mg franchi austrasiani - Circolo Vittoriese

Transcript

mg franchi austrasiani - Circolo Vittoriese
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
MASSIMO GUSSO
FRANCHI AUSTRASIANI NELLA VENETIA DEL VI SECOLO d.C.
Un contributo allo studio dei più antichi riferimenti al castrum di Ceneda
Premessa: le più antiche fonti su Ceneda
Fin dagli insediamenti romani tra il II sec. a.C. ed il I sec. d.C., la città o
meglio il castrum di Ceneda (dalle fonti latine e greche si ricavano diverse varianti:
Ceneda, Ceneta, Cenita e persino Cinita) dovette essere prima di tutto un modesto
insediamento fortificato posto a difesa dell’imbocco delle vie che conducevano alle
Alpi attraverso l’attuale valico del San Boldo ed il passaggio per il Lago di Santa
Croce: esso ebbe uno sviluppo prevalentemente militare, diverso quindi rispetto a
quello di altre località circonvicine, ritrovabili nelle medesime fonti geografiche,
come ad es. la statio di Susonnia (probabilmente l’odierna Susegana)1.
Una sistematica e quasi incredibile serie di perdite documentali ci ha comunque privato di tutte le testimonianze letterarie, epigrafiche e di ogni altra evidenza
documentale sulla Ceneda antecedente il VI secolo d.C.2, e pochissime menzioni
1
Cfr. Anonimo Ravennate IV, 30, ed. J. Schnetz, in Itineraria Romana, Lipsiae 1940, II, p. 254, che
tuttavia pone Susonnia tra le civitates; cfr. A.N. Rigoni, La Venetia nella cosmografia dell’Anonimo Ravennate vie di comunicazione, «AVen» 5, 1982, spec. pp. 223-224; Ead., L’ambito territoriale della Venetia
tra Altomedioevo e Medioevo nella cosmografia dell’Anonimo Ravennate, in Paolo Diacono e Guido, in La
Venetia nell’area Padano-Danubiana. Le vie di comunicazione, Atti del Convegno internazionale (Venezia,
aprile 1988), Padova 1990, pp. 137-150, part. pp. 140; 144, n. 14 e 147; cfr. anche H. Philipp, s.v. Susonnia,
RE IV A.1 (1932), c. 988: «südwestlich von Ceneta... am Plavisfluss» e A. Grilli, Il territorio d’Aquileia nei
geografi antichi, «AAAd» 15, 1979, p. 50.
2
È stato scritto, senza tuttavia fornire un riferimento documentale verificabile, che «on mentionne pour la
première fois Ceneda sous Théodose en 420» (L. Jadin, s.v. Ceneda, in DHGE, Paris 1953, XII, c.
136). Per un sintetico regesto delle scarse fonti (ma non di tutte) su Ceneda nell’antichità e nella
tarda antichità, si rinvia comunque al Thesaurus Linguae Latinae - Onomasticon, Lipsiae 1907-1914, vol.
9
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
si contano nei due secoli successivi: gli autori o i documenti che ricordano questa
località tra la seconda metà del VI e la fine dell’VIII secolo d.C. sono infatti soltanto
sette3, da collocarsi nel seguente ordine cronologico:
fonte n.
1
fonte n.
2
fonte n.
3
fonte n.
4a
fonte n.
4b
fonte n.
5
fonte n.
6
fonte n.
7
latino/poesia: sost. Cenitam, variante Cinitam, autore:
Venanzio Fortunato (tra 569 e 576)
greco/storia: sost. K™neta, autore:
Agazia di Marina (tra 570 e 580)
latino/canonistica: agg. Cenetensis (?), testo:
Atti della Sinodo di Grado, del 579
latino/canonistica: agg. Cenetensis (?), testo:
Atti Concilio Costantin. III, del 680
greco/canonistica: agg. (?) K™nsoy - Ken™toy (?), testo:
Atti Concilio Costantin. III, del 680
latino/geografia: sost. Ceneda, autore:
il c.d. Anonimo Ravennate, fine VII-inizi VIII sec.
latino/storia: agg. Cenitense, Cenetensibus, Cenetensis, autore:
Paolo Diacono, fine VIII sec.
latino/poesia: agg. Cenetensium, autore:
Paolino di Aquileia, anno 799.
II, c. 314 rr. 73-79 (s.v. Ceneta). Sostanzialmente poco utili appaiono invece Aeg. Forcellini, Totius
Latinitatis Lexicon. Onomasticon, cur. V. De Vit, Prati 1868, t. VIII, p. 207 (s.v. Ceneta); il successivo Lexicon Totius Latinitatis. Onomasticon, cur. J. Perin, Patavii 1913, t. I, p. 353 (s.v. Ceneta); C. Hülsen, s.v. Ceneta, RE III.2 (1899), c. 1899 e V. Botteon, Un documento prezioso riguardo alle origini del vescovado di
Ceneda e la serie dei vescovi cenedesi corretta e documentata. Illustrazione critico-storica, Conegliano
1907, spec. pp. 67 ss. (pieno di notizie quantomeno stravaganti, specie per il tardoantico); del tutto inutile G.
Cappelletti, Le Chiese d’Italia dalla loro origine sino ai nostri giorni, Venezia 1854, vol. X, pp. 221-222
(s.v. Ceneda). Per un approccio archeologico si possono leggere: A.N. Rigoni, Documentazione archeologica e strategie d’intervento per la ricostruzione storica di Ceneda e del suo territorio, in in «Atti del 2°
Convegno. Il sistema difensivo di Ceneda. Problemi di conoscenza, recupero e valorizzazione» (maggio
1991), Vittorio Veneto 1993, pp. 109-119; G. Arnosti, L’evoluzione delle logiche insediative e dell’organizzazione del territorio dall’epoca Romana al primo altomedioevo, ibid., pp. 29-68 e ancora Id., Appunti sul
Ducato Longobardo di Ceneda, in «Atti del 3° Convegno. Castelli tra Piave e Livenza. Problemi di
conoscenza, recupero e valorizzazione» (maggio 1994), Vittorio Veneto 1995, pp. 17-42. Per la
toponomastica cfr. D. Olivieri, Toponomastica Veneta, Venezia-Roma 1961, p. 147.
3
Sulla base della premessa cronologica conseguente all’esame delle fonti dei secoli VI-VIII, tralascio
volutamente due specifiche testimonianze epigrafiche rinvenute a Montecassino, relative due religiosi (?)
cenedesi del IX secolo, una delle quali, tuttavia potrebbe essere datata in un arco temporale «anteriore al
797-817» (cfr. G. Tomasi, La Diocesi di Ceneda. Chiese e uomini dalle origini al 1586, Vittorio Veneto
1998, I, p. 131), e quindi, in qualche modo essere concorrente con le fonti da me presentate ed esaminate: si
tratta di un Vend...o de Cenida ancario. Mi riservo eventuali altre ricerche su questo personaggio; rinvio
comunque, in ogni caso, ad A. Pantoni, Documenti epigrafici sulle presenze di settentrionali a Montecassino
nell’Alto Medioevo, «Benedictina» 1958, pp. 205-232.
10
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
Venanzio Fortunato4, gli Atti conciliari gradensi (forse malsicuri tout-court) e
quelli costantinopolitani (malsicuri tanto per la parte greca quanto per la latina), la
geografia dell’Anonimo Ravennate e Paolino di Aquileia si limitano a citare il nomen
Ceneda (o il suo aggettivo), senza le contestualizzazioni che consentirebbero qualche
approfondimento o apprezzamento. Quindi soltanto uno degli storici, il bizantino
Agazia, inquadra Ceneda in una precisa congiuntura, la vicenda bellica degli anni
553-554 d.C., consentendo a noi moderni una modesta ricostruzione e valutazione
storica: per questo cercherò di sottoporre il lavoro di Agazia, in relazione al suo
cenno a Ceneda, ad un esame meno superficiale di quello che ordinariamente gli
viene dedicato.
In quanto a Paolo Diacono, lo storico longobardo, pur accennando confusamente alla medesima vicenda bellica degli anni 553-554 d.C., non v’associa affatto
Ceneda, citando questa località (per restare nel medesimo momento storico) solo con
riferimento ai già ricordati versi di Venanzio Fortunato. In ogni caso, qualsiasi
considerazione sulla Ceneta tardoantica è e resta di carattere indiziario e congetturale,
considerata la estrema povertà degli elementi disponibili.
Per discutere le fonti sopra riportate, e parlare – in particolare – del VI secolo
di Ceneta, è indispensabile un approfondimento degli avvenimenti connessi con la
repentina comparsa dei Franchi nello scacchiere veneto, nell’intreccio della guerra
gotico-bizantina, e con l’insediamento (sia pur effimero) nell’area cenedese degli
stessi Franchi: furono essi infatti a mettere quel territorio al centro di episodi, di cui
rimane fortunosa testimonianza.
Un rammarico specifico deriva dalla percezione di come uno storico
grandissimo come Procopio (lo sa il lettore più attento) sia stato, probabilmente, ad
un passo dal citare Ceneda, e non l’abbia fatto vuoi per la modestia della località vuoi
anche per esigenze connesse all’economia della sua narrazione5.
4
Che quella di Venanzio Fortunato sia da considerarsi, in ogni caso, la prima citazione di Ceneda, era ricordato opportunamente già dal curatore del Corpus Inscriptionum Latinarum, Berolini 1877, vol. V, p.
1067, che scriveva: «Ceneta apud antiquiores auctores... non memoratur»; cfr. G. Cuscito, Testimonianze
archeologiche monumentali del Cristianesimo antico fino al secolo IX, in «Le origini del Cristianesimo tra
Piave e Livenza, da Roma a Carlo Magno», Atti del Convegno di Vittorio Veneto (24-25 ottobre 1981),
Vittorio Veneto 1983, p. 85; e A. Zamboni, Toponomastica e storia religiosa fino al IX secolo, ibid., pp. 4378. Su Venanzio e i suoi versi vd. qui, infra, § 10. Per l’unico documento artistico-archeologico cenedese
ancora conservato e che rechi un’iscrizione che consenta di datarlo (alla fine del periodo di cui alle sette fonti
sopra citate), la c.d. ‘Pace del Duca Orso’ (al Museo di Cividale), cfr. C.G. Mor, La Cultura Veneta nei
secoli VI-VIII, in Storia della Cultura Veneta 1. Dalle origini al Trecento, Vicenza 1976, pp. 226-227 e n. 39
(con rinvii).
5
Peraltro Procopio non cita mai nemmeno Opitergium (Oderzo), località che diverrà in seguito, sia pur
brevemente, piazzaforte bizantina; il grande storico non cita neppure il Piave, fiume certo non insignificante,
che infatti verrà ricordato per la prima volta da Venanzio Fortunato (cfr. A. Grilli, Il territorio d’Aquileia
cit., pp. 35 e 48; cfr. anche F. Della Corte, Venanzio Fortunato, il poeta dei fiumi, in «Venanzio Fortunato tra
Italia e Francia. Atti del Convegno internazionale di Studi (Valdobbiadene-Treviso, maggio 1990)», Treviso
1993, pp. 137-147). D’altra parte anche l’Isonzo sarà ricordato per la prima volta solo da Cassiodoro (cfr.
ancora A. Grilli, Il territorio d’Aquileia cit., p. 47).
11
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
Resta inteso che tanto Procopio quanto soprattutto Agazia (oltre che, per
cenni sparsi, anche altri storici bizantini, soprattutto Menandro, ma anche,
occasionalmente, Malala, Evagrio e Teofane) sono indispensabili per comprendere le
vicende che il territorio della Venetia, e quello Cenedese in particolare, hanno vissuto
nei terribili frangenti del VI secolo6.
§ 1. Gli inizi della guerra gotico-bizantina (536-539)
Ricordo che, ancora nel 536, buona parte dell’esercito dei Goti era stazionato
in Provenza e nel Delfinato7. Il re Vitige, all’atto dell’assunzione al trono, in quello
stesso anno, decise di ritirarsi da quella parte della Gallia, cedendola ai Franchi,
commettendo probabilmente un clamoroso errore strategico: questa rinuncia fu avvertita dai Franchi come un’aperta ammissione di debolezza da parte dei Goti,
pressati nell’Italia centro-meridionale da Belisario.
Di fatto tale decisione lasciava militarmente e politicamente sguarnite le
frontiere nordorientali del regno ostrogoto proprio nel frangente drammatico in cui i
bizantini entravano a Roma.
Si apriva la grande partita per «la sistemazione dell’area di interferenza –
dall’alto Danubio al Mediterraneo centrale – fra gli opposti poli di attrazione
rappresentati da Bisanzio e dai Franchi»8.
Nella prospettiva di trarne ogni possibile vantaggio strategico, i bizantini
avevano riflettuto assai per tempo sui travolgenti successi dei Franchi, fin da quando
essi, sotto la guida del re Clodoveo, avevano saputo distruggere il regno visigotico di
Alarico: Costantinopoli aveva lavorato perciò verso i Franchi per sfruttarne la forza
in senso antigotico.
Ma fin dagli inizi della guerra gotico-bizantina, i Franchi erano stati contattati
anche dalla diplomazia gotica così che si era creato un reticolo di accordi azzardati
che avevano finito per legarli, in modo pericolosamente ambiguo, ad entrambi i
contendenti9.
6
Devo rilevare che le pur benemerite rassegne di storia locale dedicate alla fase di trapasso tra la Ceneda
tardoantica e quella medievale, recano spesso citazioni da fonti tardoantiche latine e greco-bizantine, che,
quando non sono de relato, son proposte senza troppa cura nella scelta delle edizioni (generalmente non
aggiornate).
7
Sulla presenza dei Goti nella Gallia meridionale cfr. V. Bierbauer, Zur ostgotischen Geschichte in Italien, «StudMed» 14, 1973, pp. 2 ss.
8
G. Tabacco, L’inserimento dei Longobardi nel quadro delle dominazioni germaniche dell’Occidente, in
«Atti del VI Congresso Internazionale di Studi sull’Alto Medioevo - Longobardi e Lombardia: aspetti di
civiltà longobarda» - Milano 21-25 ottobre 1978, Spoleto 1980, t. I, p. 224.
9
Cfr. A. H. M. Jones, The Later Roman Empire 284-602. A Social, Economic, and Administrative
Survey, (Oxford 1964) Baltimore 1986, p. 276, cfr. tr. it. Il Tardo Impero Romano (284-602 d.C.),
Milano 1973-1981, p. 342. Sui successi dei Franchi di re Clodoveo contro i Visigoti (507 d.C.) cfr.
12
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
Gli equilibri geopolitici dell’area erano stati messi seriamente in discussione e
l’Italia, specie la Liguria10 e la Venetia11, erano state attaccate dagli Alamanni retici,
il protettorato sui quali, esercitato per pura formalità dai Goti, era stato da questi
trasferito ai Franchi.
Forse anche a partire da queste incursioni, di cui pare abbia sofferto anche
l’area veneta12, i Franchi, specie gli Austrasiani compresero l’opportunità strategica
di intervenire sul terreno italico, senza esporsi direttamente, ma servendosi di contingenti di popolazioni soggette.
Th. Hodgkin, Italy and her Invaders, Oxford 18962, III, p. 357; M. Christian Pfister, La Gallia sotto i
Franchi Merovingi: vicende storiche, in The Cambridge Medieval History, Cambridge 1911-1913, ed. it.
Storia del Mondo Medievale, vol. I, La Fine del Mondo Antico, Milano 1978, spec. pp. 692-693; 561; E.
Stein, Histoire du Bas-Empire. De la dispatition de l’Empire d’Occidente à la mort de Justinien (476-565),
publ. par J.-R. Palanque, Paris-Bruxelles-Amsterdam 1949, II, pp. 149-152. Clodoveo venne allora insignito
di altisonanti titoli quali ‘console onorario’ e ‘patrizio’ «by the emperor Anastasius soon after his victory»
(J.R. Martindale, The Prosopogrphy of the Later Roman Empire A.D. 395-527, Cambridge 1980, vol. 2 [poi
PLRE II], s.v. Chlodovechus (Clovis), spec. p. 290; vd. Greg. Tur. Hist. Franc. II 38, vol. I, p. 192; cfr. C.
Capizzi, L’imperatore Anastasio I (491-518). Studio sulla sua vita, la sua opera e la sua personalità, Roma
1969, pp. 167 ss.; E. James, The Franks, Oxford (UK)-Cambridge (USA) 1991, tr. it. I Franchi. Agli albori
dell’Europa. Storia e Mito, Genova 1998, pp. 70 ss.). Cfr. anche J.M. Wallace-Hadrill, The Barbarian West.
400-1000, 1957, tr. it. L’Occidente Barbarico. 400-1000, Milano 1963, pp. 100 ss.; sulle titolature attribuite
ai sovrani Franchi dagli imperatori bizantini cfr., in gen., A Gasquet, L’Empire Byzantin et la Monarchie
Franque, Paris 1888, pp. 134-158.
10
Si intende con l’antico nome di Liguria un territorio comprendente l’attuale Piemonte e la Lombardia,
sino al fiume Adda, ma non invece l’attuale Liguria (cfr. L. Cracco Ruggini, Vicende rurali nell’Italia antica
dall’età tetrarchica ai Longobardi, «RSI» 76, 1964, p. 273; A. Carile, Il Bellum Gothicum dall’Isonzo a Ravenna, «AAAd» 13, 1978, p. 157, n. 36 = A. Carile, La società venetica dalla guerra gotica fra Isonzo e Ravenna all’avvento dei Longobardi, cap. I di Id., La formazione del Ducato Veneziano, in A. Carile-G.
Fedalto, Le origini di Venezia, Bologna, 1978, p. 137, n. 36).
11
Sul problema della Venetia et Histria nel tardoantico e sui confini della regione denominata, nelle fonti,
soltanto Venetia, cfr. S. Mazzarino, Per una storia delle Venezie da Catullo al basso impero [1964 e 1970],
ora in Id., Antico, tardoantico ed èra costantiniana, II, Bari 1980, pp. 235 ss.; Id., Da Lolliano et Arbetio al
mosaico storico di S. Apollinare in Classe (Note sulla tradizione culturale di Ravenna e dell’Anonimo
Ravennate) [1965], ibid., spec. pp. 316 ss.; A.N. Rigoni, L’ambito territoriale cit., pp. 137-150.
12
Di cui abbiamo testimonianza in Cassiodoro, Var. XII 7, e XII 28, 4 (Alamannorum nuper fugata
subreptio), entrambe del 536. Cfr. R. Holtzmann, Die Italienpolitik der Merowinger und des Königs Pippin,
in Das Reich. Idee und Gestalt. Festschrift für Johannes Haller, Stuttgart 1940, rist. Darmstadt 1962, pp. 1011. Che le incursioni alamanniche toccassero anche il Veneto, nel 536-537, lo afferma Lellia Cracco Ruggini, nel suo studio Economia e Società nell’“Italia Annonaria”. Rapporti fra agricoltura e commercio dal
IV al VI secolo d.C., Milano 1961, p. 474.
13
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
Non è questa la sede per riassumere il complesso riassestamento che subì la
nazione dei Franchi dopo la morte di Clodoveo nel 511: basti dire, ad es., che tra il
534 e il 536 i patti stretti tra Goti e Franchi riguardavano ben tre sovrani merovingi,
Childeberto e Clotario (figli di Clodoveo) e Teodeberto (nipote di Clodoveo)13.
Quest’ultimo sarà detto, in questo lavoro, re di Austrasia, intendendo con
questa denominazione la parte nord orientale del regno franco, insomma il vecchio
territorio dei Franci Ripuarii (o renani), acquisita a suo tempo da suo padre
Teodorico14, con centro di riferimento Metz.
Clotario regnava invece a nord, da Soissons, nel territorio più ristretto tra la
Mosa e le Fiandre, e Childeberto da Parigi, sull’area dei Franci Salii (detti poi
Neustriani).
I confini tra i regni dei due zii e del nipote erano assai variabili, come le loro
alleanze o le reciproche ostilità e rivalità.
In ogni caso, al soccombere del regno dei Burgundi, nel 534, i tre sovrani
franchi si spartirono le sue spoglie arrivando a ridosso dell’arco alpino e mettendo
pericolosamente in gioco le difese dell’Italia settentrionale: «bien que l’existence de
cet État tampon fût de la plus grand importance pour le royaume ostrogothique, celuici n’osa pas, comme Théodoric le Grand l’avait fait plus d’une fois, aller jusqu’au
bout pour la défendre»15.
Saranno soprattutto i Franchi di Teodeberto, gli Austrasiani, i protagonisti
delle vicende principali studiate in questo lavoro.
Nel 538 l’Italia era alla vigilia di una immane tragedia: le sue città andavano
militarizzandosi con trasformazioni non solo sul piano urbanistico-strutturale, ma
anche su quello del senso comune dei loro abitanti; comparivano prodigi, miracoli,
taumaturgi16. Inoltre alcuni recenti atti inconsulti compiuti dai Goti avevano loro
13
Cfr. A Gasquet, L’Empire cit., pp. 159-162; PLRE II, s.v. Childebertus, pp. 284-285; s.v. Chlotacharius, pp. 291-292; E. James, I Franchi cit., pp. 82 ss.; A. Nagl, s.v. Theodebert I, RE V. A.2 (1934), cc.
1715-1721; J.R. Martindale, The Prosopography of the Later Roman Empire A.D. 527-641, Cambridge
1992, vol. 3 [poi PLRE III], s.v. Theodebertus I, III-B, pp. 1228-1230 e soprattutto F. Beisel, Theudebertus
Magnus rex Francorum. Persönlichkeit und Zeit, Idstein 1993.
14
Cfr. PLRE II, s.v. Theodoricus 6, pp. 1076-1077; E. James, I Franchi cit., pp. 78 ss.
15
E. Stein, Bas-Empire cit., p. 332; cfr. anche G. Löhlein, Die Alpen- und Italienpolitik der Merowinger
im VI. Jahrhundert, Erlangen 1932, pp. 3-4; B. Saitta, La Civilitas di Teoderico. Rigore amministrativo,
“tolleranza” religiosa e recupero dell’antico nell’Italia ostrogota, Roma 1993, pp. 46 ss.
16
Cfr. Alba Maria Orselli, Santi e Città. Santi e Demoni urbani tra Tardoantico e Alto Medioevo,
SSCISAM 36 (1988), Spoleto 1989, pp. 783-830.
14
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
alienato la simpatia della maggior parte dell’aristocrazia romana che lavorava oramai
per gli imperiali direttamente o indirettamente17.
La guerra gotico-bizantina era intanto in una fase delicata: con una fulminea
marcia oltre il Po, Belisario aveva in precedenza occupato Milano, Bergamo, Como,
Novara e molte importanti altre città della Liguria, eccetto Ticinum (Pavia): allora
«the Franks, having accepted the offers of both sides, waited for a favourable
opportunity to intervene in their own interests»18.
Il re d’Austrasia, Teodeberto, nonostante avesse dato assicurazione ai bizantini di voler cooperare militarmente con loro, «was ambitious and treacherous»19, e
perseguiva una «policy of playing fast and loose between the two belligerents»20. Pertanto, nella primavera del 538, egli decise spregiudicatamente «to intervene on the
Gothic side without breaking his treaty with Justinian by sending 10,000 Burgundian
‘volunteers’ to Liguria»21: «Teodeberto... inviò diecimila uomini come alleati [dei
Goti], che non erano di nazionalità franca, ma Burgundi, per non far vedere che
interferiva negli interessi dell’imperatore: perciò, all’apparenza i Burgundi compivano la spedizione di propria volontà e di propria iniziativa e non ubbidendo a un
ordine di Teodeberto»22.
17
In quello stesso 538 anche il più deciso ed autorevole esponente e propugnatore della collaborazione
con i Goti, Cassiodoro, si trovava forse a Costantinopoli ed era impossibilitato a tessere l’ennesima
mediazione (cfr. O. Bertolini, Roma di fronte a Bisanzio e ai Longobardi, Bologna 1941, pp. 154 ss.); non
conosciamo tuttavia esattamente i movimenti di Cassiodoro, ritiratosi dalla politica nel 537 (cfr. A.
Momigliano, s.v. Cassiodoro, in DBI, Roma 1978, vol. XXI, p. 496 e vd. qui, infra, nota 44).
18
Cfr. A.H.M. Jones, The Later Roman Empire cit., p. 276, tr. it., pp. 342-343.
19
J.B. Bury, History of the Later Roman Empire from the Death of Theodosius I to the Death of Justinian, (London 1923) New York 1958, II, p. 203. Sulla personalità di questo sovrano cfr. anche M. Christian
Pfister, La Gallia sotto i Franchi Merovingi cit., spec. pp. 696 ss.; A. Nagl, s.v. Theodebert I cit., cc. 17151721; PLRE III, s.v. Theodebertus I cit., pp. 1228-1230; U. Nonn, s.v. Theudebert, in Lexikon des Mittelalters, München 1997, VIII, cc. 685-686.
20
J.B. Bury, History cit., II, p. 203. Così inquadra F. Beisel le aspettative di Teodeberto: «ein
byzantinisches Oberitalien oder ein ostgotisches? Vor einer derartigen Fragestellung muß Theudebert im
Frühjahr 538 gestanden haben, und seine definitive Antwort lautete offenbar salomonisch: ein mir
unterstehendes!» (Theudebertus Magnus cit., p. 65).
21
A.H.M. Jones, The Later Roman Empire cit., p. 276, tr. it., p. 343; cfr. anche Th. Hodgkin, Italy and
2
her Invaders, Oxford 1916 , V, pp. 10-11; F. Gabotto, Storia dell’Italia Occidentale nel Medio Evo (3951313) Libro I. I Barbari nell’Italia Occidentale, Pinerolo 1911, tomo II, p. 513; G. Löhlein, Die Alpen- und
Italienpolitik cit., pp. 32-33; H. Pirenne, Mahomet et Charlemagne, Bruxelles 1937, tr. it. Maometto e
Carlomagno, Roma-Bari 19764, p. 180; E. Stein, Bas-Empire cit., pp. 354-355.
22
Procop., Bell. Goth. II 12, 38, p. 205 (tr. it., p. 510; generalmente seguo questa traduzione del lavoro di
Procopio, senza rinunciare a qualche occasionale integrazione o correzione). Cfr. H. Büttner, Die
Alpenpolitik der Franken im 6. und 7. Jahrhundert, «HJ» 79, 1959, p. 65; F. Beisel, Theudebertus Magnus
cit., pp. 65 ss.
15
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
Anche grazie all’aiuto di queste forze fresche, i Goti posero tra l’altro
l’assedio a Milano23 che fu infatti ripresa nel marzo 539 e saccheggiata dopo
un’orrendo massacro24, senza che da parte bizantina si portasse soccorso, per tempo,
alla città a causa del dissidio tra Belisario e Narsete, che portò al richiamo di quest’ultimo a Costantinopoli25.
Non sappiamo se l’incursione burgunda, patrocinata dai Franchi, ebbe riflessi
nella Venetia, ma è senz’altro probabile che propaggini di quella scorreria abbiano
finito col coinvolgere anche quest’area; peraltro, come indica chiaramente Procopio,
gran parte delle risorse economiche, umane e militari dei Goti erano stanziate proprio
nella Venetia e proprio per questo la regione venne particolarmente coinvolta nella
guerra26.
Nel frattempo le forze di Belisario, attestate lungo il Po, erano duramente
impegnate nella conquista di Osimo e di Fiesole, prese poi tra ottobre e
novembre del 539: fu allora che Teodeberto, ritenne giunto il momento di guidare
personalmente un attacco diretto all’Italia, approffittando del momentaneo stallo
militare in cui Goti e Bizantini si erano reciprocamente posti: «the two hosts,
reluctant to risk a trial of strength, remained immobile on the banks of the river,
till a new enemy appared upon the scene»27; ®n to¥tÛ d‚ Fråggoi kekak©suai tˆ pol™mÛ
23
Cfr. Auctarium Marcellini, ad a. 538.6 (assedio di Milano), p. 106; «Burgundiones zusammen mit den
Ostgoten die Stadt Mailand heimsuchten» (H. Büttner, Die Alpenpolitik der Franken cit., p. 65).
Sull’atteggiamento di Teodeberto, sull’ingenuità della diplomazia Bizantina, convinta che il sovrano Franco
avrebbe rispettato i patti e sulle vicende legate all’invasione e alla presa di Milano cfr. anche G.B. Bognetti,
Santa Maria Foris Portas di Castelseprio e la storia religiosa dei Longobardi [1948], ora in Id., L’Età
Longobarda, Milano 1966, II, pp. 187-193.
24
Cfr. Procop., Bell. Goth. II 21, pp. 240-247 (tr. it., pp. 496-500); Auctarium Marcellini, ad a. 539.3
(omnes Romanos interficiunt), p. 106; Mar. Avent. Chronica ad a. 538, p. 235 (Mediolanus a Gotis et
Burgundionibus effracta); cfr. R. Holtzmann, Die Italienpolitik der Merowinger cit., p. 11. I Goti riebbero
così il controllo di tutta l’Italia Transpadana.
25
Auctarium Marcellini, ad a. 539.1, p. 106 (Narsis revertitur Constantinopolim).
26
Cfr. A. Carile, Bellum cit., pp. 165-166 = Società cit., p. 145. Sull’incidenza degli episodi bellici interessanti il territorio tra l’Isonzo e Ravenna, nel periodo della guerra gotica e fino al 561 cfr. ancora, in gen.,
A. Carile, Bellum cit., pp. 148-151 = Società cit., pp. 128-130. In ogni caso la regione aveva sofferto di una
grave carestia negli anni 534-535 (Treviso anzi era divenuta il centro per l’ammasso destinato agli aiuti
disposti dal governo dei Goti); cfr. L. Cracco Ruggini, Economia e Società cit., pp. 473-474.
27
J.B. Bury, History cit., II, pp. 207 (dove si legge opportunamente: «the Franks regarded the calamities
of Italy as an opportunity for themselves and were as perfidious towards the Goths as toward the Empire»). È
sempre godibile la colorita descrizione della calata dei Franchi in E. Gibbon, The History of the Decline and
Fall of the Roman Empire, [1781-1788], repr. London 1995, vol. II, chap. xli, pp. 673-675, tr. it. Storia della
decadenza e caduta dell’Impero Romano, Torino 1967, pp. 1562-1564; cfr. Th. Hodgkin, Italy and her
Invaders cit., IV, pp. 309 ss.; V, p. 11; F. Gabotto, Storia dell’Italia Occidentale cit., pp. 520 ss.; O. Bertolini, Roma cit., p. 159; H. Keller, Fränkische Herrschaft und alamannische Herzogtum in 6. und 7. Jahrhundert, «ZGO» 124, 1976, p. 6. Non c’è invece, sorprendentemente, alcuna traccia di questa invasione di
Teodeberto in A.H.M. Jones, The Later Roman Empire cit., pp. 276-277, tr. it., pp. 342-343.
16
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
28
Gøtuoyq te kaÁ \Rvmaºoyq... : in buona sostanza i Franchi ritenevano assurdo che «altri
continuassero tanto tempo a guerreggiare per assicurarsi il dominio si una terra così
vicina al loro paese, mentre essi se ne rimanevano al di fuori, imparziali verso gli uni
e verso gli altri».
Non conosciamo la precisa via di accesso dei «fantassins armés de haches de
29
jet» , né, se non a grandi linee, la direttrice della loro incursione, di cui ci informa
sinteticamente l’Auctarium Marcellini, fonte contemporanea: Theudibertus Francorum rex cum magno exercitu adveniens Liguriam totamque depraedat Aemiliam.
Genuam oppidum in litus Tyrrheni maris situm evertit ac praedat30.
L’accesso sembrerebbe essere stato quello della via retica che porta a
31
Milano , con il conseguente saccheggio della Liguria e poi, verso sud, dell’Emilia: il
rientro andrebbe tuttavia indirizzato verso la Provenza, se il saccheggio di Genova32 è
cronologicamente alla fine dell’invasione («chemin faisant ils mirent encore à sac la
ville de Gênes, puis ce cauchemar disparut»33).
28
Procop., Bell. Goth. II 25, 1, p. 261 (tr. cit., p. 509).
E. Stein, Bas-Empire cit., p. 361.
30
Ad a. 539.4, p. 106. Nonostante J.B. Bury, History cit., II, p. 203, n. 3, lasci intendere che il passo del
continuatore marcelliniano sia riferiribile alla precedente scorreria dei Burgundi, mi sembra evidente che
esso sia invece fonte primaria di quest’ultima invasione, guidata da Teodeberto in persona.
31
Leggiamo infatti nella Vita Iohannis Abbatis Reomarensis Auctore Iona, in MGH SS. rer. Mer., III, p.
513: evenit, ut Theudebertus, filius Teuderici, Clodovei condam filii, bellum Italiae inferret, transactis Alpibus, Italiam inquietaret; R. Heuberger, Rätien im Altertum und Frühmittelalter. Forschungen und
Darstellung, Innsbruck 1932, passim. Su quelle vie di accesso cfr. anche M. Gusso, Alle origini dei Grigioni:
fatti d’arme combattuti sui Campi Canini, presso Bellinzona, nei secolo IV-VI d.C., «Prometheus» 22, 1996,
pp. 60-86 e Id., Le origini dei Grigioni: i Campi Canini, presso Bellinzona, nella storia retica dei secoli IVVI d.C., «QGrig» 65/1, 1997, pp. 7-21. Forse penetrarono dal Monginevro; Procopio (Bell. Goth. II 25, 5, p.
262; tr. cit., p. 510) scrive genericamente o‹tv m‚n Fråggoi tÅq =Alpeiq ..., a‡ Gålloyq te kaÁ |ItaloÂq
diorºzoysin, ®n Lig¥roiq ®g™nonto: «aus diesen Worten folgt, daß einer der Westalpenpässe benützt worden
ist. Ob es der Mt. Genèvre war... oder einer der Bernhardpässe, ist ganz und gar unsicher» (G. Löhlein, Die
Alpen- und Italienpolitik cit., p. 34); sul percorso di Teodeberto cfr. anche F. Beisel, Theudebertus Magnus
cit., pp. 68-69.
32
Il passo dell’Auctarium è l’unica fonte che riferisca del saccheggio di Genova (cfr. anche Th. Hodgkin,
Italy and her Invaders cit., IV, p. 311, n. 1; F. Beisel, Theudebertus Magnus cit., pp. 72-73), ed è stato ripreso, con qualche interessante variante, da Iordan., Rom. 375, p. 49: atque unus consul [Belisario] dum
contra Getas dimicat, pene pari eventu de Francis, qui cum Theodeperto rege suo plus ducenta milia
advenerant, triumphavit. sed quia ad alia occupatus alibi noluit implicari, rogantibus Francis pacem concessit et sine suorum dispendio de fines Italos expulit. Forse un cenno al passaggio dei Franchi lungo la via
marittima, con un richiamo a fonti che dovevano ricordare l’attacco a Genova, è nel confuso racconto del
cosiddetto Fredegario: cfr. Chronicarum quae dicuntur Fredegarii Scholastici Libri IV cum continuationibus, III 44, ed. B. Krusch, in MGH SS. rer. Mer., Hannoverae 1888, p. 106 (post Theodebertus cum
exercito Aetaliam ingreditur, eamque per maritimis termenibus cuncta depopulatus...).
