mg franchi austrasiani - Circolo Vittoriese
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Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso MASSIMO GUSSO FRANCHI AUSTRASIANI NELLA VENETIA DEL VI SECOLO d.C. Un contributo allo studio dei più antichi riferimenti al castrum di Ceneda Premessa: le più antiche fonti su Ceneda Fin dagli insediamenti romani tra il II sec. a.C. ed il I sec. d.C., la città o meglio il castrum di Ceneda (dalle fonti latine e greche si ricavano diverse varianti: Ceneda, Ceneta, Cenita e persino Cinita) dovette essere prima di tutto un modesto insediamento fortificato posto a difesa dell’imbocco delle vie che conducevano alle Alpi attraverso l’attuale valico del San Boldo ed il passaggio per il Lago di Santa Croce: esso ebbe uno sviluppo prevalentemente militare, diverso quindi rispetto a quello di altre località circonvicine, ritrovabili nelle medesime fonti geografiche, come ad es. la statio di Susonnia (probabilmente l’odierna Susegana)1. Una sistematica e quasi incredibile serie di perdite documentali ci ha comunque privato di tutte le testimonianze letterarie, epigrafiche e di ogni altra evidenza documentale sulla Ceneda antecedente il VI secolo d.C.2, e pochissime menzioni 1 Cfr. Anonimo Ravennate IV, 30, ed. J. Schnetz, in Itineraria Romana, Lipsiae 1940, II, p. 254, che tuttavia pone Susonnia tra le civitates; cfr. A.N. Rigoni, La Venetia nella cosmografia dell’Anonimo Ravennate vie di comunicazione, «AVen» 5, 1982, spec. pp. 223-224; Ead., L’ambito territoriale della Venetia tra Altomedioevo e Medioevo nella cosmografia dell’Anonimo Ravennate, in Paolo Diacono e Guido, in La Venetia nell’area Padano-Danubiana. Le vie di comunicazione, Atti del Convegno internazionale (Venezia, aprile 1988), Padova 1990, pp. 137-150, part. pp. 140; 144, n. 14 e 147; cfr. anche H. Philipp, s.v. Susonnia, RE IV A.1 (1932), c. 988: «südwestlich von Ceneta... am Plavisfluss» e A. Grilli, Il territorio d’Aquileia nei geografi antichi, «AAAd» 15, 1979, p. 50. 2 È stato scritto, senza tuttavia fornire un riferimento documentale verificabile, che «on mentionne pour la première fois Ceneda sous Théodose en 420» (L. Jadin, s.v. Ceneda, in DHGE, Paris 1953, XII, c. 136). Per un sintetico regesto delle scarse fonti (ma non di tutte) su Ceneda nell’antichità e nella tarda antichità, si rinvia comunque al Thesaurus Linguae Latinae - Onomasticon, Lipsiae 1907-1914, vol. 9 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso si contano nei due secoli successivi: gli autori o i documenti che ricordano questa località tra la seconda metà del VI e la fine dell’VIII secolo d.C. sono infatti soltanto sette3, da collocarsi nel seguente ordine cronologico: fonte n. 1 fonte n. 2 fonte n. 3 fonte n. 4a fonte n. 4b fonte n. 5 fonte n. 6 fonte n. 7 latino/poesia: sost. Cenitam, variante Cinitam, autore: Venanzio Fortunato (tra 569 e 576) greco/storia: sost. K™neta, autore: Agazia di Marina (tra 570 e 580) latino/canonistica: agg. Cenetensis (?), testo: Atti della Sinodo di Grado, del 579 latino/canonistica: agg. Cenetensis (?), testo: Atti Concilio Costantin. III, del 680 greco/canonistica: agg. (?) K™nsoy - Ken™toy (?), testo: Atti Concilio Costantin. III, del 680 latino/geografia: sost. Ceneda, autore: il c.d. Anonimo Ravennate, fine VII-inizi VIII sec. latino/storia: agg. Cenitense, Cenetensibus, Cenetensis, autore: Paolo Diacono, fine VIII sec. latino/poesia: agg. Cenetensium, autore: Paolino di Aquileia, anno 799. II, c. 314 rr. 73-79 (s.v. Ceneta). Sostanzialmente poco utili appaiono invece Aeg. Forcellini, Totius Latinitatis Lexicon. Onomasticon, cur. V. De Vit, Prati 1868, t. VIII, p. 207 (s.v. Ceneta); il successivo Lexicon Totius Latinitatis. Onomasticon, cur. J. Perin, Patavii 1913, t. I, p. 353 (s.v. Ceneta); C. Hülsen, s.v. Ceneta, RE III.2 (1899), c. 1899 e V. Botteon, Un documento prezioso riguardo alle origini del vescovado di Ceneda e la serie dei vescovi cenedesi corretta e documentata. Illustrazione critico-storica, Conegliano 1907, spec. pp. 67 ss. (pieno di notizie quantomeno stravaganti, specie per il tardoantico); del tutto inutile G. Cappelletti, Le Chiese d’Italia dalla loro origine sino ai nostri giorni, Venezia 1854, vol. X, pp. 221-222 (s.v. Ceneda). Per un approccio archeologico si possono leggere: A.N. Rigoni, Documentazione archeologica e strategie d’intervento per la ricostruzione storica di Ceneda e del suo territorio, in in «Atti del 2° Convegno. Il sistema difensivo di Ceneda. Problemi di conoscenza, recupero e valorizzazione» (maggio 1991), Vittorio Veneto 1993, pp. 109-119; G. Arnosti, L’evoluzione delle logiche insediative e dell’organizzazione del territorio dall’epoca Romana al primo altomedioevo, ibid., pp. 29-68 e ancora Id., Appunti sul Ducato Longobardo di Ceneda, in «Atti del 3° Convegno. Castelli tra Piave e Livenza. Problemi di conoscenza, recupero e valorizzazione» (maggio 1994), Vittorio Veneto 1995, pp. 17-42. Per la toponomastica cfr. D. Olivieri, Toponomastica Veneta, Venezia-Roma 1961, p. 147. 3 Sulla base della premessa cronologica conseguente all’esame delle fonti dei secoli VI-VIII, tralascio volutamente due specifiche testimonianze epigrafiche rinvenute a Montecassino, relative due religiosi (?) cenedesi del IX secolo, una delle quali, tuttavia potrebbe essere datata in un arco temporale «anteriore al 797-817» (cfr. G. Tomasi, La Diocesi di Ceneda. Chiese e uomini dalle origini al 1586, Vittorio Veneto 1998, I, p. 131), e quindi, in qualche modo essere concorrente con le fonti da me presentate ed esaminate: si tratta di un Vend...o de Cenida ancario. Mi riservo eventuali altre ricerche su questo personaggio; rinvio comunque, in ogni caso, ad A. Pantoni, Documenti epigrafici sulle presenze di settentrionali a Montecassino nell’Alto Medioevo, «Benedictina» 1958, pp. 205-232. 10 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso Venanzio Fortunato4, gli Atti conciliari gradensi (forse malsicuri tout-court) e quelli costantinopolitani (malsicuri tanto per la parte greca quanto per la latina), la geografia dell’Anonimo Ravennate e Paolino di Aquileia si limitano a citare il nomen Ceneda (o il suo aggettivo), senza le contestualizzazioni che consentirebbero qualche approfondimento o apprezzamento. Quindi soltanto uno degli storici, il bizantino Agazia, inquadra Ceneda in una precisa congiuntura, la vicenda bellica degli anni 553-554 d.C., consentendo a noi moderni una modesta ricostruzione e valutazione storica: per questo cercherò di sottoporre il lavoro di Agazia, in relazione al suo cenno a Ceneda, ad un esame meno superficiale di quello che ordinariamente gli viene dedicato. In quanto a Paolo Diacono, lo storico longobardo, pur accennando confusamente alla medesima vicenda bellica degli anni 553-554 d.C., non v’associa affatto Ceneda, citando questa località (per restare nel medesimo momento storico) solo con riferimento ai già ricordati versi di Venanzio Fortunato. In ogni caso, qualsiasi considerazione sulla Ceneta tardoantica è e resta di carattere indiziario e congetturale, considerata la estrema povertà degli elementi disponibili. Per discutere le fonti sopra riportate, e parlare – in particolare – del VI secolo di Ceneta, è indispensabile un approfondimento degli avvenimenti connessi con la repentina comparsa dei Franchi nello scacchiere veneto, nell’intreccio della guerra gotico-bizantina, e con l’insediamento (sia pur effimero) nell’area cenedese degli stessi Franchi: furono essi infatti a mettere quel territorio al centro di episodi, di cui rimane fortunosa testimonianza. Un rammarico specifico deriva dalla percezione di come uno storico grandissimo come Procopio (lo sa il lettore più attento) sia stato, probabilmente, ad un passo dal citare Ceneda, e non l’abbia fatto vuoi per la modestia della località vuoi anche per esigenze connesse all’economia della sua narrazione5. 4 Che quella di Venanzio Fortunato sia da considerarsi, in ogni caso, la prima citazione di Ceneda, era ricordato opportunamente già dal curatore del Corpus Inscriptionum Latinarum, Berolini 1877, vol. V, p. 1067, che scriveva: «Ceneta apud antiquiores auctores... non memoratur»; cfr. G. Cuscito, Testimonianze archeologiche monumentali del Cristianesimo antico fino al secolo IX, in «Le origini del Cristianesimo tra Piave e Livenza, da Roma a Carlo Magno», Atti del Convegno di Vittorio Veneto (24-25 ottobre 1981), Vittorio Veneto 1983, p. 85; e A. Zamboni, Toponomastica e storia religiosa fino al IX secolo, ibid., pp. 4378. Su Venanzio e i suoi versi vd. qui, infra, § 10. Per l’unico documento artistico-archeologico cenedese ancora conservato e che rechi un’iscrizione che consenta di datarlo (alla fine del periodo di cui alle sette fonti sopra citate), la c.d. ‘Pace del Duca Orso’ (al Museo di Cividale), cfr. C.G. Mor, La Cultura Veneta nei secoli VI-VIII, in Storia della Cultura Veneta 1. Dalle origini al Trecento, Vicenza 1976, pp. 226-227 e n. 39 (con rinvii). 5 Peraltro Procopio non cita mai nemmeno Opitergium (Oderzo), località che diverrà in seguito, sia pur brevemente, piazzaforte bizantina; il grande storico non cita neppure il Piave, fiume certo non insignificante, che infatti verrà ricordato per la prima volta da Venanzio Fortunato (cfr. A. Grilli, Il territorio d’Aquileia cit., pp. 35 e 48; cfr. anche F. Della Corte, Venanzio Fortunato, il poeta dei fiumi, in «Venanzio Fortunato tra Italia e Francia. Atti del Convegno internazionale di Studi (Valdobbiadene-Treviso, maggio 1990)», Treviso 1993, pp. 137-147). D’altra parte anche l’Isonzo sarà ricordato per la prima volta solo da Cassiodoro (cfr. ancora A. Grilli, Il territorio d’Aquileia cit., p. 47). 11 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso Resta inteso che tanto Procopio quanto soprattutto Agazia (oltre che, per cenni sparsi, anche altri storici bizantini, soprattutto Menandro, ma anche, occasionalmente, Malala, Evagrio e Teofane) sono indispensabili per comprendere le vicende che il territorio della Venetia, e quello Cenedese in particolare, hanno vissuto nei terribili frangenti del VI secolo6. § 1. Gli inizi della guerra gotico-bizantina (536-539) Ricordo che, ancora nel 536, buona parte dell’esercito dei Goti era stazionato in Provenza e nel Delfinato7. Il re Vitige, all’atto dell’assunzione al trono, in quello stesso anno, decise di ritirarsi da quella parte della Gallia, cedendola ai Franchi, commettendo probabilmente un clamoroso errore strategico: questa rinuncia fu avvertita dai Franchi come un’aperta ammissione di debolezza da parte dei Goti, pressati nell’Italia centro-meridionale da Belisario. Di fatto tale decisione lasciava militarmente e politicamente sguarnite le frontiere nordorientali del regno ostrogoto proprio nel frangente drammatico in cui i bizantini entravano a Roma. Si apriva la grande partita per «la sistemazione dell’area di interferenza – dall’alto Danubio al Mediterraneo centrale – fra gli opposti poli di attrazione rappresentati da Bisanzio e dai Franchi»8. Nella prospettiva di trarne ogni possibile vantaggio strategico, i bizantini avevano riflettuto assai per tempo sui travolgenti successi dei Franchi, fin da quando essi, sotto la guida del re Clodoveo, avevano saputo distruggere il regno visigotico di Alarico: Costantinopoli aveva lavorato perciò verso i Franchi per sfruttarne la forza in senso antigotico. Ma fin dagli inizi della guerra gotico-bizantina, i Franchi erano stati contattati anche dalla diplomazia gotica così che si era creato un reticolo di accordi azzardati che avevano finito per legarli, in modo pericolosamente ambiguo, ad entrambi i contendenti9. 6 Devo rilevare che le pur benemerite rassegne di storia locale dedicate alla fase di trapasso tra la Ceneda tardoantica e quella medievale, recano spesso citazioni da fonti tardoantiche latine e greco-bizantine, che, quando non sono de relato, son proposte senza troppa cura nella scelta delle edizioni (generalmente non aggiornate). 7 Sulla presenza dei Goti nella Gallia meridionale cfr. V. Bierbauer, Zur ostgotischen Geschichte in Italien, «StudMed» 14, 1973, pp. 2 ss. 8 G. Tabacco, L’inserimento dei Longobardi nel quadro delle dominazioni germaniche dell’Occidente, in «Atti del VI Congresso Internazionale di Studi sull’Alto Medioevo - Longobardi e Lombardia: aspetti di civiltà longobarda» - Milano 21-25 ottobre 1978, Spoleto 1980, t. I, p. 224. 9 Cfr. A. H. M. Jones, The Later Roman Empire 284-602. A Social, Economic, and Administrative Survey, (Oxford 1964) Baltimore 1986, p. 276, cfr. tr. it. Il Tardo Impero Romano (284-602 d.C.), Milano 1973-1981, p. 342. Sui successi dei Franchi di re Clodoveo contro i Visigoti (507 d.C.) cfr. 12 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso Gli equilibri geopolitici dell’area erano stati messi seriamente in discussione e l’Italia, specie la Liguria10 e la Venetia11, erano state attaccate dagli Alamanni retici, il protettorato sui quali, esercitato per pura formalità dai Goti, era stato da questi trasferito ai Franchi. Forse anche a partire da queste incursioni, di cui pare abbia sofferto anche l’area veneta12, i Franchi, specie gli Austrasiani compresero l’opportunità strategica di intervenire sul terreno italico, senza esporsi direttamente, ma servendosi di contingenti di popolazioni soggette. Th. Hodgkin, Italy and her Invaders, Oxford 18962, III, p. 357; M. Christian Pfister, La Gallia sotto i Franchi Merovingi: vicende storiche, in The Cambridge Medieval History, Cambridge 1911-1913, ed. it. Storia del Mondo Medievale, vol. I, La Fine del Mondo Antico, Milano 1978, spec. pp. 692-693; 561; E. Stein, Histoire du Bas-Empire. De la dispatition de l’Empire d’Occidente à la mort de Justinien (476-565), publ. par J.-R. Palanque, Paris-Bruxelles-Amsterdam 1949, II, pp. 149-152. Clodoveo venne allora insignito di altisonanti titoli quali ‘console onorario’ e ‘patrizio’ «by the emperor Anastasius soon after his victory» (J.R. Martindale, The Prosopogrphy of the Later Roman Empire A.D. 395-527, Cambridge 1980, vol. 2 [poi PLRE II], s.v. Chlodovechus (Clovis), spec. p. 290; vd. Greg. Tur. Hist. Franc. II 38, vol. I, p. 192; cfr. C. Capizzi, L’imperatore Anastasio I (491-518). Studio sulla sua vita, la sua opera e la sua personalità, Roma 1969, pp. 167 ss.; E. James, The Franks, Oxford (UK)-Cambridge (USA) 1991, tr. it. I Franchi. Agli albori dell’Europa. Storia e Mito, Genova 1998, pp. 70 ss.). Cfr. anche J.M. Wallace-Hadrill, The Barbarian West. 400-1000, 1957, tr. it. L’Occidente Barbarico. 400-1000, Milano 1963, pp. 100 ss.; sulle titolature attribuite ai sovrani Franchi dagli imperatori bizantini cfr., in gen., A Gasquet, L’Empire Byzantin et la Monarchie Franque, Paris 1888, pp. 134-158. 10 Si intende con l’antico nome di Liguria un territorio comprendente l’attuale Piemonte e la Lombardia, sino al fiume Adda, ma non invece l’attuale Liguria (cfr. L. Cracco Ruggini, Vicende rurali nell’Italia antica dall’età tetrarchica ai Longobardi, «RSI» 76, 1964, p. 273; A. Carile, Il Bellum Gothicum dall’Isonzo a Ravenna, «AAAd» 13, 1978, p. 157, n. 36 = A. Carile, La società venetica dalla guerra gotica fra Isonzo e Ravenna all’avvento dei Longobardi, cap. I di Id., La formazione del Ducato Veneziano, in A. Carile-G. Fedalto, Le origini di Venezia, Bologna, 1978, p. 137, n. 36). 11 Sul problema della Venetia et Histria nel tardoantico e sui confini della regione denominata, nelle fonti, soltanto Venetia, cfr. S. Mazzarino, Per una storia delle Venezie da Catullo al basso impero [1964 e 1970], ora in Id., Antico, tardoantico ed èra costantiniana, II, Bari 1980, pp. 235 ss.; Id., Da Lolliano et Arbetio al mosaico storico di S. Apollinare in Classe (Note sulla tradizione culturale di Ravenna e dell’Anonimo Ravennate) [1965], ibid., spec. pp. 316 ss.; A.N. Rigoni, L’ambito territoriale cit., pp. 137-150. 12 Di cui abbiamo testimonianza in Cassiodoro, Var. XII 7, e XII 28, 4 (Alamannorum nuper fugata subreptio), entrambe del 536. Cfr. R. Holtzmann, Die Italienpolitik der Merowinger und des Königs Pippin, in Das Reich. Idee und Gestalt. Festschrift für Johannes Haller, Stuttgart 1940, rist. Darmstadt 1962, pp. 1011. Che le incursioni alamanniche toccassero anche il Veneto, nel 536-537, lo afferma Lellia Cracco Ruggini, nel suo studio Economia e Società nell’“Italia Annonaria”. Rapporti fra agricoltura e commercio dal IV al VI secolo d.C., Milano 1961, p. 474. 13 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso Non è questa la sede per riassumere il complesso riassestamento che subì la nazione dei Franchi dopo la morte di Clodoveo nel 511: basti dire, ad es., che tra il 534 e il 536 i patti stretti tra Goti e Franchi riguardavano ben tre sovrani merovingi, Childeberto e Clotario (figli di Clodoveo) e Teodeberto (nipote di Clodoveo)13. Quest’ultimo sarà detto, in questo lavoro, re di Austrasia, intendendo con questa denominazione la parte nord orientale del regno franco, insomma il vecchio territorio dei Franci Ripuarii (o renani), acquisita a suo tempo da suo padre Teodorico14, con centro di riferimento Metz. Clotario regnava invece a nord, da Soissons, nel territorio più ristretto tra la Mosa e le Fiandre, e Childeberto da Parigi, sull’area dei Franci Salii (detti poi Neustriani). I confini tra i regni dei due zii e del nipote erano assai variabili, come le loro alleanze o le reciproche ostilità e rivalità. In ogni caso, al soccombere del regno dei Burgundi, nel 534, i tre sovrani franchi si spartirono le sue spoglie arrivando a ridosso dell’arco alpino e mettendo pericolosamente in gioco le difese dell’Italia settentrionale: «bien que l’existence de cet État tampon fût de la plus grand importance pour le royaume ostrogothique, celuici n’osa pas, comme Théodoric le Grand l’avait fait plus d’une fois, aller jusqu’au bout pour la défendre»15. Saranno soprattutto i Franchi di Teodeberto, gli Austrasiani, i protagonisti delle vicende principali studiate in questo lavoro. Nel 538 l’Italia era alla vigilia di una immane tragedia: le sue città andavano militarizzandosi con trasformazioni non solo sul piano urbanistico-strutturale, ma anche su quello del senso comune dei loro abitanti; comparivano prodigi, miracoli, taumaturgi16. Inoltre alcuni recenti atti inconsulti compiuti dai Goti avevano loro 13 Cfr. A Gasquet, L’Empire cit., pp. 159-162; PLRE II, s.v. Childebertus, pp. 284-285; s.v. Chlotacharius, pp. 291-292; E. James, I Franchi cit., pp. 82 ss.; A. Nagl, s.v. Theodebert I, RE V. A.2 (1934), cc. 1715-1721; J.R. Martindale, The Prosopography of the Later Roman Empire A.D. 527-641, Cambridge 1992, vol. 3 [poi PLRE III], s.v. Theodebertus I, III-B, pp. 1228-1230 e soprattutto F. Beisel, Theudebertus Magnus rex Francorum. Persönlichkeit und Zeit, Idstein 1993. 14 Cfr. PLRE II, s.v. Theodoricus 6, pp. 1076-1077; E. James, I Franchi cit., pp. 78 ss. 15 E. Stein, Bas-Empire cit., p. 332; cfr. anche G. Löhlein, Die Alpen- und Italienpolitik der Merowinger im VI. Jahrhundert, Erlangen 1932, pp. 3-4; B. Saitta, La Civilitas di Teoderico. Rigore amministrativo, “tolleranza” religiosa e recupero dell’antico nell’Italia ostrogota, Roma 1993, pp. 46 ss. 16 Cfr. Alba Maria Orselli, Santi e Città. Santi e Demoni urbani tra Tardoantico e Alto Medioevo, SSCISAM 36 (1988), Spoleto 1989, pp. 783-830. 14 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso alienato la simpatia della maggior parte dell’aristocrazia romana che lavorava oramai per gli imperiali direttamente o indirettamente17. La guerra gotico-bizantina era intanto in una fase delicata: con una fulminea marcia oltre il Po, Belisario aveva in precedenza occupato Milano, Bergamo, Como, Novara e molte importanti altre città della Liguria, eccetto Ticinum (Pavia): allora «the Franks, having accepted the offers of both sides, waited for a favourable opportunity to intervene in their own interests»18. Il re d’Austrasia, Teodeberto, nonostante avesse dato assicurazione ai bizantini di voler cooperare militarmente con loro, «was ambitious and treacherous»19, e perseguiva una «policy of playing fast and loose between the two belligerents»20. Pertanto, nella primavera del 538, egli decise spregiudicatamente «to intervene on the Gothic side without breaking his treaty with Justinian by sending 10,000 Burgundian ‘volunteers’ to Liguria»21: «Teodeberto... inviò diecimila uomini come alleati [dei Goti], che non erano di nazionalità franca, ma Burgundi, per non far vedere che interferiva negli interessi dell’imperatore: perciò, all’apparenza i Burgundi compivano la spedizione di propria volontà e di propria iniziativa e non ubbidendo a un ordine di Teodeberto»22. 17 In quello stesso 538 anche il più deciso ed autorevole esponente e propugnatore della collaborazione con i Goti, Cassiodoro, si trovava forse a Costantinopoli ed era impossibilitato a tessere l’ennesima mediazione (cfr. O. Bertolini, Roma di fronte a Bisanzio e ai Longobardi, Bologna 1941, pp. 154 ss.); non conosciamo tuttavia esattamente i movimenti di Cassiodoro, ritiratosi dalla politica nel 537 (cfr. A. Momigliano, s.v. Cassiodoro, in DBI, Roma 1978, vol. XXI, p. 496 e vd. qui, infra, nota 44). 18 Cfr. A.H.M. Jones, The Later Roman Empire cit., p. 276, tr. it., pp. 342-343. 19 J.B. Bury, History of the Later Roman Empire from the Death of Theodosius I to the Death of Justinian, (London 1923) New York 1958, II, p. 203. Sulla personalità di questo sovrano cfr. anche M. Christian Pfister, La Gallia sotto i Franchi Merovingi cit., spec. pp. 696 ss.; A. Nagl, s.v. Theodebert I cit., cc. 17151721; PLRE III, s.v. Theodebertus I cit., pp. 1228-1230; U. Nonn, s.v. Theudebert, in Lexikon des Mittelalters, München 1997, VIII, cc. 685-686. 20 J.B. Bury, History cit., II, p. 203. Così inquadra F. Beisel le aspettative di Teodeberto: «ein byzantinisches Oberitalien oder ein ostgotisches? Vor einer derartigen Fragestellung muß Theudebert im Frühjahr 538 gestanden haben, und seine definitive Antwort lautete offenbar salomonisch: ein mir unterstehendes!» (Theudebertus Magnus cit., p. 65). 21 A.H.M. Jones, The Later Roman Empire cit., p. 276, tr. it., p. 343; cfr. anche Th. Hodgkin, Italy and 2 her Invaders, Oxford 1916 , V, pp. 10-11; F. Gabotto, Storia dell’Italia Occidentale nel Medio Evo (3951313) Libro I. I Barbari nell’Italia Occidentale, Pinerolo 1911, tomo II, p. 513; G. Löhlein, Die Alpen- und Italienpolitik cit., pp. 32-33; H. Pirenne, Mahomet et Charlemagne, Bruxelles 1937, tr. it. Maometto e Carlomagno, Roma-Bari 19764, p. 180; E. Stein, Bas-Empire cit., pp. 354-355. 22 Procop., Bell. Goth. II 12, 38, p. 205 (tr. it., p. 510; generalmente seguo questa traduzione del lavoro di Procopio, senza rinunciare a qualche occasionale integrazione o correzione). Cfr. H. Büttner, Die Alpenpolitik der Franken im 6. und 7. Jahrhundert, «HJ» 79, 1959, p. 65; F. Beisel, Theudebertus Magnus cit., pp. 65 ss. 15 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso Anche grazie all’aiuto di queste forze fresche, i Goti posero tra l’altro l’assedio a Milano23 che fu infatti ripresa nel marzo 539 e saccheggiata dopo un’orrendo massacro24, senza che da parte bizantina si portasse soccorso, per tempo, alla città a causa del dissidio tra Belisario e Narsete, che portò al richiamo di quest’ultimo a Costantinopoli25. Non sappiamo se l’incursione burgunda, patrocinata dai Franchi, ebbe riflessi nella Venetia, ma è senz’altro probabile che propaggini di quella scorreria abbiano finito col coinvolgere anche quest’area; peraltro, come indica chiaramente Procopio, gran parte delle risorse economiche, umane e militari dei Goti erano stanziate proprio nella Venetia e proprio per questo la regione venne particolarmente coinvolta nella guerra26. Nel frattempo le forze di Belisario, attestate lungo il Po, erano duramente impegnate nella conquista di Osimo e di Fiesole, prese poi tra ottobre e novembre del 539: fu allora che Teodeberto, ritenne giunto il momento di guidare personalmente un attacco diretto all’Italia, approffittando del momentaneo stallo militare in cui Goti e Bizantini si erano reciprocamente posti: «the two hosts, reluctant to risk a trial of strength, remained immobile on the banks of the river, till a new enemy appared upon the scene»27; ®n to¥tÛ d‚ Fråggoi kekak©suai tˆ pol™mÛ 23 Cfr. Auctarium Marcellini, ad a. 538.6 (assedio di Milano), p. 106; «Burgundiones zusammen mit den Ostgoten die Stadt Mailand heimsuchten» (H. Büttner, Die Alpenpolitik der Franken cit., p. 65). Sull’atteggiamento di Teodeberto, sull’ingenuità della diplomazia Bizantina, convinta che il sovrano Franco avrebbe rispettato i patti e sulle vicende legate all’invasione e alla presa di Milano cfr. anche G.B. Bognetti, Santa Maria Foris Portas di Castelseprio e la storia religiosa dei Longobardi [1948], ora in Id., L’Età Longobarda, Milano 1966, II, pp. 187-193. 24 Cfr. Procop., Bell. Goth. II 21, pp. 240-247 (tr. it., pp. 496-500); Auctarium Marcellini, ad a. 539.3 (omnes Romanos interficiunt), p. 106; Mar. Avent. Chronica ad a. 538, p. 235 (Mediolanus a Gotis et Burgundionibus effracta); cfr. R. Holtzmann, Die Italienpolitik der Merowinger cit., p. 11. I Goti riebbero così il controllo di tutta l’Italia Transpadana. 25 Auctarium Marcellini, ad a. 539.1, p. 106 (Narsis revertitur Constantinopolim). 26 Cfr. A. Carile, Bellum cit., pp. 165-166 = Società cit., p. 145. Sull’incidenza degli episodi bellici interessanti il territorio tra l’Isonzo e Ravenna, nel periodo della guerra gotica e fino al 561 cfr. ancora, in gen., A. Carile, Bellum cit., pp. 148-151 = Società cit., pp. 128-130. In ogni caso la regione aveva sofferto di una grave carestia negli anni 534-535 (Treviso anzi era divenuta il centro per l’ammasso destinato agli aiuti disposti dal governo dei Goti); cfr. L. Cracco Ruggini, Economia e Società cit., pp. 473-474. 27 J.B. Bury, History cit., II, pp. 207 (dove si legge opportunamente: «the Franks regarded the calamities of Italy as an opportunity for themselves and were as perfidious towards the Goths as toward the Empire»). È sempre godibile la colorita descrizione della calata dei Franchi in E. Gibbon, The History of the Decline and Fall of the Roman Empire, [1781-1788], repr. London 1995, vol. II, chap. xli, pp. 673-675, tr. it. Storia della decadenza e caduta dell’Impero Romano, Torino 1967, pp. 1562-1564; cfr. Th. Hodgkin, Italy and her Invaders cit., IV, pp. 309 ss.; V, p. 11; F. Gabotto, Storia dell’Italia Occidentale cit., pp. 520 ss.; O. Bertolini, Roma cit., p. 159; H. Keller, Fränkische Herrschaft und alamannische Herzogtum in 6. und 7. Jahrhundert, «ZGO» 124, 1976, p. 6. Non c’è invece, sorprendentemente, alcuna traccia di questa invasione di Teodeberto in A.H.M. Jones, The Later Roman Empire cit., pp. 276-277, tr. it., pp. 342-343. 16 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso 28 Gøtuoyq te kaÁ \Rvmaºoyq... : in buona sostanza i Franchi ritenevano assurdo che «altri continuassero tanto tempo a guerreggiare per assicurarsi il dominio si una terra così vicina al loro paese, mentre essi se ne rimanevano al di fuori, imparziali verso gli uni e verso gli altri». Non conosciamo la precisa via di accesso dei «fantassins armés de haches de 29 jet» , né, se non a grandi linee, la direttrice della loro incursione, di cui ci informa sinteticamente l’Auctarium Marcellini, fonte contemporanea: Theudibertus Francorum rex cum magno exercitu adveniens Liguriam totamque depraedat Aemiliam. Genuam oppidum in litus Tyrrheni maris situm evertit ac praedat30. L’accesso sembrerebbe essere stato quello della via retica che porta a 31 Milano , con il conseguente saccheggio della Liguria e poi, verso sud, dell’Emilia: il rientro andrebbe tuttavia indirizzato verso la Provenza, se il saccheggio di Genova32 è cronologicamente alla fine dell’invasione («chemin faisant ils mirent encore à sac la ville de Gênes, puis ce cauchemar disparut»33). 28 Procop., Bell. Goth. II 25, 1, p. 261 (tr. cit., p. 509). E. Stein, Bas-Empire cit., p. 361. 30 Ad a. 539.4, p. 106. Nonostante J.B. Bury, History cit., II, p. 203, n. 3, lasci intendere che il passo del continuatore marcelliniano sia riferiribile alla precedente scorreria dei Burgundi, mi sembra evidente che esso sia invece fonte primaria di quest’ultima invasione, guidata da Teodeberto in persona. 31 Leggiamo infatti nella Vita Iohannis Abbatis Reomarensis Auctore Iona, in MGH SS. rer. Mer., III, p. 513: evenit, ut Theudebertus, filius Teuderici, Clodovei condam filii, bellum Italiae inferret, transactis Alpibus, Italiam inquietaret; R. Heuberger, Rätien im Altertum und Frühmittelalter. Forschungen und Darstellung, Innsbruck 1932, passim. Su quelle vie di accesso cfr. anche M. Gusso, Alle origini dei Grigioni: fatti d’arme combattuti sui Campi Canini, presso Bellinzona, nei secolo IV-VI d.C., «Prometheus» 22, 1996, pp. 60-86 e Id., Le origini dei Grigioni: i Campi Canini, presso Bellinzona, nella storia retica dei secoli IVVI d.C., «QGrig» 65/1, 1997, pp. 7-21. Forse penetrarono dal Monginevro; Procopio (Bell. Goth. II 25, 5, p. 262; tr. cit., p. 510) scrive genericamente o‹tv m‚n Fråggoi tÅq =Alpeiq ..., a‡ Gålloyq te kaÁ |ItaloÂq diorºzoysin, ®n Lig¥roiq ®g™nonto: «aus diesen Worten folgt, daß einer der Westalpenpässe benützt worden ist. Ob es der Mt. Genèvre war... oder einer der Bernhardpässe, ist ganz und gar unsicher» (G. Löhlein, Die Alpen- und Italienpolitik cit., p. 34); sul percorso di Teodeberto cfr. anche F. Beisel, Theudebertus Magnus cit., pp. 68-69. 32 Il passo dell’Auctarium è l’unica fonte che riferisca del saccheggio di Genova (cfr. anche Th. Hodgkin, Italy and her Invaders cit., IV, p. 311, n. 1; F. Beisel, Theudebertus Magnus cit., pp. 72-73), ed è stato ripreso, con qualche interessante variante, da Iordan., Rom. 375, p. 49: atque unus consul [Belisario] dum contra Getas dimicat, pene pari eventu de Francis, qui cum Theodeperto rege suo plus ducenta milia advenerant, triumphavit. sed quia ad alia occupatus alibi noluit implicari, rogantibus Francis pacem concessit et sine suorum dispendio de fines Italos expulit. Forse un cenno al passaggio dei Franchi lungo la via marittima, con un richiamo a fonti che dovevano ricordare l’attacco a Genova, è nel confuso racconto del cosiddetto Fredegario: cfr. Chronicarum quae dicuntur Fredegarii Scholastici Libri IV cum continuationibus, III 44, ed. B. Krusch, in MGH SS. rer. Mer., Hannoverae 1888, p. 106 (post Theodebertus cum exercito Aetaliam ingreditur, eamque per maritimis termenibus cuncta depopulatus...). 33 E. Stein, Bas-Empire cit., p. 361. 29 17 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso Tuttavia «Theudeberts Strategie zielte nicht auf einen Beutecoup mit folgendem schnellen Absetzen, sondern zunächts auf eine rasche Zersprengung der noch mobilen gotischen und byzantinischen Einheiten in Ligurien»34. L’invasione ebbe un parziale successo tattico35, ma si dimostrò tuttavia un fallimento strategico: exercitu dehinc suo morbo laboranti ut subveniat, paciscens cum Belisario ad Gallias revertitur36. Comunque ci furono devastazioni, saccheggi e massacri che talora lasciarono i testimoni stupiti per la ferocia e la barbarie37, risolti in un generale ripiegamento, forse in qualche modo concordato con i Bizantini: Theudebertus rex Francorum Italiam ingressus Liguriam Aemiliamque devastavit, eiusque exercitus loci infirmitate gravatus valde contribulatus est38. La più autorevole conferma ci viene poi dallo stesso Procopio, testimone oculare di quel complesso di eventi: la presenza dei Franchi nell’area del Po minacciava seriamente la condotta di guerra delle forze imperiali, e Belisario avrebbe allora, in effetti, scongiurato l’attacco franco con forti pressioni e minacce 34 F. Beisel, Theudebertus Magnus cit., p. 72. Procop., Bell. Goth. II 25, 2-3, p. 261, tr. it., p. 509: «al comando di Teodiberto, calarono in Italia (Ôgoym™noy sfºsi Ueydib™rtoy, ®q |Italºan ®stråteysan). Avevano soltanto pochi cavalieri, che facevano da scorta al re ed erano gli unici armati di lancia; invece tutti gli altri erano appiedati e non possedevano né archi né lance, ma portavano una spada, uno scudo e una scure ciascuno»). Si può ritenere quindi che i loro spostamenti non dovessero essere molto rapidi. Su questo tema, dei Franchi ‘appiedati’, ad eccezione dei capi, si può utilmente consultare una fonte d’età anastasiano-giustinianea, ove si legge appunto di «un popolo potentissimo stanziato nelle Gallie» [cioè i Franchi] per il quale «una legge prevede che nessuno possa comparire in battaglia a cavallo, se non il re, montato su di un cavallo bianco per risultare più visibile ai nemici» (cfr. C.M. Mazzucchi ed., Menae patricii cum Thoma referendario. De Scientia Politica Dialogus, Milano 1982, p. 8, ex lib. IV, 43-44 (per la tr. it. del passo, ibid., p. 62); proprio questo sembra rappresentare uno degli elementi di datazione di quest’opera anonima (cfr. ancora ibid., Praef., p. XIII e C.M. Mazzucchi, Per una rilettura del palinsesto vaticano contenente il dialogo ‘Sulla Scienza Politica’ del tempo di Giustiniano, in G.G. Archi (cur.), L’Imperatore Giustiniano. Storia e Mito. Giornate di Studio a Ravenna - 14-16 ottobre 1976, ed. Milano 1978, pp. 237-247, spec. p. 242). 36 Ancora l’Auctarium Marcellini, ad a. 539.4, p. 106. Era stata una corsa pazza con scopi forse prematuri, che si concluse senz’altro immediato risultato se non rovine e distruzioni nelle regioni interessate: ciò nonostante, come ha scritto H. Büttner, «die Alpenstraßen und ihre Beherrschung waren Faktoren in dieser politischen Zielsetzung; Theudebert I. war sich über die Wichtigkeit der Alpengebiete für seine größeren Pläne durchaus bewußt» (Die Alpenpolitik der Franken cit., p. 66). 37 Procopio, in particolare (Bell. Goth. II 25, 7-8, p. 262, tr. it., p. 510), narra un episodio avvenuto nei pressi di Pavia, che vide il massacro di molte donne e bambini dei Goti, i corpi dei quali vennero gettati nel Po, come primizie di guerra, nel corso di un bestiale sacrificio umano (Bell. Goth. II 25, 10, p. 262, tr. it., p. 510). 38 Mar. Avent., Chron. ad a. 539, p. 236 (cfr G. Löhlein, Die Alpen- und Italienpolitik cit., pp. 34-35); celerque reversus ... ipse ad propria repedavit, chiosa la Vita Iohannis Abbatis Reomarensis cit., p. 513. Se il rientro dei Franchi verso la Provenza è scenario da non rigettare, allora si può avanzare l’ipotesi che l’incursione, guidata da Teodeberto, fosse stata concordata con Childeberto, che avrebbe offerto scampo nei suoi territori all’esercito del nipote in ripiegamento. 35 18 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso a Teodeberto39, le cui truppe erano state colpite, come si è visto, da un’epidemia40; ciò non significa, tuttavia, che nel marasma politico-militare in cui si dibatteva l’Italia, qualche piccolo insediamento franco non si fosse già stabilito fin da questo momento, o che non si fossero costruite le condizioni materiali per successive scorrerie e colpi di mano in Italia41. «Les Francs restaient bien maîtres de quelques districts limitrophes, mais les Goths préféraient désormais un arrangement, même défavorable, avec l’empereur à des relations trop proches avec les barbares d’outremonts»42. È dubbio però che i Franchi, con questa loro incusione del 539 si siano spinti fino ai confini della Venetia43. 39 Cfr. E. Stein, Bas-Empire cit., p. 361; «schwere Krankheiten, die einen großen Teil seines Heeres hinrafften, bestimmten ihn zur Rückkehr in die Heimat» (G. Löhlein, Die Alpen- und Italienpolitik cit., p. 35). 40 Vd. Procop. Bell. Goth. II 25-26, pp. 261-269 (tr. it., pp. 509-512). Teodeberto, a causa dell’epidemia e delle minacce di Belisario, «vanished across the Alps with the remainder of his host as speedily as he came, having done nearly as much mischief and reaped as little advantage as Charles VIII, the typical Frank of the fifteenth century, in his invasion of Italy» (Th. Hodgkin, Italy and her Invaders cit., IV, p. 312; F. Beisel, Theudebertus Magnus cit., pp. 75 ss.). Comunque «the episode had little influence on the course of the war» (J.B. Bury, 1923 History cit., II, p. 208). Dalle parole di Procopio (specie Bell. Goth. II 25, 2, p. 261, tr. it., p. 509) è chiaro che esisteva un patto tra Giustiniano e Teodeberto che prevedeva la collaborazione tra Franchi e Impero contro i Goti (cfr. anche Bell. Goth. I 5, tr. it., pp. 356-357): c’è un diffuso sospetto di fides punica che aleggia nelle valutazioni procopiane sulla ripetuta e sistematica violazione dei patti da parte dei Franchi, come si legge anche in un inciso (Bell. Goth. II 25, 2, p. 261, tr. it., p. 509) ove sembra quasi si possa ritrovare il salvianeo gens... Francorum infidelis (vd. Salviani Presbyteri Massiliensis, De gubernatione Dei, IV, 67, in Id., Libri qui supersunt, rec. C. Halm, MGH AA, I, pars I, Berolini 1877, p. 49; cfr. Th. Hodgkin, Italy and her Invaders cit., IV, p. 309, n. 1; una eco sulla infidelitas, e sulla arroganza, dei Franchi si trova persino nel Beowulf, poema anglosassone anonimo dell’VIII secolo d.C., in particolare ai versi 1210-1213, ed. Koch, pp. 104-106, e 2920-2921, ed. cit., p. 248); cfr. anche Ch. Diehl, Giustiniano cit., pp. 590-591; Rubin, Das Zeitalter cit., p. 188 e ancora F. Beisel, Theudebertus Magnus cit., pp. 82-83. Sulla valutazione dei Franchi nelle fonti bizantine vd. qui, infra, § 6. 41 Cfr. in questo senso, G. Pepe, Il Medioevo Barbarico d’Italia [1941], Torino 1963, p. 88. 42 E. Stein, Bas-Empire cit., p. 361; forse G. Löhlein esagera l’importanza delle conquiste dei Franchi in questa fase (Die Alpen- und Italienpolitik cit., pp. 35-37). 43 Tuttavia H. Pirenne scriveva: «dal 539 Teodeberto scende in Italia con un grande esercito e... s’impadronisce della maggior parte della Venezia e della Liguria. Obbligato a ritirarsi a causa delle malattie che decimano le sue truppe, Teodeberto conserva nondimeno una parte della Venezia e vi lascia un duca» (Maometto e Carlomagno cit., pp. 52-53, sottolineatura mia). Il riferimento al duca franco lasciato in Italia da Teodeberto, deriva, a mio avviso da un passo di Paolo Diacono che si avrà modo più oltre di esaminare (Hist. Lang. II 2, p. 76: Buccellino duci... quem... cum Amingo alio duce ad subiciendam Italiam dereliquerat); anche R. Holtzmann ha scritto che «Theudebert ließ Truppen unter den Herzögen Buccelinus, Leutharius und Amingus zurück, um diese Eroberungen zu schützen und zu erweitern» (Die Italienpolitik der Merowinger cit., pp. 11-12). Ci sarà modo, più avanti, di discutere di questi personaggi. 19 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso § 2. La guerra nella Venetia (540) Dopo numerosi sviluppi militari e diplomatici, cui diede il suo contributo anche un’ambigua ambasceria dei Franchi, Ravenna cadde infine nelle mani di Belisario, che vi ottenne la resa del re Vitige e della sua corte, nella primavera del 540 (al più tardi nel mese di maggio)44. I bizantini si spinsero rapidamente nella Venetia, dove capitolarono quasi tutte le piazzeforti gotiche, ivi compresa quella di Treviso (kaÁ ¤q, ”pasi tÅ pistÅ prouymøtata parasxømenoq, Tarb¸siøn te kaÁ <e¬ ti> “llo ®n Benetºoiq ... «ed egli diede a tutti pronte garanzie, e così ottenne Treviso e ogni altro luogo fortificato nel Veneto»45). Dobbiamo quindi ritenere – con la prudenza che va ossevata davanti ad un argumentum e silentio – che allora anche Ceneda cadesse in mano agli imperiali: infatti probabilmente solo Verona e, più in là, Pavia (Ticinum), resistettero ad oltranza, anche perché le truppe bizantine non erano equipaggiate con adeguati mezzi ossidionali. Anzi, di lì a poco, Verona sarebbe divenuta il primo centro della resistenza gota e della ripresa del regno. Dopo la partenza di Belisario dall’Italia per il suo trionfo a Costantinopoli, il comando bizantino dell’area veneta era passato ad un alto ufficiale imperiale, di nome Vitalio. Nel frattempo il nuovo re goto, Ildibald (che comandava, con la piazza di Verona, i Gothi trans Padum resistentes46), «gradually extended his authority over 44 Che in questa circostanza, assieme al re Vitige, fosse condotto a Costantinopoli anche Cassiodoro, ipotizza A. Momigliano, Cassiodorus and Italian Culture of his Time, «PBA» 41, 1955, ora in Id., Secondo Contributo alla Storia degli Studi Classici, Roma 1984, p. 210 (può essere tuttavia che Cassiodoro raggiungesse Costantinopoli da Roma successivamente, nel 546, all’avvicinarsi di Totila; cfr. A. Momigliano, s.v. Cassiodoro cit., p. 498); cfr. ciò che ha scritto di recente Ingemar König: «ca. 538, kurz vor der Kapitulation des Ostgotenkönigs Witigis im Kampf gegen die Byzantiner, gab er dieses Amt auf und übersiedelte vermutlich 540 nach Byzanz» (Theoderich der Große und Cassiodor. Vom Umgang mit dem römischen “Erbe”, in A. Giebmeyer-H. Schnabel-Schüle (curr.), Das Wichtigste ist der Mensch. Festschrift für Klaus Gerteis zum 60. Geburtstag, Mainz 2000, p. 215). Sull’ambasceria dei Franchi cfr. F. Beisel, Theudebertus Magnus cit., pp. 78-79 ss. 45 Procop. Bell. Goth. II 29, 40, p. 288 (tr. it., p. 525); cfr. Th. Hodgkin, Italy and her Invaders, Oxford 2 1896 , IV, p. 337 («most of the other cities of North-eastern Italy which contained Gothic garrisons, Treviso...»); J.B. Bury, History cit., II, p. 213, n. 2; A. Carile, Bellum cit., pp. 169-170 = Società cit., p. 149. A proposito delle fonti sull’antica Treviso si veda anche il modesto contributo di Fluss, s.v. Tarvisium RE IV. A.2 (1932), cc. 2452-2453, che tuttavia non dedica neppure un cenno alla guerra gotico-bizantina. 