Lancillotto e Meleagant

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Lancillotto e Meleagant
3 L’epica cavalleresca – Il ciclo «bretone»
Chrétien de Troyes
Lancillotto e Meleagant
Il feroce Meleagant, figlio del re Baudemagu, ha rapito la regina
Ginevra, di cui è innamorato Lancillotto, e la tiene richiusa in una
torre.
Lancillotto è pronto ad affrontare qualsiasi prova per rivedere la
donna amata e parte verso il paese del re Baudemagu, da cui nessun straniero può fare ritorno.
Nell’ampio stralcio riportato, tratto dal romanzo di Chrétien de
Troyes, Lancillotto supera prima il terribile Ponte della Spada e
poi combatte in duello con Meleagant, uscendone vincitore.
I valori cavallereschi, che comprendono anche il riconoscimento
dei meriti e delle virtù del nemico, hanno un posto di rilievo nella narrazione, che unisce il gusto per l’avventura e il fascino del
magico.
1. era nona passata,
verso vespro: era po-
meriggio avanzato, verso sera (l’ora nona corrisponde alle 15).
2. sì: così.
3. ponderare: soppe-
sare con attenzione, valutare.
Presero per la via diritta, e cavalcarono fino al declinare del giorno,
quando raggiunsero il Ponte della Spada; era nona passata, verso vespro1. Ai piedi di quel ponte, che è molto infido, sono smontati da
cavallo e vedono l’acqua traditrice, nera e rumoreggiante, densa e
scura, orrida e spaventosa come un fiume dell’inferno, e sì2 pericolosa e profonda che non vi è creatura in tutto il mondo che, se vi cadesse, non sarebbe perduta come nel mare gelido. Il ponte che l’attraversava è diverso da ogni altro; non ve ne fu mai, né mai ve ne
sarà, uno simile. Se mi si chiede il vero, dirò che non fu mai visto un
ponte tanto orrendo, né una passerella sì insidiosa: sull’acqua fredda, il ponte era fatto con una spada bianca e lucente; forte e robusta, e lunga quanto due lance, era infitta da ogni parte in un grande
tronco. Né vi è pericolo che il cavaliere possa cadere: la spada non
si spezza né si piega, anche se, all’aspetto, non sembra poter sopportare un grande peso.
A tale vista, i due compagni del cavaliere sono presi da grande
sconforto, anche perché credono di scorgere due leoni o due leopardi legati a un masso all’altro capo del ponte. L’acqua, il ponte e i
leoni li gettano in un tale timore che tremano di paura da capo a piedi e dicono:
«Signore, seguite il consiglio che vi è suggerito da quanto vedete: ne
avete grande bisogno e necessità. Questo ponte è stato lavorato, tagliato e congiunto con malvagità. Se non tornerete subito sui vostri
passi, ve ne pentirete troppo tardi. In molti casi, prima di agire si deve ponderare3 a lungo. Immaginiamo pure che siate passato dall’altra parte, e questo non potrebbe avvenire in alcun modo, non più di
quanto possiate trattenere i venti e impedire loro di spirare, o agli
uccelli di cantare, o far sì che non osino più velare le loro voci; ov-
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4. ovvero: o.
5. invero: davvero.
6. per la compassione: per la partecipazio-
ne e l’emozione.
7. Amore: è l’amore
che Lancillotto nutre
per la regina Ginevra.
8. fissa l’anello: Lancillotto indossava un
anello magico la cui pietra aveva il potere, dopo
averla fissata, di proteggerlo da ogni tipo di incantesimo.
vero4 più di quanto sia concesso a un uomo di rientrare nel ventre
della madre e nascere una seconda volta: tutto ciò sarebbe impossibile, come non si potrebbe mai vuotare il mare. Potete tuttavia supporre e credere che quei due leoni infuriati, incatenati dall’altra parte del ponte, non vi uccideranno e non vi succhieranno il sangue dalle vene, e non mangeranno la vostra carne, per poi rosicchiarvi le ossa? Già sono troppo ardito, io che li fisso negli occhi e li guardo!
Sappiate per certo che, se non agirete con prudenza, essi vi uccideranno, e in un istante vi strapperanno e vi spezzeranno ogni membro del corpo: invero5, non avranno pietà. Abbiate compassione di
voi stesso, e restate con noi. Commettereste un torto verso la vostra
stessa persona, se vi metteste consapevolmente in simile pericolo di
morte».