33
E. Stein, Bas-Empire cit., p. 361.
29
17
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
Tuttavia «Theudeberts Strategie zielte nicht auf einen Beutecoup mit
folgendem schnellen Absetzen, sondern zunächts auf eine rasche Zersprengung der
noch mobilen gotischen und byzantinischen Einheiten in Ligurien»34.
L’invasione ebbe un parziale successo tattico35, ma si dimostrò tuttavia un
fallimento strategico: exercitu dehinc suo morbo laboranti ut subveniat, paciscens
cum Belisario ad Gallias revertitur36. Comunque ci furono devastazioni, saccheggi e
massacri che talora lasciarono i testimoni stupiti per la ferocia e la barbarie37, risolti
in un generale ripiegamento, forse in qualche modo concordato con i Bizantini: Theudebertus rex Francorum Italiam ingressus Liguriam Aemiliamque devastavit, eiusque
exercitus loci infirmitate gravatus valde contribulatus est38.
La più autorevole conferma ci viene poi dallo stesso Procopio, testimone
oculare di quel complesso di eventi: la presenza dei Franchi nell’area del Po
minacciava seriamente la condotta di guerra delle forze imperiali, e Belisario
avrebbe allora, in effetti, scongiurato l’attacco franco con forti pressioni e minacce
34
F. Beisel, Theudebertus Magnus cit., p. 72.
Procop., Bell. Goth. II 25, 2-3, p. 261, tr. it., p. 509: «al comando di Teodiberto, calarono in Italia
(Ôgoym™noy sfºsi Ueydib™rtoy, ®q |Italºan ®stråteysan). Avevano soltanto pochi cavalieri, che facevano
da scorta al re ed erano gli unici armati di lancia; invece tutti gli altri erano appiedati e non possedevano né
archi né lance, ma portavano una spada, uno scudo e una scure ciascuno»). Si può ritenere quindi che i loro
spostamenti non dovessero essere molto rapidi. Su questo tema, dei Franchi ‘appiedati’, ad eccezione dei
capi, si può utilmente consultare una fonte d’età anastasiano-giustinianea, ove si legge appunto di «un
popolo potentissimo stanziato nelle Gallie» [cioè i Franchi] per il quale «una legge prevede che nessuno
possa comparire in battaglia a cavallo, se non il re, montato su di un cavallo bianco per risultare più visibile
ai nemici» (cfr. C.M. Mazzucchi ed., Menae patricii cum Thoma referendario. De Scientia Politica
Dialogus, Milano 1982, p. 8, ex lib. IV, 43-44 (per la tr. it. del passo, ibid., p. 62); proprio questo sembra
rappresentare uno degli elementi di datazione di quest’opera anonima (cfr. ancora ibid., Praef., p. XIII e
C.M. Mazzucchi, Per una rilettura del palinsesto vaticano contenente il dialogo ‘Sulla Scienza Politica’ del
tempo di Giustiniano, in G.G. Archi (cur.), L’Imperatore Giustiniano. Storia e Mito. Giornate di Studio a
Ravenna - 14-16 ottobre 1976, ed. Milano 1978, pp. 237-247, spec. p. 242).
36
Ancora l’Auctarium Marcellini, ad a. 539.4, p. 106. Era stata una corsa pazza con scopi forse prematuri,
che si concluse senz’altro immediato risultato se non rovine e distruzioni nelle regioni interessate: ciò
nonostante, come ha scritto H. Büttner, «die Alpenstraßen und ihre Beherrschung waren Faktoren in dieser
politischen Zielsetzung; Theudebert I. war sich über die Wichtigkeit der Alpengebiete für seine größeren
Pläne durchaus bewußt» (Die Alpenpolitik der Franken cit., p. 66).
37
Procopio, in particolare (Bell. Goth. II 25, 7-8, p. 262, tr. it., p. 510), narra un episodio avvenuto nei
pressi di Pavia, che vide il massacro di molte donne e bambini dei Goti, i corpi dei quali vennero gettati nel
Po, come primizie di guerra, nel corso di un bestiale sacrificio umano (Bell. Goth. II 25, 10, p. 262, tr. it., p.
510).
38
Mar. Avent., Chron. ad a. 539, p. 236 (cfr G. Löhlein, Die Alpen- und Italienpolitik cit., pp. 34-35);
celerque reversus ... ipse ad propria repedavit, chiosa la Vita Iohannis Abbatis Reomarensis cit., p. 513. Se il
rientro dei Franchi verso la Provenza è scenario da non rigettare, allora si può avanzare l’ipotesi che
l’incursione, guidata da Teodeberto, fosse stata concordata con Childeberto, che avrebbe offerto scampo nei
suoi territori all’esercito del nipote in ripiegamento.
35
18
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
a Teodeberto39, le cui truppe erano state colpite, come si è visto, da un’epidemia40; ciò
non significa, tuttavia, che nel marasma politico-militare in cui si dibatteva l’Italia,
qualche piccolo insediamento franco non si fosse già stabilito fin da questo momento,
o che non si fossero costruite le condizioni materiali per successive scorrerie e colpi
di mano in Italia41.
«Les Francs restaient bien maîtres de quelques districts limitrophes, mais les
Goths préféraient désormais un arrangement, même défavorable, avec l’empereur à
des relations trop proches avec les barbares d’outremonts»42.
È dubbio però che i Franchi, con questa loro incusione del 539 si siano spinti
fino ai confini della Venetia43.
39
Cfr. E. Stein, Bas-Empire cit., p. 361; «schwere Krankheiten, die einen großen Teil seines Heeres
hinrafften, bestimmten ihn zur Rückkehr in die Heimat» (G. Löhlein, Die Alpen- und Italienpolitik cit., p.
35).
40
Vd. Procop. Bell. Goth. II 25-26, pp. 261-269 (tr. it., pp. 509-512). Teodeberto, a causa dell’epidemia e
delle minacce di Belisario, «vanished across the Alps with the remainder of his host as speedily as he came,
having done nearly as much mischief and reaped as little advantage as Charles VIII, the typical Frank of the
fifteenth century, in his invasion of Italy» (Th. Hodgkin, Italy and her Invaders cit., IV, p. 312; F. Beisel,
Theudebertus Magnus cit., pp. 75 ss.). Comunque «the episode had little influence on the course of the war»
(J.B. Bury, 1923 History cit., II, p. 208). Dalle parole di Procopio (specie Bell. Goth. II 25, 2, p. 261, tr. it., p.
509) è chiaro che esisteva un patto tra Giustiniano e Teodeberto che prevedeva la collaborazione tra Franchi
e Impero contro i Goti (cfr. anche Bell. Goth. I 5, tr. it., pp. 356-357): c’è un diffuso sospetto di fides punica
che aleggia nelle valutazioni procopiane sulla ripetuta e sistematica violazione dei patti da parte dei Franchi,
come si legge anche in un inciso (Bell. Goth. II 25, 2, p. 261, tr. it., p. 509) ove sembra quasi si possa
ritrovare il salvianeo gens... Francorum infidelis (vd. Salviani Presbyteri Massiliensis, De gubernatione Dei,
IV, 67, in Id., Libri qui supersunt, rec. C. Halm, MGH AA, I, pars I, Berolini 1877, p. 49; cfr. Th. Hodgkin,
Italy and her Invaders cit., IV, p. 309, n. 1; una eco sulla infidelitas, e sulla arroganza, dei Franchi si trova
persino nel Beowulf, poema anglosassone anonimo dell’VIII secolo d.C., in particolare ai versi 1210-1213,
ed. Koch, pp. 104-106, e 2920-2921, ed. cit., p. 248); cfr. anche Ch. Diehl, Giustiniano cit., pp. 590-591;
Rubin, Das Zeitalter cit., p. 188 e ancora F. Beisel, Theudebertus Magnus cit., pp. 82-83. Sulla valutazione
dei Franchi nelle fonti bizantine vd. qui, infra, § 6.
41
Cfr. in questo senso, G. Pepe, Il Medioevo Barbarico d’Italia [1941], Torino 1963, p. 88.
42
E. Stein, Bas-Empire cit., p. 361; forse G. Löhlein esagera l’importanza delle conquiste dei Franchi in
questa fase (Die Alpen- und Italienpolitik cit., pp. 35-37).
43
Tuttavia H. Pirenne scriveva: «dal 539 Teodeberto scende in Italia con un grande esercito e...
s’impadronisce della maggior parte della Venezia e della Liguria. Obbligato a ritirarsi a causa delle malattie
che decimano le sue truppe, Teodeberto conserva nondimeno una parte della Venezia e vi lascia un duca»
(Maometto e Carlomagno cit., pp. 52-53, sottolineatura mia). Il riferimento al duca franco lasciato in Italia
da Teodeberto, deriva, a mio avviso da un passo di Paolo Diacono che si avrà modo più oltre di esaminare
(Hist. Lang. II 2, p. 76: Buccellino duci... quem... cum Amingo alio duce ad subiciendam Italiam
dereliquerat); anche R. Holtzmann ha scritto che «Theudebert ließ Truppen unter den Herzögen Buccelinus,
Leutharius und Amingus zurück, um diese Eroberungen zu schützen und zu erweitern» (Die Italienpolitik
der Merowinger cit., pp. 11-12). Ci sarà modo, più avanti, di discutere di questi personaggi.
19
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
§ 2. La guerra nella Venetia (540)
Dopo numerosi sviluppi militari e diplomatici, cui diede il suo contributo anche un’ambigua ambasceria dei Franchi, Ravenna cadde infine nelle mani di Belisario, che vi ottenne la resa del re Vitige e della sua corte, nella primavera del 540 (al
più tardi nel mese di maggio)44.
I bizantini si spinsero rapidamente nella Venetia, dove capitolarono quasi
tutte le piazzeforti gotiche, ivi compresa quella di Treviso (kaÁ ¤q, ”pasi tÅ pistÅ
prouymøtata parasxømenoq, Tarb¸siøn te kaÁ <e¬ ti> “llo ®n Benetºoiq ... «ed egli diede a tutti
pronte garanzie, e così ottenne Treviso e ogni altro luogo fortificato nel Veneto»45).
Dobbiamo quindi ritenere – con la prudenza che va ossevata davanti ad un
argumentum e silentio – che allora anche Ceneda cadesse in mano agli imperiali:
infatti probabilmente solo Verona e, più in là, Pavia (Ticinum), resistettero ad
oltranza, anche perché le truppe bizantine non erano equipaggiate con adeguati mezzi
ossidionali. Anzi, di lì a poco, Verona sarebbe divenuta il primo centro della
resistenza gota e della ripresa del regno.
Dopo la partenza di Belisario dall’Italia per il suo trionfo a Costantinopoli, il
comando bizantino dell’area veneta era passato ad un alto ufficiale imperiale, di
nome Vitalio.
Nel frattempo il nuovo re goto, Ildibald (che comandava, con la piazza
di Verona, i Gothi trans Padum resistentes46), «gradually extended his authority over
44
Che in questa circostanza, assieme al re Vitige, fosse condotto a Costantinopoli anche Cassiodoro,
ipotizza A. Momigliano, Cassiodorus and Italian Culture of his Time, «PBA» 41, 1955, ora in Id., Secondo
Contributo alla Storia degli Studi Classici, Roma 1984, p. 210 (può essere tuttavia che Cassiodoro
raggiungesse Costantinopoli da Roma successivamente, nel 546, all’avvicinarsi di Totila; cfr. A.
Momigliano, s.v. Cassiodoro cit., p. 498); cfr. ciò che ha scritto di recente Ingemar König: «ca. 538, kurz vor
der Kapitulation des Ostgotenkönigs Witigis im Kampf gegen die Byzantiner, gab er dieses Amt auf und
übersiedelte vermutlich 540 nach Byzanz» (Theoderich der Große und Cassiodor. Vom Umgang mit dem
römischen “Erbe”, in A. Giebmeyer-H. Schnabel-Schüle (curr.), Das Wichtigste ist der Mensch. Festschrift
für Klaus Gerteis zum 60. Geburtstag, Mainz 2000, p. 215). Sull’ambasceria dei Franchi cfr. F. Beisel,
Theudebertus Magnus cit., pp. 78-79 ss.
45
Procop. Bell. Goth. II 29, 40, p. 288 (tr. it., p. 525); cfr. Th. Hodgkin, Italy and her Invaders, Oxford
2
1896 , IV, p. 337 («most of the other cities of North-eastern Italy which contained Gothic garrisons,
Treviso...»); J.B. Bury, History cit., II, p. 213, n. 2; A. Carile, Bellum cit., pp. 169-170 = Società cit., p. 149.
A proposito delle fonti sull’antica Treviso si veda anche il modesto contributo di Fluss, s.v. Tarvisium RE
IV. A.2 (1932), cc. 2452-2453, che tuttavia non dedica neppure un cenno alla guerra gotico-bizantina.
46
Auctarium Marcellini, a. 540.5, p. 106 (cfr. Iordan., Rom. 378, p. 50); cfr. anche Paul. Diac., Hist. Rom.
XII, 12, p. 134 (Gothi Transpadani Heldebadum sibi regem constituunt). Cfr. E. Stein, Bas-Empire cit., pp.
368; 560; e soprattutto 566-567; C.G. Mor, Verona Medievale. dalla caduta dell’Impero al Comune, in
AA.VV., Verona e il suo territorio, Verona 1964, p. 13; F. Beisel, Theudebertus Magnus cit., pp. 86-87.
20
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
Liguria and Venetia»47.
In particolare, nell’autunno di quello stesso anno 540, venne ripresa Treviso;
anzi, proprio nei pressi di questa città fu inflitta una dura sconfitta alle truppe
imperiali e anche il loro comandante, Vitalio, dovette sgombrare l’area: «nell’aspra
battaglia, che ebbe luogo nei pressi della città di Treviso (pølin Tarb¸sion)48, Vitalio fu
duramente sconfitto e dovette fuggire, salvando solo alcuni pochi dei suoi uomini e
perdendo sul campo tutti gli altri»49).
Di lì a poco però il re Ildibald sarà ucciso: nel caos che ne seguì, un giovane
comandante goto e nipote del re, Baduila (che sarà poi detto Totila, cioè lett.
‘immortale’), si trovava a capo proprio della guarnigione della riconquistata Treviso:
«questo Totila si trovava allora al comando dei Goti stanziati a Treviso» (t©n ®n
TarbhsºÛ “rxvn ®t¥gxanen)50.
Egli sarebbe stato sul punto di negoziare la propria resa ai bizantini,
scoraggiato dal comportamento dei capi della sua gente: infatti avrebbe proposto al
generale bizantino con sede di comando in Ravenna, Costanziano, di consegnare
agli imperiali sé, i suoi guerrieri stanziati a Treviso: «appena venne a sapere della morte di Ildibado, come ho già detto, mandò subito a chiedere a Costanziano, che
47
J.B. Bury, History cit., II, pp. 228. Cfr. PLRE III-A, s.v. Ildibaldus, pp. 614-615.
Procop. Bell. Goth. III 1, 35, p. 303 (tr. it., p. 538). Cfr. Th. Hodgkin, Italy and her Invaders cit., IV, p.
384 («a great battle followed near Treviso... and this battle was disastrous for the Imperialists. Vitalius
himself with difficulty escaped»); e PLRE III-B, s.v. Vitalius 1, pp. 1380-1381 («was the only Roman
commander to act against Ildibald... he risked battle near Tarbesium (Treviso) but was defeated by Ildibald
with heavy losses and fled»).
49
Una grafia greca di Treviso simile a quella procopiana deve essere stata senz’altro ispiratrice per
l’Anonimo Ravennate, che in IV, 30-31, pp. 254-255 e 257 riporta infatti Tarbision e Tribicium (cfr. Fluss,
s.v. Tarvisium cit., cc. 2452-2453 e A.N. Rigoni, L’ambito territoriale cit., p. 147): tale grafia ha contribuito,
evidentemente, a giocare un brutto scherzo a Hermann Schreiber, che scrive: «Totila, comandante sul
Tarvisio, al confine tra l’Italia e il Norico» (Auf den Spuren der Goten, München 1977, tr. it. I Goti, Milano
1981, pp. 228-229; sottolineatura mia); la svista si ripete poi nell’indice, s.v. Tarvisio («al confine
settentrionale tra l’Italia e il Norico»), ibid., p. 312. Tornando all’Anonimo Ravennate, alcuni studiosi hanno
ritenuto il suo lavoro geografico un’opera greca, tradotta in latino, ma si tratta di un errore di valutazione,
«dovuto alla presenza di motivi grecanici in essa, e soprattutto ai grecismi che vi si possono trovare: in realtà
quei motivi grecanici e quei grecismi si spiegano con lo stile ‘misto’, diciamo così, della cultura ravennate
del VII secolo» (S. Mazzarino, Da Lollianus et Arbetio cit., p. 316).
50
Procop. Bell. Goth. III 2, 7, p. 306 (tr. it., p. 540). Cfr. Th. Hodgkin, Italy and her Invaders cit., IV, p.
388 («at the moment of his uncle’s murder he was in command of the garrison at Treviso»); A. Nagl, s.v.
Totila, RE VI A.2 (1937), c. 1829; O. Bertolini, Roma cit., pp. 160 ss. e Id., s.v. Baduila, in DBI, Roma
1963, vol. 5, p. 138; cfr. A. Carile, Bellum cit., pp. 158; 169-170 = Società cit., pp. 137; 148-149; S.
Gasparri, Dall’età longobarda al secolo X, in D. Rando-G.M. Varanini (curr.), Storia di Treviso. II. Il
Medioevo, Venezia 1991, p. 5. Si può leggere quest’episodio anche in una fortunata storia come la Geschichte der Stadt Rom im Mittelalter [1859 ss.], di F. Gregorovius, tr. it. Storia di Roma nel Medioevo,
Roma 1900, pp. 289-291.
48
21
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
era a Ravenna, di dargli garanzie di salvezza in cambio della propria resa ai Romani e
di quella dei Goti di presidio a Treviso. Costanziano fu lieto di udire quella proposta
e subito acconsentì a tutto ciò che Totila gli aveva chiesto. Fu convenuta per questa
transazione la data precisa in cui Totila e i Goti di presidio a Treviso avrebbero
dovuto accogliere in città gli inviati di Costanziano e consegnare nelle loro mani se
stessi e la città»51.
Proprio all’ultimo momento, tuttavia, messaggeri dei nobili goti che si
opponevano al nuovo re Erarico, nel frattempo salito al potere, raggiunsero Baduila e
lo convinsero a porsi a capo della riscossa gotica.
Sappiamo quindi per certo che fu in area veneta, ed in particolare a Treviso52,
e, verosimilmente, nei forti e nei castra circonvicini controllati (e non possiamo non
pensare nuovamente anche a Ceneta) che prese forma il breve e sanguinoso riscatto
bellico dei Goti, almeno fino all’assunzione al trono di Baduila-Totila, nel settembreottobre del 541 ([Gothi] dehinc sibi Baduilam, qui et Totila dicebatur, in regnum
praeficiunt53): è possibile che in questo periodo si rafforzassero le difese delle località
controllate dai Goti, e che la stessa Ceneta venisse coinvolta in questo rinnovato
fervore militare.
§ 3. Insediamenti dei Franchi in area veneta (fino al 548)
La guerra gotico-bizantina continuava con estenuanti cambiamenti di fronte
tra i successi di Totila ed il ritorno di Belisario in Italia, nell’estate 54454.
Nel frattempo, la prima invasione franca, guidata nel 539 dal re di Austrasia,
era stata seguita negli anni successivi da altre penetrazioni, sempre organizzate da
51
Procop. Bell. Goth. III 2, 8-9, pp. 306-307 (tr. it., p. 540). Cfr. O. Bertolini, s.v. Baduila cit., p. 147.
Su Constantianus, il comes sacri stabuli, l’ufficiale «qui avait le rang le plus élevé» tra quelli rimasti in Italia
dal 540, dopo la partenza di Belisario, cfr. E. Stein, Bas-Empire cit., pp. 345 ss.; 565; 567 e PLRE III-A, s.v.
Constantianus 1, pp. 333-334. Sulla specifica carica di comes sacri stabuli cfr. ancora E. Stein, Bas-Empire
cit., «Excursus G», pp. 796-798.
52
«Alla fine concordarono tutti insieme di mandare qualcuno da Totila, a Treviso, per invitarlo ad
assumere il potere» (t™loq d‚ jymfron¸santeq p™mpoysi parÅ Toytºlan ®q Tarb¸sion... Procop. Bell. Goth.
III 2, 11, p. 307; tr. it., p. 540; cfr. V. Bierbauer, Zur ostgotischen Geschichte cit., p. 19); curiosa e singolare
è la totale ‘rimozione’ di Treviso dalla ricostruzione dell’avvento di Totila sul trono dei Goti in C.G. Mor,
Verona Medievale cit., p. 13.
53
Paul. Diac., Hist. Rom. XII, 12, p. 134. Nel Liber Pontificalis, LXI. Vigilius (Duchesne, I, p. 298, n.
24, p. 301; MGH GPR, I, p. 153) si legge: tunc Gothi fecerunt sibi regem Badua, qui Totila nuncupabatur;
cfr. E. Stein, Bas-Empire cit., p. 567 (sulle varianti del nome di Totila cfr. ibid., pp. 567-568, n. 1).
54
Cfr. Procop. Bell. Goth. III 9, 23; 10, 13; 11, 1, risp. pp. 336; 338; 340, tr. it. pp. 558-561; cfr. E.
Stein, Bas-Empire cit., p. 577; vd. Auctarium Marcellini, a. 542.2-545.3, p. 107 (questa preziosa fonte, in
genere trascurata, si esaurisce purtroppo di lì a poco, con l’anno 548).
22
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
Teodeberto55.
Ce ne informa dettagliatamente Procopio: ®peÁ d‚ tÅ Gøtuvn te kaÁ Toytºla
kauyp™rtera tˆ pol™mÛ ®g™neto («quando poi Totila e i Goti ebbero la fortuna di riuscire
vincitori nella guerra»56), Fråggoi Benetºvn tÅ ple¡sta sfºsi prosepoi¸santo oªdenÁ løgÛ
(«i Franchi presero sotto il loro controllo la maggior parte della Venetia, senza averne
alcun diritto», senza che i Romani fossero in grado di respingerli, o che i Goti
avessero la forza di affrontare una guerra con gli uni e con gli altri contemporaneamente)57.
Teodeberto, il re dei Franchi, infatti, era riuscito a rendere soggette al
pagamento di un tributo alcune città della Liguria, le Alpi Cozie58 e la maggior parte
della Venetia (Ligoyrºaq te xvrºa “tta kaÁ =Alpeiq Koytºaq kaÁ Beneti©n tÅ pollÅ oªdenÁ
løgÛ)59: «denn noch waren ansehnliche Teile Italiens in gotischen Händen: vor allem
das Land nördlich des Po, wo nach einem mit Totila um 545 abgeschlossenen
Vertrage auch die Franken größere Gebietsteile innehatten - nämlich von Venetien
wahrscheinlich das Land zwischen Etsch [= Adige] und Isonzo (die Küstenstraße war
in der Hand der Kaiserlichen), das nördliche Ligurien und die Cottischen Alpen um
Susa sowie zahlreiche feste Plätze Mittel- und Süditaliens»60.
I Franchi avevano infatti approfittato a proprio vantaggio delle difficoltà degli
altri contendenti, e senza colpo ferire si erano impadroniti delle terre che costoro si
stavano disputando, anche se non siamo in grado di precisare i tempi di questa
penetrazione.
55
Gregorio di Tours non è chiaro o forse è troppo sintetico; scrive dapprima: Theudobertus vero in Italia
abiit et exinde multum adquisivit e subito dopo confeziona una notizia che pare mettere insieme tanto
l’incursione del 539 quanto le altre successive. Scrive infatti: Buccelenum rursum dirixit, cioè inviò ancora
una volta Buccelino, qui, minorem illam Italiam captam, atque in ditionibus regis antedicti redactam,
maiorem petit, cioè, una volta conquistata l’Italia settentrionale (minor) per conto di Teodeberto, cercò di
impadronirsi anche quella più a sud, più grande e ricca (Hist. Franc. III 32, vol. I, pp. 268-269, da mettere in
correlazione con il successivo IV 9, vol. I, p. 299); cfr. F. Beisel, Theudebertus Magnus cit., pp. 87-88.
56
Bell. Goth. III 33, 7, p. 443 (tr. it., p. 624): lo storico si riferisce senz’altro al momento in cui il nord
dell’Italia rimase sguarnito a seguito del trasferimento verso il meridione di gran parte delle forze gotiche
nell’operazione guidata da Totila, verosimilmente - come vedremo - prima dell’anno 547: eo anno
Theudebertus rex magnus Francorum obiit, et sedit in regno eius Theudebaldus filius ipsius (Mar. Avent.,
Chron. a. 548, p. 236).
57
Bell. Goth. III 33, 7, p. 443 (tr. it., p. 624).
58
Questa provincia comprendeva il territorio dell’attuale Liguria (cfr. E. Stein, Bas-Empire cit., pp. 526527, n. 2).
59
Procop. Bell. Goth. IV 24, 6, p. 617 (tr. it., p. 730); cfr. E. Stein, Bas-Empire cit., p. 526.
60
L. Schmidt, Die letzten Ostgoten, «Abhandlungen der Preußischen Akademie der Wissenschaften phil.-hist. Klasse», 1943, nr. 10, p. 4; F. Beisel, Theudebertus Magnus cit., p. 90.
23
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
In quanto al periodo disponiamo di una lettera scritta dal Papa Pelagio I al patricius
Valeriano, che si riferisce a tempore illo quo et Istrias et Venetias tyranno Totila
possidente, Francis etiam cuncta vastantibus61.
«Theudeberts Truppen müssen sich bereits massiv in Venetien festgesetzt
haben (zwischen den Jahren 544 und 546)»62: in ogni caso «ai Goti erano rimaste solo
poche fortezze [città fortificate, castra63] nella Venetia»64), tå te ®piualassºdia xvrºa
\Rvmaºoiq «e ai Romani le città costiere»: tutto il resto del territorio lo avevano preso
in loro possesso i Franchi65.
È stato scritto che ai Goti sarebbe restata «la piazzaforte di Verona e così
Ceneda e le fortificazioni della parte orientale, il che permetteva loro di bloccare
la Postumia su cui del resto convergevano le strade che scendevano dai valichi
alpini ben controllati dai Franchi»66, ma io nutro qualche dubbio. In realtà per questo
61
Epistolae Aevi Merowingici Collectae n. 6, in MGH EE, III, pp. 445-447 (settembre 558-560): il passo
specifico è a p. 446. Secondo Th. Hodgkin (Italy and her Invaders cit., IV, p. 619) ciò sarebbe avvenuto
«probably in the early years of Totila’s heroic reign»; cfr. J. Sundwall, Abhandlungen zur Geschichte des
ausgehenden Römertums, Helsingfors 1919, repr. New York 1975, p. 166; secondo G. Löhlein, Die Alpenund Italienpolitik, pp. 8-9, «in die Zeit um 545 fällt die Eroberung Venetiens durch die Franken. Der
Kriegszug in das östliche Oberitalien aber setzte den Besitz der nördlich von Venetien gelegenen Gebiete,
sowie die Beherrschung der Ostalpen, ...fast ausschließlich die Verbindung zwischen Venetien und dem
Frankenreich herstellen konnten, voraus» (e ibid., p. 38: «besonders die Jahre nach 542 scheinen für weitere
Eroberungen sehr günstig gewesen zu sein, da Goten und Römer durch die Kämpfe in Mittel- und Unteritalien völlig beansprucht waren und den Franken im Westen der Halbinsel ebensowenig entgegentreten
konnten wie in der Provinz Venetien», sottolineature mie).
62
F. Beisel, Theudebertus Magnus cit., p. 102.
63
Sullo specifico tecnicismo polºsma cfr. G. Ravegnani, Kastron e Polis: ricerche sull’organizzazione
territoriale nel VI secolo, «RSBS» 1982, pp. 273, n. 16; 276, n. 30 e Id., Castelli e città fortificate nel VI
secolo, Ravenna 1983, p. 10, n. 14; sulle diverse tipologie di città, villaggi ecc. nel tardoantico cfr. A.H.M.
Jones, The Later Roman Empire cit., pp. 712 ss., tr. it., pp. 957 ss. (vd. inoltre qui la successiva nota 108).
64
Procop. Bell. Goth. IV 24, 8, p. 617 (tr. it., p. 730): «the only important cities which the Goths»,
scriveva J.B. Bury, «still retainded sem to have been Verona and Ticinum» (History cit., II, pp. 257; cfr.
C.G. Mor, Verona Medievale cit., p. 16; V. Bierbauer, Zur ostgotischen Geschichte cit., p. 29).
65
Procop. Bell. Goth. IV 24, 8, p. 617 (tr. it., p. 730); il passo procopiano fa specifico riferimento alle gesta di Teodiberto, ricordate in relazione alla sua morte, avvenuta, come si è detto nel 547: questa situazione
così opportunisticamente sfruttata dai Franchi doveva essersi dunque consolidata entro quell’anno. Procopio
(Bell. Goth. IV 24, 9-11, pp. 617-618, tr. it., pp. 730-731) così prosegue: «mentre i Romani e i Goti continuavano a battersi tra di loro nella guerra che ho fin qui descritta, senza possibilità di affrontare, in
aggiunta, altri avversari, i Franchi erano venuti a trattative coi Goti e avevano concordato che, fino a quando
i Goti avessero dovuto seguitare la guerra coi Romani, sarebbero rimasti in pace fra loro, tenendosi ciascuno
le proprie conquiste... Se poi Totila avesse avuto la fortuna di sconfiggere in guerra l’imperatore Giustiniano,
allora i Goti e i Franchi avrebbero definito la spartizione dei territori nel modo che sarebbe sembrato ad
entrambi più conveniente»; sul punto cfr. anche R. Holtzmann, Die Italienpolitik der Merowinger cit., pp.
12-13.
66
Cfr. M. Pavan, Venanzio Fortunato tra Venetia, Danubio e Gallia Merovingica, in «Venanzio Fortunato. Atti del Convegno» cit., p. 13.
24
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
periodo non siamo ben informati sulla sorte delle diverse località e aree della regione
veneta, e nemmeno sulla fascia costiera, sul suo sviluppo e sulla sua percorribilità:
«über die fränkischen Eroberungen in Venetien fehlen uns alle Einzelheiten»67;
possiamo però affermare con un notevole margine di sicurezza che, con Treviso,
anche Ceneta dovette passare, in quel periodo, sotto il controllo dei Franchi, i quali
probabilmente non ebbero neppure bisogno di combattere per impadronirsene:
«bedauerlicherweise kann auch hier nicht festgestellt werden, welche Kastelle von
den Franken besetzt waren. Nur von Ceneta wissen wir, daß es fränkisch war»68.
Non si può che concordare che l’unica cosa effettivamente sicura sulla
Ceneta, di questo periodo, è che si tratta della sola località della Venetia che
sappiamo con certezza essere stata sotto il controllo dei Franchi. Ritengo anzi, in
particolare, che, in questa fase, Ceneta non abbia subito particolari devastazioni, ma
che, anzi, i successivi insediamenti militari, prima quello goto, poi quello franco, ne
dovrebbero aver accentuato i caratteri di castrum, cioè di centro fortificato di
interesse essenzialmente militare.
È importante far discendere l’attacco franco all’area veneta anche dalla
direttrice nord/nord-est, dato che il re Teodeberto, proclamatosi signore della Pannonia69, si era effettivamente impadronito di buona parte del Norico70.
Non è inopportuno rilevare invece che per i Longobardi, il popolo che
gravitava in quell’area, stava per aprirsi allora, proprio grazie alle vicende che qui si
descrivono, la prospettiva di una direzione di marcia che, di lì a pochi anni, li avrebbe portati a loro volta - da protagonisti - ad impadronirsi dell’Italia71.
67
G. Löhlein, Die Alpen- und Italienpolitik cit., p. 39.
G. Löhlein, Die Alpen- und Italienpolitik cit., p. 40 (sottolineatura mia); cfr. anche H. Büttner, Die
Alpenpolitik der Franken cit., p. 66.
69
Cfr. J. Jarnut, Geschichte der Langobarden, Stuttgart-Berlin-Köln-Mainz 1985, tr. it. Storia dei
Longobardi, Torino 1995, p. 18. Cfr. Epistolae Austrasicae 20, ed. W. Gundlach, in MGH EE, t. III, pars.
III, spec. p. 133, dove, alla n. 5, il curatore scriveva: «Theodebertum regem Pannoniae partibus potitum esse,
alias non relatum est» (qui, infra, nota 76); sul limes Pannoniae di cui parla Teodeberto nella sua lettera cfr.
F. Beisel, Theudebertus Magnus cit., p. 93.
70
Paul. Diac. Hist. Lang. II 4, pp. 80-82. A. Nagl, s.v. Theodebert I cit., c. 1719, annotava: «er
bemächtigte sich Innernorikums und des östlichen Rätiens»; cfr. R. Heuberger, Rätien, cit., pp. 257 ss.
71
Già nel 547-548 i Longobardi avevano ottenuto da Giustiniano la formale autorizzazione ad occupare i territori in precedenza in mano ostrogota, compresi tra la Drava e la Sava, sostenuti dall’Impero anche con cospicui mezzi finanziari (cfr. A.Gasquet, L’Empire cit., p.211; E. Stein, Bas-Empire cit., p.528; G.Tabacco, L’
inserimento dei Longobardi cit., p. 226; J. Jarnut, Storia dei Longobardi cit., p. 19 e F. Beisel, Theudebertus Magnus cit., pp.108-109). Il territorio italiano era campo di battaglia anche per altri contendenti: nell’ambito della guerra tra Longobardi e Gepidi, un pretendente al trono Longobardo, Ildigisal, penetrò con proprie
truppe -nel 549- nella Venetia (non sappiamo esattamente da quale direzione, ma forse toccò la parte marittima), e
si scontrò con un reparto bizantino che tentava di intercettarlo, mettendolo tuttavia in rotta, per poi dirigersi verso
68
25
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
Osservando gli eventi in un contesto più ampio, non si può non ricordare che
il re Teodeberto, con il quale, come è stato scritto, «la conquista franca esprime
pretese di egemonia europea»72, costruì per un breve volger d’anni un vasto dominio:
anzi «die Eroberung und Beherrschung Italiens war eines der Hauptziele, dem
Theudebert im Rahmen seiner imperialistischen Politik, die darauf ausging, an Stelle
des römischen Imperiums ein germanisches Weltreich zu setzen, zustrebte»73. Proprio
per questo egli non esitò a confrontarsi con successo con una personalità del livello di
Giustiniano, con il quale stabilì una corrispondenza ufficiale, in parte conservata74.
oriente, verso la terra degli Sclaveni (Procop. Bell. Goth. III 35, 12-22, pp. 455-456, tr. it., pp. 631-632; Paul
Diac. Hist. Lang. I 21, p. 40; cfr. Th. Hodgkin, Italy and her Invaders cit., V, p. 122; E. Stein, Bas-Empire
cit., pp. 531-533; PLRE III-A, s.v. Ildigisal, pp. 616-617 e PLRE III-B, s.v. Lazarus 2, p. 767: «he was in
command of same Roman troops in Venetia when Ildiges (Ildigisal) met and routed them, killing many. For
the date, perhaps summer/autumn 549»).