46 Auctarium Marcellini, a. 540.5, p. 106 (cfr. Iordan., Rom. 378, p. 50); cfr. anche Paul. Diac., Hist. Rom. XII, 12, p. 134 (Gothi Transpadani Heldebadum sibi regem constituunt). Cfr. E. Stein, Bas-Empire cit., pp. 368; 560; e soprattutto 566-567; C.G. Mor, Verona Medievale. dalla caduta dell’Impero al Comune, in AA.VV., Verona e il suo territorio, Verona 1964, p. 13; F. Beisel, Theudebertus Magnus cit., pp. 86-87. 20 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso Liguria and Venetia»47. In particolare, nell’autunno di quello stesso anno 540, venne ripresa Treviso; anzi, proprio nei pressi di questa città fu inflitta una dura sconfitta alle truppe imperiali e anche il loro comandante, Vitalio, dovette sgombrare l’area: «nell’aspra battaglia, che ebbe luogo nei pressi della città di Treviso (pølin Tarb¸sion)48, Vitalio fu duramente sconfitto e dovette fuggire, salvando solo alcuni pochi dei suoi uomini e perdendo sul campo tutti gli altri»49). Di lì a poco però il re Ildibald sarà ucciso: nel caos che ne seguì, un giovane comandante goto e nipote del re, Baduila (che sarà poi detto Totila, cioè lett. ‘immortale’), si trovava a capo proprio della guarnigione della riconquistata Treviso: «questo Totila si trovava allora al comando dei Goti stanziati a Treviso» (t©n ®n TarbhsºÛ “rxvn ®t¥gxanen)50. Egli sarebbe stato sul punto di negoziare la propria resa ai bizantini, scoraggiato dal comportamento dei capi della sua gente: infatti avrebbe proposto al generale bizantino con sede di comando in Ravenna, Costanziano, di consegnare agli imperiali sé, i suoi guerrieri stanziati a Treviso: «appena venne a sapere della morte di Ildibado, come ho già detto, mandò subito a chiedere a Costanziano, che 47 J.B. Bury, History cit., II, pp. 228. Cfr. PLRE III-A, s.v. Ildibaldus, pp. 614-615. Procop. Bell. Goth. III 1, 35, p. 303 (tr. it., p. 538). Cfr. Th. Hodgkin, Italy and her Invaders cit., IV, p. 384 («a great battle followed near Treviso... and this battle was disastrous for the Imperialists. Vitalius himself with difficulty escaped»); e PLRE III-B, s.v. Vitalius 1, pp. 1380-1381 («was the only Roman commander to act against Ildibald... he risked battle near Tarbesium (Treviso) but was defeated by Ildibald with heavy losses and fled»). 49 Una grafia greca di Treviso simile a quella procopiana deve essere stata senz’altro ispiratrice per l’Anonimo Ravennate, che in IV, 30-31, pp. 254-255 e 257 riporta infatti Tarbision e Tribicium (cfr. Fluss, s.v. Tarvisium cit., cc. 2452-2453 e A.N. Rigoni, L’ambito territoriale cit., p. 147): tale grafia ha contribuito, evidentemente, a giocare un brutto scherzo a Hermann Schreiber, che scrive: «Totila, comandante sul Tarvisio, al confine tra l’Italia e il Norico» (Auf den Spuren der Goten, München 1977, tr. it. I Goti, Milano 1981, pp. 228-229; sottolineatura mia); la svista si ripete poi nell’indice, s.v. Tarvisio («al confine settentrionale tra l’Italia e il Norico»), ibid., p. 312. Tornando all’Anonimo Ravennate, alcuni studiosi hanno ritenuto il suo lavoro geografico un’opera greca, tradotta in latino, ma si tratta di un errore di valutazione, «dovuto alla presenza di motivi grecanici in essa, e soprattutto ai grecismi che vi si possono trovare: in realtà quei motivi grecanici e quei grecismi si spiegano con lo stile ‘misto’, diciamo così, della cultura ravennate del VII secolo» (S. Mazzarino, Da Lollianus et Arbetio cit., p. 316). 50 Procop. Bell. Goth. III 2, 7, p. 306 (tr. it., p. 540). Cfr. Th. Hodgkin, Italy and her Invaders cit., IV, p. 388 («at the moment of his uncle’s murder he was in command of the garrison at Treviso»); A. Nagl, s.v. Totila, RE VI A.2 (1937), c. 1829; O. Bertolini, Roma cit., pp. 160 ss. e Id., s.v. Baduila, in DBI, Roma 1963, vol. 5, p. 138; cfr. A. Carile, Bellum cit., pp. 158; 169-170 = Società cit., pp. 137; 148-149; S. Gasparri, Dall’età longobarda al secolo X, in D. Rando-G.M. Varanini (curr.), Storia di Treviso. II. Il Medioevo, Venezia 1991, p. 5. Si può leggere quest’episodio anche in una fortunata storia come la Geschichte der Stadt Rom im Mittelalter [1859 ss.], di F. Gregorovius, tr. it. Storia di Roma nel Medioevo, Roma 1900, pp. 289-291. 48 21 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso era a Ravenna, di dargli garanzie di salvezza in cambio della propria resa ai Romani e di quella dei Goti di presidio a Treviso. Costanziano fu lieto di udire quella proposta e subito acconsentì a tutto ciò che Totila gli aveva chiesto. Fu convenuta per questa transazione la data precisa in cui Totila e i Goti di presidio a Treviso avrebbero dovuto accogliere in città gli inviati di Costanziano e consegnare nelle loro mani se stessi e la città»51. Proprio all’ultimo momento, tuttavia, messaggeri dei nobili goti che si opponevano al nuovo re Erarico, nel frattempo salito al potere, raggiunsero Baduila e lo convinsero a porsi a capo della riscossa gotica. Sappiamo quindi per certo che fu in area veneta, ed in particolare a Treviso52, e, verosimilmente, nei forti e nei castra circonvicini controllati (e non possiamo non pensare nuovamente anche a Ceneta) che prese forma il breve e sanguinoso riscatto bellico dei Goti, almeno fino all’assunzione al trono di Baduila-Totila, nel settembreottobre del 541 ([Gothi] dehinc sibi Baduilam, qui et Totila dicebatur, in regnum praeficiunt53): è possibile che in questo periodo si rafforzassero le difese delle località controllate dai Goti, e che la stessa Ceneta venisse coinvolta in questo rinnovato fervore militare. § 3. Insediamenti dei Franchi in area veneta (fino al 548) La guerra gotico-bizantina continuava con estenuanti cambiamenti di fronte tra i successi di Totila ed il ritorno di Belisario in Italia, nell’estate 54454. Nel frattempo, la prima invasione franca, guidata nel 539 dal re di Austrasia, era stata seguita negli anni successivi da altre penetrazioni, sempre organizzate da 51 Procop. Bell. Goth. III 2, 8-9, pp. 306-307 (tr. it., p. 540). Cfr. O. Bertolini, s.v. Baduila cit., p. 147. Su Constantianus, il comes sacri stabuli, l’ufficiale «qui avait le rang le plus élevé» tra quelli rimasti in Italia dal 540, dopo la partenza di Belisario, cfr. E. Stein, Bas-Empire cit., pp. 345 ss.; 565; 567 e PLRE III-A, s.v. Constantianus 1, pp. 333-334. Sulla specifica carica di comes sacri stabuli cfr. ancora E. Stein, Bas-Empire cit., «Excursus G», pp. 796-798. 52 «Alla fine concordarono tutti insieme di mandare qualcuno da Totila, a Treviso, per invitarlo ad assumere il potere» (t™loq d‚ jymfron¸santeq p™mpoysi parÅ Toytºlan ®q Tarb¸sion... Procop. Bell. Goth. III 2, 11, p. 307; tr. it., p. 540; cfr. V. Bierbauer, Zur ostgotischen Geschichte cit., p. 19); curiosa e singolare è la totale ‘rimozione’ di Treviso dalla ricostruzione dell’avvento di Totila sul trono dei Goti in C.G. Mor, Verona Medievale cit., p. 13. 53 Paul. Diac., Hist. Rom. XII, 12, p. 134. Nel Liber Pontificalis, LXI. Vigilius (Duchesne, I, p. 298, n. 24, p. 301; MGH GPR, I, p. 153) si legge: tunc Gothi fecerunt sibi regem Badua, qui Totila nuncupabatur; cfr. E. Stein, Bas-Empire cit., p. 567 (sulle varianti del nome di Totila cfr. ibid., pp. 567-568, n. 1). 54 Cfr. Procop. Bell. Goth. III 9, 23; 10, 13; 11, 1, risp. pp. 336; 338; 340, tr. it. pp. 558-561; cfr. E. Stein, Bas-Empire cit., p. 577; vd. Auctarium Marcellini, a. 542.2-545.3, p. 107 (questa preziosa fonte, in genere trascurata, si esaurisce purtroppo di lì a poco, con l’anno 548). 22 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso Teodeberto55. Ce ne informa dettagliatamente Procopio: ®peÁ d‚ tÅ Gøtuvn te kaÁ Toytºla kauyp™rtera tˆ pol™mÛ ®g™neto («quando poi Totila e i Goti ebbero la fortuna di riuscire vincitori nella guerra»56), Fråggoi Benetºvn tÅ ple¡sta sfºsi prosepoi¸santo oªdenÁ løgÛ («i Franchi presero sotto il loro controllo la maggior parte della Venetia, senza averne alcun diritto», senza che i Romani fossero in grado di respingerli, o che i Goti avessero la forza di affrontare una guerra con gli uni e con gli altri contemporaneamente)57. Teodeberto, il re dei Franchi, infatti, era riuscito a rendere soggette al pagamento di un tributo alcune città della Liguria, le Alpi Cozie58 e la maggior parte della Venetia (Ligoyrºaq te xvrºa “tta kaÁ =Alpeiq Koytºaq kaÁ Beneti©n tÅ pollÅ oªdenÁ løgÛ)59: «denn noch waren ansehnliche Teile Italiens in gotischen Händen: vor allem das Land nördlich des Po, wo nach einem mit Totila um 545 abgeschlossenen Vertrage auch die Franken größere Gebietsteile innehatten - nämlich von Venetien wahrscheinlich das Land zwischen Etsch [= Adige] und Isonzo (die Küstenstraße war in der Hand der Kaiserlichen), das nördliche Ligurien und die Cottischen Alpen um Susa sowie zahlreiche feste Plätze Mittel- und Süditaliens»60. I Franchi avevano infatti approfittato a proprio vantaggio delle difficoltà degli altri contendenti, e senza colpo ferire si erano impadroniti delle terre che costoro si stavano disputando, anche se non siamo in grado di precisare i tempi di questa penetrazione. 55 Gregorio di Tours non è chiaro o forse è troppo sintetico; scrive dapprima: Theudobertus vero in Italia abiit et exinde multum adquisivit e subito dopo confeziona una notizia che pare mettere insieme tanto l’incursione del 539 quanto le altre successive. Scrive infatti: Buccelenum rursum dirixit, cioè inviò ancora una volta Buccelino, qui, minorem illam Italiam captam, atque in ditionibus regis antedicti redactam, maiorem petit, cioè, una volta conquistata l’Italia settentrionale (minor) per conto di Teodeberto, cercò di impadronirsi anche quella più a sud, più grande e ricca (Hist. Franc. III 32, vol. I, pp. 268-269, da mettere in correlazione con il successivo IV 9, vol. I, p. 299); cfr. F. Beisel, Theudebertus Magnus cit., pp. 87-88. 56 Bell. Goth. III 33, 7, p. 443 (tr. it., p. 624): lo storico si riferisce senz’altro al momento in cui il nord dell’Italia rimase sguarnito a seguito del trasferimento verso il meridione di gran parte delle forze gotiche nell’operazione guidata da Totila, verosimilmente - come vedremo - prima dell’anno 547: eo anno Theudebertus rex magnus Francorum obiit, et sedit in regno eius Theudebaldus filius ipsius (Mar. Avent., Chron. a. 548, p. 236). 57 Bell. Goth. III 33, 7, p. 443 (tr. it., p. 624). 58 Questa provincia comprendeva il territorio dell’attuale Liguria (cfr. E. Stein, Bas-Empire cit., pp. 526527, n. 2). 59 Procop. Bell. Goth. IV 24, 6, p. 617 (tr. it., p. 730); cfr. E. Stein, Bas-Empire cit., p. 526. 60 L. Schmidt, Die letzten Ostgoten, «Abhandlungen der Preußischen Akademie der Wissenschaften phil.-hist. Klasse», 1943, nr. 10, p. 4; F. Beisel, Theudebertus Magnus cit., p. 90. 23 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso In quanto al periodo disponiamo di una lettera scritta dal Papa Pelagio I al patricius Valeriano, che si riferisce a tempore illo quo et Istrias et Venetias tyranno Totila possidente, Francis etiam cuncta vastantibus61. «Theudeberts Truppen müssen sich bereits massiv in Venetien festgesetzt haben (zwischen den Jahren 544 und 546)»62: in ogni caso «ai Goti erano rimaste solo poche fortezze [città fortificate, castra63] nella Venetia»64), tå te ®piualassºdia xvrºa \Rvmaºoiq «e ai Romani le città costiere»: tutto il resto del territorio lo avevano preso in loro possesso i Franchi65. È stato scritto che ai Goti sarebbe restata «la piazzaforte di Verona e così Ceneda e le fortificazioni della parte orientale, il che permetteva loro di bloccare la Postumia su cui del resto convergevano le strade che scendevano dai valichi alpini ben controllati dai Franchi»66, ma io nutro qualche dubbio. In realtà per questo 61 Epistolae Aevi Merowingici Collectae n. 6, in MGH EE, III, pp. 445-447 (settembre 558-560): il passo specifico è a p. 446. Secondo Th. Hodgkin (Italy and her Invaders cit., IV, p. 619) ciò sarebbe avvenuto «probably in the early years of Totila’s heroic reign»; cfr. J. Sundwall, Abhandlungen zur Geschichte des ausgehenden Römertums, Helsingfors 1919, repr. New York 1975, p. 166; secondo G. Löhlein, Die Alpenund Italienpolitik, pp. 8-9, «in die Zeit um 545 fällt die Eroberung Venetiens durch die Franken. Der Kriegszug in das östliche Oberitalien aber setzte den Besitz der nördlich von Venetien gelegenen Gebiete, sowie die Beherrschung der Ostalpen, ...fast ausschließlich die Verbindung zwischen Venetien und dem Frankenreich herstellen konnten, voraus» (e ibid., p. 38: «besonders die Jahre nach 542 scheinen für weitere Eroberungen sehr günstig gewesen zu sein, da Goten und Römer durch die Kämpfe in Mittel- und Unteritalien völlig beansprucht waren und den Franken im Westen der Halbinsel ebensowenig entgegentreten konnten wie in der Provinz Venetien», sottolineature mie). 62 F. Beisel, Theudebertus Magnus cit., p. 102. 63 Sullo specifico tecnicismo polºsma cfr. G. Ravegnani, Kastron e Polis: ricerche sull’organizzazione territoriale nel VI secolo, «RSBS» 1982, pp. 273, n. 16; 276, n. 30 e Id., Castelli e città fortificate nel VI secolo, Ravenna 1983, p. 10, n. 14; sulle diverse tipologie di città, villaggi ecc. nel tardoantico cfr. A.H.M. Jones, The Later Roman Empire cit., pp. 712 ss., tr. it., pp. 957 ss. (vd. inoltre qui la successiva nota 108). 64 Procop. Bell. Goth. IV 24, 8, p. 617 (tr. it., p. 730): «the only important cities which the Goths», scriveva J.B. Bury, «still retainded sem to have been Verona and Ticinum» (History cit., II, pp. 257; cfr. C.G. Mor, Verona Medievale cit., p. 16; V. Bierbauer, Zur ostgotischen Geschichte cit., p. 29). 65 Procop. Bell. Goth. IV 24, 8, p. 617 (tr. it., p. 730); il passo procopiano fa specifico riferimento alle gesta di Teodiberto, ricordate in relazione alla sua morte, avvenuta, come si è detto nel 547: questa situazione così opportunisticamente sfruttata dai Franchi doveva essersi dunque consolidata entro quell’anno. Procopio (Bell. Goth. IV 24, 9-11, pp. 617-618, tr. it., pp. 730-731) così prosegue: «mentre i Romani e i Goti continuavano a battersi tra di loro nella guerra che ho fin qui descritta, senza possibilità di affrontare, in aggiunta, altri avversari, i Franchi erano venuti a trattative coi Goti e avevano concordato che, fino a quando i Goti avessero dovuto seguitare la guerra coi Romani, sarebbero rimasti in pace fra loro, tenendosi ciascuno le proprie conquiste... Se poi Totila avesse avuto la fortuna di sconfiggere in guerra l’imperatore Giustiniano, allora i Goti e i Franchi avrebbero definito la spartizione dei territori nel modo che sarebbe sembrato ad entrambi più conveniente»; sul punto cfr. anche R. Holtzmann, Die Italienpolitik der Merowinger cit., pp. 12-13. 66 Cfr. M. Pavan, Venanzio Fortunato tra Venetia, Danubio e Gallia Merovingica, in «Venanzio Fortunato. Atti del Convegno» cit., p. 13. 24 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso periodo non siamo ben informati sulla sorte delle diverse località e aree della regione veneta, e nemmeno sulla fascia costiera, sul suo sviluppo e sulla sua percorribilità: «über die fränkischen Eroberungen in Venetien fehlen uns alle Einzelheiten»67; possiamo però affermare con un notevole margine di sicurezza che, con Treviso, anche Ceneta dovette passare, in quel periodo, sotto il controllo dei Franchi, i quali probabilmente non ebbero neppure bisogno di combattere per impadronirsene: «bedauerlicherweise kann auch hier nicht festgestellt werden, welche Kastelle von den Franken besetzt waren. Nur von Ceneta wissen wir, daß es fränkisch war»68. Non si può che concordare che l’unica cosa effettivamente sicura sulla Ceneta, di questo periodo, è che si tratta della sola località della Venetia che sappiamo con certezza essere stata sotto il controllo dei Franchi. Ritengo anzi, in particolare, che, in questa fase, Ceneta non abbia subito particolari devastazioni, ma che, anzi, i successivi insediamenti militari, prima quello goto, poi quello franco, ne dovrebbero aver accentuato i caratteri di castrum, cioè di centro fortificato di interesse essenzialmente militare. È importante far discendere l’attacco franco all’area veneta anche dalla direttrice nord/nord-est, dato che il re Teodeberto, proclamatosi signore della Pannonia69, si era effettivamente impadronito di buona parte del Norico70. Non è inopportuno rilevare invece che per i Longobardi, il popolo che gravitava in quell’area, stava per aprirsi allora, proprio grazie alle vicende che qui si descrivono, la prospettiva di una direzione di marcia che, di lì a pochi anni, li avrebbe portati a loro volta - da protagonisti - ad impadronirsi dell’Italia71. 67 G. Löhlein, Die Alpen- und Italienpolitik cit., p. 39. G. Löhlein, Die Alpen- und Italienpolitik cit., p. 40 (sottolineatura mia); cfr. anche H. Büttner, Die Alpenpolitik der Franken cit., p. 66. 69 Cfr. J. Jarnut, Geschichte der Langobarden, Stuttgart-Berlin-Köln-Mainz 1985, tr. it. Storia dei Longobardi, Torino 1995, p. 18. Cfr. Epistolae Austrasicae 20, ed. W. Gundlach, in MGH EE, t. III, pars. III, spec. p. 133, dove, alla n. 5, il curatore scriveva: «Theodebertum regem Pannoniae partibus potitum esse, alias non relatum est» (qui, infra, nota 76); sul limes Pannoniae di cui parla Teodeberto nella sua lettera cfr. F. Beisel, Theudebertus Magnus cit., p. 93. 70 Paul. Diac. Hist. Lang. II 4, pp. 80-82. A. Nagl, s.v. Theodebert I cit., c. 1719, annotava: «er bemächtigte sich Innernorikums und des östlichen Rätiens»; cfr. R. Heuberger, Rätien, cit., pp. 257 ss. 71 Già nel 547-548 i Longobardi avevano ottenuto da Giustiniano la formale autorizzazione ad occupare i territori in precedenza in mano ostrogota, compresi tra la Drava e la Sava, sostenuti dall’Impero anche con cospicui mezzi finanziari (cfr. A.Gasquet, L’Empire cit., p.211; E. Stein, Bas-Empire cit., p.528; G.Tabacco, L’ inserimento dei Longobardi cit., p. 226; J. Jarnut, Storia dei Longobardi cit., p. 19 e F. Beisel, Theudebertus Magnus cit., pp.108-109). Il territorio italiano era campo di battaglia anche per altri contendenti: nell’ambito della guerra tra Longobardi e Gepidi, un pretendente al trono Longobardo, Ildigisal, penetrò con proprie truppe -nel 549- nella Venetia (non sappiamo esattamente da quale direzione, ma forse toccò la parte marittima), e si scontrò con un reparto bizantino che tentava di intercettarlo, mettendolo tuttavia in rotta, per poi dirigersi verso 68 25 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso Osservando gli eventi in un contesto più ampio, non si può non ricordare che il re Teodeberto, con il quale, come è stato scritto, «la conquista franca esprime pretese di egemonia europea»72, costruì per un breve volger d’anni un vasto dominio: anzi «die Eroberung und Beherrschung Italiens war eines der Hauptziele, dem Theudebert im Rahmen seiner imperialistischen Politik, die darauf ausging, an Stelle des römischen Imperiums ein germanisches Weltreich zu setzen, zustrebte»73. Proprio per questo egli non esitò a confrontarsi con successo con una personalità del livello di Giustiniano, con il quale stabilì una corrispondenza ufficiale, in parte conservata74. oriente, verso la terra degli Sclaveni (Procop. Bell. Goth. III 35, 12-22, pp. 455-456, tr. it., pp. 631-632; Paul Diac. Hist. Lang. I 21, p. 40; cfr. Th. Hodgkin, Italy and her Invaders cit., V, p. 122; E. Stein, Bas-Empire cit., pp. 531-533; PLRE III-A, s.v. Ildigisal, pp. 616-617 e PLRE III-B, s.v. Lazarus 2, p. 767: «he was in command of same Roman troops in Venetia when Ildiges (Ildigisal) met and routed them, killing many. For the date, perhaps summer/autumn 549»). 72 G. Pepe, Il Medioevo Barbarico in Europa (1949), Milano 1967, p. 123; E. Stein, Bas-Empire cit., pp. 525-526; G. Tabacco, L’inserimento dei Longobardi cit., pp. 230-231. Sui dettagli della «universelle Politik Theudeberts I.» cfr. specif. G. Löhlein, Die Alpen- und Italienpolitik cit., pp. 41-43. Su questo cfr. anche la valutazione di E. Gibbon, The History of the Decline and Fall cit., vol. II, chap. xxxviii, p. 506, n. 162 e chap. xli, p. 673 («Theodebert of Austrasia, the most powerful and warlike of the Merovingian kings»), tr. it., pp. 1413, n. 1 e 1562; cfr. anche M. Christian Pfister, La Gallia sotto i Franchi Merovingi cit., p. 696 (secondo cui Teodeberto fu «il più brillante dei sovrani di questo periodo»). 73 G. Löhlein, Die Alpen- und Italienpolitik cit., p. 28. «Die Austrasier setzten sich nämlich im Jahr 539 unter ihrem König Theudebert I. ..., den ostgotisch-byzantinischen Krieg ausnützend, für eine Reihe von Jahren in Venetien fest und erlangten sogar von König Totila die vorläufige Anerkennung dieser Erwerbung. Sie müssen sich nun damals, wo nicht schon früher, auch des inneralpinen Rheintals mit dessen seitlichen Verzweigungen, des Bergells, des Engadins und des Vinschgaus, also jener Talschaften bemächtigt haben, die hinfort, zusammen mit dem Misox und dem Puschlav, das seinem räumlichen Umfang nach mit dem Churer Bistumssprengel zusammenfallende Land Churrätien bildeten. Denn dieses Gebiet war das unentbehrliche Verbindungsglied zwischen dem nordwestlichen Venetien und dem fränkischen Alamannien» (R. Heuberger, Rätien, cit., p. 136). 74 Cfr. Epistolae Austrasicae cit., spec. 18, 19 e 20, pp. 131-133. Questi testi appaiono tuttavia di difficile datazione: per di più, nonostante le esplicite indicazioni di provenienza dalla cancelleria di Teodeberto, si è ipotizzato possano essere stati confezionati (almeno in parte) sotto Teodebaldo (cfr. ad es. A. Nagl, s.v. Theodebert I cit., c. 1719, che valuta come Ep. Austras. 19 possa essere tanto di Teodeberto quanto del «Regierung Theodebalds, da das Datum des Briefes etwa auf das J. 550 verlegt wird»; così come in PLRE III-B, s.v. Theodebaldus 1, p. 1228, si legge che anche Ep. Austras. 18 dovrebbe essere ascritta, anziché a Teodeberto, al suo successore (cfr. altresì PLRE III-B, s.v. Missurius, p. 893). Ciò non di meno questa corrispondenza contiene in nuce i criteri ispiratori di quella che fu la spregiudicata politica estera di Teodeberto. Difficile comunque concordare con quanto notava H. Pirenne, sostenendo che «Teodeberto scrive nel modo più umile a Giustiniano» (Maometto e Carlomagno cit., p. 48, n. 175, con rif. ad Ep. Austras. 20); si tratta di una valutazione formalistica e superficiale che deriva da A.A. Vasiliev, Histoire de l’Empire Byzantin, Paris 1932, I, p. 203, n. 2 (che infatti aveva scritto: «la lettre écrite par le roi Théodobert à Justinien, dans laquelle il lui fait savoir très humblement sur quels peuples il règne en Occident»). 26 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso Ebbe anche modo di mostrarsi assai polemico con l’imperatore bizantino: «he was incensed at Justinian’s assumption of the titles Francicus and Alamannicus, with the implication that the Franks and their subjects the Alamanni had been subjugated and were vassals of the Empire»75. Nella già ricordata Epistola 20, indirizzata al Domino inlustro et praecellentissimo Domno et Patri, Iustiniano Imperatore, Teodeberto scriveva: id vero, quod dignamini esse solliciti, in quibus provinciis habitemus aut quae gentes nostrae sint, Deo adiutore, dicione subiecte: Dei Nostri misericordiam feliciter subactis Thoringiis et eorum provinciis adquisitis, extinctis ipsorum tunc tempore regibus, Norsavorum itaque gentem nobis pacata maiestate, colla subdentibus edictis ideoque, Deo propitio, Wesigotis, incolomes Franciae, septentrionalem plagam Italiaeque Pannoniae cum Saxonibus, Euciis [gli Iuti?] qui se nobis voluntate propria tradiderunt, per Danubium et limitem Pannoniae usque in Oceanis litoribus custodiente Deo dominatio nostra porrigetur76. Siamo ragguagliati dettagliatamente dallo storico bizantino Agazia, che «managed to gain access to important and original material»77, e che mostra pertanto di essere assai ben informato circa la situazione italiana ma anche, in particolare, circa quella dei Merovingi78. 75 J.B. Bury, History cit., II, p. 257; cfr. Th. Hodgkin, Italy and her Invaders cit., V, pp. 11-12. Epistolae Austrasicae 20 cit., p. 133: «c’est une sorte de leçon sur la géographie germanique au VIe siècle», come osservava A.A. Vasiliev, Histoire de l’Empire Byzantin cit., p. 203, n. 2 (cfr. F. Beisel, Theudebertus Magnus cit., pp. 91-92). «La dilatazione dei Franchi dall’Oceano ai confini della Pannonia e dal Mare del Nord al Mediterraneo centrale assumeva l’eredità dell’universalismo romano in quella prospettiva occidentale latino-germanica, che si era delineata nella cultura dell’episcopato gallo-romano di fronte alle stirpi germaniche di confessione ariana e di fronte a Bisanzio, con l’interpretazione di Clodoveo come nuovo Costantino dell’Occidente» (G. Tabacco, L’inserimento dei Longobardi cit., p. 231). Il concetto di Re-dominatore, di Re-vincitore, domina la produzione monetaria di Teodeberto, assolutamente eccezionale per un sovrano ‘barbaro’, su cui cfr. A. Nagl, s.v. Theodebert I cit., c. 1718; H. Pirenne, Maometto e Carlomagno cit., p. 96 e spec. F. Beisel, Theudebertus Magnus cit., pp. 98-99. 77 Averil Cameron, Agathias on the Early Merovingians, «ASNP» 37, 1968, p. 96; su questo storico cfr., in generale, anche Ead., Agathias, Oxford 1970, bibliografia ibid., pp. 157-161. 78 Agathiae Myrinaei, Historiarum libri quinque, rec. R. Keydel, Berolini 1967, I 4, 3, p. 14, il quale annota come Teodeberto «avesse ritenuto intollerabile che l’imperatore Giustiniano descrivesse se stesso nei propri editti con la titolatura di Francico, Alamannico, Gepidico, Longobardico e così via, come se avesse sottomesso tutti quei popoli [nella tradizione romana che attribuisce agli imperatori i nomina populorum devictorum]. Prese questo fatto come un insulto a lui personalmente diretto, e ritenne che anche gli altri lo ritenessero parimenti un affronto loro indirizzato». Per questo stesso passo cfr. l’ed. S. Costanza, Messina 1969, p. 20, e l’ed. ingl., Agathias, The Histories, cur. e trad. J.D. Frendo, BerlinNew York 1975, p. 12). Vd. anche E. Gibbon, The History of the Decline and Fall cit., vol. II, chap. xli, p. 675, tr. it., p. 1564, che colloca l’ira del re Franco dopo la disastrosa invasione del 539 e subito prima della morte dello stesso Teodeberto (a. 547), sulla scorta di Agath. I 4, 5-6, pp. 1476 27 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso «With much probability... Agathias may have derived his full and accurate information as to the Franks, and especially as to the Austrasian monarchy, from one of King Sigebert’s ambassadors to Constantinople in the year 566, perhaps from Firminus, one of those ambassadors who was Count of Arverni and belonged to a distinguished Gallo-Roman family»79. È probabile che tra Giustiniano e i Franchi si fosse giunti ad una qualche forma di intesa per cooperare, sul teatro di guerra italiano, contro i Goti. Ciò si evince, oltre che dalla corrispondenza ufficiale tra le due corti80, dal racconto procopiano dell’ambasceria di Leonzio81 che, in missione per conto di Giustiniano, perorò l’alleanza franco-bizantina presso il giovane figlio di Teodeberto, Teodebaldo, ricordandogli amaramente, ma con fermezza, il mancato mantenimento di promesse fatte nel passato82: tramite il suo ambasciatore, Giustiniano chiedeva, in pratica, 15 (tr. ingl., pp. 12-13). Sulle titolature di Giustiniano cfr. S. Puliatti, Ricerche sulla legislazione “regionale” di Giustiniano. Lo statuto civile e l’ordinamento militare della Prefettura africana, Milano 1980, pp. 61-63, n. 5. Agazia, storico e poeta bizantino, originario di Myrina (città dell’Eolide, Asia Minore), visse all’incirca tra il 532 e il 582 e scrisse una storia in cinque libri continuando Procopio dall’anno 552 all’anno 559: si tratta quindi di un lavoro assai dettagliato per un periodo di soli sette anni; una bibliografia su di lui si può leggere in Agathiae Myrinaei, Historiarum libri cit., introduzione, pp. XXXIX-XL; cfr. B. Rubin, Das Zeitalter Iustinians, Berlin 1960, I, pp. 227 ss.; PLRE III-A, s.v. Agathias, pp. 23-25. Agazia «è uno storico scrupoloso ma non ha la stessa sensibilità di Procopio per i problemi militari e spesso indulge al gusto del topos letterario nella descrizione di assedi o battaglie» (G. Ravegnani, Castelli e città cit., p. 92). 79 Th. Hodgkin, Italy and her Invaders cit., V, p. 5, n. 2; cfr. Averil Cameron, Agathias on the Early Merovingians cit., pp. 133-134. Vd. comunque qui, al § 6. 80 Cfr. Epistolae Austrasicae 19 cit., p. 132, ove erano stati ambiguamente promessi tria milia virorum da inviare in rinforzo agli imperiali, ed Epistolae Austrasicae 20 cit., p. 133, nella quale Teodeberto (se si trattava di lui) pregava Giustiniano ut antiquam retroactorum principum amicitiam conservetis, et gratiam, quam sepius promittitis, in communi utilitate iungamur. 81 Cfr. Th. Hodgkin, Italy and her Invaders cit., IV, pp. 620-621; G. Löhlein, Die Alpen- und Italienpolitik cit., pp. 44-45; PLRE III-B, s.v. Leontius 5, p. 775 («in 551 he was sent by Justinian as envoy to Theodebald in Gaul, seeking an alliance against Totila and asking the Franks to withdraw from those parts of Italy previously occupied by Theodebert»). Un passo del discorso di Leonzio è conservato in Suid. A. 1563, ed. A. Adler I, 1, p. 139: |Am™besuai. 82 Cfr. J.B. Bury, History cit., II, p. 258. Teodebaldo, «shortly after his accession... received an embassy ... bringing congratulations from Justinian» (PLRE III-B, s.v. Theodebaldus 1 cit. , p. 1228): tale ambasceria, del 547, comunque precedente di qualche anno quella di Leonzio, era guidata da Giovanni e Missurio (cfr. PLRE III-A, s.v. Ioannes 40, p. 650 e PLRE III-B, s.v. Missurius cit., p. 893). Si veda anche, evidentemente, Epistolae Austrasicae 18 cit., p. 132 (a. 547?), nella quale si affermava: amicitias nostras, quas delectabiliter requiritis, stabiliter, rogamus, studeatis, et quod melius foedere inviolabili permaneant, ab animis vestris, nullis intercedentibus causis, absistant. Sulla successione di Teodebaldo a Teodeberto cfr. Agath. I 4, 7, p. 15 (tr. ingl., p. 13); sul nuovo sovrano merovingio cfr. Th. Hodgkin, Italy and her Invaders cit., V, pp. 13-14 G. Löhlein, Die Alpen- und Italienpolitik 28 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso al nuovo re o, meglio, alla sua corte83, «di volersi ritirare dai territori dell’Italia che Teodeberto, senza averne alcun diritto, aveva pensato bene di occupare»84: quest’ennesimo passo diplomatico, che non fece altro che confermare i Franchi nelle loro opportunistiche decisioni, si può datare al 549-550 o, al massimo, al 55185. Totila, tra il 546 e il 549, dopo aver invano percorso la via diplomatica nei confronti di Giustiniano86, aveva chiesto una figlia in moglie ad uno dei sovrani cit., pp. 44 ss.; A. Nagl, s.v. Theodebald 1, RE V. A.2 (1934), cc. 1714-1715 e PLRE III-B, s. v. Theodebaldus 1 cit., pp. 1227-1228. Sulla data della morte di Teodeberto (a. 547) cfr. E. Stein, Bas-Empire cit., p. 530 e soprattutto, ibid., «Excursus N», pp. 816-817; G. Löhlein, Die Alpen- und Italienpolitik cit., p. 43) preferiva invece assegnare la morte di Teodeberto alla data tradizionale di Mario Aventicense (548). Curiosamente il nome di Teodebaldo non è mai indicato correttamente nella tradizione storiografica Longobarda che assegna al figlio di Teudeberto il nome Scusuald (Origo gentis Langobardorum, 4, p. 4); Chusubald (Historia Langobardorum Codicis Gothani, 4, p. 9) o Cusupald (Paul Diac. Hist. Lang. I, 21, p. 42). 83 «Während seiner Minderjährigkeit lag die ganze Regierungsgewalt in den Händen des domesticus Conda, der schon unter Theudebert das Amt eines hohen Hofbeamten bekleidet und so auch tieferen Einblick in die Staatsgeschäfte erhalten hatte. Dieser Mann wird auch in erster Linie für die italische Politik während der nächsten Jahre verantwortlich zu machen sein» (G. Löhlein, Die Alpen- und Italienpolitik cit., p. 44). Su Conda l’unica fonte resta Venanzio Fortunato, Carm. VII 16 (de Condane domestico), cfr. M. Reydellet (éd.), Venance Fortunat, Poèmes, Paris 1998, tome II, pp. 111-114 e 188, n. 90 («Conda n’est pas autrement connu») e M. Schuster, s.v. Venantius Fortunatus (Venantius 18), RE VIII. A.1 (1955), c. 681; cfr. anche PLRE III-A, s.v. Conda, pp. 330-331 (si tratta dell’eminenza grigia del regno austrasiano, da Teodeberto a Teodebaldo, e poi ancora da Clotario al suo successore, Sigeberto). 84 Procop. Bell. Goth. IV 24, 15, p. 619 (tr. it., p. 731). «Fino a quali limiti questa occupazione si estendesse è difficile precisare, forse a non molta distanza dalla linea litoranea della terraferma» (R. Cessi, Provincia, Ducato, Regnum nella Venetia Bizantina, «AIV» 123, 1964-65, p. 405, n. 2). 85 Cfr. J.B. Bury, History cit., II, p. 258, n. 3; cfr. anche O. Bertolini, s.v. Baduila cit., p. 147. Procopio (Bell. Goth. IV 24, 30, p. 622; tr. it., p. 733) ci informa che, tra la fine del 551 e l’inizio del 552, Teodebaldo inviò una sua ambasceria, capeggiata da Leudardo, per rispondere all’ambasceria di Leonzio (cfr. PLRE IIIB, s.v. Leudardus, p. 786). Questo ambasciatore, «and his colleagues were probably the adressees of the letter from the Milanese Clergy on the religious situation» (ancora PLRE III-B, s.v. Leudardus cit., p. 786; le lettere in MGH EE, III, pp. 438 ss.). 86 Sulla missione a Costantinopoli, nel 546-547, degli inviati di Totila, Pelagio e Teodoro, vd. Procop. Bell. Goth. III 21, 18-25, pp. 393-394 (tr. it., pp. 593-594) e O. Bertolini, Roma cit., pp. 169 ss.; E. Stein, Bas-Empire cit., p. 582; cfr. anche J. Sundwall, Abhandlungen cit., pp. 163; 306 e PLRE III-B, s.v. Theodorus 14, p. 1249 (= Theodorus 24, pp. 1252-1253?); e s.v. Totila, p. 1330. Secondo alcuni studiosi, ad una delle missioni dei Goti a Costantinopoli, a quella del 546-547, già citata, o alla seguente, fallimentare, databile al 549-550, diretta da un romano di nome Stefano (vd. Procop. Bell. Goth. III 37, 6-7, p. 464, tr. it., pp. 636; PLRE III-B, s.vv. Stephanus 11, p. 1186; Totila cit., p. 1331), avrebbe preso parte il poeta Massimiano, se i suoi versi missus ad Eoas legati munera partes | tranquillum cunctis nectere pacis opus etc. (Elegiae V, 1-2 ss., pp. 260 ss.) possono ricordare una di queste vidende diplomatiche, nella cornice di una celebre avventura / disavventura erotica, paradossale e metaforica (cfr. G. Boano, Su Massimiano e le sue Elegie, «RFIC» 27, 1949, p. 203, che propende per il 546, mentre E. Merone, Per la biografia di Massimiano, «GIF» 1, 1948, pp. 348-349 29 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso Merovingi, forse Childeberto; l’approccio del sovrano ostrogoto, che mirava probabilmente a preservare la pace con i suoi vicini occidentali, non ebbe tuttavia successo87, mentre la guerra in Italia continuava con difficoltà fino al richiamo, in quello stesso anno, di Belisario88. Al re Childeberto si rivolse nel 550 il papa Vigilio, attraverso Aureliano, vescovo di Arles, perché esortasse Totila a non danneggiare o mettere in difficoltà la Chiesa Cattolica ed i suoi esponenti89: tuttavia Childeberto si guardò bene dall’intervenire nelle vicende italiane. Ancora nel 551 Totila aveva inviato ambasciatori a Giustiniano avanzando proposte di pace e lamentando come ormai solo la Sicilia e la Dalmazia fossero restate indenni dalla guerra, e i Goti erano disposti a cederle all’Impero, mentre i Franchi avevano proditoriamente occupato gran parte dell’Italia90. § 4. Verso la conclusione della guerra gotico-bizantina Nella primavera del 552, Totila era convinto che Narsete, il quale intanto aveva sostituito al comando Belisario sul fronte della guerra italiana91, avrebbe scelto il percorso terrestre, puntando direttamente su Verona, come aveva fatto – a suo tempo – il grande Teodorico, dopo aver battuto Odoacre sull’Isonzo. Nell’eventualità, invece, che i bizantini avessero scelto di effettuare operazioni marittime, Totila riteneva che, senza distogliere truppe dagli altri scacchieri nella penisola, gli sarebbe bastato uno schieramento relativamente leggero per rintuzzare l’altro gli eventuali sbarchi, quando e dove si fossero verificati. Per questo incaricò un giovane e valoroso comandante, di nome Teia, di organizzare comunque una linea di difesa, con caposaldo strategico e operativo incardinato proprio su e L. Alfonsi, Sulle Elegie di Massimiano, «AIV» 101, 1941-42, p. 349, propendono per il 549; cfr. anche, in gen., F. Bertini, Boezio e Massimiano, in Atti del Congresso Internazionale di Studi Boeziani, Pavia 5-8 ottobre 1980, Roma 1981, spec. pp. 281-283; e il più generico J. Sundwall, Abhandlungen cit., p. 139, che scriveva: «nach Konstantinopel geschickt... wohl zu Totilas Zeit». Più sfumata la datazione in PLRE II, s.v. Maximianus 7, p. 740). 87 Vd. Procop. Bell. Goth. III 37, 1, p. 463 (tr. it., pp. 636); cfr. E. Stein, Bas-Empire cit., p. 587. 88 Cfr. E. Stein, Bas-Empire cit., pp. 589 ss.; dell’affanno che mostrava il governo bizantino nella gestione della guerra contro i Goti, sotto la guida di Belisario, resta la velenosa polemica di Procopio (Historia quae dicitur Arcana, in J. Haury-G. Wirth (edd.), Lipsiae 1963, vol. III, §§ 4-5, pp. 29-32, trad. it. cur. da F.M. Pontani, Roma 1972, pp. 42-51). 89 Epistolae Arelatenses n. 45, pp. 66-69. 90 Vd. Procop. Bell. Goth. IV 24, 3-5, pp. 616-617, tr. it., p. 730. Sul dettaglio degli eventi della guerra gotica tra 545 e 552, cfr. comunque E. Stein, Bas-Empire cit., pp. 577 ss.; Rubin, Das Zeitalter cit., p. 196. 91 Vd. Liber Pontificalis, LXI. Vigilius (Duchesne, I, p. 299 e n. 27, p. 301; vd. anche Io. Mal., Chron. XVIII, 110, p. 412 (=ed. Dindorf, pp. 484-485) e Cedren., Hist. Comp. I, 659, 4-6); cfr. E. Stein, Bas-Empire cit., pp. 597 ss.; PLRE III-B, s.v. Narses 1 cit., pp. 916 ss. e F. Beisel, Theudebertus Magnus cit., p. 121. 30 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso Verona92. Ma Narsete, proveniente da Salona93, «giunto ai confini del Veneto, mandò un messaggero ai comandanti dei Franchi, che erano a capo dei presidi militari nelle varie città fortificate di quella regione, chiedendo che lasciassero libero passaggio alle sue truppe, come amici e alleati». Le parole di Narsete sembrano echeggiare una preesistente situazione pattizia, al rispetto della quale il comandante bizantino doveva essersi riferito, ma «quelli risposero che non potevano per nessuna ragione permettere ciò a Narsete, non ne rivelarono però il motivo, anzi tennero ben nascosto che era interesse dei Franchi sbarrare il passo ai Romani, data la loro a micizia con i Goti, e accamparono invece un pretesto non molto plausibile»), e cioè Œti dÓ Laggobårdaq toÂq sfºsi polemivtåtoyq... ®pagømenoq Ìkei («che egli conduceva con sé anche dei Longobardi, che erano loro nemici»94). L’alternativa che Narsete aveva di fronte a sé consisteva infatti nel decidere tra forzare il sistema difensivo messo in opera da Teia, che sfruttava anche le caratteristiche del terreno, e far sfilare il suo esercito lungo il litorale: Narsete optò per il percorso costiero, «superando le difficoltà dovute alle condizioni precarie dei passaggi fluviali lungo la vecchia via Annia»95 92 Procop. Bell. Goth. IV 26, 21-22, pp. 633-634 (tr. it., p. 739); E. Gibbon, The History of the Decline and Fall cit., vol. II, chap. xliii, p. 753, tr. it., p. 1637; Th. Hodgkin, Italy and her Invaders cit., IV, p. 626; J.B. Bury, History cit., II, p. 262. Cfr. A. Nagl, s.v. Theia, RE V. A.2 (1934), c. 1603; Ead., s.v. Totila cit., c. 1836 e PLRE III-B, s.v. Theia, p. 1224. Cfr. anche C.G. Mor, Verona Medievale cit., p. 16, che sembra riservare, oltre che a Verona, anche a Treviso, un ruolo strategico nell’impianto difensivo di Teia: ma forse c’è qualche confusione con il ruolo rappresentato da Treviso al tempo di Totila. Vd. supra nota 52. 