Michelina Tenace

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Michelina Tenace
Michelina Tenace
NELLA TEOLOGIA ORIENTALE, ASPETTI DELL’AZIONE DELLO
SPIRITO SANTO NELLA PERSONA.
(si trovano questi contenuti nei libri citati in bibliografia)
I - PARTIRE DALLA PERSONA...
Questa riflessione riguarda l’antropologia teologica1 . Va subito detto
che se è difficile parlare di Dio perché è mistero, altrettanto difficile è
parlare dell’uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio. Eppure
ognuno di noi fa l’esperienza di essere non solo un grande mistero, ma a
volte una cosa, come un libro che chiunque pretende di leggere e di capire.
Si può infatti in antropologia arrivare a negare il mistero, a vivere
nell’orizzonte dei fenomeni semplicemente detti “umani”. Specialisti
dell’umano sono le tante (e sempre di più) scienze umane raggruppate
intorno ai bisogni del corpo sano (la medicina), della mente sana (la
psicologia), del pensiero sconfinato (gnosi eterna2 moderna). Attraverso i
secoli si è creato un divario, si è aggravata la distanza tra il discorso sul
conoscibile (la natura) e le teorie sull’inafferrabile (la persona che è un
mistero).
La novità che porta il cristianesimo è il contenuto dell’incarnazione,
dell’evento unico dell’in-umanizzazione di Dio. Il campo specifico
dell’antropologia cristiana parte quindi da Cristo. La novità del
cristianesimo riguarda proprio l’antropologia: «nel Cristo l’uomo è
chiamato a diventare, nella libertà dello Spirito, un’esistenza cristologica» 3
poiché è immagine del Figlio. Questo significa che la riflessione sull’uomo
non può prescindere dalla salvezza realizzata da Cristo. In altre parole: da
Cristo è possibile risalire al Padre, e a partire da Cristo vera Immagine di
Dio è possibile capire l’intelligenza misteriosa dell’espressione custodita
nel racconto della creazione: «E Dio disse: facciamo l’uomo a nostra
1Per
questo intervento rimando a Dire l’uomo, vol. 2, Dall’immagine alla somiglianza. La salvezza
come divinizzazione, ed. Lipa, Roma 2005.
2
Cf. H. Cornelis-A. Leonard, La gnose éternelle, Paris 1959. Tr. it., La gnosi eterna, Roma, 1961.
3O.
CLÉMENT, Aperçus de la Théologie de la personne dans la diaspora russe en France, in AA. VV.,
Mille ans de christianisme russe, Paris 1989, p. 306.
immagine, a nostra somiglianza (…)» (Gen 1,26) A conclusione del sesto
giorno della creazione, giorno della creazione dell’uomo la Scrittura
aggiunge: «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto
buona» (Gen 1,31). L’uomo è stato creato da Dio come realtà “molto
buona”, ma solo dopo Cristo, Figlio di Dio fatto uomo, è stato possibile lo
sviluppa di un’antropologia positiva a partire del tema dell'immagine e
della somiglianza. La comprensione dell'uomo è inserita nel contesto di una
storia di creazione, di salvezza, di santità che lo apparenta alle Persone
divine, legando la sua esistenza all’essenza divina che è l’amore.
Nell'antropologia cristiana, il tema dell'immagine e somiglianza
illumina non solo la creazione, ma dà le coordinate essenziali della fede :
Dio è amore, l’uomo è creato dall’amore. Perciò è “cosa molto buona”. La
vicenda umana è mistero d’amore. Nella storia, tempo e spazio dove
l’uomo è vivo, si svolge la chiamata e la risposta dell’Amore: il nucleo
dell’antropologia teologica non dice altro. Le Persone Divine, per amore,
creano l’uomo e lo chiamano a rispondere all'amore con l'amore. L'amore è
il vero fattore della umanizzazione, della personalizzazione, della
divinizzazione dell'uomo. Dire l’uomo è dire l’amore. La storia della
salvezza è la storia di come l’amore raggiunge l’uomo che si allontana
dall’amore entrando in un orizzonte di peccato che offende l’amore e
offusca l’immagine.
La salvezza è in ordine all’amore: Dio Padre manda il Figlio per
amore, e “l’amore di Dio è riversato nei nostri cuore per mezzo dello
Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5, 5). Riproponendo di parlare
dell'uomo in termini di immagine e somiglianza di Dio, la vita cristiana si
può esplicitare in chiave di incarnazione dell’amore o di incarnazione dello
Spirito cioè di “spiritualizzazione”: «Questa nuova spiritualizzazione sarà
frutto della grazia, cioè del comunicarsi di Dio, nella sua stessa divinità,
non soltanto all’anima, ma a tutta la soggettività psicosomatica dell’uomo
». 4 La vita cristiana è vita nello Spirito, ossia carità e partecipazione alla
vita divina nella santità (cf. 2Pt 1,4). Lo Spirito è manifestato come vita
alla creazione, e nella redenzione come amore.
Esempio fra mille di inculturazione dove il linguaggio veicola cose
vecchie e cose nuove, la parola persona applicata all’essere umano, assume
4
Catechesi del mercoledi 9 dicembre 1981, Ins, IV, 2 (1981), 3, p. 882; UDC, LXVII, p. 268.
rilievo e contenuto proprio quando nella storia della teologia si andava
definendo il dogma cristologico delle due nature divina e umana, nell’unica
persona di Cristo. Il mistero centrale dell’antropologia «è il Cristo, il Diouomo, colui che è Dio vero e completo ed è perciò unito alla Trinità Santa,
e colui che è uomo vero e completo e perciò unito a tutti gli uomini che
costituiscono il suo corpo, la Chiesa (...) Il Cristo quale Dio-uomo è
realmente, per (i cristiani) ortodossi, sia modus credendi che modus
vivendi, sia modus cognoscendi che modus faciendi».5.
Come dire con i concetti questa particolare unità che costituisce la
persona? Perché di questo si tratta: prima ancora di dire le sue derivate
caratteristiche, bisogna poter affermare che l'essere che noi chiamiamo
essere umano è unità tale che ogni gesto di carità lo tocca nell'anima, ogni
gesto di misericordia lo fa beneffatore di Dio stesso in Cristo presente in
ogni persona bisognosa di amore. Il corpo è tempio dello Spirito Santo che
altrimenti non ha dimora, lo Spirito d'altra parte è tale che vince la morte
per cui in virtù dello Spirito, un uomo «anche se muore, vivrà» (cf. Gv
11,25).
La novità del cristianesimo rende “vecchie” le antropologie filosofiche
che affermano che non c'è unità fra corpo e anima, che non c'è unità fra
cielo e terra, fra divinità e umanità porta ad accettare un dualismo
incompatibile con la fede cristiana la quale afferma come fondamentale
presupposto, l'unità della persona nella promessa della vita eterna e della
risurrezione dei corpi, predica la presenza di Dio in mezzo agli uomini
come presenza di amore e di salvezza.
Perché l’uomo non può essere detto solo dalla razionalità?
In un tempo il cui mentre la cultura pagana sta scomparendo, la
cultura cristiana non è ancora solidamente stabilita, Boezio, un pensatore
cristiano della fine del V secolo, grande conoscitore dei filosofi
dell’antichità, per risolvere il dualismo, propone di concepire la persona
come naturale unità fra sostanza, individualità, razionalità: persona est
5JEVTIČ Atanasio, vescovo ortodosso di Mostar-Erzegovina, L'infinito cammino. Umanazione di
Dio e deificazione dell'uomo, Bergamo-Vicenza 1996, p. 85.
rationalis naturae individua substantia6.
Come lo affermano alcuni critici, tale definizione, sottolineando l’unità
intorno alla sola individualità, ha questo «inconveniente serio di indirizzare
la riflessione nel senso stretto di una concezione monadica della persona,
concezione che danneggerà a lungo la sua rappresentazione»7.