72
G. Pepe, Il Medioevo Barbarico in Europa (1949), Milano 1967, p. 123; E. Stein, Bas-Empire cit., pp.
525-526; G. Tabacco, L’inserimento dei Longobardi cit., pp. 230-231. Sui dettagli della «universelle Politik
Theudeberts I.» cfr. specif. G. Löhlein, Die Alpen- und Italienpolitik cit., pp. 41-43. Su questo cfr. anche la
valutazione di E. Gibbon, The History of the Decline and Fall cit., vol. II, chap. xxxviii, p. 506, n. 162 e
chap. xli, p. 673 («Theodebert of Austrasia, the most powerful and warlike of the Merovingian kings»), tr.
it., pp. 1413, n. 1 e 1562; cfr. anche M. Christian Pfister, La Gallia sotto i Franchi Merovingi cit., p. 696
(secondo cui Teodeberto fu «il più brillante dei sovrani di questo periodo»).
73
G. Löhlein, Die Alpen- und Italienpolitik cit., p. 28. «Die Austrasier setzten sich nämlich im Jahr 539
unter ihrem König Theudebert I. ..., den ostgotisch-byzantinischen Krieg ausnützend, für eine Reihe von
Jahren in Venetien fest und erlangten sogar von König Totila die vorläufige Anerkennung dieser Erwerbung.
Sie müssen sich nun damals, wo nicht schon früher, auch des inneralpinen Rheintals mit dessen seitlichen
Verzweigungen, des Bergells, des Engadins und des Vinschgaus, also jener Talschaften bemächtigt haben,
die hinfort, zusammen mit dem Misox und dem Puschlav, das seinem räumlichen Umfang nach mit dem
Churer Bistumssprengel zusammenfallende Land Churrätien bildeten. Denn dieses Gebiet war das
unentbehrliche Verbindungsglied zwischen dem nordwestlichen Venetien und dem fränkischen
Alamannien» (R. Heuberger, Rätien, cit., p. 136).
74
Cfr. Epistolae Austrasicae cit., spec. 18, 19 e 20, pp. 131-133. Questi testi appaiono tuttavia di difficile
datazione: per di più, nonostante le esplicite indicazioni di provenienza dalla cancelleria di Teodeberto, si è
ipotizzato possano essere stati confezionati (almeno in parte) sotto Teodebaldo (cfr. ad es. A. Nagl, s.v.
Theodebert I cit., c. 1719, che valuta come Ep. Austras. 19 possa essere tanto di Teodeberto quanto del
«Regierung Theodebalds, da das Datum des Briefes etwa auf das J. 550 verlegt wird»; così come in PLRE
III-B, s.v. Theodebaldus 1, p. 1228, si legge che anche Ep. Austras. 18 dovrebbe essere ascritta, anziché a
Teodeberto, al suo successore (cfr. altresì PLRE III-B, s.v. Missurius, p. 893). Ciò non di meno questa
corrispondenza contiene in nuce i criteri ispiratori di quella che fu la spregiudicata politica estera di
Teodeberto. Difficile comunque concordare con quanto notava H. Pirenne, sostenendo che «Teodeberto
scrive nel modo più umile a Giustiniano» (Maometto e Carlomagno cit., p. 48, n. 175, con rif. ad Ep.
Austras. 20); si tratta di una valutazione formalistica e superficiale che deriva da A.A. Vasiliev, Histoire de
l’Empire Byzantin, Paris 1932, I, p. 203, n. 2 (che infatti aveva scritto: «la lettre écrite par le roi Théodobert à
Justinien, dans laquelle il lui fait savoir très humblement sur quels peuples il règne en Occident»).
26
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
Ebbe anche modo di mostrarsi assai polemico con l’imperatore bizantino: «he was
incensed at Justinian’s assumption of the titles Francicus and Alamannicus, with the
implication that the Franks and their subjects the Alamanni had been subjugated and
were vassals of the Empire»75.
Nella già ricordata Epistola 20, indirizzata al Domino inlustro et
praecellentissimo Domno et Patri, Iustiniano Imperatore, Teodeberto scriveva: id
vero, quod dignamini esse solliciti, in quibus provinciis habitemus aut quae gentes
nostrae sint, Deo adiutore, dicione subiecte: Dei Nostri misericordiam feliciter
subactis Thoringiis et eorum provinciis adquisitis, extinctis ipsorum tunc tempore
regibus, Norsavorum itaque gentem nobis pacata maiestate, colla subdentibus edictis
ideoque, Deo propitio, Wesigotis, incolomes Franciae, septentrionalem plagam
Italiaeque Pannoniae cum Saxonibus, Euciis [gli Iuti?] qui se nobis voluntate propria
tradiderunt, per Danubium et limitem Pannoniae usque in Oceanis litoribus custodiente Deo dominatio nostra porrigetur76.
Siamo ragguagliati dettagliatamente dallo storico bizantino Agazia, che
«managed to gain access to important and original material»77, e che mostra pertanto
di essere assai ben informato circa la situazione italiana ma anche, in particolare,
circa quella dei Merovingi78.
75
J.B. Bury, History cit., II, p. 257; cfr. Th. Hodgkin, Italy and her Invaders cit., V, pp. 11-12.
Epistolae Austrasicae 20 cit., p. 133: «c’est une sorte de leçon sur la géographie germanique au VIe
siècle», come osservava A.A. Vasiliev, Histoire de l’Empire Byzantin cit., p. 203, n. 2 (cfr. F. Beisel,
Theudebertus Magnus cit., pp. 91-92). «La dilatazione dei Franchi dall’Oceano ai confini della Pannonia e
dal Mare del Nord al Mediterraneo centrale assumeva l’eredità dell’universalismo romano in quella
prospettiva occidentale latino-germanica, che si era delineata nella cultura dell’episcopato gallo-romano di
fronte alle stirpi germaniche di confessione ariana e di fronte a Bisanzio, con l’interpretazione di Clodoveo
come nuovo Costantino dell’Occidente» (G. Tabacco, L’inserimento dei Longobardi cit., p. 231). Il concetto
di Re-dominatore, di Re-vincitore, domina la produzione monetaria di Teodeberto, assolutamente
eccezionale per un sovrano ‘barbaro’, su cui cfr. A. Nagl, s.v. Theodebert I cit., c. 1718; H. Pirenne,
Maometto e Carlomagno cit., p. 96 e spec. F. Beisel, Theudebertus Magnus cit., pp. 98-99.
77
Averil Cameron, Agathias on the Early Merovingians, «ASNP» 37, 1968, p. 96; su questo storico cfr.,
in generale, anche Ead., Agathias, Oxford 1970, bibliografia ibid., pp. 157-161.
78
Agathiae Myrinaei, Historiarum libri quinque, rec. R. Keydel, Berolini 1967, I 4, 3, p. 14, il
quale annota come Teodeberto «avesse ritenuto intollerabile che l’imperatore Giustiniano descrivesse se
stesso nei propri editti con la titolatura di Francico, Alamannico, Gepidico, Longobardico e così via, come
se avesse sottomesso tutti quei popoli [nella tradizione romana che attribuisce agli imperatori i nomina
populorum devictorum]. Prese questo fatto come un insulto a lui personalmente diretto, e ritenne che
anche gli altri lo ritenessero parimenti un affronto loro indirizzato». Per questo stesso passo cfr. l’ed.
S. Costanza, Messina 1969, p. 20, e l’ed. ingl., Agathias, The Histories, cur. e trad. J.D. Frendo, BerlinNew York 1975, p. 12). Vd. anche E. Gibbon, The History of the Decline and Fall cit., vol. II, chap.
xli, p. 675, tr. it., p. 1564, che colloca l’ira del re Franco dopo la disastrosa invasione del 539 e
subito prima della morte dello stesso Teodeberto (a. 547), sulla scorta di Agath. I 4, 5-6, pp. 1476
27
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
«With much probability... Agathias may have derived his full and accurate
information as to the Franks, and especially as to the Austrasian monarchy, from one
of King Sigebert’s ambassadors to Constantinople in the year 566, perhaps from
Firminus, one of those ambassadors who was Count of Arverni and belonged to a
distinguished Gallo-Roman family»79.
È probabile che tra Giustiniano e i Franchi si fosse giunti ad una qualche forma di intesa per cooperare, sul teatro di guerra italiano, contro i Goti.
Ciò si evince, oltre che dalla corrispondenza ufficiale tra le due corti80, dal
racconto procopiano dell’ambasceria di Leonzio81 che, in missione per conto di Giustiniano, perorò l’alleanza franco-bizantina presso il giovane figlio di Teodeberto, Teodebaldo, ricordandogli amaramente, ma con fermezza, il mancato mantenimento di promesse fatte nel passato82: tramite il suo ambasciatore, Giustiniano chiedeva, in pratica,
15 (tr. ingl., pp. 12-13). Sulle titolature di Giustiniano cfr. S. Puliatti, Ricerche sulla legislazione
“regionale” di Giustiniano. Lo statuto civile e l’ordinamento militare della Prefettura africana, Milano
1980, pp. 61-63, n. 5.
Agazia, storico e poeta bizantino, originario di Myrina (città dell’Eolide, Asia Minore), visse all’incirca tra il
532 e il 582 e scrisse una storia in cinque libri continuando Procopio dall’anno 552 all’anno 559: si tratta
quindi di un lavoro assai dettagliato per un periodo di soli sette anni; una bibliografia su di lui si può leggere
in Agathiae Myrinaei, Historiarum libri cit., introduzione, pp. XXXIX-XL; cfr. B. Rubin, Das Zeitalter
Iustinians, Berlin 1960, I, pp. 227 ss.; PLRE III-A, s.v. Agathias, pp. 23-25. Agazia «è uno storico
scrupoloso ma non ha la stessa sensibilità di Procopio per i problemi militari e spesso indulge al gusto del
topos letterario nella descrizione di assedi o battaglie» (G. Ravegnani, Castelli e città cit., p. 92).
79
Th. Hodgkin, Italy and her Invaders cit., V, p. 5, n. 2; cfr. Averil Cameron, Agathias on the Early
Merovingians cit., pp. 133-134. Vd. comunque qui, al § 6.
80
Cfr. Epistolae Austrasicae 19 cit., p. 132, ove erano stati ambiguamente promessi tria milia virorum
da inviare in rinforzo agli imperiali, ed Epistolae Austrasicae 20 cit., p. 133, nella quale Teodeberto (se si
trattava di lui) pregava Giustiniano ut antiquam retroactorum principum amicitiam conservetis, et gratiam,
quam sepius promittitis, in communi utilitate iungamur.
81
Cfr. Th. Hodgkin, Italy and her Invaders cit., IV, pp. 620-621; G. Löhlein, Die Alpen- und
Italienpolitik cit., pp. 44-45; PLRE III-B, s.v. Leontius 5, p. 775 («in 551 he was sent by Justinian as envoy
to Theodebald in Gaul, seeking an alliance against Totila and asking the Franks to withdraw from those parts
of Italy previously occupied by Theodebert»). Un passo del discorso di Leonzio è conservato in Suid. A.
1563, ed. A. Adler I, 1, p. 139: |Am™besuai.
82
Cfr. J.B. Bury, History cit., II, p. 258. Teodebaldo, «shortly after his accession... received an
embassy ... bringing congratulations from Justinian» (PLRE III-B, s.v. Theodebaldus 1 cit. , p. 1228):
tale ambasceria, del 547, comunque precedente di qualche anno quella di Leonzio, era guidata da
Giovanni e Missurio (cfr. PLRE III-A, s.v. Ioannes 40, p. 650 e PLRE III-B, s.v. Missurius cit., p. 893). Si
veda anche, evidentemente, Epistolae Austrasicae 18 cit., p. 132 (a. 547?), nella quale si affermava:
amicitias nostras, quas delectabiliter requiritis, stabiliter, rogamus, studeatis, et quod melius foedere
inviolabili permaneant, ab animis vestris, nullis intercedentibus causis, absistant. Sulla successione di
Teodebaldo a Teodeberto cfr. Agath. I 4, 7, p. 15 (tr. ingl., p. 13); sul nuovo sovrano merovingio cfr. Th.
Hodgkin, Italy and her Invaders cit., V, pp. 13-14 G. Löhlein, Die Alpen- und Italienpolitik
28
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
al nuovo re o, meglio, alla sua corte83, «di volersi ritirare dai territori dell’Italia che
Teodeberto, senza averne alcun diritto, aveva pensato bene di occupare»84:
quest’ennesimo passo diplomatico, che non fece altro che confermare i Franchi nelle
loro opportunistiche decisioni, si può datare al 549-550 o, al massimo, al 55185.
Totila, tra il 546 e il 549, dopo aver invano percorso la via diplomatica
nei confronti di Giustiniano86, aveva chiesto una figlia in moglie ad uno dei sovrani
cit., pp. 44 ss.; A. Nagl, s.v. Theodebald 1, RE V. A.2 (1934), cc. 1714-1715 e PLRE III-B, s. v. Theodebaldus 1 cit., pp. 1227-1228. Sulla data della morte di Teodeberto (a. 547) cfr. E. Stein, Bas-Empire cit., p. 530
e soprattutto, ibid., «Excursus N», pp. 816-817; G. Löhlein, Die Alpen- und Italienpolitik cit., p. 43)
preferiva invece assegnare la morte di Teodeberto alla data tradizionale di Mario Aventicense (548).
Curiosamente il nome di Teodebaldo non è mai indicato correttamente nella tradizione storiografica
Longobarda che assegna al figlio di Teudeberto il nome Scusuald (Origo gentis Langobardorum, 4, p. 4);
Chusubald (Historia Langobardorum Codicis Gothani, 4, p. 9) o Cusupald (Paul Diac. Hist. Lang. I, 21, p.
42).
83
«Während seiner Minderjährigkeit lag die ganze Regierungsgewalt in den Händen des domesticus
Conda, der schon unter Theudebert das Amt eines hohen Hofbeamten bekleidet und so auch tieferen Einblick
in die Staatsgeschäfte erhalten hatte. Dieser Mann wird auch in erster Linie für die italische Politik während
der nächsten Jahre verantwortlich zu machen sein» (G. Löhlein, Die Alpen- und Italienpolitik cit., p. 44). Su
Conda l’unica fonte resta Venanzio Fortunato, Carm. VII 16 (de Condane domestico), cfr. M. Reydellet
(éd.), Venance Fortunat, Poèmes, Paris 1998, tome II, pp. 111-114 e 188, n. 90 («Conda n’est pas autrement
connu») e M. Schuster, s.v. Venantius Fortunatus (Venantius 18), RE VIII. A.1 (1955), c. 681; cfr. anche
PLRE III-A, s.v. Conda, pp. 330-331 (si tratta dell’eminenza grigia del regno austrasiano, da Teodeberto a
Teodebaldo, e poi ancora da Clotario al suo successore, Sigeberto).
84
Procop. Bell. Goth. IV 24, 15, p. 619 (tr. it., p. 731). «Fino a quali limiti questa occupazione si estendesse è difficile precisare, forse a non molta distanza dalla linea litoranea della terraferma» (R. Cessi,
Provincia, Ducato, Regnum nella Venetia Bizantina, «AIV» 123, 1964-65, p. 405, n. 2).
85
Cfr. J.B. Bury, History cit., II, p. 258, n. 3; cfr. anche O. Bertolini, s.v. Baduila cit., p. 147. Procopio
(Bell. Goth. IV 24, 30, p. 622; tr. it., p. 733) ci informa che, tra la fine del 551 e l’inizio del 552, Teodebaldo
inviò una sua ambasceria, capeggiata da Leudardo, per rispondere all’ambasceria di Leonzio (cfr. PLRE IIIB, s.v. Leudardus, p. 786). Questo ambasciatore, «and his colleagues were probably the adressees of the
letter from the Milanese Clergy on the religious situation» (ancora PLRE III-B, s.v. Leudardus cit., p. 786; le
lettere in MGH EE, III, pp. 438 ss.).
86
Sulla missione a Costantinopoli, nel 546-547, degli inviati di Totila, Pelagio e Teodoro, vd. Procop.
Bell. Goth. III 21, 18-25, pp. 393-394 (tr. it., pp. 593-594) e O. Bertolini, Roma cit., pp. 169 ss.; E.
Stein, Bas-Empire cit., p. 582; cfr. anche J. Sundwall, Abhandlungen cit., pp. 163; 306 e PLRE III-B, s.v.
Theodorus 14, p. 1249 (= Theodorus 24, pp. 1252-1253?); e s.v. Totila, p. 1330. Secondo alcuni
studiosi, ad una delle missioni dei Goti a Costantinopoli, a quella del 546-547, già citata, o alla
seguente, fallimentare, databile al 549-550, diretta da un romano di nome Stefano (vd. Procop. Bell. Goth.
III 37, 6-7, p. 464, tr. it., pp. 636; PLRE III-B, s.vv. Stephanus 11, p. 1186; Totila cit., p. 1331), avrebbe
preso parte il poeta Massimiano, se i suoi versi missus ad Eoas legati munera partes | tranquillum
cunctis nectere pacis opus etc. (Elegiae V, 1-2 ss., pp. 260 ss.) possono ricordare una di queste
vidende diplomatiche, nella cornice di una celebre avventura / disavventura erotica, paradossale e
metaforica (cfr. G. Boano, Su Massimiano e le sue Elegie, «RFIC» 27, 1949, p. 203, che propende per il
546, mentre E. Merone, Per la biografia di Massimiano, «GIF» 1, 1948, pp. 348-349
29
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
Merovingi, forse Childeberto; l’approccio del sovrano ostrogoto, che mirava
probabilmente a preservare la pace con i suoi vicini occidentali, non ebbe tuttavia
successo87, mentre la guerra in Italia continuava con difficoltà fino al richiamo, in
quello stesso anno, di Belisario88. Al re Childeberto si rivolse nel 550 il papa Vigilio,
attraverso Aureliano, vescovo di Arles, perché esortasse Totila a non danneggiare o
mettere in difficoltà la Chiesa Cattolica ed i suoi esponenti89: tuttavia Childeberto si
guardò bene dall’intervenire nelle vicende italiane.
Ancora nel 551 Totila aveva inviato ambasciatori a Giustiniano avanzando
proposte di pace e lamentando come ormai solo la Sicilia e la Dalmazia fossero
restate indenni dalla guerra, e i Goti erano disposti a cederle all’Impero, mentre i
Franchi avevano proditoriamente occupato gran parte dell’Italia90.
§ 4. Verso la conclusione della guerra gotico-bizantina
Nella primavera del 552, Totila era convinto che Narsete, il quale intanto aveva
sostituito al comando Belisario sul fronte della guerra italiana91, avrebbe scelto il
percorso terrestre, puntando direttamente su Verona, come aveva fatto – a suo tempo
– il grande Teodorico, dopo aver battuto Odoacre sull’Isonzo.
Nell’eventualità, invece, che i bizantini avessero scelto di effettuare operazioni
marittime, Totila riteneva che, senza distogliere truppe dagli altri scacchieri
nella penisola, gli sarebbe bastato uno schieramento relativamente leggero per
rintuzzare l’altro gli eventuali sbarchi, quando e dove si fossero verificati. Per
questo incaricò un giovane e valoroso comandante, di nome Teia, di organizzare comunque una linea di difesa, con caposaldo strategico e operativo incardinato proprio su
e L. Alfonsi, Sulle Elegie di Massimiano, «AIV» 101, 1941-42, p. 349, propendono per il 549; cfr. anche, in
gen., F. Bertini, Boezio e Massimiano, in Atti del Congresso Internazionale di Studi Boeziani, Pavia 5-8
ottobre 1980, Roma 1981, spec. pp. 281-283; e il più generico J. Sundwall, Abhandlungen cit., p. 139, che
scriveva: «nach Konstantinopel geschickt... wohl zu Totilas Zeit». Più sfumata la datazione in PLRE II, s.v.
Maximianus 7, p. 740).
87
Vd. Procop. Bell. Goth. III 37, 1, p. 463 (tr. it., pp. 636); cfr. E. Stein, Bas-Empire cit., p. 587.
88
Cfr. E. Stein, Bas-Empire cit., pp. 589 ss.; dell’affanno che mostrava il governo bizantino nella gestione
della guerra contro i Goti, sotto la guida di Belisario, resta la velenosa polemica di Procopio (Historia quae
dicitur Arcana, in J. Haury-G. Wirth (edd.), Lipsiae 1963, vol. III, §§ 4-5, pp. 29-32, trad. it. cur. da F.M.
Pontani, Roma 1972, pp. 42-51).
89
Epistolae Arelatenses n. 45, pp. 66-69.
90
Vd. Procop. Bell. Goth. IV 24, 3-5, pp. 616-617, tr. it., p. 730. Sul dettaglio degli eventi della guerra
gotica tra 545 e 552, cfr. comunque E. Stein, Bas-Empire cit., pp. 577 ss.; Rubin, Das Zeitalter cit., p. 196.
91
Vd. Liber Pontificalis, LXI. Vigilius (Duchesne, I, p. 299 e n. 27, p. 301; vd. anche Io. Mal., Chron.
XVIII, 110, p. 412 (=ed. Dindorf, pp. 484-485) e Cedren., Hist. Comp. I, 659, 4-6); cfr. E. Stein, Bas-Empire
cit., pp. 597 ss.; PLRE III-B, s.v. Narses 1 cit., pp. 916 ss. e F. Beisel, Theudebertus Magnus cit., p. 121.
30
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
Verona92. Ma Narsete, proveniente da Salona93, «giunto ai confini del Veneto, mandò
un messaggero ai comandanti dei Franchi, che erano a capo dei presidi militari nelle
varie città fortificate di quella regione, chiedendo che lasciassero libero passaggio
alle sue truppe, come amici e alleati».
Le parole di Narsete sembrano echeggiare una preesistente situazione pattizia,
al rispetto della quale il comandante bizantino doveva essersi riferito, ma «quelli
risposero che non potevano per nessuna ragione permettere ciò a Narsete, non ne
rivelarono però il motivo, anzi tennero ben nascosto che era interesse dei Franchi
sbarrare il passo ai Romani, data la loro a micizia con i Goti, e accamparono invece
un pretesto non molto plausibile»), e cioè Œti dÓ Laggobårdaq toÂq sfºsi polemivtåtoyq...
®pagømenoq Ìkei («che egli conduceva con sé anche dei Longobardi, che erano loro
nemici»94).
L’alternativa che Narsete aveva di fronte a sé consisteva infatti
nel decidere tra forzare il sistema difensivo messo in opera da Teia, che
sfruttava anche le caratteristiche del terreno, e far sfilare il suo esercito
lungo il litorale: Narsete optò per il percorso costiero, «superando le difficoltà
dovute alle condizioni precarie dei passaggi fluviali lungo la vecchia via Annia»95
92
Procop. Bell. Goth. IV 26, 21-22, pp. 633-634 (tr. it., p. 739); E. Gibbon, The History of the Decline
and Fall cit., vol. II, chap. xliii, p. 753, tr. it., p. 1637; Th. Hodgkin, Italy and her Invaders cit., IV, p. 626;
J.B. Bury, History cit., II, p. 262. Cfr. A. Nagl, s.v. Theia, RE V. A.2 (1934), c. 1603; Ead., s.v. Totila cit., c.
1836 e PLRE III-B, s.v. Theia, p. 1224. Cfr. anche C.G. Mor, Verona Medievale cit., p. 16, che sembra
riservare, oltre che a Verona, anche a Treviso, un ruolo strategico nell’impianto difensivo di Teia: ma forse
c’è qualche confusione con il ruolo rappresentato da Treviso al tempo di Totila. Vd. supra nota 52.
93
Vd. Theoph., Chron. A.M. 6043, p. 227 De Boor (= 352 B); Anastas., Chron., p. 144, 17-20 De Boor;
cfr. A. Lippold, s.v. Narses 13a, RE Supplbd. XIII (1970), cc. 875-876 (sulla partenza delle truppe imperiali
guidate da Narsete ).
94
I passi greci sono tratti da Procop. Bell. Goth. IV 26, 18-19, pp. 632-633 (tr. it., p. 739); cfr. E. Stein,
Bas-Empire cit., pp. 534; 600-601. Così chiosa Th. Hodgkin il ‘pretesto’ addotto dai Franchi: «the real
reason for this hostile procedure was that for the moment it seemed a more profitable course to keep, than to
break, the oaths which the Franks had sworn to the Goths» (Italy and her Invaders cit., IV, p. 625; cfr. anche
R. Holtzmann, Die Italienpolitik der Merowinger cit., p. 16). L’esercito di Narsete era costituito da
contingenti di diverse nazionalità, tra cui anche tremila Eruli i quali, dopo la guerra, saranno stanziati nel
Trentino per assicurare la difesa di quel territorio di confine; cfr. V. Bierbauer, Zur ostgotischen Geschichte
cit., p. 34. Per l’alternanza della denominazione dei Longobardi in greco cfr. anche Suid. Lex., ed. A. Adler
cit., L 21e L 642, vol. I, 3, risp. pp. 226 e 278.
95
Cfr. M. Pavan, Venanzio Fortunato tra Venetia, Danubio e Gallia cit., p. 14. Sulla via di accesso scelta
da Narsete cfr. R. Cessi, Provincia cit., p. 405, n. 2; C.G. Mor, Da Roma a Carlo Magno: vicende politiche
tra Piave e Livenza, in «Le origini del Cristianesimo tra Piave e Livenza» cit., p. 13; G. Rosada, La direttrice
endolagunare e per acque interne nella decima regio maritima: tra risorsa naturale e organizzazione
antropica, in La Venetia nell’area Padano-Danubiana cit. (1990), p. 159, per rinvii ai passi procopiani qui
citati; cfr. anche O. Bertolini, Roma cit., p. 183; A. Nagl, s.v. Theia cit., c. 1603; S. Mazzarino, Per una
storia delle Venezie cit., p. 257. C.G. Mor sostiene che i Franchi avrebbero negato il passaggio agli imperiali
«per la pianura, lungo la Postumia (la litoranea Annia era già sommersa)» (Verona Medievale cit., p. 16).
31
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
e varcando le lagune ve nete, rimaste evidentemente sotto il controllo imperiale, dove
kathkøvn sfºsin œntvn «gli abitanti erano tutti sudditi fedeli»96.
Totila era al corrente degli ultimi eventi veneti, e le notizie della veloce
avanzata di Narsete lungo il litorale a sud dell’Adige, che smentivano le sue previsioni, sconvolsero i suoi piani. L’invio di Teia a Verona si era rivelato – per i Goti
– una mossa errata, perché aveva lasciato sguarnita al nemico la via per Ravenna, e
gli aveva altresì offerto la possibilità di tagliare in due lo schieramento gotico,
separando il re dalla parte migliore delle sue forze. Si può ritenere che a quel punto,
per propria autonoma scelta o per ordine superiore, Teia decidesse, in pratica, di
abbandonare la Venetia, lasciando senza difesa città e fortificazioni, mettendosi alla
testa delle sue residue forze per raggiungere Totila, acquartierato nella vicinanze di
Roma. I territori veneti finirono allora ancor di più sotto la pressione dei Franchi
esclusa sempre, forse, l’area veronese.
Ma Totila, come sappiamo, fu di lì a poco sconfitto nella battaglia di Busta
Gallorum (fine giugno 552)97 e, a quel punto Narsete poté intraprendere la riconquista
dell’Italia liberandosi per prima cosa del contingente ausiliario di Longobardi,
divenuto sempre più ingombrante e pericoloso persino per quelle così terribili
contingenze: «prima di tutto pose fine al deprecabile comportamento dei Longobardi
che militavano nell’esercito, perché essi, superando la loro consueta inciviltà di modi,
ora si erano messi ad appiccare il fuoco a tutti gli edifici che trovavano e a violentare
le donne, trascinandole via dai santuari in cui si erano rifugiate. Egli se li propiziò
con molti ricchi doni e li convinse a tornare in patria, dando ordine a Valeriano e a
Damiano, suo nipote, di scortarli coi propri soldati, per impedire che facessero danni
a qualcuno lungoil cammino»98. Il contingente longobardo venne quindi “accompa96
Procop. Bell. Goth. IV 26, 24, p. 634 (tr. it., p. 740); cfr. PLRE III-B, s.v. Narses 1 cit., p. 917.
Procop. Bell. Goth. IV 32, 7-21, p. 652-654 (tr. it., p. 753-756); Narses eunuchus ex praeposito
patricius Totilanem Gothorum regem proelio apud Italiam mirabiliter superat ac perimit et omnes eius
divitias tollit (Victoris Tonnenensis Episcopi, Chronica ad a. 554, 4, p. 203); vd. Mar. Av. Chronica ad a.
553 e 568, pp. 236 e 238; Additamenta ad Chronica Minora (isidoriana), in Chronica Minora II cit., p. 503;
Agnellus Rav., lib pont. 62, in O. Holder-Egger (ed.), Agnelli qui et Andreas Liber Pontificalis Ecclesiae Ravennatis, MGH SS. rer. Lang., Hannoverae 1878, p. 322; Paul. Diac. Hist. Rom. XVI 23, p. 135; Beda
Chron. 522, ed. Th. Mommsen, MGH AA, XIII =Chronica minora III, Berlin 1898, repr. München 1981, p.
308; e anche gli Additamenta ad Chronica Bedana, ibid., p. 334; Io. Mal., Chron. XVIII, 116, p. 415 (=ed.
Dindorf, p. 486); Theoph., Chron. A.M. 6044, p. 228 De Boor = 354 B; Cedren., Hist. Comp. I, 659, 17).
Cfr. J.B. Bury, History cit., II, pp. 258-269; O. Bertolini, s.v. Baduila cit., pp. 148-149; E. Stein, Bas-Empire
cit., pp. 601-602; Rubin, Das Zeitalter cit., p. 196; A. Lippold, s.v. Narses cit., c. 876; PLRE III-B, s.v.
Narses 1 cit., pp. 917-918.
98
Procop. Bell. Goth. IV 33, 2, pp. 661-662 (tr. it., p. 757; molto più edulcorato Paul. Diac. Hist. Lang. II
1, p. 76). Cfr. anche E. Gibbon, The History of the Decline and Fall cit., vol. II, chap. xliii, pp. 753-755, tr.
it., pp. 1636-1637; G.B. Bognetti, Santa Maria cit., p. 201; E. Stein, Bas-Empire cit., p. 602; C.G. Mor,
Bizantini e Langobardi sul limite della Laguna, «AAAd» 17, 1980, p. 232; N. Christie, The Lombards. The
Ancient Lombards, Oxford UK-Cambridge USA 1995, tr. it. I
97
32
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
gnato” verso il confine nordorientale da truppe imperiali: in quella circostanza i bizantini tentarono di porre l’assedio a Verona, ancora in mano ai Goti99, e si giunse
anche ad un preliminare di trattativa tra assediati ed assedianti: Ÿ dÓ Fråggoi mauønteq,
Œsoi froyrÅn ®q tÅ ®pÁ Benetºaq xvrºa... («ma i Franchi, che erano acquartierati in altri
centri del Veneto, venuti a conoscenza di questi negoziati, si intromisero in ogni
modo per impedirli, reclamando il diritto di disporre essi di tutta la regione in quanto
appartenente a loro»100). Teia, ritornato precipitosamente al nord e proclamato re
come successore di Totila (et levaverunt super se Gothi regem nominem Teia in
Ticino102), si diede a sua volta da fare per cercare di «attirare i Franchi in un’alleanza
militare» contro i bizantini, senza tuttavia successo101; anzi, «persa ogni speranza
riguardo ai Franchi»103, tornò a Sud, pose in assetto di guerra le sue truppe a Cuma, e
si mise in marcia per affrontare Narsete.
La Venetia rimase così nuovamente, sia pure per un periodo abbastanza breve (estate-fine
552), pressoché in balìa degli eventi104. Noi sappiamo tuttavia che, alla morte di Teia,
Longobardi. Storia e Archeologia di un popolo, Genova 1997, p. 47; PLRE III-B, s.v. Narses 1 cit., p. 919. È
chiaro che quei Longobardi, guidati dal loro re Auduin, una volta entrati, al seguito dei bizantini, nell’Italia
settentrionale avevano preso buona nota di luoghi, difficoltà e possibilità e che questa loro ‘ricognizione’ non
sarebbe risultata vana: si può leggere il già citato Paul. Diac. Hist. Lang. II 1, p. 76, ove Auduin è confuso
con suo figlio e successore Alboin; cfr. anche, in gen., A Gasquet, L’Empire cit., p. 212; Th. Hodgkin, Italy
and her Invaders cit., V, pp. 132 ss.; P. Delogu, Il regno longobardo, in P. Delogu-A. Guillou-G. Ortalli,
Longobardi e Bizantini (Storia d’Italia, Torino 1980, vol. I), pp. 12-13 e PLRE III-A, s.v. Audoin, pp. 152153.
99
Vd. Procop. Bell. Goth. IV 33, 3, p. 662 (tr. it., p. 757). «Now, however, the Frankish generals
appeared upon the scene, and in the name of their master forbade Verona to be reunited to the Empire.
Owing to the number of fortresses which they now held in Upper Italy, the considered all the land north of
the Po to be in fact Frankish territory, and would suffer no city within its borders to surrender to the generals
of Justinian» (Th. Hodgkin, Italy and her Invaders cit., IV, p. 647; cfr. anche C.G. Mor, Verona Medievale
cit., p. 16; PLRE III-B, s.v. Valerianus 1, spec. pp. 1360-1361).
100
Procop. Bell. Goth. IV 33, 7, p. 662 (tr. it., p. 757); cfr. E. Stein, Bas-Empire cit., p. 602.
101
Agnellus Rav., lib pont. 62, p. 322; cfr. C.G. Mor, Verona Medievale cit., p. 16.
102
Procop. Bell. Goth. IV 33, 7, p. 662 (tr. it., p. 757); Agath. I 5, 2-ss., pp. 15-16 (tr. ingl., pp. 13-14).
«Teias accordingly strained every nerve to obtain a cordial alliance with the Franks, without which he deemed it impossible to meet Narses in the open field. The royal treasure in the stronghold of Pavia was all
expended in lavish gifts to Theudibald and his Court in order to obtain this alliance. The Franks took the
money of the dying Gothic nationality, and decided not to give it any assistance, but to let Emperor and King
fight out their battle to the end, that Italy might fall an easier prey to themselves» (Th. Hodgkin, Italy and
her Invaders cit., IV, pp. 647-648).
103
Procop. Bell. Goth. IV 34, 21, p. 670 (tr. it., p. 761); cfr. PLRE III-B, s.v. Narses 1 cit., pp. 919-920.
104
Purtroppo con la metà del 552 viene meno una fonte come Procopio, per noi preziosissima: comunque,
di un ritorno dei Goti, subito dopo la sconfitta di Teia, alle loro guarnigioni venete narra esplicitamente
Agazia, come, tra breve, avremo modo di vedere.
