E alla fine arriva Polly

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E alla fine arriva Polly
24 febbraio 2014
ComunicandoCartaCanta
onlus
«… E ALLA FINE ARRIVA POLLY», UN FILM PESSIMO E GIÀ PROIETTATO A PARMA E A FIDENZA.
Con il giuramento dell'ultimo ministro del I° governo Renzi finalmente la manfrina è finita e adesso
possiamo dire tutto quello che soltanto un giorno fa sarebbe stato visto come uno dei tanti commenti
disfattisti all'indefesso lavoro fatto da Re Giorgio per dare ad ogni costo un governo agli italiani ma
senza passare per nuove elezioni e così salvando ancora una volta il deretano alla casta (e pazienza
se Monti e Letta da lui incaricati hanno tristemente fallito o se dal consesso dei saggi bipartisan da lui
nominati non sono uscite le dritte sperate): ora, grazie al suo placet, il pupillo degli industriali e
della finanza Matteo Renzi (da qui in avanti solo Matteo perché lui si muove in fretta) ha messo
al governo del Paese tre dichiarati rappresentanti delle lobby economiche private, due del
privato (solo) formalmente non-profit e uno del privato geneticamente for-profit.
Del primo gruppo fanno parte Giuliano Poletti, Presidente dell'Alleanza delle Cooperative (Legacoop +
Confcooperative) e affettuosamente battezzato “Polly” dall'amico Costantino della Pro.Ges, che ha ottenuto
il ministero del lavoro e del welfare e Maurizio Lupi rappresentante dei molteplici e trasversali interessi di
CL e della Compagnia delle Opere puntualmente riconfermato alle Infrastrutture, mentre del secondo fa
parte Federica Guidi, rampolla dell'industriale della Ducati Energia ed ex Presidente dei Giovani
Imprenditori di Confindustria, alla quale è stato regalato il ministero dello sviluppo economico.
Queste nomine oltremodo imbarazzanti per il Paese fatte dall'oscuro Matteo richiamano
però all'attenzione l'irrisolto nodo dei conflitti d'interessi e pure quello dell'assenza in
Italia di una legge di regolamentazione dell'attività delle lobby dato che dal 1976, dopo oltre
50 progetti di legge usciti da governi di mono e larghe intese, nulla è stato fatto mentre in Europa
almeno una decina di Paesi (tra cui Germania, Francia e Olanda) si sono già dotati di leggi che
normano l'attività di lobbyng assicurando così maggiore trasparenza ai cittadini anche sull'attività
della politica. Leggi che in Italia andavano fatte prima e non, se mai, dopo queste nomine.
Ecco, almeno da Re Giorgio, maestoso e venerando garante della
Costituzione, Presidente del Consiglio superiore della magistratura e
dottamente consigliato, dietro pagamento dei contribuenti, da saggi
magistrati che saggiamente continuano a godere anche del superiore
trattamento economico dei loro colleghi in servizio attivo (unico caso al
mondo in cui si viene ben remunerati per non svolgere il proprio
lavoro), nelle quasi tre ore di attesa della sua valutazione della
lista dei ministri consegnatagli da Matteo ci saremmo aspettati
uno dei suoi vibranti altolà alle nomine dei lobbisti Poletti, Lupi
e Guidi (e magari un chiarimento sull'altolà invece mosso per
Gratteri al ministero della giustizia) e pure una richiesta di
chiarimenti allo stesso Matteo sulle sue ricche frequentazioni
che potrebbero risultare, a breve, non del tutto disinteressate.
Infatti non sarà sfuggito a Re Giorgio che l'evaporato smacchiatore di giaguari Pier Luigi Bersani
avrebbe definito il giovane finanziere Davide Serra, uno tra i più attivi e dotati sostenitori delle scalate di
Matteo, come «il bandito delle Cayman». Può anche darsi che Bersani, allora tutto preso dai talk show
e a inventarsi battute e meno a convincere gli italiani a votare il suo programma, abbia fatto confusione
tra animali esotici (mentre aveva i porci in casa) e tuttavia pare che alle cene della Algebris Investments
di Serra siano state organizzate munifiche collette per la campagna di Renzie for President.