93 Vd. Theoph., Chron. A.M. 6043, p. 227 De Boor (= 352 B); Anastas., Chron., p. 144, 17-20 De Boor; cfr. A. Lippold, s.v. Narses 13a, RE Supplbd. XIII (1970), cc. 875-876 (sulla partenza delle truppe imperiali guidate da Narsete ). 94 I passi greci sono tratti da Procop. Bell. Goth. IV 26, 18-19, pp. 632-633 (tr. it., p. 739); cfr. E. Stein, Bas-Empire cit., pp. 534; 600-601. Così chiosa Th. Hodgkin il ‘pretesto’ addotto dai Franchi: «the real reason for this hostile procedure was that for the moment it seemed a more profitable course to keep, than to break, the oaths which the Franks had sworn to the Goths» (Italy and her Invaders cit., IV, p. 625; cfr. anche R. Holtzmann, Die Italienpolitik der Merowinger cit., p. 16). L’esercito di Narsete era costituito da contingenti di diverse nazionalità, tra cui anche tremila Eruli i quali, dopo la guerra, saranno stanziati nel Trentino per assicurare la difesa di quel territorio di confine; cfr. V. Bierbauer, Zur ostgotischen Geschichte cit., p. 34. Per l’alternanza della denominazione dei Longobardi in greco cfr. anche Suid. Lex., ed. A. Adler cit., L 21e L 642, vol. I, 3, risp. pp. 226 e 278. 95 Cfr. M. Pavan, Venanzio Fortunato tra Venetia, Danubio e Gallia cit., p. 14. Sulla via di accesso scelta da Narsete cfr. R. Cessi, Provincia cit., p. 405, n. 2; C.G. Mor, Da Roma a Carlo Magno: vicende politiche tra Piave e Livenza, in «Le origini del Cristianesimo tra Piave e Livenza» cit., p. 13; G. Rosada, La direttrice endolagunare e per acque interne nella decima regio maritima: tra risorsa naturale e organizzazione antropica, in La Venetia nell’area Padano-Danubiana cit. (1990), p. 159, per rinvii ai passi procopiani qui citati; cfr. anche O. Bertolini, Roma cit., p. 183; A. Nagl, s.v. Theia cit., c. 1603; S. Mazzarino, Per una storia delle Venezie cit., p. 257. C.G. Mor sostiene che i Franchi avrebbero negato il passaggio agli imperiali «per la pianura, lungo la Postumia (la litoranea Annia era già sommersa)» (Verona Medievale cit., p. 16). 31 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso e varcando le lagune ve nete, rimaste evidentemente sotto il controllo imperiale, dove kathkøvn sfºsin œntvn «gli abitanti erano tutti sudditi fedeli»96. Totila era al corrente degli ultimi eventi veneti, e le notizie della veloce avanzata di Narsete lungo il litorale a sud dell’Adige, che smentivano le sue previsioni, sconvolsero i suoi piani. L’invio di Teia a Verona si era rivelato – per i Goti – una mossa errata, perché aveva lasciato sguarnita al nemico la via per Ravenna, e gli aveva altresì offerto la possibilità di tagliare in due lo schieramento gotico, separando il re dalla parte migliore delle sue forze. Si può ritenere che a quel punto, per propria autonoma scelta o per ordine superiore, Teia decidesse, in pratica, di abbandonare la Venetia, lasciando senza difesa città e fortificazioni, mettendosi alla testa delle sue residue forze per raggiungere Totila, acquartierato nella vicinanze di Roma. I territori veneti finirono allora ancor di più sotto la pressione dei Franchi esclusa sempre, forse, l’area veronese. Ma Totila, come sappiamo, fu di lì a poco sconfitto nella battaglia di Busta Gallorum (fine giugno 552)97 e, a quel punto Narsete poté intraprendere la riconquista dell’Italia liberandosi per prima cosa del contingente ausiliario di Longobardi, divenuto sempre più ingombrante e pericoloso persino per quelle così terribili contingenze: «prima di tutto pose fine al deprecabile comportamento dei Longobardi che militavano nell’esercito, perché essi, superando la loro consueta inciviltà di modi, ora si erano messi ad appiccare il fuoco a tutti gli edifici che trovavano e a violentare le donne, trascinandole via dai santuari in cui si erano rifugiate. Egli se li propiziò con molti ricchi doni e li convinse a tornare in patria, dando ordine a Valeriano e a Damiano, suo nipote, di scortarli coi propri soldati, per impedire che facessero danni a qualcuno lungoil cammino»98. Il contingente longobardo venne quindi “accompa96 Procop. Bell. Goth. IV 26, 24, p. 634 (tr. it., p. 740); cfr. PLRE III-B, s.v. Narses 1 cit., p. 917. Procop. Bell. Goth. IV 32, 7-21, p. 652-654 (tr. it., p. 753-756); Narses eunuchus ex praeposito patricius Totilanem Gothorum regem proelio apud Italiam mirabiliter superat ac perimit et omnes eius divitias tollit (Victoris Tonnenensis Episcopi, Chronica ad a. 554, 4, p. 203); vd. Mar. Av. Chronica ad a. 553 e 568, pp. 236 e 238; Additamenta ad Chronica Minora (isidoriana), in Chronica Minora II cit., p. 503; Agnellus Rav., lib pont. 62, in O. Holder-Egger (ed.), Agnelli qui et Andreas Liber Pontificalis Ecclesiae Ravennatis, MGH SS. rer. Lang., Hannoverae 1878, p. 322; Paul. Diac. Hist. Rom. XVI 23, p. 135; Beda Chron. 522, ed. Th. Mommsen, MGH AA, XIII =Chronica minora III, Berlin 1898, repr. München 1981, p. 308; e anche gli Additamenta ad Chronica Bedana, ibid., p. 334; Io. Mal., Chron. XVIII, 116, p. 415 (=ed. Dindorf, p. 486); Theoph., Chron. A.M. 6044, p. 228 De Boor = 354 B; Cedren., Hist. Comp. I, 659, 17). Cfr. J.B. Bury, History cit., II, pp. 258-269; O. Bertolini, s.v. Baduila cit., pp. 148-149; E. Stein, Bas-Empire cit., pp. 601-602; Rubin, Das Zeitalter cit., p. 196; A. Lippold, s.v. Narses cit., c. 876; PLRE III-B, s.v. Narses 1 cit., pp. 917-918. 98 Procop. Bell. Goth. IV 33, 2, pp. 661-662 (tr. it., p. 757; molto più edulcorato Paul. Diac. Hist. Lang. II 1, p. 76). Cfr. anche E. Gibbon, The History of the Decline and Fall cit., vol. II, chap. xliii, pp. 753-755, tr. it., pp. 1636-1637; G.B. Bognetti, Santa Maria cit., p. 201; E. Stein, Bas-Empire cit., p. 602; C.G. Mor, Bizantini e Langobardi sul limite della Laguna, «AAAd» 17, 1980, p. 232; N. Christie, The Lombards. The Ancient Lombards, Oxford UK-Cambridge USA 1995, tr. it. I 97 32 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso gnato” verso il confine nordorientale da truppe imperiali: in quella circostanza i bizantini tentarono di porre l’assedio a Verona, ancora in mano ai Goti99, e si giunse anche ad un preliminare di trattativa tra assediati ed assedianti: Ÿ dÓ Fråggoi mauønteq, Œsoi froyrÅn ®q tÅ ®pÁ Benetºaq xvrºa... («ma i Franchi, che erano acquartierati in altri centri del Veneto, venuti a conoscenza di questi negoziati, si intromisero in ogni modo per impedirli, reclamando il diritto di disporre essi di tutta la regione in quanto appartenente a loro»100). Teia, ritornato precipitosamente al nord e proclamato re come successore di Totila (et levaverunt super se Gothi regem nominem Teia in Ticino102), si diede a sua volta da fare per cercare di «attirare i Franchi in un’alleanza militare» contro i bizantini, senza tuttavia successo101; anzi, «persa ogni speranza riguardo ai Franchi»103, tornò a Sud, pose in assetto di guerra le sue truppe a Cuma, e si mise in marcia per affrontare Narsete. La Venetia rimase così nuovamente, sia pure per un periodo abbastanza breve (estate-fine 552), pressoché in balìa degli eventi104. Noi sappiamo tuttavia che, alla morte di Teia, Longobardi. Storia e Archeologia di un popolo, Genova 1997, p. 47; PLRE III-B, s.v. Narses 1 cit., p. 919. È chiaro che quei Longobardi, guidati dal loro re Auduin, una volta entrati, al seguito dei bizantini, nell’Italia settentrionale avevano preso buona nota di luoghi, difficoltà e possibilità e che questa loro ‘ricognizione’ non sarebbe risultata vana: si può leggere il già citato Paul. Diac. Hist. Lang. II 1, p. 76, ove Auduin è confuso con suo figlio e successore Alboin; cfr. anche, in gen., A Gasquet, L’Empire cit., p. 212; Th. Hodgkin, Italy and her Invaders cit., V, pp. 132 ss.; P. Delogu, Il regno longobardo, in P. Delogu-A. Guillou-G. Ortalli, Longobardi e Bizantini (Storia d’Italia, Torino 1980, vol. I), pp. 12-13 e PLRE III-A, s.v. Audoin, pp. 152153. 99 Vd. Procop. Bell. Goth. IV 33, 3, p. 662 (tr. it., p. 757). «Now, however, the Frankish generals appeared upon the scene, and in the name of their master forbade Verona to be reunited to the Empire. Owing to the number of fortresses which they now held in Upper Italy, the considered all the land north of the Po to be in fact Frankish territory, and would suffer no city within its borders to surrender to the generals of Justinian» (Th. Hodgkin, Italy and her Invaders cit., IV, p. 647; cfr. anche C.G. Mor, Verona Medievale cit., p. 16; PLRE III-B, s.v. Valerianus 1, spec. pp. 1360-1361). 100 Procop. Bell. Goth. IV 33, 7, p. 662 (tr. it., p. 757); cfr. E. Stein, Bas-Empire cit., p. 602. 101 Agnellus Rav., lib pont. 62, p. 322; cfr. C.G. Mor, Verona Medievale cit., p. 16. 102 Procop. Bell. Goth. IV 33, 7, p. 662 (tr. it., p. 757); Agath. I 5, 2-ss., pp. 15-16 (tr. ingl., pp. 13-14). «Teias accordingly strained every nerve to obtain a cordial alliance with the Franks, without which he deemed it impossible to meet Narses in the open field. The royal treasure in the stronghold of Pavia was all expended in lavish gifts to Theudibald and his Court in order to obtain this alliance. The Franks took the money of the dying Gothic nationality, and decided not to give it any assistance, but to let Emperor and King fight out their battle to the end, that Italy might fall an easier prey to themselves» (Th. Hodgkin, Italy and her Invaders cit., IV, pp. 647-648). 103 Procop. Bell. Goth. IV 34, 21, p. 670 (tr. it., p. 761); cfr. PLRE III-B, s.v. Narses 1 cit., pp. 919-920. 104 Purtroppo con la metà del 552 viene meno una fonte come Procopio, per noi preziosissima: comunque, di un ritorno dei Goti, subito dopo la sconfitta di Teia, alle loro guarnigioni venete narra esplicitamente Agazia, come, tra breve, avremo modo di vedere. 33 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso eliminato dall’offensiva bizantina scatenata da Narsete105, i Goti, non essendo più in grado di darsi un sovrano, seppero comunque mantenere un embrione di autonoma organizzazione statuale, che provvide a riorganizzare le loro scarse forze ed a difendere i loro residui insediamenti, collocati lungo la penisola come rade macchie di leopardo106. Una parte di quei Goti, in particolare, che avevano seguito Teia al sud, avevano deciso di fare ritorno nelle loro ‘guarnigioni’ venete. Secondo Agazia, infatti107 quelli al di là del Po (quelli, cioè, ®ktØq Pådoy) «si dispersero verso la Venetia raggiungendo fortezze e città dove in precedenza erano vissuti»108. Tra 105 Cfr. J.B. Bury, History cit., II, pp. 270 ss.; E. Stein, Bas-Empire cit., pp. 603-604. Cfr. anche A. Nagl, s.v. Theia cit., c. 1604; A. Lippold, s.v. Narses cit., cc. 878-879; Rubin, Das Zeitalter cit., p. 197 e PLRE IIIB, s.v. Theia cit., p. 1224. 106 Cfr. V. Bierbauer, Zur ostgotischen Geschichte cit., pp. 20 e 29. Conosciamo, ad es., da Procopio, il nome di uno dei loro comandanti, Indulf (|Indo¥lf: vd. Bell. Goth. III 35, 29 e IV 35, pp. 457 e 677-678, tr. it., pp. 633 e 766) che si rifugiò con un migliaio dei suoi a Ticinum (Pavia); su di lui cfr. anche L. Schmidt, Die letzten Ostgoten, cit., p. 5; cfr. E. Stein, Bas-Empire cit., p. 604 e PLRE III-A, s.v. Indulf, p. 619 107 I 1, 6, p. 10; tr. ingl., p. 9. 108 Cfr. L. Schmidt, Die letzten Ostgoten, cit., pp. 5-6. La specifica espressione fro¥ria kaÁ polºsmata, che il traduttore inglese di Agazia rende con «dispersed in the direction of Venice and the garrisons and towns of that region, where they had previously lived» (tr. ingl., p. 9) è intesa in italiano, forse affrettatamente, con «castelli e castelletti» da C.G. Mor (Bizantini e Langobardi cit., p. 233, ove è segnato, per errore, un pol™smata). La traduzione di C.G. Mor del passo agaziano sopra citato deriva dalla traduzione latina dello storico bizantino proposta nel Corpus Bonnense , ed. 1878, p. 16: in castellis et oppidulis (cfr. ancora C.G. Mor, Da Roma a Carlo Magno: vicende politiche tra Piave e Livenza cit., p. 13). Se si prescinde da scrittori tecnici, come Vegezio (IV sec. d.C. ex.) che tuttavia registra ancora castrum/castra nel significato originario di ‘accampamento militare fortificato (non necessariamente permanente)’, e che ad esempio distingue correttamente tra urbs (e civitas) e castellum (vd. es. Epit. III 3, p. 70; III 4, p. 72; III 8: sive illae civitates sint sive castella murata, p. 85; cfr. Iohannes Lyd. de mag. II, 6, p. 60, r. 15), c’è confusione nelle stesse fonti latine proprio tra castrum e castellum (es. Cassiodoro Var. I 17, 1 e I 17, 3; III 48, 1 e III 48, 2; cfr. W. Kubitschek, s.v. Castellum, in RE III.2, 1899, cc. 1755-1756), come pure in una fonte bizantina più tarda come Io. Mal., Chron. XII, 34, p. 233; 40, p. 237; XIII, p. 253; XVIII, 66, p. 392 (=ed. Dindorf, risp. pp. 303, 1; 308, 17; 329, 6; 469, 7 e 13); cfr. G. Ravegnani, Kastron e polis cit., p. 273, n. 16. Il termine greco un po’ impreciso fro¥rion vanta comunque ascendenze classiche (lo si legge ad esempio in Strabone V 1, 9 per definire la città di Tergeste (hod. Trieste): fro¥rion Terg™stai) ed avrebbe indicato al tempo di Agazia, qualcosa di assai simile al latino castellum (cfr., as es., Procop. de aed. II 5, 9, p. 62; cfr. F. Dölger, Die frühbyzantinische und byzantinisch beeinflusste Stadt (V.-VIII. Jahrhundert), in «Atti del III Congresso internazionale di Studi sull’Alto Medio Evo», Spoleto 1959, pp. 7072), ma anche, nella sua genericità, ciò che in latino si sarebbe, allora, definito castrum, cioè un luogo fortificato di dimensioni più ragguardevoli (cfr. G. Ravegnani, Kastron e polis cit., p. 273 e Id., Castelli e città cit., p. 10, n. 14); pølisma è peraltro un sinonimo di pøliq, e solo in senso letterale va inteso come ‘città’ (cfr. ad es., la definizione di Cuma: pølisma d‚ |ItalikØn in Agazia I 8, 2, p. 20; tr. ingl., p. 16; vd. anche Theopyl. Sim. Hist. III, 10, 6, p. 130 su cui cfr. ancora F. Dölger, Die frühbyzantinische Stadt cit., p. 72, n. 19, e ancora G. Ravegnani, Kastron e polis cit., p. 273, n. 16; vd. anche le varianti polismåtion 34 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso queste guarnigioni è assai probabile vada annoverata quella di Treviso109, ma non certamente quella di Ceneta, che dovette restare saldamente in mano Franca, come sappiamo grazie allo sviluppo delle vicende successive110. Ancora Agazia ci ragguaglia su un estremo tentativo diplomatico, nello steso tempo disperato e spregiudicato, presso i Franchi, messo in atto dai Goti, verosimilmente dopo aver valutato, in un primo tempo, l’opportunità di rivolgersi a tutti e tre i sovrani merovingi111. Si decise infine di mandare ambasciatori al solo Teodebaldo in quanto le sedi degli altri due sovrani erano troppo lontane. Questa scelta tuttavia non venne condivisa da tutti i Goti (oª mÓn ”pan ge tØ ‘unoq), ma solo da coloro che vivevano al di là del Po (mønoi d‚ ... ®ktØq Pådoy potamo†). L’espressione “quelli ®ktØq in Michele Psello, Chronogr. VII b 34, p. 350, ptølisma, ibid. VII b 32, p. 350 e nell’equipollenza di Suid. Lex., P 3043, ed. A. Adler, I, 4, p. 255). Siamo infatti in un frangente storico in cui sembra «esaurirsi progressivamente la stessa idea di città, almeno nei suoi connotati consueti» (G. Ravegnani, Castelli e città cit., pp. 15-16), ma, nello stesso tempo, «oltre ai forti militari in senso stretto le fonti ricordano come ‘castelli’ anche gli insediamenti civili» i quali, «per comodità possono essere definiti ‘castelli-città’. Questi sorgevano di preferenza all’interno del territorio e avevano quali caratteristiche peculiari la presenza di un nucleo di popolazione civile e di una cinta muraria» (ibid., p. 19); peraltro «un indizio indiretto dello snaturamento dell’idea di città pare rilevabile anche dalla confusione terminologica fra pøliq e fro¥rion che vengono usati come sinonimi nelle fonti. Il fenomeno, più avvertibile in Agazia, si accentua con Teofilatto Simocatta» (ibid., p. 16, n. 34; cfr. Id., Kastron e polis cit., p. 282; cfr. F. Dölger, Die frühbyzantinische Stadt cit., p. 72, n. 21). Per Agazia si consulti comunque il preziosissimo index verborum dell’ed. S. Costanza cit., p. 356 (per pøliq e pølisma) e pp. 361-362 (per fro¥rion). 109 Che Tarvisium facesse parte delle «roccheforti gotiche», come Verona e Tridentum, nella Venetia occupata dai Franchi, è sostenuto da A. Carile, Bellum cit., p. 175 = Società cit., p. 154; tuttavia, a parere di G. Löhlein, anche «Verona ging in fränkischen Besitz über, ohne daß Goten und Byzantiner es verhüten konnten» (Die Alpen- und Italienpolitik cit., p. 45); secondo C.G. Mor, ci sarebbe stato «un accordo fra il presidio Goto e i Franchi nel senso di far passare Verona, con quanto sopravviveva di contingenti Goti, sotto il controllo diretto del re di Austrasia» (Verona Medievale cit., p. 17; cfr. anche pp. 19-20). Per parte mia credo che Verona sia ininterrottamente rimasta in mano dei Goti. 110 Evidentemente destituita da ogni fondamento la notizia non documentata rinvenibile in due lavori assai risalenti, F. Ughelli, Italia Sacra sive de Episcopis Italiae et Insularum Adjacentium, Venetiis 1720, V, c. 170 e G. Moroni, Dizionario di erudizione Storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni, Venezia 1841, vol. XI, p. 72 (s.v. Ceneda), secondo la quale Ceneda sarebbe stata distrutta da Totila; peraltro, anche più recentemente, si è continuato a scrivere, di Ceneta, che «la localité fut détruite lors des conquêtes byzantines», sempre senza rinvio alcuno a fonti verificabili (cfr. L. Jadin, s.v. Ceneda cit., c. 136; per non parlare delle fantasiose notizie riportate da V. Botteon, Un documento prezioso cit., pp. 70-73, sul padre di Totila, distruttore lui di Ceneda, e non il figlio, ecc., totalmente prive di fondamento documentale, anche se assai fortunate, riprese come sono state da altri studiosi successivi che non si sono presi la briga di consultare fonti o studi accreditati). 111 I 5, in., p. 15; tr. ingl., p. 13; per le successive citazioni vd. ancora Agath. I 5, 2, p. 15, tr. ingl. p. 13. 35 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso che la traduzione inglese rende con «those living beyond the Po»112, potrebbe essere ancor meglio resa in italiano con «quelli a nord del Po»: Agazia infatti, nel passo appena citato, distingueva appunto tra i Goti, quelli m‚n aªt©n e¬sv to† Pådoy, cioè al di qua (cioè a sud) del Po, che si diressero in Toscana e in Liguria, e quelli d‚ ®ktøq, cioè al di là (cioè a nord) del Po, che rientrarono nella Venetia: letteralmente si tratta di espressioni tipo ‘fuori’ = ®ktøq, e ‘dentro’ = e¬sv, laddove la linea di demarcazione rappresentata dal grande fiume indicava per l’osservatore (in particolare per l’osservatore di parte bizantina) un dentro, al di qua del Po (a sud), e un fuori al di là (verso nord). Si creò perciò una frattura tra i Goti, che vedeva quelli della Venetia (comunque i Goti che ancora controllavano Verona e Ticinum) interessati a che un aiuto esterno (in una sorta di speranzoso richiamo al ‘sistema teodericiano’ di equilibrio tra i potentati germanici113) potesse ancora ribaltare la situazione, mentre tutti gli altri si mostravano timorosi di ciò che il futuro, e soprattutto la capricciosità della sorte, poteva ancora recar loro, decidendo prudentemente di attendere lo sviluppo degli eventi e porsi dalla parte del vincitore (paradoko†nteq m‚n kaÁ diapynuanømenoi tÅ poio¥mena, boyleyømenoi d‚ t©n krato¥ntvn gen™suai114). Sul trono austrasiano -come si è già detto- sedeva in quel momento Teodebaldo, giovane figlio di Teodeberto e di una principessa gepida, e recente sposo di Vuldetrada, figlia a sua volta del re dei Longobardi, Wacho115: Pådoy” 112 Th. Hodgkin scriveva: «I suppose that ®ktøq here means ‘beyond’ from the point of view of a dweller in Rome» (Italy and her Invaders cit., V, p. 14, n. 1). 113 Non è inopportuno riportare alcune delle valutazioni politiche sul regime teodericiano cui partecipò attivamente Cassiodoro, e sul suo sistema di amicizie, sudditanze e persino ‘solidarietà internazionali’, che fece forte l’Italia ostrogota: Iord. Get. 296 (p. 131: nunquamque Gothus Francis cessit, dum viveret Theodoricus, ove si riflette chiaramente il successivo rovesciamento dei rapporti di forza); Get. 303 (p. 136: nec fuit in parte occidua gens quae Theodorico, dum adviveret, aut amicitia aut subiectione non deserviret) e, soprattutto, l’Anonimo Valesiano II, 70 (ed. J. Moreau, Excerpta Valesiana, Lipsiae 1968, p., 29: et sic sibi per circuitum placavit omnes gentes); cfr., in ogni caso, B. Saitta, La Civilitas di Teoderico cit., pp. 46 ss.; 141-142; sul tentativo teodericiano di costituire una sorta di solidarietà internazionale contro l’imperialismo franco, coinvolgendovi quanti più popoli possibile cfr. ancora ibid., p. 48, n. 108. 114 Agath. I 5, 2, p. 15 (tr. ingl., p. 13: «not that the others were not delighted at their attempt at subverting the established order, but being overawed by the uncertainty of the future, and fearful of the capriciousness of fortune they suspended judgment, and kept a wary eye on events, since they were determinated to be on the winning side»). Il passo agaziano è stato letto anche nell’edizione S. Costanza cit., p. 23 e questa infatti riporta il termine corretto paradoko†nteq anzichè karadoko†nteq come risulta invece presumibilmente per un errore, nell’ed. R. Keydell di riferimento. 115 Cfr. J. Jarnut, Storia dei Longobardi cit., p. 17 e PLRE III-B, s.v. Theodebaldus 1 cit., p. 1228; cfr. anche PLRE III-B, s.v. Vaces (Wacho), p. 1350 e s.v. Vuldetrada, pp. 1396-1397; vd. Origo Gentis Langobardorum, 4., p. 4: et habuit Wacho de Austrigusa filias duas, nomen unae Wisigarda, quam tradidit in matrimonium Theudiperti regis Francorum, et nomen secundae Walderada, quam habuit uxorem Scusuald [= Teodebaldo, cfr. qui, supra, nota 82], rex Francorum, quam odio habens, tradidit 36 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso ricordo che egli aveva già fatto negare già a Teia l’aiuto richiesto, in quanto, a detta di Procopio, «i Franchi, pensando alla propria convenienza... non erano disposti a morire né per fare l’interesse dei Goti, né tanto meno quello dei Romani, ma piuttosto aspiravano a impadronirsi essi stessi dell’Italia, e solamente a questo fine sarebbero stati disposti a sottoporsi ai rischi di una guerra»116. Comunque l’ambasceria di quelli che potremmo chiamare ‘i Goti della Venetia’ si presentò al re Teodebaldo nei primi mesi del 553 e illustrò a lui ed alla sua corte, con dovizia di spunti storici e giuridici, il diritto della nazione gota a vivere laddove Teodorico aveva fondato il suo regno, peraltro su esplicita autorizzazione imperiale. Gli ambasciatori Goti richiesero senza indugi un intervento militare dei Franchi lanciando anche fosche previsioni sul futuro degli stessi Franchi, minacciati dai Romani (=dai Bizantini) secondo una tradizione da farsi risalire a Mario e a Cesare117. Il discorso, di certo ricostruito ed abbellito retoricamente da Agazia, mostra qualche interesse e probabilmente indica come non fosse venuta meno, in ciò che restava della classe di governo teodericiana, la capacità di elaborazione politica anche se gli stessi ambasciatori si dissero infine disposti a versare un’ingente somma al sovrano merovingio, in genere più sensibile a questo argomento che alle dotte riflessioni su corsi e ricorsi storici. eam Garipald in uxorem. «Diese langobardische Prinzessin, die nach dem frühen Tod ihres Gatten, des austrasischen Königs Theudebald im Jahre 555 zunächst von Chlothar I zur Frau genommen, dann an den bairischen Herzog Garibald weiter gereicht wurde» (Ursula Koch, Mediterranes und Langobardisches Kulturgut in Gräbern der Älteren Merowingerzeit zwischen Main, Neckar und Rhein, in «Atti del VI Congresso Internazionale di Studi sull’Alto Medioevo» cit., t. I, p. 113); si tratta della madre della famosa regina Teodolinda, avuta in seguito, dal suo terzo marito; cfr. ibid., s.v. Theodolinda, pp. 1235-1236. 116 Procop. Bell. Goth. IV 34, 18, pp. 669-670, tr. it. 761. Cfr. A. Nagl, s.v. Theia cit., c. 1603; Th. Hodgkin scriveva: «the Franks of the Sixth Century, according to Procopius, adopted the ungenerous policy of always turning their neighbours’ troubles to profitable account, by seizing their most precious possessions when they were engaged in a life and death struggle with some powerful enemy» (Italy and her Invaders cit., IV, p. 619); G. Löhlein, a sua volta, osservava: «er war sich darüber klar, daß die Byzantiner, nachdem sie das der fränkischen Provinz vorgelagerte Gotenreich zerschlagen und Italien bis zum Po sich unterworfen hatten, ihre Hand auch nach den Gebieten nördlich des Flusses ausstrecken würden, daß im besonderen das für die Landverbindung von Byzanz her äußerst bedeutsame Venetien am meisten von den Oströmern begehrt und deshalb am stärksten bedroht war» (Die Alpen- und Italienpolitik cit., p. 46). 117 Agath. I 5, 4-10, pp. 15-17 (tr. ingl., pp. 13-14). W. Goffart sintetizzava: «an Ostrogothic embassy to the Franks suggested to them that it was in their best interests to maintain the Ostrogoths as a buffer agains the Empire» (Byzantine Policy in the West under Tiberius II and Maurice. The Pretenders Hermenegild and Gundovald (579-585), «Traditio» 13, 1957, p. 76). Già in una lettera a Clodoveo (vd. Cassiodoro, Var. III, 4; cfr. B. Saitta, La Civilitas di Teoderico cit., pp. 48-49, n. 109), il vecchio Teodorico aveva indicato proprio nelle pressioni bizantine sul sovrano merovingio perché attaccasse i Visigoti di Spagna, la aliena malignitas che ancora qui sembrano adombrare gli ultimi ambasciatori Goti nel disperato tentativo di portar dalla loro i Franchi. 37 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso Alle richieste dei Goti si contrappose una facciata di neutralità, almeno come dichiarazione di intenti: i Franchi non avrebbero intrapreso azioni militari per trarre d’impaccio altri dai propri problemi118, ma la corte austrasiana pensò bene, forse, di ‘girare’ la richiesta dei Goti a due capi alamanni: Le¥uariq d‚ kaÁ Boytil¡noq, eἰ kaÁ tØn basil‚a sf©n Ìkista ˚resken... e i due (Leutari e Buccellino), dato che il progetto non interessava il loro sovrano, accettarono l’alleanza di loro autonoma iniziativa119. § 5. L’invasione franco-alamannica degli anni 553-554 [esame delle fonti su Ceneda nn. 2, 5 e 6] Come ha sintetizzato un grande storico del Tardoantico, «the fighting was not over, for there were still Gothic garrisons holding out in a number of towns, and in the north the Franks, who had some years past taken advantage of the struggle to occupy large parts of the Alpine provinces and Venetia, now became aggressive. In this same year (553) a vast horde of Franks and their Alaman subjects swept through Italy»120. I due capi Alamanni, Leutari e Buccelino (Butilino) 121, predisposero, con la 118 Agath. I 6, in., p. 17 (tr. ingl., p. 14); L. Muratori così sintetizzava l’esito dell’ambasceria dei «Goti Transpadani» a re Teodebaldo: essi «nol ritrovarono disposto a voler brighe di guerra» (Annali d’Italia dal principio dell’Era Volgare sino all’anno 1500, Milano 1744, tomo III, p. 437). 119 Agath. I 6, 2, p. 17 (tr. ingl., p. 14: «Leutharis and Butilinus, however, accepted the alliance on their own initiative even though it held no attraction for their king»); è chiaro tuttavia, in Agazia (I 6, 6, pp. 17-18, tr. ingl., p. 15), come gli Alamanni dipendessero dal re dei Franchi (definito ‘il loro re’!) e, di conseguenza, come le loro scelte militari derivassero, in definitiva, da un mandato reale. Secondo G. Löhlein, tuttavia, i due capi Alamanni avrebbero operato «gegen den Willen des Königs» (Die Alpen- und Italienpolitik cit., p. 46; analogamente in R. Holtzmann, Die Italienpolitik der Merowinger cit., p. 14). Più romantica la lettura di L. Muratori, Annali d’Italia cit., tomo III, p. 437: «costoro [Leutari e Buccellino] veggendo che il re Teodebaldo preferiva il gusto della pace ad ogni guadagno, presero essi l’assunto di far la guerra in Italia a i Greci, invaniti dalla speranza di grandi conquiste e d’immenso bottino». 120 A.H.M. Jones, The Later Roman Empire cit., p. 291; tr. it., p. 360; cfr. anche L. Schmidt, Die letzten Ostgoten, cit., pp. 6-7. 121 Si trattava di due fratelli, di nazionalità alamannica (Agath. I 6, 2, p. 17; tr. ingl., p. 14) i quali, a quanto pare, disponevano di notevole ascendente ed influenza sui Franchi (d¥namin d‚ parÅ Fråggoiq megºsthn eἰx™thn, ibid.; cfr. W. Enßlin, s.v. Leuthari, RE XII.2 (1924), cc. 2313-2314; cfr. V. Bierbauer, Zur ostgotischen Geschichte cit., p. 29; H. Keller, Fränkische Herrschaft cit., p. 7). Per quanto riguarda la tradizione relativa ai loro nomi, H. Keller sottolineava che «die fränkischen Quellen, ...von Leuthari nichts wissen» (Fränkische Herrschaft cit., p. 8): infatti Mar. Avent. (Chr. a. 555.4 e 568, pp. 237 e 238) e Greg. Tur. (Hist. Fr. III 32, vol. I, p. 268) ricordano il solo Buccelenus; mentre Agath. (I 6, 2 e ss., p. 17; tr. ingl., p. 14) e Paul. Diac. (Hist. Lang. II 2, p. 78) parlano di entrambi, con le grafie rispettive: Le¥uariq e Boytil¡noq – Leutharius e Buccellinus. Vd. comunque, in qualche codice agaziano, la variante boytoyl¡noq; cfr. ed. S. Costanza cit., p. 25, apparato a r. 11. 38 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso massima rapidità, una spedizione, ammantata di qualche velleità di revanche filogotica, e verosimilmente mossero da basi Franche122: «l’autorité exercée par Butilin et Leutharis pour le compte de la monarchie franque, s’étendait probablement aussi sur les conquêtes vénitiennes de Théodebert car Butilin avait déjà commandé en Italie du vivant de ce roi»123. Teodebaldo non solo non vi si oppose ma probabilmente incoraggiò l'impresa124 tanto che sotto il comando dei due avventurieri finì anche un contingente di guerrieri Franchi125. Nella primavera del 553 il grosso delle truppe di invasione attraversò le Alpi, entrò in Italia e si diresse rapidamente verso il fiume Po126, mentre Narsete, appresa 122 «Wenn man will, kann man in Leuthari, den Agathias an erster Stelle nennt und den die fränkischen Quellen überhaupt nicht erwähnen, sozusagen das “inneralemannische Pendant” und somit den “eigentlichen” Alamannenherzog sehen. Ich halte es für wahrscheinlicher, daß auch er vom Frankenkönig mit einer Machtbasis im alemannisch beeinflußten Grenzbereich – etwa in Rätien, um Basel/Augst oder im Elsaß – ausgestattet worden war und von ihr aus zusammen mit seinem Bruder den politisch nur lose erfaßten inneralemannischen Raum kontrollierte» (H. Keller, Fränkische Herrschaft cit., p. 9). 123 E. Stein, Bas-Empire cit., p. 605 (sottolineatura mia; il riferimento è a Paul. Diac. Hist. Lang. II, 2, p. 78); cfr. anche L.M. Hartmann, s.v. Butilinus, RE III.1 (1897), c. 1085; H. Büttner, Die Alpenpolitik der Franken cit., p. 67 e F. Beisel, Theudebertus Magnus cit., pp. 122-123. 124 Cfr. Agath. I 6, 2, p. 17 (tr. ingl., p. 14); la sua avidità era nota: non è escluso che contasse in una congrua quota parte del bottino (cfr. J.B. Bury, History cit., II, p. 275, n. 3). Teodebaldo non gode di gran fama nelle fonti, anzi «primo di una lunga serie di re merovingi, morì esaurito da stravizi» (G. Pepe, Il Medioevo Barbarico in Europa cit., p. 124; cfr. anche M. Christian Pfister, La Gallia sotto i Franchi Merovingi cit., p. 696: «Teodebaldo perì, vittima di una precoce dissolutezza, nel 555»). 125 Cfr. Agath. I 7, 8, p. 19 (tr. ingl., p. 16): i due ritenevano arrogantemente di non trovare seri ostacoli alla loro marcia, in quanto Narsete, il comandante bizantino, era per loro ‘solo un eunuco’, quindi un essere incapace di combattere. L. Muratori, Annali d’Italia cit., tomo III, pp. 437-438, così chiosava: «sprezzando sopra tutto Narsete, per essere eunuco, ed allevato solamente fra le delizie della corte. Certo non dovevano ben conoscere...»; cfr. Th. Hodgkin, Italy and her Invaders cit., V, p. 16; H. Keller, Fränkische Herrschaft cit., pp. 7 ss. Agazia assegna agli invasori il numero di 75 mila («chiffre, manifestement incroyable», come scrive E. Stein, Bas-Empire cit., p. 606). Sul comportamento differenziato di Franchi ed Alamanni si sofferma diffusamente Agazia, con spunti di carattere etnologico, folclorico ed antropologico (I 6, 4-I 7, 7, pp. 17-19, tr. ingl., pp. 14-16; II 1, 6ss., pp. 40-41, tr. ingl., pp. 32-33); sulla contrapposizione tra Franchi ‘civili’ in quanto cristiani (e cattolici), e Alamanni ‘incivili’ perché pagani, cfr. S. Costanza, Orientamenti cristiani della storiografia di Agatia, «Helikon» 2, 1962, spec. pp. 93-95; 98-99; 110; sulla concezione del mondo di Agazia e, in particolare, sul suo «mépris pour toutes sortes de superstitions», cfr. Z.V. Udal’cova, Le monde vu par les historiens byzantins du IVe au VIIe siècle, «ByzSlav» 33, 1972, spec. pp. 203-205. Vd. qui comunque al successivo § 6. 126 Cfr. Agath. I 11, 2, p. 23 (tr. ingl., p. 18); per la datazione cfr. Ch. Diehl, Giustiniano. La restaurazione imperiale in Occidente, in The Cambridge Medieval History, Cambridge 1911-1913, ed. it. Storia del Mondo Medievale, vol. I, La Fine del Mondo Antico, Milano 1978, p. 590 («metà del 553) G. Löhlein, Die Alpen- und Italienpolitik cit., p. 47 («im Frühjahr 553»); W. Enßlin, s.v. Leuthari 39 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso la notizia «de l’invasion franco-amamanique, il laissa un corps d’armée devant la ville et marcha vers le Nord»127. Narsete stava dirigendo le operazioni di eliminazione delle sacche di resistenza dei Goti nell’Italia meridionale e centrale: la guarnigione di Lucca, ad es., nell’autunno del 553 ancora resisteva, rincuorata proprio dalle speranze alimentate dalle notizie sull’intervento di Leutari e Buccelino128. L’attacco franco-alamanno si rivelò da subito potenzialmente assai insidioso, anche perché molti Goti sbandati vi si unirono, soprattutto Goti della Liguria e dell’Emilia, che non esitarono a violare i loro accordi con i Bizantini riscontrando di avere assai più in comune con i Franco-alamanni129: da Parma (autunno del 553130) toccò l’Etruria e si spinse verso Roma (primavera del 554), all’altezza della quale gli invasori si divisero in due colonne d’attacco, ciascuna capitanata da uno dei fratelli. Questo fu certamente un errore in quanto alla divisione delle forze131, che indebolì la loro capacità tattica, non corrispose nemmeno un disegno strategico coordinato: Buccelino guidò comunque una lunga scorreria lungo la Campania, la Lucania e il Bruzzio, fino allo stretto di Messina; Leutari devastò da par suo Puglia e Calabria ionica132. I due contingenti franco-alamannici, mano a mano che procedevano nei sistematici saccheggi, risultavano sempre più appesantiti dal bottino: Leutari «machte sich mit seiner Beute auf den Heimweg, um sie in Sicherheit zu bringen, cit., c. 2314 («Frühjahr 553 gingen sie über die Alpen»); E. Stein, Bas-Empire cit., pp. 605-606 («vers juin 553 ils menèrent dans la vallée du Pô»); W. Treadgold, A History of the Byzantine State and Society, Stanford (California) 1997, p. 211 («these new arrivals were more interested in plunder than conquest»). Una cronologia della spedizione di Leutari e Buccellino si legge anche nel vecchio lavoro di E. De Muralt, Essai de Chronographie Byzantine de 395 a 1057, St.-Pétersbourg 1855, I, pp. 207-209. 127 E. Stein, Bas-Empire cit., p. 606. 128 Vd. Agath. I 12, in., p. 24 (tr. ingl., p. 19); per la cronologia di questo passo cfr. Averil Cameron, Agathias cit., p. 143. Cfr. anche Th. Hodgkin, Italy and her Invaders cit., V, pp. 21 ss. ed E. Stein, BasEmpire cit., pp. 606-607. 129 Vd. Agath. I 15, 7 p. 29 (tr. ingl., p. 23). 130 Nel frattempo, secondo quanto narra Agath. I 21, 2 p. 37 (tr. ingl., p. 29), Narsete si era acquartierato a Rimini dove ricevette l’insperato soccorso di un regolo germanico, anch’egli, curiosamente, di nome Teodebaldo, «a namesake of the young king of the Austrasian Franks» (Th. Hodgkin, Italy and her Invaders cit., V, p. 30), che si presentò alla testa dei suoi guerrieri «vom suebischen oder vandalischen Stamme der Varanen» (A. Nagl, s.v. Ueydºbaldoq 2, RE V A.2, c. 1715; cfr. PLRE III-B, s.vv. Narses 1 cit., p. 921 e Theodibaldus 2, p. 1228): ciò mostra che il ‘richiamo germanico’ dell’incursione non faceva necessariamente aggio su tutti i barbari di origine germanica presenti in quel frangente in Italia. 131 Cfr. Agath. II 1, 3 p. 40 (tr. ingl., p. 32). 132 Cfr. E. Stein, Bas-Empire cit., p. 607. 40 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso und sandte auch seinem Bruder Boten, die ihm dasselbe raten sollten; erst nach Sicherung seiner Beute wollte er seinem Bruder das Heer zu Hilfe senden»133, e pertanto il capo alemanno decise di ritornare indietro risalendo la penisola, mentre l’ambizioso Buccelino continuava le sue scorrerie: come si è detto, l’accordo tra i due fratelli prevedeva probabilmente il sollecito ritorno di Leutari, una volta messo al sicuro il bottino134. La colonna di Leutari, che aveva intrapreso l’itinerario costiero adriatico, si scontrò duramente con la piccola ma ben guidata guarnigione bizantina di Pºsayron (Pisaurum, Pesaro)135, perdendo in quella circostanza buona parte di quel bottino, che cercava di mettere in salvo in territorio sotto controllo Franco: incalzate dai bizantini, le truppe di Leutari, attraversato in qualche modo il Po, si diressero allora in cerca di rifugio nella Venetia (katalabønteq d‚ Benetºan136). La descrizione della ritirata di Leutari rivela incidentalmente alcune lacune di Agazia nell’esposizione della geografia italiana, dovute probabilmente a qualche appannamento delle sue fonti. Comunque sia, obiettivo finale del capo alamanno si rivelò il castrum di Ceneta: egli andò infatti ad accamparsi ®q K™neta tÓn pølin, cioè ‘nella città (nel castrum) di Ceneda’137, «under the shadow od the dolomites», com’è stato scritto non so se con intenti poetici o a causa di qualche moderna approssimazione geografica, e lì si stabilì coi suoi fissandovi il proprio quartier generale138. 133 W. Enßlin, s.v. Leuthari cit., c. 2315. Cfr. Agath. II 2 pp. 41-42 (tr. ingl., p. 33); cfr. L.M. Hartmann, s.v. Butilinus cit., c. 1086. Notava E. Gibbon che «Buccelin was actuated by ambition, and Lothaire by avarice» (The History of the Decline and Fall cit., vol. II, chap. xliii, p. 760, tr. it., p. 1643); «as spring changed to summer Leutharis wrote to propose that they return home with their booty; Butilinus refused and chose to remain», come si legge in PLRE III-A, s.v. Butilinus, p. 254; cfr. L. Schmidt, Die letzten Ostgoten, cit., p. 7. 135 Cfr. Agath. II 2, 5-8 pp. 42-43 (tr. ingl., p. 34); cfr. E. Stein, Bas-Empire cit., p. 607. 136 Cfr. Agath. II 3, 3 p. 43 (tr. ingl., p. 34). «Came into Venetia, which was now a recognised part of the Frankish kingdom» (Th. Hodgkin, Italy and her Invaders cit., V, p. 35; cfr. G. Löhlein, Die Alpen- und Italienpolitik cit., p. 47; R. Holtzmann, Die Italienpolitik der Merowinger cit., p. 14; N. Faldon, Le origini del cristianesimo nel territorio, in N. Faldon (cur.), Storia Religiosa del Veneto – 3. – Diocesi di Vittorio Veneto, Padova 1993, p. 38). 