33
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
eliminato dall’offensiva bizantina scatenata da Narsete105, i Goti, non essendo più in
grado di darsi un sovrano, seppero comunque mantenere un embrione di autonoma
organizzazione statuale, che provvide a riorganizzare le loro scarse forze ed a
difendere i loro residui insediamenti, collocati lungo la penisola come rade macchie
di leopardo106. Una parte di quei Goti, in particolare, che avevano seguito Teia al
sud, avevano deciso di fare ritorno nelle loro ‘guarnigioni’ venete. Secondo Agazia,
infatti107 quelli al di là del Po (quelli, cioè, ®ktØq Pådoy) «si dispersero verso la
Venetia raggiungendo fortezze e città dove in precedenza erano vissuti»108. Tra
105
Cfr. J.B. Bury, History cit., II, pp. 270 ss.; E. Stein, Bas-Empire cit., pp. 603-604. Cfr. anche A. Nagl,
s.v. Theia cit., c. 1604; A. Lippold, s.v. Narses cit., cc. 878-879; Rubin, Das Zeitalter cit., p. 197 e PLRE IIIB, s.v. Theia cit., p. 1224.
106
Cfr. V. Bierbauer, Zur ostgotischen Geschichte cit., pp. 20 e 29. Conosciamo, ad es., da Procopio, il
nome di uno dei loro comandanti, Indulf (|Indo¥lf: vd. Bell. Goth. III 35, 29 e IV 35, pp. 457 e 677-678, tr.
it., pp. 633 e 766) che si rifugiò con un migliaio dei suoi a Ticinum (Pavia); su di lui cfr. anche L. Schmidt,
Die letzten Ostgoten, cit., p. 5; cfr. E. Stein, Bas-Empire cit., p. 604 e PLRE III-A, s.v. Indulf, p. 619
107
I 1, 6, p. 10; tr. ingl., p. 9.
108
Cfr. L. Schmidt, Die letzten Ostgoten, cit., pp. 5-6. La specifica espressione fro¥ria kaÁ polºsmata,
che il traduttore inglese di Agazia rende con «dispersed in the direction of Venice and the garrisons and
towns of that region, where they had previously lived» (tr. ingl., p. 9) è intesa in italiano, forse
affrettatamente, con «castelli e castelletti» da C.G. Mor (Bizantini e Langobardi cit., p. 233, ove è segnato,
per errore, un pol™smata). La traduzione di C.G. Mor del passo agaziano sopra citato deriva dalla
traduzione latina dello storico bizantino proposta nel Corpus Bonnense , ed. 1878, p. 16: in castellis et
oppidulis (cfr. ancora C.G. Mor, Da Roma a Carlo Magno: vicende politiche tra Piave e Livenza cit., p. 13).
Se si prescinde da scrittori tecnici, come Vegezio (IV sec. d.C. ex.) che tuttavia registra ancora
castrum/castra nel significato originario di ‘accampamento militare fortificato (non necessariamente
permanente)’, e che ad esempio distingue correttamente tra urbs (e civitas) e castellum (vd. es. Epit. III 3, p.
70; III 4, p. 72; III 8: sive illae civitates sint sive castella murata, p. 85; cfr. Iohannes Lyd. de mag. II, 6, p.
60, r. 15), c’è confusione nelle stesse fonti latine proprio tra castrum e castellum (es. Cassiodoro Var. I 17, 1
e I 17, 3; III 48, 1 e III 48, 2; cfr. W. Kubitschek, s.v. Castellum, in RE III.2, 1899, cc. 1755-1756), come
pure in una fonte bizantina più tarda come Io. Mal., Chron. XII, 34, p. 233; 40, p. 237; XIII, p. 253; XVIII,
66, p. 392 (=ed. Dindorf, risp. pp. 303, 1; 308, 17; 329, 6; 469, 7 e 13); cfr. G. Ravegnani, Kastron e polis
cit., p. 273, n. 16. Il termine greco un po’ impreciso fro¥rion vanta comunque ascendenze classiche (lo si
legge ad esempio in Strabone V 1, 9 per definire la città di Tergeste (hod. Trieste): fro¥rion Terg™stai) ed
avrebbe indicato al tempo di Agazia, qualcosa di assai simile al latino castellum (cfr., as es., Procop. de aed.
II 5, 9, p. 62; cfr. F. Dölger, Die frühbyzantinische und byzantinisch beeinflusste Stadt (V.-VIII.
Jahrhundert), in «Atti del III Congresso internazionale di Studi sull’Alto Medio Evo», Spoleto 1959, pp. 7072), ma anche, nella sua genericità, ciò che in latino si sarebbe, allora, definito castrum, cioè un luogo
fortificato di dimensioni più ragguardevoli (cfr. G. Ravegnani, Kastron e polis cit., p. 273 e Id., Castelli e
città cit., p. 10, n. 14); pølisma è peraltro un sinonimo di pøliq, e solo in senso letterale va inteso come
‘città’ (cfr. ad es., la definizione di Cuma: pølisma d‚ |ItalikØn in Agazia I 8, 2, p. 20; tr. ingl., p.
16; vd. anche Theopyl. Sim. Hist. III, 10, 6, p. 130 su cui cfr. ancora F. Dölger, Die frühbyzantinische Stadt
cit., p. 72, n. 19, e ancora G. Ravegnani, Kastron e polis cit., p. 273, n. 16; vd. anche le varianti polismåtion
34
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
queste guarnigioni è assai probabile vada annoverata quella di Treviso109, ma non
certamente quella di Ceneta, che dovette restare saldamente in mano Franca, come
sappiamo grazie allo sviluppo delle vicende successive110. Ancora Agazia ci
ragguaglia su un estremo tentativo diplomatico, nello steso tempo disperato e
spregiudicato, presso i Franchi, messo in atto dai Goti, verosimilmente dopo aver
valutato, in un primo tempo, l’opportunità di rivolgersi a tutti e tre i sovrani
merovingi111. Si decise infine di mandare ambasciatori al solo Teodebaldo in quanto
le sedi degli altri due sovrani erano troppo lontane. Questa scelta tuttavia non
venne condivisa da tutti i Goti (oª mÓn ”pan ge tØ ‘unoq), ma solo da coloro che
vivevano al di là del Po (mønoi d‚ ... ®ktØq Pådoy potamo†). L’espressione “quelli ®ktØq
in Michele Psello, Chronogr. VII b 34, p. 350, ptølisma, ibid. VII b 32, p. 350 e nell’equipollenza di Suid.
Lex., P 3043, ed. A. Adler, I, 4, p. 255). Siamo infatti in un frangente storico in cui sembra «esaurirsi
progressivamente la stessa idea di città, almeno nei suoi connotati consueti» (G. Ravegnani, Castelli e città
cit., pp. 15-16), ma, nello stesso tempo, «oltre ai forti militari in senso stretto le fonti ricordano come
‘castelli’ anche gli insediamenti civili» i quali, «per comodità possono essere definiti ‘castelli-città’. Questi
sorgevano di preferenza all’interno del territorio e avevano quali caratteristiche peculiari la presenza di un
nucleo di popolazione civile e di una cinta muraria» (ibid., p. 19); peraltro «un indizio indiretto dello
snaturamento dell’idea di città pare rilevabile anche dalla confusione terminologica fra pøliq e fro¥rion che
vengono usati come sinonimi nelle fonti. Il fenomeno, più avvertibile in Agazia, si accentua con Teofilatto
Simocatta» (ibid., p. 16, n. 34; cfr. Id., Kastron e polis cit., p. 282; cfr. F. Dölger, Die frühbyzantinische
Stadt cit., p. 72, n. 21). Per Agazia si consulti comunque il preziosissimo index verborum dell’ed. S.
Costanza cit., p. 356 (per pøliq e pølisma) e pp. 361-362 (per fro¥rion).
109
Che Tarvisium facesse parte delle «roccheforti gotiche», come Verona e Tridentum, nella Venetia
occupata dai Franchi, è sostenuto da A. Carile, Bellum cit., p. 175 = Società cit., p. 154; tuttavia, a parere di
G. Löhlein, anche «Verona ging in fränkischen Besitz über, ohne daß Goten und Byzantiner es verhüten
konnten» (Die Alpen- und Italienpolitik cit., p. 45); secondo C.G. Mor, ci sarebbe stato «un accordo fra il
presidio Goto e i Franchi nel senso di far passare Verona, con quanto sopravviveva di contingenti Goti, sotto
il controllo diretto del re di Austrasia» (Verona Medievale cit., p. 17; cfr. anche pp. 19-20). Per parte mia
credo che Verona sia ininterrottamente rimasta in mano dei Goti.
110
Evidentemente destituita da ogni fondamento la notizia non documentata rinvenibile in due lavori
assai risalenti, F. Ughelli, Italia Sacra sive de Episcopis Italiae et Insularum Adjacentium, Venetiis 1720, V,
c. 170 e G. Moroni, Dizionario di erudizione Storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni, Venezia
1841, vol. XI, p. 72 (s.v. Ceneda), secondo la quale Ceneda sarebbe stata distrutta da Totila; peraltro, anche
più recentemente, si è continuato a scrivere, di Ceneta, che «la localité fut détruite lors des conquêtes
byzantines», sempre senza rinvio alcuno a fonti verificabili (cfr. L. Jadin, s.v. Ceneda cit., c. 136; per non
parlare delle fantasiose notizie riportate da V. Botteon, Un documento prezioso cit., pp. 70-73, sul padre di
Totila, distruttore lui di Ceneda, e non il figlio, ecc., totalmente prive di fondamento documentale, anche se
assai fortunate, riprese come sono state da altri studiosi successivi che non si sono presi la briga di consultare
fonti o studi accreditati).
111
I 5, in., p. 15; tr. ingl., p. 13; per le successive citazioni vd. ancora Agath. I 5, 2, p. 15, tr. ingl. p. 13.
35
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
che la traduzione inglese rende con «those living beyond the Po»112, potrebbe
essere ancor meglio resa in italiano con «quelli a nord del Po»: Agazia infatti, nel
passo appena citato, distingueva appunto tra i Goti, quelli m‚n aªt©n e¬sv to† Pådoy, cioè al
di qua (cioè a sud) del Po, che si diressero in Toscana e in Liguria, e quelli d‚ ®ktøq,
cioè al di là (cioè a nord) del Po, che rientrarono nella Venetia: letteralmente si tratta
di espressioni tipo ‘fuori’ = ®ktøq, e ‘dentro’ = e¬sv, laddove la linea di demarcazione
rappresentata dal grande fiume indicava per l’osservatore (in particolare per l’osservatore di parte bizantina) un dentro, al di qua del Po (a sud), e un fuori al di là (verso
nord). Si creò perciò una frattura tra i Goti, che vedeva quelli della Venetia (comunque i Goti che ancora controllavano Verona e Ticinum) interessati a che un aiuto
esterno (in una sorta di speranzoso richiamo al ‘sistema teodericiano’ di equilibrio tra
i potentati germanici113) potesse ancora ribaltare la situazione, mentre tutti gli altri si
mostravano timorosi di ciò che il futuro, e soprattutto la capricciosità della sorte, poteva ancora recar loro, decidendo prudentemente di attendere lo sviluppo degli eventi e
porsi dalla parte del vincitore (paradoko†nteq m‚n kaÁ diapynuanømenoi tÅ poio¥mena, boyleyømenoi d‚ t©n krato¥ntvn gen™suai114). Sul trono austrasiano -come si è già detto- sedeva in quel momento Teodebaldo, giovane figlio di Teodeberto e di una principessa
gepida, e recente sposo di Vuldetrada, figlia a sua volta del re dei Longobardi, Wacho115:
Pådoy”
112
Th. Hodgkin scriveva: «I suppose that ®ktøq here means ‘beyond’ from the point of view of a dweller
in Rome» (Italy and her Invaders cit., V, p. 14, n. 1).
113
Non è inopportuno riportare alcune delle valutazioni politiche sul regime teodericiano cui partecipò
attivamente Cassiodoro, e sul suo sistema di amicizie, sudditanze e persino ‘solidarietà internazionali’, che
fece forte l’Italia ostrogota: Iord. Get. 296 (p. 131: nunquamque Gothus Francis cessit, dum viveret
Theodoricus, ove si riflette chiaramente il successivo rovesciamento dei rapporti di forza); Get. 303 (p. 136:
nec fuit in parte occidua gens quae Theodorico, dum adviveret, aut amicitia aut subiectione non deserviret)
e, soprattutto, l’Anonimo Valesiano II, 70 (ed. J. Moreau, Excerpta Valesiana, Lipsiae 1968, p., 29: et sic
sibi per circuitum placavit omnes gentes); cfr., in ogni caso, B. Saitta, La Civilitas di Teoderico cit., pp. 46
ss.; 141-142; sul tentativo teodericiano di costituire una sorta di solidarietà internazionale contro
l’imperialismo franco, coinvolgendovi quanti più popoli possibile cfr. ancora ibid., p. 48, n. 108.
114
Agath. I 5, 2, p. 15 (tr. ingl., p. 13: «not that the others were not delighted at their attempt at
subverting the established order, but being overawed by the uncertainty of the future, and fearful of the
capriciousness of fortune they suspended judgment, and kept a wary eye on events, since they were
determinated to be on the winning side»). Il passo agaziano è stato letto anche nell’edizione S. Costanza cit.,
p. 23 e questa infatti riporta il termine corretto paradoko†nteq anzichè karadoko†nteq come risulta invece
presumibilmente per un errore, nell’ed. R. Keydell di riferimento.
115
Cfr. J. Jarnut, Storia dei Longobardi cit., p. 17 e PLRE III-B, s.v. Theodebaldus 1 cit., p. 1228;
cfr. anche PLRE III-B, s.v. Vaces (Wacho), p. 1350 e s.v. Vuldetrada, pp. 1396-1397; vd. Origo
Gentis Langobardorum, 4., p. 4: et habuit Wacho de Austrigusa filias duas, nomen unae Wisigarda,
quam tradidit in matrimonium Theudiperti regis Francorum, et nomen secundae Walderada, quam
habuit uxorem Scusuald [= Teodebaldo, cfr. qui, supra, nota 82], rex Francorum, quam odio habens, tradidit
36
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
ricordo che egli aveva già fatto negare già a Teia l’aiuto richiesto, in quanto, a detta
di Procopio, «i Franchi, pensando alla propria convenienza... non erano disposti a
morire né per fare l’interesse dei Goti, né tanto meno quello dei Romani, ma piuttosto
aspiravano a impadronirsi essi stessi dell’Italia, e solamente a questo fine sarebbero
stati disposti a sottoporsi ai rischi di una guerra»116.
Comunque l’ambasceria di quelli che potremmo chiamare ‘i Goti della Venetia’ si
presentò al re Teodebaldo nei primi mesi del 553 e illustrò a lui ed alla sua corte, con
dovizia di spunti storici e giuridici, il diritto della nazione gota a vivere laddove
Teodorico aveva fondato il suo regno, peraltro su esplicita autorizzazione imperiale.
Gli ambasciatori Goti richiesero senza indugi un intervento militare dei Franchi
lanciando anche fosche previsioni sul futuro degli stessi Franchi, minacciati dai
Romani (=dai Bizantini) secondo una tradizione da farsi risalire a Mario e a Cesare117.
Il discorso, di certo ricostruito ed abbellito retoricamente da Agazia, mostra qualche
interesse e probabilmente indica come non fosse venuta meno, in ciò che restava
della classe di governo teodericiana, la capacità di elaborazione politica anche se gli
stessi ambasciatori si dissero infine disposti a versare un’ingente somma al sovrano
merovingio, in genere più sensibile a questo argomento che alle dotte riflessioni su
corsi e ricorsi storici.
eam Garipald in uxorem. «Diese langobardische Prinzessin, die nach dem frühen Tod ihres Gatten, des
austrasischen Königs Theudebald im Jahre 555 zunächst von Chlothar I zur Frau genommen, dann an den
bairischen Herzog Garibald weiter gereicht wurde» (Ursula Koch, Mediterranes und Langobardisches
Kulturgut in Gräbern der Älteren Merowingerzeit zwischen Main, Neckar und Rhein, in «Atti del VI
Congresso Internazionale di Studi sull’Alto Medioevo» cit., t. I, p. 113); si tratta della madre della famosa
regina Teodolinda, avuta in seguito, dal suo terzo marito; cfr. ibid., s.v. Theodolinda, pp. 1235-1236.
116
Procop. Bell. Goth. IV 34, 18, pp. 669-670, tr. it. 761. Cfr. A. Nagl, s.v. Theia cit., c. 1603; Th.
Hodgkin scriveva: «the Franks of the Sixth Century, according to Procopius, adopted the ungenerous policy
of always turning their neighbours’ troubles to profitable account, by seizing their most precious possessions
when they were engaged in a life and death struggle with some powerful enemy» (Italy and her Invaders cit.,
IV, p. 619); G. Löhlein, a sua volta, osservava: «er war sich darüber klar, daß die Byzantiner, nachdem sie
das der fränkischen Provinz vorgelagerte Gotenreich zerschlagen und Italien bis zum Po sich unterworfen
hatten, ihre Hand auch nach den Gebieten nördlich des Flusses ausstrecken würden, daß im besonderen das
für die Landverbindung von Byzanz her äußerst bedeutsame Venetien am meisten von den Oströmern
begehrt und deshalb am stärksten bedroht war» (Die Alpen- und Italienpolitik cit., p. 46).
117
Agath. I 5, 4-10, pp. 15-17 (tr. ingl., pp. 13-14). W. Goffart sintetizzava: «an Ostrogothic embassy to
the Franks suggested to them that it was in their best interests to maintain the Ostrogoths as a buffer agains
the Empire» (Byzantine Policy in the West under Tiberius II and Maurice. The Pretenders Hermenegild and
Gundovald (579-585), «Traditio» 13, 1957, p. 76). Già in una lettera a Clodoveo (vd. Cassiodoro, Var. III, 4;
cfr. B. Saitta, La Civilitas di Teoderico cit., pp. 48-49, n. 109), il vecchio Teodorico aveva indicato proprio
nelle pressioni bizantine sul sovrano merovingio perché attaccasse i Visigoti di Spagna, la aliena malignitas
che ancora qui sembrano adombrare gli ultimi ambasciatori Goti nel disperato tentativo di portar dalla loro i
Franchi.
37
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
Alle richieste dei Goti si contrappose una facciata di neutralità, almeno come
dichiarazione di intenti: i Franchi non avrebbero intrapreso azioni militari per trarre
d’impaccio altri dai propri problemi118, ma la corte austrasiana pensò bene, forse, di
‘girare’ la richiesta dei Goti a due capi alamanni: Le¥uariq d‚ kaÁ Boytil¡noq, eἰ kaÁ tØn
basil‚a sf©n Ìkista ˚resken... e i due (Leutari e Buccellino), dato che il progetto non
interessava il loro sovrano, accettarono l’alleanza di loro autonoma iniziativa119.
§ 5. L’invasione franco-alamannica degli anni 553-554
[esame delle fonti su Ceneda nn. 2, 5 e 6]
Come ha sintetizzato un grande storico del Tardoantico, «the fighting was not
over, for there were still Gothic garrisons holding out in a number of towns, and in
the north the Franks, who had some years past taken advantage of the struggle to
occupy large parts of the Alpine provinces and Venetia, now became aggressive. In
this same year (553) a vast horde of Franks and their Alaman subjects swept through
Italy»120.
I due capi Alamanni, Leutari e Buccelino (Butilino) 121, predisposero, con la
118
Agath. I 6, in., p. 17 (tr. ingl., p. 14); L. Muratori così sintetizzava l’esito dell’ambasceria dei «Goti
Transpadani» a re Teodebaldo: essi «nol ritrovarono disposto a voler brighe di guerra» (Annali d’Italia dal
principio dell’Era Volgare sino all’anno 1500, Milano 1744, tomo III, p. 437).
119
Agath. I 6, 2, p. 17 (tr. ingl., p. 14: «Leutharis and Butilinus, however, accepted the alliance on their
own initiative even though it held no attraction for their king»); è chiaro tuttavia, in Agazia (I 6, 6, pp. 17-18,
tr. ingl., p. 15), come gli Alamanni dipendessero dal re dei Franchi (definito ‘il loro re’!) e, di conseguenza,
come le loro scelte militari derivassero, in definitiva, da un mandato reale. Secondo G. Löhlein, tuttavia, i
due capi Alamanni avrebbero operato «gegen den Willen des Königs» (Die Alpen- und Italienpolitik cit., p.
46; analogamente in R. Holtzmann, Die Italienpolitik der Merowinger cit., p. 14). Più romantica la lettura di
L. Muratori, Annali d’Italia cit., tomo III, p. 437: «costoro [Leutari e Buccellino] veggendo che il re
Teodebaldo preferiva il gusto della pace ad ogni guadagno, presero essi l’assunto di far la guerra in Italia a i
Greci, invaniti dalla speranza di grandi conquiste e d’immenso bottino».
120
A.H.M. Jones, The Later Roman Empire cit., p. 291; tr. it., p. 360; cfr. anche L. Schmidt, Die letzten
Ostgoten, cit., pp. 6-7.
121
Si trattava di due fratelli, di nazionalità alamannica (Agath. I 6, 2, p. 17; tr. ingl., p. 14) i quali, a
quanto pare, disponevano di notevole ascendente ed influenza sui Franchi (d¥namin d‚ parÅ Fråggoiq
megºsthn eἰx™thn, ibid.; cfr. W. Enßlin, s.v. Leuthari, RE XII.2 (1924), cc. 2313-2314; cfr. V. Bierbauer, Zur
ostgotischen Geschichte cit., p. 29; H. Keller, Fränkische Herrschaft cit., p. 7). Per quanto riguarda la
tradizione relativa ai loro nomi, H. Keller sottolineava che «die fränkischen Quellen, ...von Leuthari nichts
wissen» (Fränkische Herrschaft cit., p. 8): infatti Mar. Avent. (Chr. a. 555.4 e 568, pp. 237 e 238) e Greg.
Tur. (Hist. Fr. III 32, vol. I, p. 268) ricordano il solo Buccelenus; mentre Agath. (I 6, 2 e ss., p. 17; tr. ingl.,
p. 14) e Paul. Diac. (Hist. Lang. II 2, p. 78) parlano di entrambi, con le grafie rispettive: Le¥uariq e Boytil¡noq – Leutharius e Buccellinus. Vd. comunque, in qualche codice agaziano, la variante boytoyl¡noq; cfr.
ed. S. Costanza cit., p. 25, apparato a r. 11.
38
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
massima rapidità, una spedizione, ammantata di qualche velleità di revanche filogotica, e verosimilmente mossero da basi Franche122: «l’autorité exercée par Butilin et
Leutharis pour le compte de la monarchie franque, s’étendait probablement aussi sur
les conquêtes vénitiennes de Théodebert car Butilin avait déjà commandé en Italie du
vivant de ce roi»123.
Teodebaldo non solo non vi si oppose ma probabilmente incoraggiò
l'impresa124 tanto che sotto il comando dei due avventurieri finì anche un contingente
di guerrieri Franchi125.
Nella primavera del 553 il grosso delle truppe di invasione attraversò le Alpi,
entrò in Italia e si diresse rapidamente verso il fiume Po126, mentre Narsete, appresa
122
«Wenn man will, kann man in Leuthari, den Agathias an erster Stelle nennt und den die fränkischen
Quellen überhaupt nicht erwähnen, sozusagen das “inneralemannische Pendant” und somit den
“eigentlichen” Alamannenherzog sehen. Ich halte es für wahrscheinlicher, daß auch er vom Frankenkönig
mit einer Machtbasis im alemannisch beeinflußten Grenzbereich – etwa in Rätien, um Basel/Augst oder im
Elsaß – ausgestattet worden war und von ihr aus zusammen mit seinem Bruder den politisch nur lose
erfaßten inneralemannischen Raum kontrollierte» (H. Keller, Fränkische Herrschaft cit., p. 9).
123
E. Stein, Bas-Empire cit., p. 605 (sottolineatura mia; il riferimento è a Paul. Diac. Hist. Lang. II, 2, p.
78); cfr. anche L.M. Hartmann, s.v. Butilinus, RE III.1 (1897), c. 1085; H. Büttner, Die Alpenpolitik der
Franken cit., p. 67 e F. Beisel, Theudebertus Magnus cit., pp. 122-123.
124
Cfr. Agath. I 6, 2, p. 17 (tr. ingl., p. 14); la sua avidità era nota: non è escluso che contasse in una
congrua quota parte del bottino (cfr. J.B. Bury, History cit., II, p. 275, n. 3). Teodebaldo non gode di gran
fama nelle fonti, anzi «primo di una lunga serie di re merovingi, morì esaurito da stravizi» (G. Pepe, Il
Medioevo Barbarico in Europa cit., p. 124; cfr. anche M. Christian Pfister, La Gallia sotto i Franchi
Merovingi cit., p. 696: «Teodebaldo perì, vittima di una precoce dissolutezza, nel 555»).
125
Cfr. Agath. I 7, 8, p. 19 (tr. ingl., p. 16): i due ritenevano arrogantemente di non trovare seri ostacoli
alla loro marcia, in quanto Narsete, il comandante bizantino, era per loro ‘solo un eunuco’, quindi un essere
incapace di combattere. L. Muratori, Annali d’Italia cit., tomo III, pp. 437-438, così chiosava: «sprezzando
sopra tutto Narsete, per essere eunuco, ed allevato solamente fra le delizie della corte. Certo non dovevano
ben conoscere...»; cfr. Th. Hodgkin, Italy and her Invaders cit., V, p. 16; H. Keller, Fränkische Herrschaft
cit., pp. 7 ss. Agazia assegna agli invasori il numero di 75 mila («chiffre, manifestement incroyable», come
scrive E. Stein, Bas-Empire cit., p. 606). Sul comportamento differenziato di Franchi ed Alamanni si
sofferma diffusamente Agazia, con spunti di carattere etnologico, folclorico ed antropologico (I 6, 4-I 7, 7,
pp. 17-19, tr. ingl., pp. 14-16; II 1, 6ss., pp. 40-41, tr. ingl., pp. 32-33); sulla contrapposizione tra Franchi
‘civili’ in quanto cristiani (e cattolici), e Alamanni ‘incivili’ perché pagani, cfr. S. Costanza, Orientamenti
cristiani della storiografia di Agatia, «Helikon» 2, 1962, spec. pp. 93-95; 98-99; 110; sulla concezione del
mondo di Agazia e, in particolare, sul suo «mépris pour toutes sortes de superstitions», cfr. Z.V. Udal’cova,
Le monde vu par les historiens byzantins du IVe au VIIe siècle, «ByzSlav» 33, 1972, spec. pp. 203-205. Vd.
qui comunque al successivo § 6.
126
Cfr. Agath. I 11, 2, p. 23 (tr. ingl., p. 18); per la datazione cfr. Ch. Diehl, Giustiniano. La
restaurazione imperiale in Occidente, in The Cambridge Medieval History, Cambridge 1911-1913, ed.
it. Storia del Mondo Medievale, vol. I, La Fine del Mondo Antico, Milano 1978, p. 590 («metà del
553) G. Löhlein, Die Alpen- und Italienpolitik cit., p. 47 («im Frühjahr 553»); W. Enßlin, s.v. Leuthari
39
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
la notizia «de l’invasion franco-amamanique, il laissa un corps d’armée devant la
ville et marcha vers le Nord»127.
Narsete stava dirigendo le operazioni di eliminazione delle sacche di resistenza dei Goti nell’Italia meridionale e centrale: la guarnigione di Lucca, ad es.,
nell’autunno del 553 ancora resisteva, rincuorata proprio dalle speranze alimentate
dalle notizie sull’intervento di Leutari e Buccelino128.
L’attacco franco-alamanno si rivelò da subito potenzialmente assai insidioso,
anche perché molti Goti sbandati vi si unirono, soprattutto Goti della Liguria e
dell’Emilia, che non esitarono a violare i loro accordi con i Bizantini riscontrando di
avere assai più in comune con i Franco-alamanni129: da Parma (autunno del 553130)
toccò l’Etruria e si spinse verso Roma (primavera del 554), all’altezza della quale gli
invasori si divisero in due colonne d’attacco, ciascuna capitanata da uno dei fratelli.
Questo fu certamente un errore in quanto alla divisione delle forze131, che
indebolì la loro capacità tattica, non corrispose nemmeno un disegno strategico
coordinato: Buccelino guidò comunque una lunga scorreria lungo la Campania, la
Lucania e il Bruzzio, fino allo stretto di Messina; Leutari devastò da par suo Puglia e
Calabria ionica132. I due contingenti franco-alamannici, mano a mano che procedevano
nei sistematici saccheggi, risultavano sempre più appesantiti dal bottino: Leutari
«machte sich mit seiner Beute auf den Heimweg, um sie in Sicherheit zu bringen,
cit., c. 2314 («Frühjahr 553 gingen sie über die Alpen»); E. Stein, Bas-Empire cit., pp. 605-606 («vers juin
553 ils menèrent dans la vallée du Pô»); W. Treadgold, A History of the Byzantine State and Society,
Stanford (California) 1997, p. 211 («these new arrivals were more interested in plunder than conquest»). Una
cronologia della spedizione di Leutari e Buccellino si legge anche nel vecchio lavoro di E. De Muralt, Essai
de Chronographie Byzantine de 395 a 1057, St.-Pétersbourg 1855, I, pp. 207-209.
127
E. Stein, Bas-Empire cit., p. 606.
128
Vd. Agath. I 12, in., p. 24 (tr. ingl., p. 19); per la cronologia di questo passo cfr. Averil Cameron,
Agathias cit., p. 143. Cfr. anche Th. Hodgkin, Italy and her Invaders cit., V, pp. 21 ss. ed E. Stein, BasEmpire cit., pp. 606-607.
129
Vd. Agath. I 15, 7 p. 29 (tr. ingl., p. 23).
130
Nel frattempo, secondo quanto narra Agath. I 21, 2 p. 37 (tr. ingl., p. 29), Narsete si era acquartierato a
Rimini dove ricevette l’insperato soccorso di un regolo germanico, anch’egli, curiosamente, di nome
Teodebaldo, «a namesake of the young king of the Austrasian Franks» (Th. Hodgkin, Italy and her Invaders
cit., V, p. 30), che si presentò alla testa dei suoi guerrieri «vom suebischen oder vandalischen Stamme der
Varanen» (A. Nagl, s.v. Ueydºbaldoq 2, RE V A.2, c. 1715; cfr. PLRE III-B, s.vv. Narses 1 cit., p. 921 e
Theodibaldus 2, p. 1228): ciò mostra che il ‘richiamo germanico’ dell’incursione non faceva
necessariamente aggio su tutti i barbari di origine germanica presenti in quel frangente in Italia.
131
Cfr. Agath. II 1, 3 p. 40 (tr. ingl., p. 32).
132
Cfr. E. Stein, Bas-Empire cit., p. 607.
40
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
und sandte auch seinem Bruder Boten, die ihm dasselbe raten sollten; erst nach
Sicherung seiner Beute wollte er seinem Bruder das Heer zu Hilfe senden»133, e
pertanto il capo alemanno decise di ritornare indietro risalendo la penisola, mentre
l’ambizioso Buccelino continuava le sue scorrerie: come si è detto, l’accordo tra i due
fratelli prevedeva probabilmente il sollecito ritorno di Leutari, una volta messo al
sicuro il bottino134. La colonna di Leutari, che aveva intrapreso l’itinerario costiero
adriatico, si scontrò duramente con la piccola ma ben guidata guarnigione bizantina
di Pºsayron (Pisaurum, Pesaro)135, perdendo in quella circostanza buona parte di quel
bottino, che cercava di mettere in salvo in territorio sotto controllo Franco: incalzate
dai bizantini, le truppe di Leutari, attraversato in qualche modo il Po, si diressero
allora in cerca di rifugio nella Venetia (katalabønteq d‚ Benetºan136). La descrizione
della ritirata di Leutari rivela incidentalmente alcune lacune di Agazia nell’esposizione della geografia italiana, dovute probabilmente a qualche appannamento delle
sue fonti. Comunque sia, obiettivo finale del capo alamanno si rivelò il castrum di
Ceneta: egli andò infatti ad accamparsi ®q K™neta tÓn pølin, cioè ‘nella città (nel
castrum) di Ceneda’137, «under the shadow od the dolomites», com’è stato scritto non
so se con intenti poetici o a causa di qualche moderna approssimazione geografica, e
lì si stabilì coi suoi fissandovi il proprio quartier generale138.
133
W. Enßlin, s.v. Leuthari cit., c. 2315.
Cfr. Agath. II 2 pp. 41-42 (tr. ingl., p. 33); cfr. L.M. Hartmann, s.v. Butilinus cit., c. 1086. Notava E.
Gibbon che «Buccelin was actuated by ambition, and Lothaire by avarice» (The History of the Decline and
Fall cit., vol. II, chap. xliii, p. 760, tr. it., p. 1643); «as spring changed to summer Leutharis wrote to propose
that they return home with their booty; Butilinus refused and chose to remain», come si legge in PLRE III-A,
s.v. Butilinus, p. 254; cfr. L. Schmidt, Die letzten Ostgoten, cit., p. 7.
135
Cfr. Agath. II 2, 5-8 pp. 42-43 (tr. ingl., p. 34); cfr. E. Stein, Bas-Empire cit., p. 607.
136
Cfr. Agath. II 3, 3 p. 43 (tr. ingl., p. 34). «Came into Venetia, which was now a recognised part of the
Frankish kingdom» (Th. Hodgkin, Italy and her Invaders cit., V, p. 35; cfr. G. Löhlein, Die Alpen- und
Italienpolitik cit., p. 47; R. Holtzmann, Die Italienpolitik der Merowinger cit., p. 14; N. Faldon, Le origini
del cristianesimo nel territorio, in N. Faldon (cur.), Storia Religiosa del Veneto – 3. – Diocesi di Vittorio
Veneto, Padova 1993, p. 38).
137
Agath. II 3, 3 p. 43 (tr. ingl., p. 34). La trascrizione in caratteri latini, basata sulla pronuncia del greco
del tempo, dà: es (o is) Kéneta tìn pólin). I codici più accreditati danno l’accusativo un po’ strano K™neta
anziché K™netan come ci si sarebbe dovuti attendere , cfr. l’ed. R. Keydell cit., p. 43, apparato r. 22; mentre
l’ed. S. Costanza cit., p. 67, apparato r. 2 sceglie esplicitamente di correggere K™neta con K™netan. Con ®q
tÓn pølin ovvero, meno frequentemente, e q tÓn pølin si deve intendere uno ‘stato in luogo raggiunto dopo
a un moto a luogo mirato’: Agazia fa largo uso di tale espressione: si veda in I 14, 4, p. 27 (®q Pårman... tÓn
pølin); I 15, 8, p. 29 (®q Fabenºan... tÓn pølin); I 21 in., p. 37 (®q |Arºmenon... tÓn pølin); II 2, 5, p. 42 (e q
Pºsayron tÓn pølin); II 15, 4, p. 60 (®q Sid©na tÓn pølin); III 14, 5, p. 102 (®q |Acaro†nta... tÓn pølin); III
19, 8, p. 109 (®q ... Fåsin tÓn pølin): i passi citati sono riferiti all’ed. R. Keydell cit.; un’espressione affine (®q
tØn fro¥rion) si ritrova in II 13 in., p. 57; II 19 in., p. 65; II 22, 3, p. 69; IV 16, 7, p. 143; IV 28 in., p. 158.
Si tratta di una locuzione stereotipata (‘verso la/nella città’), che nel caso di Costantinopoli ha dato
clamorosamente luogo alla sua denominazione turca contemporanea, Istambul, che altro non è, infatti, se non
la corruzione di un originario greco-bizantino is tìn pólin, ‘verso la/nella città’ (cfr. E.A. Sophocles, Greek
Lexicon of the Roman and Byzantine Periods (from B.C. 146 to A.D. 1100), New York 1900, p. 902, s.v.
pøliq).
