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Feuerbach
Vita e opere
La maggior figura della Sinistra hegeliana è quella di Ludwig Feuerbach, fondatore dell'ateismo filosofico
ottocentesco.
Feuerbach nacque il 28 luglio 1804 a Landshut, in Baviera, e morì a Rechenberg il 13 settembre 1872. Scolaro
di Hegel a Berlino, libero docente a Erlangen, si vide troncare la carriera universitaria dall'ostilità incontrata
dalle idee sulla religione esposte in uno dei suoi primi scritti, Pensieri sulla morte e l'immortalità (1830). Si
ritirò allora nella solitudine e nello studio e visse quasi sempre a Bruckberg. Nell'inverno 1848-1849, su invito
di una parte degli studenti di Heidelberg, tenne in quella città le Lezioni sull'essenza della religione. L'evento
era stato reso possibile dagli avvenimenti del 1848, ma fu soltanto una parentesi nella vita di Feuerbach, il quale
passò i suoi ultimi anni in miseria, a Rechenberg.
Dapprima hegeliano fervente, Feuerbach si emancipò in seguito dall'hegelismo: tale distacco è segnato dallo
scritto Critica della filosofia hegeliana (1839), al quale seguirono nello stesso senso le Tesi provvisorie per la
riforma della filosofia (1843) e i Principi della filosofia dell'avvenire (1844). Ma intanto aveva pubblicato, nel
1841, la sua opera fondamentale, L'essenza del cristianesimo, alla quale nel 1845 seguì, altrettanto importante,
L'essenza della religione. Le opere successive, che non fanno che riprendere e riesporre le tesi contenute in
questi due scritti fondamentali.
Il rovesciamento dei rapporti di predicazione
La filosofia di Feuerbach, che muove dall'esigenza di cogliere l'uomo e la realtà nella loro concretezza, ha come
presupposto teorico e metodologico una critica radicale della maniera idealistico-religiosa di rapportarsi al
mondo. Maniera che, secondo Feuerbach, consiste sostanzialmente in uno stravolgimento dei rapporti reali
esistenti tra soggetto e predicato, tra concreto e astratto. Ad esempio, mentre nella realtà effettiva delle cose l'essere si configura come il soggetto originario, di cui il pensiero è il prédicato, cioè l'attributo o l'effetto,
nell'idealismo il pensiero si configura come il soggetto originario, di cui l'essere è il predicato, cioè l'attributo o
l'effetto. In altri termini, l'equivoco di fondo dell'idealismo è quello di fare del concreto (dell'essere, della
natura, dell'uomo, del finito ecc.) un predicato o un attributo dell'astratto (del pensiero, dello Spirito, di Dio,
dell'infinito ecc.), anziché dell'astratto un predicato o un attributo del concreto («il vero rapporto tra pensiero ed
essere non può essere che questo: l'essere è il soggetto, il pensiero è il predicato. Il pensiero dunque deriva
dall'essere, ma non l'essere dal pensiero»'). Detto con altre parole ancora, l'idealismo offre una visione
rovesciata delle cose, in cui ciò che viene realmente prima (il concreto, la causa) figura come ciò che viene
dopo, e ciò che viene realmente dopo (l'astratto, l'effetto) figura come ciò che viene prima: «il cammino che
sinora ha percorso la filosofia speculativa dall'astratto al concreto, dall'ideale al reale, è un cammino alla
rovescia. È una via per la quale non si giunge mai alla realtà vera». Da ciò il programma feuerbachiano di
un'inversione radicale dei rapporti tra soggetto e predicato instaurati dalla religione e dall'idealismo:
La nuova filosofia, conformemente alla verità, ha trasformato l'attributo in sostantivo, il predicato in soggetto
[...]. L'inizio della filosofia non è Dio, non è l'Assoluto, non è l'essere come predicato dell'assoluto o
dell'idea: l'inizio della filosofia è il finito, il determinato, il reale. (Tesi, pp. 55 e 67)
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La critica alla religione
DIO COME PROIEZIONE DELL'UOMO. Applicando la propria metodologia materialistica alla religione, Feuerbach
afferma che non è Dio (l'astratto) ad aver creato l'uomo (il concreto), ma l'uomo ad aver creato Dio. Infatti Dio,
secondo Feuerbach, non è altro che la proiezione illusoria, o l'oggettivazione fantastica, di alcune qualità
umane, in particolare di quelle "perfezioni" caratteristiche della nostra specie che sono la ragione, la volontà e il
cuore. In altri termini, il divino non è che l'umano in generale, proiettato in un mitico aldilà e adorato come tale.