«Signori» risponde l’altro ridendo «vi ringrazio molto per la pena
che mostrate nei miei confronti, e che di certo è dovuta ad affetto e
a generosità. So bene che non vorreste in alcun modo la mia sventura, ma la fede e la fiducia che ripongo in Dio sono sì grandi che, credo, mi proteggeranno da ogni male. Perciò non temo né l’acqua né
il ponte, più di quanto abbia paura della terraferma. Voglio anzi rischiare l’avventura e prepararmi a passare dall’altra parte. Preferisco
morire piuttosto che tornare indietro».
Gli altri non sanno cosa dire, ma entrambi piangono e sospirano forte per la compassione6.
Il cavaliere si prepara meglio che può a superare l’abisso e compie
un gesto davvero singolare: si toglie dalle mani e dai piedi l’armatura che li ricopriva. Non giungerà certo dall’altra parte intero e
senza danni! Ma si sarà tenuto ben saldo sulla spada più tagliente
di una falce, a mani nude e scalzo, poiché sui piedi non ha lasciato
calzari, né calze e nemmeno le piastre di armatura atte a proteggerne il collo.
Non si prende cura di ferirsi le mani e i piedi: preferisce storpiarsi,
piuttosto che cadere dal ponte e bagnarsi in quell’acqua da cui non
uscirebbe mai più.
Passa dall’altra parte con grandi affanni e dolori; si piaga le mani,
le ginocchia e i piedi, ma tutto lo riconforta e lo risana Amore7, che
lo guida e lo accompagna, sì che soffrire gli è dolce. Aiutandosi con
le mani, con i piedi e con le ginocchia, riesce infine a superare il
ponte.
Allora gli torna alla mente il ricordo dei due leoni che credeva di
aver veduto quando si trovava sull’altra sponda; guarda, ma non c’è
nemmeno una lucertola, né altra cosa che gli possa recare danno.
Si pone la mano davanti al viso, fissa l’anello8 e, poiché non scorge
alcuno dei due leoni che gli sembrava di avere veduti, ha la prova
che è stato ingannato da un incantamento: là non c’è alcuna creatura vivente.
I suoi compagni, rimasti sull’altra riva, vedono che è passato e se ne
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9. un buon baratto:
Lancillotto ha preferito ferirsi mani, piedi e
ginocchia, piuttosto che
rischiare di precipitare
nell’abisso.
10. il figlio: Meleagant.
11. condursi: com-
portarsi.
12. villanìe: atti, com-
portamenti offensivi.
13. disputargli: con-
tendergli.
14. chi mai... onore
ai suoi?: chi mai avreb-
be avuto il coraggio di
passare il ponte, se avesse ospitato nel cuore la
malvagità che è motivo
di vergogna per coloro
che la seguono, più di
quanto il valore e la nobiltà d’animo rendono
onore a chi li possiede?
15. tracotante: prepo-
tente, arrogante.
rallegrano come devono, ma non sanno nulla delle piaghe che si è inflitto.
Eppure il cavaliere considera di aver fatto un buon baratto9 a non
aver sofferto danni maggiori.
Il cavaliere deterge con la camicia il sangue intorno alle piaghe e vede davanti a sé la torre più possente e ben munita che abbia mai vista: quella torre non avrebbe potuto essere più forte. A una finestra
era affacciato re Baudemagu, sempre molto sollecito e attento allorquando erano in causa la virtù e l’onore; sopra ogni cosa egli voleva
salvaguardare e mettere in pratica la lealtà.
Accanto a lui era appoggiato alla finestra il figlio10, che impiegava
sempre tutte le proprie forze a condursi11 nel mondo contrario: amava la slealtà e non si stancava mai di commettere villanìe12, tradimenti e malvagità.
Entrambi hanno visto di lassù il cavaliere superare il ponte con grande pena e sofferenza. A Meleagant l’ira e la collera fanno sbiancare:
sa bene che quello verrà a disputargli13 la regina. Ma era un cavaliere tanto forte e fiero da non provare timore di nessuno; e non vi sarebbe satto un cavaliere migliore, se egli non fosse stato tanto malvagio e sleale: aveva il cuore di legno, privo di ogni dolcezza e misericordia.