134
41
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
Ceneta, già sotto i Franchi139, si lascia immaginare come una piazzaforte o
come un campo trincerato, che doveva offrire adeguate garanzie di sicurezza. Si
trattava probabilmente di un borgo fortificato, di un castrum, secondo la specifica
definizione che fornisce Paolo Diacono, laddove pone Cenitense castro in specifica
contrapposizione a Tarvisiana civitate140 (anche se dobbiamo ricordare che Paolo ha
in mente la situazione del suo tempo). Peraltro, una fonte anteriore a Paolo Diacono,
l’Anonimo Ravennate, citava Ceneda (unico testo a recare la grafia Ceneda al posto
dei più frequenti Ceneta o Cenita) tra le civitates della Venetia, ma forse ‘traducendo’
con civitas un testo greco o grecanico: item in regione Venetiarum, sunt civitates, id
est... Ceneda141.
Anche se appare malsicura la terminologia atta a qualificare la ‘città’ di
Ceneda, si torna sempre e comunque a castrum, qualunque sia il punto di partenza.
Leggiamo castrum in Paolo Diacono e non possiamo esimerci dal pensare che si
tratta di un termine applicato al VI secolo da uno scrittore dell’VIII; se propendes-
138
La localizzazione ‘sotto le Dolomiti’ è di Th. Hodgkin, Italy and her Invaders cit., V, p. 35. Cfr. anche
J.B. Bury, History cit., II, p. 278: «at the Venetian town of Ceneta, where he tookup his quarters to rest...» e
PLRE III-B, s.v. Leutharis, p. 790: «crossing the Po into Venetia, he made camp at Ceneta, a town in
Frankish possession and there his army was smitten with disease» (sottolineature mie).
139
Agath. II 3, 3 p. 43 (tr. ingl., p. 34): è importante sottolineare come Agazia non distingua affatto Leutari (ed i suoi) dai Franchi che già presidiavano militarmente Ceneta.
140
Hist. Lang. II 13, p. 90, con riferimento ai versi di Venanzio Fortunato che saranno esaminati al
successivo § 10. Sull’espressione villae seu castra, adoperata da Paolo Diacono in un passo assai prossimo
(Hist. Lang. II, 4, p. 80), cfr. le osservazioni di G. Pepe, Il Medioevo barbarico d’Italia cit., p. 111, n. 2.
141
IV, 30, p. 254; cfr. il testo dell’Anonimo è pubblicato anche in appendice a A.N. Rigoni, L’ambito
territoriale cit., pp. 146-149, spec., per il presente passo, p. 147; cfr. A. Grilli, Il territorio d’Aquileia cit., pp.
49-50. Come ha scritto G. Ravegnani: «la sanzione giuridica dello stato di città non sembra... la condizione
indispensabile per distinguere i castra dalle civitates, ma piuttosto un atto formale, ereditato da un’antica
consuetudine, per suggellare un processo di ascesa verso forme di vita cittadina. Sembra, in sostanza, che
indipendentemente dallo status giuridico alcuni castelli fossero normalmente considerati città e che il “diritto
di città” sia stato un privilegio accessorio piuttosto che una conditio sine qua non per riconoscere l’avvenuta
trasformazione. Ma non si può naturalmente generalizzare. Il castello non era un tipo unitario di
insediamento e, accanto ai veri e propri castelli-città, si avevano ridotte di nessuna importanza. Il tratto
distintivo tra kåstron e pøliq poteva essere meno netto per i forti di maggiore importanza: entrambi
possedevano una cinta muraria, che nel VI secolo è una fra le principali caratteristiche della città, e inoltre
anche nei castelli esistevano probabilmente consigli locali che – indipendentemente dall’effettiva importanza
sul piano amministrativo – erano un altro elemento distintivo della città» (Kastron e polis cit., p. 278).
42
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
simo però per civitas (grazie all’opera geografica del VII secolo) non potremmo non
tener conto dell’influsso linguistico che ci riporta inevitabilmente alla pøliq di Agazia,
che a sua volta non può essere tradotta se non con castrum142.
Sia come sia, questo castrum doveva essere dotato di caratteristiche
strategiche che lo rendevano di notevole interesse militare (oltre alla posizione di
controllo dei varchi settentrionali. Ceneda era senz’altro munita di una cinta di mura)
e possedeva anche, probabilmente, nel territorio circonvicino, un sistema più o meno
articolato (uno ‘spazio integrato’) di piccoli forti (propugnacula) e di torri di
guardia143.
È possibile affermare, anche se non con certezza assoluta, che il «fulcro»
dell’insediamento franco nell’entroterra della Venetia si trovasse proprio in Ceneta, e
che la cittadina rappresentasse, per lo schieramente Franco, il polo castrense di
riferimento144.
Nonostante la sicurezza che la località offriva loro, lo stato d’animo degli
uomini di Leutari precipitò in manifestazioni di collera e di cupo abbattimento: il loro
disappunto era esplicito e li spingeva ad eccessi ed intemperanze.
Praticamente nulla era rimasto del loro bottino e ciò significava che le loro fatiche
erano state vane: «in spite of the security the place afforted them their mood was angry and sullen, their disgruntlement evident and extreme»145. I fuggiaschi di Leutari,
142
Sulla denominazione di pøliq assegnata a Ceneda da Agazia, bisogna considerare infatti che tale
termine era forse sentito, da quell’autore, come sinonimo di castrum, nel senso di ‘insediamento urbano
fortificato’ (vd. qui, supra, nota 108; cfr. comunque G. Ravegnani, Kastron e polis cit., p. 278 e ancora Id.,
La difesa militare delle città in età giustinianea, «SdC» 14, 1980, pp. 98 e 114, n. 281; Id., Castelli e città
cit., pp. 10, n. 16; 16, n. 34; 19).
143
Ad es. vigilia, ‘torre di vedetta’, è toponimo che si ritrova puntualmente nell’attuale località di San
Giacomo ‘di Veglia’, nell’immediata periferia di Ceneda, l’attuale Vittorio Veneto (cfr. D. Olivieri,
Toponomastica Veneta cit., p. 143; W. Dorigo, Venezia Origini. Fondamenti, ipotesi, metodi, Milano 1983,
p. 63; cfr. anche G. Cannella, Ricerche su Ceneda nell’Alto Medio Evo (sec. VI-X), tesi di laurea a.a. 1970-71
– Università di Padova, Facoltà di Lettere e Filosofia, relatore prof. C.G. Mor, pp. 10-11; in generale
sull’insieme delle fortificazioni cenedesi, pp. 4-13); cfr. ancora questa ultima ricerca a proposito della torre
di vedetta di San Floriano «elemento satellite» del castrum cedenese, e sulle rocche di Sant’Antonio e di
Santa Augusta, sulla stretta di Serravalle (ibid., pp. 6-7); sulla torre di San Floriano cfr. anche A. Salvador,
Testimonianze in sito: morfologia, ruderi, strutture in elevato, in in «Atti del 3° Convegno. Castelli tra Piave
e Livenza» cit., p. 72. Sulle turres cfr., in gen., G. Ravegnani, Castelli e città cit., pp. 9-11; sui burgi, piccoli
castella, strutturalmente affini alle turres, ma con diversa funzione strategica, ibid., p. 11.
144
Cfr. ad es. A. Carile, Bellum cit., pp. 159; 176-177 = Società cit., pp. 138; 155; cfr. G. Rosada, Il
“viaggio” di Venanzio Fortunato ad Turones: il tratto da Ravenna ai Breonum loca e la strada per
submontana castella, in «Venanzio Fortunato tra Italia e Francia» cit. (1993), pp. 42-43, oltre ad G. Arnosti,
L’evoluzione delle logiche insediative cit., pp. 49-50 e Id., Appunti sul Ducato Longobardo di Ceneda, cit.,
pp. 17-18.
145
Agath. II 3, 3 p. 43 (tr. ingl., p. 34).
43
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
guerrieri selvaggi e incapaci di vita sedentaria, si ritrovarono ammassati in una
modesta area fortificata: non è difficile immaginare il clima di violenza che la
disperazione di quei guerrieri aveva introdotto drammaticamente in città.
Fu senza dubbio a causa di quell’improvviso aumento della popolazione, che a
Ceneta scoppiò un’epidemia (o forse una sequenza di epidemie).
Le truppe superstiti di Leutari, i Franchi che dobbiamo pensare presidiassero la città
costituendone la guarnigione stanziale, e infine la popolazione cenedese residente
dovettero esserne duramente provati146. Secondo alcuni – riferisce Agazia, il quale
lascia intendere di aver consultato (o aver attinto a) fonti alternative147 – sarebbe stata
l’aria del luogo ad essere malsana (non si comprende tuttavia se malsana di per sé, o
per effetto del sopravvenuto mutamento delle condizioni igienico-ambientali) e
quindi causa o concausa del diffondersi della malattia; secondo altri, invece,
l’improvviso ozio forzato avrebbe precipitato guerrieri abituati a marce forzate e
combattimenti nella pigrizia, nell’ozio, e in perniciose forme di indolenza. Ma, per lo
stesso storico, la malattia sarebbe stata una sorta di manifestazione ‘fisica’ di una
punizione soprannaturale, a causa delle turpi violazioni delle leggi umane e divine
perpetrate da quei barbari pagani durante la loro incursione148. Fuori dal moralismo di
scuola (e dall’omaggio alla religione), Agazia ci fornisce una descrizione degli effetti
del contagio, manifestatosi in forme diverse, ma tutte mortali: si tratta di un quadro
davvero colorito149, che serve a sottolineare paradigmaticamente la fine di
Leutari, e a chiudere il racconto della sua sconsiderata impresa; e la morte dell’avventuriero alemanno è descritta in termini raccapriccianti150. Paolo Diacono, una delle poche
146
Agath. II 3, 4 p. 43 (tr. ingl., p. 34: «they were decimated by a sudden outbreak of plague»); cfr. E.
Stein, Bas-Empire cit., pp. 607-608 (che non menziona, tuttavia, Ceneta). È significativo che non risulti
cenno, nelle fonti, di rovinose malattie con carattere epidemico nel periodo della dominazione gota in Italia,
mentre un grave peggioramento è segnalato per il periodo che va dall’invasione dei bizantini all’arrivo dei
Longobardi (cfr. B. Saitta, La Civilitas di Teoderico cit., p. 124; cfr. altresì L. Cracco Ruggini, Vicende
rurali cit., p. 279).
147
II 3, 5 p. 43-44 (cfr. tr. ingl., pp. 34-35).
148
Cfr. S. Costanza, Orientamenti cristiani cit., pp. 98-99.
149
Agath. II 3, 4-8 pp. 43-44, tr. ingl., pp. 34-35; di «some showed symptoms of fever, some of apoplexy,
some of other forms of brain-disease, but, whatever form the sickness might assume, it was invariably fatal»
parla Th. Hodgkin (Italy and her Invaders cit., V, p. 35). Ricordo che Agazia era un attento osservatore degli
effetti delle malattie e dello sviluppo dei contagi, come mostra nel quinto libro delle sue Storie (V 10, pp.
175-176; tr. ingl., pp. 145-146: anno 558) cfr. E. Gibbon, The History of the Decline and Fall cit., vol. II,
chap. xliii, p. 774 ss., tr. it., pp. 1657 ss. L’epidemia scoppiata a Ceneda non sarebbe stata tuttavia peste: più
probabilmente si trattò di una forma tifoidea di grande virulenza; ovvero di «vaiolo, peste inguinaria e
dissenteria» come ha scritto C.G. Mor, Verona medievale cit., p. 18, n. 1.
150
Agath. II 3, 8 p. 44 (tr. ingl., p. 35; Agazia cita anche, testualmente, un passo di Tucidide, II 49,
1). Piuttosto impreciso A. Carile, che fissa al 556 la morte di Leutari, «il capo dei Franchi e degli
Alemanni» (Bellum cit., p. 149 = Società cit., pp. 129): la data probabilmente rimonta alla Cronaca
44
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
fonti a ricordare Ceneta (che pure sarebbe diventata sede di un ducato Longobardo),
non fa riferimento alla città, in questa specifica occasione151, ma afferma, anzi,
che il Francorum dux Leutharius, Buccellini germanus... iuxta lacum Benacum
propria morte defunctus est, in una località diversa, nel veronese, nei pressi
del lago di Garda152. Ciò indica, evidentemente, l’affermarsi di una fonte alternativa, a meno che non si tratti di due distinte notizie, che presuppongano la divisione delle
di Marius di Avenches. Esiste forse anche un’altra versione della morte di Leutari, solitamente non presa in
considerazione: è possibile, infatti, che proprio un passo di Mar. Avent.: Lanthacharius dux Francorum in
bello Romano transfossus obiit (Chr. a. 548.2, p. 236) sia da considerarsi cronologicamente mal collocato e
vada trasposto all’anno 554; il Lanthacharius di Mario e il Le¥uariq di Agazia potrebbero essere stati infatti
la medesima persona. A questo proposito, E. Stein sostiene, per un periodo successivo al 551-552, che «le
jeune et faible Thibaut, se borna à échanger avec Justinian des messages aigres-doux mais non hostiles, après
qu’un chef franc eut péri dans une action engagée contre des troupes impériales, peut-être en Vénétie» (BasEmpire cit., p. 530); cfr. inoltre G. Löhlein, Die Alpen- und Italienpolitik cit., pp. 35, 38 e 44, dov’è accettata
l’indicazione dell’Aventicense, mentre qualche sfumatura di dubbio emerge in PLRE III-B, s.v.
Lanthacarius, p. 765, che pur indicando come «the circumstances are obscure but the event perhaps occurred
early in the Theodebald’s reign», sente di dover collocare geograficamente i fatti, guarda caso «possibly in or
near Venetia»; anche F. Beisel inquadra questo Lanthacarius nella cornice tradizionale (Theudebertus
Magnus cit., p. 121).
151
Infatti Paolo Diacono, oltre al passo citato supra, nota 140, ricorda altre due volte Ceneda
(curiosamente sempre e solo come aggettivo), ma nel contesto storico dell’ormai costituito ducato
longobardo, precisamente in Hist. Lang. V 28, p. 276, relativamente all’anno 668-669 [quando il re
longobardo Grimuald] Opitergium civitatem, ubi ipsi extincti sunt, funditus destruxit eorumque qui ibi
habitaverant fines Foroiulianis Tarvisianisque et Cenetensibus divisit; e in Hist. Lang. VI 24, p. 328,
relativamente ai primi anni della seconda metà del VII secolo, quando unus e Langobardis nomine Munichis,
qui pater post Petri Foroiuliani et Ursi Cenetensis ducum extitit, solus fortiter et viriliter fecit. Ricordo che
nei codici della Historia Langobardorum di Paolo Diacono abbiamo una dimostrazione dell’estrema
variabilità delle lezioni tràdite su Ceneda (per questo è stata consultata l’ed. L. Bethmann-G. Waitz, in MGH
SS. rer. Lang., Hannoverae 1878, cui corrispondono le diverse indicazioni di riferimento):
II 13 p. 79
Cenitense
apparato, rr. 35-36, sub o):
Canitense, Cenitensi
Ceninensi, Genitense
Genitensi, Ciense
V 28 p. 153
Cenetensibus
apparato, r. 51 sub c):
Cenetenensibus
VI 24 p. 173
Cenetensis
apparato, r. 45 sub o):
Ceten.
Queste varianti sono malaccortamente accostate alla più complessa questione delle diverse redazioni dei
documenti su Cissa/Ceneda (su cui diffusamente al § 9.) da F. Babudri, Il vescovato di Cissa in Istria,
«AttiMemIstria» 31, 1919, spec. p. 45, n. 1 (e, pedissequamente, G. Arnosti, Lo scisma tricapitolino e l’origine della Diocesi di Ceneda, «Il Flaminio» 11, 1998, p. 72, n. 36).
152
Paul. Diac. Hist. Lang. II 2, p. 78: propria morte (cioè ‘di morte naturale’, ‘di malattia’); cfr. J.B. Bury, History cit., II, p. 278, n. 4.
45
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
forze di Leutari, concentratesi in parte a Ceneta e in parte nell’area veronese, ovvero,
ancora che indichino come Leutari avesse fatto tappa a Ceneda prima di prendere la
via di Verona153.
Scriveva L. Muratori: «finalmente Leutari, passato con gran fatica il Pò, condusse la
sua gente a Cenesa, allora posseduta da i Franchi. Così la chiama Agatia. Io la
crederei Ceneda, terra della Venezia, se Paolo Diacono nol dicesse ritirato fra Verona
e Trento, vicino al lago di Garda»154.
Non so esattamente quale edizione agaziana avesse usato Muratori, comunque
doveva esservi un riferimento ad una lezione tipo KenestÅ (o simili), che compare
unicamente nel codice siglato L (=cod. Leidensis ex leg. Vulcani 54) nell’ed. R.
Keydell155; mentre K™neta si ritrova in cinque codici su sette156.
Anche E. Gibbon faceva morire Leutari sulle rive del Benaco157.
È probabile che l’incertezza sulla geografia della morte di Leutari dipenda in
buona parte dalla qualità del testo agaziano in mano agli storici, se anche C.G. Mor
sostiene che «Agathia lo fa arrivare... nella città di Kenedà (sic), soggetta ai Franchi»,
salvo precisare in nota di aver usato un’edizione settecentesca dello storico
bizantino (forse non la stessa usata da Muratori158); la località indicata da
Paolo, a parere di quell’insigne studioso, si sarebbe potuta «identificare con
quella collinosa tra Lazise, Peschiera e Ponton, dove generalmente nel Medio
Evo si accampavano gli eserciti imperiali che dalla Germania scendevano in
Italia»159. Sembra quasi che per far quadrare il contrasto tra la notizia agaziana e quella di
153
Cfr. ancora C.G. Mor, Verona medievale cit., p. 18, n. 1.
Annali d’Italia cit., t. III, p. 441.
155
Ed. cit., apparato, p. 43, ad r. 22 (descrizione dello specifico codice ibid., Introduzione, p. XIII);
mentre K™neta si ritrova in cinque codici su sette (ibid., apparato, p. 43, ad r. 22). Cfr. anche l’ed. S.
Costanza cit., p. 67, apparato r. 2.
156
Ibid., apparato, p. 43, ad r. 22. In ogni caso l’ed. A. Zanella, cit. di Paolo Diacono, p. 233, commento,
n. 14, suppone dubitativamente che in questa ‘Cenesa’, se la si dovesse accettare, si potrebbe individuare
l’attuale località veronese di Senaga.
157
The History of the Decline and Fall cit., vol. II, chap. xliii, p. 760 («on the banks of the lake Benacus,
between Trent and Verona»), tr. it., p. 1644.
158
Verona medievale cit., p. 18: «Agathia Scolastico, De imperio et rebus gestis Iustiniani Imp., libri
quinque... ho usato l’edizione di Venezia 1750»; probabilmente, tuttavia si tratta di una svista per l’ed.
Agathiae Scholastici, De imperio et rebus gestis Iustiniani Imperatoria libri quinque. Ex Bibliotheca et
interpretatione Bonaventurae Vulcanii, cum notis eiusdem . Accesserunt eiusdem Agathiae epigrammata,
cum versione Latina. Venetiis. Ex typographia Bartholomaei Javarina M.DCC.XXIX, utilizzata e ricordata
più correttamente da un’allieva di Mor, G. Cannella, Ricerche su Ceneda nell’Alto Medio Evo cit., p. 3, ove
cita appunto l’edizione di Venezia del 1729. L’uso imprudente di vecchissime edizioni, è piuttosto frequente,
nonostante l’esistenza di lavori più recenti e impostati a criteri filologicamente più accurati.
159
Ibid.; cfr. anche V. Cavazzocca Mazzanti, Dove fosse il S. Daniele degli imperatori (6° Contributo
alla Storia di Lazise), «NAV» 36, 1918, pp. 181-187, e C.G. Mor, Bizantini e Langobardi cit., p. 235, n. 8.
154
46
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
Paolo Diacono si senta il bisogno di precisare, anche di recente, senza timore di
forzare la geografia, che, ad es., «Ceneta (Vittorio Veneto), named by Agathias, is
someway from Lake Garda»160, ovvero che «Ceneta, das zwischen Verona und Trient
nicht weit vom Gardasee lag»161; per L. Cracco Ruggini, Leutari «muore di pestilenza
fra Verona e Treviso»162; prudentemente generico A. Lippold: «der [Leutari] dann
nach Venetien gelangte, wo er jedoch mit seinen Scharen an der Pest zugrunde
ging»163; «tra Verona e Trento, o, secondo Agazia, a Ceneta, nel Veneto orientale»
scrive ancora salomonicamente M. Pavan164.
§ 6. Riflessioni sulle opinioni di Agazia su Franchi e Alamanni (per un
inquadramento della disfatta degli anni 553-554 e del passo su Ceneda)
Sono state addotte vere e propre forzature per sostenere la scelta di Paolo,
piuttosto che di Agazia, come quelle di natura tattico-operativa suggerite da C.G.
Mor, che diceva essere «preferibile la localizzazione offertaci dallo storico
longobardo in luogo di quella dataci dal bizantino... sopratutto per la ragione che la
via normale di passaggio verso la Gallia orientale era appunto quella della Val
d’Adige, mentre da Ceneda occorreva fare un lungo giro per arrivare, attraverso il
Bellunese e la Val Sugana, nel Trentino»165; in realtà tutto è irrazionale nel
comportamento di Leutari nella sua incongrua risalita della penisola, e non si vede
perché proprio nella Venetia la sua convulsa fuga avrebbe dovuto avere un
improvviso sussulto di ragionevolezza. È chiaro invece, anche per i dettagli forniti,
che sono le notizie agaziane a restare quelle di miglior qualità intrinseca ed
attendibilità sostanziale, non foss’altro perché scritte pochissimi anni dopo i fatti
attingendo ai diari di guerra bizantini e anche – come vedremo – a informazioni
dirette di fonte Franca e, soprattutto, senza il minimo coinvolgimento emotivo o
personale su luoghi e scenari.
Un Agazia che da Costantinopoli cita K™neta località per lui assolutamente
sconosciuta e che non poteva certo inventare, è già – soltanto per questo –
maggiormrente attendibile di un Paolo Diacono che, duecento anni dopo, e senza il
sostegno di fonti altrettanto autorevoli, si limitava a tratteggiare in poche righe una
160
PLRE III-B, s.v. Leutharis cit., p. 790.
W. Enßlin, s.v. Leuthari cit., c. 2315: che Ceneda stia “tra Verona e Trento” è invero un
po’approssimativo; ma tale spunto geografico vien fuori citando Paolo Diacono, il quale tuttavia, come si è
detto, non nomina affatto Ceneda nel racconto su Leutari e Buccelino.
162
Economia e Società cit., p. 447.
163
S.v. Narses cit., c. 883.
164
Venanzio Fortunato tra Venetia, Danubio e Gallia cit., p. 14.
165
Verona medievale cit., p. 18; la posizione di questo storico si è fatta, in seguito, più problematica e
possibilista, fino ad ammettere la localizzazione cenedese della vicenda in Id., Da Roma a Carlo Magno:
vicende politiche tra Piave e Livenza cit., pp. 13-14.
161
47
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
serie assai malcoordinata di eventi, senza avvertire la necessità di precisione, neppure
sul piano della cronologia.
Agazia mostra di aver avuto accesso a materiali di buon livello e lascia
intendere che la permanenza in Ceneda degli Alamanni di Leutari non fu breve, tanto
da fare pendant con la fine altrettanto ingloriosa della scorreria di Buccellino nel
Mezzogiorno d’Italia nel 555166.
Il passo ‘cenedese’ di Agazia è contenuto nella lunga esposizione nella quale
lo storico descrive una indubbia sconfitta dei Franchi, o meglio, una sconfitta che
toccò soprattutto gli alleati-subordinati Alamanni, ma che non lasciò indenni i loro
patroni e mentori167.
Si tratta, come si è visto, della vicenda incentrata sull’incursione degli anni
553-554: il re Austrasiano Teudebaldo aveva de facto autorizzato Leutari e
Buccellino ad invadere l’Italia, servendosi del pretesto di prestare assistenza e
soccorso alle enclaves gote assediate, o comunque minacciate, dall’esercito imperiale
guidato da Narsete.
La narrazione, nel complesso abilmente condotta, puntava a mostrare che le
cause della sconfitta dei Franchi sarebbero state tutte da addebitare agli Alamanni
pagani e selvaggi, tanto da consentir di sorvolare sul fatto – pur conclamato – della
collocazione pro tempore dei Franchi dalla parte dei nemici dell’impero.
La nostra attenzione è inevitabilmente attratta dal singolare atteggiamento di
Agazia, che mostra di valutare i Franchi con un interesse tutto particolare (e
decisamente inedito): egli, che pure si collegava idealmente (ma anche
sostanzialmente) alle Storie procopiane, non era più interessato al giudizio
pesantemente negativo che proprio Procopio aveva dato su questo popolo (e
soprattutto sui suoi reggitori, per la loro perfidia e il loro opportunismo). Lo storico di
Cesarea aveva infatti vissuto da testimone le vicende italiane, sottolineando ad ogni
pié sospinto l’attitudine al tradimento (qualcosa di assai vicino alla fides punica,
come si è già osservato da dire) che da Teodeberto in poi aveva caratterizzato
l’ingresso e lo stabilimento dei Franchi Austrasiani nell’Italia settentrionale168. Ma
Agazia – ripeto – non sembra più interessato a questo duro (e tuttavia realistico)
giudizio, o pregiudizio: stava infatti già osservando i Franchi con gli occhi della
generazione successiva a quella di Procopio169.
166
Infatti in Agath. II 4, in., p. 44 (tr. ingl., pp. 35) gli eventi della Venetia sono dati in concomitanza con
la fine della vicenda di Buccellino.
167
Vd. Agath. II 1-14, p. 40-59 (tr. ingl., pp. 32-47).
168
La ‘duplicità’ dei Franchi è un connotato specifico della storiografia di Procopio: cfr., ad es., Bell.
Goth. I 13, pp. 71-75; II 12, pp. 199-205; II 28, pp. 275-282, tr. it. risp. pp. 385-388; 471-474; 518-522.
169
Sul contesto storico generale modificato, in cui si trova ad operare Agazia, e che aveva ormai preso
atto della progressiva dissoluzione dell’opera giustinianea, cfr. A. Carile, Consenso e dissenso fra
propaganda e fronda nelle fonti narrative dell’età giustinianea, in G.G. Archi (cur.), L’Imperatore
Giustiniano. Storia e Mito cit., pp. 81-84.
48
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
Gli anni settanta del VI secolo sarebbero stati caratterizzati infatti da
un’intensa attività diplomatica bizantina nei confronti dei Franchi, nell’esplicito
(faticoso) intento di ottenere il loro contributo per cacciare i Longobardi dall’Italia170:
se ‘i bizantini del tempo di Procopio’ avevano riconquistato l’Italia ad un prezzo
altissimo, anche contro gli insidiosi maneggi dei Franchi, ‘i bizantini del tempo di
Agazia’, speravano ora, magari senza troppa convinzione, di potersi riprendere la
penisola anche con l’aiuto di Franchi.
È verosimile che Agazia scriva dei fatti relativi al 553-554 almeno una
ventina d’anni dopo, senz’altro dopo il 571, data dell’arrivo di una importante
ambasceria dei Franchi a Costantinopoli inviata dal re Sigeberto e diretta da Firmino,
di cui si è già fatto cenno171 (denique Sigyberthus rex legatus ad Iustinum
imperatorem misit, pacem petens, id est Warmarium Francum et Firminum
Arvernum. Qui euntis evectu navali, Constantinopolitanam sunt urbem ingressi,
locutique tamen cum imperatore, quae petierant obtenuerunt. In alium tamen annum
in Galliis sunt regressi172), ma con maggiore probabilità dopo il 575, dopo cioè il
primo – diretto – tentativo bizantino di ricacciare militarmente i Longobardi173.
Il fallimento di questo tentativo concretizzatosi in una spedizione
laboriosamente inviata in Italia da Tiberio (reggente dell’imperatore Giustino II) e
guidata dal curopalate Baduario, fu uno smacco difficilmente recuperabile: Baduarius
170
Per il contesto di tali eventi si vedano, ad es., i frr. 49 (a. 577) e 62 (aa. 579-580) dello storico
bizantino che raccolse l’eredità di Agazia, Menandro (‘Protettore’), nell’ed. C. Müller, Fragmenta
Historicorum Graecorum, Parisiis 1851, vol. IV, pp. 253 e 263 = frr. 22 e 24 nell’ed. R.C. Blockley, The
History of Menander the Guardsman, Liverpool 1985, pp. 196 ss.); cfr. poi W. Goffart, Byzantine policy cit.,
pp. 74 ss. e anche Averil Cameron, Agathias on the Early Merovingians cit., p. 138.
171
Vd. qui, supra, nota 79.
172
Greg. Tur., Hist. Franc. IV, 40, vol. I, p. 366; cfr. G. Löhlein, Die Alpen- und Italienpolitik cit., pp. 53
e 62; W. Goffart, Byzantine policy cit., p. 77; J. Šašel, Il viaggio di Venanzio Fortunato e la sua attività in
ordine alla politica bizantina, «AAAd» 19, 1981, p. 369. Quel Firminus era un personaggio di origine
romana, della nobiltà aleverniate, di sicura formazione classica e probabilmente a conoscenza della lingua
greca (cfr. K.F. Stroheker, Der senatorische Adel im spätentiken Gallien, Tübingen 1948, rist. Darmstadt
1970, nr. 158, e L. Pietri, L’Ordine senatorio in Gallia dal 476 alla fine del VI secolo, in AA.VV. (cur. A.
Giardina), Società Romana e Impero Tardoantico, vol. I (Istituzioni, Ceti, Economie), Roma-Bari 1986, pp.
312 e 700, nn. 23 e 25; PLRE III-A, s.v. Firminus, p. 485. La data dell’ambasceria «is uncertain, perhaps c.
570-572» (PLRE III-B, s.v. Warinarius, p. 1401). Agazia ebbe certamente accesso ad una fonte diretta
ascrivibile ai Franchi e «if we need to name a source, the embassy of 571 seems a likely candidate», scrive
Averil Cameron (Agathias on the Early Merovingians cit., p. 134; per certi dettagli, infatti, Agazia pare
addirittura più informato di Gregorio di Tours, cfr. ibid., pp. 133-134).
173
Cfr. ancora Averil Cameron, Agathias on the Early Merovingians cit., p. 133; un’altra ambasceria
merovingica fu inviata a Cistantinopoli negli anni 578-579 da Chilperico, re di Neustria (cfr. W. Goffart,
Byzantine policy cit., pp. 85; 93; 98-99 e nn. 108-112), ma è del tutto improbabile che da tale missione
potessero venire informazioni utili sulle operazioni degli Austrasiani in Italia.
49
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
gener Iustini principis in Italia a Longobardis proelio vincitur et non multo plus inibi
vitae finem accipit174. A quel punto, per la corte bizantina, sarebbe diventato «vital,
not merely desirable, to enlist the aid of the Franks»175. Solo agli inizi del regno di
Maurizio (a. 582) si sarebbero ricreate le condizioni per uno scambio di aiuti tra
Bizantini e Franchi. Purtroppo «Évagre et Théophylacte Simocatta, les principaux
historiens de Maurice, trop préoccupés des querelles religieuses qui agitent
Constantinople et des grandes luttes contre les Perses et les Avares, ne nous disent
rien des obscures et patientes intrigues poursuivies en Occident par la diplomatie
byzantine»176.
Senz’altro «Agathias was seeing the events of the 550’s with the eyes
of the 570’s, that he utilised the Franks and the Alamanni to suit his own historical
174
Iohannis Abbatis Monasterii Biclarensis, Chronica, ad a. 576, 1, p. 214. Cfr. B. Feliciangeli,
Longobardi e Bizantini lungo la via Flaminia nel secolo VI, Camerino 1908, rist. an. Bologna 1974, pp. 2223; G. Löhlein, Die Alpen- und Italienpolitik cit., pp. 63-64; W. Goffart, Byzantine policy cit., p. 80; J.
Jarnut, Storia dei Longobardi cit., pp. 34-35; D. Sendula, Aspetti dei rapporti politico-giuridici tra il
Regnum Langobardorum e l’Impero Bizantino nei sec. VI-VIII, in «Atti del VI Congresso Internazionale di
Studi sull’Alto Medioevo» cit., t. II, p. 625 (su Baduario vd. Corippi Africani, In Laudem Iustini, II, 284285, MGH AA, III, pars posterior, p. 134). In precedenza lo stesso Baduario, per ordine di Giustino II aveva
vittoriosamente aiutato i Gepidi, all’incirca nel 565, contro i Longobardi nella Mesia (vd. Theophyl. Sim.
Hist. VI 10, 7-ss., pp. 240-242; cfr. J. Jarnut, Storia dei Longobardi cit., p. 22). Considerando l’ambito
geografico di questo lavoro non è inopportuno ricordare che questo Baduario, curopalate bizantino, è stato
considerato da alcuni studiosi come il predecessore della casata veneziana dei Badoer: cfr. ad es. E. Gibbon,
The History of the Decline and Fall cit., vol. II, chap. xlv, p. 858, n. 24, tr. it., p. 1735, n. 3 (con rinvii). In G.
Arnosti, Lo scisma tricapitolino cit., p. 66, il comandante bizantino è chiamato, per errore, Bandario.
175
Averil Cameron, Agathias on the Early Merovingians cit., p. 138.
176
A. Gasquet, L’Empire cit., p. 183; non portarono a risultati seri nemmeno i tentativi di far passare al
servizio dell’impero alcuni duchi longobardi (vd. anche l’Epist. Austras. n. 48 (a. 581?), pp. 153-153; cfr. D.
Sendula, Aspetti dei rapporti politico-giuridici cit., p. 625). Alcuni elementi Franchi avrebbero proposto di
contribuire ad un’invasione dell’Italia (contro i Longobardi) in cambio dell’appoggio di Costantinopoli al
pretendente Gundovaldus (vd. Greg. Tur. Hist. Fr. VI, 24. VI, 26; VII, 14, vol. II, risp. pp. 66-68; 70 ss.;
162; cfr. A. Gasquet, L’Empire cit., pp. 183 ss.; G. Löhlein, Die Alpen- und Italienpolitik cit., p. 65; H.
Büttner, Die Alpenpolitik der Franken cit., p. 73; W. Goffart, Byzantine policy cit., pp. 91 ss., spec. pp. 96
ss.; quest’ultimo autore annotava specificamente: «as long as imperial policy was aimed at obtaining help
agains the Lombards from the legitimate Merovingians, Gundovald would have had to be ignored. However,
once Austrasia and Burgundy had shown reluctance to invade the peninsula, the Byzantines would again
have thought that a pretender might be useful in changing Frankish minds. Yet, Byzantium was much too
distant to have a hand in manipulating politics at the Merovingian court, and, unless the Byzantine autorities
were offered a plan to use Gundovald by some group of Franks, they could not hope to establish the
pretender otherwise than by sending an imperial army», ibid., p. 98; cfr. ancora ibid., pp. 105 ss.). Su alcuni
aspetti della complessa storia merovingia di questo periodo, con riferimento proprio agli usurpatori e ai
‘vuoti di potere’ cfr. M. Gusso, A proposito di alcune locuzioni interregnali di fonti tardoantiche e
altomedievali, «SDHI» 57, 1991, pp. 431-444.