Scrive Feuerbach:
La religione è l'insieme dei rapporti dell'uomo con se stesso, o meglio con il proprio essere, riguardato però
come un altro essere [...]. Tutte le qualificazioni dell'essere divino sono perciò qualificazioni dell'essere
umano Tu credi che l'amore sia un attributo di Dio perché tu stesso ami, credi che Dio sia un essere sapiente
e buono perché consideri bontà e intelligenza le migliori tue qualità. (L'essenza del cristianesimo)
Pertanto il mistero della teologia non è che l'antropologia. E la religione, in quanto antropologia «capovolta»,
costituisce «la prima, ma indiretta autocoscienza dell'uomo». Tant'è vero che essa
precede sempre la filosofia, nella storia dell'umanità così come nella storia dei singoli individui. L'uomo
sposta il suo essere fuori da sé, prima di trovarlo in sé La religione è l'infanzia dell'umanità; il bambino vede
il proprio essere, l'uomo, fuori da sé, ossia oggettiva il proprio essere in un altro uomo. Perciò il progresso
storico delle religioni consiste appunto nel considerare in un secondo tempo come soggettivo e umano ciò
che le prime religioni consideravano come oggettivo e adoravano come dio. Le prime religioni sono idolatrie
per le religioni posteriori; queste riconoscono che l'uomo ha adorato il proprio essere senza saperlo [...]. Ma
ogni religione particolare che definisce idolatrie le sue più antiche sorelle, esclude se stessa — ed invero
necessariamente, altrimenti non sarebbe più religione —da questo destino, da questa natura universale della
religione; soltanto alle altre religioni attribuisce ciò che rimane pur sempre [...1 il vizio della religione in
generale. (L'essenza del cristianesimo)
Appurato che Dio è l'essenza dell'uomo personificata e che l'antropologia costituisce la chiave interpretativa
della teologia — e quindi di tutti i misteri del cristianesimo, dalla Trinità alla verginità di Maria —, rimane da
vedere, in concreto, come nasca nell'uomo l'idea di Dio. A questo proposito Feuerbach si è variamente espresso.
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Talvolta (in particolare nell'Essenza del cristianesimo) egli tende a porre l'origine dell'idea di Dio nel
fatto che l'uomo, a differenza dell'animale, ha coscienza di se stesso non solo come individuo, ma anche come
specie. Ora, mentre come individuo si sente debole e limitato, come specie si sente invece infinito e
onnipotente. Da ciò la figura di Dio, la quale, come si è appena visto, non è che una personificazione
immaginaria delle qualità della specie: «la religione è la coscienza dell'infinito; essa dunque è, e non può essere
altro, che la coscienza che l'uomo ha, non della limitazione, ma dell'infinità del proprio essere» (L'essenza del
cristianesimo).
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Altre volte (in particolare nella Teogonia, ma il tema è presente anche negli altri scritti) Feuerbach tende
a scorgere l'origine dell'idea di Dio nell'opposizione umana tra volere e potere, che porta l'individuo a costruirsi
l'immagine di una divinità in cui tutti i suoi desideri siano realizzati.
A proprio presupposto la religione ha il contrasto o la contraddizione tra volere e potere, desiderare e
ottenere [...]. Nel volere, nel desiderare, nel rappresentare l'uomo è illimitato, libero, onnipotente — è Dio;
ma nel potere, nell'ottenere, nella realtà egli è condizionato, dipendente, limitato [ ...1. Il pensare, il volere
sono cosa mia; ma ciò che io voglio e penso non è cosa mia, è fuori di me, non dipende da me. La tendenza,
il fine della religione è rivolto a togliere questa contraddizione o contrasto; e l'ente in cui queste vengono
tolte, in cui ciò che è possibile secondo i miei desideri e le mie rappresentazioni, ma impossibile per le mie
forze diventa possibile, o piuttosto reale, — questo ente è l'ente divino. (L'essenza della religione, par. 30)
"Il tuo Dio è tale qual è il tuo cuore." Quali i desideri degli uomini, tali i loro dèi. (L'essenza della religione)
I Greci avevano divinità limitate, spiega Feuerbach, perché i loro desideri erano limitati. I desideri dei cristiani
sono senza limiti, perciò la loro divinità è infinita e onnipotente. In sintesi: «Dio è l'ottativo del cuore umano
divenuto tempo presente» (L'essenza del cristianesimo).