137 Agath. II 3, 3 p. 43 (tr. ingl., p. 34). La trascrizione in caratteri latini, basata sulla pronuncia del greco del tempo, dà: es (o is) Kéneta tìn pólin). I codici più accreditati danno l’accusativo un po’ strano K™neta anziché K™netan come ci si sarebbe dovuti attendere , cfr. l’ed. R. Keydell cit., p. 43, apparato r. 22; mentre l’ed. S. Costanza cit., p. 67, apparato r. 2 sceglie esplicitamente di correggere K™neta con K™netan. Con ®q tÓn pølin ovvero, meno frequentemente, e q tÓn pølin si deve intendere uno ‘stato in luogo raggiunto dopo a un moto a luogo mirato’: Agazia fa largo uso di tale espressione: si veda in I 14, 4, p. 27 (®q Pårman... tÓn pølin); I 15, 8, p. 29 (®q Fabenºan... tÓn pølin); I 21 in., p. 37 (®q |Arºmenon... tÓn pølin); II 2, 5, p. 42 (e q Pºsayron tÓn pølin); II 15, 4, p. 60 (®q Sid©na tÓn pølin); III 14, 5, p. 102 (®q |Acaro†nta... tÓn pølin); III 19, 8, p. 109 (®q ... Fåsin tÓn pølin): i passi citati sono riferiti all’ed. R. Keydell cit.; un’espressione affine (®q tØn fro¥rion) si ritrova in II 13 in., p. 57; II 19 in., p. 65; II 22, 3, p. 69; IV 16, 7, p. 143; IV 28 in., p. 158. Si tratta di una locuzione stereotipata (‘verso la/nella città’), che nel caso di Costantinopoli ha dato clamorosamente luogo alla sua denominazione turca contemporanea, Istambul, che altro non è, infatti, se non la corruzione di un originario greco-bizantino is tìn pólin, ‘verso la/nella città’ (cfr. E.A. Sophocles, Greek Lexicon of the Roman and Byzantine Periods (from B.C. 146 to A.D. 1100), New York 1900, p. 902, s.v. pøliq). 134 41 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso Ceneta, già sotto i Franchi139, si lascia immaginare come una piazzaforte o come un campo trincerato, che doveva offrire adeguate garanzie di sicurezza. Si trattava probabilmente di un borgo fortificato, di un castrum, secondo la specifica definizione che fornisce Paolo Diacono, laddove pone Cenitense castro in specifica contrapposizione a Tarvisiana civitate140 (anche se dobbiamo ricordare che Paolo ha in mente la situazione del suo tempo). Peraltro, una fonte anteriore a Paolo Diacono, l’Anonimo Ravennate, citava Ceneda (unico testo a recare la grafia Ceneda al posto dei più frequenti Ceneta o Cenita) tra le civitates della Venetia, ma forse ‘traducendo’ con civitas un testo greco o grecanico: item in regione Venetiarum, sunt civitates, id est... Ceneda141. Anche se appare malsicura la terminologia atta a qualificare la ‘città’ di Ceneda, si torna sempre e comunque a castrum, qualunque sia il punto di partenza. Leggiamo castrum in Paolo Diacono e non possiamo esimerci dal pensare che si tratta di un termine applicato al VI secolo da uno scrittore dell’VIII; se propendes- 138 La localizzazione ‘sotto le Dolomiti’ è di Th. Hodgkin, Italy and her Invaders cit., V, p. 35. Cfr. anche J.B. Bury, History cit., II, p. 278: «at the Venetian town of Ceneta, where he tookup his quarters to rest...» e PLRE III-B, s.v. Leutharis, p. 790: «crossing the Po into Venetia, he made camp at Ceneta, a town in Frankish possession and there his army was smitten with disease» (sottolineature mie). 139 Agath. II 3, 3 p. 43 (tr. ingl., p. 34): è importante sottolineare come Agazia non distingua affatto Leutari (ed i suoi) dai Franchi che già presidiavano militarmente Ceneta. 140 Hist. Lang. II 13, p. 90, con riferimento ai versi di Venanzio Fortunato che saranno esaminati al successivo § 10. Sull’espressione villae seu castra, adoperata da Paolo Diacono in un passo assai prossimo (Hist. Lang. II, 4, p. 80), cfr. le osservazioni di G. Pepe, Il Medioevo barbarico d’Italia cit., p. 111, n. 2. 141 IV, 30, p. 254; cfr. il testo dell’Anonimo è pubblicato anche in appendice a A.N. Rigoni, L’ambito territoriale cit., pp. 146-149, spec., per il presente passo, p. 147; cfr. A. Grilli, Il territorio d’Aquileia cit., pp. 49-50. Come ha scritto G. Ravegnani: «la sanzione giuridica dello stato di città non sembra... la condizione indispensabile per distinguere i castra dalle civitates, ma piuttosto un atto formale, ereditato da un’antica consuetudine, per suggellare un processo di ascesa verso forme di vita cittadina. Sembra, in sostanza, che indipendentemente dallo status giuridico alcuni castelli fossero normalmente considerati città e che il “diritto di città” sia stato un privilegio accessorio piuttosto che una conditio sine qua non per riconoscere l’avvenuta trasformazione. Ma non si può naturalmente generalizzare. Il castello non era un tipo unitario di insediamento e, accanto ai veri e propri castelli-città, si avevano ridotte di nessuna importanza. Il tratto distintivo tra kåstron e pøliq poteva essere meno netto per i forti di maggiore importanza: entrambi possedevano una cinta muraria, che nel VI secolo è una fra le principali caratteristiche della città, e inoltre anche nei castelli esistevano probabilmente consigli locali che – indipendentemente dall’effettiva importanza sul piano amministrativo – erano un altro elemento distintivo della città» (Kastron e polis cit., p. 278). 42 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso simo però per civitas (grazie all’opera geografica del VII secolo) non potremmo non tener conto dell’influsso linguistico che ci riporta inevitabilmente alla pøliq di Agazia, che a sua volta non può essere tradotta se non con castrum142. Sia come sia, questo castrum doveva essere dotato di caratteristiche strategiche che lo rendevano di notevole interesse militare (oltre alla posizione di controllo dei varchi settentrionali. Ceneda era senz’altro munita di una cinta di mura) e possedeva anche, probabilmente, nel territorio circonvicino, un sistema più o meno articolato (uno ‘spazio integrato’) di piccoli forti (propugnacula) e di torri di guardia143. È possibile affermare, anche se non con certezza assoluta, che il «fulcro» dell’insediamento franco nell’entroterra della Venetia si trovasse proprio in Ceneta, e che la cittadina rappresentasse, per lo schieramente Franco, il polo castrense di riferimento144. Nonostante la sicurezza che la località offriva loro, lo stato d’animo degli uomini di Leutari precipitò in manifestazioni di collera e di cupo abbattimento: il loro disappunto era esplicito e li spingeva ad eccessi ed intemperanze. Praticamente nulla era rimasto del loro bottino e ciò significava che le loro fatiche erano state vane: «in spite of the security the place afforted them their mood was angry and sullen, their disgruntlement evident and extreme»145. I fuggiaschi di Leutari, 142 Sulla denominazione di pøliq assegnata a Ceneda da Agazia, bisogna considerare infatti che tale termine era forse sentito, da quell’autore, come sinonimo di castrum, nel senso di ‘insediamento urbano fortificato’ (vd. qui, supra, nota 108; cfr. comunque G. Ravegnani, Kastron e polis cit., p. 278 e ancora Id., La difesa militare delle città in età giustinianea, «SdC» 14, 1980, pp. 98 e 114, n. 281; Id., Castelli e città cit., pp. 10, n. 16; 16, n. 34; 19). 143 Ad es. vigilia, ‘torre di vedetta’, è toponimo che si ritrova puntualmente nell’attuale località di San Giacomo ‘di Veglia’, nell’immediata periferia di Ceneda, l’attuale Vittorio Veneto (cfr. D. Olivieri, Toponomastica Veneta cit., p. 143; W. Dorigo, Venezia Origini. Fondamenti, ipotesi, metodi, Milano 1983, p. 63; cfr. anche G. Cannella, Ricerche su Ceneda nell’Alto Medio Evo (sec. VI-X), tesi di laurea a.a. 1970-71 – Università di Padova, Facoltà di Lettere e Filosofia, relatore prof. C.G. Mor, pp. 10-11; in generale sull’insieme delle fortificazioni cenedesi, pp. 4-13); cfr. ancora questa ultima ricerca a proposito della torre di vedetta di San Floriano «elemento satellite» del castrum cedenese, e sulle rocche di Sant’Antonio e di Santa Augusta, sulla stretta di Serravalle (ibid., pp. 6-7); sulla torre di San Floriano cfr. anche A. Salvador, Testimonianze in sito: morfologia, ruderi, strutture in elevato, in in «Atti del 3° Convegno. Castelli tra Piave e Livenza» cit., p. 72. Sulle turres cfr., in gen., G. Ravegnani, Castelli e città cit., pp. 9-11; sui burgi, piccoli castella, strutturalmente affini alle turres, ma con diversa funzione strategica, ibid., p. 11. 144 Cfr. ad es. A. Carile, Bellum cit., pp. 159; 176-177 = Società cit., pp. 138; 155; cfr. G. Rosada, Il “viaggio” di Venanzio Fortunato ad Turones: il tratto da Ravenna ai Breonum loca e la strada per submontana castella, in «Venanzio Fortunato tra Italia e Francia» cit. (1993), pp. 42-43, oltre ad G. Arnosti, L’evoluzione delle logiche insediative cit., pp. 49-50 e Id., Appunti sul Ducato Longobardo di Ceneda, cit., pp. 17-18. 145 Agath. II 3, 3 p. 43 (tr. ingl., p. 34). 43 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso guerrieri selvaggi e incapaci di vita sedentaria, si ritrovarono ammassati in una modesta area fortificata: non è difficile immaginare il clima di violenza che la disperazione di quei guerrieri aveva introdotto drammaticamente in città. Fu senza dubbio a causa di quell’improvviso aumento della popolazione, che a Ceneta scoppiò un’epidemia (o forse una sequenza di epidemie). Le truppe superstiti di Leutari, i Franchi che dobbiamo pensare presidiassero la città costituendone la guarnigione stanziale, e infine la popolazione cenedese residente dovettero esserne duramente provati146. Secondo alcuni – riferisce Agazia, il quale lascia intendere di aver consultato (o aver attinto a) fonti alternative147 – sarebbe stata l’aria del luogo ad essere malsana (non si comprende tuttavia se malsana di per sé, o per effetto del sopravvenuto mutamento delle condizioni igienico-ambientali) e quindi causa o concausa del diffondersi della malattia; secondo altri, invece, l’improvviso ozio forzato avrebbe precipitato guerrieri abituati a marce forzate e combattimenti nella pigrizia, nell’ozio, e in perniciose forme di indolenza. Ma, per lo stesso storico, la malattia sarebbe stata una sorta di manifestazione ‘fisica’ di una punizione soprannaturale, a causa delle turpi violazioni delle leggi umane e divine perpetrate da quei barbari pagani durante la loro incursione148. Fuori dal moralismo di scuola (e dall’omaggio alla religione), Agazia ci fornisce una descrizione degli effetti del contagio, manifestatosi in forme diverse, ma tutte mortali: si tratta di un quadro davvero colorito149, che serve a sottolineare paradigmaticamente la fine di Leutari, e a chiudere il racconto della sua sconsiderata impresa; e la morte dell’avventuriero alemanno è descritta in termini raccapriccianti150. Paolo Diacono, una delle poche 146 Agath. II 3, 4 p. 43 (tr. ingl., p. 34: «they were decimated by a sudden outbreak of plague»); cfr. E. Stein, Bas-Empire cit., pp. 607-608 (che non menziona, tuttavia, Ceneta). È significativo che non risulti cenno, nelle fonti, di rovinose malattie con carattere epidemico nel periodo della dominazione gota in Italia, mentre un grave peggioramento è segnalato per il periodo che va dall’invasione dei bizantini all’arrivo dei Longobardi (cfr. B. Saitta, La Civilitas di Teoderico cit., p. 124; cfr. altresì L. Cracco Ruggini, Vicende rurali cit., p. 279). 147 II 3, 5 p. 43-44 (cfr. tr. ingl., pp. 34-35). 148 Cfr. S. Costanza, Orientamenti cristiani cit., pp. 98-99. 149 Agath. II 3, 4-8 pp. 43-44, tr. ingl., pp. 34-35; di «some showed symptoms of fever, some of apoplexy, some of other forms of brain-disease, but, whatever form the sickness might assume, it was invariably fatal» parla Th. Hodgkin (Italy and her Invaders cit., V, p. 35). Ricordo che Agazia era un attento osservatore degli effetti delle malattie e dello sviluppo dei contagi, come mostra nel quinto libro delle sue Storie (V 10, pp. 175-176; tr. ingl., pp. 145-146: anno 558) cfr. E. Gibbon, The History of the Decline and Fall cit., vol. II, chap. xliii, p. 774 ss., tr. it., pp. 1657 ss. L’epidemia scoppiata a Ceneda non sarebbe stata tuttavia peste: più probabilmente si trattò di una forma tifoidea di grande virulenza; ovvero di «vaiolo, peste inguinaria e dissenteria» come ha scritto C.G. Mor, Verona medievale cit., p. 18, n. 1. 150 Agath. II 3, 8 p. 44 (tr. ingl., p. 35; Agazia cita anche, testualmente, un passo di Tucidide, II 49, 1). Piuttosto impreciso A. Carile, che fissa al 556 la morte di Leutari, «il capo dei Franchi e degli Alemanni» (Bellum cit., p. 149 = Società cit., pp. 129): la data probabilmente rimonta alla Cronaca 44 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso fonti a ricordare Ceneta (che pure sarebbe diventata sede di un ducato Longobardo), non fa riferimento alla città, in questa specifica occasione151, ma afferma, anzi, che il Francorum dux Leutharius, Buccellini germanus... iuxta lacum Benacum propria morte defunctus est, in una località diversa, nel veronese, nei pressi del lago di Garda152. Ciò indica, evidentemente, l’affermarsi di una fonte alternativa, a meno che non si tratti di due distinte notizie, che presuppongano la divisione delle di Marius di Avenches. Esiste forse anche un’altra versione della morte di Leutari, solitamente non presa in considerazione: è possibile, infatti, che proprio un passo di Mar. Avent.: Lanthacharius dux Francorum in bello Romano transfossus obiit (Chr. a. 548.2, p. 236) sia da considerarsi cronologicamente mal collocato e vada trasposto all’anno 554; il Lanthacharius di Mario e il Le¥uariq di Agazia potrebbero essere stati infatti la medesima persona. A questo proposito, E. Stein sostiene, per un periodo successivo al 551-552, che «le jeune et faible Thibaut, se borna à échanger avec Justinian des messages aigres-doux mais non hostiles, après qu’un chef franc eut péri dans une action engagée contre des troupes impériales, peut-être en Vénétie» (BasEmpire cit., p. 530); cfr. inoltre G. Löhlein, Die Alpen- und Italienpolitik cit., pp. 35, 38 e 44, dov’è accettata l’indicazione dell’Aventicense, mentre qualche sfumatura di dubbio emerge in PLRE III-B, s.v. Lanthacarius, p. 765, che pur indicando come «the circumstances are obscure but the event perhaps occurred early in the Theodebald’s reign», sente di dover collocare geograficamente i fatti, guarda caso «possibly in or near Venetia»; anche F. Beisel inquadra questo Lanthacarius nella cornice tradizionale (Theudebertus Magnus cit., p. 121). 151 Infatti Paolo Diacono, oltre al passo citato supra, nota 140, ricorda altre due volte Ceneda (curiosamente sempre e solo come aggettivo), ma nel contesto storico dell’ormai costituito ducato longobardo, precisamente in Hist. Lang. V 28, p. 276, relativamente all’anno 668-669 [quando il re longobardo Grimuald] Opitergium civitatem, ubi ipsi extincti sunt, funditus destruxit eorumque qui ibi habitaverant fines Foroiulianis Tarvisianisque et Cenetensibus divisit; e in Hist. Lang. VI 24, p. 328, relativamente ai primi anni della seconda metà del VII secolo, quando unus e Langobardis nomine Munichis, qui pater post Petri Foroiuliani et Ursi Cenetensis ducum extitit, solus fortiter et viriliter fecit. Ricordo che nei codici della Historia Langobardorum di Paolo Diacono abbiamo una dimostrazione dell’estrema variabilità delle lezioni tràdite su Ceneda (per questo è stata consultata l’ed. L. Bethmann-G. Waitz, in MGH SS. rer. Lang., Hannoverae 1878, cui corrispondono le diverse indicazioni di riferimento): II 13 p. 79 Cenitense apparato, rr. 35-36, sub o): Canitense, Cenitensi Ceninensi, Genitense Genitensi, Ciense V 28 p. 153 Cenetensibus apparato, r. 51 sub c): Cenetenensibus VI 24 p. 173 Cenetensis apparato, r. 45 sub o): Ceten. Queste varianti sono malaccortamente accostate alla più complessa questione delle diverse redazioni dei documenti su Cissa/Ceneda (su cui diffusamente al § 9.) da F. Babudri, Il vescovato di Cissa in Istria, «AttiMemIstria» 31, 1919, spec. p. 45, n. 1 (e, pedissequamente, G. Arnosti, Lo scisma tricapitolino e l’origine della Diocesi di Ceneda, «Il Flaminio» 11, 1998, p. 72, n. 36). 152 Paul. Diac. Hist. Lang. II 2, p. 78: propria morte (cioè ‘di morte naturale’, ‘di malattia’); cfr. J.B. Bury, History cit., II, p. 278, n. 4. 45 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso forze di Leutari, concentratesi in parte a Ceneta e in parte nell’area veronese, ovvero, ancora che indichino come Leutari avesse fatto tappa a Ceneda prima di prendere la via di Verona153. Scriveva L. Muratori: «finalmente Leutari, passato con gran fatica il Pò, condusse la sua gente a Cenesa, allora posseduta da i Franchi. Così la chiama Agatia. Io la crederei Ceneda, terra della Venezia, se Paolo Diacono nol dicesse ritirato fra Verona e Trento, vicino al lago di Garda»154. Non so esattamente quale edizione agaziana avesse usato Muratori, comunque doveva esservi un riferimento ad una lezione tipo KenestÅ (o simili), che compare unicamente nel codice siglato L (=cod. Leidensis ex leg. Vulcani 54) nell’ed. R. Keydell155; mentre K™neta si ritrova in cinque codici su sette156. Anche E. Gibbon faceva morire Leutari sulle rive del Benaco157. È probabile che l’incertezza sulla geografia della morte di Leutari dipenda in buona parte dalla qualità del testo agaziano in mano agli storici, se anche C.G. Mor sostiene che «Agathia lo fa arrivare... nella città di Kenedà (sic), soggetta ai Franchi», salvo precisare in nota di aver usato un’edizione settecentesca dello storico bizantino (forse non la stessa usata da Muratori158); la località indicata da Paolo, a parere di quell’insigne studioso, si sarebbe potuta «identificare con quella collinosa tra Lazise, Peschiera e Ponton, dove generalmente nel Medio Evo si accampavano gli eserciti imperiali che dalla Germania scendevano in Italia»159. Sembra quasi che per far quadrare il contrasto tra la notizia agaziana e quella di 153 Cfr. ancora C.G. Mor, Verona medievale cit., p. 18, n. 1. Annali d’Italia cit., t. III, p. 441. 155 Ed. cit., apparato, p. 43, ad r. 22 (descrizione dello specifico codice ibid., Introduzione, p. XIII); mentre K™neta si ritrova in cinque codici su sette (ibid., apparato, p. 43, ad r. 22). Cfr. anche l’ed. S. Costanza cit., p. 67, apparato r. 2. 156 Ibid., apparato, p. 43, ad r. 22. In ogni caso l’ed. A. Zanella, cit. di Paolo Diacono, p. 233, commento, n. 14, suppone dubitativamente che in questa ‘Cenesa’, se la si dovesse accettare, si potrebbe individuare l’attuale località veronese di Senaga. 157 The History of the Decline and Fall cit., vol. II, chap. xliii, p. 760 («on the banks of the lake Benacus, between Trent and Verona»), tr. it., p. 1644. 158 Verona medievale cit., p. 18: «Agathia Scolastico, De imperio et rebus gestis Iustiniani Imp., libri quinque... ho usato l’edizione di Venezia 1750»; probabilmente, tuttavia si tratta di una svista per l’ed. Agathiae Scholastici, De imperio et rebus gestis Iustiniani Imperatoria libri quinque. Ex Bibliotheca et interpretatione Bonaventurae Vulcanii, cum notis eiusdem . Accesserunt eiusdem Agathiae epigrammata, cum versione Latina. Venetiis. Ex typographia Bartholomaei Javarina M.DCC.XXIX, utilizzata e ricordata più correttamente da un’allieva di Mor, G. Cannella, Ricerche su Ceneda nell’Alto Medio Evo cit., p. 3, ove cita appunto l’edizione di Venezia del 1729. L’uso imprudente di vecchissime edizioni, è piuttosto frequente, nonostante l’esistenza di lavori più recenti e impostati a criteri filologicamente più accurati. 159 Ibid.; cfr. anche V. Cavazzocca Mazzanti, Dove fosse il S. Daniele degli imperatori (6° Contributo alla Storia di Lazise), «NAV» 36, 1918, pp. 181-187, e C.G. Mor, Bizantini e Langobardi cit., p. 235, n. 8. 154 46 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso Paolo Diacono si senta il bisogno di precisare, anche di recente, senza timore di forzare la geografia, che, ad es., «Ceneta (Vittorio Veneto), named by Agathias, is someway from Lake Garda»160, ovvero che «Ceneta, das zwischen Verona und Trient nicht weit vom Gardasee lag»161; per L. Cracco Ruggini, Leutari «muore di pestilenza fra Verona e Treviso»162; prudentemente generico A. Lippold: «der [Leutari] dann nach Venetien gelangte, wo er jedoch mit seinen Scharen an der Pest zugrunde ging»163; «tra Verona e Trento, o, secondo Agazia, a Ceneta, nel Veneto orientale» scrive ancora salomonicamente M. Pavan164. § 6. Riflessioni sulle opinioni di Agazia su Franchi e Alamanni (per un inquadramento della disfatta degli anni 553-554 e del passo su Ceneda) Sono state addotte vere e propre forzature per sostenere la scelta di Paolo, piuttosto che di Agazia, come quelle di natura tattico-operativa suggerite da C.G. Mor, che diceva essere «preferibile la localizzazione offertaci dallo storico longobardo in luogo di quella dataci dal bizantino... sopratutto per la ragione che la via normale di passaggio verso la Gallia orientale era appunto quella della Val d’Adige, mentre da Ceneda occorreva fare un lungo giro per arrivare, attraverso il Bellunese e la Val Sugana, nel Trentino»165; in realtà tutto è irrazionale nel comportamento di Leutari nella sua incongrua risalita della penisola, e non si vede perché proprio nella Venetia la sua convulsa fuga avrebbe dovuto avere un improvviso sussulto di ragionevolezza. È chiaro invece, anche per i dettagli forniti, che sono le notizie agaziane a restare quelle di miglior qualità intrinseca ed attendibilità sostanziale, non foss’altro perché scritte pochissimi anni dopo i fatti attingendo ai diari di guerra bizantini e anche – come vedremo – a informazioni dirette di fonte Franca e, soprattutto, senza il minimo coinvolgimento emotivo o personale su luoghi e scenari. Un Agazia che da Costantinopoli cita K™neta località per lui assolutamente sconosciuta e che non poteva certo inventare, è già – soltanto per questo – maggiormrente attendibile di un Paolo Diacono che, duecento anni dopo, e senza il sostegno di fonti altrettanto autorevoli, si limitava a tratteggiare in poche righe una 160 PLRE III-B, s.v. Leutharis cit., p. 790. W. Enßlin, s.v. Leuthari cit., c. 2315: che Ceneda stia “tra Verona e Trento” è invero un po’approssimativo; ma tale spunto geografico vien fuori citando Paolo Diacono, il quale tuttavia, come si è detto, non nomina affatto Ceneda nel racconto su Leutari e Buccelino. 162 Economia e Società cit., p. 447. 163 S.v. Narses cit., c. 883. 164 Venanzio Fortunato tra Venetia, Danubio e Gallia cit., p. 14. 165 Verona medievale cit., p. 18; la posizione di questo storico si è fatta, in seguito, più problematica e possibilista, fino ad ammettere la localizzazione cenedese della vicenda in Id., Da Roma a Carlo Magno: vicende politiche tra Piave e Livenza cit., pp. 13-14. 161 47 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso serie assai malcoordinata di eventi, senza avvertire la necessità di precisione, neppure sul piano della cronologia. Agazia mostra di aver avuto accesso a materiali di buon livello e lascia intendere che la permanenza in Ceneda degli Alamanni di Leutari non fu breve, tanto da fare pendant con la fine altrettanto ingloriosa della scorreria di Buccellino nel Mezzogiorno d’Italia nel 555166. Il passo ‘cenedese’ di Agazia è contenuto nella lunga esposizione nella quale lo storico descrive una indubbia sconfitta dei Franchi, o meglio, una sconfitta che toccò soprattutto gli alleati-subordinati Alamanni, ma che non lasciò indenni i loro patroni e mentori167. Si tratta, come si è visto, della vicenda incentrata sull’incursione degli anni 553-554: il re Austrasiano Teudebaldo aveva de facto autorizzato Leutari e Buccellino ad invadere l’Italia, servendosi del pretesto di prestare assistenza e soccorso alle enclaves gote assediate, o comunque minacciate, dall’esercito imperiale guidato da Narsete. La narrazione, nel complesso abilmente condotta, puntava a mostrare che le cause della sconfitta dei Franchi sarebbero state tutte da addebitare agli Alamanni pagani e selvaggi, tanto da consentir di sorvolare sul fatto – pur conclamato – della collocazione pro tempore dei Franchi dalla parte dei nemici dell’impero. La nostra attenzione è inevitabilmente attratta dal singolare atteggiamento di Agazia, che mostra di valutare i Franchi con un interesse tutto particolare (e decisamente inedito): egli, che pure si collegava idealmente (ma anche sostanzialmente) alle Storie procopiane, non era più interessato al giudizio pesantemente negativo che proprio Procopio aveva dato su questo popolo (e soprattutto sui suoi reggitori, per la loro perfidia e il loro opportunismo). Lo storico di Cesarea aveva infatti vissuto da testimone le vicende italiane, sottolineando ad ogni pié sospinto l’attitudine al tradimento (qualcosa di assai vicino alla fides punica, come si è già osservato da dire) che da Teodeberto in poi aveva caratterizzato l’ingresso e lo stabilimento dei Franchi Austrasiani nell’Italia settentrionale168. Ma Agazia – ripeto – non sembra più interessato a questo duro (e tuttavia realistico) giudizio, o pregiudizio: stava infatti già osservando i Franchi con gli occhi della generazione successiva a quella di Procopio169. 166 Infatti in Agath. II 4, in., p. 44 (tr. ingl., pp. 35) gli eventi della Venetia sono dati in concomitanza con la fine della vicenda di Buccellino. 167 Vd. Agath. II 1-14, p. 40-59 (tr. ingl., pp. 32-47). 168 La ‘duplicità’ dei Franchi è un connotato specifico della storiografia di Procopio: cfr., ad es., Bell. Goth. I 13, pp. 71-75; II 12, pp. 199-205; II 28, pp. 275-282, tr. it. risp. pp. 385-388; 471-474; 518-522. 169 Sul contesto storico generale modificato, in cui si trova ad operare Agazia, e che aveva ormai preso atto della progressiva dissoluzione dell’opera giustinianea, cfr. A. Carile, Consenso e dissenso fra propaganda e fronda nelle fonti narrative dell’età giustinianea, in G.G. Archi (cur.), L’Imperatore Giustiniano. Storia e Mito cit., pp. 81-84. 48 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso Gli anni settanta del VI secolo sarebbero stati caratterizzati infatti da un’intensa attività diplomatica bizantina nei confronti dei Franchi, nell’esplicito (faticoso) intento di ottenere il loro contributo per cacciare i Longobardi dall’Italia170: se ‘i bizantini del tempo di Procopio’ avevano riconquistato l’Italia ad un prezzo altissimo, anche contro gli insidiosi maneggi dei Franchi, ‘i bizantini del tempo di Agazia’, speravano ora, magari senza troppa convinzione, di potersi riprendere la penisola anche con l’aiuto di Franchi. È verosimile che Agazia scriva dei fatti relativi al 553-554 almeno una ventina d’anni dopo, senz’altro dopo il 571, data dell’arrivo di una importante ambasceria dei Franchi a Costantinopoli inviata dal re Sigeberto e diretta da Firmino, di cui si è già fatto cenno171 (denique Sigyberthus rex legatus ad Iustinum imperatorem misit, pacem petens, id est Warmarium Francum et Firminum Arvernum. Qui euntis evectu navali, Constantinopolitanam sunt urbem ingressi, locutique tamen cum imperatore, quae petierant obtenuerunt. In alium tamen annum in Galliis sunt regressi172), ma con maggiore probabilità dopo il 575, dopo cioè il primo – diretto – tentativo bizantino di ricacciare militarmente i Longobardi173. Il fallimento di questo tentativo concretizzatosi in una spedizione laboriosamente inviata in Italia da Tiberio (reggente dell’imperatore Giustino II) e guidata dal curopalate Baduario, fu uno smacco difficilmente recuperabile: Baduarius 170 Per il contesto di tali eventi si vedano, ad es., i frr. 49 (a. 577) e 62 (aa. 579-580) dello storico bizantino che raccolse l’eredità di Agazia, Menandro (‘Protettore’), nell’ed. C. Müller, Fragmenta Historicorum Graecorum, Parisiis 1851, vol. IV, pp. 253 e 263 = frr. 22 e 24 nell’ed. R.C. Blockley, The History of Menander the Guardsman, Liverpool 1985, pp. 196 ss.); cfr. poi W. Goffart, Byzantine policy cit., pp. 74 ss. e anche Averil Cameron, Agathias on the Early Merovingians cit., p. 138. 171 Vd. qui, supra, nota 79. 172 Greg. Tur., Hist. Franc. IV, 40, vol. I, p. 366; cfr. G. Löhlein, Die Alpen- und Italienpolitik cit., pp. 53 e 62; W. Goffart, Byzantine policy cit., p. 77; J. Šašel, Il viaggio di Venanzio Fortunato e la sua attività in ordine alla politica bizantina, «AAAd» 19, 1981, p. 369. Quel Firminus era un personaggio di origine romana, della nobiltà aleverniate, di sicura formazione classica e probabilmente a conoscenza della lingua greca (cfr. K.F. Stroheker, Der senatorische Adel im spätentiken Gallien, Tübingen 1948, rist. Darmstadt 1970, nr. 158, e L. Pietri, L’Ordine senatorio in Gallia dal 476 alla fine del VI secolo, in AA.VV. (cur. A. Giardina), Società Romana e Impero Tardoantico, vol. I (Istituzioni, Ceti, Economie), Roma-Bari 1986, pp. 312 e 700, nn. 23 e 25; PLRE III-A, s.v. Firminus, p. 485. La data dell’ambasceria «is uncertain, perhaps c. 570-572» (PLRE III-B, s.v. Warinarius, p. 1401). Agazia ebbe certamente accesso ad una fonte diretta ascrivibile ai Franchi e «if we need to name a source, the embassy of 571 seems a likely candidate», scrive Averil Cameron (Agathias on the Early Merovingians cit., p. 134; per certi dettagli, infatti, Agazia pare addirittura più informato di Gregorio di Tours, cfr. ibid., pp. 133-134). 173 Cfr. ancora Averil Cameron, Agathias on the Early Merovingians cit., p. 133; un’altra ambasceria merovingica fu inviata a Cistantinopoli negli anni 578-579 da Chilperico, re di Neustria (cfr. W. Goffart, Byzantine policy cit., pp. 85; 93; 98-99 e nn. 108-112), ma è del tutto improbabile che da tale missione potessero venire informazioni utili sulle operazioni degli Austrasiani in Italia. 49 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso gener Iustini principis in Italia a Longobardis proelio vincitur et non multo plus inibi vitae finem accipit174. A quel punto, per la corte bizantina, sarebbe diventato «vital, not merely desirable, to enlist the aid of the Franks»175. Solo agli inizi del regno di Maurizio (a. 582) si sarebbero ricreate le condizioni per uno scambio di aiuti tra Bizantini e Franchi. Purtroppo «Évagre et Théophylacte Simocatta, les principaux historiens de Maurice, trop préoccupés des querelles religieuses qui agitent Constantinople et des grandes luttes contre les Perses et les Avares, ne nous disent rien des obscures et patientes intrigues poursuivies en Occident par la diplomatie byzantine»176. Senz’altro «Agathias was seeing the events of the 550’s with the eyes of the 570’s, that he utilised the Franks and the Alamanni to suit his own historical 174 Iohannis Abbatis Monasterii Biclarensis, Chronica, ad a. 576, 1, p. 214. Cfr. B. Feliciangeli, Longobardi e Bizantini lungo la via Flaminia nel secolo VI, Camerino 1908, rist. an. Bologna 1974, pp. 2223; G. Löhlein, Die Alpen- und Italienpolitik cit., pp. 63-64; W. Goffart, Byzantine policy cit., p. 80; J. Jarnut, Storia dei Longobardi cit., pp. 34-35; D. Sendula, Aspetti dei rapporti politico-giuridici tra il Regnum Langobardorum e l’Impero Bizantino nei sec. VI-VIII, in «Atti del VI Congresso Internazionale di Studi sull’Alto Medioevo» cit., t. II, p. 625 (su Baduario vd. Corippi Africani, In Laudem Iustini, II, 284285, MGH AA, III, pars posterior, p. 134). In precedenza lo stesso Baduario, per ordine di Giustino II aveva vittoriosamente aiutato i Gepidi, all’incirca nel 565, contro i Longobardi nella Mesia (vd. Theophyl. Sim. Hist. VI 10, 7-ss., pp. 240-242; cfr. J. Jarnut, Storia dei Longobardi cit., p. 22). Considerando l’ambito geografico di questo lavoro non è inopportuno ricordare che questo Baduario, curopalate bizantino, è stato considerato da alcuni studiosi come il predecessore della casata veneziana dei Badoer: cfr. ad es. E. Gibbon, The History of the Decline and Fall cit., vol. II, chap. xlv, p. 858, n. 24, tr. it., p. 1735, n. 3 (con rinvii). In G. Arnosti, Lo scisma tricapitolino cit., p. 66, il comandante bizantino è chiamato, per errore, Bandario. 175 Averil Cameron, Agathias on the Early Merovingians cit., p. 138. 176 A. Gasquet, L’Empire cit., p. 183; non portarono a risultati seri nemmeno i tentativi di far passare al servizio dell’impero alcuni duchi longobardi (vd. anche l’Epist. Austras. n. 48 (a. 581?), pp. 153-153; cfr. D. Sendula, Aspetti dei rapporti politico-giuridici cit., p. 625). Alcuni elementi Franchi avrebbero proposto di contribuire ad un’invasione dell’Italia (contro i Longobardi) in cambio dell’appoggio di Costantinopoli al pretendente Gundovaldus (vd. Greg. Tur. Hist. Fr. VI, 24. VI, 26; VII, 14, vol. II, risp. pp. 66-68; 70 ss.; 162; cfr. A. Gasquet, L’Empire cit., pp. 183 ss.; G. Löhlein, Die Alpen- und Italienpolitik cit., p. 65; H. Büttner, Die Alpenpolitik der Franken cit., p. 73; W. Goffart, Byzantine policy cit., pp. 91 ss., spec. pp. 96 ss.; quest’ultimo autore annotava specificamente: «as long as imperial policy was aimed at obtaining help agains the Lombards from the legitimate Merovingians, Gundovald would have had to be ignored. However, once Austrasia and Burgundy had shown reluctance to invade the peninsula, the Byzantines would again have thought that a pretender might be useful in changing Frankish minds. Yet, Byzantium was much too distant to have a hand in manipulating politics at the Merovingian court, and, unless the Byzantine autorities were offered a plan to use Gundovald by some group of Franks, they could not hope to establish the pretender otherwise than by sending an imperial army», ibid., p. 98; cfr. ancora ibid., pp. 105 ss.). Su alcuni aspetti della complessa storia merovingia di questo periodo, con riferimento proprio agli usurpatori e ai ‘vuoti di potere’ cfr. M. Gusso, A proposito di alcune locuzioni interregnali di fonti tardoantiche e altomedievali, «SDHI» 57, 1991, pp. 431-444. 50 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso theories, and that realising that Procopius hostility to the Franks would now seem oldfashioned and embarrassing, he was careful to avoid calling it to mind»177. Ma Agazia non si mostra mai come uno “storico ufficiale”; nel suo lavoro potrà esserci retorica, ma non si trova mai propaganda; non dimentichiamo poi che egli era un autore di richiamo, ed aveva in mente soprattutto il suo pubblico178. È probabile che non sappiamo quanto involontariamente Agazia, fors’anche affascinato dai Franchi, si sia fatto promotore di un tentativo di attirare (se non di promuovere) l’attenzione delle classi colte bizantine su questo popolo, come se volesse a tutti i costi dimostrare che i Franchi non erano dei barbari, o, comunque, non erano barbari come tutti gli altri179: «firstly, he is greatly influenced by the fact that the Franks are Catholics»180. Certo risultava sgradevole attribuire ai sovrani costantinopolitani dei nemici che fossero seguaci della loro stessa religione, appariva anzi una contraddizione in termini: teniamo presente l’attenzione che Agazia dedica nelle sue Storie alla durissima lotta tra Bizantini e Persiani anticristiani (consapevoli e attivi nemici di Dio), seguaci di un credo dualistico, che lo storico chiama un po’ semplicisticamente 177 Averil Cameron, Agathias on the Early Merovingians cit., p. 139. Descrizione sui culti pagani degli Alamanni in Agath. I 6, 3-7, pp. 17-19; tr. ingl., pp. 14-16. Secondo Agazia, la divinità si fa regolatrice delle azioni umane, favorisce i giusti ed i pii e punisce gli ingiusti e gli empi: gli Alamanni avevano devastato e saccheggiato le chiese ed avevano lordato di sangue i sacri recinti abbandonandovi cadaveri insepolti. Coloro che per avidità invadono la terra d’altri, sconvolgono la vita di altri popoli innocenti, ignorano la giustizia e non si curano di Dio. Sono raggiunti duramente dalla sua ira: Dio ha in odio questi comportamenti e i momentanei successi degli empi si capovolgono nelle loro irrimediabili sciagure (vd. Agath. II 1, 8-11, pp. 40-41; tr. ingl., pp. 32-33 e cfr. S. Costanza, Orientamenti cristiani cit., p. 98). 178 E il pubblico di Agazia aveva aspettative ben precise, che lo scrittore non voleva, né poteva, deludere. Gli scrittori bizantini che si iscrivevano al filone aulico del genere storiografico ambivano distinguersi dai coevi cronisti, che si rivolgevano ad un pubblico assai meno colto e raffinato. Per queste considerazioni cfr. H. Hunger, Die hochsprachliche profane Literatur der Byzantiner, I, München 1978, pp. 252-254 e M. Rampi La storiografia agaziana e il “favoloso”, «QM» 37, 1994, p. 39. 179 Cfr. Averil Cameron, Agathias on the Early Merovingians cit., pp. 136 ss.; cfr. tuttavia S. Impellizzeri, che sostiene invece come «il giudizio famoso» che Agazia «dà sui Franchi, di cui celebra i costumi civili ed umani, l’amore per la giustizia... diverge da quelli dei contemporanei, che vedono in essi invece delle genti selvagge», e sia «frutto della idealizzazione di genti babariche, topos comune della etnografia classica» (La Letteratura Bizantina. Da Costantino a Fozio, Firenze 1975, p. 236). 180 Averil Cameron, Agathias on the Early Merovingians cit., p. 136; vd. Agath. I 2, 4, p. 11; tr. ingl., p. 10 (cfr. S. Costanza, Orientamenti cristiani cit., p. 93); cfr., in ogni caso, G. Pepe, Il Medioevo barbarico d’Italia cit., pp. 218 ss.; d’altra parte già la «Justinian’s anti-Arian reconquista had quite naturally looked to the orthodox Franks in Gaul for assistance against the Ostrogoths; treaties had been concluded and sustantial subsidies were sent to the Merovingian king of Austrasia» (W. Goffart, Byzantine policy cit., p. 75; vd. Procop. Bell. Goth. I 5, 8-9, pp. 26, tr. it., p. 357); cfr. F. Beisel, Theudebertus Magnus cit., pp. 96-98. 51 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso ‘manicheo’181. È indubbio che Bisanzio aveva utilizzato i Franchi ‘cattolici’ contro i Goti ‘ariani’, riconoscendo implicitamente l’intervento di una nuova forza nella politica occidentale182, e la valutazione agaziana sui Franchi mira a dipingerli – con un po’ di retorica – come difensori della fede, come presidio occidentale della stessa fede e, conseguentemente, degli interessi Bizantini183: in questo senso anche la sua narrazione dell’episodio che ha al centro Ceneda contribuisce a farci riflettere. Certo i Franchi avevano sbagliato a scegliersi come alleati i pagani Alamanni, e per questo avevano pagato duramente il loro errore: ciò non toglie che, rimossi gli Alamanni184, i Franchi tornassero ad essere il presidio che erano, e anche Ceneda restò nelle loro mani ancora per qualche anno. In ogni caso l’approccio di Agazia nei confronti dei Franchi, in questa specifica vicenda, è più approfondito e sentito (quindi più credibile, anche nei particolari) che non quello di Paolo Diacono (affrettato e di maniera): allo storico longobardo interessava certo evidenziare posizione e ruolo dei Franchi, ma dei Carolingi del suo tempo, e solo limitatamente dei Merovingi passati185. Si ricordi inoltre che la Historia Romana di Paolo si concludeva piuttosto bruscamente proprio nel 552, alla vigila dell’invasione dell’Italia da parte di 181 Vd. Agath. III 12, 8-ss., pp. 99-100; tr. ingl., pp. 81-82; cfr. S. Costanza, Orientamenti cristiani cit., pp. 94-95; sul fatto che l’interesse di Agazia è soprattutto rivolto all’Oriente, e particolarmente alla Persia, cfr. S. Impellizzeri, La Letteratura Bizantina cit., p. 235 e, specif., Averil Cameron, Agathias on Sassanians, «DOP» 23-24, 1969/1970, pp. 66-183. 182 Cfr. J.M. Wallace-Hadrill, L’Occidente Barbarico cit., pp. 111-112. 183 In realtà Averil Cameron, riferendosi sia a Procopio che ad Agazia, notava che «the christian atmosphere of Constantinople is almost entirely lacking from their works. Because religious affairs were held to come under a separate category – ecclesiastical history – a whole area of contemporary life was simply excluded. Neither Agathias nor Procopius... explained or even asked, what the role of christianity was in everyday life and affairs. Both were Christians, yet both forced their histories into a mould shaped by pagan ideas and tradition (Agathias cit., p. 134). 184 Con parole degne d’un animo cristianamente misericordioso Agazia si augurava comunque che persino questi ultimi, già resi più civili dalla sola vicinanza con i Franchi, potessero presto essere accolti nella vera religione (vd. Agath. I 7, 2, p. 18; tr. ingl., p. 15; cfr. S. Costanza, Orientamenti cristiani cit., p. 110). 185 Cfr. a questo proposito, in gen., Rosamond McKitterick, Paolo Diacono e i Franchi: il contesto storico e culturale, in P. Chiesa (cur.), Paolo Diacono. Uno scrittore fra tradizione longobarda e rinnovamento carolingio. Convegno internazionale di Studi, Cividale del Friuli 6-9 maggio 1999, Udine 2000, pp. 9-28; Lidia Capo, Paolo Diacono e il mondo franco: l’incontro di due esperienze storiografiche, ibid., pp. 39-74. 