Quali elementi di antropologia sono rintracciabili nella definizione di
Boezio? La distanza fra l'uomo e Dio, la distanza fra l'uomo e il resto delle
creature. In che modo? La differenza tra uomo e Dio è la creaturalità.
L'uomo è creato, è materiale, possiede una sua sostanza, un corpo che lo
identifica come essere unico ma pur sempre sostanzialemente identico
all'intero genere umano. In questo, Dio viene affermato come immateriale,
increato, non individuale ma trinitario.
La differenza tra l'uomo e il resto delle creature consiste nella natura
razionale, privileggio che solo l'uomo ha ricevuto come dignità e
somiglianza ad immagine de Logos. San Tommaso spingerà ancora di più
l'identificazione fra natura razionale e essere persona dicendo che "omne
individuum rationalis naturae dicitur persona"8 . La ragione sarebbe ciò che
distingue l'uomo dal resto delle creature. Per cui unendo l’elemento di
creaturalità e la caratteristica della razionalità è accettabile la definizione
dell’uomo come “animale razionale”9. Ma questa, non dice “chi è chiamato
ad essere” come persona.
Il limite di un tale approccio all'uomo può legittimare molte
deviazioni. La moda (cartoni animati, film, abbigliamento, linguaggio)
tende a preferire le sembianze animalesche a quelle umane. Quasi vedendo
nell'animale, privo di razionalità, ma protetto dall’istinto e dalle leggi
naturali, un modello meno ambiguo e a volte più capace di "bontà" rispetto
all'uomo dotato di ragione, ma capace di estrema e gratuita crudeltà.
Nell’uomo, la ragione non è fine a se stesso, è mezzo e quindi come mezzo
è cieco, potente e pericoloso, capace di distruggere la vita e l'universo nel
6
294.
Liber contra Eutychen et Nestorius (De persona et duabus naturis in Christo), 3, PL 64, 1343 c.
7L.
Jerphagon, Philosophie de la personne, Encyclopaedia Universalis, XIV, Paris 1985, cit., p.
8Sum.
Theol. I.q.29 a.3 ad 2
9Espressione che risale al Peripato, si trova già in Giamblico De vita Pythagorica, 31; Aristoteles,
V, 1511 a. La troviamo però anche in Anselmo di Canterbury, Monologion, cap. 10, De Grammatico, cap.
8. In San Tommaso varie volte e fino a Kant come definizione possibile per l'uomo.
gioco di "animalesche" costruzioni di macchine o di ideologie de morte in
cui l'eroe principale è un super-uomo (o super-bestia) privo di volto. La
ragione, così preziosa alla dignità dell'uomo è data per realizzare un ordine
di grandezza che si misura non nel regno inferiore dell'animalità ma nel
regno superiore della divinità, ossia nell’orizzonte della sua vocazione.
Questa è la vera grandezza dell'uomo, la sua famigliarità con Dio di cui
nessun altro titolo rende conto come quello di essere creato ad immagine di
Dio. Gregorio di Nissa già a suo tempo ironizzava sul fatto di credere che
la grandezza dell'uomo consista in qualche paragone vantaggioso con il
creato. «Non vi è nulla di notevole nel fatto che l'uomo sia immagine e
somiglianza dell'universo, perchè la terra passa e il cielo muta... Credendo
di esaltare la natura umana con il nome magniloquente di microcosmo
(sintesi dell'universo) si dimentica che l'uomo possiede in tal modo le
qualità della zanzare e dei topi».
Quale natura e quale ragione?
Cosa si intende quindi per persona definita a partire della natura
razionale, dove e quando comincia la qualità della razionalità? È già il
bambino appena concepito una persona nel senso di “essere razionale”? Se
si dice di no, si giustifica il fatto che non essendo persona la sua vita non ha
i diritti riconosciuti ad ogni altra persona umana. Si argomenta dicendo che
il suo essere razionale è già in potenza e che per questo la sua vita va
rispettata. Cosa si dirà allora circa la qualità di essere razionale quando si
tratta di un malato che non arriverà mai all’esercizio della sua razionalità?
Cosa si dirà di una persona nel coma irreversibile? Cosa si dirà infine di
una ragione che minaccia continuamente la vita degli altri e della società
come tale? Come e perché una persona “fuori di testa” andrebbe rispettata e
considerata nel quadro di quel diritto alla vita che nega agli altri? È la
razionalità riferimento ultimo oppure è sottomesso ad altri valori di verifica
per definire “chi è persona?”
É sorprendente il livello a cui arriva la riflessione in materia di
bioetica10. Dovendo rispondere a quali sono “gli indicatori di umanità” per
poter quindi fondare un'etica dei diritti alla vita, degli specialisti in materia
10Cf "Chi" è persona? Persona umana e bioetica, Editoriale di «Civiltà Cattolica» 1992 IV, p.
547-559.
indicando la razionalità e l'autocoscienza, allargano queste caratteristiche
ad esseri che non appartengono alla specie umana. Cosa impedisce di
considerare “persone” alcuni animali che sono coscienti e capace di
comunicare un certo livello di razionalità? Cosa impedisce invece di negare
il riconoscimento di “essere una persona”, ad esseri incapaci di razionalità
e di autocoscienza anche se di genere umano? Dicono coloro che ragionano
in questo modo che, bisogna «rifiutare la teoria per cui la vita dei membri
della nostra specie ha più valori di quella dei membri di altre specie. Alcuni
esseri appartenenti a specie diverse dalla nostra sono persone: alcuni esseri
umani non lo sono (...) Abbiamo ragioni molto forti per dare più valore alla
vita delle persone che a quella delle non-persone. E così, (è) più grave
uccidere, per esempio, uno scimpazé, piuttosto che un essere umano
gravemente menomato, che non è una persona»11.
Davanti a tali
affermazioni è difficile ancora sostenere che la razionalità sia in assoluto
l'equivalente dell'essere persona. Non si confonde forse il soggetto umano
con la ragione? E della ragione non viene forse ridotta la complessità di
realtà ontologica che nell'uomo è a immagine del Lógos divino12?
Come realizzare la vocazione cristiana con una ragione ridotta rispetto
a ciò che essa è per rendere l’uomo immagine e somiglianza di Dio?
Prendiamo come esempio l'imperativo del perdono e dell’amore dei nemici
che nel vangelo è presentato come la perla preziosa della novità in Cristo.
Con l'aiuto della sola ragione, come può un uomo ferito e offeso nel
fondamento stesso della sua vita, perdonare al nemico? L'uomo ragionevole
ragionerà per arrivare al massimo a non ricambiare l'offesa con l'offesa,
arriverà a non pensarci più, a consolarsi, ma perdonerà, potrà amare? Sarà
cioè in grado di offrire se stesso per la vita del suo nemico? Amare il
nemico è una categoria troppo alta per la ragione per quanto illuminata
possa essere. Ed è infatti ciò che San Paolo ci ripete in tutte le sue lettere.
«Se non avessi la carità sono come un bronzo che risuona (...) E anche se
dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi la carità non sono
nulla» (1 Cor 13, 1.3). A fondamento dell’essere o del non essere, sta
l’amore. Ma quale amore può essere in noi l’opposto dell’essere “nulla”?
La risposta a questa domanda costituisce il nucleo della predicazione di
11P.
SINGER, Etica pratica, Napoli 1989, p. 102.
12Cf
P. NELLAS, Voi siete dei, tr. it., Roma 1993.
Gesù e dell’annuncio degli apostoli. Costituisce anche il fondamento
dell’antropologia teologica tramandata dalla tradizione patristica.