 Altre volte ancora (in particolare nell'Essenza della religione), Feuerbach vede la genesi primordiale dell'idea
di Dio nel sentimento di dipendenza che l'uomo prova di fronte alla natura. Tale sentimento ha spinto l'uomo ad
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adorare quelle cose senza le quali egli non potrebbe esistere: la luce, l'aria, l'acqua e la terra (tant'è, ricorda
Feuerbach, che alcuni popoli, ad esempio gli antichi abitanti dell'odierno Messico, avevano come divinità anche
il sale).
ALIENAZIONE E ATEISMO. Qualunque sia l'origine della religione, è comunque certo, secondo Feuerbach, che
essa costituisce una forma di "alienazione" (v. "Glossario"), dove con tale termine (presente in Hegel e ripreso
da Marx) il filosofo intende quello stato patologico per cui l'uomo, "scindendosi", proietta fuori di sé una
potenza superiore (Dio) alla quale si sottomette, anche nei modi più umilianti e crudeli (si pensi ai sacrifici di
vite umane di certi antichi rituali).
Ma se la religione è il frutto di un' "oggettivazione" alienata e alienante, in virtù della quale l'uomo tanto più
pone in Dio quanto più toglie a se stesso («la gloria di Dio si fonda esclusivamente sull'abbassamento
dell'uomo, la beatitudine divina solo sulla miseria umana, la divina sapienza solo sull'umana follia, la potenza
divina solo sulla debolezza umana»), l'ateismo si configura non solo come un atto di onestà filosofica, ma anche
come un vero e proprio dovere morale. Infatti, secondo Feuerbach, è ormai venuto il tempo che l'uomo recuperi
in sé i predicati positivi che ha proiettato fuori di sé in quello specchio illusorio e astratto della propria essenza
che è Dio.
Detto altrimenti, ciò che nella religione è soggetto deve ridiventare predicato. Quindi non più: Dio (soggetto) è
sapienza, volontà e amore (predicato), ma, al contrario, la sapienza, la volontà e l'amore umano (soggetto) sono
divini (predicato). Di conseguenza, il compito della vera filosofia non è più quello di porre il finito nell'infinito,
ossia di risolvere l'uomo in Dio, ma quello di porre l'infinito nel finito, ossia di risolvere Dio nell'uomo. Ciò fa
sì che l'ateismo di Feuerbach non abbia un carattere puramente negativo, ma si presenti anche, in positivo, come
la proposta di una nuova divinità: l'uomo.
La critica a Hegel
Se la religione è un'antropologia capovolta, l'hegelismo (del quale Feuerbach, come si è accennato, era stato
inizialmente seguace) è una teologia "mascherata" o, meglio, una teologia razionalizzata, che costituisce la
traduzione in chiave "speculativa" di tutto il filone teologico dell'Occidente. Particolarmente significative a
questo proposito sono alcune affermazioni contenute nelle Tesi:
Chi non rinunzia alla filosofia di Hegel, non rinunzia neppure alla teologia. La dottrina hegeliana, secondo
cui la natura, o la realtà, è posta dall'idea, non è altro che l'espressione in termini razionali della dottrina
teologica, secondo cui la natura è creata da Dio, o l'essere materiale è creato da un essere immateriale, cioè
astratto [...l. La filosofia di Hegel è l'ultimo rifugio, l'ultimo sostegno razionale della teologia. Come una
volta i teologi cattolici diventarono de facto aristotelici per poter combattere il protestantesimo, così ora i
teologi protestanti devono diventare de iure hegeliani per poter combattere l'ateismo [...1. La filosofia
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speculativa si è resa colpevole dello stesso errore che ha commesso la teologia: l'errore di aver ridotto a
determinazioni, a predicati dell'infinito, le determinazioni della realtà o del finito.