50
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
theories, and that realising that Procopius hostility to the Franks would now seem
oldfashioned and embarrassing, he was careful to avoid calling it to mind»177.
Ma Agazia non si mostra mai come uno “storico ufficiale”; nel suo lavoro
potrà esserci retorica, ma non si trova mai propaganda; non dimentichiamo poi che
egli era un autore di richiamo, ed aveva in mente soprattutto il suo pubblico178.
È probabile che non sappiamo quanto involontariamente Agazia, fors’anche
affascinato dai Franchi, si sia fatto promotore di un tentativo di attirare (se non di
promuovere) l’attenzione delle classi colte bizantine su questo popolo, come se
volesse a tutti i costi dimostrare che i Franchi non erano dei barbari, o, comunque,
non erano barbari come tutti gli altri179: «firstly, he is greatly influenced by the fact
that the Franks are Catholics»180.
Certo risultava sgradevole attribuire ai sovrani costantinopolitani dei nemici
che fossero seguaci della loro stessa religione, appariva anzi una contraddizione in
termini: teniamo presente l’attenzione che Agazia dedica nelle sue Storie alla
durissima lotta tra Bizantini e Persiani anticristiani (consapevoli e attivi nemici di
Dio), seguaci di un credo dualistico, che lo storico chiama un po’ semplicisticamente
177
Averil Cameron, Agathias on the Early Merovingians cit., p. 139. Descrizione sui culti pagani degli
Alamanni in Agath. I 6, 3-7, pp. 17-19; tr. ingl., pp. 14-16. Secondo Agazia, la divinità si fa regolatrice delle
azioni umane, favorisce i giusti ed i pii e punisce gli ingiusti e gli empi: gli Alamanni avevano devastato e
saccheggiato le chiese ed avevano lordato di sangue i sacri recinti abbandonandovi cadaveri insepolti. Coloro
che per avidità invadono la terra d’altri, sconvolgono la vita di altri popoli innocenti, ignorano la giustizia e
non si curano di Dio. Sono raggiunti duramente dalla sua ira: Dio ha in odio questi comportamenti e i
momentanei successi degli empi si capovolgono nelle loro irrimediabili sciagure (vd. Agath. II 1, 8-11, pp.
40-41; tr. ingl., pp. 32-33 e cfr. S. Costanza, Orientamenti cristiani cit., p. 98).
178
E il pubblico di Agazia aveva aspettative ben precise, che lo scrittore non voleva, né poteva, deludere.
Gli scrittori bizantini che si iscrivevano al filone aulico del genere storiografico ambivano distinguersi dai
coevi cronisti, che si rivolgevano ad un pubblico assai meno colto e raffinato. Per queste considerazioni cfr.
H. Hunger, Die hochsprachliche profane Literatur der Byzantiner, I, München 1978, pp. 252-254 e M.
Rampi La storiografia agaziana e il “favoloso”, «QM» 37, 1994, p. 39.
179
Cfr. Averil Cameron, Agathias on the Early Merovingians cit., pp. 136 ss.; cfr. tuttavia S. Impellizzeri, che sostiene invece come «il giudizio famoso» che Agazia «dà sui Franchi, di cui celebra i costumi
civili ed umani, l’amore per la giustizia... diverge da quelli dei contemporanei, che vedono in essi invece
delle genti selvagge», e sia «frutto della idealizzazione di genti babariche, topos comune della etnografia
classica» (La Letteratura Bizantina. Da Costantino a Fozio, Firenze 1975, p. 236).
180
Averil Cameron, Agathias on the Early Merovingians cit., p. 136; vd. Agath. I 2, 4, p. 11; tr. ingl., p.
10 (cfr. S. Costanza, Orientamenti cristiani cit., p. 93); cfr., in ogni caso, G. Pepe, Il Medioevo barbarico
d’Italia cit., pp. 218 ss.; d’altra parte già la «Justinian’s anti-Arian reconquista had quite naturally looked to
the orthodox Franks in Gaul for assistance against the Ostrogoths; treaties had been concluded and sustantial
subsidies were sent to the Merovingian king of Austrasia» (W. Goffart, Byzantine policy cit., p. 75; vd.
Procop. Bell. Goth. I 5, 8-9, pp. 26, tr. it., p. 357); cfr. F. Beisel, Theudebertus Magnus cit., pp. 96-98.
51
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
‘manicheo’181.
È indubbio che Bisanzio aveva utilizzato i Franchi ‘cattolici’ contro i Goti
‘ariani’, riconoscendo implicitamente l’intervento di una nuova forza nella politica
occidentale182, e la valutazione agaziana sui Franchi mira a dipingerli – con un po’ di
retorica – come difensori della fede, come presidio occidentale della stessa fede e,
conseguentemente, degli interessi Bizantini183: in questo senso anche la sua
narrazione dell’episodio che ha al centro Ceneda contribuisce a farci riflettere.
Certo i Franchi avevano sbagliato a scegliersi come alleati i pagani Alamanni,
e per questo avevano pagato duramente il loro errore: ciò non toglie che, rimossi gli
Alamanni184, i Franchi tornassero ad essere il presidio che erano, e anche Ceneda
restò nelle loro mani ancora per qualche anno.
In ogni caso l’approccio di Agazia nei confronti dei Franchi, in questa
specifica vicenda, è più approfondito e sentito (quindi più credibile, anche nei
particolari) che non quello di Paolo Diacono (affrettato e di maniera): allo storico
longobardo interessava certo evidenziare posizione e ruolo dei Franchi, ma dei
Carolingi del suo tempo, e solo limitatamente dei Merovingi passati185.
Si ricordi inoltre che la Historia Romana di Paolo si concludeva
piuttosto bruscamente proprio nel 552, alla vigila dell’invasione dell’Italia da parte di
181
Vd. Agath. III 12, 8-ss., pp. 99-100; tr. ingl., pp. 81-82; cfr. S. Costanza, Orientamenti cristiani cit.,
pp. 94-95; sul fatto che l’interesse di Agazia è soprattutto rivolto all’Oriente, e particolarmente alla Persia,
cfr. S. Impellizzeri, La Letteratura Bizantina cit., p. 235 e, specif., Averil Cameron, Agathias on Sassanians,
«DOP» 23-24, 1969/1970, pp. 66-183.
182
Cfr. J.M. Wallace-Hadrill, L’Occidente Barbarico cit., pp. 111-112.
183
In realtà Averil Cameron, riferendosi sia a Procopio che ad Agazia, notava che «the christian
atmosphere of Constantinople is almost entirely lacking from their works. Because religious affairs were
held to come under a separate category – ecclesiastical history – a whole area of contemporary life was
simply excluded. Neither Agathias nor Procopius... explained or even asked, what the role of christianity was
in everyday life and affairs. Both were Christians, yet both forced their histories into a mould shaped by
pagan ideas and tradition (Agathias cit., p. 134).
184
Con parole degne d’un animo cristianamente misericordioso Agazia si augurava comunque che
persino questi ultimi, già resi più civili dalla sola vicinanza con i Franchi, potessero presto essere accolti
nella vera religione (vd. Agath. I 7, 2, p. 18; tr. ingl., p. 15; cfr. S. Costanza, Orientamenti cristiani cit., p.
110).
185
Cfr. a questo proposito, in gen., Rosamond McKitterick, Paolo Diacono e i Franchi: il contesto
storico e culturale, in P. Chiesa (cur.), Paolo Diacono. Uno scrittore fra tradizione longobarda e
rinnovamento carolingio. Convegno internazionale di Studi, Cividale del Friuli 6-9 maggio 1999, Udine
2000, pp. 9-28; Lidia Capo, Paolo Diacono e il mondo franco: l’incontro di due esperienze storiografiche,
ibid., pp. 39-74.
52
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
Leutari e Buccelino, e proprio per esaurimento delle sue fonti (per il venir meno del
suffragium dei dicta maiorum, come si esprime lui stesso) 186.
§ 7. Fine della presenza Franca in territorio veneto (555-562/563)
Ritorniamo alla nostra vicenda storica là dove l’avevamo lasciata: Narsete
aveva inseguito Buccelino e ne aveva rovinosamente sconfitte le FraggikÅ f†la187 nei
pressi del Volturno (eo tempore Buccelenus dux Francorum in bello Romano cum
omni exercitu suo interiit188): «the defeat of the Franks was already certain; it was
now to be annihilation»189.
186
Le parole di Paolo sono estrapolate dal Prologus della Hist. Rom., p. 2; cfr. Lars Boje Mortensen,
Impero Romano, Historia Romana e Historia Langobardorum, in P. Chiesa (cur.), Paolo Diacono cit., spec.
pp. 363 ss.; ricordo che una fonte importante per Paolo, Iordanes, lo storico Goto, termina il suo lavoro al
551, un anno avanti la fine della Historia Romana (cfr. ibid., p. 365 e A. Momigliano, Cassiodorus and
Italian Culture cit., pp. 210-218).
187
È l’espressione che compare in uno dei versi riportati in Agazia (I 10, 8, r. 11, ed. S. Costanza, p. 83),
che esaltano l’impresa narsetiana. 254. Anche la sconfitta dei Franco-Alamanni è utilizzata da Agazia come
prova dei castighi che gli invasori si erano attirati sul capo a causa della loro empietà (cfr. M. Rampi La
storiografia agaziana e il “favoloso” cit., pp. 51-52).
188
Mar. Avent. Chr. a. 555.4, p. 237; Agath. II 7-10, pp. 49-55 (tr. ingl. pp. 38-43), dove è lodato altresì
il valore di un energico e sperimentato soldato, Sindual, che si distinse con i suoi Eruli contro i francoalamanni (cfr. PLRE III-B, s.v. Sindual cit., p. 1155). A parere di E. Stein, Buccelino non intendeva
«renoncer au déssein de se rendre maître d’Italie, d’autant plus que les Goths encore réfractaires à l’Empire
lui avaient promis de le reconnaître pour roi une fois qu’il serait vainqueur» (Bas-Empire cit., p. 608); «ist es
doch bekannt, daß Butilin gerade die Hoffnung, die man ihm auf die gotische Königskrone machte, in erster
Linie bestimmt hat, das Unternehmen trotz der starken Verluste infolge der ausgebrochenen Krankheiten in
seinem Heere nicht aufzugeben, sondern eine Entscheidung mit Narses zu wagen» (G. Löhlein, Die Alpenund Italienpolitik cit., p. 48); cfr. anche PLRE III-A, s.v. Butilinus cit., p. 254: «Butilinus... chose to remain,
according to Agathias because he had promised to aid the Goths agains the Romans and they were
encouraging him to belive that he would be offered the crown (Agath. II 2, 1-2)».
189
J.B. Bury, History cit., II, p. 280; vd. Agath. II 6-10, pp. 47-55 (tr. ingl., pp. 37-43); cfr. Th. Hodgkin,
Italy and her Invaders cit., V, pp. 39-46; E. Stein, Bas-Empire cit., p. 608; W. Treadgold, A History cit., p.
241. Si può ricordare anche una fonte, accettata nel passato (cfr. ancora Th. Hodgkin, Italy and her Invaders
cit., IV, p. 536, secondo cui: «Marcellinus Comes gives us no fact after 558»), ora opportunamente valutata
come dubbia, il Marcellini Auctarium alterum: [a. 552] ind. XV. XI p.c. Basilii... per haec tempora cum
Buccelinus comes cum sociis a Theodeberto rege Francorum dudum missus per annos aliquot Italiam
Siciliamque infestaret et Romanum saepe exercitum superaret, tandem exercitus eius profluvio ventris
attritus a Narse pugna victus et profligatus, ipse dux occisus est (Chronica minora II cit., p. 43, n. 1),
considerazioni e discussioni su questa fonte ibid., pp. 42-43; il passo si può leggere anche nell’ed. del
Chronicon di Marcellinus Comes di J.-P. Migne, PL, Parisiis 1861, t. 51, c. 946: è chiaro che questa confusa
notizia mescola i primi attacchi all’Italia promossi da Teodeberto nel 539, con la spedizione franco-alamanna
del 553-554, in una commistione simile a quella che si ritrova in Gregorio di Tours. Sul secondo Auctarium
di Marcellino ricordo quanto scriveva O. Holder-Egger: «das Stück von 549-566, welches in den Ausgaben
gedruckt ist, ist nichts als ein Fragment aus Hermanns von Reichenau Chronik», Untersuchungen über einige
annalistische Quellen zur Geschichte des fünften und sechtsten Jahrhundert III. (Die Chronik des Marcellinus Comes und die oströmischen Fasten), in «NA» 2, 1877, p. 108, n. 4.
53
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
Il livello dei comandanti franchi (almeno quello della loro fortuna), tanto sul
campo quanto nella direzione e nelle scelte strategiche generali, era caduto davvero
in basso: non si può non ricordare l’autorevole opinione di chi ha scritto che tutto ciò
non si sarebbe verificato «if Theodebert had been still alive»190.
Nel frattempo Narsete si trovò così a controllare l’Italia a sud del Po: «denn
die Rechtsfrage betreffs Venetiens wurde noch in Verhandlungen der Byzantiner mit
Theudebalds Nachfolger, Chlothachar I., erörtert und erst beim Abschluß eines
Waffenstillstandes zwischen diesem König und dem oströmischen Herrscher
vorläufig geregelt. Welche Abmachungen man dabei traf, ist freilich unbekannt.
Verzichteten die Franken aber etwa auch auf das streitige Gebiet, so gelangten die
Byzantiner doch keinesfalls sofort und kampflos in dessen Besitz»191. Probabilmente
«mit den Franken schloß Narses einen Waffenstillstand und Vertrag, nach dem jene
das östliche Venetien (bis zur Brenta?) mit Ausnahme des Küstenstriches behielten,
während sie wohl jetzt schon die anderen von ihnen besetzten Gebiete (die Cottischen
Alpen und Nordligurien) räumen mußten»192.
Le conseguenze di questa invasione si fecero sentire pesantemente sul tessuto
sociale italico, e le autorità imperiali dovettero infatti intervenire a regolare la
disastrata economia: certamente lo spietato fiscalismo bizantino («un régime de
terreur fiscale») non aveva giovato alla ripresa della fragile economia italiana,
istituendo un clima che fece «détester la domination byzantine encore mal affermie»193); risultano terribili le condizioni dell’economia italiana dopo le devastazioni
prodotte dalla guerra gotica, specie nelle Venezie, nel Ravennate e nell’Emilia,
quando ai proprietari terrieri, specie ai più modesti, vennero a mancare i mezzi
elementari per cercare di risollevare le proprie tenute, e per rinnovare le
indispensabili dotazioni di strumenti, di uomini, se non addirittura di sementi194.
190
J.B. Bury, History cit., II, p. 281. Una leggenda sull’eroismo e sui successi di Buccelino, si era già in
parte formata nella Historia Francorum di Gregorio di Tours (III, 32; IV, 9, vol. I, pp. 268 e 299: «tutte fandonie», chiosava L. Muratori, Annali d’Italia cit., tomo III, p. 441; «a garbled version» la definisce PLRE
III-B, s.v. Narses 1 cit., p. 922), ma trova il suo massimo interprete in Fredegario: cfr. Chronicarum quae
dicuntur Fredegarii Scholastici, II 62, p. 88; III 44 e 50, p. 106, dove si leggono altisonanti e ingiustificate
(quanto sgrammaticate) storie di vittorie di Buccelenus contro Belisario e Narsete; anzi lo stesso Belisario
avrebbe perso la vita proprio dopo essere stato sconfitto da questo eroe. Inoltre Siciliam occupat, totamque
Italiam dominans, magna ei felicitas in his condicionibus fuit etc.
191
R. Heuberger, Rätien, cit., p. 261.
192
L. Schmidt, Die letzten Ostgoten, cit., p. 7.
193
Cfr. E. Stein, Bas-Empire cit., pp. 446-449 e 565 ss.; sul sistema del fiscalismo bizantino applicato
alle diverse realtà territoriali e amministrative in epoca giustinianea cfr. S. Puliatti, Ricerche sulla
legislazione “regionale” cit., pp. 41 ss.
194
Cfr. L. Cracco Ruggini, Economia e Società cit., specie pp. 442 ss. (con numerosi rinvii
documentali), ed Ead., Vicende rurali cit., pp. 280 ss.; una fonte frammentaria, connessa alle
cronache isidoriane, relativa al periodo della guerra gotico-bizantina riferisce sinteticamente e crudamente
54
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
La riconquista della penisola era costata gran parte del suo potenziale
patrimoniale e produttivo: «lo stesso anno della promulgazione delle norme raccolte
nella Pragmatica Sanctio, il flagello degli Alamanni e dei Franchi di Leutari e
Buccellino aveva aggiunto miserie a miserie»195. Una sorta di grido di disperazione si
levò da tutta Italia all’imperatore, perché venisse in aiuto almeno di coloro che erano
sul punto di soccombere sotto il peso dei debiti contratti.
Giustiniano, in realtà, mirava apertamente alla restaurazione del potere
bizantino, accompagnata dal ristabilimento dei precedenti rapporti socio-economici,
specie in favore della aristocrazia latifondista, che riebbe, in prospettiva, la
protezione imperiale accompagnata dai beni e dai privilegi di cui i Goti, specie con
Totila, l’avevano spogliata196.
L’imperatore emanò comunque, nel 555 (o ai primi del 556), un modesto
provvedimento che ci appare del tutto insufficiente, ma resta comunque indicativo
della percezione, ‘a livello centrale’, di una realtà ormai difficilmente governabile: si
trattò di una costituzione (la c.d. Lex quae data est pro debitoribus in Italia et
Sicilia197), indirizzandola Narsi Panfronio et senatui, cioè a Narsete, ad un illustre
personaggio romano (Pamphronius), che ritroveremo anche in seguito, e, ovviamente,
al Senato di Roma.
Si trattò di una moratoria di cinque anni dei debiti, che reca un esplicito
riferimento all’ultima invasione (nuper factam incursionem Francorum198): non
la realtà di quel periodo: per idem tempus tanta fames facta fuit per totam Italiam, quod matres carnes
puerorum suorum manducabant (Additamenta ad Chronica Maiora ex codicibus diversis, in Chronica
minora II cit., p. 493).
195
O. Bertolini, Roma cit., p. 194; cfr. J.B. Bury, History cit., II, p. 282; PLRE III-B, s.v. Narses 1 cit., p.
923. La c.d. Pragmatica Sanctio pro petitione Vigilii (datata 13 agosto 554) è pubblicata nel Corpus Iuris
Civilis (rec. R. Schoell-G. Kroll), Berolini 19546, Vol. II, Novellae, pp. 799-802 (Nov. App. VII); lo stesso
anno della Prammatica anche Cassiodoro «kehrte... auf seine Güter nach Italien zurück, wo er bei dem Orte
Squillace das Kloster Vivarium gründete» (Ingemar König, Theoderich der Große und Cassiodor cit., p.
215).
196
Cfr. E. Stein, Bas-Empire cit., pp. 613 ss.; G. Ostrogorsky, Geschichte des Byzantinischen Staates,
München 1963, trad. it. Storia dell’Impero Bizantino, Torino 1968, p. 61.
197
In Corpus Iuris Civilis cit., Vol. II, Novellae, p. 803 (Nov. App. VIII); cfr. E. Stein, Bas-Empire cit.,
pp. 616-617; J.B. Bury, History cit., II, p. 282, n. 1; PLRE III-B, s.v. Narses 1 cit., p. 923. «The constitution
was issued in 555 or shortly afterwards» (PLRE III-B, s.v. Pamphronius, p. 962).
198
È curioso, ma non sorprendente, che l’accenno alla decursio barbarici temporis, nelle premesse della
Novella imperiale, possa avere come pendant il riferimento ad una espressione simile: tempore hoc
barbarici, in un documento papiraceo ravennate di quegli stessi anni (aprile 553), con il quale una
benestante donna Gota faceva dono dei suoi beni alla Chiesa (cfr. A. Carile, Bellum cit., p. 159, n.
46 = Società cit., pp. 138-139, n. 46 con riferimenti bibliografici). Ci sarebbe da chiedersi chi
fossero, allora, i barbari (per riflessi linguistici su barbarie e civiltà nel periodo trattato in questo
lavoro cfr. comunque J. Szövérffi, À la source de l’humanisme chrétien médieval: “Romanus” et
“Barbarus” chez Vénance Fortunat, «Aevum» 1971, pp. 77-86; G.B. Ladner, On Roman Attitudes towards
55
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
siamo tuttavia informati di altri provvedimenti o di altre misure di sollievo alla
popolazione o all’economia: ovviamente fuori di ogni realtà è ad esempio la cronaca
che narra di come Narses patricius... Italiam Romano imperio reddidit, urbesque
dirutas restauravit totiusque Italiae populos, expulsis Gothis [e i Franchi?], ad
pristinum reducit gaudium199. In ogni caso, la riconquista dell’area Transpadana,
nonostante il volonteroso impegno propagandistico di qualche cronista200, si
realizzerà completamente soltanto alcuni anni più tardi. Come è stato scritto, «of the
subjugation of the Transpadane provinces... we have no record. It was a slow
business»201: sarà probabilmente nel 556, o meglio, a partire dal 556 (se
vogliamo dar fiducia alla cronologia di Mario di Avenches), che «les Francs
aient été forcés d’évacuer les territoires conquis par Théodebert dans l’ouest
de la Haute-Italie. Une trêve fut conclue qui ne semble rien avoir changé à la situation
Barbarians in Late Antiquity, «Viator» 7, 1976, pp. 1-25; L. Alfonsi, Romani e barbari nella Historia
Langobardorum di Paolo Diacono, «RomBarb» 1, 1976, pp. 7-23; Ralph W. Mathisen, Roman Aristocrats
in Barbarian Gaul: Strategies for Survival in an Age of Transition, Austin (Texas) 1993, spec. pp. 1-6; 3949). Ricordo il celebre verso di Massimiano: non fleo privatum, sed generale chaos (Elegiae V, 110, p. 268),
cioè: ‘non piango il mio personale fallimento, ma il caos, la discordia universale’, che – nella cornice erotica
in cui è iscritto – richiama la ‘fine dei tempi’, che si manifestava anche attraverso un rimescolamento dei
valori, come doveva essere vissuta da un intellettuale occidentale a cavallo della metà del VI secolo posto
drammaticamente di fronte alla condizione dell’Italia ed al cruento Clash of Civilisations che vi si stava
svolgendo.
199
Auctarii Hauniensis Extrema (in Chronica minora I, p. 337, § 4; cfr. anche l’ed. R. Cessi, in appendice ai suoi Studi sulle fonti dell’età gotica e longobarda. II. ‘Prosperi Continuatio Hauniensis’, «ArchMur»
22, 1922, p. 638, rr. 40-42 (vd. Liber Pontificalis, LXIII. Iohannes III: erat enim tota Italia gaudens,
Duchesne, I, p. 305 e n. 5, p. 307). Sulle fonti che dipingono una dubbia abbondanza dell’Italia di questo
periodo cfr. L. Cracco Ruggini, Economia e Società cit., pp. 478-479.
200
In part. Mar. Avent. Chr. a. 556.4, p. 237: eo anno exercitus rei publicae resumtis viribus partem Italiae, quam Theudebertus rex adquisierat, occupavit (che è notizia da trasferire forse al 554). Si consideri
peraltro che per diversi cronisti, meno informati o meno attenti, la stessa presenza dei Franchi in Italia in
questo periodo non risulta neppure conosciuta o degna di essere almeno ricordata. Mi riferisco, ad esempio,
ad Isid. Iun. Chron. 402, in Chronica minora II cit., p. 476; al passo appena citato delle Auctarii Hauniensis
Extrema, a Beda, Chron. 522, p. 308, oltre che alla Historia Romana di Paolo Diacono (XVI 12-13, pp. 134135). Sulla dipendenza pasticciata da Isidoro iuniore delle Auct. Haun. Extrema, cfr. R. Cessi, Studi sulle
fonti cit., p. 612 (specif. per il passo di cui si tratta). Peraltro il silenzio sulla presenza dei Franchi in area
veneta in questo periodo non è prerogativa solo dei cronisti tardoantichi: si pensi a S. Gasparri, Dall’età
longobarda cit., pp. 8-9, ove è ricordata ad es. l’invasione dei Franchi del 589-590, mentre, in precedenza,
non vi è alcun cenno sulle incursioni e sugli insediamenti franchi nel periodo 539-562 (cfr. ibid., pp. 4-5).
201
J.B. Bury, History cit., II, p. 281. «Petit à petit, les Goths qui se maintenaient encore dans la province
de Ligurie, furent soumis» (E. Stein, Bas-Empire cit., p. 609).
56
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
territoriale en Vénétie»202.
Indubbiamente «la proximité du royaume franc, unifié par Clotaire à la mort
de Childebert en décembre 558 ou 559, détermina probablement Narsès à ménager
pendant quelque temps encore les Ostrogoths qui occupaient Vérone et Brescia. Nous
ne connaissons que très imparfaitement les circonstances dans lesquelles se termina
ensuite la tragédie ostrogothique»203.
Come sappiamo da un frammento dello storico bizantino Menandro204, ancora
nel 561-562205, un comandante Franco, di nome Aming (o, forse, Haming? Il nome è
comunque reso in greco con un =Ammigoq che escluderebbe l’aspirazione iniziale206),
avrebbe schierato le sue truppe per bloccare un guado dell’Adige, impedendone in tal
modo l’attraversamento ad un contingente di truppe imperiali.
Purtroppo il frammento è poco chiaro, e comunque troppo sintetico:
sembra di capire che la frizione franco-bizantina fosse considerata con preoccupazione
da Narsete che avrebbe inviato un’ambasceria ad Aming, guidata da Bono (e non
202
E. Stein, Bas-Empire cit., p. 610 e de relato A. Carile, Bellum cit., p. 177 = Società cit., p. 156. Forse
Mar. Avent. Chr. a. 556.4, p. 237, va inteso come riferibile al 554, cioè alla sconfitta di Leutari e Buccelino,
mentre il passo immediatamente successivo (a. 556.5, p. 237) riguarda un arco cronologico che va appunto
almeno dal 554 al 562 (notava F. Gregorovius, Storia di Roma cit., p. 346, n. 1: «reca stupore che la Cronica
di Mario Aventic. disgiunga di sette anni i tempi di Bucelino da quelli di Leutari»). L. Cracco Ruggini
scrive, forse troppo sbrigativamente: «soltanto nel 556, tuttavia, i Franchi evacueranno definitivamente
l’Italia Settentrionale» (Economia e Società cit., p. 477). Il 556 è dato erroneamente come l’anno in cui
Leutari si rifugia a Ceneda in A.N. Rigoni, Documentazione archeologica cit., p. 113.
203
E. Stein, Bas-Empire cit., p. 610 (corsivo mio); cfr. anche Th. Hodgkin, Italy and her Invaders cit., V,
p. 46 («the sickly child Theudebald, king of Austrasia, died in 555, and his great-uncle Chlotochar, who
succeeded to his kingdom, showed no sign of wishing to renew the war for the possession of Italy»).
204
Menandr. fr. 8, ed. C. Müller cit., p. 204 = fr. 3, 1 rr. 1-2, ed. R.C. Blockley cit., p. 44 (da questa
edizione è tolto il passo citato di seguito); cfr. anche E. Gibbon, The History of the Decline and Fall cit., vol.
II, chap. xliii, p. 763, n. 56, tr. it., p. 1646.
205
La data «is uncertain; the preceding and succeding fragments of Menander concern events in 559 and
561, and within that time Narses is recorded in north Italy in 561» (PLRE III-A, s.v. Bonus 3 cit., p. 241).
206
«Duca di (sic) Aming», come si legge, per una evidente svista, in A. Carile, Bellum cit., p. 177, n. 120
= Società cit., p. 156, n. 120; si tratta di un comandante «of Frankish forces in north Italy (possibly since c.
553)» (PLRE III-A, s.v. Amingus, p. 55). Che Aming fosse uno dei comandanti franchi che, per incarico di re
Teodeberto avevano guidato le incursioni in Italia dopo il 539 si può ricostruire anche a partire da una
confusa notizia del Liber Pontificalis, peraltro cronologicamente sconclusionata: venit Amingus dux
Francorum et Buccillinus... et ipsi premebant Italiam. Sed auxiliante Domino et ipsi a Narsete interfecti sunt
(LXIII. Iohannes III Duchesne, I, p. 305, n. 3, pp. 306-307; MGH GPR, vol. I, p. 157); nella Vita Iohannis
Abbatis Reomarensis cit., p. 513, si legge invece confusamente di due capi franchi inviati in Italia, tra i quali
Bucceleno. F. Beisel definisce il «dux Aming der letzte der großen Heerführer in Italien» (Theudebertus
Magnus cit., p. 122).
57
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
‘Buno’ come capita di leggere207) e Pamfronio208, i quali avrebbero cercato una composizione incruenta, ma senza successo209. Infatti Aming fece rispondere
orgogliosamente ai Bizantini che non avrebbe cessato di combattere fino a quando
fosse stato in grado di imbracciare la lancia210.
Probabilmente si tratta solo della parte iniziale della notizia relativa a questa
vicenda, che si sarebbe conclusa poco dopo con la sconfitta di questo ultimo centro di
resistenza Franco (da collocarsi essenzialmente nell’area veronese211); certamente i
Franchi non dovettero assistere alla riconquista della Venetia da parte dei bizantini
«en spectateurs indifférents»212. Tuttavia, da qui ad immaginare altri più
intriganti scenari ce ne corre: è difficile inoltre che in Aming si possa riconoscere il personaggio – chiamato Chamingus – cui si rivolgeva in una lettera ufficiale il
207
Ad es. in G. Arnosti, Lo scisma tricapitolino cit., p. 61 (dove tuttavia non è specificata l’edizione
menandrea di riferimento); si trattava di un altissimo funzionario: «the office which Bonus held was perhaps
that of comes patrimonii per Italiam» (PLRE III-A, s.v. Bonus 3 cit., p. 241; sullo specifico ufficio cfr. part.
A.H.M. Jones, The Later Roman Empire cit., pp. 425-427, tr. it., pp. 638-638).
208
Cfr. J. Sundwall, Abhandlungen cit., pp. 105 e 145-146 (dove con «Frankenkönig» si deve, forse intendere il dux Aming); PLRE III-A, s.v. Bonus 3, p. 241; W. Enßlin, s.v. Pamphronius 2 cit., c. 353; PLRE
III-B, s.v. Pamphronius cit., p. pp. 962-963; il patricius «Pamphronius was evidently a high-ranking civilian
official in Italy» (PLRE III-B, s.v. Pamprhonius cit., p. 962), presumibilmente Prefetto del Pretorio o
Prefetto della Città di Roma (secondo Menandro, fr. 49 ed. C. Müller cit., p. 253 = fr. 22 ed. R.C. Blockley
cit., pp. 196-197 e p. 281, n. 267) questi sarebbe stato ancora in carica nel 578 (cfr. W. Enßlin, s.v. Pamphronius 2 cit., c. 353; W. Goffart, Byzantine policy cit., p. 81, che offre una propria traduzione del frammento
menandreo).
209
«During the reconquest of north Italy Bonus and Pamphronius were sent to the Frank Amingus as
envoys by Narses to arrange for the Roman army to cross rhe river Attisius (Adige) without involving the
Franks in warfare» (PLRE III-A, s.v. Bonus 3 cit., p. 241; ibid., s.v. Amingus cit. p. 55); cfr. anche O. Bertolini, Roma cit., p. 220.
210
Menandr. fr. 8, ed. C. Müller cit., p. 204 = fr. 3,1 rr. 8-10, ed. R.C. Blockley cit., p. 44 (anche in
questo caso ho scelto quest’ultima edizione per il passo citato). «Amingus... lagerte am linken Ufer der
Etsch, um die Byzantiner am Überschreiten des Flusses und an der Einschließung von Verona zu hindern»
(L. Schmidt, Die letzten Ostgoten, cit., p. 7).
211
Però W. Goffart ritiene che «a considerable portion of Venetia was still a dependency of Austrasia in
562, when its governor Amingus supported a last-ditch Gothic rising» (Byzantine policy cit., p. 76). L’unico
storico che ipotizza che il duca Franco Aming avesse la propria sua base operativa a Treviso, da cui si
sarebbe mosso «al soccorso» di Widin, è C.G. Mor, Da Roma a Carlo Magno: vicende politiche tra Piave e
Livenza cit., p. 14 (una serie di considerazioni, ibid., p. 19, n. 8, connesse con la ‘riconquista’ di Treviso da
parte dei Franchi dopo il 550-551, non sono completamente intelleggibili).
212
Come suggerisce E. Stein, Bas-Empire cit., p. 610. Sulla vicenda cfr. anche G.B. Bognetti, Teodorico
di Verona e Verona longobarda capitale di regno [1960], in Id., L’Età Longobarda cit., IV, pp. 350 ss.
58
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
maior domus di Sigeberto, Gogone213.
G.B. Bognetti sosteneva, dal canto suo, che «in un anno non facilmente
precisabile, ma certo avanti l’estate del 561, Narsete si era probabilmente indotto a
mandare una schiera per eseguire arresti di vescovi ribelli nella Venezia. Ma i
Franchi rifiutarono il passaggio dell’Adige, e cominciò la rivolta gotica, conclusasi
solo nel 563»214: ora, almeno il rango della delegazione bizantina lascia pensare ad
un esplicito tentativo di conciliazione diplomatica prima di arrivare al
confronto militare, magari attraverso compensazioni in denaro, vista la presenza
tra i delegati del comes patrimonii. Se anche ci fosse stata una richiesta agli imperiali,
da parte di papa Pelagio215, di catturare alcuni vescovi scismatici tricapitolini, noi non
213
«It is not known whether Amingus had acted at the command of Sigibert I, king of Austrasia since
561» (W. Goffart, Byzantine policy cit., p. 76, e n. 11): si dovrebbe allora retrodatare a non prima del 562
una delle Epistolae Austrasicae (la n. 13, pp. 127-128), tradizionalmente datata tra il 568 e il 575; Cfr. però
PLRE III-A, s.v. Chamingus, p. 281 (che data la lettera al 575/581 e sostiene che il personaggio in questione
«non to be confused with Amingus, long since dead»); cfr. ibid., s.v. Gogo, p. 541.
214
G.B. Bognetti, Santa Maria cit., p. 200; G. Arnosti (Lo scisma tricapitolino cit., p. 61) pone l’episodio
nel 559; questo stesso autore sostiene poi (ibid., p. 62) che nel 560 Narsete sarebbe divenuto prefetto del
pretorio e per questo assegna alla stesso speciali compiti di vigilanza sui culti che darebbero ragione di
presunti suoi comportamenti. Narsete, tuttavia, non rivestì mai le funzioni di prefetto del pretorio (ad ogni
buon conto cfr. PLRE III-B, s.v. Narses 1 cit., pp. 912-928, con la più scrupolosa disamina dell’intero
complesso cursus honorum del celebre personaggio). In particolare, nel periodo di cui si tratta, Narsete era
praepositus sacri cubiculi; vir inlustris e, forse dal 559, patricius (cfr. PLRE III-B, s.v. Narses 1 cit., pp.