Accogliere la buona novella di Gesù Cristo, fa cambiare le coordinate per
“dire l’uomo”. Per esempio: mentre la ragione si auto-possiede e autocontrolla, la fede ci spinge a dire che «ognuno di noi risuscita nella misura
in cui si perde nell'amore»13. L’invito di Cristo a perdere la propria vita per
trovarla, è un invito all’amore, unico “comandamento”. «Questo vi
comando: amatevi gli uni gli altri» (Gv 15,17). La persona allora potrebbe
essere definita nell’ordine della kenosi, del non possesso, della fiducia ecc.
14 L’amore stesso non è mio, è da Dio. Se posso amare è perché «l’amore
di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci
è stato dato» (Rm 5, 5).
È con lo Spirito nel cuore che si ama, che si prega e quindi è con il
cuore che si pensa. Pensare, amare, credere, non sono attività separate nella
ragione perché non sono separate nell'uomo. Sant'Atanasio, che
approfondisce questo argomento, lo puntualizza con estrema chiarezza:
«Dio creò gli uomini secondo la sua Immagine, trasmettendo loro anche la
potenza del Suo proprio Lógos, di modo che, avendo connaturate in sé
alcune ombre del Lógos e divenuti logici (razionali) essi riuscissero a
perseverare nella beatitudine»15. «Da questo deriva che l'uomo è hón
logikón, (un essere razionale) perché è stato creato ad immagine di Dio (...)
questo è da intendersi in riferimento al lógos dell'uomo, è cioè alla sua
componente razionale. sarebbe invece più corretto dire che il lógos
dell'uomo (ossia il suo essere razionale) si deve al fatto che egli è stato
creato “a immagine” di Cristo il quale è il Lógos ipostatico»16 .
Nell’amore, la persona è ad immagine e somiglianza di Dio
Per quanto possa sembrare accessibile e ovvia, né la definizione
dell’uomo come “animale razionale”, né quella più lusinghiera di persona
in quanto “rationalis naturae individua substantia”, non rendono conto
13O. CLÉMENT, Aperçus de la Théologie de la personne dans la diaspora russe en France, in
AA. VV., Mille ans de christianisme russe, Paris 1989, p. 304.
14S.
BOULGAKOV, Die Tragödie der Philosophie, Darmstadt 1927, p. 139-142.
15S. ATANASIO,
16P.
L'incarnazione del Verbo, 3, PG 25, 101B.
NELLAS, Voi siete dei, tr. it., Roma 1993, p. 40.
dell’uomo soggetto di carità e mistero ad immagine del Mistero. Ossia, non
rendono conto della sua vocazione divina. L'antropologia dell'immagine
permetterà che si incontrino tutte le linee della riflessione sull'uomo in una
struttura intelligibile. 17
La persona è l'essere della relazione. Non di qualsiasi relazione, ma di
quella relazione di amore che crea, mantiene in vita, chiama all'eternità.
Nell'amore che crea, la relazione è tale che Dio crea l'uomo libero per
amare liberamente. Nella relazione che mantiene in vita, l'amore è tale che
non si vede. Nella fedeltà che chiama all'eternità, la relazione è tale che si
offre come perdono e riconciliazione.
Non c’è accesso al mistero dell’uomo se non attraverso Cristo perché in
Cristo, l'umanità ha accesso all'esistenza Trinitaria in quanto «nello Spirito,
per Cristo verso il Padre, l'uomo lungo la sua vita, integra il cammino
dall'immagine alla somiglianza, dall'immagine sepolta nella separazione e
nella confusione verso la somiglianza che senza confondersi, si inserisce
nella comunione»18. L'uomo creato ad immagine e somiglianza è la risposta
antica eppure nuova che l’antropologia cristiana avrebbe avuto da
sviluppare, una volta fissate le grande assi del dogma trinitario. La
definizione delle Persone divine avviene in relazione all'amore partecipato:
«l'amore è la vita stessa della natura divina»19 e in qualche modo la vita
stessa dell'uomo. Lo stesso amore mentre rende conto della vocazione della
persona umana, ne spiega anche la perversione. «Dio è amore, è fonte di
amore. Il Creatore della nostra natura ha partecipato anche a noi la capacità
di amare... Se non c'è l'amore, tutti gli elementi dell'immagine sono
trasformati»20 . «Per partecipare a Dio è indispensabile possedere nel
proprio essere qualcosa di corrispondente al partecipato»21. Dio partecipa
l'amore e così l'amore, relazionalità assoluta, diventa ciò che determina,
definisce, la persona e la natura. In questo senso non può esserci
opposizione tra natura e persona. L'uomo va pensato in termini di divino17
Cf. M. Flick - Z. Alszeghy, L'uomo nella teologia, Modena, 1971, p. 47.
18O. CLÉMENT, Aperçus de la Théologie de la personne dans la diaspora russe en France, in
AA. VV., Mille ans de christianisme russe, Paris 1989, p. 307.
19
Gregorio di Nissa, De anima et resurrectione, PG 46, 96c
20
Gregorio di Nissa, Della creazione dell'uomo, PG 44, 137c
21
Gregorio di Nissa, Oratio catechetica magna, PG 45, 21c
umanità e la sua vita capita alla luce della chiamata alla divinizzazione,
progetto di Dio sull'uomo dall'eternità22 .
II – QUALE RISVOLTI PER LA VITA CRISTIANA?
La salvezza avviene nella relazione.
Solo l’uomo può diventare figlio di Dio perché è creato e salvato nel
modo che conviene alla persona, ossia in una relazione, in una storia. «La
storia della salvezza in teologia è una categoria essenziale del fenomeno
umano... Il concetto chiave di una tale visione è la persona»23. Bisognerà
quindi che il discorso teologico che facciamo sull'uomo scelga delle
categorie linguistiche e filosofiche capaci di rendere conto di questo
«aspetto personalistico del dogma»24.
Nella storia della salvezza, l'esperienza che è messa come chiave di
interpretazione della costituzione o della ricomposizione dell'unità
dell'essere umano è la relazione con Dio la quale nell'alleanza e, prima
ancora, nella creazione dice il mistero della vita. Cosa rimane della
creaturalità, della relazionalità in concetti che isolano la persona come se
appunto la persona fosse un concetto a sé stante, un'esistenza isolata e
«gettata nel mondo» secondo la nota espressione di Heidegger? L'aspetto
più importante della teologia patristica era invece «il concetto che l'uomo
non è un essere autonomo, che la sua vera umanità si realizza soltanto
quando egli vive in Dio e possiede le qualità divine»25.
Non dall'ottica dell'individua substantia, ma dal punto di visto storicoesperienziale e quindi relazionale si coglie l'essere uno e persona. La
persona non si può pensare come singola né nei suoi atti né nel suo essere.
Se non risponde alla relazione con Dio, si mette in relazione con qualcuno
o qualcosa altro. Ma comunque si relaziona.
Quindi la relazione è tale che senza di essa semplicemente non sono.
22 "Immortalità si identifica con deificazione: Dio solo è il Vivente, non c'è dunque altra
immortalità per l'uomo se non quella che è partecipazione libera alla vita stessa di Dio, a Dio come fonte
di ogni vita". O. CLÉMENT, Vladimir Lossky, Un théologien de la personne et du Saint-Esprit, in
“Messager de l'Exarchat du Patriarche russe en Europe”, n. 30-31 (1959), p. 169.
23M.
FLICK - Z. ALSZEGHY, Fondamenti di antropologia teologica, Firenze 1982, p. 5-6.
24Z.
ALSZEGUY, Aspetto personalistico del dogma, in AA. VV., Fedeltà e risveglio del dogma,
Milano 1967, p. 107-116.
25J.
MEYENDORFF, La teologia bizantina, tr. it., Torino 1984, p. 170.