In ogni caso, argomenta Feuerbach, l'Idea o lo Spirito di Hegel, analogamente al Dio della Bibbia, non è altro
che un fantasma di noi stessi, ovvero il frutto di un'astrazione alienante:
L'essere della teologia è l'essere trascendente, l'essere dell'uomo posto al di fuori dell'uomo; l'essere della
logica di Hegel è il pensiero trascendente, il pensiero dell'uomo posto al di fuori dell'uomo. (Tesi)
Astrarre vuol dire porre l'essenza della natura al di fuori della natura, l'essenza dell'uomo al di fuori
dell'uomo, l'essenza del pensiero al di fuori dell'atto del pensiero. La filosofia di Hegel ha estraniato l'uomo
da se stesso, avendo fatto appoggiare tutto il sistema su questi atti di astrazione. (Tesi)
E poiché Hegel, secondo Feuerbach, rappresenta «il compimento» della filosofia moderna, ovvero «il termine
ultimo di un'evoluzione di pensiero, la cui caratteristica comune è lo smarrimento dell'uomo» (U. Perone), la
critica a Hegel equivale, di fatto, alla fondazione di una nuova filosofia incentrata sull'uomo e capace di cogliere
nel «testo» ciò che Hegel ha relegato nelle «note», ovvero la vita nella sua immediatezza.
TESTI
L'ESSENZA DELL'UOMO: RAGIONE, VOLONTÀ E CUORE
Nell'opera intitolata Filosofia dell'avvenire Feuerbach afferma: «la nuova filosofia comincia con l'assioma: "Io sono un'essenza
reale, sensibile; il corpo è costitutivo della mia essenza; anzi il corpo nella sua totalità è il mio io, la mia essenza stessa" [.. ] il
filosofo nuovo pensa in accordo e in pace con i sensi» (par. 34). Questa affermazione costituisce un'utile guida alla lettura del brano
che segue, nel quale, in polemica con l'idealismo, Feuerbach espone la propria concezione dell'essenza dell'uomo. Quest'ultima viene
definita a partire dal carattere specifico di ogni concreto individuo, che proprio nel rapporto con la realtà esterna acquista coscienza
di sé. Feuerbach, infatti, intende la coscienza non già come una dimensione intima e autosufficiente, bensì come "apertura". Essa è
sempre coscienza di qualcosa, capacità di porsi in relazione: per questo l'uomo coglie se stesso nel confronto con gli oggetti delle
proprie facoltà (pensiero, volontà e sentimento), che sono come degli "specchi" in cui si riflette la sua essenza. Si noti che in tal modo
Feuerbach, pur ponendo l'uomo al centro della riflessione filosofica, nello stesso tempo sottolinea che non si tratta di un essere
assoluto, né isolato, ma costantemente in contatto con la realtà materiale che lo circonda e con gli altri uomini, in un reciproco
«dialogo tra io e tu».
Ma che cos'è quest'essenza dell'uomo, che la coscienza gli rivela, ossia che cosa costituisce la specie, la vera e
propria umanità dell'uomo? La ragione, la volontà, il cuore.
Un uomo completo è dotato della forza del pensiero, della forza della volontà, della forza del cuore. La forza del
pensiero è la luce della conoscenza, la forza della volontà è l'energia del carattere, la forza del cuore è l'amore.
Ragione, amore, volontà sono perfezioni, sono le più alte facoltà, sono l'essere assoluto dell'uomo in quanto
uomo e lo scopo della sua esistenza. L'uomo esiste per conoscere, per amare, per volere. Ma qual è il fine della
ragione? è la ragione; dell'amore? l'amore; del volere? la libera volontà. Noi conosciamo per conoscere, amiamo
per amare, vogliamo per volere, ossia per essere liberi. Vero essere è l'essere pensante, amante, volente. Vero,
perfetto, divino è solo ciò che esiste in funzione di sé stesso. Tale è la ragione, tale è l'amore, tale è la volontà.