Ciò per cui il figlio prova sì grande dolore rende il re lieto e gioioso.
Baudemagu sa per certo che colui che ha superato il ponte è di gran
lunga il migliore tra tutti: chi mai avrebbe osato passarlo, se avesse
albergato la malvagità, che fa onta ai propri seguaci più di quanto
prodezza renda onore ai suoi14? Prodezza, dunque, non è potente
quanto pigrizia e malvagità, poiché è vero, e non se ne deve dubitare, che è più facile praticare il male che il bene.
Vi potrei parlare a lungo di questi due argomenti, se non mi facessero attardare troppo. Ma mi volgo ad altro e torno al mio racconto.
Sentite in qual modo il re ammaestra il figlio, cui si è rivolto.
«Figlio» dice «fu una fortuna che tu e io venissimo ad appoggiarci a
questa finestra: ne abbiamo avuta buona ricompensa, perché abbiamo potuto vedere chiaramente l’impresa più audace che mai sia stata pensata o messa in opera. Dimmi ora se non dovresti mostrare viso lieto a colui che ha compiuto una tale meraviglia! Accordati, dunque, e riconciliati con lui: rendigli libera la regina. Combattere non
ti darebbe alcun vantaggio; potresti anzi ricavarne un grave danno.
Mostrati cortese e assennato e, prima ancora che egli ti veda, fa’ condurre da lui la regina. Rendigli tale onore nella tua terra da offrirgli,
prima che te lo richieda, ciò che è venuto a cercare, poiché non dubito che tu sappia bene che egli è giunto a reclamare la regina Ginevra. Evita che ti si giudichi ostinato, folle o tracotante15. Se è entrato da solo nel tuo paese, allora gli dovrai essere tu di compagnia,
poiché il valent’uomo deve attrarre a sé gli uomini prodi, lodarli e riconoscerne il merito, non tenerli lontani. Onorando gli altri, si ren-
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16. Montpellier: città
della Francia meridionale; la sua università di
medicina era celebre già
nell’XI secolo.
17. pulzelle: fanciulle, giovani donne.
18. Poitiers: cittadina
della Francia occidentale.
19. dilazione: rinvio.
20. corregge: cinghie
di cuoio.
de onore a se stessi. Sappi che la gloria sarà tua, se gli mostrerai riguardo e ti porrai al servizio di costui che, senza dubbio, è il cavaliere migliore che vi sia al mondo».
[...]
«Vi tormentate a dispetto del buon senso» risponde Meleagant al
padre. «Per la fede che devo a san Pietro, riguardo a questo non vi
darò ascolto. Se vi ubbidissi, dovrei davvero passare squartato dai
cavalli! Se egli cerca onore, io cerco il mio; se cerca fama, io perseguo la mia, e se vuole battaglia, ebbene, io la voglio cento volte più
di lui!».
«Non possa mai incorrere in una sventura più grande di questa!»
esclama Meleagant. «Avrei preferito di gran lunga che fosse oggi invece che domani. Ora vedete come mi mostri più afflitto di quanto
sia solito; i miei occhi ne sono grandemente turbati e il mio viso è
molto triste! Non proverò gioia né starò bene né potrebbe verificarsi alcun evento che possa arrecarmi piacere, fino al momento in cui
potrò battermi».
Il re comprende che consigli e preghiere non servono in alcun modo, così lo lascia a malincuore, sceglie un cavallo forte e buono e belle armi, e li invia a colui che ben meritava tali doni.
Nel castello v’era un uomo anziano che era molto pio: era l’uomo
più leale del mondo e sapeva guarire le ferite meglio dei medici di
Montpellier16. Su comando del re, per l’intera notte costui impiegò
tutta la propria arte a curare il cavaliere.
Già cavalieri e pulzelle17, dame e baroni di tutto il paese avevano saputo la notizia; così i nativi della contrada come gli stranieri giunsero da tutti i luoghi all’intorno per lo spazio di una buona giornata di
viaggio, e cavalcarono lesti per tutta la notte fino allo spuntar del
giorno. All’alba, davanti alla torre vi era una tale ressa degli uni e degli altri che non si sarebbe potuto muovere un piede.