Non esisto. Come conciliare questa affermazione con la riduzione
scolastica per cui la relazione è qualcosa di “accidentale”26 ? Non si tratta di
relazione umana semplicemente, per cui se nessuno è in relazione con me
io muoi psicologicamente. Si tratta di vedere la relazione che Dio ha con
me come costitutiva della mia stessa esistenza. Uno (Dio) di sicuro non
smette mai di essere in relazione con me per cui posso esistere grazie e in
questa relazione. Se Dio mi dimenticasse, cesserei di vivere. La persona, in
Dio, mai si annulla. Si offusca, come nel peccato che produce un effetto di
spersonalizzazione, si trasforma, come nella morte che introduce ad una
nuova vita in Dio.
L’uomo, un’esistenza cristologica
In mancanza di una teologia trinitaria o di una cristologia
pneumatologica, il discorso intorno all’uomo rischia di ridursi a quello
filosofico. I Padri teologi dei primi quattro secoli erano consci di questo
pericolo che minacciava la novità del cristianesimo. Se l’uomo è rivelato
come esistenza cristologica, più si conosce Cristo più si approfondisce la
conoscenza dell’uomo. I pensatori cristiani dei primi secoli cercavano le
risposte alle stesse domande che si facevano tutti i pensatori prima di loro,
ma avevano coscienza di possedere ormai un punto fermo a partire del
quale cercare le risposte: Il Signore Gesù Cristo «che Dio ha risuscitato dai
morti» (…) «in nessun altro c’è salvezza» (At 4, 10.12). «E di questi fatti
siamo testimoni noi e lo Spirito Santo» (At 5, 32). L’antropologia parte da
Cristo, dalla fede nella potenza della sua risurrezione e dalla testimonianza
dello Spirito Santo.
Il contesto della prima antropologia teologica è la cristologia in quanto
soteriologia. Oggetto dell’antropologia è l’uomo salvato e Cristo Salvatore.
Dopo Cristo la storia va letta quindi in un altro modo: come amava dire
Vladimir Lossky, «la storia vera è storia della luce, storia dello Spirito
Santo e della libertà umana, storia dello Spirito Santo che diventa l'anima
dell'anima e vita della vita delle persone che si aprono a Lui e che così
comunica la grazia a tutte le realtà della natura e della cultura preparando in
26Cf SCHÜTZ-SARAH, L'uomo come persona, in "Mysterium Salutis", II(2), Brescia 1968, p.
323, nota 26.
questo modo la Parusia»27, quando saremo uno nell'amore.
"L'uomo fortificato dall'amore si trasforma per Dio in dio"
La tradizione teologica più legata alla mistica ha saputo tramandare la
sua visione dell'uomo come soggetto di carità. Ma per il resto, l’amore,
come Dio stesso, non sono stati considerati argomenti seri
nell’antropologia.
Partendo dall'amore, l'antropologia non è più la disciplina che indaga
sull'uomo solo ma sulla crescita del rapporto uomo-Dio, sulla storia di
questo rapporto, le modalità di tale rapporto, le difficoltà ecc. Per via
dell’amore, l'antropologia cristiana si può definire come "dottrina della
divinizzazione" perché esplicita la via dell'uomo verso la sua piena misura
"divino-umana", verso la trasfigurazione nell'amore.
L'amore può essere ridotto alla fenomenologia del rapporto io-tu
umano e non evocare ancora niente di divino. La diffidenza tradizionale per
parlare dell'amore come chiave di spiegazione teologica dell'essere persona
dice quanto l'amore stesso fosse ridotto alla sua fenomenologia
intersoggettiva. Per quanto fondamentale sia il rapporto io-tu, la persona
non si esaurisce nemmeno in questo rapporto, proprio perché la categoria
dell'amore non è identica a dialogicità, intersoggettività e solidarietà sic et
sempliciter 28. Si ama, si conosce l'altro come "in una rivelazione"29 .
La realtà dell'amore, come l'essere persona, ha il suo significato pieno
solo in Dio che vive e realizza tutto il contenuto dell'amore e dell'essere
persona. «Nessun uomo può dire di essere persona nel senso pieno della
parola»30, perché nessun uomo ama nel senso pieno, se non in quanto
partecipa alla pienezza dell'amore di Dio. Dio che ama «non si accontenta
solo di chiamare a sé lo schiavo che ha amato, ma scende egli stesso alla
ricerca, lui, il ricco, si accosta alla nostra indigenza, si presenta da solo,
dichiara il suo amore e prega che gli sia ricambiato; a un rifiuto non si
ritira, non si formalizza per l'offesa; respinto attende alla porta e fa di tutto
27 Cf.
O. CLÉMENT, Vladimir Lossky, Un théologien de la personne et du Saint-Esprit, in
“Messager de l'Exarchat du Patriarche russe en Europe”, n. 30-31 (1959), p. 174.
28Cf
H. Urs Von BALTHASAR, Solo l'amore è credibile, Città di Castello 1982, pp.82-84.
29LOSSKY-ARSENIEV,
La paternité spirituelle en Russie aux XVII et XVIII siècles, Coll. S. O.
21, Abbaye de Bellefontaine, 1977, p. 109.
30
N. BERDIAEV, De l’esclavage à la liberté, Paris 1946, p. 22.
per mostrarsi vero amante; sopporta i danni e muore».31 Questa è
l'immagine dell'amore che contempliamo e secondo la quale ci
"divinizziamo". La relazione o amore, ha il primato nella gerarchia
dell'essere. Cogito ergo sum è l'ultimo prodotto della ragione che si pensa
come pensante. Troveremo più evangelico amo ergo sum? Forse nella sua
meraviglia l'uomo può solo esclamare con gioia e riconoscenza sono amato
quindi sono. Vivo nell'amore e perciò vivo
L'ideale cristiano è la perfezione della relazione
L'ottica della Rivelazione e della fede apre continuamente ad una
oggettività che porta al superamento del cerchio chiuso dell'io e del tu, per
giungere ad una comunione universale e cosmica, anticipata nella
celebrazione eucaristica, primizia della vita della Chiesa ad immagine della
Santissima Trinità. L'integrazione personale non riguarda solo l'unità corpo/
anima, ma lo shalom universale. Il Regno di Dio è la complessità delle
relazioni trasformate dall'amore.
Caratteristica e definizione della persona è la "koinonia", la vita di
comunione che si genera e si alimenta come vita spirituale, cammino di
crescita "dall'immagine alla somiglianza" secondo un movimento trinitario
di comunione: «Questi i gradi per salire al Padre: dallo Spirito al Figlio, dal
Figlio al Padre».32 L'uomo ad immagine del Dio Trino è un essere della
comunione nel percorso stesso della genesi e del compimento della sua
perfezione. La parola "comunione" dice l'unità dell'uomo totale
misticamente restaurata nella chiesa, che perciò si può chiamare
"koinonia": la chiesa non è un'associazione, una società di membri uniti da
uno stesso scopo. Comunione dice di più. Dice chi è Dio, chi è l'uomo,
dice la trascendenza e l'immanenza. Forse la parola più vicina a
"divinizzazione" è proprio "comunione nell'amore" fino all'offerta del
proprio dolore o del proprio peccato. Olivier Clément raccontava in un
conferenza questa storia: una volta vennero a riferire al metropolita
Filarete di Mosca che in una delle sue parrocchie un prete scandalizzava i
suoi fedeli perché era un grande ubriacone. Il metropolita lo chiamò e lo
sospese. Da quel momento il metropolita cominciò a fare incubi
31
Nicola Cabasilas, La vita in Cristo, VI, A, I.
32
Ireneo di Lione, Adversus Haereses, V, 36, 1.
spaventosi; vedeva delle forme nere che si torcevano, che supplicavano.