Ma se il nome di Serra non ha destato in Re Giorgio alcuna perplessità, l'avrebbe dovuto la
sfilza di pezzi da novanta che sta appoggiando Matteo: Leonardo Del Vecchio e Andrea Guerra di
Luxottica, Marco Tronchetti Provera, Vittorio Colao di Vodafone, Albert Nagel di Mediobanca, Barbara
Berlusconi, Francesco Gaetano Caltagirone, Diego Della Valle, Luca Cordero di Montezemolo, Oscar
Farinetti, Patrizio Bertelli di Prada, Cesare Romiti, Fabrizio Palenzona di Unicredit, Nerio Alessandri di
Technogim, Santo Versace, i Carrai del Banco Alimentare Toscana e della Compagnia delle Opere .… e
anche quel Giuliano Poletti di Alleanza Cooperative che Matteo ha voluto con sé al governo.
E proprio Giuliano Poletti è sempre stato abbastanza esplicito nelle sue richieste a Matteo e prima
ancora a Bersani quando questo era segretario del PD, e così riassumibili: gli enti locali rinuncino
alla gestione dei servizi locali e lascino questo compito alle grandi cooperative che lo
sanno fare meglio e a miglior prezzo.
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24 febbraio 2014
Poletti aveva infatti dichiarato a Panorama Economy nel 2011: «Occorre un welfare più efficiente.
L’orientamento delle amministrazioni di esternalizzare sempre più servizi, dagli asili all’assistenza
medica passando per la copertura delle buche e la gestione delle utilities, si scontra con la richiesta
sacrosanta che questi servizi restino a misura di cittadino. Stato ed enti locali dovrebbero creare le
condizioni perché questo avvenga, sgravando se stessi da un compito che per lui si fa sempre più
difficile e creando nel frattempo occupazione e reddito».
A parte che è semplicemente indecente leggere continuamente che le esternalizzazioni
dipenderebbero da un «orientamento delle amministrazioni» e non invece da precise scelte
politiche elaborate da tempo da una casta politica e sindacale che è un tutt'uno con le grandi
imprese cooperative del falso non-profit che hanno fatto approvare dallo Stato e dalle Regioni
ogni genere di agevolazioni per favorirne le scalate alla sanità e ai servizi sociali non
trascurando inoltre di affiancarle a sfacciate misure di penalizzazione contro gli enti locali e le
loro aziende strumentali recalcitranti alle esternalizzazioni, anche su questa smodata
ambizione di Poletti di giungere alla completa depubblicizzazione dei servizi sociali, sanitari e
socio-sanitari Re Giorgio non ha posto obiezioni.
Considerata allora la cerchia di poteri forti, potenzialmente molto più
ampia, che alimenta la scalata di Matteo e che da lui si aspetta un
adeguato ritorno, la chiamata di Poletti può essere considerata
come il tentativo di Matteo di stabilire una saldatura politica tra gli
emisferi rosso e bianco del mondo privato cooperativo e tra questi e
le imprese private “laiche” poi da consolidare passando attraverso
l'adombrata rimodifica del Titolo V della Costituzione con un fosco
intervento nel riparto delle materie di competenza Stato e Regioni
che preveda meno possibilità legiferativa “concorrente” da parte delle
autonomie locali (quindi uno stop al federalismo) e più spazio alla
legiferazione esclusiva da parte dello Stato ad esempio sulle grandi
reti di trasporto (leggi TAV) e di navigazione o la produzione, il
trasporto e la distribuzione dell'energia (leggi nucleare) o sulla
disciplina di materie sensibili quali la sanità, l'assistenza o l'istruzione,
il tutto ovviamente mascherato dalla necessità di coordinamento
della finanza pubblica e del sistema tributario e, per accontentare la
plebe, tagliare e uniformare i costi della politica locale e nazionale.