La divina trinità nell'uomo, al di sopra dell'uomo come individuo, è l'unità di ragione, amore e volontà. Di
queste facoltà l'uomo non è padrone, poiché nulla egli è senza di esse, poiché egli è ciò che è solo per esse; ma
quali elementi costitutivi del suo essere, che egli né possiede né crea, sono le potenze che lo animano, lo
determinano, lo governano; potenze divine, assolute, alle quali egli non può opporsi.
L'uomo nulla è senza oggetto. Gli uomini grandi, rappresentativi, nei quali più compiutamente si rivela la natura
umana, convalidano questo assioma con la loro vita, essenzialmente dominata da un'unica passione: realizzare
lo scopo che costituiva l'oggetto essenziale della loro attività.
Ma l'oggetto a cui un soggetto è legato da rapporti necessari, essenziali, quest'oggetto non è altro che l'essenza
propria, ma oggettiva, del soggetto. Un oggetto comune a più individui della medesima specie, ma diversi per
qualità, manifesta e rivela la loro natura, almeno per il modo in cui è l'oggetto di ognuno di essi. [...]
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Perciò è nell'oggetto che l'uomo acquista la coscienza di se stesso: la coscienza dell'oggetto è la coscienza di sé
dell'uomo. Dall'oggetto tu conosci l'uomo, in esso ti si rivela la sua natura: l'oggetto è il suo essere manifesto, il
suo Io vero e oggettivo. E ciò vale non solo per gli oggetti del pensiero, ma anche per quelli che cadono sotto i
sensi. Anche le cose più lontane dell'uomo, per il fatto che, e in quanto sono a lui oggetti, rivelano l'essere
umano. Anche la luna, anche il sole, anche le stelle gridano all'uomo il "Conosci te stesso!". La facoltà che egli
ha di vederli e il modo in cui li vede, sono una testimonianza della sua natura.
La bestia è sensibile solo al raggio di luce necessario alla vita, l'uomo invece gode anche del raggio inutile della
stella più remota. Soltanto l'uomo ha gioie e affetti puri, intellettuali, disinteressati, soltanto l'uomo conosce
estasi teoretiche. Lo sguardo che si perde nella contemplazione del cielo stellato, in quella luce che né giova né
nuoce, che nulla ha in comune con la terra e con i suoi bisogni, scorge la sua propria natura, la sua propria
origine. L'occhio è di natura divina. Perciò unicamente in grazia sua l'uomo si eleva sopra la terra; perciò la
speculazione ha inizio quando lo sguardo si rivolge per la prima volta al cielo. I primi filosofi erano astronomi.
Il cielo rammenta all'uomo il suo destino, gli rammenta che non è chiamato solo ad agire, ma anche a
contemplare.
(L. Feuerbach, L'essenza dei cristianesimo)
CHIAVI DI LETTURA
 L'essenza dell'uomo viene qui definita a partire dalle sue facoltà spirituali, che non sono intese in senso astratto, ma
come caratteristiche di ogni specifico essere umano. Se, dunque, da un lato il materialismo di Feuerbach comporta il
riconoscimento del carattere concreto dell'esistenza umana, dall'altro non implica la completa risoluzione dell'uomo nella
materia: l'uomo, per Feuerbach, non è il semplice risultato di un'aggregazione di elementi materiali, né è determinato da
sole condizioni materiali, ma anzi si definisce nella sua natura più intima come organica unità di ragione, volontà e
sentimento.
 La ragione, la volontà e il sentimento («cuore», o «amore») vengono descritti come «le più alte facoltà» dell'uomo: in
quanto tali, essi costituiscono anche lo scopo della sua esistenza. Ciò non significa che tali facoltà siano qualcosa di
"esterno", verso cui l'individuo tende, ma piuttosto che nel loro esercizio l'uomo estrinseca la propria natura più autentica
di essere libero.
 Ragione, amore e volontà sono ciò che costituisce ogni essere umano, sono le «potenze» che lo animano e lo spingono
a un "movimento" continuo, infondendogli un'inesauribile sete di conoscenza e inducendolo ad aprirsi ai propri simili e al
confronto con la realtà sensibile. Ragione, amore e volontà sono, per Feuerbach, all'origine dello slancio infinito di ogni
uomo verso la perfezione del proprio essere. Fin da questi primi capoversi del brano, si può notare un tratto caratteristico
della modalità espositiva di Feuerbach, e cioè la tendenza a presentare già in apertura di discorso le sue tesi, per procedere
poi a sostenere con numerosi esempi quanto affermato, ma senza introdurre argomentazioni nuove. Tale modo di
procedere si pone in voluto contrasto con la prosa hegeliana, il cui andamento dimostrativo, assai complesso e articolato,
si snoda in proposizioni successive e concatenate in modo rigoroso. Feuerbach intende invece richiamare l'attenzione del
lettore su alcuni punti specifici, che in seguito verranno più volte ripresi e illustrati.
Senza il riferimento a un oggetto, l'uomo non ha alcuna consistenza, perché la sua coscienza coglie se medesima solo
all'interno di una relazione dialettica con il mondo, cioè solo nell'oggetto con il quale si rapporta. I «grandi uomini», che
hanno lasciato un'impronta nella storia dell'umanità, rappresentano una conferma di questa affermazione, in quanto hanno
orientato tutta la loro vita alla realizzazione dell'oggetto della loro attività principale.
 La natura dell'oggetto che è proprio di un certo soggetto, ovvero la natura dell'oggetto che è proprio di tutti i membri di
una stessa specie, rivela l'essenza del soggetto stesso. È nel tipo di relazione che intrattiene con il proprio oggetto
specifico che l'uomo rivela la propria autentica natura, differenziandosi dagli altri esseri viventi. Egli è infatti capace di
rapportarsi con se stesso sia come individuo, sia come rappresentante della specie umana. Ora, la coscienza dell'uomo ha
carattere infinito perché, cogliendo la propria appartenenza a un universale – il genere umano, appunto - riconosce la
propria sostanziale identità con quello e, quindi, la propria infinità. Vi è in queste affermazioni di Feuerbach un tratto
profondamente romantico, che lo distingue dal materialismo settecentesco, il quale ignorava quella tensione all'infinito
che invece, secondo il filosofo, contraddistingue la modalità tipicamente umana di rapportarsi all'oggetto.
 Feuerbach chiarisce che la peculiarità del rapportarsi umano con il proprio oggetto consiste in uno sguardo puro,
disinteressato, teoretico: questo è il tratto specifico dell'animale "uomo", ciò che lo distingue dalla «bestia» e lo rende in
qualche modo divino. In questa parte finale del brano è possibile cogliere il carattere poetico e insieme ispirato che è
proprio della prosa di Feuerbach, alimentata da un profondo amore per l'uomo e da un'ansia genuina per la sua
liberazione. Questo spiega anche il grande successo che arrise all'opera non solo al suo apparire, nel 1841, ma anche negli
anni successivi: ancora nel 1886, ricordando alle giovani generazioni le lotte intellettuali di quarant'anni prima, Engels
scriveva: «Bisogna aver provato direttamente l'azione liberatrice di questo libro, per farsi un'idea di essa. L'entusiasmo fu
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generale; in un momento diventammo tutti feuerbachiani» (tratto da L. Feuerbach, trad. di P. Togliatti, Editori Riuniti).
L'ALIENAZIONE RELIGIOSA
Nel brano proposto di seguito Feuerbach espone la tesi secondo cui il Dio cristiano non è altro che la proiezione fuori di sé, da parte
dell'uomo, della propria essenza: pertanto, se da una parte la religione esprime il rapporto dell'uomo con il proprio essere — e in ciò
risiedono la sua verità e la sua forza morale —, dall'altra parte essa porta al di là dell'uomo stesso, in quanto ne attribuisce le
caratteristiche a un essere non solo distinto, ma addirittura antitetico — e in questo risiedono la sua falsità e la sua limitatezza. La
supposta lontananza e differenza di natura tra uomo e Dio è dunque il risultato dell'incomprensione della loro sostanziale identità e
porta con sé, come diretta conseguenza, un processo di "sottrazione" per cui una serie di caratteristiche viene "tolta" all'uomo e
attribuita a Dio. Proprio a causa di ciò (ossia del fatto che quel che è umano diventa divino) la religione, pur costituendo la prima
forma di autocoscienza dell'umanità, rappresenta per l'uomo un motivo di «alienazione» (dal latino alius, "altro"), e proprio a causa
di ciò «il segreto della teologia è l'antropologia» (Tesi provvisorie per la riforma della filosofia). Tale rapporto di esclusione e al
tempo stesso di complementarità esistente tra l'uomo e Dio porta Feuerbach a scegliere la via dell'ateismo, che egli ritiene un vero e
proprio valore morale, in quanto ha il compito di salvare l'uomo dalla presenza di un Dio opprimente, che lo schiaccia negando la
sua vera natura.