Il re si alza di buon’ora. Tormentato dal pensiero di quello scontro,
torna ancora una volta dal figlio. Lo trova che si è già allacciato sul
capo l’elmo fabbricato a Poitiers18.
Non è possibile offrire una dilazione19 e concludere la pace: il re l’ha
richiesto con insistenza, ma non riesce a ottenere nulla. Allora vuole e comanda che lo scontro sia tenuto davanti alla torre, in mezzo
allo spiazzo dove tutta la folla si è riunita. Poi, senza indugio, manda a chiamare il cavaliere forestiero, che viene condotto in quel luogo affollato di nativi del regno di Logres. [...]
Senza altro indugio, i contendenti fanno trarre indietro la folla, urtano gli scudi con i gomiti, imbracciano le corregge20 e pungolano di
speroni in tal modo che si conficcano negli scudi due braccia di lancia, sì che le armi si spezzano e si sbriciolano come legna minuta. E
i cavalli si scagliano l’uno contro l’altro a tutta forza, e si urtano fronte contro fronte e petto contro petto; gli scudi cozzano insieme, e anche gli elmi; sì che, dal fragore che hanno provocato, sembra che ab-
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21. bardatura: la sella
e i finimenti del cavallo.
22. giachi: casacche di
maglia di ferro che ricoprivano il torace e le
braccia dei cavalieri.
23. minuto: di bassa
condizione sociale.
24. storna: sposta.
bia tuonato forte. Non rimane né cinghia né pettorale, né staffa né
redine; né pezzo di bardatura21 che non si rompa; spezzano anche
gli arcioni della sella, che pure erano molto resistenti. E poiché è venuta loro a mancare ogni cosa, non è certo grande vergogna se sono
caduti in terra.
Sùbito si alzano in piedi e, senza gridare e scambiarsi vanterie, nuovamente si scontrano con più ferocia di due cinghiali; non si rivolgono minacce, ma si scambiano potenti assalti con le spade d’acciaio, come avversari che provano grande odio uno per l’altro. Spesso si percuotono gli elmi e i giachi22 bianchi con tale asprezza che, al
ritrarre il ferro, ne sprizza il sangue. Servono molto bene la battaglia,
e si stordiscono e si danneggiano con colpi crudeli e pesanti. Sono
pari negli assalti ripetuti, fieri, aspri e di lunga durata, e quanti li
guardano non sanno decidere quale dei due abbia il sovravvento e
quale sia inferiore.
Ma era fatale che colui che aveva superato il ponte sentisse debolezza nelle mani piagate. Quelli che temevano per lui, ne sono spaventati, perché vedono che i suoi colpi si fanno sempre più deboli e temono che possa avere la peggio. Credono che egli perderà, e che
Meleagant ne uscirà vincitore, e già ne parlano tutto all’intorno.
Ma alla finestra della torre era affacciata una pulzella molto assennata, che pensa e dice tra sé che il cavaliere non si è ingaggiato in
quella battaglia per lei né per il popolo minuto23 che è accorso ad assistervi: non si sarebbe mai impegnato in tale impresa per altri che
per la regina; ella ritiene che, se egli sapesse che la sua dama si trova alla finestra e lo guarda e lo vede, ne trarrebbe forza e ardore. Se
ella ne conoscesse bene il nome, gli direbbe volentieri di guardarsi
un poco intorno. Allora si avvicina alla regina e dice:
«Signora, per l’amore di Dio, e per il nostro e il vostro vantaggio, vi
chiedo di dirmi il nome di quel cavaliere. Rivelatemelo, se lo sapete,
perché gli potrebbe essere di aiuto».
«Damigella, mi chiedete una cosa nella quale non scorgo né odio né
malvagità: non vi vedo che del bene. A quanto credo, il cavaliere ha
nome Lancillotto del Lago».
«Dio» esclama la damigella «come ne è lieto, ridente e risanato il
mio cuore!».
Poi si sporge dalla finestra e lo chiama a voce molto alta, sì che tutti
la sentano: «Lancillotto! Vòltati, e guarda chi si prende cura di te!».
Appena Lancillotto si sente chiamare, non esita: si gira e scorge, seduta in alto alle logge della torre, colei che desiderava di vedere più
di ogni altra al mondo. E, dal momento in cui se ne è accorto, non
allontana né storna24 da lei gli occhi o il viso, e si difende combattendo all’indietro.