52 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso Leutari e Buccelino, e proprio per esaurimento delle sue fonti (per il venir meno del suffragium dei dicta maiorum, come si esprime lui stesso) 186. § 7. Fine della presenza Franca in territorio veneto (555-562/563) Ritorniamo alla nostra vicenda storica là dove l’avevamo lasciata: Narsete aveva inseguito Buccelino e ne aveva rovinosamente sconfitte le FraggikÅ f†la187 nei pressi del Volturno (eo tempore Buccelenus dux Francorum in bello Romano cum omni exercitu suo interiit188): «the defeat of the Franks was already certain; it was now to be annihilation»189. 186 Le parole di Paolo sono estrapolate dal Prologus della Hist. Rom., p. 2; cfr. Lars Boje Mortensen, Impero Romano, Historia Romana e Historia Langobardorum, in P. Chiesa (cur.), Paolo Diacono cit., spec. pp. 363 ss.; ricordo che una fonte importante per Paolo, Iordanes, lo storico Goto, termina il suo lavoro al 551, un anno avanti la fine della Historia Romana (cfr. ibid., p. 365 e A. Momigliano, Cassiodorus and Italian Culture cit., pp. 210-218). 187 È l’espressione che compare in uno dei versi riportati in Agazia (I 10, 8, r. 11, ed. S. Costanza, p. 83), che esaltano l’impresa narsetiana. 254. Anche la sconfitta dei Franco-Alamanni è utilizzata da Agazia come prova dei castighi che gli invasori si erano attirati sul capo a causa della loro empietà (cfr. M. Rampi La storiografia agaziana e il “favoloso” cit., pp. 51-52). 188 Mar. Avent. Chr. a. 555.4, p. 237; Agath. II 7-10, pp. 49-55 (tr. ingl. pp. 38-43), dove è lodato altresì il valore di un energico e sperimentato soldato, Sindual, che si distinse con i suoi Eruli contro i francoalamanni (cfr. PLRE III-B, s.v. Sindual cit., p. 1155). A parere di E. Stein, Buccelino non intendeva «renoncer au déssein de se rendre maître d’Italie, d’autant plus que les Goths encore réfractaires à l’Empire lui avaient promis de le reconnaître pour roi une fois qu’il serait vainqueur» (Bas-Empire cit., p. 608); «ist es doch bekannt, daß Butilin gerade die Hoffnung, die man ihm auf die gotische Königskrone machte, in erster Linie bestimmt hat, das Unternehmen trotz der starken Verluste infolge der ausgebrochenen Krankheiten in seinem Heere nicht aufzugeben, sondern eine Entscheidung mit Narses zu wagen» (G. Löhlein, Die Alpenund Italienpolitik cit., p. 48); cfr. anche PLRE III-A, s.v. Butilinus cit., p. 254: «Butilinus... chose to remain, according to Agathias because he had promised to aid the Goths agains the Romans and they were encouraging him to belive that he would be offered the crown (Agath. II 2, 1-2)». 189 J.B. Bury, History cit., II, p. 280; vd. Agath. II 6-10, pp. 47-55 (tr. ingl., pp. 37-43); cfr. Th. Hodgkin, Italy and her Invaders cit., V, pp. 39-46; E. Stein, Bas-Empire cit., p. 608; W. Treadgold, A History cit., p. 241. Si può ricordare anche una fonte, accettata nel passato (cfr. ancora Th. Hodgkin, Italy and her Invaders cit., IV, p. 536, secondo cui: «Marcellinus Comes gives us no fact after 558»), ora opportunamente valutata come dubbia, il Marcellini Auctarium alterum: [a. 552] ind. XV. XI p.c. Basilii... per haec tempora cum Buccelinus comes cum sociis a Theodeberto rege Francorum dudum missus per annos aliquot Italiam Siciliamque infestaret et Romanum saepe exercitum superaret, tandem exercitus eius profluvio ventris attritus a Narse pugna victus et profligatus, ipse dux occisus est (Chronica minora II cit., p. 43, n. 1), considerazioni e discussioni su questa fonte ibid., pp. 42-43; il passo si può leggere anche nell’ed. del Chronicon di Marcellinus Comes di J.-P. Migne, PL, Parisiis 1861, t. 51, c. 946: è chiaro che questa confusa notizia mescola i primi attacchi all’Italia promossi da Teodeberto nel 539, con la spedizione franco-alamanna del 553-554, in una commistione simile a quella che si ritrova in Gregorio di Tours. Sul secondo Auctarium di Marcellino ricordo quanto scriveva O. Holder-Egger: «das Stück von 549-566, welches in den Ausgaben gedruckt ist, ist nichts als ein Fragment aus Hermanns von Reichenau Chronik», Untersuchungen über einige annalistische Quellen zur Geschichte des fünften und sechtsten Jahrhundert III. (Die Chronik des Marcellinus Comes und die oströmischen Fasten), in «NA» 2, 1877, p. 108, n. 4. 53 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso Il livello dei comandanti franchi (almeno quello della loro fortuna), tanto sul campo quanto nella direzione e nelle scelte strategiche generali, era caduto davvero in basso: non si può non ricordare l’autorevole opinione di chi ha scritto che tutto ciò non si sarebbe verificato «if Theodebert had been still alive»190. Nel frattempo Narsete si trovò così a controllare l’Italia a sud del Po: «denn die Rechtsfrage betreffs Venetiens wurde noch in Verhandlungen der Byzantiner mit Theudebalds Nachfolger, Chlothachar I., erörtert und erst beim Abschluß eines Waffenstillstandes zwischen diesem König und dem oströmischen Herrscher vorläufig geregelt. Welche Abmachungen man dabei traf, ist freilich unbekannt. Verzichteten die Franken aber etwa auch auf das streitige Gebiet, so gelangten die Byzantiner doch keinesfalls sofort und kampflos in dessen Besitz»191. Probabilmente «mit den Franken schloß Narses einen Waffenstillstand und Vertrag, nach dem jene das östliche Venetien (bis zur Brenta?) mit Ausnahme des Küstenstriches behielten, während sie wohl jetzt schon die anderen von ihnen besetzten Gebiete (die Cottischen Alpen und Nordligurien) räumen mußten»192. Le conseguenze di questa invasione si fecero sentire pesantemente sul tessuto sociale italico, e le autorità imperiali dovettero infatti intervenire a regolare la disastrata economia: certamente lo spietato fiscalismo bizantino («un régime de terreur fiscale») non aveva giovato alla ripresa della fragile economia italiana, istituendo un clima che fece «détester la domination byzantine encore mal affermie»193); risultano terribili le condizioni dell’economia italiana dopo le devastazioni prodotte dalla guerra gotica, specie nelle Venezie, nel Ravennate e nell’Emilia, quando ai proprietari terrieri, specie ai più modesti, vennero a mancare i mezzi elementari per cercare di risollevare le proprie tenute, e per rinnovare le indispensabili dotazioni di strumenti, di uomini, se non addirittura di sementi194. 190 J.B. Bury, History cit., II, p. 281. Una leggenda sull’eroismo e sui successi di Buccelino, si era già in parte formata nella Historia Francorum di Gregorio di Tours (III, 32; IV, 9, vol. I, pp. 268 e 299: «tutte fandonie», chiosava L. Muratori, Annali d’Italia cit., tomo III, p. 441; «a garbled version» la definisce PLRE III-B, s.v. Narses 1 cit., p. 922), ma trova il suo massimo interprete in Fredegario: cfr. Chronicarum quae dicuntur Fredegarii Scholastici, II 62, p. 88; III 44 e 50, p. 106, dove si leggono altisonanti e ingiustificate (quanto sgrammaticate) storie di vittorie di Buccelenus contro Belisario e Narsete; anzi lo stesso Belisario avrebbe perso la vita proprio dopo essere stato sconfitto da questo eroe. Inoltre Siciliam occupat, totamque Italiam dominans, magna ei felicitas in his condicionibus fuit etc. 191 R. Heuberger, Rätien, cit., p. 261. 192 L. Schmidt, Die letzten Ostgoten, cit., p. 7. 193 Cfr. E. Stein, Bas-Empire cit., pp. 446-449 e 565 ss.; sul sistema del fiscalismo bizantino applicato alle diverse realtà territoriali e amministrative in epoca giustinianea cfr. S. Puliatti, Ricerche sulla legislazione “regionale” cit., pp. 41 ss. 194 Cfr. L. Cracco Ruggini, Economia e Società cit., specie pp. 442 ss. (con numerosi rinvii documentali), ed Ead., Vicende rurali cit., pp. 280 ss.; una fonte frammentaria, connessa alle cronache isidoriane, relativa al periodo della guerra gotico-bizantina riferisce sinteticamente e crudamente 54 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso La riconquista della penisola era costata gran parte del suo potenziale patrimoniale e produttivo: «lo stesso anno della promulgazione delle norme raccolte nella Pragmatica Sanctio, il flagello degli Alamanni e dei Franchi di Leutari e Buccellino aveva aggiunto miserie a miserie»195. Una sorta di grido di disperazione si levò da tutta Italia all’imperatore, perché venisse in aiuto almeno di coloro che erano sul punto di soccombere sotto il peso dei debiti contratti. Giustiniano, in realtà, mirava apertamente alla restaurazione del potere bizantino, accompagnata dal ristabilimento dei precedenti rapporti socio-economici, specie in favore della aristocrazia latifondista, che riebbe, in prospettiva, la protezione imperiale accompagnata dai beni e dai privilegi di cui i Goti, specie con Totila, l’avevano spogliata196. L’imperatore emanò comunque, nel 555 (o ai primi del 556), un modesto provvedimento che ci appare del tutto insufficiente, ma resta comunque indicativo della percezione, ‘a livello centrale’, di una realtà ormai difficilmente governabile: si trattò di una costituzione (la c.d. Lex quae data est pro debitoribus in Italia et Sicilia197), indirizzandola Narsi Panfronio et senatui, cioè a Narsete, ad un illustre personaggio romano (Pamphronius), che ritroveremo anche in seguito, e, ovviamente, al Senato di Roma. Si trattò di una moratoria di cinque anni dei debiti, che reca un esplicito riferimento all’ultima invasione (nuper factam incursionem Francorum198): non la realtà di quel periodo: per idem tempus tanta fames facta fuit per totam Italiam, quod matres carnes puerorum suorum manducabant (Additamenta ad Chronica Maiora ex codicibus diversis, in Chronica minora II cit., p. 493). 195 O. Bertolini, Roma cit., p. 194; cfr. J.B. Bury, History cit., II, p. 282; PLRE III-B, s.v. Narses 1 cit., p. 923. La c.d. Pragmatica Sanctio pro petitione Vigilii (datata 13 agosto 554) è pubblicata nel Corpus Iuris Civilis (rec. R. Schoell-G. Kroll), Berolini 19546, Vol. II, Novellae, pp. 799-802 (Nov. App. VII); lo stesso anno della Prammatica anche Cassiodoro «kehrte... auf seine Güter nach Italien zurück, wo er bei dem Orte Squillace das Kloster Vivarium gründete» (Ingemar König, Theoderich der Große und Cassiodor cit., p. 215). 196 Cfr. E. Stein, Bas-Empire cit., pp. 613 ss.; G. Ostrogorsky, Geschichte des Byzantinischen Staates, München 1963, trad. it. Storia dell’Impero Bizantino, Torino 1968, p. 61. 197 In Corpus Iuris Civilis cit., Vol. II, Novellae, p. 803 (Nov. App. VIII); cfr. E. Stein, Bas-Empire cit., pp. 616-617; J.B. Bury, History cit., II, p. 282, n. 1; PLRE III-B, s.v. Narses 1 cit., p. 923. «The constitution was issued in 555 or shortly afterwards» (PLRE III-B, s.v. Pamphronius, p. 962). 198 È curioso, ma non sorprendente, che l’accenno alla decursio barbarici temporis, nelle premesse della Novella imperiale, possa avere come pendant il riferimento ad una espressione simile: tempore hoc barbarici, in un documento papiraceo ravennate di quegli stessi anni (aprile 553), con il quale una benestante donna Gota faceva dono dei suoi beni alla Chiesa (cfr. A. Carile, Bellum cit., p. 159, n. 46 = Società cit., pp. 138-139, n. 46 con riferimenti bibliografici). Ci sarebbe da chiedersi chi fossero, allora, i barbari (per riflessi linguistici su barbarie e civiltà nel periodo trattato in questo lavoro cfr. comunque J. Szövérffi, À la source de l’humanisme chrétien médieval: “Romanus” et “Barbarus” chez Vénance Fortunat, «Aevum» 1971, pp. 77-86; G.B. Ladner, On Roman Attitudes towards 55 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso siamo tuttavia informati di altri provvedimenti o di altre misure di sollievo alla popolazione o all’economia: ovviamente fuori di ogni realtà è ad esempio la cronaca che narra di come Narses patricius... Italiam Romano imperio reddidit, urbesque dirutas restauravit totiusque Italiae populos, expulsis Gothis [e i Franchi?], ad pristinum reducit gaudium199. In ogni caso, la riconquista dell’area Transpadana, nonostante il volonteroso impegno propagandistico di qualche cronista200, si realizzerà completamente soltanto alcuni anni più tardi. Come è stato scritto, «of the subjugation of the Transpadane provinces... we have no record. It was a slow business»201: sarà probabilmente nel 556, o meglio, a partire dal 556 (se vogliamo dar fiducia alla cronologia di Mario di Avenches), che «les Francs aient été forcés d’évacuer les territoires conquis par Théodebert dans l’ouest de la Haute-Italie. Une trêve fut conclue qui ne semble rien avoir changé à la situation Barbarians in Late Antiquity, «Viator» 7, 1976, pp. 1-25; L. Alfonsi, Romani e barbari nella Historia Langobardorum di Paolo Diacono, «RomBarb» 1, 1976, pp. 7-23; Ralph W. Mathisen, Roman Aristocrats in Barbarian Gaul: Strategies for Survival in an Age of Transition, Austin (Texas) 1993, spec. pp. 1-6; 3949). Ricordo il celebre verso di Massimiano: non fleo privatum, sed generale chaos (Elegiae V, 110, p. 268), cioè: ‘non piango il mio personale fallimento, ma il caos, la discordia universale’, che – nella cornice erotica in cui è iscritto – richiama la ‘fine dei tempi’, che si manifestava anche attraverso un rimescolamento dei valori, come doveva essere vissuta da un intellettuale occidentale a cavallo della metà del VI secolo posto drammaticamente di fronte alla condizione dell’Italia ed al cruento Clash of Civilisations che vi si stava svolgendo. 199 Auctarii Hauniensis Extrema (in Chronica minora I, p. 337, § 4; cfr. anche l’ed. R. Cessi, in appendice ai suoi Studi sulle fonti dell’età gotica e longobarda. II. ‘Prosperi Continuatio Hauniensis’, «ArchMur» 22, 1922, p. 638, rr. 40-42 (vd. Liber Pontificalis, LXIII. Iohannes III: erat enim tota Italia gaudens, Duchesne, I, p. 305 e n. 5, p. 307). Sulle fonti che dipingono una dubbia abbondanza dell’Italia di questo periodo cfr. L. Cracco Ruggini, Economia e Società cit., pp. 478-479. 200 In part. Mar. Avent. Chr. a. 556.4, p. 237: eo anno exercitus rei publicae resumtis viribus partem Italiae, quam Theudebertus rex adquisierat, occupavit (che è notizia da trasferire forse al 554). Si consideri peraltro che per diversi cronisti, meno informati o meno attenti, la stessa presenza dei Franchi in Italia in questo periodo non risulta neppure conosciuta o degna di essere almeno ricordata. Mi riferisco, ad esempio, ad Isid. Iun. Chron. 402, in Chronica minora II cit., p. 476; al passo appena citato delle Auctarii Hauniensis Extrema, a Beda, Chron. 522, p. 308, oltre che alla Historia Romana di Paolo Diacono (XVI 12-13, pp. 134135). Sulla dipendenza pasticciata da Isidoro iuniore delle Auct. Haun. Extrema, cfr. R. Cessi, Studi sulle fonti cit., p. 612 (specif. per il passo di cui si tratta). Peraltro il silenzio sulla presenza dei Franchi in area veneta in questo periodo non è prerogativa solo dei cronisti tardoantichi: si pensi a S. Gasparri, Dall’età longobarda cit., pp. 8-9, ove è ricordata ad es. l’invasione dei Franchi del 589-590, mentre, in precedenza, non vi è alcun cenno sulle incursioni e sugli insediamenti franchi nel periodo 539-562 (cfr. ibid., pp. 4-5). 201 J.B. Bury, History cit., II, p. 281. «Petit à petit, les Goths qui se maintenaient encore dans la province de Ligurie, furent soumis» (E. Stein, Bas-Empire cit., p. 609). 56 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso territoriale en Vénétie»202. Indubbiamente «la proximité du royaume franc, unifié par Clotaire à la mort de Childebert en décembre 558 ou 559, détermina probablement Narsès à ménager pendant quelque temps encore les Ostrogoths qui occupaient Vérone et Brescia. Nous ne connaissons que très imparfaitement les circonstances dans lesquelles se termina ensuite la tragédie ostrogothique»203. Come sappiamo da un frammento dello storico bizantino Menandro204, ancora nel 561-562205, un comandante Franco, di nome Aming (o, forse, Haming? Il nome è comunque reso in greco con un =Ammigoq che escluderebbe l’aspirazione iniziale206), avrebbe schierato le sue truppe per bloccare un guado dell’Adige, impedendone in tal modo l’attraversamento ad un contingente di truppe imperiali. Purtroppo il frammento è poco chiaro, e comunque troppo sintetico: sembra di capire che la frizione franco-bizantina fosse considerata con preoccupazione da Narsete che avrebbe inviato un’ambasceria ad Aming, guidata da Bono (e non 202 E. Stein, Bas-Empire cit., p. 610 e de relato A. Carile, Bellum cit., p. 177 = Società cit., p. 156. Forse Mar. Avent. Chr. a. 556.4, p. 237, va inteso come riferibile al 554, cioè alla sconfitta di Leutari e Buccelino, mentre il passo immediatamente successivo (a. 556.5, p. 237) riguarda un arco cronologico che va appunto almeno dal 554 al 562 (notava F. Gregorovius, Storia di Roma cit., p. 346, n. 1: «reca stupore che la Cronica di Mario Aventic. disgiunga di sette anni i tempi di Bucelino da quelli di Leutari»). L. Cracco Ruggini scrive, forse troppo sbrigativamente: «soltanto nel 556, tuttavia, i Franchi evacueranno definitivamente l’Italia Settentrionale» (Economia e Società cit., p. 477). Il 556 è dato erroneamente come l’anno in cui Leutari si rifugia a Ceneda in A.N. Rigoni, Documentazione archeologica cit., p. 113. 203 E. Stein, Bas-Empire cit., p. 610 (corsivo mio); cfr. anche Th. Hodgkin, Italy and her Invaders cit., V, p. 46 («the sickly child Theudebald, king of Austrasia, died in 555, and his great-uncle Chlotochar, who succeeded to his kingdom, showed no sign of wishing to renew the war for the possession of Italy»). 204 Menandr. fr. 8, ed. C. Müller cit., p. 204 = fr. 3, 1 rr. 1-2, ed. R.C. Blockley cit., p. 44 (da questa edizione è tolto il passo citato di seguito); cfr. anche E. Gibbon, The History of the Decline and Fall cit., vol. II, chap. xliii, p. 763, n. 56, tr. it., p. 1646. 205 La data «is uncertain; the preceding and succeding fragments of Menander concern events in 559 and 561, and within that time Narses is recorded in north Italy in 561» (PLRE III-A, s.v. Bonus 3 cit., p. 241). 206 «Duca di (sic) Aming», come si legge, per una evidente svista, in A. Carile, Bellum cit., p. 177, n. 120 = Società cit., p. 156, n. 120; si tratta di un comandante «of Frankish forces in north Italy (possibly since c. 553)» (PLRE III-A, s.v. Amingus, p. 55). Che Aming fosse uno dei comandanti franchi che, per incarico di re Teodeberto avevano guidato le incursioni in Italia dopo il 539 si può ricostruire anche a partire da una confusa notizia del Liber Pontificalis, peraltro cronologicamente sconclusionata: venit Amingus dux Francorum et Buccillinus... et ipsi premebant Italiam. Sed auxiliante Domino et ipsi a Narsete interfecti sunt (LXIII. Iohannes III Duchesne, I, p. 305, n. 3, pp. 306-307; MGH GPR, vol. I, p. 157); nella Vita Iohannis Abbatis Reomarensis cit., p. 513, si legge invece confusamente di due capi franchi inviati in Italia, tra i quali Bucceleno. F. Beisel definisce il «dux Aming der letzte der großen Heerführer in Italien» (Theudebertus Magnus cit., p. 122). 57 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso ‘Buno’ come capita di leggere207) e Pamfronio208, i quali avrebbero cercato una composizione incruenta, ma senza successo209. Infatti Aming fece rispondere orgogliosamente ai Bizantini che non avrebbe cessato di combattere fino a quando fosse stato in grado di imbracciare la lancia210. Probabilmente si tratta solo della parte iniziale della notizia relativa a questa vicenda, che si sarebbe conclusa poco dopo con la sconfitta di questo ultimo centro di resistenza Franco (da collocarsi essenzialmente nell’area veronese211); certamente i Franchi non dovettero assistere alla riconquista della Venetia da parte dei bizantini «en spectateurs indifférents»212. Tuttavia, da qui ad immaginare altri più intriganti scenari ce ne corre: è difficile inoltre che in Aming si possa riconoscere il personaggio – chiamato Chamingus – cui si rivolgeva in una lettera ufficiale il 207 Ad es. in G. Arnosti, Lo scisma tricapitolino cit., p. 61 (dove tuttavia non è specificata l’edizione menandrea di riferimento); si trattava di un altissimo funzionario: «the office which Bonus held was perhaps that of comes patrimonii per Italiam» (PLRE III-A, s.v. Bonus 3 cit., p. 241; sullo specifico ufficio cfr. part. A.H.M. Jones, The Later Roman Empire cit., pp. 425-427, tr. it., pp. 638-638). 208 Cfr. J. Sundwall, Abhandlungen cit., pp. 105 e 145-146 (dove con «Frankenkönig» si deve, forse intendere il dux Aming); PLRE III-A, s.v. Bonus 3, p. 241; W. Enßlin, s.v. Pamphronius 2 cit., c. 353; PLRE III-B, s.v. Pamphronius cit., p. pp. 962-963; il patricius «Pamphronius was evidently a high-ranking civilian official in Italy» (PLRE III-B, s.v. Pamprhonius cit., p. 962), presumibilmente Prefetto del Pretorio o Prefetto della Città di Roma (secondo Menandro, fr. 49 ed. C. Müller cit., p. 253 = fr. 22 ed. R.C. Blockley cit., pp. 196-197 e p. 281, n. 267) questi sarebbe stato ancora in carica nel 578 (cfr. W. Enßlin, s.v. Pamphronius 2 cit., c. 353; W. Goffart, Byzantine policy cit., p. 81, che offre una propria traduzione del frammento menandreo). 209 «During the reconquest of north Italy Bonus and Pamphronius were sent to the Frank Amingus as envoys by Narses to arrange for the Roman army to cross rhe river Attisius (Adige) without involving the Franks in warfare» (PLRE III-A, s.v. Bonus 3 cit., p. 241; ibid., s.v. Amingus cit. p. 55); cfr. anche O. Bertolini, Roma cit., p. 220. 210 Menandr. fr. 8, ed. C. Müller cit., p. 204 = fr. 3,1 rr. 8-10, ed. R.C. Blockley cit., p. 44 (anche in questo caso ho scelto quest’ultima edizione per il passo citato). «Amingus... lagerte am linken Ufer der Etsch, um die Byzantiner am Überschreiten des Flusses und an der Einschließung von Verona zu hindern» (L. Schmidt, Die letzten Ostgoten, cit., p. 7). 211 Però W. Goffart ritiene che «a considerable portion of Venetia was still a dependency of Austrasia in 562, when its governor Amingus supported a last-ditch Gothic rising» (Byzantine policy cit., p. 76). L’unico storico che ipotizza che il duca Franco Aming avesse la propria sua base operativa a Treviso, da cui si sarebbe mosso «al soccorso» di Widin, è C.G. Mor, Da Roma a Carlo Magno: vicende politiche tra Piave e Livenza cit., p. 14 (una serie di considerazioni, ibid., p. 19, n. 8, connesse con la ‘riconquista’ di Treviso da parte dei Franchi dopo il 550-551, non sono completamente intelleggibili). 212 Come suggerisce E. Stein, Bas-Empire cit., p. 610. Sulla vicenda cfr. anche G.B. Bognetti, Teodorico di Verona e Verona longobarda capitale di regno [1960], in Id., L’Età Longobarda cit., IV, pp. 350 ss. 58 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso maior domus di Sigeberto, Gogone213. G.B. Bognetti sosteneva, dal canto suo, che «in un anno non facilmente precisabile, ma certo avanti l’estate del 561, Narsete si era probabilmente indotto a mandare una schiera per eseguire arresti di vescovi ribelli nella Venezia. Ma i Franchi rifiutarono il passaggio dell’Adige, e cominciò la rivolta gotica, conclusasi solo nel 563»214: ora, almeno il rango della delegazione bizantina lascia pensare ad un esplicito tentativo di conciliazione diplomatica prima di arrivare al confronto militare, magari attraverso compensazioni in denaro, vista la presenza tra i delegati del comes patrimonii. Se anche ci fosse stata una richiesta agli imperiali, da parte di papa Pelagio215, di catturare alcuni vescovi scismatici tricapitolini, noi non 213 «It is not known whether Amingus had acted at the command of Sigibert I, king of Austrasia since 561» (W. Goffart, Byzantine policy cit., p. 76, e n. 11): si dovrebbe allora retrodatare a non prima del 562 una delle Epistolae Austrasicae (la n. 13, pp. 127-128), tradizionalmente datata tra il 568 e il 575; Cfr. però PLRE III-A, s.v. Chamingus, p. 281 (che data la lettera al 575/581 e sostiene che il personaggio in questione «non to be confused with Amingus, long since dead»); cfr. ibid., s.v. Gogo, p. 541. 214 G.B. Bognetti, Santa Maria cit., p. 200; G. Arnosti (Lo scisma tricapitolino cit., p. 61) pone l’episodio nel 559; questo stesso autore sostiene poi (ibid., p. 62) che nel 560 Narsete sarebbe divenuto prefetto del pretorio e per questo assegna alla stesso speciali compiti di vigilanza sui culti che darebbero ragione di presunti suoi comportamenti. Narsete, tuttavia, non rivestì mai le funzioni di prefetto del pretorio (ad ogni buon conto cfr. PLRE III-B, s.v. Narses 1 cit., pp. 912-928, con la più scrupolosa disamina dell’intero complesso cursus honorum del celebre personaggio). In particolare, nel periodo di cui si tratta, Narsete era praepositus sacri cubiculi; vir inlustris e, forse dal 559, patricius (cfr. PLRE III-B, s.v. Narses 1 cit., pp. 923. Anzi, in quegli anni il titolo prefettizio fu conferito come Praefectus Italiae o per Italiam e non come Praefectus Praetorio (cfr. J.B. Bury, History cit., II, p. 282: che ricorda appunto come Narsete avesse al suo fianco Antiochus, «at the head of the civil service, but it is significant that the title of Antiochus was not Praetorian Prefect, but simply Praefect of Italy»); cfr. PLRE III-A, s.v. Antiochus 2, p. 90 (questi, nella Pragmatica Sanctio è detto infatti: Antioco v(iro) magnifico praef(ecto) per Italiam). Una certa confusione sul Narsete Prefetto può essersi forse ingenerata in quanto, tra il 554 e il 568, ricoprì la prefettura italiana un personaggio dall’inverosimile nome: Fl. Marianus Michaelius Gabrihelius Petrus Iohannis Narses Aurelianus Limenius Stefanus (cfr. PLRE III-A, s.v. Aurelianus 1 p. 156), che si chiamava anche Narsete (cfr. ibid., pp. 1474-1475 con l’elenco dei Pr. Pret. per l’Italia). 215 Cfr. ed. J.-P. Migne, PL, LXIX, spec. cc. 413-414 (cfr. G. Cuscito, Aquileia e Bisanzio nella controversia dei Tre Capitoli, «AAAd» 12, 1977, pp. 233 ss.; Id., La Fede Calcedonese e i Concili di Grado (579) e di Marano (591), «AAAd» 17, 1980, spec. pp. 217 ss.). Sulle lettere di Pelagio cfr. PLRE III-B, s.v. Narses 1 cit, p. 923: una venne composta probabilmente nel marzo/aprile del 559 («Narses is urged to take strong measures against the schismatic bishops of Liguria, Venetia and Histria, who continued to adhere to the Tree Chapters and refused to communicate with Pelagius»), la seconda, forse in ‘unepoca più vicina ai fatti di cui si tratta (ma comunque «between 556 and 561»); nulla si può dedurre da tali misive riguardo i successivi comportamenti di Narsete. Su Iohannes e Valerianus, citati da G. Arnosti (Lo scisma tricapitolino cit., p. 61, n. 9) come fratelli e prefetti del pretorio, cfr. J. Sundwall, Abhandlungen cit., risp. pp. 132 (Iohannes, comes patrimonii attorno al 558: «Freund, nicht Bruder des Patricius Valerianus») e p. 166 (patricius 558/560). Su queste vicende cfr. anche R.A. Markus, Ravenna and Rome, 554-604, «Byzantion» 51, 1981, spec. pp. 568-570. 59 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso saremmo tuttavia in grado né di affermare che Narsete vi avesse aderito, né che vi avesse aderito nei tempi e nei modi descritti da Menandro nel suo frammento (ricordo per inciso che quel papa morì nel 560). E non saremmo neppure in grado di concludere che proprio ciò avrebbe costituito il detonatore della rivolta degli ultimi Goti, soprattutto se non possiamo dimostrare (come non possiamo, per il silenzio, o la non correlabilità, delle nostre fonti) almeno la consequenzialità degli eventi richiamati. Paolo Diacono216, dal canto suo, non riduce le nostre perplessità sull’effettiva natura dell’episodio, quando parla di Amingus vero dum Windin217 Gothorum comiti contra Narsetem rebellanti auxilium ferre conatus fuisset, utrique a Narsete superati sunt. Lo storico longobardo sembra voler descrivere, purtroppo in forma assai lacunosa, lo scoppio di una sorta di rivolta Gotica (o, meglio, Franco-Gotica), repressa da Narsete, piuttosto che la fine dell’ultimo presidio franco che si opponeva alla riconquistata Italia bizantina (Windin captus Constantinopolim exiliatur. Amingus vero, qui ei auxilium praebuerat, Narsetis gladio perimitur) 218. Tuttavia il passo di Paolo è cronologicamente discutibile, basti pensare che la fine di Leutari (554) è posposta – o giustapposta – rispetto a quella di Windin e Aming (561-562) 219. Di un residuo moto di ribellione, o di resistenza, contro Narsete (promosso dai Franchi, cui si sarebbero unite forze Gote) si trova forse traccia in Agnello Ravennate, che scrive appunto come le truppe bizantine pugnaverunt contra Veronenses cives et capta est Verona civitas a militibus XX die mensis Iulii220, ed anche in Teofane, che cita, tra i centri della sommossa –per lui tuttavia esclusivamente gotica– proprio Verona, oltre a Brescia: tˆ d'aªtˆ mhnÁ [si tratta, nella cronologia del cronista, del novembre 562221] ®pinºkia ƒluon... Narso† to† patrikºoy dhlo†nta paralabe¡n aªtØn pøleiq... t©n Gøtuvn d¥o, BhrvÇan kaÁ 216 Paul. Diac. Hist. Lang. II 2, p. 78. «Possibly the commander in Verona» (J.B. Bury, History cit., II, p. 282, n. 3); cfr. W. Enßlin, s.v. Widin, RE VIII A.2 (1958), c. 2097 («war 562 Führer der um Verona und Brescia wohnenden Ostgotenreste im Kampf gegen Narses»); di una insurrezione dei «Goti della valle Padana, sotto la guida del conte Widin e con l’aiuto dei Franchi stanziati nella Venezia» parla O. Bertolini, Roma cit., p. 220; cfr. PLRE III-B, s.v. Widin, p. 1403. Dell’anno 561, «in cui il conte Widin e i suoi consanguinei resistettero con azioni di guerriglia al governo romeo in Italia», parla A. Carile, Bellum cit., p. 158 = Società cit., p. 138. Su Aming e Widin cfr. anche E. Stein, Bas-Empire cit., p. 611, n. 1; R. Holtzmann, Die Italienpolitik der Merowinger cit., p. 15; C.G. Mor, Verona Medievale cit., pp. 19-20. 218 Paul. Diac. Hist. Lang. II 2, p. 78. 219 Cfr. E. Stein, Bas-Empire cit., pp. 610-611. 220 Agnell. Rav. lib pont. 79, p. 331 = ed. Mommsen, p. 335. Secondo E. Stein, tuttavia, «il n’est pas impossible que Vidin ait été commandant de Vérone après une première prise de cette ville, et que sa révolte ait obligé Narsès à réduire Vérone encore une fois en 562» (Bas-Empire cit., p. 611, n. 1 221 Cfr. J.B. Bury, History cit., II, p. 281, n. 3. 217 60 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso Brºgkaq222. Expulsi sunt Franci de Italia per Narsete patricium chiosa infine Agnello223, e infatti «la défaite d’Aming fit tomber la Vénétie franque au pouvoir des Byzantins»224. Così è riassunta la situazione da R. Heuberger: «denn bald darauf wahrscheinlich erst nach dem Tod Chlotachars (561), der seit 558 das ganze Merowingerreich beherrscht hatte - stand ein fränkisches Heer unter dem Dux Aming im Bund mit dem gotischen Comes Widin an der Etsch, wenn auch vielleicht wider Wissen und Willen König Guntchramns. Auch Brescia und Verona waren damals noch nicht in der Hand der Kaiserlichen. Erst nachdem die Byzantiner, denen seit 555 ganz Italien südlich des Pos gehorchte, Aming und Widin besiegt und die genannten Städte genommen hatten, was vermutlich im Jahr 562 oder um 563 geschah, vermochte Narses die Grenze des Kaiserreichs bis an die Ostalpen vorzuschieben»225. Quindi soltanto nella seconda metà del 562, spezzata ogni residua resistenza, venne meno con il loro ultimo efficiente comandante la presenza dei Franchi nella Venetia, schiacciata definitivamente da Narsete226. 222 Chron. A.M. 6055, p. 237 De Boor (= 367 B); Cedren. Hist. Comp. I, 679, 13-15; traduce Anastas., Chron., p. 147, 9-10 De Boor: tropaea venerunt a Roma Narsis patricii significantia comprehendisse illum urbes munitas Gothorum duas, Veronam scilicet et Brixiam, vicesima vero quinta die Novembrii mensis. Teofane che si rifà ad un passo di Io. Mal. (XVIII, 140, p. 425 = ed. L. Dindorf, p. 492). Nonostante nella linea della tradizione Malala-Teofane siano i Goti i nemici definitivamente sconfitti, una eco della fine della specifica minaccia ‘dei Franchi’ si trova ancora nella descrizione poetica della restaurata Santa Sofia (reinaugurata poco dopo la data segnata da Teofane, nel dicembre 562) e messa in versi da Paolo Silenziario (descr. S. Soph., v. 228, p. 233: dove si afferma essere placata, letteralmente, la ‘furia (celtica=) gallica’; cfr. il commento di P. Friedländer, p. 267 e B. Rubin, Das Zeitalter cit., p. 172, e pp. 429-430. Riporto da ultimo, per completezza, la notizia che si trova in quella fonte assai sospetta qual è il c.d. Marcellini Auctarium alterum [a. 552] secondo la quale, sconfitti i Franchi di Buccelinus, i quali per annos aliquot avevano saccheggiato l’Italia, nec multo post socius eius Omnirugus dux cum reliquos Gothorum, quibus se iunxit, peremptus est (Chronica minora II cit., p. 43, n. 1). Che dietro a questo misterioso Omnirugus possa celarsi Amingus? Certo si trattava di un comandante Franco (socius eius, di Buccelinus), e certo a lui si unirono reliquos Gothorum (i Goti di Widin?), in corrispondenza alla notizia di Paolo Diacono, salvo il tentativo di precisazione cronologica (assicurato peraltro solo da quel nec multo post). 223 Agnell. Rav. lib pont. 90, p. 336 = ed. Mommsen, p. 335 (ove si legge, subito di seguito, in una sorta di ricapitolazione delle gesta di Narsete: et vicit duos reges Gothorum et duces Francorum iugulavit gladio). Vd. anche Annales Ravennatenses, a. 568, p. 368. 224 E. Stein, Bas-Empire cit., p. 610; «Der Rest der fränkischen Besitzungen in Oberitalien fiel an das byzantinische Reich» (L. Schmidt, Die letzten Ostgoten, cit., p. 7). 225 Rätien, cit., p. 261. 226 «Erst 563 konnten die von den Franken besetzten Gebiete wieder von Bysanz zurückerobert werden» (V. Bierbauer, Zur ostgotischen Geschichte cit., p. 29); cfr. PLRE III-B, s.v. Narses 1 cit., p. 924. 61 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso § 8. Breve ed incerta riconquista imperiale della Venetia (dal 562 al 615 ca.) Ricordo che nel dicembre 561 il re Sigeberto era succeduto a Clotario sul trono austrasiano e si era ritrovato subito a dover rintuzzare contemporaneamente un’incursione degli Avari ed un attacco portato da uno dei suoi fratelli, senza avere alcuna seria possibilità di intervento in Italia227. «Le régions méridionales de la Rétie et du Norique, qui avaient servi de boulevard au royaume de Théodoric, échappaient presque complètement à l’autorité de l’empereur; en conséquence, Narsès paraît avoir fait construire un nombre considérable de forteresses et de châteaux destinés à protéger la province de Venetia et Histria et formant deux duchés, celui de Forum Julii (Cividale) dans le Frioul, et celui de Trente»228. Probabilmente i Franchi, pur perdendo le loro basi nella Venetia, avevano tuttavia mantenuto il controllo di parte del Trentino: tra Franchi ed imperiali doveva essere dispegata la ‘colonia’ di guerrieri Eruli guidata da Sindual il quale però, tra 566 e 567 si ribellò ai bizantini costringendo Narsete ad un’ennesima campagna militare229. Sindewala Erolus tyrannidem adsumpsit et a Narseo patricio interfectus est, scriveva Mario Aventicense230; mentre il Liber Pontificalis chiosava: eodem tempore Eruli intarsia fecerunt et levaverunt sibi regem Sindual et premebant cunctam Italiam. Qui egressus Narses ad eum interfectus est et omnem gentem 227 «Als nach Chlothars I. Tode das Frankenreich erneut geteilt wurde, blieb die Lage dieselbe, soweit es die Italienpolitik betraf. Der neue Herrscher im Teilreich von Reims, Sigebert I. (561-75), war wie sein Vorgänger im Innern des Frankenreiches stark gebunden» (H. Büttner, Die Alpenpolitik der Franken cit., p. 69). Cfr. E. Stein, Bas-Empire cit., pp. 610-611. 228 E. Stein, Bas-Empire cit., p. 612. Secondo G. Löhlein, Die Alpen- und Italienpolitik cit., pp. 50-51, «arbeitete Narses an der militärischen Sicherung des Landes. Besonders galt es, die Nordgrenze, die im wesentlichen den Stand von vor 539 wieder erreicht hatte, in Verteidigungzustand zu setzen. Es wurde zu diesem Zweck, oft im Anschluß an bereits bestehende und wieder hergestellte Kastelle, ein starkes Befestigungssystem geschaffen, das sich im Osten am klarsten verfolgen läßt... Die Verbindung zwischen der Mark von Friaul und der von Trient stellten Cenitense castrum (Ceneda) und Feltria (Feltre) her» (corsivo mio). 229 «Possibly in 566, after the death of Justinian, the Heruli in north Italy revolted and proclaimed Sindual king but he was shortly afterwards defeared and executed by Narses» (PLRE III-B, s.v. Sindual cit., p. 1155; cfr. O. Bertolini, Roma cit., p. 220; cfr. G. Löhlein, Die Alpen- und Italienpolitik cit., p. 52); E. Stein, BasEmpire cit., p. 611, n. 1 e p. 613; A. Lippold, s.v. Narses cit., c. 887 230 Mar. Avent. Chr. a. 566.4, p. 238 (cfr. O. Holder-Egger, Untersuchungen über einige annalistische Quellen zur Geschichte des fünften und sechtsten Jahrhundert II., «NA» 1, 1876, p. 342). 62 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso Erulorum sibi subiugavit231. Il bizantino Evagrio, dal canto suo, nel tessere la gloria di Narsete, ricordava specificamente l’ultimo episodio collegandolo alla precedente sconfitta di Buccelino: p™praktai d‚ kaÁ ’tera tˆ NarsÎ løgoy pollo† “jia, Boyselºnon kaÁ Sindo¥aldon katapolem¸santi, kaÁ tÅ pollÅ proskthsam™nÛ fino all’Oceano232. Ciò avveniva proprio in coincidenza con la successione a Giustiniano morto nel frattempo: l’episodio, in sé non pericolosissimo, mostrava tuttavia come l’instabilità dell’area non fosse ormai più recuperabile con mezzi ordinari: non sappiamo se a Sindual si fossero unite schiere di Goti dispersi, anche se è un’eventualità tutt’altro che remota, e da tenere in debita considerazione233. «Es ist nicht bekannt, ob die Kämpfe zwischen Franken und Oströmern nach der Niederwerfung Sindualds noch weiter dauerten. Sollte es jedoch der Fall gewesen sein, so könnten sie nur in Rätien oder Norikum, die zu Austrasien gehörten und auf welche die Griechen Anspruch erhoben, stattgefunden haben»234. Già allora era chiaro che le posizioni bizantine, per raggiungere un livello accettabile di sicurezza, avrebbero dovuto inevitabilmente essere stabilmente fortificate sulle montagne ovvero essere arretrate su linee più esterne e più sicure in direzione del mare: ma per la prima ipotesi non conosciamo se esistessero le risorse per mantenere efficienti tale limes, le relative vie di accesso, collegamento e controllo; e non è chiaro, infine, se le truppe disponibili sarebbero state sufficienti a presidiarlo. Ceneda comunque, dopo il 556/557 (o dopo il 562/563), tornò con ogni probabilità sotto il controllo imperiale: si apriva allora anche per questa cittadina una breve ed incerta stagione nell’ambito della ritrovata, ma effimera, unità della Venetia. 231 Mar. Avent. Chr. a. 566.4, p. 238 (cfr. O. Holder-Egger, Untersuchungen über einige annalistische Quellen zur Geschichte des fünften und sechtsten Jahrhundert II., «NA» 1, 1876, p. 342). 232 Evagrii Scholastici, Historiae Ecclestiasticae, IV 24, ed. J.-P. Migne, PG, vol. 86, 2, c. 2741; Mario Aventicense, tornando ancora sull’argomento, mette insieme Buccelino e Sindual in Chr. a. 568, p. 238). Che Sindual si fosse proclamato re risulta dagli Excerpta Sangallensia 710 (a. 567) in Chronica Minora I, p. 335 (et occisus est Sindual rex) e da Paolo Diacono (Hist. Lang. II 3, ed. Zanella, p. 232: Sindual Brentorum regem). Su Narsete e gli Eruli vd. anche gli Excerpta codicis Vaticani Graeci 96 (saec. XIV): il passo è citato per esteso in Agathiae Myrinaei, Historiarum libri quinque, rec. S. Costanza cit., p. 75. 233 Cfr. R. Cessi, Le prime conquiste longobarde cit., p. 149, per la sottolineatura che, ancora alla immediata vigila della calata dei Longobardi, nel momento della più acuta crisi della gestione italica di Narsete, «il partito gotico» non fosse «ancor spento». 