La riconferma di Maurizio Lupi quale rappresentante di Comunione e Liberazione e della Compagnia
delle Opere (35.000 soci in 12 Paesi, 40 sedi in Italia, oltre 70 miliardi di euro di giro d'affari di cui il 70%
nel nord-ovest d'Italia) al ministero delle Infrastrutture va dunque letta nel senso di consolidare un
appoggio delle imprese bianche del falso non-profit e del profit al nuovo corso politico interpretato da
Matteo, imprese che insieme a quelle rosse (di vergogna) possono già contare sugli 11,4 miliardi di
“rimborso” (di cui 3,8 provenienti dallo Stato e 7,6 dal project financing del privato) per le infrastrutture
legate a EXPO 2015 a cui il governo Letta a dicembre aveva appena aggiunto altri 1,5 miliardi “ per
interventi in infrastrutture e opere pubbliche nel Sud”, un programma di investimenti noto anche come i
“6.000 campanili” che dovrebbe interessare 5.000 Comuni del Sud ma che intanto parte dalla biancarossa-verde Lombardia con il sostegno alla realizzazione della TEM, la nuova Tangenziale Esterna di Milano.
Per i lavoratori impiegati nei nuovi cantieri aperti allo scopo, il suo collega Giuliano Poletti ha già una
sua ricetta ben collaudata in Legacoop: «Le tutele vanno accresciute a tutti i livelli, ma alcune
delle attuali norme scoraggiano la crescita delle imprese più piccole e penalizzano quelle più
grandi (…) In alcuni casi servirebbe più flessibilità, ma ciò non significa minori tutele, solo la
possibilità di poterle estendere a tutti più gradualmente, per accompagnare crescita
aziendale e individuale agevolandole, proprio come accade nelle coop. La parte più rilevante
degli aumenti salariali dovrebbe venire dagli accordi aziendali e territoriali incardinati sul
parametro della produttività, firmati seguendo criteri di rappresentanza reale».
E coloro, “bamboccioni” o “choosy”, che si rifiutassero di calare le brache potranno benissimo restare a
casa perché, oltre alla grande disponibilità di manodopera a basso costo proveniente dagli ex Paesi
dell'Est (scriteriamente confluiti nell'Unione europea), dal 1997 esiste Obiettivo Lavoro, una delle
maggiori agenzie europee nate dal binomio Legacoop e Compagnia delle Opere per sfruttare
apertamente tutti i vantaggi del lavoro interinale, che opera con sedi proprie in Romania, Polonia,
Brasile, Perù, Paraguay e Bolivia e tramite “partner istituzionali” in Bosnia, Ucraina ed Equador.
In questa mattanza del diritto al lavoro non c'è lo zampino di Matteo ma quello di un intero partito che si è
pronato ai piedi delle imprese della cooperazione privata per avere i suoi voti, come lo smacchiatore di
giaguari che oltre 10 anni fa da responsabile economico del PD si era così rivolto alla platea di CL a Rimini:
«La sinistra se vuole rifondarsi deve partire dal vostro retroterra (…) Tra noi e voi le radici sono le stesse».
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A completare il quadro delle lobby adesso è arrivata anche Federica Guidi sulla cui nomina Berlusconi si
è lasciato scappare «Abbiamo un ministro pur stando all'opposizione». Comunque, “a parte” la sua
vicinanza politica a chi si è fatto strada tra stallieri mafiosi e col sudore delle cosce, la Guidi pur
dimettendosi da tutti gli incarichi diretti o riconducibili alla sua Ducati Energia, non può trascurare che,
come ha scritto Roberto Mania su Repubblica, «L'azienda dei Guidi opera in tutti i settori
controllati dal ministero: energia elettrica, eolico, meccanica di precisione, elettronica.
Fornisce i suoi prodotti, oltreché a diversi enti locali e alle rispettive municipalizzate, ai
grandi gruppi pubblici di cui lo Stato è ancora azionista di maggioranza o di riferimento,
attraverso il ministero del Tesoro: Enel, Poste, Ferrovie dello Stato». E poi proseguendo: «Oggi
dalla fabbrica italiana di Borgo Panigale escono i "Free Duck", piccole automobiline
alimentate a elettricità, che vengono utilizzate dalle Poste per la consegna delle lettere e dei
pacchi, da diversi Comuni per la raccolta dei rifiuti, e anche dalla Polizia municipale, per
esempio a Genova. Alle municipalizzate (l'Atac di Roma, per esempio) le macchine per
obliterare i biglietti dell'autobus. All'Enel dalla Ducati Energia arrivano le cabine per lo
smistamento dell'energia e anche le colonnine per le ricariche delle automobili elettriche. Alle
Ferrovie dello Stato sistemi per verificare la funzionalità dei binari e le macchinette per
l'emissione dei biglietti self service». E qui c'è tanto di quel conflitto d'interessi da non farci andare
a letto se si considera in aggiunta quanto abbiamo ricordato prima sul colpo di mano che Matteo avrebbe
intenzione di fare con la rimodifica del Titolo V della Costituzione e la conseguente legiferazione esclusiva
dello Stato in materia di trasporti e di di energia.
Tuttavia il braccio destro di Matteo, Graziano del Rio, non solo ci ha assicurato che in assenza di una
legge sul conflitto d'interessi lui e il governo vigileranno perché non vi siano commistioni tra pubblico e
privato ma ha pure affermato che «Quando dico che vogliamo far diventare l’Italia un Paese modello
significa anche che abbiamo bisogno di una legge sul conflitto di interessi, una cosa che il Paese merita»
dimenticando però che il Paese non merita che una simile legge sia patteggiata con coloro,
condannati o plurindagati, che hanno reso finora impossibile la sua realizzazione.
Ma la Guidi con la sua azienda è anche in discreta sintonia con Poletti data la sua manifesta idea di
giungere all'abolizione dei contratti nazionali di lavoro e di soppiantarli addirittura con contratti individuali,
poi è ovvio che ognuno dei due dovrà cedere qualcosa all'altro e quindi con ogni probabilità avremo
soltanto contratti aziendali lasciando i lavoratori, già privati delle tutele, alla mercé degli imprenditori più
retrivi. Di più, perché la Ducati Energia della Guidi è già un'azienda del futuro che non vogliamo poiché è
concepita come una raffinata struttura di assemblaggio di componenti prodotti altrove e cioè nei Paesi le
cui aristocrazie politiche e imprenditoriali si sono arricchite grazie alla globalizzazione e molto spesso
calpestando i diritti dei loro lavoratori; infatti scrive ancora Mania: «Sono circa 60 gli operai su un
totale di quasi 220 lavoratori (impiegati, tecnici, ingegneri). Il restante dei 700 dipendenti, a
parte una ventina che opera nel laboratorio di ricerca a Trento, è all'estero dove Guidi si è
spostato da tempo per ridurre i costi di produzione». E anche per la Guidi Re Giorgio ha detto sì.
Giunti al termine di questo film già visto nutriamo una forte preoccupazione che ci proviene dalla
deriva autoritaria nella quale sta precipitando il nostro Paese e impersonata essenzialmente dalle
figure di Re Giorgio e Matteo. Queste figure sono particolarmente insidiose perché stanno maturando
attraverso un verticalizzazione dei poteri (super potere del Presidente della Repubblica e Parlamento
svuotato delle sue prerogative) non prevista dalla Costituzione e tuttavia consentita da una casta di
perenni rieletti (molti dei quali in maniera illegittima) e principali responsabili dello stato di prostrazione del
Paese ai quali Re Giorgio ha concesso (non per l'assenza di alternative ma proprio per la presenza
di alternative sgradevoli a lui e alla casta) non soltanto di completare la legislatura ma anche un ruolo
di Costituente finalizzato a realizzare le riforme strutturali che il Paese attende invano da decenni.
Con queste premesse adesso Matteo sta spingendo forte
verso un sistema selvaggiamente bipolare, la riforma del
Titolo V e il superamento del bicameralismo perfetto, quindi
con una sola Camera che un domani approverà soltanto le
sue leggi con la Camera delle Autonomie lì solo a guardare:
il suo governo del fare uguale a “l'état c'est moi”?
Nel frattempo Matteo tiene celati i suoi pensieri (per lui
parlano i suoi sponsor), ha ridotto il numero dei ministeri, vi
ha messo a capo un po' di donne e tiene tutti incantati con il
suo verbo del fare. Speriamo che non giunga a far sbranare i
parenti dai cani anche se con Letta ci è andato giù pesante.
State a vedere che per una volta Gad Lerner ha detto una cosa giusta: «Non troverete alla Leopolda i
portavoce del movimento degli sfrattati né le mille voci del Quinto Stato dei precari
all’italiana. Lui vuole impersonare una storia di successo, gli sfigati non fanno audience».
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