Lancillotto combatte senza staccare gli occhi da Ginevra, mentre
Melegant approfitta di questa debolezza e infierisce contro di lui.
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Ma la visione della regina infonde in Lancillotto sempre più forza
e coraggio, tanto che Meleagant non riesce più a difendersi. Il re
Baudemagu prega Ginevra di rivolgersi a Lancillotto per invitarlo
ad avere pietà del figlio, ricordandole la cortesia e la gentilezza
con cui è stata trattata da Meleagant durante la prigionia. La regina acconsente e Lancillotto, alle sue parole, interrompe il duello. Meleagant rabbioso per la vergogna cerca comunque di portare a termine il combattimento. Il re, allora, si avvicina ai contendenti e si rivolge al figlio.
25. È forse degno: è
giusto.
26. lo rampogna: lo
rimprovera duramente.
«Come? È forse degno25 che egli non ti tocchi e tu lo colpisca? ora
sei troppo crudele e feroce, e troppo valoroso fuor di proposito!
Sappiamo per certo che egli ti è superiore».
Ma Meleagant, sconvolto dalla vergogna, dice al re: «Siete forse cieco? A quanto so, voi non vedete nulla. Ha perso la vista colui che
mette in dubbio che non sia io superiore a lui!».
«Allora» dice il re «cerca uno che ti creda! Quanti sono qui sanno
bene se dici il vero o se menti. Conosciamo tutti dov’è la verità!».
Poi comanda ai baroni di trarre indietro il figlio. Quelli non si attardano, ed eseguono in fretta l’ordine: Meleagant è così allontanato,
ma per tirare indietro Lancillotto non era necessario compiere grandi sforzi: l’avversario avrebbe potuto causargli ancora molti danni
prima che egli fosse indotto a toccarlo!
«Che Dio mi aiuti!» dice allora il re al figlio. «Oramai dovrai far pace con lui, e rendergli la regina. Sei costretto a cedere in tutto e per
tutto in questa disputa, e dichiararla estinta».
«Ora sì che avete pronunciato parole davvero folli. È un pezzo che
vi sento ragionare di sciocchezze. Andatevene! Lasciateci combattere, e non ve ne immischiate più».
Ma il re insiste che continuerà a farlo: «Perché so bene che, se lasciassi che vi battiate, costui ti metterebbe a morte».
«Mi ucciderebbe? Sarei piuttosto io a ucciderlo, e presto, e a riportare la vittoria se voi non ci disturbaste e lasciaste che ci affrontiamo».
«Dio mi salvi» dice allora il re. «Puoi dire quel che vuoi: non ti varrà
a nulla».
«Perché?» chiede l’altro.
«Perché non voglio. Non asseconderò la tua follia e la tua tracotanza per condurti a morte. È davvero fuori di senno chi desidera la
propria morte come fai tu, senza nemmeno saperlo. Non dubito che
mi odi poiché ti voglio salvare. Ma Dio non permetterà che io volontariamente contempli e assista alla tua morte, perché ne proverei
un dolore troppo grande».
E tanto parla e lo rampogna26, che alla fine concludono la pace e fissano i termini dell’accordo. Secondo i patti, Meleagant restituirà a
Lancillotto la regina a condizione che questi, al termine di un anno
a contare dal giorno in cui Meleagant deciderà di intimarglielo, e
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3 L’epica cavalleresca – Il ciclo «bretone»
27. lo ridurrà alla
propria mercé: lo vin-
cerà in duello.
senza altra dilazione, si batta nuovamente con lui. Tali termini non
dispiacciono affatto a Lancillotto.
Alla notizia che pace è stata fatta, tutto il popolo accorre; viene stabilito che lo scontro sarà tenuto alla corte di re Artù che governa la
Bretagna e la Cornovaglia. Decidono che si svolga in tal luogo, ed è
necessario che la regina vi consenta e che Lancillotto garantisca che,
se Meleagant lo ridurrà alla propria mercé27, ella tornerà con lui e
nessuno la tratterrà. La regina se ne fa garante, e Lancilotto ne dà assicurazione. In tal modo stipulano l’accordo, poi i contendenti vengono separati e disarmati.
(da Lancillotto, a cura di G. Agrati e M.L. Magini, A. Mondadori, Milano)
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