234 G. Löhlein, Die Alpen- und Italienpolitik cit., p. 53; cfr. R. Heuberger, Rätien, cit., pp. 261 ss. 63 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso Tra Concordia e Padova la più robusta linea difensiva correva lungo la vecchia via Annia; Opitergium controllava poi il tratto della via Postumia fino a Concordia; il territorio veneto era stabilmente presidiato dai Bizantini anche sulla linea avanzata tra Feltria e Bellunum235. Dopo qualche anno, tuttavia, a partire dal 568-569, gens Langobardorum comitante fame et mortalitate omnem invadit Italiam236: le tragiche condizioni della regione, ulteriormente aggravate dall’invasione, la tenuta dei presidi imperiali (oltre, probabilmente, agli accordi intercorsi tra Bizantini e Longobardi), non consentirono tuttavia agli uomini di Alboino di impadronirsi dell’intera Venetia, e neppure, forse, per parecchi anni dello stesso castrum di Ceneda237: la conquista longobarda, infatti, almeno nella prima fase dell’invasione, non dovette avere i connotati della continuità territoriale238. Sembra anzi «probabile che tutto il 235 Cfr. Luisa Alpago-Novello Ferrerio, Bizantini e Longobardi nella Val Belluna, «ArcStBFC» 46, 1975, spec. pp. 55 e 64-67. 236 Beda, Chron. 527, p. 308; Mar. Avent. Chr. a. 569, p. 238: hoc anno Alboenus rex Langobardorum cum omni exercitu relinquens atque incendens Pannoniam suam patriam cum mulieribus vel omni populo suo in fara Italiam occupavit, ibique alii morbo, alii fame, nonnulli gladio interempti sunt (vd. Liber Pontificalis, LXV. Pelagius II: Langobardi obsederent civitatem Romanam et multa vastatio ab eis in Italia fieret, Duchesne, I, p. 309 e n. 1, p. 309). È chiaro che all’invasione non poté seguire, per molto tempo, un miglioramento delle condizioni economico-sociali dei territori conquistati. Tralascio, in questa sede, la questione del presunto tradimento di Narsete, che avrebbe favorito l’arrivo dei Longobardi in Italia. Di esso si parla polemicamente in diverse fonti ed un filone della trattatistica bizantina lo conserverà ancora per secoli, nonostante «the story... is certainly a fiction» (PLRE III-B, s.v. Narses 1 cit., p. 925): vd. Liber Pontificalis LXIII. Iohannes III, Duchesne, I, p. 305 (Narsis... scripsit genti Langobardorum ut veniret et possiderent Italiam; cfr. ibid., n. 7, p. 307); Auct. Haun. Extr. 4, p. 337; Isid. Chron. 402, p. 476; Beda, Chron. 523, p. 308 e, ovviamente, in Origo gentis Langobardorum, 5, p. 4 (Langobardos in Italia, invitatos a Narsete), nella Historia Langobardorum Codicis Gothani, 5, p. 9 (Albuin movit et adduxit Langobardos in Italia, invitatus ad Narsete proconsule) e in Paul Diac. Hist. Lang. II, 5, p. 85, e poi ancora nel De administrando imperio, 27 di Costantino VII Porfirogenito, scritto tra il 948 e il 952 (ed. Gy. Moravscic, p. 114); cfr. R. Cessi, Le prime conquiste longobarde cit., passim e pp. 146 ss.; dedica invece ancora qualche attenzione alla «tradizione di un invito (e di un accordo) di Narsete ai Langobardi» C.G. Mor, Bizantini e Langobardi cit., pp. 247-248 e 251. 237 Vi è chi ha sostenuto autorevolmente l’occupazione longobarda di Ceneda fin dai primi tempi dell’invasione, pur nel silenzio di Paolo Diacono; cfr. G. Arnosti, Lo scisma tricapitolino cit., pp. 17 e 19 (con rinvii): credo tuttavia che possa essere avanzata, altrettanto fondatamente, una diversa opinione. Un’articolata proposta di localizzazione della prima fase dell’invasione dei Longobardi si legge in C.G. Mor, Bizantini e Langobardi cit., pp. 251 ss., anche se non vi è spiegata «la presenza dell’intercapedine dei presidi alpini bizantini» (ibid., p. 260), né i loro collegamenti con la fascia costiera timasta in mano agli imperiali, e a p. 264 dà già per costituito, almeno nel 579, il ducato longobardo di Ceneda. Cfr. ovviamente, in gen., R. Cessi, Le prime conquiste longobarde cit., pp. 135 ss. 238 Cfr. Luisa Alpago-Novello Ferrerio, Bizantini e Longobardi nella Val Belluna, cit., p. 55. 64 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso territorio compreso tra Piave e Livenza fino all’interno della zona prealpina sia rimasto, al momento del primo impatto, sotto il controllo delle forze bizantine e che il primo insediamento longobardo sia avvenuto nel rispetto di definite aree d’influenza»239. Abbandonando Belluno e Feltre, «i Bizantini non devono aver lasciato tutto il territorio, anzi è verosimile che si siano arroccati nei loro fortilizi nella regione della sinistra Piave, lungo le pendici delle Prealpi che culminano nel Col Visentin: zona facilmente collegata con la sottostante pianura opitergina attraverso comode mulattiere (passo di S. Boldo, “canali” di Limana e Fadalto)» 240. Solo attorno al 615-616, in corrispondenza con la caduta di Concordia in mano Longobarda, gli imperiali sarebbero stati costretti ad arretrare la loro linea difensiva abbandonando in pratica «tutto il saliente a Nord di Opitergium... perché non più difendibile»241: fu allora, probabilmente, che i Longobardi si impadronirono di Ceneda, e ne fecero in seguito la capitale di un loro ducato, con prospettive politiche, militari, economiche e culturali che si devono ritenere importanti e interessanti pur nella desolazione dei resti documentali242. Ai Bizantini rimasero l’area lagunare e, ancora per non molto tempo, qualche località ben fortificata, come Opitergium, oltre al controllo di alcune vie, attraverso forti e campi trincerati. La presenza del cuneo bizantino di Oderzo continuò ad ostacolare a lungo «i collegamenti in pianura tra il ducato del Friuli e il resto del regno di Pavia»243, ma è probabile che dal Friuli il traffico si svolgesse attraverso una via che doveva scavalcare il Cansiglio, attraversare la Val Belluna e proseguire sulla sponda destra del Piave fino a Feltre, da dove passava per Trento (attraverso la Valsugana) ovvero prendeva la direzione della pianura244. Le fortificazioni bizantine nella Val Belluna ressero probabilmente fino alla presa di Oderzo (639)245, ma nulla si sa della sorte 239 G. Cuscito, Testimonianze archeologiche monumentali cit., p. 83. Luisa Alpago-Novello Ferrerio, Bizantini e Longobardi nella Val Belluna, cit., p. 66. 241 Ancora G. Cuscito, Testimonianze archeologiche monumentali cit., p. 83. 242 Sul ducato longobardo di Ceneda cfr. S. Gasparri, I Duchi Longobardi, Roma 1978, pp. 26 ss. (e poi, sul piano prosopografico dei duchi conosciuti, pp. 33; 63-64, Ursus; 46, Aginualdus; 47, Ahulmus; 51, Anselmus; 71, Petrus; l’indice dei nomi, in calce al volume, risulta non rinviare correttamente alle pagine); G. Arnosti, Appunti sul Ducato Longobardo di Ceneda, cit., pp. 17 ss. (sul duca Orso cfr. C.G. Mor, La Cultura cit., pp. 226-227 e n. 39). Ricordo che l’indice della PLRE III-B (che arriva all’anno 641), alle pp. 1534-1535, s.v. Lombard Duces, reca solo nomi di duchi del Friuli, a partire da Gisulfus I, aa. 569-581, e di Tarvisium (Ulfari, aa. 591-592). 243 Ancora Luisa Alpago-Novello Ferrerio, Bizantini e Longobardi nella Val Belluna, cit., p. 66. 244 Cfr. Luisa Alpago-Novello Ferrerio, Bizantini e Longobardi nella Val Belluna, cit., pp. 66-67. 245 Cfr. ancora Luisa Alpago-Novello Ferrerio, Bizantini e Longobardi nella Val Belluna, cit., p. 67. 240 65 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso dei presidi imperiali sulla montagna bellunese che superavano e controllavano la piazzaforte cenedese, che hanno lasciato soltanto qualche resto archeologico e forse qualche traccia linguistica come una ricerca nel settore sta tentando di mostrare246. Il futuro tuttavia avrebbe dimostrato che, se l’eliminazione dei Goti si era risolta in un primo tempo a profitto di Bisanzio causando anche l’allontanamento dei Franchi dall’Italia, l’arrivo dei Longobardi nella penisola riaprì, per il futuro, agli stessi Franchi «le possibilità di intervento, pur nelle difficoltà provocate dalle esuberanti scorrerie longobarde fin nella valle del Rodano... non si può sottovalutare il persistente avvolgimento in cui i Franchi di Austrasia mantennero l’Italia del nord: conservarono i valichi alpini dell’alto Adige, costrinsero più volte i Longobardi a riconoscere, pagando tributo, la formale supremazia della dinastia merovingia di Metz»247. § 9. Ipotesi e suggestioni sull’origine del vescovato cenedese – 9.1 Considerazioni introduttive Dobbiamo ora prendere in esame una ipotesi assai suggestiva, e sino ad ora rispettabilmente minoritaria, quella cioè dell’istituzione in Ceneta di una sede episcopale: 246 Ringrazio il dott. G. Tomasi per alcune anticipazioni che ha voluto fornirmi su una ricerca in corso che individuerebbe un possibile percorso linguistico di ascendenza greco-bizantina, dal Castello di Zumelle a Lentiai, ad Arfanta, giù in direzione di Conegliano-Oderzo. 247 G. Tabacco, L’inserimento dei Longobardi cit., pp. 231-232. È interessante indagare le successive fonti bizantine per trovare il cambio di prospettiva geopolitica che si verificherà progressivamente alla corte costantinopolitana, e in particolare il mutamento di valutazione sulle questioni dell’area veneta. Alla metà del X secolo, ad esempio, la Venetia è sentita come ‘territorio Franco’, anche se il ducato veneziano è ovviamente ben conosciuto e circostanziato persino in alcuni dettagli della sua localizzazione lagunare (vd. De administrando imperio, 27 rr. 71-95, pp. 116-118). Sembra non esservi tuttavia la percezione che i Veneziani fossero stati l’ultimo baluardo (nord-)occidentale dell’Impero, almeno fino all’invasione dei Franchi della seconda metà del secolo VIII (vd. De administrando imperio, 28 rr. 36-37, p. 120), e non solo nominale: sorprendentemente l’imperatore Costantino VII Porfirogenito sembra ignorare che l’Italia stessa aveva fatto parte dell’Impero Romano, di cui i Bizantini si consideravano gli eredi politici, e che fino al VII secolo una parte dell’Italia settentrionale, tra cui la stessa Venezia, era stata sotto la diretta dominazione dell’Impero (cfr. L.A. Berto, La «Venetia» tra Franchi e Bizantini. Considerazioni sulle fonti, «SV», n. s. XXXVIII, 1999, p. 201). Ma Costantino VII parla dei Veneziani come dei Franchi anzi li definisce ‘Franchi fuggiti da Aquileia e rifugiatisi nelle isole delle lagune’ (vd. De administrando imperio, 28 rr. 4-11, p. 118; cfr. L.A. Berto, La «Venetia» tra Franchi e Bizantini cit., pp. 197 e 200). In realtà qui, ormai, sono gli Occidentali in genere ad essere diventati, per i Bizantini (come avverrà parallelamente per gli Arabi), tutti dei ‘Franchi’. 66 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso a) nel periodo della occupazione dei Franchi, approssimativamente tra 545 e 555(-561); b) ovvero nel successivo periodo di rioccupazione di Ceneda da parte degli imperiali. Non ho alcuna pretesa di dire una parola definitiva sull’argomento specifico (e in particolare sulle suggerite ‘datazioni basse’), né tantomeno sulla questione dell’origine tout-court del vescovato cenedese, e che questa prudenza mi pare la miglior base di partenza, o almeno quella che stabilisce le condizioni più adatte ad una serena valutazione degli elementi disponibili. Sono consapevole di inoltrarmi in un contesto generale già caparbiamente (e forse vanamente) esplorato, e so bene che, per dirla in sintesi, «de origine episcopatus Cenetensis viri docti inter se discordant», come scriveva nel suo latino rotondo Paul Fridolin Kehr248. Allo stato delle attuali conoscenze, per uno storico, non potrà mai esservi una valutazione preliminare diversa dalla mera constatazione che una precisa datazione dell’origine della diocesi di Ceneda resta, e probabilmente resterà, non dimostrabile documentalmente249. Ho tuttavia la sensazione che, per ragioni che mi restano oscure, buona parte dei ‘viri docti’ che hanno studiato tale questione hanno fatto, più o meno consapevolmente, la scelta di disseminare di aut-aut ‘ideologici’ i loro studi, così da imbrigliare le ricerche successive in una rete di postulati che per loro natura dovrebbero venir accettati o respinti, ma non discussi. Questo riferimento alle pregiudiziali ideologiche si riferisce essenzialmente alle prese di posizione ‘partigiane’, a favore o contro Ceneda e, di conseguenza (o viceversa), a favore o contro l’istriana Cissa (su questa sede episcopale ‘concorrente’ avremo presto modo di parlare), ed anche all’approccio (in genere sfumato, ma deciso) teso ad assegnare alla diocesi di Ceneda degli inizi che non precedano la seconda metà del VII secolo, magari per non ‘rischiare’ di riconoscere che i primi titolari avrebbero potuto essere dei presuli scismatici? La rarefazione delle fonti, lamentata in generale per Ceneda, è confermata anche in questo caso, tanto che, per lavorare sulla dibattuta nascita dell’episcopato cenedese, possediamo soltanto alcuni documenti di storia ecclesiastica, per di più filologicamente discutibili: infatti, a seconda della lettura e dell’interpretazione che si può attribuire ad un loro aggettivo, essi possono essere utilizzati a favore della recenziorietà della istituzione della diocesi di Ceneda, ovvero per negarla tout248 Regesta Pontificum Romanorum – Italia Pontificia – vol. I (Venetia et Histria) – pars I, Provincia Aquileiensis, Berolini 1923, p. 82. 249 Cfr. anche G. Tomasi, La Diocesi di Ceneda cit., I, p. 17. 67 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso court prima della seconda metà del VII secolo. Un testimone d’eccezione come Venanzio Fortunato, nel suo celebre excursus sul Veneto orientale, non fa purtroppo cenno alcuno all’esistenza di un presule cenedese attorno al 565, ma è chiaro che non si può dedurre nulla da un argumentum e silentio come questo250, che trova diverse spiegazioni, tutte plausibili, come la vacanza della sede dovuta all’allontanamento del titolare dopo l’evacuazione franca, o risponde ad altre ragioni, connesse con le simpatie, le antipatie, le prudenze o persino con più banali esigenze metriche del nostro poeta; in ogni caso il suo spunto è talmente sintetico da non lasciare spazio ad alcuna interpretazione specifica, né in senso positivo, che negativo (vd. qui, infra, § 10). – 9.2 Organizzazione ecclesiastica dei Merovingi Il Castello di San Martino L’organizzazione religiosa ed ecclesiastica dei territori Merovingi, posta sotto la protezione (e fondata sul culto) di San Martino251, era andata di pari passo con la loro organizzazione politica: l’episcopato costituiva anzi, di fatto, una delle più importanti colonne dei regni, certo non senza contrasti con i sovrani252. 250 S. Tramontin, a proposito dei versi venanziani, ne ha ricavato invece che «Ceneda non era ancora diocesi allora» (Origini del Cristianesimo nel Veneto, in AA.VV., Storia della Cultura Veneta cit., p. 120, n. 114). 251 Subdita sanctorum meritis fastigia regum: il potere dei sovrani era da considerarsi subordinato al potere dei santi, almeno secondo Paolino di Périgueux (De vita Sancti Martini IV, 348, p. 95), e in particolare a quello di San Martino: le «images of Saint Martin were so intimately bound up with the institutions of Merovingian society that skepticism about the roles of bishops and relic cults or the allinclusive importance of Christianity had to precede any skepticism about the specific roles of Saint Martin» (R. Van Dam, Images of Saint Martin in Late Roman and Early Merovingian Gaul, «Viator» 19, 1988, pp. 25-26). Su «Saint Martin, patron des Francs» cfr. anche E. Ewig, Le culte de Saint Martin à l’époque franque, «RHEglFr» 47, 1961, pp. 1-18, ora in Id., Spätantikes und fränkisches Gallien, München 1979, vol. II, pp. 360-370; Id., Die Martinskult im Frühmittelalter, «ArchMKge» 14, 1962, pp. 11-30, ora in ibid., vol. II, pp. 376-384. 252 Cfr. M. Pavan Venanzio Fortunato tra Venetia, Danubio e Gallia cit., pp. 16-17; sono gli stessi Carmina di Venanzio Fortunato che «font revivre l’image de l’évêque se consacrant à ses trois fonctions: d’istruction du peuple, d’assistance des indigents et d’entretien du patrimonie de l’Eglise»: si forma attorno a questo corpus di versi il senso di solidarietà (lo spirito di corpo) dei vescovi merovingi (cfr. M. Reydellet, Tradition et Nouveté dans les Carmina de Fortunat, in «Venanzio Fortunato. Atti del Convegno» cit., pp. 89 ss.); per eventuali approfondimenti su tale questione, che qui pare solo il caso di accennare, cfr. D. Claude, Die Bestellung der Bischöfe im merowingischen Reiche, «ZRG-KA» 49, 1963, pp. 1-75; F. Prinz, Die bischöfliche Stadtherrschaft im Frankreich vom 5. bis zum 7. Jahrhundert, «HZ» 217, 1973, pp. 1-35; G. Schrebelreiter, Die Frühfränkische Episkopat: Bild und Wirklichkeit, «FMS» 17, 1983, pp. 131-147. Sul particolare legame tra i re di Austrasia ed il culto di San Martino (e sulla tutela esercitata da detti sovrani sui due santuari di Tours e di Poitiers) cfr. E. Ewig, Le culte de Saint Martin cit., p. 361 e p. 368 («le culte martinien était de tradition chez les Mérovingiens d’Austrasie»). Cfr. Id., Die Martinskult cit., pp. 378 ss. 68 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso Lo stesso Venanzio Fortunato, in diversi suoi componimenti poetici, «acknowledged the right of kings to intervene in the selection of bishops, and in his panegyrics outlining a model of Christian Frankish kings he preferred to stress their own spititual functions by comparing one of them to Melchizedek, who had been both king and priest. Since Fontunatus had grown up in an Italy recently reconquered for the Byzantine Empire, and since he was writing, at least in part, for an Italian audience, perhaps he was influenced by Byzantine ideas about the priestly functions of Christian emperors»253. Gli Austrasiani in particolare avevano disinvoltamente lavorato alla sistemazione ecclesiastica delle diocesi dei territori che via via finivano sotto il loro controllo, come si evince dalle notizie sugli episcopati norici, dipendenti ecclesiasticamente dal Patriarcato di Aquileia, come Aguntum (Stribach, presso l’odierna Lienz), Virunum, la cosiddetta ecclesia Breonensis (hod. Maria Saal auf dem Zollfeld), e Teurnia (Tiburnia bei Spital an der Drau)254. Tali diocesi «hätten in der Zeit von 553-65 zum Frankenreich gehört»255 e, in 253 R. Van Dam, Images of Saint Martin cit., p. 11. Si veda anche il bel lavoro di R.W. Mathisen, Syagrius of Autun, Virgilius of Arles, and Gregory of Rome: Factionalism, Forgery, and Local Authority at the End of the Sixth Century, in «L’Église et la Mission au VIe siècle – Actes du Colloque d’Arles de 1998», Paris 2000, pp. 260-290). 254 Vd. ad es. l’Epistola n. 16 (dal Registrum gregoriano, MGH EE, I, pp. 17-21, il testo citato è a p. 20): in tribus ecclesiis nostri concilii [cioè dipendenti da Aquileia] id est Beconensi [=Breonensi], Tiburniensi et Augustana Galliarum episcopi constituerunt sacerdotes; cfr., in gen., R. Heuberger, Rätien, cit., pp. 257259; G. Tabacco, L’inserimento dei Longobardi cit., p. 232. Si tratta della supplica (suggestio) inviata all’imperatore Maurizio dal Patriarca di Aquileia, Severo, profugo a Grado, unitamente ai vescovi (scismatici) della sua provincia ecclesiastica (la si legge anche in R. Cessi, (a cura di), Documenti relativi alla storia di Venezia anteriori al Mille, Padova 1942, vol. I (sec. V-IX), documento nr. 8, pp. 14-19; cfr. G. Cuscito, Aquileia e Bisanzio cit., spec. pp. 244 ss.; Id., La Fede Calcedonese e i Concili di Grado (579) e di Marano (591), «AAAd» 17, 1980, spec. pp. 222 ss.; Id., La politica religiosa della corte longobarda di fronte allo scisma dei Tre Capitoli. L’età Teolindiana, in «Atti del VI Congresso Internazionale di Studi sull’Alto Medioevo» cit., t. II, pp. 374 ss.). Il libellus supplex, in buona sostanza, affermava che se il governo imperiale non avesse impedito al papa Gregorio di proseguire nelle sue azioni vessatorie, i vescovi supplicanti ritenevano che i loro successori non sarebbero più stati ordinati ad/da Aquileia, ma piuttosto dai colleghi della Gallia, come era avvenuto in alcuni casi (che sono i tre citati) e che l’Impero avrebbe – in tal modo – perduto il controllo sulla provincia metropolitica di Aquileia. L’imperatore invierà sollecitamente una iussio al papa nella quale, invitandolo a tener conto della praesens rerum Italicarum confusio, e gli ordinerà di astenersi da ogni molestia contro i vescovi scismatici (cfr. G. Cuscito, Aquileia e Bisanzio cit., p. 253; cfr. anche in R. Cessi (cur.), Documenti cit., vol. I, doc. nr. 9, pp. 20-21). A noi qui interessa soltanto un passo: sed quia Galliarum archiepiscopi vicini sunt, ad ipsorum sine dubio ordinationem accurrent, et dissolvetur metropolitana Aquileiensis ecclesia... 255 Cfr. R. Heuberger, Rätien, cit., pp. 258; quest’autore, così commenta (ibid.) la posizione dei tre vescovati, nel periodo di tempo indicato: «die Bischöfe, die im Dreikapitelstreit auf der Seite der Schismatiker standen, erklären: wenn ihre Gesinnungsgenossen und Amtsbrüder in Reichsvenetien 69 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso particolare quella di Aguntum fu «wirklich einmal, zur Zeit, als die Franken Venetien beherrschten, in deren Hand»256: anzi l’imperatore Giustiniano non avrebbe «durch einen Erlaß die in Venetien und dessen Nachbarschaft herrschende Erregung... beschwichtigt, so wären fränkische Priester fast überall im Patriarchat Aquileja eingedrungen (das zu jener Zeit teils im Besitz der Oströmer, teils in dem der Franken war)»257. a) Tenendo conto di tali fatti, l’ipotesi di fissare l’origine dell’episcopato cenedese in epoca Franca, appena a cavallo della metà del VI secolo, ha piena dignità e appare anzi scevra dell’impianto ideologico che invece presiede alla scelta di posporla molto più avanti, come accade abitualmente: la sua istituzione sarebbe rientrata infatti perfettamente in una prassi amministrativo-organizzativa che i Franchi mostravano di adottare in modo costante258. Non va trascurato il tenue indizio archeologico costituito da un agionimo di grande interesse, dall’intitolazione cioè a San Martino del castello di Ceneda: si può ammettere pacificamente che tale dedica sia ascrivibile proprio al periodo durante il quale i Franchi avevano governato la città259, senza voler escludere, samt ihrem Patriarchen von den kaiserlichen Beamten zur Aenderung ihrer dogmatischen Ueberzeugung gezwungen würden, so würden sich ihre, d. h. der unterzeichneten Bischöfe Nachfolger mit Rücksicht auf die Volksstimmung in ihren Sprengeln nicht von ihrem Metropoliten, sondern von den (schismatischen) fränkischen Erzbischöfen weihen lassen, die in der Nähe (des Aquilejer Patriarchats) ihren Amtssitz hätten»; cfr. G. Löhlein, Die Alpen- und Italienpolitik cit., pp. 6-7; H. Büttner, Die Alpenpolitik der Franken cit., p. 66; G. Rosada, Il “viaggio” di Venanzio Fortunato cit., pp. 32-34 (e G.B. Bognetti, Teodorico di Verona cit., pp. 349 e 352-353). 256 Cfr. R. Heuberger, Rätien, cit., p. 258. 257 Cfr. R. Heuberger, Rätien, cit., p. 259; proprio ad Aguntum (ad Francorum regnum hoc est Agontiensem civitatem) si era rifugiato, secondo la testimonianza di Paolo Diacono (Hist. Lang. II 4, p. 82) il vescovo di Altino, Vitalis; cfr. M. Pavan Venanzio Fortunato tra Venetia, Danubio e Gallia cit., p. 16; G. Rosada Il “viaggio” di Venanzio Fortunato cit., p. 44 e H. Ubl, Das Noricum Ripense und die einseitigen Beziehungen zu Norditalien. Der Fall der Römischen Armee beim limes danubicus, in La Venetia nell’area Padano-Danubiana, Atti del Convegno cit., p. 319. Il municipium Claudium Aguntum si trovava nella parte meridionale del Noricum, nei pressi delle sorgenti della Drava, nelle vicinanze dell’attuale città di Lienz, nel Tirolo austriaco. 258 Appare comunque insostenibile, in ogni caso, una retrodatazione addirittura al IV sec. d.C., come faceva F. Ughelli, che individuava in S. Evenzio il primo vescovo (Italia Sacra cit., V, c. 172; cfr. V. Botteon, Un documento prezioso cit., pp. 119-124; G. Cannella, Ricerche su Ceneda nell’Alto Medio Evo cit., pp. 68-69). 259 Cfr. ad es. N. Faldon, Le origini del cristianesimo nel territorio cit., p. 44; stando a A.N. Rigoni, un certo legame di Ceneda col mondo dei Franchi doveva essersi sviluppato, al punto da far sorgere spontaneo il collegamento tra essi e l’intitolazione del castello cenedese (Documentazione archeologica cit., p. 113). Il castello, opera difensiva probabilmente di epoca tardoromana, venne risistemato dai Goti agli inizi nel VI secolo, e poi nuovamente dai Longobardi nel VII secolo. Cfr. R. Bechevolo, Il Castello di San Martino, Vittorio Veneto 1982, spec. pp. 42-43 (epoca romana); 52-56 (epoca gotica); 61 (Franchi); cfr. anche V. Ruzza, Guida di Vittorio Veneto e della Zona Pedemontana tra Piave e Livenza, Vittorio Veneto 20003, pp. 41 ss. 70 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso ovviamente, che ciò sarebbe potuto accadere anche in epoca precedente (sotto i Goti)260, ovvero in epoca successiva (sotto i Longobardi)261. Sostenere però, come è stato fatto, «che l’intitolazione a San Martino» fosse d’epoca Longobarda e, anzi, fosse «esaugurale del culto ariano»262, significherebbe spostare la medesima intitolazione al momento del passaggio dei Longobardi dall’arianesimo al cattolicesimo, ma anche attribuire agli stessi Longobardi capacità di organizzazione ecclesiastico–cerimoniale francamente eccessive rispetto a quella che essi ebbero o mostrarono (se pensiamo ad una cinquantina d’anni dalla loro invasione). In ogni caso anche solo trascurare la semplice ipotesi Franca263 significa cancellare la presenza Austrasiana, e questo immaginare i Longobardi intenti a ‘cattolicizzare’ un sito ariano dei Goti, o magari da loro stessi precedentemente ‘arianizzato’, sposterebbe davvero troppo in là l’evento, o comunque lo inserirebbe in un contesto eccessivamente artificioso264. Il dominio degli Austrasiani infatti, sia pure esteso per non più di una ventina d’anni (per l’epoca si trattava pur sempre di una generazione), non passò inosservato, e lasciò il segno. E sappiamo quanto, in generale, possano mostrarsi resistenti toponimi e agionimi. In ogni caso, se si assegna, con una buona volontà degna di miglior causa, una ‘cattolicità impegnata’ ai primi Longobardi, a maggior ragione andrebbe valorizzata la ben più fondata ‘cattolicità’ dei loro avversari Franchi, pur facendovi la tara del rivestimento propagandistico (come ho accennato a proposito delle valutazioni di Agazia al § 6). 260 Cfr. ad es. G. Arnosti, L’evoluzione delle logiche insediative cit., p. 49. D’altra parte la prima cattedrale di Bellunum, intitolata a San Martino, sarebbe stata edificata a cavallo della metà del VI secolo, sotto gli auspici di un vescovo di nome Felice, in un’area presumibilmente sottoposta al controllo dei Franchi (cfr., in gen. sul vescovo di Belluno, Luisa Alpago-Novello Ferrerio, Bizantini e Longobardi nella Val Belluna, cit., p. 65). Sul culto di san Martino a Ceneda cfr. G. Mies, Culto dei santi e pietà popolare, in N. Faldon (cur.), Diocesi di Vittorio Veneto cit., pp. 327-329. 262 G. Cannella, Ricerche su Ceneda nell’Alto Medio Evo cit., p. 11; San Martino era il tipico santo antiariano. 263 Anche S. Tramontin, che contesta l’esistenza di un episcopato cenedese prima della fine del VII secolo, non esita a ribadire tuttavia le «ragioni politiche» che stavano alla base dell’erezione di chiese o dello «stabilimento di patronati da parte degli occupanti longobardi (s. Michele o s. Giorgio) o franchi (s. Martino)» (Origini del Cristianesimo nel Veneto cit., p. 121). 264 A proposito di arianesimo a Ceneda, ricordo per inciso che, senza offrire il benché minimo appiglio documentale, V. Botteon riferiva che, secondo aluni autori, «nell’anno 414 era entrata in Ceneda anche l’eresia di Pelagio... e che il diacono cenedese Anniano-Valeriano difendeva la eresia, ed aveva scritto a favore di essa dei libri... così si prova [sic] che a Ceneda fino dal quarto secolo regnava l’arianesimo, e fino al quinto l’eresia di Pelagio» (Un documento prezioso cit., p. 81). 261 71 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso Se proprio si fosse trattato di ‘esaugurare’ un luogo ariano nel castello di Ceneda, tale cerimonia avrebbero potuto averla già compiuta proprio i Franchi stessi (con il loro vescovo?) su un qualche sito religioso dei Goti: teniamo conto che proprio questa lotta tra nazionalismi barbarici, che usavano l’apparato ideologico delle rispettive diverse fedi cristiane, serviva purtroppo, in gran parte, a giustificare i massacri di quest’epoca torbida e infelice265. Quindi il toponimo ‘Wadia’, riferito ad una torre facente parte dell’insieme delle fortificazioni del castello cenedese, è senz’altro argomento a favore dell’ipotesi di uno stanziamento longobardo, di cui tuttavia nessuno dubitava266: ma non è possibile collegare cronologicamente o documentalmente tale toponimo all’agionimo vivo ancor oggi. Che i Franchi cattolicizzassero un luogo di culto ariano, dedicandolo a San Martino mi pare evento logico, ragionevole e congruente; che i Longobardi intitolassero, o reintitolassero, un luogo di culto dedicandolo al santo dei loro nemici sembra, in coscienza, assai più problematico, a meno che la datazione di tale evento non venga posposta assai più in là (e allora verrebbe fatto di chiedersi se i nuovi arrivati avessero mantetenuto la precedente intitolazione, e quale essa fosse)267. Ritengo che i Franchi, nel breve periodo in cui controllarono Ceneda, e, non dobbiamo dimenticarlo, ne fecero il centro del loro schieramento difensivo, avrebbero pututo intraprendere dei lavori nel castello erigendovi forse anche – in quell’occasione – un piccolo edificio di culto dedicato al loro Santo in uno dei punti più alti del castrum268. 265 Cfr., in gen., E.L. Woodword, Christianity and Nationalism in the Later Roman Empire, London 1916. 266 Cfr. ancora G. Cannella, Ricerche su Ceneda nell’Alto Medio Evo cit., p. 11; sul termine ‘wadia’ cfr. N. Francovich Onesti, Vestigia Longobarde in Italia (568-774). Lessico e Antroponimia, Roma 1999, pp. 126-127 e p. 136 (che data l’affermarsi del termine al VII secolo); ma potrebbe anche trattarsi di un precedente termine goto, conservatosi in seguito per l’assoluta assonanza con il longobardo. 267 E in questo caso, a che Santo avrebbe dovuto essere stato intitolato, in precedenza? Magari a San Michele Arcangelo, «il tipico rappresentante della superstitio longobarda, il difensore dai pericoli naturali» (Maria Teresa Sillano, Appunti e ipotesi sul culto di San Giorgio in età Longobarda, in «Atti del VI Congresso Internazionale di Studi sull’Alto Medioevo» cit., t. II, p. 635): ma non sembra il caso di avviarci in un intrico di supposizioni che non porterebbe a nessuna ragionevole soluzione. 268 Bisogna dire comunque – per correttezza – che la prima effettiva attestazione documentale di questa intitolazione a San Martino è molto tarda, rispetto ai fatti qui discussi, risalendo al 1175 (cfr. G. Tomasi, La Diocesi di Ceneda cit., I, p. 160; sull’incertezza degli inizi dell’intitolazione martiniana cfr. ancora R. Bechevolo, Il Castello di San Martino cit., pp. 69-70). Era costume abituale di quest’epoca dedicare a un Santo particolare le cappelle costruite all’interno di torri e castelli: tale patrono avrebbe dovuto garantire la sicurezza e la protezione di tali edifici (nel VII secolo i Longobardi si rivolsero a questo scopo soprattutto a San Giorgio; cfr. Maria Teresa Sillano, Appunti e ipotesi sul culto di San Giorgio cit., p. 637). A proposito della dedica di San Martino ad un edificio di carattere difensivo, ricordo che il Santo proteggeva specificamente dagli assedi (cfr. R. Van Dam, Images of Saint Martin cit., p. 7). 72 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso San Martino fu il ‘Santo per eccellenza’ dei Franchi, che lo venerarono con la bellicosa superficialità che si addice ad un popolo di guerrieri, ed anche, con il medesimo spirito, ‘esportarono’ nelle terre che conquistavano269. Ricordo infine che i castra, la categoria descrittiva in cui è generalmente ricompresa Ceneda, «spesso erano sede episcopale e ciò, oltre ad aumentarne la rinomanza, equiparava i castra alle città sotto il profilo dell’amministrazione ecclesiastica»270. Sarebbe ovviamente azzardato sostenere che sia stato per questo motivo che Agazia avesse scelto di definire Ceneda pøliq; peraltro siamo in un’epoca in cui è frequente la «stilizzazione come urbes delle sedi episcopali di nuova fondazione»271, anche se, spesso, «le sedi episcopali nascevano in sedicenti urbes, che in verità erano poco più che fortezze fornite di edifici ecclesiastici»272. In questo senso «die Merowinger haben für die Städte Frankreichs wenig 273 getan» . 269 Egli era totis venerabile terris, come aveva scritto già Sidonio Apollinare (Epist. IV, xviii, 5, v. 1, p. 132); cfr. R. Van Dam, Images of Saint Martin cit., p. 6 («venerated in all lands»). Come ha notato, piuttosto ruvidamente, J.M. Wallace-Hadrill: «i Franchi non avavano alcuna esitazione a recare le loro offerte di ringraziamento ai santuari dei santi taumaturgici della Gallia, come S. Martino, nel cui nome vincevano le loro battaglie e ammassavano i loro tesori; e nessun senso di biasimo morale o di incongruenza li rimordeva quando lasciavano i santuari per andare a tagliare la gola del parentado inviso» (L’Occidente Barbarico cit., p. 112). Peraltro, già prima dell’invasione Franca, testimonianze del culto di San Martino, in area venetoravennate, esistono e sono state debitamente registrate, «au debut du VIe siècle»; cfr. E. Ewig, Le culte de Saint Martin cit., p. 359, n. 41 per Padova (e Id., Die Martinskult cit., p. 375). Dell’erezione, da parte del re Goto Teodorico di «una cappella dedicata a S. Martino» che forse consentirebbe di localizzare «un santuarietto gotico (poi, naturalmente, riconciliato all’ortodossia) in S. Martino Buonalbergo», ma che «potrebbe indirizzarci verso la ricerca di altre chiese intitolate al vescovo di Tours», parla C.G. Mor (Verona Medievale cit., p. 21), precisando tuttavia come siano troppo scarse le notizie sulla storia religiosa dei Goti. 270 G. Ravegnani, Kastron e polis cit., p. 278. 271 Alba Maria Orselli, Santi e Città cit., p. 812. Tornando ad Agazia, rilevo che l’attenzione per l’organizzazione ecclesiastica, in uno storico bizantino laico, doveva essere relativamente modesta, per non parlare della percezione del culto dei Santi, almeno in rapporto alla contemporanea, diversa, sensibilità occidentale . 272 Alba Maria Orselli, Santi e Città cit., p. 813, n. 103, sottolineatura mia (cfr. anche E. Ewig., Kirke und Civitas in der Merowingerzeit, «SSCISAM» 7, 1960, pp. 45-71, ora in Id., Spätantikes und fränkisches Gallien cit. vol. II, pp. 1-20). Per fare un esempio della confusione kåstron/pøliq in presenza di una sede episcopale, ricordo che Teofane definisce kåstron la città di Nakoleºaq (Chron. A.M. 6274, p. 456 De Boor (= 707 B), e «Nakoleia ist Bischofsstadt und hat seinem Status nach sicherlich Stadtrecht» (cfr. F. Dölger, Die frühbyzantinische Stadt cit., p. 72, n. 20; sul ruolo vescovile nella città del primo periodo bizantino cfr. ibid., pp. 88-89). 273 Ancora F. Dölger, Die frühbyzantinische Stadt cit., p. 85 (che continua: «das städttsche Leben beginnt im allgemeinen erst wieder unter den Karolingern»). 73 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso Negare aprioristicamente la possibilità che il vescovato di Ceneta risalga agli anni a cavallo della metà del VI secolo appare azzardato almeno quanto ascrivere la sua istituzione ad un periodo immediatamente a ridosso all’invasione longobarda, ovvero posporla di oltre un secolo rispetto a tale evento274. Anche il vescovado di Bellunum, cui abbiamo già fatto cenno, potrebbe essere stato istituito all’epoca della dominazione Franca275 e non giova sostenere che nella suggestio dei vescovi aquileiesi si sostiene che in sole tre diocesi erano stati insediati vescovi dai Franchi (le già citate Virunum, Teurnia e Aguntum): il periodo è il 590591 e le ragioni di opportunità che avevano spinto alla preparazione di quello scritto (e al sottolineare, in esso, di certe situazioni, e non di altre) non vi sono completamente esplicitate. b) Tanto Ceneda che Belluno potrebbero tuttavia avere avuto istituiti i loro episcopati nel periodo della ripresa del controllo della Venetia da parte dei Bizantini, e questo spiegherebbe perché la suggestio dei vescovi del 590, pur sottoscritta dal presule bellunese, non facca cenno a Ceneda come di diocesi promossa dai Franchi, mentre la mancanza della sottoscrizione di un presule cenedese può essere dovuta ad altre, diverse ragioni. 274 Cfr. ad es. L. Jadin, s.v. Ceneda cit., p. 137: «les temps de la fondation du diocèse est vivement controversé; il est certainement postérieur à la destruction d’Oderzo par Grimoald en 668». Il c.d. placito di Liutprando l’anno 743, che normalmente viene utilizzato come terminus ante quem per la istituzione del vescovado cenedese, è pubblicato in R. Cessi, (a cura di), Documenti cit., vol. I, documento nr. 41 (una traduzione italiana di tale documento in N. Faldon, Le origini del cristianesimo nel territorio cit., pp. 45-48); si tratta tuttavia, con grande probabilità, di un falso (ci crede tuttavia J. Jarnut, Storia dei Longobardi cit., p. 83, che fa di Liutprando addirittura ‘il creatore della diocesi’, e coglie così la peggiore opportunità per citare Ceneda, soprattutto perché lo fa soltanto in questa circostanza). Sul placito, in senso critico, cfr. L. Margetič, Le prime notizie su alcuni vescovati istriani, in Histrica et Adriatica. Raccolta di saggi storico-giuridici e storici, tr. it. Fiume 1983, pp. 129-130 (e n. 18). «Comunque si voglia giudicare il documento liuprandeo sulle origini del vescovado di Ceneda...» scrive G. Cuscitto, «si può concludere che la diocesi di Ceneda sia di fondazione longobarda e la sua origine sia dovuta al fatto che la città era divenuta sede di un ducato» (Testimonianze archeologiche monumentali cit., p. 98), e sostiene che il primo vescovo cenedese sarebbe stato Valentiniano, tra il 714 e il 715 (ibid.; cfr. P.B. Gams, Series Episcoporum cit., p. 783; F. Agnoletti, Treviso e le sue Pievi. Illustrazione storica nel XV centenario della istituzione del vescovato trivigiano (CCCXCVI-MDCCCXCVI), Treviso 1898, rist. an. Bologna 1978, vol. II, p. 745; V. Botteon, Un documento prezioso cit., pp. 141-144; S. Tramontin, Le origini del Cristianesimo nel Veneto e gli inizi della Diocesi di Ceneda, in «Le origini del Cristianesimo tra Piave e Livenza» cit., p. 34). Sul placito liuprandeo cfr. ovviamente ancora V. Botteon, Un documento prezioso cit., pp. 95 ss. 275 Scriveva C.G. Mor: «Teodebaldo già nel 550 occupava una parte del Veneto – direi il Friuli e forse il Bellunese» (Bizantini e Langobardi cit., p. 235, n. 8). 74 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso È più che probabile che Ceneda abbia conservato l’importanza militare e strategica acquistata sotto i Franchi «anche durante la dominazione bizantina fino all’arrivo dei Longobardi e che proprio in questo periodo venne fondata la sede vescovile»276. – 9.3 Esame della fonte su Ceneda n. 3 È venuto il momento di esaminare il primo dei documenti ecclesiastici di cui abbiamo fatto cenno, ed affrontare la discussa questione degli Atti della Sinodo di Grado del 579 che, stando al Mansi e ad altri editori avrebbero registrato la presenza di un presule di nome Vindemius, definito, da come essi vollero leggere il suo titolo, episcopus sanctae ecclesiae Cenetensis277. Ricordo che la Sinodo gradense, convocata dal patriarca di Aquileia, Helias, costituì la più importante manifestazione della chiesa aquileiese nella sua rivendicazione dottrinaria tricapitolina278. Innanzi tutto bisogna dire che non si potrebbe spiegare l’esistenza di un presule cenedese nella seconda metà del VI secolo se non ipotizzando l’esistenza della stessa diocesi cenedese in una data anteriore all’invasione di Alboino e dei suoi279. 276 L. Margetič Le prime notizie cit., spec. p. 129. Sosteneva C.G. Mor che dopo il 563, «riunita la Venetia all’Impero» Narsete «fu svelto a sostituire, nelle tre diocesi del Norico, i vescovi “franchi” con altrettanti “aquileiesi”, o almeno li riassoggettò alla sede metropolitica» (Bizantini e Langobardi cit., p. 241). 