Non riusciva a liberarsi da queste visioni notturne. Allora invocò nella
preghiera san Sergio di Radonez, il quale gli rivelò che i suoi incubi erano a
causa del prete che aveva sospeso e non disse altro. Filarete fece venire di
nuovo il prete e gli chiese di spiegare meglio come era la sua vita. Ecco,
rispose il prete, io sono un ubriacone, e mi disprezzo a tal punto che ho
avuto spesso voglia di suicidarmi; ma non l'ho fatto. Però durante la liturgia
prego per le anime dei suicidati. Il metropolita fu commosso, capì che le
forme nere che vedeva nei suoi incubi erano le anime dei suicidati che non
avevano più nessuno che pregava per loro. Allora disse al povero prete:
“torna a celebrare la liturgia, e continua a pregare come facevi; ma se puoi,
bevi un pò di meno...”
L’escatologia in termini di perfezione nella comunione
Quanto meno amore, meno perfezione, meno essere c'è. L'inferno in
questo senso è il vuoto invivibile dell'amore. Ora può Dio lasciare vuoto
ciò che l'amore ancora può riempire? Dove manca la risposta dell'amore
umano, l'amore divino si fa più largo, più nascosto, più sofferente.
Infatti, noi crediamo che una volta creata, ogni persona è amata da Dio
tanto che non ritira più il suo amore, perché se lo facesse non sarebbe Dio.
Dio non si dimentica dell'uomo che ha creato equesto significa che lo
vivifica continuamente nella relazione. La memoria che Dio ha di noi è una
memoria relazionale33. Il suo amore si è legato all'umanità e si mantiene in
questo legame. L'uomo può negarlo, ma Dio rimane fedele "perché non può
rinnegare se stesso" (2Tm 2,8.11-13). L'amore è fedele perché è costitutivo
dell'amore rimanere lì dove una volta si è versato. Non si può concepire la
vita eterna altrimenti che una vita dove l'amore regna integralmente e
eternamente. "Sta il fatto che la realizzazione della comunione non conosce
la morte. L'amore è più forte della morte"34 .
La più profonda verità dell'escatologia, come l’amore, rimane
nascosto.
L'amore non si vede nella persona, di cui pure costituisce l'elemento
costituitivo. Ed è proprio questo il significato della partecipazione totale
33M.
34
RUPNIK, L'arte memoria della comunione, Roma 1994, p. 139-140.
N. BERDIAEV, L'Io e il mondo. Cinque meditazioni sull'esistenza, Milano 1942, p. 237
all'amore in un modo che sfugge ai nostri sensi esterni. Alle tre del
pomeriggio, sul Golgota, Cristo era in una totale unione col Padre, in una
totale partecipazione al suo volere e al suo amore per l'umanità e per Lui
stesso eppure nessuno di quelli che passavano sotto la croce se ne è reso
conto.
Il peccato è la falsificazione della relazione
Il peccato è morte della persona in quanto esercizio della libertà
contro la relazione. Infatti se «nella grande adesione dell'amore, la natura
dell'uomo trova ciò che desidera e raggiunge la spontaneità, la libertà»35,
vice versa, nel rifiuto dell'amore, la persona vive la falsificazione di sé,
della sua libertà e unità. «La nostra volontà tende a dominare, non ad
unificare tutto; il nostro intelletto, invece di conoscere Colui che esiste e
tutto unisce in sé, si dà tutto alle controversie arbitrarie su una moltitudine
infinita di soggetti; la nostra anima sensibile, infine invece di rinnovare,
spiritualizzandola, la materia, non tende che a goderne irragionevolemente,
sfrenatamente» 36. Le strutture di peccato37 dicono quanta concretezza ci sia
nella relazione che in negativo crea un mondo, una cultura contro lo
sviluppo della persona e della società. «Solo una vita e una cultura che
nulla escludono e nella loro integralità albergano un grado superiore di
unità, assieme al massimo sviluppo della libera pluralità, possono dare una
vera e solida soddisfazione a tutte le esigenze del sentimento, del pensiero
e della volontà degli uomini ed essere così cultura veramente umana
universale o ecumenica, dove è chiaro che assieme e proprio in seguito alla
sua integralità questa cultura sarà più che umana e introdurrà gli uomini in
comunione attuale con il mondo divino». 38
Partendo dall'amore, l'antropologia non è più la disciplina che indaga
sull'uomo peccatore ma sul rapporto uomo-Dio, sulla storia di questo
rapporto, le modalità di tale rapporto, le difficoltà ecc. E' una disciplina
35
O. CLÉMENT, Riflessioni sull'uomo, tr. it., Milano 1991, p. 35.
36
V. SOLOVIEV, Fondamenti spirituali della vita, tr. it., Torino 1949, p. 70.
37Cf
S. BASTIANEL, Strutture di peccato, Una sfida teologica e pastorale, Casale Monferrato 1989, pp.
15-38.
38
V. Soloviev, I principi filosofici del sapere integrale, in Sulla Divinoumanità e altri scritti, Milano
1971, p.51-52.
della teologia che ha temi propri all'ambito della relazione: libertà, gratuità,
rifiuto, abuso, riconciliazione, alleanza, trasfigurazione nell'amore ecc. Il
male stesso prende corpo in questa radicale fatica a mantenere la relazione
orientata al bene, all'altro come tale, all'altro come mondo di altre relazioni.
Il male assume i tratti della falsa relazione o della provisoria indifferenza
mortale perché priva di scambio e di crescita, o della dissoluzione
nell'eteronomia del conflitto che non trova soluzioni fuori dell'amore che lo
placherebbe veramente. Uniformità pacifica dei simili o dissoluzione nella
pluralità conflittuale... Come trovare la via della crescita reale dell'uomo
verso la sua piena misura "divino-umana"?
La preghiera, esperienza del primo comandamento e preparazione per
il compimento di tutti gli altri…
Il primo passo dell'amore è lasciarsi amare dall'Amore e riconoscere
di essere stati beneficati da Dio che da estranei che eravamo a causa del
peccato ci ha resi suoi amici, come il buon Samaritano (cf. Lc 10, 25-37)
nei confronti dell'uomo assalito dai ladri. Il prossimo che devo amare per
primo non è colui che ha bisogno di me, ma colui di cui ho bisogno come
del pane, come dell'acqua, come del respiro per rimanere in vita. Ecco
perché l'amore non si conosce se non accogleindo per primo l’amore,
lasciandosi amare dall’Amore. Bisogna avere in sé l'amore di Dio per poter
amare. In questo consiste l'amore, “non siamo stati noi ad amare Dio, ma è
lui che ha amato noi” per primo (1Gv 4,10).
La cosa più grande che l’uomo possa fare è accogliere e riconoscere di
essere stato amato da Dio, di essere generato da Dio «perché Dio è
amore» (1Gv 4, 8). Lo affermano tutti i mistici: «La cosa più grande che ha
luogo tra Dio e l'anima è amare e essere amato»39 . Nella preghiera noi
viviamo una relazione che è la parobola di tutte le nostre relazioni: il nostro
relazionarsi con Dio dice chi siamo e come siamo davanti a noi stessi e
davanti agli altri.
L'affermazione evangelica "il Regno di Dio è in mezzo a voi" (Lc
17,21) è una dichiarazione sconvolgente da parte di Gesù che l’evangelista
Giovanni ha esplicitato confessando che "a quanti l'hanno accolto (lui, il
39
Callistos Cataphygiotes, De vita contemplativa: PG 147, 860
Signore) ha dato potere di diventare figli di Dio" (Gv 1,12) quindi di
possedere, già ora, nella fede l’eredità del Regno.