Come l'uomo è oggetto a sé, così lo è, a lui, Iddio; il suo Dio è come egli pensa, come egli è orientato. Per
l'uomo il suo Dio ha lo stesso valore che ha lui stesso e niente di più. La coscienza di Dio è l'autocoscienza
dell'uomo, la conoscenza di Dio è la conoscenza che l'uomo ha di se stesso. Tu puoi conoscere l'uomo dal suo
Dio, e, reciprocamente, Iddio dall'uomo; i due termini sono identici. Ciò che all'uomo è Dio, tale è il suo spirito,
la sua anima, e ciò che è lo spirito, l'anima, il cuore dell'uomo, tale è il suo Dio: Dio è l'interiorità resa manifesta, l'espressione della individualità umana riflessa; la religione è la solenne scoperta dei tesori nascosti
dell'uomo, l'ammissione aperta dei propri pensieri più intimi, la confessione solenne dei propri segreti amorosi.
Il fatto che la religione, la coscienza di Dio, venga definita l'autocoscienza dell'uomo non vuol dire affatto che
l'uomo religioso sia consapevole, direttamente, che la sua coscienza di Dio è l'autocoscienza della propria
essenza: perché è proprio l'assenza di questa coscienza che costituisce la differentia specifica della religione.
E per eliminare questa possibilità di equivoco è meglio dire: la religione è la prima — e indiretta — conoscenza
che l'uomo abbia di se stesso. La religione precede quindi dovunque la filosofia, sia nella storia dell'umanità che
nella storia del singolo individuo. L'uomo, prima ancora di trovare la sua essenza in sé, la traspone fuori di sé.
In un primo tempo la sua propria essenza gli è oggetto come se fosse l'essenza di un altro.
Nelle religioni il progresso storico consiste quindi in questo, che ciò che per la religione precedente era
considerato qualche cosa di oggettivo è adesso qualche cosa di soggettivo; in altri termini, ciò che era
contemplato e pregato come Dio viene ora conosciuto come qualche cosa di umano. Per i posteri la religione
precedente è idolatria: l'uomo ha pregato la propria essenza. L'uomo si è oggettivato, ma non si è reso conto che
l'oggetto era la sua essenza; la religione successiva fa questo passo. Ogni progresso nella religione è quindi una
più approfondita conoscenza di sé. Ma ogni religione determinata, che qualifica come idolatriche le sue sorelle
più anziane, eccettua se stessa da quella che è la sorte, la generale natura della religione — e questo
atteggiamento è necessario, se no essa non sarebbe più religione —; essa riversa sulle altre religioni ciò che è la
colpa — ammesso che si possa parlare di colpa — della religione in generale. Dato che ha un altro oggetto e un
altro contenuto, dato che si è innalzata su un piano superiore al contenuto della religione precedente, essa si
illude di essersi sottratta alle leggi necessarie ed eterne che costituiscono l'essenza della religione: si illude che il
suo oggetto, che il suo contenuto sia sovrumano. Ma, in cambio, a penetrare in quella essenza della religione
che a lei stessa è nascosta è il pensatore; per lui la religione è oggetto, il che essa non può essere a se stessa. E il
nostro compito sarà appunto di dimostrare che l'opposizione di divino e di umano è del tutto illusoria, e che, per
conseguenza, anche l'oggetto e il contenuto della religione cristiana è interamente umano.
(L. Feuerbach,
L'essenza del cristianesimo)
CHIAVI DI LETTURA
 Intendendo mostrare che l'oggetto della teologia si risolve nell'oggetto dell'antropologia e che Dio è in un certo senso
lo "specchio" dell'uomo, Feuerbach afferma che il rapporto che intercorre tra Dio e uomo è di sostanziale identità, poiché
l'uomo esprime nella figura di Dio la propria interiorità, la propria natura più profonda, la propria essenza. Per questo «la
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conoscenza di Dio è la conoscenza dell'uomo». Con il suo caratteristico stile compositivo, che comporta che una
medesima affermazione venga più volte ripetuta, per essere indagata da più punti di vista, Feuerbach sostiene che è
possibile conoscere l'uomo a partire dal suo Dio; nell'Essenza della religione, composto nel 1846, egli afferma «Quali
sono i desideri degli uomini, tali sono i loro dei». Ciò significa che Feuerbach vede nella religione due aspetti essenziali:
uno teologico e uno antropologico. Da una parte, infatti, la religione pone davanti all'uomo un altro essere, da lui distinto,
mentre dall'altra parte mette in rapporto l'uomo con il proprio essere più intimo: in quest'ultimo senso la religione è vera,
mentre nel primo senso essa è falsa, in quanto si fonda su di una frattura inesistente dell'identità umana: «l'essenza segreta
della religione — dice Feuerbach — è l'unità dell'essere divino e dell'essere umano; ma la forma della religione, ossia la
sua natura apparente, manifesta, è la loro distinzione» (Essenza del cristianesimo).
 L'uomo religioso non è consapevole della propria essenza e questo costituisce il tratto essenziale della credenza
religiosa: l'uomo di fede, infatti, conosce la propria natura solo in modo indiretto, ponendola inconsapevolmente fuori di
sé e attribuendole il nome di Dio.
 Il fatto che l'uomo "sposti", per così dire, il proprio essere fuori di sé, prima di ritrovano in sé, è ciò che rende importante il momento religioso, che prelude all'affiorare dell'autocoscienza. Tale momento, però, richiede di essere superato
nella filosofia, cioè in una riflessione critica che sveli, al di là dell'apparente opposizione, l'unità tra uomo e Dio, tra
soggetto e oggetto, tra essenza e immagine di essa. Sia nel percorso di "crescita" dell'umanità, sia in quello del singolo
individuo, la religione precede dunque cronologicamente la filosofia: essa è infatti un'esperienza vitale, che nasce
nell'uomo in modo immediato e spontaneo. Tra la religione e la filosofia si deve distinguere la teologia, che rappresenta la
fase della riflessione sistematica, ma ancora inconsapevole. La filosofia rappresenta, invece, il momento in cui si
consegue quella consapevolezza grazie alla quale si critica la falsità della teologia e si mostra come l'oggetto della
religione sia il "cuore" stesso dell'uomo.
 Feuerbach osserva come nella storia delle religioni vi sia un continuo progresso, in quanto ogni religione riconosce il
carattere "soggettivo" di quelle precedenti. Questa considerazione riflette la prospettiva del tempo, inaugurata da Hegel,
secondo la quale il cristianesimo costituiva il culmine della storia delle religioni: in questo senso, la critica della religione
cristiana comporta la critica di tutte le forme religiose.
 Se è vero che ogni religione ammette il proprio "vizio d'origine" (ammette, cioè, di costituire il superamento delle
religioni precedenti, che, lungi dal fondarsi su una dimensione soprannaturale, si riconoscono come basate su una
conoscenza di tipo soggettivo), è altrettanto vero che essa non applica a se stessa la medesima lettura, a meno di non
snaturarsi, di non essere più "religione".
 Il compito di risolvere la teologia in antropologia, cioè di individuare il carattere umano insito in ogni fatto religioso,
spetta alla filosofia (al «pensatore»). Il primato della filosofia sulla religione e sulla teologia consiste nella sua capacità di
svelare l'identità di uomo e Dio, e dunque, necessariamente, di eliminare uno dei due termini (Dio) per consentire all'altro
(uomo) di esprimersi. Ugo Perone osserva al proposito come solo superando la tesi di Feuerbach (secondo cui l'essenza
dell'uomo e quella di Dio coincidono) sia possibile concepire una religione che non si presenti come alienazione
dell'uomo: «Tra Dio e uomo esiste incommensurabilità: solo così a Dio è restituita la sua divinità [...] e intanto l'uomo
riacquisterà la propria umanità. La sua storia e la sua esistenza, incommensurabile nella propria finitezza a Dio, vale non
perché infinita, non perché divina, ma perché umana» (Teologia ed esperienza filosofica in Feuerbach, Mursia).
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