277 Vd. Sacrorum Conciliorum Nova et Amplissima Collectio (cur. J.D. Mansi), Florentiae 1743, t. IX, p. 926 B; F. Ughelli, Italia Sacra cit., V, pp. 26 ss.; P. Kandler, Codice Diplomatico Istriano, Trieste 18621865, rist. Trieste 1986, vol. I, doc. nr. 26, pp. 64-65; P.B. Gams, Series Episcoporum Ecclesiae Catholicae , Ratisbonae 1873, p. 783 e, infine, il Thesaurus Linguae Latinae - Onomasticon, s.v. Ceneta cit., c. 314. Tuttavia F. Ughelli, op. cit., c. 29, parlando della Sinodo di Grado, dapprima scrive: Vindemius Episcopus s. Eccl. Caesen., salvo poi, a c. 31 (e a c. 173) definire lo stesso vescovo come Cenetensis. Che la effettiva sede di questo Vindemius debba considerarsi «molto discussa» non lo nega nemmeno un sostenitore della ‘tesi cenedese’, come L. Margetič, Le prime notizie cit., spec. p. 130, n. 23. 278 Sulla complessa questione cfr., in gen., J.B. Bury, History cit., II, p. 383-391; É. Amann, s.v. TroisChapitres (affaire des), in Dictionnaire de Théologie Catholique, Paris 1950, t. XV, 2, cc. 1868-1924; K. Baus, s.v. Dreikapitelstreit, in Lexikon für Theologie und Kirche, Freiburg 1959, vol. III, cc. 565-566; G. Cuscito, Aquileia e Bisanzio cit., pp. 231 ss.; di «unità scismatica aquileiese» parla G. Ortalli, Venezia dalle origini a Pietro II Orseolo, in P. Delogu-A. Guillou-G. Ortalli, Longobardi e Bizantini cit., pp. 349-351. Cfr. anche C.G. Mor, La cultura veneta cit., pp. 218-219. Sul patriarca Helias cfr. anche R. Cessi (cur.), Documenti cit., vol. I, doc. nr. 4, p. 5 (iscrizione nell’edicola a fianco della Chiesa di Santa Eufemia, a Grado). 279 Cfr. G. Tomasi, La Diocesi di Ceneda cit., I, p. 17 (quest’autore non esclude una datazione attorno alla metà del VI secolo, «fra la prima occupazione della zona da parte dei Franchi e l’avvento dei Longobardi», ma comunque, ibid., p. 18, dichiara esplicitamente di non voler prendere posizione 75 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso È impossibile, infatti, pensare che potesse essere toccato ai Longobardi, la cui adesione al cristianesimo era, per usare degli eufemismi, dubbia e superficiale280, occuparsi, fin dai loro primi anni, nientemeno di organizzazione ecclesiatica, favorendo addirittura la nascita di una nuova diocesi nel loro territorio: «sul piano organizzativo poco sappiamo circa la realtà della sistemazione della Chiesa arianolongobarda in Italia; mi sembra che non a torto, si possa revocare in dubbio la testimonianza di Paolo Diacono, relativa alla presenza di una gerarchia episcopale ariana, perfettamente parallela a quella cattolica. Specialmente per i primi tempi dopo la conquista la situazione della Chiesa cattolica nel Regno longobardo era in un collasso tale che difficilmente sarebbe potuto servire di modello per un’analoga Chiesa ariana»281. Secondo successivi editori degli Atti di Grado282, il titolo di questo Vindemius sul merito della questione). La consapevolezza di una datazione ‘bassa’ per la istituzione della diocesi cenedese è diffusa più di quanto si possa pensare a fronte della pubblicistica accademica o specialistica, cfr. ad es. la bella Guida di Vittorio Veneto, di V. Ruzza, cit., che, a p. 12 nota appunto: «la sede vescovile, sorta in epoca imprecisata nel VI sec.». 280 Gregorio Magno parlava dei Longobardi in termini assai negativi (nefandissima gens; nefandissimi; come si legge nel Registrum, MGH EE, I, risp. Ep. V, 38, p. 325 ed Ep. VII, 23, p. 468; cfr. V. Paronetto, I Longobardi nell’Epistolario di Gregorio Magno, in «Atti del VI Congresso Internazionale di Studi sull’Alto Medioevo» cit., t. II, spec. pp. 559-562) e non solo come degli eretici ariani (lo erano in effetti solo in parte), ma spesso come dei pagani. Si trattava infatti di una gente giunta in Italia ancora imbevuta della religione germanica e profondamente attaccata alle proprie tradizioni e ai propri riti religiosi ancestrali; cfr. R. Manselli, La Chiesa Longobarda e le Chiese dell’Occidente, in «Atti del VI Congresso Internazionale di Studi sull’Alto Medioevo» cit., t. I, spec. pp. 247-251 (cfr. anche P. Delogu, Il regno longobardo cit., pp. 7-9 e spec. M. Meli, Eco scandinave nella Historia Langobardorum di Paolo Diacono, in P. Chiesa (cur.), Paolo Diacono cit., pp. 333-353). A proposito del «sincretismo religioso di arianesimo e politeismo, iniziatosi forse già in Moravia sotto l’influenza dei Goti», che caratterizzava i Longobardi al loro ingresso in Italia, cfr. altresì G. Tabacco, L’inserimento dei Longobardi cit., p. 228. 281 R. Manselli, La Chiesa Longobarda cit., p. 252; cfr. G.B. Bognetti, La continuità delle sedi episcopali e l’azione di Roma nel regno Longobardo [1959], in Id., L’Età Longobarda cit., IV, p. 304; S. Tramontin, Le origini cit., p. 34 e R.W. Mathisen, Barbarian Bishops and the Churches “in barbaricis gentibus” during Late Antiquity, «Speculum», 72, 1997, p. 690; in ogni caso «any role that religion played as a segregating factor would have been the result, not of theological differences or official policies, but of organizational structure, which may have had very little meaning at the local level. Indeed, it may be that the degree of religious incompatibility between Nicene Romans and barbarian Arians has been greatly exaggerated, for there is anecdotal evidence to suggest that there was a good deal of mingling» (ibid., p. 693; cfr. anche E.L. Woodword, Christianity and Nationalism cit., p. 70). 282 Vd. Chronica Patriarcharum Gradensium in MGH SS. rer. Lang., pp. 392-397, ma anche R. Cessi, Nova Aquileia, «AIV» 88, 1928-29, spec. pp. 588 ss.; Id. (a cura di), Documenti cit. vol. I, doc. nr. 6, pp. 713; G. Cuscito, La Fede Calcedonese e i Concili di Grado (579) e di Marano (591), «AAAd» 17, 1980, pp. 225-230; cfr. P.F. Kehr, Regesta Pontificum cit., pp. 12-13. Qualche critica agli editori degli Atti sinodali nei MGH si legge in L. Duchesne, L’Église au VIème Siècle, Paris 1925, p. 244, n. 2. Cfr. G. Arnosti, Lo scisma tricapitolino cit., pp. 66-71. 76 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso si sarebbe dovuto leggere, in realtà, con maggior aderenza alla lezione del testo tràdito, come episcopus sanctae ecclesiae Cessensis283, come si trova scritto anche nel Chronicon Venetum (= Istoria Veneticorum) opera del diacono Giovanni degli inizi dell’XI secolo284. Tale aggettivo è comunemente fatto risalire a Cissa, isola esistita fino al VIIVIII secolo di fronte alle coste dell’attuale città istriana di Rovigno. Le considerazioni che possono essere addotte per affermare l’effettività stessa di un episcopato in quell’isola, si scontrano con ragioni per così dire statisticoambientali285: l’isola non ha lasciato notizie di sé nelle fonti dopo gli inizi del V secolo e sembra poco probabile che vi fosse stata insediata una sede episcopale286. 283 MGH SS. rer. Lang. cit., p. 393 = R. Cessi, Nova Aquileia cit., p. 593 e Id., Documenti cit., p. 12; cfr. anche V. Botteon, Un documento prezioso cit., pp. 36 ss. e 134 ss.; F. Lanzoni, Le diocesi d’Italia dalle origini al principio del secolo VII (ann. 600), Faenza 1927, vol. II, p. 850; A. Guillou, L’Italia Bizantina dall’invasione Longobarda alla caduta di Ravenna, in P. Delogu-A. Guillou-G. Ortalli, Longobardi e Bizantini cit., p. 220; G. Ortalli, Venezia dalle origini cit., p. 350; per Vindemius vescovo di Cissa sono anche G. Cannella, Ricerche su Ceneda nell’Alto Medio Evo cit., pp. 69-70 (che ritiene peraltro falsi gli atti della Sinodo di Grado), e G. Arnosti, Lo scisma tricapitolino cit., pp. 72-74. Cfr. infine F. Babudri, Il vescovato di Cissa in Istria cit., pp. 35 ss. 284 Vd. Iohannis Diaconi, Istoria Veneticorum, ed. e tr. it. L.A. Berto, Bologna 1999, I, § 11, p. 62 (Vindemius, episcopus Cessensis); sulla datazione di quest’opera cfr. ibid., Introduzione, pp. 7-8 (che stima gli anni tra 967-1018). Vd. anche Andreae Danduli, Chronica per extensum descripta, cur. Ester Pastorello, Bologna 1938, p. 83 rr. 26-27 (e p. 85 rr. 22-26). 285 Cfr. B. Benussi, Storia documentata di Rovigno, Trieste 1888, rist. Trieste 1977, pp. 31-32; 35-36 e Appendice IX, pp. 332-337 (oltre alla modestia della località, va ricordato che una catastrofe avrebbe provocato lo sprofondamento dell’isola di Cissa attorno alla metà del secolo VIII, o poco oltre: c’è notizia di due fortissimi terremoti, nel 754 e nel 800-801); Id., Del vescovato di Cissa e di Rovigno (Studio critico), «AttiMemIstria» 34, 1922, pp. 131-171; vd. spec. p. 154: «l’origine d’un vescovato sull’isola di Cissa nel sec. V, il suo perdurare sino alla seconda metà del sec. VIII, ed il suo sparire improvviso in questo ultimo periodo di tempo manca d’ogni presupposto razionale e storico»; L. Margetič, Le prime notizie cit., spec. pp. 126 ss.; cfr. comunque P.F. Kehr scriveva «ab insula Cissa, ubi saec. VI sedes episcopalis exstiterat, cuius episcopus Vindemius concilio Gradensi a. Chr. 579 celebrato interfuit, postea in mari demersa» (Regesta Pontificum Romanorum cit., p. 235) e R. Van Doren, s.v. Cissa, in DHGE, Paris 1953, XII, c. 851, che assegna a Vindemius ‘di Cissa’ una datazione, compresa tra il 571 e il 577 (sulla quale cfr. C. De Franceschi, Saggi e Considerazioni sull’Istria nell’Alto Medioevo. II. Cessensis episcopus, «AttiMemIstria» 18 n.s., 1970, p. 70, da Lanzoni). Estrema, se non faziosa, la posizione di F. Babudri, Il vescovato di Cissa in Istria cit., spec. pp. 43 ss. (sui rilievi per l’individuazione dell’isola sprofondata cfr. A. Pogatschnig, Nota aggiuntiva, apud F. Babudri, Il vescovato di Cissa cit., pp. 58-61). 286 I riferimenti delle fonti antiche su Cissa sono assai poco frequenti e in qualche caso dubbi (cfr. in ogni caso il Thesaurus Linguae Latinae - Onomasticon, vol. II, cit., c. 460, s.v. Cissa). Vd. Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, III, 151, p. 294, che parla delle isole davanti alla foce Timavi calidarum fontium, citando effettivamente Cissa e Pullaria (ma l’editore fa un rimando in apparato ad un luogo precedente III, 140, p. 289, su Gissa: si rischia effettivamente una certa confusione sulle due località, l’una istriana, l’altra dalmata); poi San Girolamo, che nella sua lettera ad Castricianum (Ep. LXVIII, 77 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso È ben curioso che, se un vescovato di Cissa fosse mai esistito, quella località sia rimasta nella più completa oscurità proprio nei secoli VI e VII nonostante le raffinate elaborazioni filologiche (con una forte componente ‘ideologica’) di studiosi insigni: conseguentemente non resterebbe che riportare a Ceneda questo primo, importante, frammento testimoniale di fonte ecclesiastica287. In effetti è paradossale che si affermi l’esistenza di un episcopato sull’isola di Cissa disponendo, come unica documentazione, del dubbio spunto della Sinodo del 579 (corroborato dall’altrettanto dubbio spunto del 680, che esamineremo poi), creando in questo modo un riferimento circolare, con il documento che dà fede alla sede, mentre la sede, così asseverata, dovrebbe dar fede al titolo, che a sua volta convaliderebbe il documento288. Ceneda, se non altro, avrebbe avuto dalla sua le caratteristiche che potenzialmente le avrebbero consentito di essere sede deputata all’insediamento di un vescovo, già a partire dall’epoca Franca e nel contesto dato. Devo confessare che la serie di studi e pubblicazioni sull’argomento Ceneda/Cissa si affronta faticosamente e non senza qualche noia o imbarazzo, specie per certe punte di caparbietà, nella secolare ed aspra lotta per l’affermazione della primogenitura (sarebbe meglio dire dell’effettività) del vescovato dell’isola che non c’è, piuttosto che di quello dello sfortunato castrum cenedese, rimasto desolatamente privo di fonti genuine che documentino la sua storia più risalente. Ma prima di affrontare, sul piano filologico, la difendibilità della lezione p. 675) ha un riferimento a Cissa non sicuro (cfr. B. Benussi, Del vescovato di Cissa cit., pp. 138-139 e l’apparato all’edizione geronimiana, p. 675, che reca anche le varianti scissam e cisses). Ancora nel VII secolo anche l’Anonimo Ravennate (V, 24; A.N. Rigoni, L’ambito territoriale cit., p. 148) scriveva: nam in colfo occidentale in ipso Mari Magno littore Dalmatie seu Liburnie atque Ystrie sunt insule, inter cerera quae dicuntur, id est... Cissa. La testimonianza più interessante, che è comunque cronologicamente antecedente a questa dell’Anonimo, situabile com’è nel V secolo, è quella della Notitia Dignitatum Occidentis, XI, 49, perché ci offre tra l’altro la forma aggettivale di Cissa, Cissensis, nell’indicare la carica di procurator bafii Cissensis Venetiae et Histriae, il che indica la presenza nell’isola ancora nel tardo impero di una tintoria (di porpora) imperiale; cfr. A.H.M. Jones, The Later Roman Empire cit., p. 836 e n. 29, pp. 1350-1351, tr. it., p. 1273 e n. 29 pp. 1646-1647. Su queste fonti cfr. ancora F. Babudri, Il vescovato di Cissa in Istria cit., pp. 38-39. 287 Cfr. L. Margetič, Le prime notizie cit., p. 129. È insostenibile comunque una localizzazione terza, cfr. ad es. Iohannis Diaconi, Istoria Veneticorum cit., p. 63 ove il curatore traduce incongruamente: «Vindemio, vescovo di ·isak», che riporterebbe all’antica Scisia (Pannonia Orientale, hod. Croazia). Sgombriamo il campo anche dall’equazione Cissa = Gissa, nell’isola dalmata di Pago (cfr. anche C. De Franceschi, Cessensis episcopus, cit., pp. 80-81). 288 Dire, come fa S. Tramontin (Origini del Cristianesimo nel Veneto cit., p. 119, n. 107), che alcune «diocesi dell’Istria» possano «essere sicuramente documentate per il V o VI sec.», tra le quali «Pedena e Cissa» è azzardato a causa della inevitabile ‘circolarità’ della pretesa documentazione. 78 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso Cenetensis per Vindemius, esaminiamo cos’altro sappiamo su di lui: le sole notizie, successive tuttavia al 579, le fornisce Paolo Diacono289, che scrive: his diebus defuncto Helia Aquilegensi patriarcha, postquam quindecim annos sacerdotium gesserat e cioè, ‘alla morte del patriarca di Aquileia, Helia, dopo quindici anni di episcopato [la morte del presule risale al 586-587]’, Severus huic succedens regendam suscepit ecclesiam ‘gli successe, nel governo del patriarcato, Severus’. Quem Smaracdus patricius veniens de Ravenna in Gradus, per semet ipsum e basilica extrahens, Ravennam cum iniuria duxit cum aliis tribus ex Histria episcopis, id est Iohanne Parentino et Severo atque Vindemio, necnon etiam Antonio iam sene ecclesiae defensore: ‘il patrizio Smaragdus [l’esarca bizantino di Ravenna290] raggiunse Grado dalla sua sede e arrestò personalmente [il patriarca] Severus, strappandolo alla basilica [dove si era rifugiato] e lo condusse con la forza a Ravenna unitamente ad altri tre vescovi, Iohannes, di Parenzo, Severus [di Trieste] Vindemius, e persino all’ormai vecchio Antonius, defensor [cioè amministratore] del patrimonio della chiesa’. 289 Hist. Lang. III, 26, p. 157 (vd. Iohannis Diaconi, Istoria Veneticorum cit., I § 17, p. 68). Il personaggio ecclesiastico di nome Vindemius che nelle fonti mi pare più prossimo al vescovo di cui si tratta è un Vindemius acolitus, citato tra i nomina presbiterorum, diaconorum, qui Romam venerunt cum Victore presbitero et Mastalone diacono al tempo di papa Felice IV (anni 526-530; Agnellus Rav., lib pont. 60, p. 321), e che a quell’epoca avrebbe dovuto avere una ventina-trentina d’anni, e non può quindi identificarsi con il nostro vescovo, a meno di non immaginarlo assai vecchio (sulla dignità dell’acolitato cfr. L. Duchesne, in Liber Pontificalis, I, pp. 171 e 190-191, n. 25; 321-322 e nn. 2-3; 371); ricordo quanto segnalato in precedenza alla nota 3, relativamente ad un Vende...o de Cenida ancario, da una scritta rinvenuta a Montecassino. Se la colmatura della lacuna, che viene normalmente data con Vende(gisl)o fosse proposta in Vende(mi)o, peraltro compatibile, potremmo avere la testimonianza della permanenza del nome in ambito cenedese tra la fine dell’VIII e l’inizio del IX secolo. Curiosamente, nel tardoantico, abbiamo notizia di diversi ecclesiastici che portano il nome Vindemius, in particolare in Africa ed in Italia: il primo di questi partecipa ad una Sinodo sotto papa Silvestro (314-335); un secondo è vescovo (donatista) di Cenae, presso Cartagine, nel 411; sono poi attestati, all’epoca dell’occupazione vandalica dell’Africa, un Vindemius, episcopus Altuburitanus (Africa Proconsularis) ed un Vindemius episcopus Lamfoctensis (Mauritania Stifensis), che potrebbero tuttavia essere la medesima persona. Ci fu poi, più tardi, un Vindemius, episcopus Antiatinus, che partecipò alle Sinodi romane del 499 e del 502, all’epoca di papa Gelasio (cfr. comunque W. Enßlin, s. vv. Vindemius 1, 2, 3, 4, RE IX A.1 (1961), cc. 24-25; per la partecipazione dei vescovi di Anzio alle Sinodi citate cfr. anche Liber Pontificalis, XXXIII. Silvester in Duchesne, I, p. 192, n. 38). Il nome Vindemius doveva essere particolarmente diffuso nell’area cartaginese, come mostra una scoperta archeologica piuttosto recente, avvenuta nel sito di Bir Messaouda, relativa alla «first half of the fifth century A.D. ...from one of the cemeteries outside of Carthage», che ha portato alla luce «the grave inscription» di un bambino di dieci anni, di nome Vindemius (storia del ritrovamento e foto dell’iscrizione nel sito Internet http://www.hum.uva.nl/carthage/101600.htm). 290 Cfr. PLRE III-B, s.v. Smaragdus 2, pp. 1164-1166; per l’arresto dei vescovi, p. 1165. F. Babudri ricostruisce addirittura un preciso itinerario di Smaragdo nella sua incursione repressiva (Il vescovato di Cissa in Istria cit., pp. 44-45). 79 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso L’intervento repressivo dell’autorità imperiale contro i vescovi è da collocarsi tra il 587 e il 589 e puntava a contrastare lo scisma dei Tre Capitoli. Dopo un anno di carcerazione e vessazioni a Ravenna, dove erano stati costretti ad abiurare lo scisma, i vescovi poterono infine tornare a Grado (extempto vero anno, e Ravenna ad Grados reversi sunt291), ma, ricusati dai loro stessi fedeli e dagli altri colleghi vescovi, rimasti rigorosamente tricapitolini, dovettero ritrattare l’abiura nel corso di una apposita Sinodo di vescovi, riunita nel 591 a Marano, località lagunare tra le foci di Tagliamento e Isonzo (post haec facta est sinodus decem episcoporum in Mariano), dove Severus sconfessò per iscritto il proprio ‘errore’ (receperunt Severum Patriarcham Aquilegensem dantem libellum erroris sui)292. Con il patriarca furono riammessi alla comunione tricapitolina i vescovi Severus di Trieste, Iohannes di Parenzo, Patricius di Emona293, il nostro Vindemius e Iohannes di Celeia294 (cum patriarcha autem communicaverunt isti episcopi: Severus, Parentinus Iohannes, Patricius, Vindemius et Iohannes295). È stato ipotizzato che Vindemius, di cui – nelle due circostanze in cui viene citato (al momento dell’arresto e al momento della ritrattazione dell’abiura e della riammissione alla communio tricapitolina) – Paolo Diacono tace sistematicamente la sede, si trovasse a Grado «per la sua consacrazione»296; il silenzio di Paolo va valutato con la prudenza d’uso: tuttavia, se Vindemius era già vescovo nel 579, perché ipotizzare la necessità di una sua nuova consacrazione? E, se del caso, a quale altra diocesi sarebbe stato destinato? A meno di non voler ipotizzare un Vindemius già titolare a Ceneda, supponiamo fino alla Sinodo di Grado, poi non rientrato in sede, rimasto in esilio e riconsacrato vescovo di Cissa per assegnargli una sede territorialmente più sicura297. 291 Paul. Diac. Hist. Lang. III, 26, p. 157; idem anche per le due successive citazioni di Paolo. Sulla Sinodo di Marano unica fonte è proprio Paolo Diacono; cfr. L. Duchesne, L’Église au VIème Siècle cit., p. 245; G. Cuscito, Aquileia e Bisanzio cit., pp. 239 ss.; Id., La Fede Calcedonese cit., pp. 222 ss.; G. Arnosti, Lo scisma tricapitolino cit., pp. 74-79. È ben curioso che G.D. Gordini, s.v. Grado, in Dizionario dei Concili, Roma 1965, vol. II, p. 148, dopo aver ricordato la Sinodo gradense del 579, commenti anche quella del 590 come se si fosse tenuta nella stessa località; cfr. piuttosto S. Tramontin, s.v. Grado, in DHGE, Paris 1985-1986, XXI, cc. 1025-1026. 293 Emona è Aemona Pannoniorum, l’attuale Lubiana. 294 Celeia è Celjie-Cilli, in Slovenia; cfr. Lidia Capo (ed.), Paolo Diacono, Storia dei Longobardi cit., nn. a Hist. Lang. III, 26, p. 482. 295 Paul. Diac. Hist. Lang. III, 26, p. 158. 296 Cfr. G. Cuscito, Aquileia e Bisanzio cit., p. 237; Id., La Fede Calcedonese cit., p. 223. 297 N. Faldon (Le origini del cristianesimo nel territorio cit., p. 44) sostiene un’ipotesi che si basa sillo stesso presupposto: «Vindemio, forse eletto vescovo all’epoca dei Franchi, potrebbe essere scappato da Ceneda proprio all’arrivo dei Longobardi, come avevano fatto altri vescovi compreso quello di Aquileia»; secondo me, tuttavia, alla fuga del vescovo cenedese non può essere fatta corrispondere la immediata presa della città da parte dei Longobardi. 292 80 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso Le fonti successive, in questo caso, avrebbero potuto fare un po’ di confusione, rinvenendo Vindemius in elenchi di diverse titolarità: avrebbe potuto essere stato Cenetensis fino ad una certa data (579?) e Cissensis in seguito? L’ipotesi, a prima vista, ha tutto il sapore del compromesso, ma in realtà tiene conto dell’altrimenti inesplicabile serie di ondeggiamenti della titolarità di Vindemius, che hanno le caratteristiche del difetto di conoscenza: l’origine dell’ipotetico vescovato cissense, infatti, anche per i suoi sostenitori, non si allontana troppo dagli anni a cavallo della metà del VI secolo, ed è immaginata (unitamente a quello di Pedena) quasi esclusivamente per assegnare una onorevole sede di ripiego a vescovi privati delle loro «in Pannonia o in qualche regione finitima in seguito a devastatrici invasioni barbariche»298. Si deve ricordare che, in Paolo Diacono, Vindemius è accomunato in modo sistematico a vescovi istriani (cfr. ad es.: cum aliis tribus ex Histria episcopis299), anche se l’uso di Histria, proprio in Paolo non è certo univoco, e potrebbe benissimo valere per Venetia300. Si dovrà comunque pensare a Vindemius come ad un presule in esilio, forse non già dal 579301, ma probabilmente a partire dagli anni 587-591: che fosse in attesa di essere assegnato ad altra diocesi, come si è detto, resta da dimostrare, mentre non è possibile che non fosse ancora consacrato, perché altrimenti, non si spiegherebbe la sua sottoscrizione in calce agli Atti di Grado. 298 C. De Franceschi, Cessensis episcopus cit., p. 84; analoga valutazione anche in G.B. Bognetti, La continuità delle sedi episcopali cit., pp. 304 e 321. Su Pedena cfr. in part. L. Margetič, Le prime notizie cit., pp. 131-133. 299 Hist. Lang. III, 26, p. 157. 300 Ancora per il papa Gregorio la denominazione Histria abbracciava probabilmente anche buona parte del Veneto (cfr. R. Cessi (cur.), Documenti cit., vol. I, doc. nr. 11, pp. 21-23 (in Histriae videlicet partibus); L. Margetič, Le prime notizie cit., p. 117: il vescovo di Oderzo, nel 680 si definirà ancora episcopus sanctae ecclesiae Opitergensis provinciae Istria). Se vogliamo pensare a Vindemius come al vescovo di Ceneda, una diocesi, come si è suggerito, fondata in territorio pro-tempore sotto controllo Franco, quello degli anni 580590 non sarebbe stato comunque un buon momento per lui, dato che, contestualmente al regolamento di conti operato dagli imperiali sui vescovi tricapitolini, era in atto un attacco combinato contro i Longobardi da parte delle truppe imperiali da sud, e di contingenti Franchi da nord, con esiti discutibili sempre per ragioni afferenti alla dubbia lealtà dei Franchi, accusati come minimo di incapacità di coordinamento, fino al solito doppio gioco ad esclusivo loro favore. Vd. Greg. Tur. Hist. Fr. X, 2-3, vol. II, pp. 486-497, e Paul. Diac. Hist. Lang. III, 31, p. 164-168; vd. anche le Epist. Austras. nn. 40 e 41 (aa. 585-590), pp. 145-148, nelle quali l’esarca ravennate, scrivendo a Childeberto II, accusa platealmente i duchi Franchi di aver fatto fallire, con il loro comportamento, l’attacco su Verona, proprio mentre gli imperiali erano giunti ormai a venti miglia dalla città (cfr. C.G. Mor, Verona Medievale cit., pp. 26-27). 301 Cfr. L. Margetič, Le prime notizie cit., spec. p. 130 (che sostiene che ancora a quella data l’episcopus Cenetensis si sarebbe trovato nella propria sede di titolarità, come altri vescovi della Venetia erano nelle loro). 81 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso Preferisco non inoltrarmi nella giungla di variabili storiche e logiche che deriverebbe dall’accettazione di questa sorta di compromesso, e tornare decisamente alla questione di Cissa: decisiva appare la scelta di un approccio filologico che si proponga di non difendere a tutti i costi il testo dei codici (magari contro l’insostenibilità geografico-statistica), ma di ricavare da quel poco che ci è stato trasmesso possibili elementi di effettività. Si tenga ovviamente conto che il testo degli Atti della Sinodo Gradense risulta essere stato interpolato, e alquanto manomesso, per ragioni politiche (che peraltro non attengono minimamente all’argomento che qui si discute)302. In particolare si deve rilevare come non sia mai stata segnalata una variante Cissensis, che riporterebbe automaticamente a Cissa, ma invece diversi assai più intriganti Cessensis. E questa forma alterata ci spinge ad ipotizzare con un certo fondamento un originale Cenetensis al di là della forma grafica che il vocabolo – per traversie di copiatura – avrebbe potuto assumere in seguito303. Anche un sostenitore dell’istrianità del presule Vindemius come V. Botteon, ha avuto cura di sottolineare che «il Cessensis viene interpretato per Cissa e non per Ceneta»304: il riferimento, anche filologicamente, non appare infatti scontato, al punto che il medesimo studioso, riconoscendo, come peraltro è già stato notato, che solo su quel fragile aggettivo Cessensis si sostiene la dimostrazione dell’esistenza stessa della diocesi insulare istriana, è costretto a scrivere: «non intendo asserire che Vindemio sia stato certamente vescovo di Cissa, ed ammetto che egli possa essere stato in altra sede ignota; quello che parmi aver assodato si è che lo si debba eliminare dalla serie dei vescovi cenedesi»305. Questa è la classica posizione che ho definito ‘ideologica’: fate quel che volete, ma rimuovete da Ceneda quel vescovo scismatico! Sintetizzo di seguito le diverse lezioni del titolo di Vindemius segnalate dalle varie fonti o edizioni della Sinodo di Grado, o contermini306: 302 Cfr. L. Duchesne, L’Église au VIème Siècle cit., p. 244, n. 2 (che nota tuttavia come almeno «les signatures conservées par le Chronicon [Gradense] paraissent authentiques»). 303 Cfr. L. Margetič, Le prime notizie cit., p. 127. 304 Un documento prezioso cit., p. 125 (sottolineatura mia); cfr. anche N. Faldon, Le origini del cristianesimo nel territorio cit., p. 44. 305 Ibid., p. 128 (corsivo mio). 306 Essenzialmente con l’aiuto del saggio di C. De Franceschi, Cessensis episcopus cit., pp. 72 ss. 82 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso autore o testo CEN(lezione cenetensis o simili) Cronica de singulis patriarchis Nove 307 Aquileie Chronica Patriarcharum Gradensium episcopus cenensis (variante 308 CES(lezione cessensis o simili) episcopus cessensis episcopus cessensis ) episcopus cessensis, con la variante cesensis Vindemius episcopus sancte 309 ecclesie cesensis Vindemio cesensi Iohannis Diaconi, Istoria Veneticorum, I, § 11, p. 62 Danduli Andreae, Chronica per extensum descripta, p. 83, rr. 26-27 Danduli Andreae, Chronica per extensum descripta, p. 85, rr. 22-26 Tomaso Diplovatacio, Tractatus de Vindemius ... episcopus 310 sancte ecclesie cessensis Venete urbis... Nicolò Coleti, ed. veneziana dei Vindemius Episcopus 311 sancte ecclesie CeneSacrosanta Concilia... del Labbé 312 tensis F. Ughelli, Italia Sacra cit., V, c. 29 Vindemius Episcopus S. 313 Eccl. Caesen. F. Ughelli, Italia Sacra cit., V, cc. 31 e Vindemius Episcopus 314 173 Cenetensis Sacrorum Conciliorum Nova et Vindemius Episcopus Amplissima Collectio (cur. J.D. Mansi), t. sanctae ecclesiae Cene315 tensis IX, p. 926 (da N. Coleti ) 316 Vindemius Episcopus S. Caesen. e cesetensis 317 De Rubeis, Monumenta... Ecclesiae Cenetensis 318 cesetensis Cronaca Benintendi 319 cessensis Cronaca di Giovanni Sagornini 307 Cfr. C. De Franceschi, Cessensis episcopus cit., p. 74. Cfr. ibid., p. 75 («riferendosi all’Ughelli il De Rubeis riporta la variante del passo in esame»). 309 C. De Franceschi, Cessensis episcopus cit., p. 73, indica la lezione dell’edizione di Ester Pastorello come cessensis, mentre il testo reca cesensis. 310 Cfr. C. De Franceschi, Cessensis episcopus cit., p. 73, n. 25 (si tratta di Tomaso Diplovatacio, o de Plovataciis, Tractatus de Venete urbis libertate et eiusdem imperii dignitate et privilegiis et an de iure Dominium Venetorum habeat superiorem in temporalibus (1521-1523), Biblioteca Marciana, Venezia, Codici latini LXXIV C 374). 311 Cfr. C. De Franceschi, Cessensis episcopus cit., p. 73, n. 26 (si tratta dei Sacrosanta Concilia ad regiam editionem exacta... Studio Philippi Labbei et Gabr. Cossarii Soc. Jesu Presbyterorum. Nunc vero integre insertis Stephani Balusii et Joannis Harduini additionibus, curante Nicolao Coleti ecclesiae S. Moysis Venetiarum sacerdote alumno, Venetiis, t. XIV, c. 498). 312 Ibid., p. 74 (secondo Coleti, il testo sarebbe stato tratto «ex vetusto codice Bibliothecae Vallicellanae in lucem edita»). 313 Cfr. qui, supra, nota 277. Da una versione della cronaca di Andrea Dandolo, secondo C. De Franceschi, Cessensis episcopus cit., p. 73. 314 Cfr. ancora qui, supra, nota 277. 315 Cfr. C. De Franceschi, Cessensis episcopus cit., p. 74 («il Mansi... riportò testualmente la redazione degli atti sinodali dal Coleti, con l’annotazione che gli stessi provenivano dalla Biblioteca Vallicelliana di Roma»). 308 83 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso Di fronte alla assoluta mancanza di un esplicito e netto Cissensis, il termine che ci è stato tràdito avrebbe potuto subire una serie di passaggi così potenzialmente riassumibile: un’originario Cenetensis sarebbe stato abbreviato in un primo tempo in Cen.sis o Ce.sis, salvo essere successivamente riletto per esteso nel Cessensis superstite. – 9.4 Esame delle fonti su Ceneda nn. 4a e 4b Ricordo che, per quanto discutibile risulti il Placito di Liutprando, in esso emerge una realtà difficilmente contestabile: un vescovato a Ceneda sarebbe esistito prima che venisse meno la sede episcopale di Opitergium (= Oderzo). Le due sedi vescovili esistettero quindi per anni, indipendenti l’una dall’altra, fin che, nel corso delle vicende successive, il vescovo di Ceneda finì con l’ereditare una porzione della estinta diocesi opitergina (trasferita nel 640 ad Eraclea320), divenendone, in parte, il continuatore321. Interessante, ma di maniera, si rivela la posizione di S. Tramontin, secondo il quale, in fondo, potremo anche avanzare l’ipotesi di un vescovo cenedese antitricapitolino (?), specie quando il vescovo era ad Oderzo, avendo accettato Oderzo, sia pure tardivamente, agli inizi del VII secolo (come Grado e come le altre diocesi nel territorio bizantino), le decisioni di Giustiniano. Evidentemente tali decisioni le avrebbe accettate il vescovo di Oderzo: allora si potrebbe ipotizzare anche la presenza di un vescovo a Ceneda. Come si ebbe il doppio vescovo ad AquileiaGrado, una situazione analoga avrebbe ben potuto verificarsi anche per CenedaOderzo. Si sarebbe trattato tuttavia dell’unico caso perché non risultano altre situazioni documentate. Del resto il caso risulterebbe giustificabile per Aquileia-Grado, perché si trattava di due metropoliti, più difficilmente per il territorio di una semplice diocesi. 316 Cfr. Ibid., p. 75 (si tratta di Jo. Fran. Bernardus De Rubeis, Monumenta Ecclesiae Aquileiensis, Argentinae (=Venetiis), 1740, cc. 240 e 254). 317 Varianti citate da De Rubeis in C. De Franceschi, Cessensis episcopus cit., p. 75. 318 Cfr. Ibid., p. 75 (si tratta della Cronaca di Benintendi de’ Ravagnani, segretario del Doge Andrea Dandolo, che lavorò per rimaneggiare e proseguire la cronaca dello stesso). 319 Cfr. Ibid., p. 75, n. 35. 320 Cfr. G. Cuscito, Testimonianze archeologiche monumentali cit., p. 84. 321 Anzi «sunt enim qui putent primitivam sedem episcopalem Opitergii (Oderzo) fuisse. Post eversionem civitatis primum a Rothari rege dirutae, postea a Grimoaldo rege funditus destructae. Opiterginus episcopus Heracleam in urbem in aestuario Veneticorum sitam se transtulisse notum est, territorio Opitergino inter Foroiulienses, Tarvisianos, Cenetenses diviso, unde colligendum esse contendunt episcopatum Cenetensem post haec conditum esse» (P.F. Kehr, Regesta Pontificum Romanorum cit., vol. I, p. 82). 84 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso Al massimo si potrebbe dire “avrebbe potuto essere anche così” 322. Cronologicamente, secondo S. Tramontin, saremmo comunque nel VII secolo senza possibilità di attretrare nel VI323. Questo insistere da un lato sulla ‘necessità’ dell’ortodossia per il titolare di 324 Ceneda e dall’altro sul VII secolo, tradisce il pregiudizio che cela questa posizione: perché se Ceneda restò in mano imperiale sino al 615 ca., come abbiamo già ipotizzato, noi non sappiamo nulla della politica ecclesiastica corrente praticata dagli imperiali nelle cittadine venete del tempo e quindi non sappiamo neppure se, ad esempio, trovatisi di fonte un vescovo cenedese di nomina Franca lo avessero mantenuto in carica (dipendeva comunque da Aquileia), lo avessero sostituito con uno di obbedienza imperiale, ovvero se avessero provveduto loro stessi ad istituire la diocesi. In questo senso persino una dedica a San Martino di origine bizantina rientrerebbe nella normalità, visto il culto del Santo praticato nell’Esarcato325. Abbiamo davanti un percorso accidentato, che si giustifica ancora con un pesante accumulo di difetti di conoscenza. Esso si concretizza in un tardo esempio di grafia greca e latina, relativo ad un vescovo del 680: troviamo infatti – dopo un secolo di silenzio – un’altra modesta testimonianza su un episcopus che dai moderni viene di nuovo assegnato da taluno a Cissa, da altri a Ceneda. Nel 680 abbiamo la prova che il titolare dell’episcopato opitergino continuava ad esistere, fregiandosi del titolo, pur essendo indubitabilmente in esilio; il documento sottoscritto dall'ultimo presule opitergino, Benenatus326, era stato firmato anche da altri vescovi esuli dalle loro sedi, e da un Ursinus, episcopus Cenetensis: infatti «nel 680 i vescovi di Altino, Oderzo, Padova, quali firmatari degli atti del concilio lateranense erano indubbiamente esuli dalle loro sedi e si trovavano in territorio lagunare sotto il controllo bizantino. Pertanto è lecito supporre che anche il vescovo di Ceneda fosse esule»327. 322 Sul fenomeno della duplicazione dei vescovati cfr. G. Arnosti, Lo scisma tricapitolino cit., pp. 101- 103. 323 Cfr. Le origini cit., p. 34; in precedenza anche Id., Origini del Cristianesimo cit., p. 120, n. 114; cfr. poi V. Botteon, Un documento prezioso cit., pp. 127; 132-135. 324 Per chi fosse interessato ad una tarda lettura bizantina della leggenda di San Martino, cfr. H. Delehaye, La vie grecque de saint Martin de Tours, «SBN» 5, 1939, pp. 428-431; F. Halkin, Légende grecque de saint Martin évêque de Tours, «RSBN», 20-21, 1983/84, pp. 69-91. 325 Per chi fosse interessato ad una tarda lettura bizantina della leggenda di San Martino, cfr. H. Delehaye, La vie grecque de saint Martin de Tours, «SBN» 5, 1939, pp. 428-431; F. Halkin, Légende grecque de saint Martin évêque de Tours, «RSBN», 20-21, 1983/84, pp. 69-91. 326 Cfr. V. Botteon, Un documento prezioso cit., pp. 57 ss.; G. Cuscito, Testimonianze archeologiche monumentali cit., p. 86. 327 L. Margetič, Le prime notizie cit., p. 130. 85 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso Il documento cui mi riferisco è agli Atti del III Concilio Constantinopolitano, il VI Ecumenico328, quello, per intenderci, che mise fine all’eresia monotelitica329, che si svolse con inusuale lunghezza tra il 7 novembre 680 e il 16 settembre 681 sotto la presidenza dell’imperatore Costantino IV, che l’aveva convocato con «evidente affermazione di indipendenza dal Papato»330. Esso registrò un ‘passaggio’ romano, quando centoventicinque vescovi delle diocesi italiche e occidentali sottoscrissero la ‘lettera sinodale’ che il papa Agatone trasmise poi ai padri conciliari nel settembre 680331. «Questa lettera, come del resto tutti gli atti conciliari ci sono pervenuti nel testo greco e in traduzione latina, e in genere anche la lettera che ci interessa viene considerata originale nel testo greco, come risulta dall’annotazione che si trova nelle varie edizioni degli atti conciliari, che qualifica il testo latino “Vetus interpretatio ex Graeco, cui similem asservat Collegium Parisiense Societatis Jesu”»332. Agli Atti del Constantinopolitano III il documento romano (contenente, fra le altre, la sottoscrizione di Ursinus, episcopus sanctae ecclesiae Cenetensis) è stata collocata nell’ambito della cosiddetta Actio IV. Mettiamo a confronto i testi relativi alle sottoscrizioni apposte a documenti sinodali o conciliari, a circa un secolo di distanza l’una dall’altra: I. [= fonte nr. 3] Atti della Sinodo Gradense a. 579 – latino Vindemius episcopus sanctae ecclesiae Cessensis (= Cenetensis?) II. [= fonte nr. 4a] III. [= fonte nr. 4b] Actio IV Concilio Costant. III Actio IV Concilio Costant. III 333 a. 680-681 – latino a. 680-681 – greco334 Ursinus episcopus sanctae ec- Oªrsºnoq ®låxistoq ®pºskopoq t∂q clesiae Cenetensis provinciae ·gºaq ®kklesºaq K™nsoy ®parxºaq |Istrºaq [correz. a margine Ken™toy] Istriae 328 Cfr. G. Ostrogorsky, Storia dell’Impero Bizantino cit., pp. 111-112. Cfr. L. Duchesne, L’Église au VIème Siècle cit., pp. 431-485; per i provvedimenti finali assunti dal Concilio cfr. Conciliorum Oecumenicorum Decreta, Bologna 1973, pp. 123-130. 330 G. Pepe, Il Medioevo barbarico d’Italia cit., p. 190; cfr. L. Duchesne, L’Église au VIème Siècle cit., pp. 466 ss. 331 G. Pepe data l’invio della delegazione papale al Concilio all’anno 679 (Il Medioevo barbarico d’Italia cit., pp. 295-296); cfr. L. Duchesne, L’Église au VIème Siècle cit., pp. 463 ss. (part. pp. 464-465, n. 1). 332 C. De Franceschi, Cessensis episcopus cit., p. 76 e n. 37. 333 Vd. Sacrorum Conciliorum Nova et Amplissima Collectio (cur. J.D. Mansi), Florentiae 1743, t. IX, c. 311. Cfr. anche F. Ughelli, Italia Sacra cit., V, c. 173. 334 Sacrorum Conciliorum cit., t. IX, c. 312. 329 86 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso Nel caso I., che abbiamo già esaminato, esiste in effetti il ricorrente (ma probabilmente, come si è detto, controvertibile) Cessensis nei codici. Nel caso III. un misterioso K™nsoy (=kénsou) ha fatto pensare alla corruzione di qualcosa come Kess™nsoy (=kessénsou). Si veda l’opinione di C. De Franceschi: «il trascrittore, ignorando evidentemente l’esistenza del minuscolo vescovato di Cissa, anziché sciogliere correttamente l’abbreviazione paleografica di Kess™nsoy costituita da una K, seguita da un punto (abbreviazione per contrazione delle lettere ess) dopo il qual punto c’è il segno paleografico per en, una s e infine il segno paleografico per oy, trascurò il punto e lesse K™nsoy»335. A me pare invece che non sia altro che la traduzione in greco della sottoscrizione del caso II., ove non sembra esservi paradossalmente alcun dubbio su Cenetensis336. È stato tuttavia segnalato, ancora da C. De Franceschi, che il testo latino mostrerebbe «gravi inesattezze» e che «allo stesso non deve attribuirsi alcuna fede di fronte al testo greco» e, inoltre che andrebbero ripudiati «senz’altro non solo l’aggettivo toponimico latino [Cenetensis], ma anche la correzione marginale di quello greco da K™nsoy a Ken™toy»337. Ma persino uno studioso dell’autorità di P.F. Kehr, che pure dubitava apertamente del Vindemius Cenetensis del 579, scriveva a questo proposito: «utut est, primus Cenetensis episcopus, quem novimus, Ursinus est, qui concilio Romano a. 680 ab Agathone P.M. celebrato interfuit»338. Lujo Margetič ha sostenuto, dal canto suo, che la sottoscrizione in latinoavrebbe potuto essere stata una traduzione dal greco339, ma non abbiamo certezze. Documento e sottoscrizioni avrebbero anche potuto essere stati redatti in origine in latino, e solo successivamente trasposti in greco (come certo accadde, viceversa, per altri atti conciliari redatti originariamente in greco)340. 