923. Anzi, in quegli anni il titolo prefettizio fu conferito come Praefectus Italiae o per Italiam e non come
Praefectus Praetorio (cfr. J.B. Bury, History cit., II, p. 282: che ricorda appunto come Narsete avesse al suo
fianco Antiochus, «at the head of the civil service, but it is significant that the title of Antiochus was not
Praetorian Prefect, but simply Praefect of Italy»); cfr. PLRE III-A, s.v. Antiochus 2, p. 90 (questi, nella
Pragmatica Sanctio è detto infatti: Antioco v(iro) magnifico praef(ecto) per Italiam). Una certa confusione
sul Narsete Prefetto può essersi forse ingenerata in quanto, tra il 554 e il 568, ricoprì la prefettura italiana un
personaggio dall’inverosimile nome: Fl. Marianus Michaelius Gabrihelius Petrus Iohannis Narses
Aurelianus Limenius Stefanus (cfr. PLRE III-A, s.v. Aurelianus 1 p. 156), che si chiamava anche Narsete
(cfr. ibid., pp. 1474-1475 con l’elenco dei Pr. Pret. per l’Italia).
215
Cfr. ed. J.-P. Migne, PL, LXIX, spec. cc. 413-414 (cfr. G. Cuscito, Aquileia e Bisanzio nella controversia dei Tre Capitoli, «AAAd» 12, 1977, pp. 233 ss.; Id., La Fede Calcedonese e i Concili di Grado
(579) e di Marano (591), «AAAd» 17, 1980, spec. pp. 217 ss.). Sulle lettere di Pelagio cfr. PLRE III-B, s.v.
Narses 1 cit, p. 923: una venne composta probabilmente nel marzo/aprile del 559 («Narses is urged to take
strong measures against the schismatic bishops of Liguria, Venetia and Histria, who continued to adhere to
the Tree Chapters and refused to communicate with Pelagius»), la seconda, forse in ‘unepoca più vicina ai
fatti di cui si tratta (ma comunque «between 556 and 561»); nulla si può dedurre da tali misive riguardo i
successivi comportamenti di Narsete. Su Iohannes e Valerianus, citati da G. Arnosti (Lo scisma tricapitolino
cit., p. 61, n. 9) come fratelli e prefetti del pretorio, cfr. J. Sundwall, Abhandlungen cit., risp. pp. 132
(Iohannes, comes patrimonii attorno al 558: «Freund, nicht Bruder des Patricius Valerianus») e p. 166
(patricius 558/560). Su queste vicende cfr. anche R.A. Markus, Ravenna and Rome, 554-604, «Byzantion»
51, 1981, spec. pp. 568-570.
59
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
saremmo tuttavia in grado né di affermare che Narsete vi avesse aderito, né che vi
avesse aderito nei tempi e nei modi descritti da Menandro nel suo frammento (ricordo
per inciso che quel papa morì nel 560). E non saremmo neppure in grado di
concludere che proprio ciò avrebbe costituito il detonatore della rivolta degli ultimi
Goti, soprattutto se non possiamo dimostrare (come non possiamo, per il silenzio, o la
non correlabilità, delle nostre fonti) almeno la consequenzialità degli eventi
richiamati.
Paolo Diacono216, dal canto suo, non riduce le nostre perplessità sull’effettiva
natura dell’episodio, quando parla di Amingus vero dum Windin217 Gothorum comiti
contra Narsetem rebellanti auxilium ferre conatus fuisset, utrique a Narsete superati
sunt. Lo storico longobardo sembra voler descrivere, purtroppo in forma assai lacunosa, lo scoppio di una sorta di rivolta Gotica (o, meglio, Franco-Gotica), repressa
da Narsete, piuttosto che la fine dell’ultimo presidio franco che si opponeva alla
riconquistata Italia bizantina (Windin captus Constantinopolim exiliatur. Amingus
vero, qui ei auxilium praebuerat, Narsetis gladio perimitur) 218.
Tuttavia il passo di Paolo è cronologicamente discutibile, basti pensare che la
fine di Leutari (554) è posposta – o giustapposta – rispetto a quella di Windin e
Aming (561-562) 219.
Di un residuo moto di ribellione, o di resistenza, contro Narsete
(promosso dai Franchi, cui si sarebbero unite forze Gote) si trova forse traccia
in Agnello Ravennate, che scrive appunto come le truppe bizantine
pugnaverunt contra Veronenses cives et capta est Verona civitas a militibus
XX die mensis Iulii220, ed anche in Teofane, che cita, tra i centri della
sommossa –per lui tuttavia esclusivamente gotica– proprio Verona, oltre a Brescia: tˆ
d'aªtˆ mhnÁ [si tratta, nella cronologia del cronista, del novembre 562221] ®pinºkia
ƒluon... Narso† to† patrikºoy dhlo†nta paralabe¡n aªtØn pøleiq... t©n Gøtuvn d¥o, BhrvÇan kaÁ
216
Paul. Diac. Hist. Lang. II 2, p. 78.
«Possibly the commander in Verona» (J.B. Bury, History cit., II, p. 282, n. 3); cfr. W. Enßlin, s.v.
Widin, RE VIII A.2 (1958), c. 2097 («war 562 Führer der um Verona und Brescia wohnenden Ostgotenreste
im Kampf gegen Narses»); di una insurrezione dei «Goti della valle Padana, sotto la guida del conte Widin e
con l’aiuto dei Franchi stanziati nella Venezia» parla O. Bertolini, Roma cit., p. 220; cfr. PLRE III-B, s.v.
Widin, p. 1403. Dell’anno 561, «in cui il conte Widin e i suoi consanguinei resistettero con azioni di
guerriglia al governo romeo in Italia», parla A. Carile, Bellum cit., p. 158 = Società cit., p. 138. Su Aming e
Widin cfr. anche E. Stein, Bas-Empire cit., p. 611, n. 1; R. Holtzmann, Die Italienpolitik der Merowinger
cit., p. 15; C.G. Mor, Verona Medievale cit., pp. 19-20.
218
Paul. Diac. Hist. Lang. II 2, p. 78.
219
Cfr. E. Stein, Bas-Empire cit., pp. 610-611.
220
Agnell. Rav. lib pont. 79, p. 331 = ed. Mommsen, p. 335. Secondo E. Stein, tuttavia, «il n’est pas
impossible que Vidin ait été commandant de Vérone après une première prise de cette ville, et que sa révolte
ait obligé Narsès à réduire Vérone encore une fois en 562» (Bas-Empire cit., p. 611, n. 1
221
Cfr. J.B. Bury, History cit., II, p. 281, n. 3.
217
60
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
Brºgkaq222.
Expulsi sunt Franci de Italia per Narsete patricium chiosa infine Agnello223, e
infatti «la défaite d’Aming fit tomber la Vénétie franque au pouvoir des Byzantins»224.
Così è riassunta la situazione da R. Heuberger: «denn bald darauf wahrscheinlich erst nach dem Tod Chlotachars (561), der seit 558 das ganze
Merowingerreich beherrscht hatte - stand ein fränkisches Heer unter dem Dux Aming
im Bund mit dem gotischen Comes Widin an der Etsch, wenn auch vielleicht wider
Wissen und Willen König Guntchramns. Auch Brescia und Verona waren damals
noch nicht in der Hand der Kaiserlichen. Erst nachdem die Byzantiner, denen seit 555
ganz Italien südlich des Pos gehorchte, Aming und Widin besiegt und die genannten
Städte genommen hatten, was vermutlich im Jahr 562 oder um 563 geschah,
vermochte Narses die Grenze des Kaiserreichs bis an die Ostalpen vorzuschieben»225.
Quindi soltanto nella seconda metà del 562, spezzata ogni residua resistenza, venne
meno con il loro ultimo efficiente comandante la presenza dei Franchi nella Venetia,
schiacciata definitivamente da Narsete226.
222
Chron. A.M. 6055, p. 237 De Boor (= 367 B); Cedren. Hist. Comp. I, 679, 13-15; traduce Anastas.,
Chron., p. 147, 9-10 De Boor: tropaea venerunt a Roma Narsis patricii significantia comprehendisse illum
urbes munitas Gothorum duas, Veronam scilicet et Brixiam, vicesima vero quinta die Novembrii mensis.
Teofane che si rifà ad un passo di Io. Mal. (XVIII, 140, p. 425 = ed. L. Dindorf, p. 492). Nonostante nella
linea della tradizione Malala-Teofane siano i Goti i nemici definitivamente sconfitti, una eco della fine della
specifica minaccia ‘dei Franchi’ si trova ancora nella descrizione poetica della restaurata Santa Sofia (reinaugurata poco dopo la data segnata da Teofane, nel dicembre 562) e messa in versi da Paolo Silenziario
(descr. S. Soph., v. 228, p. 233: dove si afferma essere placata, letteralmente, la ‘furia (celtica=) gallica’; cfr.
il commento di P. Friedländer, p. 267 e B. Rubin, Das Zeitalter cit., p. 172, e pp. 429-430. Riporto da ultimo,
per completezza, la notizia che si trova in quella fonte assai sospetta qual è il c.d. Marcellini Auctarium
alterum [a. 552] secondo la quale, sconfitti i Franchi di Buccelinus, i quali per annos aliquot avevano saccheggiato l’Italia, nec multo post socius eius Omnirugus dux cum reliquos Gothorum, quibus se iunxit,
peremptus est (Chronica minora II cit., p. 43, n. 1). Che dietro a questo misterioso Omnirugus possa celarsi
Amingus? Certo si trattava di un comandante Franco (socius eius, di Buccelinus), e certo a lui si unirono reliquos Gothorum (i Goti di Widin?), in corrispondenza alla notizia di Paolo Diacono, salvo il tentativo di
precisazione cronologica (assicurato peraltro solo da quel nec multo post).
223
Agnell. Rav. lib pont. 90, p. 336 = ed. Mommsen, p. 335 (ove si legge, subito di seguito, in una sorta
di ricapitolazione delle gesta di Narsete: et vicit duos reges Gothorum et duces Francorum iugulavit gladio).
Vd. anche Annales Ravennatenses, a. 568, p. 368.
224
E. Stein, Bas-Empire cit., p. 610; «Der Rest der fränkischen Besitzungen in Oberitalien fiel an das
byzantinische Reich» (L. Schmidt, Die letzten Ostgoten, cit., p. 7).
225
Rätien, cit., p. 261.
226
«Erst 563 konnten die von den Franken besetzten Gebiete wieder von Bysanz zurückerobert werden»
(V. Bierbauer, Zur ostgotischen Geschichte cit., p. 29); cfr. PLRE III-B, s.v. Narses 1 cit., p. 924.
61
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
§ 8. Breve ed incerta riconquista imperiale della Venetia
(dal 562 al 615 ca.)
Ricordo che nel dicembre 561 il re Sigeberto era succeduto a Clotario sul
trono austrasiano e si era ritrovato subito a dover rintuzzare contemporaneamente
un’incursione degli Avari ed un attacco portato da uno dei suoi fratelli, senza avere
alcuna seria possibilità di intervento in Italia227.
«Le régions méridionales de la Rétie et du Norique, qui avaient servi de
boulevard au royaume de Théodoric, échappaient presque complètement à l’autorité
de l’empereur; en conséquence, Narsès paraît avoir fait construire un nombre
considérable de forteresses et de châteaux destinés à protéger la province de Venetia
et Histria et formant deux duchés, celui de Forum Julii (Cividale) dans le Frioul, et
celui de Trente»228.
Probabilmente i Franchi, pur perdendo le loro basi nella Venetia, avevano
tuttavia mantenuto il controllo di parte del Trentino: tra Franchi ed imperiali doveva
essere dispegata la ‘colonia’ di guerrieri Eruli guidata da Sindual il quale però, tra
566 e 567 si ribellò ai bizantini costringendo Narsete ad un’ennesima campagna
militare229.
Sindewala Erolus tyrannidem adsumpsit et a Narseo patricio interfectus
est, scriveva Mario Aventicense230; mentre il Liber Pontificalis chiosava: eodem
tempore Eruli intarsia fecerunt et levaverunt sibi regem Sindual et premebant
cunctam Italiam. Qui egressus Narses ad eum interfectus est et omnem gentem
227
«Als nach Chlothars I. Tode das Frankenreich erneut geteilt wurde, blieb die Lage dieselbe, soweit es
die Italienpolitik betraf. Der neue Herrscher im Teilreich von Reims, Sigebert I. (561-75), war wie sein
Vorgänger im Innern des Frankenreiches stark gebunden» (H. Büttner, Die Alpenpolitik der Franken cit., p.
69). Cfr. E. Stein, Bas-Empire cit., pp. 610-611.
228
E. Stein, Bas-Empire cit., p. 612. Secondo G. Löhlein, Die Alpen- und Italienpolitik cit., pp. 50-51,
«arbeitete Narses an der militärischen Sicherung des Landes. Besonders galt es, die Nordgrenze, die im
wesentlichen den Stand von vor 539 wieder erreicht hatte, in Verteidigungzustand zu setzen. Es wurde zu
diesem Zweck, oft im Anschluß an bereits bestehende und wieder hergestellte Kastelle, ein starkes
Befestigungssystem geschaffen, das sich im Osten am klarsten verfolgen läßt... Die Verbindung zwischen der
Mark von Friaul und der von Trient stellten Cenitense castrum (Ceneda) und Feltria (Feltre) her» (corsivo
mio).
229
«Possibly in 566, after the death of Justinian, the Heruli in north Italy revolted and proclaimed Sindual
king but he was shortly afterwards defeared and executed by Narses» (PLRE III-B, s.v. Sindual cit., p. 1155;
cfr. O. Bertolini, Roma cit., p. 220; cfr. G. Löhlein, Die Alpen- und Italienpolitik cit., p. 52); E. Stein, BasEmpire cit., p. 611, n. 1 e p. 613; A. Lippold, s.v. Narses cit., c. 887
230
Mar. Avent. Chr. a. 566.4, p. 238 (cfr. O. Holder-Egger, Untersuchungen über einige annalistische
Quellen zur Geschichte des fünften und sechtsten Jahrhundert II., «NA» 1, 1876, p. 342).
62
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
Erulorum sibi subiugavit231.
Il bizantino Evagrio, dal canto suo, nel tessere la gloria di Narsete, ricordava
specificamente l’ultimo episodio collegandolo alla precedente sconfitta di Buccelino:
p™praktai d‚ kaÁ ’tera tˆ NarsÎ løgoy pollo† “jia, Boyselºnon kaÁ Sindo¥aldon
katapolem¸santi, kaÁ tÅ pollÅ proskthsam™nÛ fino all’Oceano232.
Ciò avveniva proprio in coincidenza con la successione a Giustiniano morto
nel frattempo: l’episodio, in sé non pericolosissimo, mostrava tuttavia come
l’instabilità dell’area non fosse ormai più recuperabile con mezzi ordinari: non
sappiamo se a Sindual si fossero unite schiere di Goti dispersi, anche se è
un’eventualità tutt’altro che remota, e da tenere in debita considerazione233. «Es ist
nicht bekannt, ob die Kämpfe zwischen Franken und Oströmern nach der
Niederwerfung Sindualds noch weiter dauerten. Sollte es jedoch der Fall gewesen
sein, so könnten sie nur in Rätien oder Norikum, die zu Austrasien gehörten und auf
welche die Griechen Anspruch erhoben, stattgefunden haben»234.
Già allora era chiaro che le posizioni bizantine, per raggiungere un livello
accettabile di sicurezza, avrebbero dovuto inevitabilmente essere stabilmente
fortificate sulle montagne ovvero essere arretrate su linee più esterne e più sicure in
direzione del mare: ma per la prima ipotesi non conosciamo se esistessero le risorse
per mantenere efficienti tale limes, le relative vie di accesso, collegamento e
controllo; e non è chiaro, infine, se le truppe disponibili sarebbero state sufficienti a
presidiarlo.
Ceneda comunque, dopo il 556/557 (o dopo il 562/563), tornò con ogni
probabilità sotto il controllo imperiale: si apriva allora anche per questa cittadina una
breve ed incerta stagione nell’ambito della ritrovata, ma effimera, unità della Venetia.
231
Mar. Avent. Chr. a. 566.4, p. 238 (cfr. O. Holder-Egger, Untersuchungen über einige annalistische
Quellen zur Geschichte des fünften und sechtsten Jahrhundert II., «NA» 1, 1876, p. 342).
232
Evagrii Scholastici, Historiae Ecclestiasticae, IV 24, ed. J.-P. Migne, PG, vol. 86, 2, c. 2741; Mario
Aventicense, tornando ancora sull’argomento, mette insieme Buccelino e Sindual in Chr. a. 568, p. 238).
Che Sindual si fosse proclamato re risulta dagli Excerpta Sangallensia 710 (a. 567) in Chronica Minora I, p.
335 (et occisus est Sindual rex) e da Paolo Diacono (Hist. Lang. II 3, ed. Zanella, p. 232: Sindual Brentorum
regem). Su Narsete e gli Eruli vd. anche gli Excerpta codicis Vaticani Graeci 96 (saec. XIV): il passo è
citato per esteso in Agathiae Myrinaei, Historiarum libri quinque, rec. S. Costanza cit., p. 75.
233
Cfr. R. Cessi, Le prime conquiste longobarde cit., p. 149, per la sottolineatura che, ancora alla immediata vigila della calata dei Longobardi, nel momento della più acuta crisi della gestione italica di Narsete,
«il partito gotico» non fosse «ancor spento».
234
G. Löhlein, Die Alpen- und Italienpolitik cit., p. 53; cfr. R. Heuberger, Rätien, cit., pp. 261 ss.
63
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
Tra Concordia e Padova la più robusta linea difensiva correva lungo la
vecchia via Annia; Opitergium controllava poi il tratto della via Postumia fino a
Concordia; il territorio veneto era stabilmente presidiato dai Bizantini anche sulla
linea avanzata tra Feltria e Bellunum235.
Dopo qualche anno, tuttavia, a partire dal 568-569, gens Langobardorum
comitante fame et mortalitate omnem invadit Italiam236: le tragiche condizioni
della regione, ulteriormente aggravate dall’invasione, la tenuta dei presidi
imperiali (oltre, probabilmente, agli accordi intercorsi tra Bizantini e Longobardi),
non consentirono tuttavia agli uomini di Alboino di impadronirsi dell’intera
Venetia, e neppure, forse, per parecchi anni dello stesso castrum di Ceneda237:
la conquista longobarda, infatti, almeno nella prima fase dell’invasione, non dovette
avere i connotati della continuità territoriale238. Sembra anzi «probabile che tutto il
235
Cfr. Luisa Alpago-Novello Ferrerio, Bizantini e Longobardi nella Val Belluna, «ArcStBFC» 46, 1975,
spec. pp. 55 e 64-67.
236
Beda, Chron. 527, p. 308; Mar. Avent. Chr. a. 569, p. 238: hoc anno Alboenus rex Langobardorum
cum omni exercitu relinquens atque incendens Pannoniam suam patriam cum mulieribus vel omni populo
suo in fara Italiam occupavit, ibique alii morbo, alii fame, nonnulli gladio interempti sunt (vd. Liber
Pontificalis, LXV. Pelagius II: Langobardi obsederent civitatem Romanam et multa vastatio ab eis in Italia
fieret, Duchesne, I, p. 309 e n. 1, p. 309). È chiaro che all’invasione non poté seguire, per molto tempo, un
miglioramento delle condizioni economico-sociali dei territori conquistati. Tralascio, in questa sede, la
questione del presunto tradimento di Narsete, che avrebbe favorito l’arrivo dei Longobardi in Italia. Di esso
si parla polemicamente in diverse fonti ed un filone della trattatistica bizantina lo conserverà ancora per
secoli, nonostante «the story... is certainly a fiction» (PLRE III-B, s.v. Narses 1 cit., p. 925): vd. Liber
Pontificalis LXIII. Iohannes III, Duchesne, I, p. 305 (Narsis... scripsit genti Langobardorum ut veniret et
possiderent Italiam; cfr. ibid., n. 7, p. 307); Auct. Haun. Extr. 4, p. 337; Isid. Chron. 402, p. 476; Beda,
Chron. 523, p. 308 e, ovviamente, in Origo gentis Langobardorum, 5, p. 4 (Langobardos in Italia, invitatos
a Narsete), nella Historia Langobardorum Codicis Gothani, 5, p. 9 (Albuin movit et adduxit Langobardos in
Italia, invitatus ad Narsete proconsule) e in Paul Diac. Hist. Lang. II, 5, p. 85, e poi ancora nel De
administrando imperio, 27 di Costantino VII Porfirogenito, scritto tra il 948 e il 952 (ed. Gy. Moravscic, p.
114); cfr. R. Cessi, Le prime conquiste longobarde cit., passim e pp. 146 ss.; dedica invece ancora qualche
attenzione alla «tradizione di un invito (e di un accordo) di Narsete ai Langobardi» C.G. Mor, Bizantini e
Langobardi cit., pp. 247-248 e 251.
237
Vi è chi ha sostenuto autorevolmente l’occupazione longobarda di Ceneda fin dai primi tempi
dell’invasione, pur nel silenzio di Paolo Diacono; cfr. G. Arnosti, Lo scisma tricapitolino cit., pp. 17 e 19
(con rinvii): credo tuttavia che possa essere avanzata, altrettanto fondatamente, una diversa opinione.
Un’articolata proposta di localizzazione della prima fase dell’invasione dei Longobardi si legge in C.G. Mor,
Bizantini e Langobardi cit., pp. 251 ss., anche se non vi è spiegata «la presenza dell’intercapedine dei presidi
alpini bizantini» (ibid., p. 260), né i loro collegamenti con la fascia costiera timasta in mano agli imperiali, e
a p. 264 dà già per costituito, almeno nel 579, il ducato longobardo di Ceneda. Cfr. ovviamente, in gen., R.
Cessi, Le prime conquiste longobarde cit., pp. 135 ss.
238
Cfr. Luisa Alpago-Novello Ferrerio, Bizantini e Longobardi nella Val Belluna, cit., p. 55.
64
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
territorio compreso tra Piave e Livenza fino all’interno della zona prealpina sia
rimasto, al momento del primo impatto, sotto il controllo delle forze bizantine e che il
primo insediamento longobardo sia avvenuto nel rispetto di definite aree
d’influenza»239.
Abbandonando Belluno e Feltre, «i Bizantini non devono aver lasciato tutto il
territorio, anzi è verosimile che si siano arroccati nei loro fortilizi nella regione della
sinistra Piave, lungo le pendici delle Prealpi che culminano nel Col Visentin: zona
facilmente collegata con la sottostante pianura opitergina attraverso comode
mulattiere (passo di S. Boldo, “canali” di Limana e Fadalto)» 240.
Solo attorno al 615-616, in corrispondenza con la caduta di Concordia in
mano Longobarda, gli imperiali sarebbero stati costretti ad arretrare la loro linea
difensiva abbandonando in pratica «tutto il saliente a Nord di Opitergium... perché
non più difendibile»241: fu allora, probabilmente, che i Longobardi si impadronirono
di Ceneda, e ne fecero in seguito la capitale di un loro ducato, con prospettive
politiche, militari, economiche e culturali che si devono ritenere importanti e
interessanti pur nella desolazione dei resti documentali242.
Ai Bizantini rimasero l’area lagunare e, ancora per non molto tempo, qualche
località ben fortificata, come Opitergium, oltre al controllo di alcune vie, attraverso
forti e campi trincerati.
La presenza del cuneo bizantino di Oderzo continuò ad ostacolare a lungo «i
collegamenti in pianura tra il ducato del Friuli e il resto del regno di Pavia»243, ma è
probabile che dal Friuli il traffico si svolgesse attraverso una via che doveva
scavalcare il Cansiglio, attraversare la Val Belluna e proseguire sulla sponda destra
del Piave fino a Feltre, da dove passava per Trento (attraverso la Valsugana) ovvero
prendeva la direzione della pianura244. Le fortificazioni bizantine nella Val Belluna
ressero probabilmente fino alla presa di Oderzo (639)245, ma nulla si sa della sorte
239
G. Cuscito, Testimonianze archeologiche monumentali cit., p. 83.
Luisa Alpago-Novello Ferrerio, Bizantini e Longobardi nella Val Belluna, cit., p. 66.
241
Ancora G. Cuscito, Testimonianze archeologiche monumentali cit., p. 83.
242
Sul ducato longobardo di Ceneda cfr. S. Gasparri, I Duchi Longobardi, Roma 1978, pp. 26 ss. (e poi,
sul piano prosopografico dei duchi conosciuti, pp. 33; 63-64, Ursus; 46, Aginualdus; 47, Ahulmus; 51,
Anselmus; 71, Petrus; l’indice dei nomi, in calce al volume, risulta non rinviare correttamente alle pagine);
G. Arnosti, Appunti sul Ducato Longobardo di Ceneda, cit., pp. 17 ss. (sul duca Orso cfr. C.G. Mor, La
Cultura cit., pp. 226-227 e n. 39). Ricordo che l’indice della PLRE III-B (che arriva all’anno 641), alle pp.
1534-1535, s.v. Lombard Duces, reca solo nomi di duchi del Friuli, a partire da Gisulfus I, aa. 569-581, e di
Tarvisium (Ulfari, aa. 591-592).
243
Ancora Luisa Alpago-Novello Ferrerio, Bizantini e Longobardi nella Val Belluna, cit., p. 66.
244
Cfr. Luisa Alpago-Novello Ferrerio, Bizantini e Longobardi nella Val Belluna, cit., pp. 66-67.
245
Cfr. ancora Luisa Alpago-Novello Ferrerio, Bizantini e Longobardi nella Val Belluna, cit., p. 67.
240
65
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
dei presidi imperiali sulla montagna bellunese che superavano e controllavano la
piazzaforte cenedese, che hanno lasciato soltanto qualche resto archeologico e forse
qualche traccia linguistica come una ricerca nel settore sta tentando di mostrare246.
Il futuro tuttavia avrebbe dimostrato che, se l’eliminazione dei Goti si era
risolta in un primo tempo a profitto di Bisanzio causando anche l’allontanamento dei
Franchi dall’Italia, l’arrivo dei Longobardi nella penisola riaprì, per il futuro, agli
stessi Franchi «le possibilità di intervento, pur nelle difficoltà provocate dalle
esuberanti scorrerie longobarde fin nella valle del Rodano... non si può sottovalutare
il persistente avvolgimento in cui i Franchi di Austrasia mantennero l’Italia del nord:
conservarono i valichi alpini dell’alto Adige, costrinsero più volte i Longobardi a
riconoscere, pagando tributo, la formale supremazia della dinastia merovingia di
Metz»247.
§ 9. Ipotesi e suggestioni sull’origine del vescovato cenedese
– 9.1 Considerazioni introduttive
Dobbiamo ora prendere in esame una ipotesi assai suggestiva, e sino ad ora
rispettabilmente minoritaria, quella cioè dell’istituzione in Ceneta di una sede
episcopale:
246
Ringrazio il dott. G. Tomasi per alcune anticipazioni che ha voluto fornirmi su una ricerca in corso che
individuerebbe un possibile percorso linguistico di ascendenza greco-bizantina, dal Castello di Zumelle a
Lentiai, ad Arfanta, giù in direzione di Conegliano-Oderzo.
247
G. Tabacco, L’inserimento dei Longobardi cit., pp. 231-232. È interessante indagare le successive
fonti bizantine per trovare il cambio di prospettiva geopolitica che si verificherà progressivamente alla corte
costantinopolitana, e in particolare il mutamento di valutazione sulle questioni dell’area veneta. Alla metà
del X secolo, ad esempio, la Venetia è sentita come ‘territorio Franco’, anche se il ducato veneziano è
ovviamente ben conosciuto e circostanziato persino in alcuni dettagli della sua localizzazione lagunare (vd.
De administrando imperio, 27 rr. 71-95, pp. 116-118). Sembra non esservi tuttavia la percezione che i
Veneziani fossero stati l’ultimo baluardo (nord-)occidentale dell’Impero, almeno fino all’invasione dei
Franchi della seconda metà del secolo VIII (vd. De administrando imperio, 28 rr. 36-37, p. 120), e non solo
nominale: sorprendentemente l’imperatore Costantino VII Porfirogenito sembra ignorare che l’Italia stessa
aveva fatto parte dell’Impero Romano, di cui i Bizantini si consideravano gli eredi politici, e che fino al VII
secolo una parte dell’Italia settentrionale, tra cui la stessa Venezia, era stata sotto la diretta dominazione
dell’Impero (cfr. L.A. Berto, La «Venetia» tra Franchi e Bizantini. Considerazioni sulle fonti, «SV», n. s.
XXXVIII, 1999, p. 201). Ma Costantino VII parla dei Veneziani come dei Franchi anzi li definisce ‘Franchi
fuggiti da Aquileia e rifugiatisi nelle isole delle lagune’ (vd. De administrando imperio, 28 rr. 4-11, p. 118;
cfr. L.A. Berto, La «Venetia» tra Franchi e Bizantini cit., pp. 197 e 200). In realtà qui, ormai, sono gli
Occidentali in genere ad essere diventati, per i Bizantini (come avverrà parallelamente per gli Arabi), tutti
dei ‘Franchi’.
66
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
a) nel periodo della occupazione dei Franchi, approssimativamente tra 545 e
555(-561);
b) ovvero nel successivo periodo di rioccupazione di Ceneda da parte degli
imperiali.
Non ho alcuna pretesa di dire una parola definitiva sull’argomento specifico
(e in particolare sulle suggerite ‘datazioni basse’), né tantomeno sulla questione
dell’origine tout-court del vescovato cenedese, e che questa prudenza mi pare la
miglior base di partenza, o almeno quella che stabilisce le condizioni più adatte ad
una serena valutazione degli elementi disponibili.
Sono consapevole di inoltrarmi in un contesto generale già caparbiamente (e
forse vanamente) esplorato, e so bene che, per dirla in sintesi, «de origine episcopatus
Cenetensis viri docti inter se discordant», come scriveva nel suo latino rotondo Paul
Fridolin Kehr248.
Allo stato delle attuali conoscenze, per uno storico, non potrà mai esservi una
valutazione preliminare diversa dalla mera constatazione che una precisa datazione
dell’origine della diocesi di Ceneda resta, e probabilmente resterà, non dimostrabile
documentalmente249.
Ho tuttavia la sensazione che, per ragioni che mi restano oscure, buona parte
dei ‘viri docti’ che hanno studiato tale questione hanno fatto, più o meno
consapevolmente, la scelta di disseminare di aut-aut ‘ideologici’ i loro studi, così da
imbrigliare le ricerche successive in una rete di postulati che per loro natura
dovrebbero venir accettati o respinti, ma non discussi.
Questo riferimento alle pregiudiziali ideologiche si riferisce essenzialmente
alle prese di posizione ‘partigiane’, a favore o contro Ceneda e, di conseguenza (o
viceversa), a favore o contro l’istriana Cissa (su questa sede episcopale ‘concorrente’
avremo presto modo di parlare), ed anche all’approccio (in genere sfumato, ma
deciso) teso ad assegnare alla diocesi di Ceneda degli inizi che non precedano la
seconda metà del VII secolo, magari per non ‘rischiare’ di riconoscere che i primi
titolari avrebbero potuto essere dei presuli scismatici?
La rarefazione delle fonti, lamentata in generale per Ceneda, è confermata
anche in questo caso, tanto che, per lavorare sulla dibattuta nascita dell’episcopato
cenedese, possediamo soltanto alcuni documenti di storia ecclesiastica, per di più
filologicamente discutibili: infatti, a seconda della lettura e dell’interpretazione
che si può attribuire ad un loro aggettivo, essi possono essere utilizzati a favore
della recenziorietà della istituzione della diocesi di Ceneda, ovvero per negarla tout248
Regesta Pontificum Romanorum – Italia Pontificia – vol. I (Venetia et Histria) – pars I, Provincia
Aquileiensis, Berolini 1923, p. 82.
249
Cfr. anche G. Tomasi, La Diocesi di Ceneda cit., I, p. 17.
67
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
court prima della seconda metà del VII secolo.
Un testimone d’eccezione come Venanzio Fortunato, nel suo celebre excursus
sul Veneto orientale, non fa purtroppo cenno alcuno all’esistenza di un presule
cenedese attorno al 565, ma è chiaro che non si può dedurre nulla da un argumentum
e silentio come questo250, che trova diverse spiegazioni, tutte plausibili, come la
vacanza della sede dovuta all’allontanamento del titolare dopo l’evacuazione franca,
o risponde ad altre ragioni, connesse con le simpatie, le antipatie, le prudenze o
persino con più banali esigenze metriche del nostro poeta; in ogni caso il suo spunto è
talmente sintetico da non lasciare spazio ad alcuna interpretazione specifica, né in
senso positivo, che negativo (vd. qui, infra, § 10).
– 9.2 Organizzazione ecclesiastica dei Merovingi
Il Castello di San Martino
L’organizzazione religiosa ed ecclesiastica dei territori Merovingi, posta sotto
la protezione (e fondata sul culto) di San Martino251, era andata di pari passo con la
loro organizzazione politica: l’episcopato costituiva anzi, di fatto, una delle più
importanti colonne dei regni, certo non senza contrasti con i sovrani252.
250
S. Tramontin, a proposito dei versi venanziani, ne ha ricavato invece che «Ceneda non era ancora
diocesi allora» (Origini del Cristianesimo nel Veneto, in AA.VV., Storia della Cultura Veneta cit., p. 120, n.
114).
251
Subdita sanctorum meritis fastigia regum: il potere dei sovrani era da considerarsi subordinato al
potere dei santi, almeno secondo Paolino di Périgueux (De vita Sancti Martini IV, 348, p. 95), e in
particolare a quello di San Martino: le «images of Saint Martin were so intimately bound up with the
institutions of Merovingian society that skepticism about the roles of bishops and relic cults or the allinclusive importance of Christianity had to precede any skepticism about the specific roles of Saint Martin»
(R. Van Dam, Images of Saint Martin in Late Roman and Early Merovingian Gaul, «Viator» 19, 1988, pp.
25-26). Su «Saint Martin, patron des Francs» cfr. anche E. Ewig, Le culte de Saint Martin à l’époque
franque, «RHEglFr» 47, 1961, pp. 1-18, ora in Id., Spätantikes und fränkisches Gallien, München 1979, vol.
II, pp. 360-370; Id., Die Martinskult im Frühmittelalter, «ArchMKge» 14, 1962, pp. 11-30, ora in ibid., vol.
II, pp. 376-384.
252
Cfr. M. Pavan Venanzio Fortunato tra Venetia, Danubio e Gallia cit., pp. 16-17; sono gli stessi
Carmina di Venanzio Fortunato che «font revivre l’image de l’évêque se consacrant à ses trois fonctions:
d’istruction du peuple, d’assistance des indigents et d’entretien du patrimonie de l’Eglise»: si forma attorno a
questo corpus di versi il senso di solidarietà (lo spirito di corpo) dei vescovi merovingi (cfr. M. Reydellet,
Tradition et Nouveté dans les Carmina de Fortunat, in «Venanzio Fortunato. Atti del Convegno» cit., pp. 89
ss.); per eventuali approfondimenti su tale questione, che qui pare solo il caso di accennare, cfr. D. Claude,
Die Bestellung der Bischöfe im merowingischen Reiche, «ZRG-KA» 49, 1963, pp. 1-75; F. Prinz, Die
bischöfliche Stadtherrschaft im Frankreich vom 5. bis zum 7. Jahrhundert, «HZ» 217, 1973, pp. 1-35; G.