Si diventa persona nella relazione
"Ogni uomo è destinato a diventare una persona e gliene deve essere
procurata la possibità"40 . Cioè bisogna che la persona nella vita possa avere
l'opportunità di sperimentare una relazione che fa crescere nell'essere
persona41 . "La persona è ben strettamente legata all'amore. E' per amore
che si realizza, per amore supera la solitudine, per amore raggiunge la
comunione. A sua volta l'amore implica la persona, è una relazione tra
persona e persona, una relazione nella quale la persona esce da se stesso
per entrare in un'altra persona, è l'atto in conseguenza del quale la persona è
riconosciuta ed affermata nell'eternità"42 . L'accompagnamento spirituale è
fondato su quella esperienza che fa entrare un'altra persona (la guida
spirituale) nella propria storia in un atteggiamento che è già di relazione, di
fiducia, di amore ricostruttivo e integrativo.
Le filosofie passano, la Buona Novella rimane. Il privileggio della
teologia è di essere sempre attuale mentre la filosofia rischia di mantenere
l'uomo in qualcosa di vecchio. Come capire altrimenti, il fatto che la
cultura occidentale che tanto ha vantato la sua filosofia sia oggi incapace di
dare alla luce un pensiero che indichi una via di uscita dalla paura della
morte, paura di mancare di cibo, paura davanti alla vita e alla novità...
Come spiegare il vuoto assoluto di proposte dopo che le ultime ideologie
umanitarie hanno ufficilamente deposto le armi. L'Europa cristiana abituata
a pensare filosoficamente non ha niente da proporre al di fuori dell’utopia
comunista e del sogno capitalista che si somigliano stranamente: non
considerano né Dio né l'uomo comme persona, sono due modi di pensare
fondamentalmente razionalisti, sostanzialisti (materialisti) e atei. Senza
l’amore, anche un sistema è “nulla”.
La relazione o amore, ha il primato nella gerarchia dell'essere. Cogito
40
N. BERDIAEV, L'Io e il mondo. Cinque meditazioni sull'esistenza, Milano 1942, p. 205
41Cf
P. BIZZETTI, Anamnesi di una scampata vita, in A partire della persona, A cura del Centro Aletti,
Roma 1994, pp. 39-70.
42
N. BERDIAEV, L'Io e il mondo. Cinque meditazioni sull'esistenza, Milano 1942, p. 232.
ergo sum è l'ultimo prodotto della ragione che si pensa come pensante.
Troveremo più evangelico amo ergo sum? Ma è una contraddizione con ciò
che abbiamo appena detto che l'amore di Dio è tanto più presente in coloro
che non amano. Forse nella sua meraviglia l'uomo può solo esclamare con
gioia e riconoscenza sono amato quindi sono. Vivo nell'amore. Infatti, in
Lui "abbiamo la vita, il movimento e l'essere" (Atti 17,28).
L'essere umano è "unità dialogale spirituale"
Il tema dell'immagine di Dio viene ormai sempre più considerato in
teologia. Nel Catechesimo della Chiesa Cattolica, il paragrafo 6 del primo
capitolo (nn. 355-384) dedicato all'uomo comincia con le parole della
Sacra Scrittura: «Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo
creò» (Gen 1, 27). L'interpretazione di questa frase, che mette a
fondamento dell'antropologia la Sacra Scrittura così come la intendevano i
Padri, segna la novità di un discorso sull'uomo tutto orientato intorno alla
concetto di unità, esplicitato in vari modi: come unicità (che unifica l’uomo
al resto delle creature); come immagine (che unisce creatura e Creatore),
come persona ( che unisce lo spirituale e il materiale) 43, come uomo e
donna (che unisce nell'amore ogni diversità), come amicizia (che diventa
l’unità perfetta della relazione con Dio). Nel testo leggiamo: «L'uomo nella
creazione occupa un posto unico (...) nella sua natura unisce il mondo
spirituale e il mondo materiale; è creato maschio e femmina; Dio l'ha
stabilito nella sua amicizia" (n. 355).
L’uomo ha un posto che unifica il creato nell’atto di nominare, di
dominare, far crescere, sviluppare, vivificare, «amare e conoscere il proprio
Creatore» (n. 356), «servire, amare e offrirgli tutta la creazione» (n.358). In
questa affermazione dell’unicità dell’uomo, come non avvertire il richiamo
all’unicità di Dio? Solo Sio è Dio. Solo l’uomo è uomo. L’uomo persona è
questa dignità44 che lega di un legame unico l’uomo come creatura al suo
Creatore e quindi alla creazione. Da questa unità di familiarità uomo-Dio
scaturisce tutta la gamma della chiamata all’armonia: «L'armonia interiore
della persona umana, l'armonia tra l'uomo e la donna; infine l'armonia tra la
43
«Nell'essere composto, psicosomatico, che è l'uomo, la perfezione non può consistere in una reciproca
opposizione dello spirito e del corpo, ma in una profonda armonia tra loro, nella salvaguardia del primato
dello spirito». Giovanni Paolo II, Uomo e donna lo creò, Roma 1992, pag. 267.
44
«Essendo ad immagine di Dio, l’individuo umano ha la dignità di persona» (n. 357).
prima coppia e tutta la creazione» (n. 376). Possiamo quindi concludere
dicendo che a partire dall’essere umano a immagine e somiglianza di Dio,
nella dignità dell’essere persona, l’uomo è unità dialogale spirituale.
Unità: cioè una persona; dialogale perché costituita per la relazione;
spirituale perché eternamente viva per il dono dello Spirito in comunione
con Dio.
La paternità spirituale in oriente
Il santo monaco “starets e il suo miracolo:
risuscitare l’uomo interiore
Il monaco e il martirio della trasfigurazione dal di dentro
Nella santità dei fratelli Boris e Gleb brilla l’ideale della non
resistenza al male, fa risplendere il precetto evangelico dell'amore del
fratello e dell’amore del nemico. Nel monachesimo è rappresenta una via
complementare a quella degli strastoterpsi e quella degli jurodivi: il
monaco prende posizione di fronte al male, usa una certa violenza per
osservare fino in fondo i comandamenti conformemente a quanto detto già
sopra: “non sono martiri quelli che hanno accettato la morte per la fede ma
anche quelli che muoiono per osservare i suoi comandamenti”45.
Per capire queste parole bisogna superare alcune false idee sul
monachesimo46.
Il primo a parlare di martirio 47 riguardo alla vita monastica, è stato
sant’ Atanasio e l'espressione si riferisce alla vita di sant’Antonio Abbate
che nel deserto, è scritto, “stava là”, “viveva ogni giorno”, il “martirio della
coscienza” e “combatteva le battaglie della fede”48. Quale lotta? Contro
l’uomo vecchio in se stesso. Il monaco combatte la battaglia dell’egoismo
che è la morte venuta col peccato. La lotta contro le passioni ha quindi
come scopo, arrivare a testimoniare la novità antropologica della fede.
In Oriente, il monaco è un laico che testimoniava che il Regno di Dio
è vivibile quaggiù ma che per viverlo bisogna esercitarsi nella lotta contro
il male. Ora, il male è il peccato. Ma il peccato è una realtà prima di tutto
interiore. Perciò il monaco vive il martirio della coscienza in quanto lotta
45La
Filocalia, tr. it., Torino, 1987, vol. 4, p. 204.
46Cf.
Špidlík-Tenace-Čemus, Questions monastiques en Orient, OCA 259, Roma, 1999.
47E. Malone, The Monk and the Martyr, Washington, 1950, p.4-43; ID., The Monk and the Martyr,
in B.Steidle, Antonius Magnus Eremita, "Studia Anselmiana" 38, Roma, 1956, p. 201-228. Interessante
anche consultare F. von Campenhausen, Die Idee des Martyriums in der alten Kirche, Göttingen, 1936,
p. 110 sv.
48Atanasio
di Alessandria, Vita di Antonio, Milano 1995, p. 167-169.
contro il male che sta in lui. Ciò facendo la sua vita ha una dimensione
universale. Tutti i cristiani sono chiamati a passare dall’uomo vecchio
all’uomo nuovo.
Come si lotta contro il male che sta dentro di noi? Facendo crescere in
noi la vita dello Spirito. E come cresce in noi la vita dello Spirito Santo? In
due modi: c'è una prassi negativa che consiste ad evitare, togliere,
combattere, annientare, allontanare, fuggire ecc. il male. Il male va
chiamato per nome e come tale va tolto dalla propria vita. E qui i monaci
davano testimonianza di grande coraggio nell'ascesi. Ma c'è anche una
prassi positiva che è il vero scopo della pratica negativa. Pratica positiva
sono tutte le opere di carità che l'uomo una volta liberato dal peccato è
capace di compiere. Perché tale è lo scopo della vita cristiana per tutti:
l'amore trasforma l'umanità in comunità di fratelli che avendo lo stesso
Spirito, invocano lo stesso Padre.
Un’osservazione importante: La vita monastica può essere capita
come “simbolo”, o come “stato di vita”. In quanto simbolo, ciò che vale per
il monaco vale per tutti i cristiani. In quanto stato di vita, riguardo solo chi
lo vive. Perciò mentre in Occidente c’è differenza tra essere “un religioso”,
un “consacrato” e essere “laico sposato” (non religioso quindi ateo?), in
Oriente la differenza tra sposato e monaco non è significativa dal punto di
vista dell’opposizione ma dal punto di vista della radicalità. Perciò, mentre
per una mentalità occidentale, l’insistenza a dire che il monachesimo
contiene tutto il significato dell’essere cristiano sembra screditare chi vive
in un altro stato di vita, in Oriente, il monachesimo è considerato così
importante proprio perché è sentito come unito e non separato dalla vita di
tutti i cristiani. Essere monaco è “simbolo” di ciò che ogni cristiano è, o
dovrebbe essere, un “consacrato” nel battesimo, capace di vivere il
vangelo, vivere da salvato.
La santità dei monaci in Oriente come in Occidente rimanda alla vita
evangelica, manifesta la novità della vita nello Spirito alla quale sono
chiamati tutti i battezzati. Eppure, c’è un dono dello Spirito che fra tutti è
considerato come il più evidentemente proprio del monaco, più
profondamente “spirituale”: la “paternità spirituale” o “starčestvo”.
Chi è il santo starets? 49
Convinzione dell’orientale è che c’è poco da speculare sulla salvezza:
bisogna accoglierla, viverla e quindi trovare qualcuno che la trasmette e
che insegni a vivere da salvati. Ma tale insegnamento non è questione di
sapere per sentito dire: chi non ha sperimentato la sapienza vivificante
dell’unione a Dio non può trasmetterla. Chi l’ha sperimentata, la trasmette
come vita e quindi è chiamato “padre”, e siccome si tratta della vita dello
Spirito è detto padre “spirituale”.
Starest significa “anziano”.
L'anzianità dello starets - padre spirituale - non è legata all'età ma alla
profondità della sua vita spirituale, maturità spirituale di chi ha raggiunto la
statura di Cristo. Tante espressioni sono sinonimi per dire il contenuto
dell'anzianità richiesta ad uno starets, ma una è particolarmente
appropriata: essere passato dalla vita dell'uomo vecchio (sotto il giogo del
peccato) alla vita nuova (sotto il giogo della croce). Cosicché la parola
starets invece di evocare la vecchiaia, evoca in realtà la giovinezza in cui lo
Spirito pone chi si lascia rinnovare dalla sua presenza. Di solito, è vero,
l'età garantisce la perseveranza e l'esperienza acquistata nella perseveranza
risplende del dono della pazienza, fa essere più misericordiosi, più teneri,
più umili di fronte a chi inizia e sbaglia.
A caratterizzare lo starets è solo l'esperienza (provata) di Dio. Se non
ha questa scienza (conoscenza ed esperienza) di Dio, come la potrebbe
trasmettere? Questa sicura frequentazione di Dio fa sì che nelle ambiguità
delle tentazioni e nell'opacità del peccato suo ed altrui, egli sia una creatura
che ha ritrovato la sua vista: è capacità di vedere la differenza fra i pensieri
(discernimento degli spiriti) ed è capace di vedere nel cuore dell'altro
(cardiognosia).
Da cuore a cuore, cosa vede lo Starets?
“Quando si tratta della conoscenza dell'uomo, l'essenza da
contemplare è la sua interiorità, il suo «cuore»; ma anche in questo caso
non si tratta di conoscere i pensieri, le idee che nascono nella sua mente,
ma l'idea che Dio ha di lui, il progetto, nel disegno di Dio, che egli deve
49Per una introduzione generale cf. I. Smolitsch, Santità e preghiera. Vita e insegnamenti
deglistarets della Sant russia, Torino (Gribaudi), 1984.
realizzare ... contemplazione della provvidenza, che vede i progetti di Dio
sulle persone e sui popoli. In questo senso il padre spirituale conosce il
cuore dei suoi figli e può indicare loro la giusta strada da seguire”50. Non è
uno specialista della "psiche" bensì, caso mai, un esperto della
divinizzazione51 . Ciò che il padre spirituale vede e conosce nell'altro è
quell'intenzione divina che costituisce e spiega gli esseri52 , la loro
divinizzazione, conoscenza riservata ai santi.
Spesso, allo starets che ha acquistato una tale lucidità, una tale
comprensione delle persone, basta uno sguardo per indovinare cosa volesse
chiunque veniva da lui. La visione attraversa il tempo e diventa profezia53.
La testimonianza della paternità spirituale così come la trasmette il
monachesimo russo è di grande valore anche “perché costituisce un
argomento valido contro l'errore che si verifica nella direzione spirituale
dei nostri temi, che possiamo denominare psicologismo, cioè la pretesa di
capire un altro, di comprendere l'anima, e di interpretare la vocazione e le
particolari chiamate di Dio in base a queste conoscenze. La teologia, per
essere vera teologia, non deve mai perdere il senso del mistero divino.
Similmente la direzione spirituale, per essere davvero spirituale, non deve
perdere il senso del mistero dell'uomo e delle vie ineffabili della vocazione
divina, particolare per ognuno. E la rivelazione divina che rivela il mistero
dell'uomo”54 .
Così come il sofferente incarna la comprensione slava del martirio,
così lo starets incarna la comprensione più alta che l’Oriente ha del servizio
che il monaco può rendere all’umanità e alla Chiesa. Servizio di carattere
unico: riconosce e fare crescere il seme divino, il germe divino nell’uomo
fino a farlo maturare alla misura di Cristo.
50T.
Špidlik, La "kardiognosia" nell'insegnamento di Serafim, in Aa. V.v., San Serafin da Sarov a
Diveevo, Atti del IV convegno ecumenico internazionale di spiritualità russa, Da Sarov a Diveevo. San
Serafim e il rifiorire del monachesimo in Russia nel XIX secolo, Bose 18-21 settembre 1996, pubblicato,
ed. Qiqajon, Bose, 1998, p. 194.
51Teodoro
52Cf.
53I.
54T.
Studita, Catechesi, ed. San Pietroburgo, 1904, p. 176.
Massimo il Confessore, Ambigua, PG 91, 1085A.
Hausherr, La direction spirituelle, OCA 144, Roma, 1956, p. 101.
Špidlik, La "kardiognosia"… in op. cit., p. 195-196.
Lo Starets non è generalmente un organizzatore di attività sociali,
culturali, politiche. Non fonda istituti, né si occupa di riforma della Chiesa.
Eppure spesso è uno che le autorità politiche e ecclesiastiche non vedono di
buon occhio. Sfugge a tutti il mistero della sua autorità. Perché è umile,
non è un leader. Ama la solitudine, non va in cerca della gente, ma tanti
vengono a lui. Si potrebbe dire che va in cerca della pecorella smarrita, in
quanto la pecorella smarrita è, in ogni uomo, l’immagine di Dio smarrita e
che lo starets aiuta a ritrovare.