335 Cessensis episcopus cit., p. 79. Anche F. Babudri annota che: «la versio latina ha cenetensis» (Il vescovato di Cissa in Istria cit., p. 46). 337 Cessensis episcopus cit., p. 79. 338 Regesta Pontificum Romanorum cit., vol. I, p. 82 (corsivo mio); cfr. anche P.B. Gams, Series Episcoporum cit., p. 783. R. Van Doren, invece, che già riteneva Vindemius presule Cissense, continua dicendo: «un de ses successeurs, Ursinus, assita au synode romain de 680» (s.v. Cissa, cit., p. 851); parimenti F. Babudri, Il vescovato di Cissa in Istria cit., pp. 45-47. 339 Cfr. Le prime notizie cit., p. 126; cfr. C. De Franceschi, Cessensis episcopus cit., p. 76. 340 Sulla decadenza culturale di Roma nel periodo, esiste la specifica testimonanza dello stesso papa Agatone (cfr. G. Pepe, Il Medioevo barbarico d’Italia cit., pp. 295 e 302). Uno studioso come H. Quentin «rileva che nella lettera in oggetto, come nelle altre dei papi Onorio, Agatone e Leone II, relative al monelitismo, sebbene il pontefice Agatone fosse originario di Palermo e quindi, se non greco, di solida cultura ellenica, il testo originale è quello latino, conosciuto come la versione di Sergio I, per il fatto che negli atti conciliari pubblicati dal Merlin e dall’Hardouin, c’è l’annotazione “Scriptus est codex temporibus domini Sergi Sanctissimi ac beatissimi papae et in patriarchio sanctae ecclesiae romane recluditur. Deo gratias. Amen”» C. De Franceschi, Cessensis episcopus cit., p. 76 che si riferisce a Henri Quentin O.S.B., Notes sur les originaux latins des lettres des papes Honorius, S. Agathon et Léon II, rélatives au monothelisme, in “Miscellanea Amelli”, Badia di Montecassino 1920. 336 87 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso Infatti «il testo greco segue l’ordine delle parole del testo latino e questo, secondo l’uso invalso nella seconda metà del secolo VII, ha le frasi con finale metrico. Se il testo latino fosse una traduzione di quello greco, si sarebbe dovuto abbandonare l’ordine delle parole greche per ottenere dei finali metrici nella traduzione latina»341. C. De Franceschi ha tuttavia sostenuto che avrebbe poca importanze stabilire se il testo della lettera di papa Agatone fosse stato redatto originariamente in greco o in latino, in quanto, almeno le firme sarebbero senz’altro state «apposte in lingua greca al testo greco inviato a Costantinopoli, e come tali sono molto più precise e complete della relativa traduzione in calce al testo latino, eseguita in un secondo momento da persone meno esatte e meno preparate»342. Lujo Margetič rileva comunque «che la radice è Ken- ...ovviamente il latino Cen-», e che è molto più probabile che K™nsoy si riferisca a Ceneta che a Cissa, tanto più che un tau, t, può nella trascrizione essere facilmente scambiata per un sigma, s, ed immagina infine opportunamente un passaggio esemplificabile come: Ken™toy →Kentoy →K™nsoy343. La poco chiara espressione K™nsoy (=kénsou), con la citata correzione marginale Ken™toy, andrebbe quindi intesa come la malaccorta resa di una abbreviazione, tipo Cen.sis: mi è difficile immaginare altre forme di abbreviazione, dal citato Ken™toy (=kenétou) all’ancora più grossolano Kenet™nsoy (=keneténsou)344. E comunque, se ipotizziamo una primitiva stesura in greco, come avrebbe potuto trasformarsi il rozzo K™nsoy nel Cenetensis che ci è stato tràdito? Si tratta di una modalità decisamente analoga a quella sopra evidenziata per dar una ragione al Cessensis della Sinodo di Grado. Non ci resta che prendere atto di una sorta di ‘congiura degli amanuensi’ che avrebbero inconsapevolmente lavorato contro la trasmissione corretta del termine Cenetensis, tanto nel caso del 579 (vescovo Vindemius), quanto nel caso del 680 (vescovo Ursinus). Come si è detto in precedenza, la vicenda della davvero incredibile perdita totale dei riferimenti epigrafici e documentali relativi alla denominazione di Ceneda, dall’età romana al VII secolo, non può che essere fatta risalire a una straordinaria serie di casualità o comunque ad analoghe involontarie omissioni, corruzioni e cancellazioni, anche se è stato indagato l’interesse che da parte di 341 Henri Quentin, op. cit., sintetizzato da C. De Franceschi, Cessensis episcopus cit., p. 76. Cessensis episcopus cit., pp. 76-77. 343 Le prime notizie cit., p. 127. 344 Quando C. De Franceschi (Cessensis episcopus cit., p. 79) segnala, ad esempio, la piena corrispondenza tra Sen™nsoy e Senensis, trascura di dare una valida ragione perché Cissensis avrebbe dovuto corrispondere a Ken™nsoy/K™nsoy perdendo sistematicamente il suono ‘i’, non solo negli esiti greci, ma anche, e soprattutto in quelli latini. 342 88 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso Grado e di Venezia (come, d’altro canto, da parte di Aquileia e della sua diocesi suffraganea di Ceneda) ci sarebbe stato nel falsificare i dati di una situazione anteriore345. In ogni caso, per gli anni attorno al 680, come ha scritto autorevolmente G.B. Bognetti, almeno da Padova si ricorreva, ad esempio, all’ordinario di Treviso per l’esercizio di quelle funzioni per le quali il vescovo è indispensabile (come accadeva a Siena rispetto ad Arezzo) e «questa è anche l’indicazione che proverrebbe da carta spuria, ma, nella realtà non del tutto infondata, pel vescovado di Ceneda»346. § 10. Reminiscenze poetiche sulla Ceneda tardoantica e sul suo territorio [esame delle fonti su Ceneda nn. 1 e 7] Si devono esaminare, a questo punto, le due citazioni di Ceneta non ancora direttamente trattate, la prima cronologicamente molto prossima ai fatti degli anni ’50 e ’60 del VI secolo, la seconda (che generalmente mi risulta trascurata) appartenente ad un autore contemporaneo a Paolo Diacono. Si tratta, in entrambi i casi, di testi poetici, e in entrambi i casi di riferimenti paesaggistici che non aggiungono nulla a quanto già sapevamo. Venanzio Fortunato, ripercorse a ritroso, nella Vita di San Martino347, scritta tra 569 e 576, un viaggio immaginario ed emozionale rispetto a quello reale, intrapreso qualche anno prima con motivazioni complesse, politiche e diplomatiche (e forse solo apparentemente religiose) lasciando Ravenna per la Gallia (anni 564565348: in questo celebre e suggestivo testo, Venanzio menziona Ceneta, località che 345 G.B. Bognetti, La continuità delle sedi episcopali cit., pp. 317-318. Ancora G.B. Bognetti, La continuità delle sedi episcopali cit., p. 325 (corsivo mio). 347 Il testo di Venanzio Fortunato, Vita Sancti Martini, IV 656-671, di seguito riprodotto, è quello della più recente edizione: S. Quesnel (éd.), Venance Fortunat, Œuvres, Tome IV, Vie de Saint Martin, Paris 1996, pp. 99-100 (note di commento ibid., pp. 170-171); si consulti anche, con qualche piccola differenza testuale, l’ed. F. Leo, in MGH AA, Berolini 1881, IV, 1 pp. 368-369. 348 Cfr. PLRE III-A, s.v. Fortunatus 2 (Venantius Honorius Clementianus Fortunatus), pp. 491-492; cfr. anche R. Heuberger, Rätien, cit., pp. 40-41. Sulle date cfr. S. Quesnel (éd.), Venance Fortunat, Œuvres, t. IV, cit., Introduction, p. vii (partenza nell’anno 565; cfr. anche e M. Schuster, s.v. Venantius Fortunatus cit., c. 678); p. xiii (composizione della Vita Martini tra 569 e 576); cfr. anche M. Pavan Venanzio Fortunato tra Venetia, Danubio e Gallia cit., p. 18 («la data della partenza... si pone...tra l’autunno del 563 e la primavera 564»); p. 19 (composizione «comunque prima del 576, anno di morte del vescovo di Parigi Germano che nel poema figura ancora vivo»). Sul viaggio di Venanzio e sulle sue effettive ragioni, comprese quelle di natura politica, cfr. J. Šašel, Il viaggio di Venanzio Fortunato cit., pp. 359-375 e G. Rosada, Il “viaggio” di Venanzio Fortunato cit., pp. 43 ss.; M. Rouche, Autocensure et Diplomatie chez Fortunat a propos de l’Elegie sur Galeswinthe, ibid., p. 157 («Fortunat se révèle...comme l’homme des fidélités silencieuses. Mais de plus, il est aussi un remarquable agent politique au service de la Romanité et de Byzance. Jusqu’ici, on croyait qu’il avait 346 89 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso ben conosceva, essendo considerato originario di una località assai vicina, l’odierna Valdobbiadene, se non di Ceneda stessa349. Egli si limita tuttavia ad un semplice cenno nel corso della sua celebre descrizione della geografia della Venetia orientale, dettagliata, accorata e carica di nostalgia, ma senza concedere alcun particolare degno di attenzione sulle caratteristiche della struttura urbana e difensiva del castrum, limitandosi a ricordarne nel contesto, per quel che a noi rimane, la posizione orografica elevata350. Comunque il passo venanziano pur nella lamentata sinteticità, sembra attestare che Ceneda era un centro di una certa rilevanza, dove si trovava, inoltre, una comunità cristiana già organizzata attorno ad un luogo di culto351: 60 Hinc Venetum saltus campestria perge per arva, submontana quidem castella per ardua tendens, aut Aquiliensem si forte accesseris urbem, Cantianos Domini nimium venereris amicos ac Fortunati benedictam martyris urnam Da qui [dopo Forum Iulii e il Tagliamento] attraversi il territorio e le fertili terre venete, seguendo la strada degli 352 alti castelli della pedemontana , o se magari giungerai alla città di Aquileia, avrai l’occasione di venerare assai i 353 [martiri] Canziani amici del Signore e di onorare l’urna 354 benedetta del martire Fortunato quitté l’Italie pour échapper aux autorités byzantines, à cause de son acceptation des Trois Chapitres et qu’il aurait choisi Sigebert comme hôte parce qu’il croyait que la Venétie resterait franque. En réalité... Fortunat, formé pour une carriere civile, fut envoyé, comme Martin de Braga, par Ravenne et Byzance, pour soutenir une politique pro-byzantine en Occident»). Sull’attività letteraria (e sui suoi aspetti politico-religiosi) cfr. anche E. Stein, Bas-Empire cit., «Excursus T», pp. 832-834. 349 Cfr. anche M. Manitius, Geschichte der Lateinischen Literatur des Mittelalters, München 1911, I, pp. 172-173; N. Faldon (Le origini del cristianesimo nel territorio cit., p. 37) sostiene che Venanzio sarebbe nato piuttosto nella «Vallata di Ceneda, alle due Playae di Serravalle». 350 La definizione isidoriana di castrum è infatti oppidum loco altissimo situm (Etym., XV 2, 13). 351 Come scrive G. Cuscito, Testimonianze archeologiche monumentali cit., pp. 101-102. 352 La strada che porta à rebours Venanzio Fortunato nelle sue patrie terre amiche passa da Ragogna e dal corso del Tagliamento e, per attagliarsi al verso per submontana castella etc., si sarebbe articolata, secondo quanto ha proposto G. Rosada, «all’incirca tra Pinzano, Castelnuovo, Spilimbergo, Toppo, Meduno, Maniago, Montereale Valcellina, Aviano, Polcenigo, Caneva» (Il “viaggio” di Venanzio Fortunato cit., p. 38); cfr. anche G. Arnosti,“Per Cenetam gradiens”. Appunti sulle vie della romanizzazione con riferimento all’Antico Cenedese, «Il Flaminio» 9, 1996, p. 100. 353 Cfr. G. Cuscito, Economia e Società, in AA.VV., Da Aquileia a Venezia. Una mediazione tra l’Europa e l’Oriente dal II secolo a.C. al VI secolo d.C., Milano (1980) 19862, pp. 658-659; S. Tramontin, Origini del Cristianesimo nel Veneto cit., p. 120, n. 110; G. Rosada, Il “viaggio” di Venanzio Fortunato cit., p. 46. 354 Cfr. G. Cuscito, Economia e Società cit., pp. 658-659. 90 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso 65 70 pontificemque pium Paulum cupienter adora, qui me primaevis converti optabat ab annis. Si petis illud iter qua se Concordia cingit, Augustinus adest pretiosus Basiliusque. Qua mea Tarvisius residet, si molliter intras, inlustrem socium Felicem, quaeso, require cui mecum lumen Martinus reddidit olim. 356 Per Cenitam gradiens et amicos Duplavenenses, qua natale solum est mihi sanguine, sede parentum, prolis 6origo patrum, frater, soror, ordo nepotum quos colo corde fide, breviter, peto, redde salutem e il pio vescovo Paolo [=Paolino], colui che desiderava fin dalla mia giovinezza vedermi convertito. Se prendi la strada che tocca Concordia, avrai modo di vedere l’insosti355 tuibile Agostino e Basilio . Se ti fermi con calma nella mia Treviso, cerca, ti prego, il mio insigne amico Felice, al quale [San] 357 Martino un tempo restituì la vista così come fece con me 358 Attraversando Ceneda e i miei amici di Valdobbiadene , ti troverai nella terra d’origine, mia, dei miei genitori e di tutta la mia famiglia, dove risiedono mio fratello, mia sorella e la schiera dei miei nipoti: ti prego allora [si 359 rivolge al libretto dei suoi stessi versi ] di fare una breve sosta e di recar a tutti loro, che amo e a cui un vincolo mi 360 unisce, il mio saluto Il mero accenno a Ceneda di Venanzio Fortunato è pressoché contemporaneo allo spunto più corposo di Agazia, di cui ho avuto modo di discutere: è curioso che 355 Sant’Agostino e San Basilio? Ma forse un Augustinus o Augustus sarebbe stato vescovo di Concordia verso la fine del VI secolo (cfr. S. Tramontin, Origini del Cristianesimo nel Veneto cit., p. 120, n. 112). 356 Segnalo a questo proposito che nell’edizione F. Leo cit., p. 369, al v. 668, era stata preferita la lezione Cenetam nonostante nell’apparato critico fosse indicato che i codici recavano concordemente Cenitam ovvero Cinitam). Cfr. S. Tramontin, Le origini del Cristianesimo a Treviso, in E. Brunetta (cur.), Storia di Treviso. I. Le origini, Venezia 1989, p. 321. 357 Cfr. anche E. Stein, Bas-Empire cit., pp. 834, n. 1 e S. Tramontin, Origini del Cristianesimo nel Veneto cit., p. 120, n. 113; cfr. anche J. Šašel, Il viaggio di Venanzio Fortunato cit., pp. 361-362. 358 Tra Caneva e Cavolano avrebbe dovuto esservi lo snodo che consentiva di raggiungere Ceneda, portarsi nel Quartier del Piave e, dopo Susonnia, l’attuale Susegana, risalire fino a Duplabilis (uso, nel tradurre, forse impropriamente, la denominazione attuale, Valdobbiadene; cfr. M. Schuster, s.v. Venantius Fortunatus cit., c. 677; A. Zamboni, Toponomastica e storia religiosa cit., p. 47); cfr. anche G. Rosada, Il “viaggio” di Venanzio Fortunato cit., p. 39. 359 Questo appare un motivo poetico che risale ad Ovidio (vd. Tristia III, 1, ed. Wheeler, p. 100): si tratta del classico ‘colloquio con il libro’ dell’esule impossibilitato a tornare in patria; cfr. F. Della Corte, Venanzio Fortunato, il poeta dei fiumi cit., pp. 138. 360 La traduzione libera del latino venanziano è mia. Altre traduzioni italiane di questi versi, si trovano in S. Tramontin, Origini del Cristianesimo nel Veneto cit., pp. 119-120; Id., Le origini del Cristianesimo a Treviso cit., p. 343, n. 81; in V. Peri, Chiesa e cultura religiosa, in AA.VV., Storia della Cultura Veneta cit., p. 175; e in G. Rosada Il “viaggio” di Venanzio Fortunato cit., pp. 27-28 (a cura di F. Rizzetto). 91 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso entrambi questi autori fossero poeti361 e, per di più (pur essendo agli antipodi l’uno dall’altro), fossero così interessati alla cultura ed alla società dei Franchi. Il riferimento di Paolo Diacono ai versi di Venanzio, ove si nomina il castrum di Ceneda, presenta un pendant di pura descrizione paesaggistica in un carme di Paolino, vescovo di Aquileia contemporaneo dello stesso Paolo Diacono362, e formatisi nello stesso ambiente scolastico-episcopale363. Egli ebbe modo di accennare all’area cenedese nel contesto di narrazione idealmente odeporica, riadattata alle circostanze ed alle modalità con cui compose i Versus Paulini de Herico Duce, nell’anno 799, anche qui senza particolari indicazioni che aiutino a definire precisamente la realtà del tempo, salvo per quanto concerne la sua generica collocazione a guardia di una catena montagnosa (iuga Cenetensium)364. Trascrivo le prime tre strofe dei Versus: 1. Mecum Timavi saxa novem flumina 365 flete per novem fontes redundantia , quae salsa gluttit unda ponti Ionici, piangete con me, o rocce del Timavo, e tutti e nove i fiumi che da nove fonti riversanti inghiottono le onde salate del mar Ionio: 361 L’opera poetica di Agazia è pubblicata, oltre che in varie edizioni della c.d. Antologia Palatina, anche specif. da G. Viansino, Agazia Scolastico. Epigrammi, Milano 1967. 362 Su questo presule aquileiense, nato probabilmente nel 726 ed in carica tra 787 e 802, cfr. M. Manitius, Geschichte der Lateinischen Literatur, cit., I, pp. 368-370; J. Reviron, s.v. Paulin d’Aquilée, in Dictionnaire de Théologie Catholique, tome XII, 1 (1933), cc. 62-67; V. Peri, Chiesa e cultura cit., pp. 192 ss.; 208 ss.; C.G. Mor, La Cultura Veneta cit., spec. pp. 230-237; The Oxford Dictionary of the Christian Church, Oxford 19782, repr. 1988, p. 1054 (Paulinus, St.). Si tratta di un omonimo, tanto nel nome quanto nella carica ecclesiastica, del presule citato in uno dei versi sopra riportati di Venanzio Fortunato (Vita Sancti Martini, IV 661: pontificemque pium Paulum), vescovo di Aquileia, tra 558 e 561, seguace dello scisma tricapitolino, che nel 569 fuggirà a Grado a causa dell’invasione Longobarda (ed ivi, più tardi, morirà); su di lui cfr. Paul. Diac. Hist. Lang. II 10, p. 88; Th. Hodgkin, Italy and her Invaders cit., V, p. 458 e A. Lippold, s.v. Narses cit., cc. 886-887. 363 Cfr. C.G. Mor, La Cultura cit., pp. 231 ss. 364 Paulinus Aquileiensis, Carmina II 1-3 (Versus Paulini de Herico Duce, pp. 131-133), in MGH PLAeK, rec. E. Dümmer, Berolini 1881, I, p. 131 (tutti i Carmina di Paolino sono pubblicati ibid., pp. 123148; del Liber Exortationis dello stesso Paolino è in corso un’edizione critica a cura di A. De Nicola; cfr. in «AttiMemIstria» n.s. XLIX, 2001, pp. 187-213, in progress). La traduzione libera e necessariamente approssimativa delle prime tre strofe della composizione di Paolino è mia. Ignoro se esistano traduzioni italiane o in altre lingue moderne di tali versi. Non ho inteso approfondire, sul piano geografico, la descrizione di Paolino, che fa riferimento a località o siti di non sempre agevole individuazione; tanto meno ho inteso approfondire i legami tra il defunto dux Hericus e dette localizzazioni, tanto friulane che altrove dislocate. Sul ‘planctus’ per la morte del duca, cfr. C.G. Mor, La Cultura Veneta cit., p. 236. 365 I primi due versi della prima strofa hanno probabilmente un sapore virgiliano e ricordano, in effetti, i saxa Timavi di Ecl. 8, 6 (ed. Goold, p. 74) ed Aen. 1, 244-245 (et fontem superare Timavi, | unde per ora novem vasto cum murmure montis; ed. Goelzer, p. 15); cfr. per questo anche C. Voltan, Le fonti letterarie per la storia della Venetia et Histria I. Da Omero a Strabone, «MIV» 42, 1989, risp. pp. 188 e 196. Sul Timavo cfr. H. Philipp, s.v. Timavus, RE VI A.1 (1936), cc. 1242-1246. 92 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso 366 367 Istris Sausque , Tissa, Culpa, Marua, 368 369 370 Natissa , Corca , gurgites Isontii . . 2. Hericum mihi dulce nomen plangite, 2 Sirmium, Pola, tellus Aquileiae, 371 Iulii Forus, Cormonis ruralia , 372 Piangete con me Herico, dolce nome, città di Sirmio, Pola, contrade di Aquileia, Forum Iulii (Cividale), campagne di Cormons, 373 rupi di Osoppo, contrafforti dei Cenedesi; piange la terra Abtensis e l’Albengana. 3. Nec3 tu cessare, de cuius confinio est oriundus, urbs dives Argentea, lugere multo gravique cum gemitu! civem famosum perdidisti nobile germine natum claroque de sanguine. E non smettere di piangere con abbondante e doloroso gemito, o ricca città Argentea, 375 dai cui dintorni era originario , hai perduto un cittadino famoso, nato da nobile ceppo di celebre sangue. rupes Osopi , iuga Cenetensium , 374 Abtensis humus ploret et Albenganus . . Istro e Saus, Tissa, Culpa, Marua, Natisone, Corca, gorghi dell’Isonzo. 366 Non credo che sia il Danubio: Paolino si riferisce evidentemente a corsi d’acqua più vicini alla sua zona. Vd. però Plin. Naturalis Historia III, 127: a flumine Histro in Hadriam effluente e Danuvio amne eodemque Histro exadversum Padi Fauces (citando Cornelio Nepote, Plinio parlava di una fiume, Hister, che defluisce dal corso del Danubio, dà il nome alla penisola istriana e si getta nell’Adriatico di fronte al Po). Negli Scholia Vergiliana Bernensia (ad Georg. III 475) si legge che i ‘campi del Timavo’ si trovano sull’Istro (in Istro sunt). Per queste due fonti rinvio a C. Voltan, Le fonti letterarie cit., risp. pp. 176-177 e 228-229. 367 Se non fosse la Sava, potremmo pensare ad un piccolo fiume chiamato Alsa (o Aussa) che sbocca poco più a est del Natisone. Cfr. H. Philipp, s.v. Natiso, RE XVI.2 (1935), cc. 1806-1810 (specificamente, ivi, la cartina). 368 La Tissa forse è il Theiss; la Culpa dovrebbe identificarsi tuttora con un fiume con questo nome; la Marua è forse il Mur (cfr. la cartina pobblicata da H. Ubl, Das Noricum Ripense und die einseitigen Beziehungen zu Norditalien cit., p. 307); per la Natissa (hod. Natisone) cfr. ancora H. Philipp, s.v. Natiso cit. cc. 1806-1810. 369 «Jetzt Gurk (slovenisch Krka)»: cfr. Patsch, s.v. Corcoras, RE IV.1 (1900), c. 1219. 370 È l’Isonzo; cfr. Fluss, s.v. Sontius, RE III A.1 (1927), cc. 996-998. 371 Hod. Cividale del Friuli (Hericus era stato dux Foroiuliensis) e hod. Cormons. 372 Sembra quasi una riminiscenza venanziana, dall’appena vista Vita Sancti Martini IV 654 (per rupes, Osope, tuas). 373 Anche qui si sente forse un rinvio venanziano (al verso citato della Vita Sancti Martini IV 668: per Cenitam gradiens, introdotto dal riferimento ai submontana castella). L’apparato all’edizione paoliniana, p. 131, a 2, 4, reca anche l’ennesima variante dei codici su Ceneda: Cetenensium. 374 Che si tratti di Asti e di Albenga? Resta oscuro il rapporto con le altre località e gli altri siti citati. 375 Argentea urbs è l’attuale Strasburgo (cfr. anche l’indice dell’ed. paoliniana, p. 640): infatti il duca Erico, originario di quella città, era stato preposto al Friuli tra il 791 e il 799, dopo aver vissuto in precedenza alcuni anni alla corte di Carlo Magno ed avervi conosciuto e frequentato Paolino, allora magister artis grammaticae presso la medesima corte (cfr. N. Roman, Notizie intorno al Castello Patriarcale di Sacile (sec. X-XV), in in «Atti del 3° Convegno. Castelli tra Piave e Livenza» cit., spec. pp. 95-96). 93 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso Abbreviazioni ed espressioni particolari: a., aa. anno (annum), anni (anni, annos) «AAAd» «Antichità Altoadriatiche» – Udine AA.VV. autori vari a.C. avanti Cristo A.D. anno domini «Aevum» «Aevum» – Rassegna di scienze storiche, linguistiche e filologiche – Milano agg. aggettivo «AIV» «Atti dell’Istituto Veneto» – Venezia al. alii (altri) apud presso «ArchMKge» «Archiv für mittelrheinischen Kirchengeschichte» «ArchMur» «Archivio Muratoriano» – Studi e ricerche in servizio della Nuova Edizione dei Rerum Italicarum Scriptores – Bologna «ArchStBFC» «Archivio Storico di Belluno Feltre Cadore» – Belluno an. anastatica «ASNP» «Annali della Scuola Normale Superiore» – Pisa «AttiMemIstria» «Atti e Memorie della Società Istriana di Archeologia e Storia Patria» austras. austrasica, austrasicae «AVen» «Archeologia Veneta» B.C. before Christ (avanti Cristo) «Byzantion» «Byzantion» – Revue internationale des études byzantines – Bruxelles «ByzSlav» «Byzantinoslavica» – Revue internationale des études byzantines – Praha c., cc. colonna, colonne ca., c. circa c.d. cosiddetto chap. chapter (capitolo) CSHB Corpus Scriptorum Historiae Byzantinae – series Bonnensis CFHB Corpus Fontium Historiae Byzantinae – series Berolinensis cfr. confronta cit. citato, citata cur., curr. curatore, curatori DBI Dizionario Biografico degli Italiani – Roma 1960-ss. d.C. dopo Cristo d. h. dass heisst (cioè) DHGE Dictionnaire d’Histoire et de Géographie Ecclésiastiques – Paris doc. documento «DOP» «Dumbarton Oaks Papers» – Washington ead. eadem (la stessa [autrice]) ed. (éd.), edd. edizione, editore (éditeur), editori ep. epp. epistola (epistula), epistole (epistulae) ex. exeunte (uscente; alla fine) fasc. fascicolo «Il Flaminio» «Il Flaminio» – Rivista di Studi della Comunità Montana delle Prealpi Trevigiane – Vittorio Veneto «FMS» «Frühmittelalterliche Stusien» Jahrbuch des Instituts für Frühmittelalterforschung der Universität Münster – Berlin fr., frr. frammento, frammenti 94 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso gen. generale «GIF» «Giornale Italiano di Filologia» – Rivista Trimestrale di Cultura – Roma «HJ» «Historisches Jahrbuch» – München hod. hodie (oggi, odierno, odierna) «HZ» «Historische Zeitschrift» – München ibid. ibidem (lo stesso [passo]) id. idem (lo stesso [autore]) in. inizio ind. indictio (indizione) infra in seguito, successivamente ingl. inglese it. italiano, italiana lett. letteralmente lib. libro Mass. Massachusetts (U.S.A.) MGH AA Monumenta Germaniae Historica. Auctores Antiquissimi MGH EE Monumenta Germaniae Historica. Epistulae MGH GPR Monumenta Germaniae Historica. Gestorum Pontificum Romanorum MGH PLAeK Monumenta Germaniae Historica. Poetae Latini Aevi Karolini MGH SS. rer. Ger. Monumenta Germaniae Historica. Scriptores rerum Germanicarum in usu Scholarum MGH SS. rer. Mer. Monumenta Germaniae Historica. Scriptores rerum Merowingicarum MGH SS. rer. Lang. Monumenta Germaniae Historica. Scriptores rerum Langobardicarum et Italicarum saec. VI-IX «MIV» «Memorie dell’Istituto Veneto – Classe di Scienze Morali, Lettere e Arti» n., nn. nota, note «NA» «Neues Archiv der Gesellschaft für ältere deutsche Geschichtskunde» «NAV» «Nuovo Archivio Veneto» – Venezia nr. numero op. opera «PBA» «Proceedings of the British Academy» – Oxford p.c. post consulatum (dopo il consolato di) PLRE Prosopogrphy of the Later Roman Empire (The) praef. praefatio (prefazione) «Prometheus» «Prometheus» – Rivista quadrimestrale di studi classici – Firenze «QGrig» «Quaderni Grigionitaliani» – Coira «QM» «Quaderni Medievali» – Bari p., pp. pagina, pagine part. particolarmente passim in più punti PG Patrologiae Cursus Completus – Series Graeca PL Patrologiae Cursus Completus – Series Latina PLRE The Prosopography of the Later Roman Empire publ., pubbl. publié, pubblicato RE Paulys Real-Encyclopädie der classischen Altertumwissenschaft curr. G.Wissowa et al. RE Supplbd. Paulys Real-Encyclopädie, Supplementband (volume di supplemento) r., rr. riga, righe 95 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso rec. recensuit/recenserunt (curò/curarono l’edizione) repr. reprint (ristampa) «RFIC» «Rivista Italiana di Filologia e Istruzione Classica» – Torino «RHEglFr» «Revue d’histoire de l’Eglise de France» risp. rispettivamente rist. ristampa «RomBarb» «Romanobarbarica» – Roma «RSBN» «Rivista di Studi Bizantini e Neoellenici» – Roma «RSBS» «Rivista di Studi Bizantini e Slavi» – Bologna «RSI» «Rivista Storica Italiana» – Napoli s., ss. seguente, seguenti «SBN» «Studi Bizantini e Neoellenici» – Roma «SdC» «Storia della Città» Rivista internaz. di storia urbana e territoriale Milano «SDHI» «Studia et Documenta Historiae et Iuris» Romae Pontific. Univ. Lateranensis sost. sostantivo spec. specialmente «Speculum» «Speculum» A Journal of Medieval Studies – Cambridge (Mass.) «SSCISAM» «Settimane di Studio del Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo» Spoleto «StudMed» «Studi Medievali» – Spoleto supra in precedenza «SV» «Studi Veneziani» – Venezia s.v., s.vv. sub voce, sub vocibus (alla voce, alle voci) t., tt. tomo, tomi tr., trad. traduzione «Traditio» «Traditio» Studies in Ancient and Medieval History, Thought and Religion – New York v., vv. verso, versi «Viator» «Viator» – Medieval and Renaissance Studies – Berkeley (California-USA) vd. vedi vol., voll. volume, volumi «ZGO» «Zeitschrift für die Geschichte des Oberrheins» «ZRG-KA» «Zeitschrift für der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte (Kanonistische Abteilung)» – Graz 96 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso Le Fonti (Autori Antichi) Additamenta ad Chronica Maiore ex Codicibus viversis, ed. Th. Mommsen, MGH AA, XI =Chronica minora II, Berlin 1894, repr. München 1981, pp. 491-494 Agathiae Myrinaei, Historiarum libri quinque, rec. R. Keydel, Berolini 1967 - CFHB (tr. ingl., Agathias, The Histories, cur. J.D. Frendo, Berlin-New York 1975); consultata anche l’edizione: Agathiae Myrinaei, Historiarum libri quinque, rec. S. Costanza, Università degli Studi di Messina, Messina 1969 Agnelli Ravennatis, Liber pontificalis, in O. Holder-Egger (ed.), Agnelli qui et Andreas Liber Pontificalis Ecclesiae Ravennatis, MGH SS. rer. Long., Hannoverae 1878, pp. 265-391 (consultata anche l’ed. Th. Mommsen, in MGH AA, IX = Chronica minora I, Berlin 1892, repr. München 1981, passim) Anastasii, Chronographia Tripertita, rec. C.De Boor, in Theophanis, Chronographia, Lipsiae 1885, II, pp. 31-446 Annales Ravennatenses, ed. O. Holder-Egger, pubbl. in appendice a Id., Untersuchungen über einige annalistische Quellen zur Geschichte des fünften und sechtsten Jahrhundert II., «NA» 1, 1876, pp. 336-368 Anonimi, Beowulf, cur. L. Koch, Torino (1987) 1992 Anonimus Ravennas, ed. J. Schnetz, in Itineraria Romana, Lipsiae 1940, II Auctarii Hauniensis Extrema, ed. Th. Mommsen, Chronica minora I, pp. 337-339 oltre all’ed. R. Cessi, in «ArchMur» 22, 1922, pp. 638-641 Auctarium Marcellini, in Chronica minora II, pp. 104-108 (è stata consultata anche la più recente edizione condotta sostanzialmente sul lavoro mommseniano, da B. Croke (cur.), The Chronicle of Marcellinus, Sydney 1995, spec. pp. 45-52, che contiene anche una traduzione inglese del testo) Auctarium Marcellini alterum, in Chronica minora II, p. 43, n. 1 (oltre alla pubblicazione in calce al Chronicon di Marcellinus Comes, in PL, ed. J.-P. Migne, Parisiis 1861, LI, cc. 946-948) Bedae Venerabilis, Chronica Maiora ed. Th. Mommsen, MGH AA, XIII = Chronica minora III, Berlin 1898, repr. München 1981, pp. 223-354 (comprende anche Chronica Minora, Inperpolationes e Auctaria) Cassiodori Senatoris, Variae, MGH AA, XII, Berolini 1894, pp. 1-385 Chronica Patriarcharum Gradensium, in MGH SS. rer. Lang., pp. 392-397 Conciliorum Oecomenicorum Decreta, ed. Istituto per le scienze religiose, Bologna 1973 Constantini Porphyrogeniti, De Administrando Imperio, ed. Gy. Moravcsik (english translation by R.J.H. Jenkins) [CFHB], Dumbarton Oaks – Center for Byzantine Studies, Washington, 1967, second impression 1985 Corippi Africani Grammatici, In Laudem Iustini Augusti minoris Libri IV, in Id., Libri qui supersunt, rec. I. Partsch, MGH AA, III, pars posterior, Berolini 1879, pp. 111-156 Corpus Iuris Civilis (rec. R. Schoell-G. Kroll), Berolini 19546, vol. II - Novellae Corpus Inscriptionum Latinarum, Berolini 1877, vol. V Danduli Andreae, Chronica per extensum descripta (aa. 46-1280 d.C.), cur. Ester Pastorello, Bologna 1938 (Rerum Italicarum Scriptores, t. XII, parte I) Epistolae Aevi Merowingi Collectae, ed. W. Gundlach, in MGH EE, Berolini 1892, t. III, pars VIII, pp. 434-468 Epistolae Arelatenses, ed. W. Gundlach, in MGH EE, t. III, pars I, pp. 1-83 Epistolae Austrasicae, ed. W. Gundlach, in MGH EE, t. III, pars III, pp. 110-153 Evagrii Scholastici, Historiae Ecclestiasticae, in PG, ed. J.-P. Migne, Parisiis 1865, LXXXVI, 2, cc. 2405-2905 97 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso Excerpta codicis Vaticani Graeci 96 (saec. XIV), in Agathiae Myrinaei, Historiarum libri quinque, rec. S. Costanza cit., passim Excerpta Sangallensia, nei Fasti Vindobonenses priores cum excerptis Sangallensibus, in Chronica minora I, pp. 334-336 Excerpta Valesiana, ed. J. Moreau, Lipsiae 1968 Fredegarii Scholastici, Chronicarum quae dicuntur Fredegarii Scholastici Libri IV cum continuationibus, ed. B. Krusch in MGH SS. rer. Mer., II, Hannoverae 1888, pp. 1-193 Georgii Cedreni, Historiarum Compendium, ed. I. Bekker [CSHB], Bonnae 1838-1839 Gregorii I Papae, Registrum Epistolatum, ed. P. Ewald-L.M. Hartmann, in MGH EE, Berolini 1841, t. I (libri I-VII) Gregorii Turonensis, Hisoria Francorum, ed. M. Oldoni, Fondazione Lorenzo Valla, Milano 1981 voll. I-II; è stata vista anche: B. Krusch (cur.), Gregorii Episcopi Turonensis, Hisoriarum Libri X, MGH SS. rer. Mer. t. I, pars I, fasc. I-II-III, editio altera, Hannoverae (unveränderter Nachdruck) 1993 Hieronymi (Sancti Eusebii Hieronymi), Epistulae, rec. I. Hilberg, Vindobonae-Lipsiae 1910, pars I (Epp. I-LXX) Historia Langobardorum Codicis Gothani, ed. G. Waitz, in MGH SS. rer. Lang., pp. 7-11 Ioannis Malalae, Chronographia, rec. I. Thurin, [CFHB], Berolini et Novi Eboraci 2000; si citano contestualmente le pagine della classica ed. L. Dindorf [CSHB], Bonnae 1831 Iohannis Abbatis Monasterii Biclarensis, Chronica, in Chronica minora II, pp. 207-220 Iohannis Diaconi, Istoria Veneticorum, ed. e tr. it. L.A. Berto, Bologna 1999 Iohannis Lydi, De Magistratibus populi Romani libri tres, ed. R. Wünsch, Lipsiae 1903 Ionae, Vita Iohannis Abbatis Reomarensis, ed. B. Krusch, in MGH SS. rer. Mer., Hannoverae 1888, III, pp. 502-517 Iordanis, Romana et Getica, ed. Th. Mommsen, MGH AA, V.1, Berlin 1882, repr. München 1982 Isidori Hispalensis, Etymologiae, ed. W.W. Lindsay, Oxford 1911 Isidoris Iunioris episcopi Hispalensis, Chronica Maiora, in Chronica minora II, pp. 391-506 (comprende anche la Chronicarum Epitome e gli Auctaria) Liber Pontificalis, texte, introduction et commentaire par L. Duchesne, Paris (1886, poi emendata 19552=) 1981, pubblicata su tre tomi, di cui uno di indici e integrazioni; consultata anche l’edizione: Libri Pontificalis pars prior, in MGH GPR, cur. Th. Mommsen, Berolini 1898, in part. il vol. I Marcellini Comitis, Chronicon (vd. Auctarium Marcellini) Marii Aventicensis, Chronica ad a. 538, in Chronica minora II, pp. 225-239 Maximiani, Elegiae, ed. T. Agozzino, Bologna 1970 Menae patricii cum Thoma referendario, De Scientia Politica Dialogus, ed. C.M. Mazzucchi, Milano 1982 Menandri Protectoris, Fragmenta, in C. Müller, ed., Fragmenta Historicorum Graecorum, Parisiis 1851, vol. IV, pp. 200-269; e la nuova ed. di R.C. Blockley, The History of Menander the Guardsman, Liverpool 1985 Michaelis Pselli, Chronographia, ed. S. Impellizzeri, Fondazione Lorenzo Valla, Milano 19973 (commento U. Criscuolo e tr. it. S. Ronchey) Notitia Dignitatum utriusque Imperii, Pars Occidentis, ed. O. Seeck, Berlin 1876 Origo Gentis Langobardorum, ed. G. Waitz, in MGH SS. rer. Lang., pp. 1-6 Ovidii Nasonis, Tristia, ed. A. Leslie Wheeler, Ovid, Tristia – Ex Ponto, London-Cambridge (Mass.) 1965 98 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso Pauli Diaconi, Historia Romana, ed. H. Droysen, MGH SS. rer. Ger., Berlin 1879, repr. München 1978 (è stata consultata anche l’ed. A. Crivellucci, Pauli Diaconi, Historia Romana, Roma 1914) ——— Historia Langobardorum, ed. Lidia Capo, Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Fondazione Lorenzo Valla, Milano 19953 (sono state utilizzate anche le edd.: L. Bethmann-G. Waitz, Pauli, Historia Langobardorum, in MGH SS. rer. Lang., Hannoverae 1878 e A. Zanella, Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Milano 19932) Pauli Silentiarii, =Ekfrasiq to† nao† t∂q \Agºaq Sofºaq, in P. Friedländer (erklärt von), Johannes von Gaza und Paulus Silentiarius. Kunstbeschreibugen Justinianischer Zeit, Leipzig und Berlin 1912, pp. 225-256; 267-297 Paulini Aquileiensis, Carmina, rec. E. Dümmer, in MGH PLAeK, Berolini 1881, I, pp. 123-148 Paulini Petricordiae, De vita Sancti Martini Episcopi Libri VI, in M. Petschenig (ed.), Paulini Petricordiae, Quae supersunt, CSEL 16.1, Vienna 1888, pp. 16-159 C. Plinii Secundi, Naturalis Historiae Libri XXXVII, ed. C. Mayhoff, Stutgardiae (1906=) 1967 vol. I (Libri I-VI) Procopii Caesarensis, Bellum Gothicum, in J. Haury-G. Wirth (edd.), Procopii Caesarensis Opera Omnia - De Bellis, Lipsiae 1962-1963, voll. I-II (ed. e trad. it. e cur. M. Craveri, Torino 1977, pp. 435-766) ——— Historia quae dicitur Arcana, in J. Haury-G. Wirth (edd.), Procopii Caesarensis Opera Omnia, Lipsiae 1963, vol. III (trad. it. e cur. F.M. Pontani, Roma 1972) ——— de aedificiis libri VI, in J. Haury-G. Wirth (edd.), Procopii Caesarensis Opera Omnia, Lipsiae 1964, vol. IV Sacrorum Conciliorum Nova et Amplissima Collectio (cur. J.D. Mansi), Florentiae 1743 (t. IX); 1745 (t. XI) Salviani Presbyteri Massiliensis, De gubernatione Dei libri VIII, in Id., Libri qui supersunt, rec. C. Halm, MGH AA, I, pars I, Berolini 1877, pp. 1-108 Sidonii Apollinaris, Carmina et Epistulae, ed. W.B. Andreson, Sidonius, Poems and Letters, Cambridgre (Mass.)-London 1963 (vol. I); 1965 (vol. II) Strabonis, Geographica, ed. F. Sbordone, Romae 1970, vol. II (libri III-V), riprodotta nell’ed. e trad. it. di A.M. Biraschi, Strabone, Geografia – L’Italia – Libri V-VI, Milano 20004 Suidae Lexicon, ed. Ada Adler, Leipzig 1928, rist. Stuttgart 1971, voll. I-IV Theophanis, Chronographia, rec. C.De Boor, Lipsiae 1883-85, voll. I-II (si citano contestualmente le pagine dell’ed. Bonnense, 1839-41) Theophylacti Simocattae, Historiae, ed. C. De Boor, Lipsiae 1887 Vegetii, Epitoma rei militaris, rec. C. 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Powell 99 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso BIBLIOGRAFIA (Autori Moderni) I testi preceduti da una lineetta (‘–’) sono stati utilizzati direttamente per questo lavoro; i pochi preceduti da un asterisco (‘*’) sono stati citati per completezza espositiva, in quanto di essi si era inteso soltanto far memoria nelle note; la lineetta lunga (‘———’) indica il richiamo del nome dell’ultimo autore A – Agnoletti F., Treviso e le sue Pievi. Illustrazione storica nel XV centenario della istituzione del vescovato trivigiano (CCCXCVI-MDCCCXCVI), Treviso 1898, rist. an. Bologna 1978, voll. 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(cur.), Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Milano 19932 Ringraziamenti Desidero esprimere la mia gratitudine al personale della Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia e a quello della Biblioteca Comunale di Vittorio Veneto (Ceneda) per la cortese assistenza che mi hanno costantemente prestato nel corso della ricerca. Desidero altresì ringraziare le Istituzioni di seguito citate, che hanno collaborato con la massima competenza e sollecitudine reperendo e fornendomi testi, riproduzioni di saggi e articoli, senza l’apporto dei quali non sarebbe stato nemmeno pensabile questo lavoro: – Biblioteca del Dipartimento di Italianistica e Biblioteca del Dipartimento di Filologia Classica e Medievale dell’Università degli Studi di Bologna – Biblioteca della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Cagliari – Univesritätsbibliotek Erlangen-Nürnberg – Biblioteca Comunale Manfrediana di Faenza – Deutsche Bibliothek - Frankfurt am Main – Biblioteca dell’Istituto di Filologia Classica – Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Macerata – Biblioteca Estense Universitaria – Università degli Studi di Modena – Biblioteca della Scuola Normale Superiore di Pisa – Biblioteca della Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell’Università di Bologna – sede di Ravenna – Biblioteca Nazionale Universitaria – Torino Sono state complessivamente utilizzate un’ottantina di edizioni di altrettante fonti antiche tardoantiche o medievali (considerate anche più edizioni per la stessa fonte); una sessantina di volumi di storia, economia o letterarura; circa centoventi tra saggi e articoli, compresa una Tesi di laurea; più di settanta voci dai più autorevoli Dizionari, dalla RE, dalle PLRE, dai Thesauri ecc. Sono stati visitati inoltre i siti Internet di diverse Biblioteche italiane e straniere, quello dell’Istituto Centrale per il Catalogo Unico oltre al fondamentale sito per la ricerca dell’allocazione dei periodici nelle biblioteche italiane. In alcuni casi, disperati e non, il motore di ricerca Google si è rivelato di estrema e sorprendente efficienza e raffinatezza. In ogni caso l’intera responsabilità del lavoro e degli eventuali errori è, e resta, esclusivamente mia. 110 © Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte