fatte due affermazioni
cristologiche: 1) Cristo è luce per illuminare le genti e 2) Gloria del … popolo d’Israele. Sono tratte dal profeta Isaia (1°
e 2° carme di YHWH – Is 42,6; 49,6), così che Yeshùa viene individuato come il Servo di YHWH” la cui missione è
universale: rivelazione alle nazioni della luce di Dio. “Il riferimento - continua Ratzinger - alla gloria di Israele si trova
nelle parole di consolazione del profeta ed è rivolto all’Israele impaurito, al quale viene annunciato un aiuto mediante la
potenza salvifica di Dio (cfr. Is 46,13)”.