Questo tesoro nascosto è così prezioso che pur di riaverlo i discepoli si
sottomettono allo starets, i visitatori vengono da lontano per avere da lui
una parola di aiuto, di conforto e di perdono.
La sua azione quindi consiste in un miracolo: risuscitare l’uomo
interiore, operando miracoli per il semplice fatto che in lui vive la vita,
vive lo Spirito Santo. Sia la vita che la santità sono parole che dicono lo
Spirito Santo. Il cristiano è vivo della vita divina, vivo per il dono della vita
che è lo Spirito Santo in lui perché è “dal santo e vivificante Spirito che
l'anima è santificata”55 e vivificata.
LA DIVINIZZAZIONE E LA SANTITA’ IN ORIENTE:
CONCLUSIONE E APERTURA
“Lo Spirito (è) l’elemento essenziale della santità, è zoopoion,
vivificante, dà la vita”56 . Così, più che parlare di uomo santo, l’Oriente ama
parlare di “uomo di Dio”, “uomo spirituale”. “Essere spirituale significa
vivere”. Ma solo Dio è vivente. Per essere vivo bisogna allora diventare
spirituale, divino. Vivo e divino l’uomo può esserlo se “possiede” lo Spirito
Santo.
Possibile a causa della presenza in noi dello Spirito Santo, la santità in
Oriente è capita come l’emergere della nostra costituzione ad immagine di
Dio, quindi rivela nell’uomo la sua vocazione ad essere “come Dio”. Ma
per non essere astratto, il “come Dio” significa “come Cristo”.
Niente altro vuole dire il termine divinizzazione: è la condizione del
125.
56
55Cirillo
di Gerusalemme, Catéchèses mystagogiques, Sources Chrétiennes, n. 126, Paris 1966, p.
T. Špidlík, La santità nella Chiesa orientale, in Aa. Vv., Santità cristiana. Dono di Dio e impegno dell’uomo, a cura
di E. Ancilli, Pontificio Istituto di Spiritualità del Teresianum, Roma, 1980, p. 191-192
cristiano che vive la fede nell’incarnazione: Il Verbo di Dio si è fatto uomo,
affinché l’uomo diventasse divino. Riferendosi a Clemente Alessandrino,
Ireneo di Lione, Atanasio, Massimo il Confessore, Gregorio Palamas, i
teologi orientali hanno avuto a cuore di legare la comprensione dell’uomo
alla manifestazione in lui del divino.
Quale posto ha alloro il peccato? Solo all’interno della teologia della
creazione dell’uomo ad immagine e somiglianza di Dio è possibile capire
la gravità del peccato. Le affermazioni principali sono che all’uomo creato
a sua immagine, Dio ha dato il suo Spirito, dono e chiamata all’immortalità
e all’incorruttibilità secondo la forte argomentazione di Ireneo di Lione.
Dopo il peccato originale, l’uomo non perde mai totalmente l’impronta
delle “due mani del Creatore”, ossia rimane chiamato a realizzarsi ad
immagine del Figlio, come figlio per il dono dello Spirito Santo che rende
vera la figliolanza adottiva. L’uomo non perde mai del tutto la capacità di
ascoltare la voce del suo cuore, di mettersi in cammino per tornare a dire
Abba!
Lo Spirito Santo, nell’uomo, è “caparra” e “garante” da parte di Dio e
da parte dell’uomo. Dandoci il suo Spirito, Dio garantisce la sua fedeltà
nell’economia di salvezza: anche dopo il peccato, continua ad operare il
piano della redenzione chiamando l’uomo a partecipare alla sua stessa vita,
alla sua santità.
Dalla parte dell’uomo, è per lo Spirito Santo che si realizzerà la
risposta a Dio in un dinamismo che alcuni Padri hanno espresso come
progresso dall’immagine (il dono di Dio) alla somiglianza (la risposta
dell’uomo).
Questo dinamismo è il dinamismo della vita spirituale che non parte
mai dal nulla, ma dall’essere immagine di Dio. La vera natura dell’uomo è
per creazione “divina”. In quanto vive dello Spirito, l’uomo vive secondo
la natura. Quando pecca, vive contro natura, cioè tratta se stesso e gli altri
non come “immagini di Dio” ma come immagine del creato, delle bestie,
del cosmo, che impropriamente poi chiama natura. Secondo la spiritualità
dell’Oriente cristiano, vivere secondo la natura è vivere secondo lo Spirito,
la stessa vita morale non è altro che coerenza con lo stato di uomo creato ad
immagine e somiglianza di Dio.
Altra idea cara all’Oriente cristiano: la sede dello Spirito Santo e della
vita nuova è il cuore. Luogo di Dio, da questa sorgente si espande tutta la
qualità della vita verso il cosmo intero. La mentalità occidentale ci porta a
credere che per cambiare il mondo bisogna collaborare con la divina
Provvidenza. E questo è vero. La mentalità orientale aggiungerebbe:
l’opera più conforme alla volontà di Dio è custodire la vita (eterna) sempre
minacciata dal peccato. Chi si converte, chi passa da peccatore a figlio
nella casa del Padre, questo ha compiuto l’opera più tipicamente spirituale,
divina e umana. Quest’opera attiva la trasformazione del mondo. Tutta la
creazione aspetta la manifestazione dei figli di Dio.
La via dell’ascesi e della preghiera del monaco, le vie dell’amore
fraterno, della non-resistenza e dell’amore del nemico, la via del sacrificio
“per amore del fratello”, la via del santo sofferente come del pazzo per
Cristo umiliato, tutte queste “vie” portano alla trasfigurazione dell’uomo
vecchio in uomo nuovo affinché “nel corpo mortale il santo possa
testimoniare la gioia del paradiso!” (Acatisto in onore di San Serafino di
Sarov).
In breve:
L’importanza, per l’Oriente, della contemplazione, della preghiera,
dell’invocazione del nome di Gesù va capito in questo contesto. Non come
un disinteresse dalle cose della terra, ma come un interesse, a monte, per il
loro destino.
La spiritualità dell’Oriente cristiano ci propone una attenzione alla
qualità della vita interiore affinché le opere esteriori, il fare, sia qualificato
dall’essere ad immagine e somiglianza di Dio. “Il nostro è tempo di
continuo movimento che giunge spesso fino all’agitazione, col facile
rischio, del fare per fare. Dobbiamo resistere a questa tentazione cercando
di essere prima che di fare”57 . Se è vero che l’Oriente ha più custodito
l’essere mentre l’Occidente ha sviluppato di più il fare, non è forse, questo
consiglio del Santo Padre, un invito a promuovere l’unità, in noi,
dell’Oriente e dell’Occidente?
57
Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Novo millennio ineunte, 6 gennaio 2001, n. 15.
Bibliografia di sintesi
Considerando la bibliografia indicata nelle note, i testi disponibili
nelle librerie e che offrono una visione più completa dell’argomento sono:
Sull’Oriente cristiano
O. Clément, La Chiesa ortodossia, tr. it., Milano, 1989.
M. Tenace, Il cristianesimo bizantino, ed. Carocci, Roma 2000.
Sul Cristianesimo in Russia
T. Špidlík, L’idea russa. Un’altra visione dell’uomo, ed. Lipa, Roma,
1995. (Con un’ampia bibliografia sul cristianesimo ortodosso russo, p.
387-434)
Sul tema della divinizzazione
M. Tenace, Dire l’uomo, vol, II, Dall’immagine alla somiglianza. La
salvezza come divinizzazione, 1° ed. Lipa, 1997 2° ed. 2005.
M. Tenace, Cristiani si diventa, ed. Lipa 2013.