Schrebelreiter, Die Frühfränkische Episkopat: Bild und Wirklichkeit, «FMS» 17, 1983, pp. 131-147. Sul
particolare legame tra i re di Austrasia ed il culto di San Martino (e sulla tutela esercitata da detti sovrani sui
due santuari di Tours e di Poitiers) cfr. E. Ewig, Le culte de Saint Martin cit., p. 361 e p. 368 («le culte
martinien était de tradition chez les Mérovingiens d’Austrasie»). Cfr. Id., Die Martinskult cit., pp. 378 ss.
68
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
Lo stesso Venanzio Fortunato, in diversi suoi componimenti poetici,
«acknowledged the right of kings to intervene in the selection of bishops, and in his
panegyrics outlining a model of Christian Frankish kings he preferred to stress their
own spititual functions by comparing one of them to Melchizedek, who had been
both king and priest. Since Fontunatus had grown up in an Italy recently reconquered
for the Byzantine Empire, and since he was writing, at least in part, for an Italian
audience, perhaps he was influenced by Byzantine ideas about the priestly functions
of Christian emperors»253. Gli Austrasiani in particolare avevano disinvoltamente
lavorato alla sistemazione ecclesiastica delle diocesi dei territori che via via finivano
sotto il loro controllo, come si evince dalle notizie sugli episcopati norici, dipendenti
ecclesiasticamente dal Patriarcato di Aquileia, come Aguntum (Stribach, presso
l’odierna Lienz), Virunum, la cosiddetta ecclesia Breonensis (hod. Maria Saal auf
dem Zollfeld), e Teurnia (Tiburnia bei Spital an der Drau)254.
Tali diocesi «hätten in der Zeit von 553-65 zum Frankenreich gehört»255 e, in
253
R. Van Dam, Images of Saint Martin cit., p. 11. Si veda anche il bel lavoro di R.W. Mathisen,
Syagrius of Autun, Virgilius of Arles, and Gregory of Rome: Factionalism, Forgery, and Local Authority at
the End of the Sixth Century, in «L’Église et la Mission au VIe siècle – Actes du Colloque d’Arles de 1998»,
Paris 2000, pp. 260-290).
254
Vd. ad es. l’Epistola n. 16 (dal Registrum gregoriano, MGH EE, I, pp. 17-21, il testo citato è a p. 20):
in tribus ecclesiis nostri concilii [cioè dipendenti da Aquileia] id est Beconensi [=Breonensi], Tiburniensi et
Augustana Galliarum episcopi constituerunt sacerdotes; cfr., in gen., R. Heuberger, Rätien, cit., pp. 257259; G. Tabacco, L’inserimento dei Longobardi cit., p. 232. Si tratta della supplica (suggestio) inviata
all’imperatore Maurizio dal Patriarca di Aquileia, Severo, profugo a Grado, unitamente ai vescovi
(scismatici) della sua provincia ecclesiastica (la si legge anche in R. Cessi, (a cura di), Documenti relativi
alla storia di Venezia anteriori al Mille, Padova 1942, vol. I (sec. V-IX), documento nr. 8, pp. 14-19; cfr. G.
Cuscito, Aquileia e Bisanzio cit., spec. pp. 244 ss.; Id., La Fede Calcedonese e i Concili di Grado (579) e di
Marano (591), «AAAd» 17, 1980, spec. pp. 222 ss.; Id., La politica religiosa della corte longobarda di
fronte allo scisma dei Tre Capitoli. L’età Teolindiana, in «Atti del VI Congresso Internazionale di Studi
sull’Alto Medioevo» cit., t. II, pp. 374 ss.). Il libellus supplex, in buona sostanza, affermava che se il governo
imperiale non avesse impedito al papa Gregorio di proseguire nelle sue azioni vessatorie, i vescovi
supplicanti ritenevano che i loro successori non sarebbero più stati ordinati ad/da Aquileia, ma piuttosto dai
colleghi della Gallia, come era avvenuto in alcuni casi (che sono i tre citati) e che l’Impero avrebbe – in tal
modo – perduto il controllo sulla provincia metropolitica di Aquileia. L’imperatore invierà sollecitamente
una iussio al papa nella quale, invitandolo a tener conto della praesens rerum Italicarum confusio, e gli
ordinerà di astenersi da ogni molestia contro i vescovi scismatici (cfr. G. Cuscito, Aquileia e Bisanzio cit., p.
253; cfr. anche in R. Cessi (cur.), Documenti cit., vol. I, doc. nr. 9, pp. 20-21). A noi qui interessa soltanto un
passo: sed quia Galliarum archiepiscopi vicini sunt, ad ipsorum sine dubio ordinationem accurrent, et
dissolvetur metropolitana Aquileiensis ecclesia...
255
Cfr. R. Heuberger, Rätien, cit., pp. 258; quest’autore, così commenta (ibid.) la posizione dei tre vescovati, nel periodo di tempo indicato: «die Bischöfe, die im Dreikapitelstreit auf der Seite der Schismatiker
standen, erklären: wenn ihre Gesinnungsgenossen und Amtsbrüder in Reichsvenetien
69
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
particolare quella di Aguntum fu «wirklich einmal, zur Zeit, als die Franken Venetien
beherrschten, in deren Hand»256: anzi l’imperatore Giustiniano non avrebbe «durch
einen Erlaß die in Venetien und dessen Nachbarschaft herrschende Erregung...
beschwichtigt, so wären fränkische Priester fast überall im Patriarchat Aquileja
eingedrungen (das zu jener Zeit teils im Besitz der Oströmer, teils in dem der
Franken war)»257.
a) Tenendo conto di tali fatti, l’ipotesi di fissare l’origine dell’episcopato
cenedese in epoca Franca, appena a cavallo della metà del VI secolo, ha piena dignità
e appare anzi scevra dell’impianto ideologico che invece presiede alla scelta di
posporla molto più avanti, come accade abitualmente: la sua istituzione sarebbe
rientrata infatti perfettamente in una prassi amministrativo-organizzativa che i
Franchi mostravano di adottare in modo costante258.
Non va trascurato il tenue indizio archeologico costituito da un
agionimo di grande interesse, dall’intitolazione cioè a San Martino del castello di
Ceneda: si può ammettere pacificamente che tale dedica sia ascrivibile proprio al
periodo durante il quale i Franchi avevano governato la città259, senza voler escludere,
samt ihrem Patriarchen von den kaiserlichen Beamten zur Aenderung ihrer dogmatischen Ueberzeugung
gezwungen würden, so würden sich ihre, d. h. der unterzeichneten Bischöfe Nachfolger mit Rücksicht auf
die Volksstimmung in ihren Sprengeln nicht von ihrem Metropoliten, sondern von den (schismatischen)
fränkischen Erzbischöfen weihen lassen, die in der Nähe (des Aquilejer Patriarchats) ihren Amtssitz hätten»;
cfr. G. Löhlein, Die Alpen- und Italienpolitik cit., pp. 6-7; H. Büttner, Die Alpenpolitik der Franken cit., p.
66; G. Rosada, Il “viaggio” di Venanzio Fortunato cit., pp. 32-34 (e G.B. Bognetti, Teodorico di Verona cit.,
pp. 349 e 352-353).
256
Cfr. R. Heuberger, Rätien, cit., p. 258.
257
Cfr. R. Heuberger, Rätien, cit., p. 259; proprio ad Aguntum (ad Francorum regnum hoc est Agontiensem civitatem) si era rifugiato, secondo la testimonianza di Paolo Diacono (Hist. Lang. II 4, p. 82) il vescovo di Altino, Vitalis; cfr. M. Pavan Venanzio Fortunato tra Venetia, Danubio e Gallia cit., p. 16; G. Rosada Il “viaggio” di Venanzio Fortunato cit., p. 44 e H. Ubl, Das Noricum Ripense und die einseitigen
Beziehungen zu Norditalien. Der Fall der Römischen Armee beim limes danubicus, in La Venetia nell’area
Padano-Danubiana, Atti del Convegno cit., p. 319. Il municipium Claudium Aguntum si trovava nella parte
meridionale del Noricum, nei pressi delle sorgenti della Drava, nelle vicinanze dell’attuale città di Lienz, nel
Tirolo austriaco.
258
Appare comunque insostenibile, in ogni caso, una retrodatazione addirittura al IV sec. d.C., come
faceva F. Ughelli, che individuava in S. Evenzio il primo vescovo (Italia Sacra cit., V, c. 172; cfr. V.
Botteon, Un documento prezioso cit., pp. 119-124; G. Cannella, Ricerche su Ceneda nell’Alto Medio Evo
cit., pp. 68-69).
259
Cfr. ad es. N. Faldon, Le origini del cristianesimo nel territorio cit., p. 44; stando a A.N. Rigoni, un
certo legame di Ceneda col mondo dei Franchi doveva essersi sviluppato, al punto da far sorgere spontaneo il
collegamento tra essi e l’intitolazione del castello cenedese (Documentazione archeologica cit., p. 113). Il
castello, opera difensiva probabilmente di epoca tardoromana, venne risistemato dai Goti agli inizi nel VI
secolo, e poi nuovamente dai Longobardi nel VII secolo. Cfr. R. Bechevolo, Il Castello di San Martino,
Vittorio Veneto 1982, spec. pp. 42-43 (epoca romana); 52-56 (epoca gotica); 61 (Franchi); cfr. anche V.
Ruzza, Guida di Vittorio Veneto e della Zona Pedemontana tra Piave e Livenza, Vittorio Veneto 20003, pp.
41 ss.
70
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
ovviamente, che ciò sarebbe potuto accadere anche in epoca precedente (sotto i
Goti)260, ovvero in epoca successiva (sotto i Longobardi)261.
Sostenere però, come è stato fatto, «che l’intitolazione a San Martino» fosse
d’epoca Longobarda e, anzi, fosse «esaugurale del culto ariano»262, significherebbe
spostare la medesima intitolazione al momento del passaggio dei Longobardi
dall’arianesimo al cattolicesimo, ma anche attribuire agli stessi Longobardi capacità
di organizzazione ecclesiastico–cerimoniale francamente eccessive rispetto a quella
che essi ebbero o mostrarono (se pensiamo ad una cinquantina d’anni dalla loro
invasione).
In ogni caso anche solo trascurare la semplice ipotesi Franca263 significa
cancellare la presenza Austrasiana, e questo immaginare i Longobardi intenti a
‘cattolicizzare’ un sito ariano dei Goti, o magari da loro stessi precedentemente
‘arianizzato’, sposterebbe davvero troppo in là l’evento, o comunque lo inserirebbe in
un contesto eccessivamente artificioso264.
Il dominio degli Austrasiani infatti, sia pure esteso per non più di una ventina
d’anni (per l’epoca si trattava pur sempre di una generazione), non passò inosservato,
e lasciò il segno. E sappiamo quanto, in generale, possano mostrarsi resistenti
toponimi e agionimi.
In ogni caso, se si assegna, con una buona volontà degna di miglior causa, una
‘cattolicità impegnata’ ai primi Longobardi, a maggior ragione andrebbe valorizzata
la ben più fondata ‘cattolicità’ dei loro avversari Franchi, pur facendovi la tara del
rivestimento propagandistico (come ho accennato a proposito delle valutazioni di
Agazia al § 6).
260
Cfr. ad es. G. Arnosti, L’evoluzione delle logiche insediative cit., p. 49.
D’altra parte la prima cattedrale di Bellunum, intitolata a San Martino, sarebbe stata edificata a cavallo
della metà del VI secolo, sotto gli auspici di un vescovo di nome Felice, in un’area presumibilmente
sottoposta al controllo dei Franchi (cfr., in gen. sul vescovo di Belluno, Luisa Alpago-Novello Ferrerio,
Bizantini e Longobardi nella Val Belluna, cit., p. 65). Sul culto di san Martino a Ceneda cfr. G. Mies, Culto
dei santi e pietà popolare, in N. Faldon (cur.), Diocesi di Vittorio Veneto cit., pp. 327-329.
262
G. Cannella, Ricerche su Ceneda nell’Alto Medio Evo cit., p. 11; San Martino era il tipico santo antiariano.
263
Anche S. Tramontin, che contesta l’esistenza di un episcopato cenedese prima della fine del VII
secolo, non esita a ribadire tuttavia le «ragioni politiche» che stavano alla base dell’erezione di chiese o dello
«stabilimento di patronati da parte degli occupanti longobardi (s. Michele o s. Giorgio) o franchi (s.
Martino)» (Origini del Cristianesimo nel Veneto cit., p. 121).
264
A proposito di arianesimo a Ceneda, ricordo per inciso che, senza offrire il benché minimo appiglio
documentale, V. Botteon riferiva che, secondo aluni autori, «nell’anno 414 era entrata in Ceneda anche
l’eresia di Pelagio... e che il diacono cenedese Anniano-Valeriano difendeva la eresia, ed aveva scritto a
favore di essa dei libri... così si prova [sic] che a Ceneda fino dal quarto secolo regnava l’arianesimo, e fino
al quinto l’eresia di Pelagio» (Un documento prezioso cit., p. 81).
261
71
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
Se proprio si fosse trattato di ‘esaugurare’ un luogo ariano nel castello di
Ceneda, tale cerimonia avrebbero potuto averla già compiuta proprio i Franchi stessi
(con il loro vescovo?) su un qualche sito religioso dei Goti: teniamo conto che
proprio questa lotta tra nazionalismi barbarici, che usavano l’apparato ideologico
delle rispettive diverse fedi cristiane, serviva purtroppo, in gran parte, a giustificare i
massacri di quest’epoca torbida e infelice265.
Quindi il toponimo ‘Wadia’, riferito ad una torre facente parte dell’insieme
delle fortificazioni del castello cenedese, è senz’altro argomento a favore dell’ipotesi
di uno stanziamento longobardo, di cui tuttavia nessuno dubitava266: ma non è
possibile collegare cronologicamente o documentalmente tale toponimo all’agionimo
vivo ancor oggi. Che i Franchi cattolicizzassero un luogo di culto ariano, dedicandolo
a San Martino mi pare evento logico, ragionevole e congruente; che i Longobardi
intitolassero, o reintitolassero, un luogo di culto dedicandolo al santo dei loro nemici
sembra, in coscienza, assai più problematico, a meno che la datazione di tale evento
non venga posposta assai più in là (e allora verrebbe fatto di chiedersi se i nuovi
arrivati avessero mantetenuto la precedente intitolazione, e quale essa fosse)267.
Ritengo che i Franchi, nel breve periodo in cui controllarono Ceneda, e, non
dobbiamo dimenticarlo, ne fecero il centro del loro schieramento difensivo,
avrebbero pututo intraprendere dei lavori nel castello erigendovi forse anche – in
quell’occasione – un piccolo edificio di culto dedicato al loro Santo in uno dei punti
più alti del castrum268.
265
Cfr., in gen., E.L. Woodword, Christianity and Nationalism in the Later Roman Empire, London
1916.
266
Cfr. ancora G. Cannella, Ricerche su Ceneda nell’Alto Medio Evo cit., p. 11; sul termine ‘wadia’ cfr.
N. Francovich Onesti, Vestigia Longobarde in Italia (568-774). Lessico e Antroponimia, Roma 1999, pp.
126-127 e p. 136 (che data l’affermarsi del termine al VII secolo); ma potrebbe anche trattarsi di un
precedente termine goto, conservatosi in seguito per l’assoluta assonanza con il longobardo.
267
E in questo caso, a che Santo avrebbe dovuto essere stato intitolato, in precedenza? Magari a San
Michele Arcangelo, «il tipico rappresentante della superstitio longobarda, il difensore dai pericoli naturali»
(Maria Teresa Sillano, Appunti e ipotesi sul culto di San Giorgio in età Longobarda, in «Atti del VI
Congresso Internazionale di Studi sull’Alto Medioevo» cit., t. II, p. 635): ma non sembra il caso di avviarci
in un intrico di supposizioni che non porterebbe a nessuna ragionevole soluzione.
268
Bisogna dire comunque – per correttezza – che la prima effettiva attestazione documentale di questa
intitolazione a San Martino è molto tarda, rispetto ai fatti qui discussi, risalendo al 1175 (cfr. G. Tomasi, La
Diocesi di Ceneda cit., I, p. 160; sull’incertezza degli inizi dell’intitolazione martiniana cfr. ancora R.
Bechevolo, Il Castello di San Martino cit., pp. 69-70). Era costume abituale di quest’epoca dedicare a un
Santo particolare le cappelle costruite all’interno di torri e castelli: tale patrono avrebbe dovuto garantire la
sicurezza e la protezione di tali edifici (nel VII secolo i Longobardi si rivolsero a questo scopo soprattutto a
San Giorgio; cfr. Maria Teresa Sillano, Appunti e ipotesi sul culto di San Giorgio cit., p. 637). A proposito
della dedica di San Martino ad un edificio di carattere difensivo, ricordo che il Santo proteggeva
specificamente dagli assedi (cfr. R. Van Dam, Images of Saint Martin cit., p. 7).
72
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
San Martino fu il ‘Santo per eccellenza’ dei Franchi, che lo venerarono con la
bellicosa superficialità che si addice ad un popolo di guerrieri, ed anche, con il
medesimo spirito, ‘esportarono’ nelle terre che conquistavano269.
Ricordo infine che i castra, la categoria descrittiva in cui è generalmente
ricompresa Ceneda, «spesso erano sede episcopale e ciò, oltre ad aumentarne la
rinomanza, equiparava i castra alle città sotto il profilo dell’amministrazione
ecclesiastica»270.
Sarebbe ovviamente azzardato sostenere che sia stato per questo motivo che
Agazia avesse scelto di definire Ceneda pøliq; peraltro siamo in un’epoca in cui è
frequente la «stilizzazione come urbes delle sedi episcopali di nuova fondazione»271,
anche se, spesso, «le sedi episcopali nascevano in sedicenti urbes, che in verità erano
poco più che fortezze fornite di edifici ecclesiastici»272.
In questo senso «die Merowinger haben für die Städte Frankreichs wenig
273
getan» .
269
Egli era totis venerabile terris, come aveva scritto già Sidonio Apollinare (Epist. IV, xviii, 5, v. 1, p.
132); cfr. R. Van Dam, Images of Saint Martin cit., p. 6 («venerated in all lands»). Come ha notato, piuttosto
ruvidamente, J.M. Wallace-Hadrill: «i Franchi non avavano alcuna esitazione a recare le loro offerte di
ringraziamento ai santuari dei santi taumaturgici della Gallia, come S. Martino, nel cui nome vincevano le
loro battaglie e ammassavano i loro tesori; e nessun senso di biasimo morale o di incongruenza li rimordeva
quando lasciavano i santuari per andare a tagliare la gola del parentado inviso» (L’Occidente Barbarico cit.,
p. 112). Peraltro, già prima dell’invasione Franca, testimonianze del culto di San Martino, in area venetoravennate, esistono e sono state debitamente registrate, «au debut du VIe siècle»; cfr. E. Ewig, Le culte de
Saint Martin cit., p. 359, n. 41 per Padova (e Id., Die Martinskult cit., p. 375). Dell’erezione, da parte del re
Goto Teodorico di «una cappella dedicata a S. Martino» che forse consentirebbe di localizzare «un
santuarietto gotico (poi, naturalmente, riconciliato all’ortodossia) in S. Martino Buonalbergo», ma che
«potrebbe indirizzarci verso la ricerca di altre chiese intitolate al vescovo di Tours», parla C.G. Mor (Verona
Medievale cit., p. 21), precisando tuttavia come siano troppo scarse le notizie sulla storia religiosa dei Goti.
270
G. Ravegnani, Kastron e polis cit., p. 278.
271
Alba Maria Orselli, Santi e Città cit., p. 812. Tornando ad Agazia, rilevo che l’attenzione per
l’organizzazione ecclesiastica, in uno storico bizantino laico, doveva essere relativamente modesta, per non
parlare della percezione del culto dei Santi, almeno in rapporto alla contemporanea, diversa, sensibilità occidentale .
272
Alba Maria Orselli, Santi e Città cit., p. 813, n. 103, sottolineatura mia (cfr. anche E. Ewig., Kirke und
Civitas in der Merowingerzeit, «SSCISAM» 7, 1960, pp. 45-71, ora in Id., Spätantikes und fränkisches
Gallien cit. vol. II, pp. 1-20). Per fare un esempio della confusione kåstron/pøliq in presenza di una sede
episcopale, ricordo che Teofane definisce kåstron la città di Nakoleºaq (Chron. A.M. 6274, p. 456 De Boor
(= 707 B), e «Nakoleia ist Bischofsstadt und hat seinem Status nach sicherlich Stadtrecht» (cfr. F. Dölger,
Die frühbyzantinische Stadt cit., p. 72, n. 20; sul ruolo vescovile nella città del primo periodo bizantino cfr.
ibid., pp. 88-89).
273
Ancora F. Dölger, Die frühbyzantinische Stadt cit., p. 85 (che continua: «das städttsche Leben beginnt
im allgemeinen erst wieder unter den Karolingern»).
73
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
Negare aprioristicamente la possibilità che il vescovato di Ceneta risalga agli
anni a cavallo della metà del VI secolo appare azzardato almeno quanto ascrivere la
sua istituzione ad un periodo immediatamente a ridosso all’invasione longobarda,
ovvero posporla di oltre un secolo rispetto a tale evento274.
Anche il vescovado di Bellunum, cui abbiamo già fatto cenno, potrebbe essere
stato istituito all’epoca della dominazione Franca275 e non giova sostenere che nella
suggestio dei vescovi aquileiesi si sostiene che in sole tre diocesi erano stati insediati
vescovi dai Franchi (le già citate Virunum, Teurnia e Aguntum): il periodo è il 590591 e le ragioni di opportunità che avevano spinto alla preparazione di quello scritto
(e al sottolineare, in esso, di certe situazioni, e non di altre) non vi sono
completamente esplicitate.
b) Tanto Ceneda che Belluno potrebbero tuttavia avere avuto istituiti i loro
episcopati nel periodo della ripresa del controllo della Venetia da parte dei Bizantini,
e questo spiegherebbe perché la suggestio dei vescovi del 590, pur sottoscritta dal
presule bellunese, non facca cenno a Ceneda come di diocesi promossa dai Franchi,
mentre la mancanza della sottoscrizione di un presule cenedese può essere dovuta ad
altre, diverse ragioni.
274
Cfr. ad es. L. Jadin, s.v. Ceneda cit., p. 137: «les temps de la fondation du diocèse est vivement
controversé; il est certainement postérieur à la destruction d’Oderzo par Grimoald en 668». Il c.d. placito di
Liutprando l’anno 743, che normalmente viene utilizzato come terminus ante quem per la istituzione del
vescovado cenedese, è pubblicato in R. Cessi, (a cura di), Documenti cit., vol. I, documento nr. 41 (una
traduzione italiana di tale documento in N. Faldon, Le origini del cristianesimo nel territorio cit., pp. 45-48);
si tratta tuttavia, con grande probabilità, di un falso (ci crede tuttavia J. Jarnut, Storia dei Longobardi cit., p.
83, che fa di Liutprando addirittura ‘il creatore della diocesi’, e coglie così la peggiore opportunità per citare
Ceneda, soprattutto perché lo fa soltanto in questa circostanza). Sul placito, in senso critico, cfr. L. Margetič,
Le prime notizie su alcuni vescovati istriani, in Histrica et Adriatica. Raccolta di saggi storico-giuridici e
storici, tr. it. Fiume 1983, pp. 129-130 (e n. 18). «Comunque si voglia giudicare il documento liuprandeo
sulle origini del vescovado di Ceneda...» scrive G. Cuscitto, «si può concludere che la diocesi di Ceneda sia
di fondazione longobarda e la sua origine sia dovuta al fatto che la città era divenuta sede di un ducato»
(Testimonianze archeologiche monumentali cit., p. 98), e sostiene che il primo vescovo cenedese sarebbe
stato Valentiniano, tra il 714 e il 715 (ibid.; cfr. P.B. Gams, Series Episcoporum cit., p. 783; F. Agnoletti,
Treviso e le sue Pievi. Illustrazione storica nel XV centenario della istituzione del vescovato trivigiano
(CCCXCVI-MDCCCXCVI), Treviso 1898, rist. an. Bologna 1978, vol. II, p. 745; V. Botteon, Un documento
prezioso cit., pp. 141-144; S. Tramontin, Le origini del Cristianesimo nel Veneto e gli inizi della Diocesi di
Ceneda, in «Le origini del Cristianesimo tra Piave e Livenza» cit., p. 34). Sul placito liuprandeo cfr.
ovviamente ancora V. Botteon, Un documento prezioso cit., pp. 95 ss.
275
Scriveva C.G. Mor: «Teodebaldo già nel 550 occupava una parte del Veneto – direi il Friuli e forse il
Bellunese» (Bizantini e Langobardi cit., p. 235, n. 8).
74
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
È più che probabile che Ceneda abbia conservato l’importanza militare e
strategica acquistata sotto i Franchi «anche durante la dominazione bizantina fino
all’arrivo dei Longobardi e che proprio in questo periodo venne fondata la sede
vescovile»276.
– 9.3 Esame della fonte su Ceneda n. 3
È venuto il momento di esaminare il primo dei documenti ecclesiastici di cui
abbiamo fatto cenno, ed affrontare la discussa questione degli Atti della Sinodo di
Grado del 579 che, stando al Mansi e ad altri editori avrebbero registrato la presenza
di un presule di nome Vindemius, definito, da come essi vollero leggere il suo titolo,
episcopus sanctae ecclesiae Cenetensis277.
Ricordo che la Sinodo gradense, convocata dal patriarca di Aquileia, Helias,
costituì la più importante manifestazione della chiesa aquileiese nella sua
rivendicazione dottrinaria tricapitolina278.
Innanzi tutto bisogna dire che non si potrebbe spiegare l’esistenza di un
presule cenedese nella seconda metà del VI secolo se non ipotizzando l’esistenza
della stessa diocesi cenedese in una data anteriore all’invasione di Alboino e dei
suoi279.
276
L. Margetič Le prime notizie cit., spec. p. 129. Sosteneva C.G. Mor che dopo il 563, «riunita la
Venetia all’Impero» Narsete «fu svelto a sostituire, nelle tre diocesi del Norico, i vescovi “franchi” con
altrettanti “aquileiesi”, o almeno li riassoggettò alla sede metropolitica» (Bizantini e Langobardi cit., p. 241).
277
Vd. Sacrorum Conciliorum Nova et Amplissima Collectio (cur. J.D. Mansi), Florentiae 1743, t. IX, p.
926 B; F. Ughelli, Italia Sacra cit., V, pp. 26 ss.; P. Kandler, Codice Diplomatico Istriano, Trieste 18621865, rist. Trieste 1986, vol. I, doc. nr. 26, pp. 64-65; P.B. Gams, Series Episcoporum Ecclesiae Catholicae ,
Ratisbonae 1873, p. 783 e, infine, il Thesaurus Linguae Latinae - Onomasticon, s.v. Ceneta cit., c. 314.
Tuttavia F. Ughelli, op. cit., c. 29, parlando della Sinodo di Grado, dapprima scrive: Vindemius Episcopus s.
Eccl. Caesen., salvo poi, a c. 31 (e a c. 173) definire lo stesso vescovo come Cenetensis. Che la effettiva sede
di questo Vindemius debba considerarsi «molto discussa» non lo nega nemmeno un sostenitore della ‘tesi
cenedese’, come L. Margetič, Le prime notizie cit., spec. p. 130, n. 23.
278
Sulla complessa questione cfr., in gen., J.B. Bury, History cit., II, p. 383-391; É. Amann, s.v. TroisChapitres (affaire des), in Dictionnaire de Théologie Catholique, Paris 1950, t. XV, 2, cc. 1868-1924; K.
Baus, s.v. Dreikapitelstreit, in Lexikon für Theologie und Kirche, Freiburg 1959, vol. III, cc. 565-566; G.
Cuscito, Aquileia e Bisanzio cit., pp. 231 ss.; di «unità scismatica aquileiese» parla G. Ortalli, Venezia dalle
origini a Pietro II Orseolo, in P. Delogu-A. Guillou-G. Ortalli, Longobardi e Bizantini cit., pp. 349-351. Cfr.
anche C.G. Mor, La cultura veneta cit., pp. 218-219. Sul patriarca Helias cfr. anche R. Cessi (cur.),
Documenti cit., vol. I, doc. nr. 4, p. 5 (iscrizione nell’edicola a fianco della Chiesa di Santa Eufemia, a
Grado).
279
Cfr. G. Tomasi, La Diocesi di Ceneda cit., I, p. 17 (quest’autore non esclude una datazione attorno alla
metà del VI secolo, «fra la prima occupazione della zona da parte dei Franchi e l’avvento dei Longobardi»,
ma comunque, ibid., p. 18, dichiara esplicitamente di non voler prendere posizione
75
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
È impossibile, infatti, pensare che potesse essere toccato ai Longobardi, la cui
adesione al cristianesimo era, per usare degli eufemismi, dubbia e superficiale280,
occuparsi, fin dai loro primi anni, nientemeno di organizzazione ecclesiatica,
favorendo addirittura la nascita di una nuova diocesi nel loro territorio: «sul piano
organizzativo poco sappiamo circa la realtà della sistemazione della Chiesa arianolongobarda in Italia; mi sembra che non a torto, si possa revocare in dubbio la
testimonianza di Paolo Diacono, relativa alla presenza di una gerarchia episcopale
ariana, perfettamente parallela a quella cattolica. Specialmente per i primi tempi dopo
la conquista la situazione della Chiesa cattolica nel Regno longobardo era in un
collasso tale che difficilmente sarebbe potuto servire di modello per un’analoga
Chiesa ariana»281.
Secondo successivi editori degli Atti di Grado282, il titolo di questo Vindemius
sul merito della questione). La consapevolezza di una datazione ‘bassa’ per la istituzione della diocesi
cenedese è diffusa più di quanto si possa pensare a fronte della pubblicistica accademica o specialistica, cfr.
ad es. la bella Guida di Vittorio Veneto, di V. Ruzza, cit., che, a p. 12 nota appunto: «la sede vescovile, sorta
in epoca imprecisata nel VI sec.».
280
Gregorio Magno parlava dei Longobardi in termini assai negativi (nefandissima gens; nefandissimi;
come si legge nel Registrum, MGH EE, I, risp. Ep. V, 38, p. 325 ed Ep. VII, 23, p. 468; cfr. V. Paronetto, I
Longobardi nell’Epistolario di Gregorio Magno, in «Atti del VI Congresso Internazionale di Studi sull’Alto
Medioevo» cit., t. II, spec. pp. 559-562) e non solo come degli eretici ariani (lo erano in effetti solo in parte),
ma spesso come dei pagani. Si trattava infatti di una gente giunta in Italia ancora imbevuta della religione
germanica e profondamente attaccata alle proprie tradizioni e ai propri riti religiosi ancestrali; cfr. R.
Manselli, La Chiesa Longobarda e le Chiese dell’Occidente, in «Atti del VI Congresso Internazionale di
Studi sull’Alto Medioevo» cit., t. I, spec. pp. 247-251 (cfr. anche P. Delogu, Il regno longobardo cit., pp. 7-9
e spec. M. Meli, Eco scandinave nella Historia Langobardorum di Paolo Diacono, in P. Chiesa (cur.), Paolo
Diacono cit., pp. 333-353). A proposito del «sincretismo religioso di arianesimo e politeismo, iniziatosi forse
già in Moravia sotto l’influenza dei Goti», che caratterizzava i Longobardi al loro ingresso in Italia, cfr.
altresì G. Tabacco, L’inserimento dei Longobardi cit., p. 228.
281
R. Manselli, La Chiesa Longobarda cit., p. 252; cfr. G.B. Bognetti, La continuità delle sedi episcopali
e l’azione di Roma nel regno Longobardo [1959], in Id., L’Età Longobarda cit., IV, p. 304; S. Tramontin, Le
origini cit., p. 34 e R.W. Mathisen, Barbarian Bishops and the Churches “in barbaricis gentibus” during
Late Antiquity, «Speculum», 72, 1997, p. 690; in ogni caso «any role that religion played as a segregating
factor would have been the result, not of theological differences or official policies, but of organizational
structure, which may have had very little meaning at the local level. Indeed, it may be that the degree of
religious incompatibility between Nicene Romans and barbarian Arians has been greatly exaggerated, for
there is anecdotal evidence to suggest that there was a good deal of mingling» (ibid., p. 693; cfr. anche E.L.
Woodword, Christianity and Nationalism cit., p. 70).
282
Vd. Chronica Patriarcharum Gradensium in MGH SS. rer. Lang., pp. 392-397, ma anche R. Cessi,
Nova Aquileia, «AIV» 88, 1928-29, spec. pp. 588 ss.; Id. (a cura di), Documenti cit. vol. I, doc. nr. 6, pp. 713; G. Cuscito, La Fede Calcedonese e i Concili di Grado (579) e di Marano (591), «AAAd» 17, 1980, pp.
225-230; cfr. P.F. Kehr, Regesta Pontificum cit., pp. 12-13. Qualche critica agli editori degli Atti sinodali nei
MGH si legge in L. Duchesne, L’Église au VIème Siècle, Paris 1925, p. 244, n. 2. Cfr. G. Arnosti, Lo scisma
tricapitolino cit., pp. 66-71.
76
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
si sarebbe dovuto leggere, in realtà, con maggior aderenza alla lezione del testo
tràdito, come episcopus sanctae ecclesiae Cessensis283, come si trova scritto anche nel
Chronicon Venetum (= Istoria Veneticorum) opera del diacono Giovanni degli inizi
dell’XI secolo284.
Tale aggettivo è comunemente fatto risalire a Cissa, isola esistita fino al VIIVIII secolo di fronte alle coste dell’attuale città istriana di Rovigno. Le
considerazioni che possono essere addotte per affermare l’effettività stessa di un
episcopato in quell’isola, si scontrano con ragioni per così dire statisticoambientali285: l’isola non ha lasciato notizie di sé nelle fonti dopo gli inizi del V
secolo e sembra poco probabile che vi fosse stata insediata una sede episcopale286.
283
MGH SS. rer. Lang. cit., p. 393 = R. Cessi, Nova Aquileia cit., p. 593 e Id., Documenti cit., p. 12; cfr.
anche V. Botteon, Un documento prezioso cit., pp. 36 ss. e 134 ss.; F. Lanzoni, Le diocesi d’Italia dalle
origini al principio del secolo VII (ann. 600), Faenza 1927, vol. II, p. 850; A. Guillou, L’Italia Bizantina
dall’invasione Longobarda alla caduta di Ravenna, in P. Delogu-A. Guillou-G. Ortalli, Longobardi e Bizantini cit., p. 220; G. Ortalli, Venezia dalle origini cit., p. 350; per Vindemius vescovo di Cissa sono anche
G. Cannella, Ricerche su Ceneda nell’Alto Medio Evo cit., pp. 69-70 (che ritiene peraltro falsi gli atti della
Sinodo di Grado), e G. Arnosti, Lo scisma tricapitolino cit., pp. 72-74. Cfr. infine F. Babudri, Il vescovato di
Cissa in Istria cit., pp. 35 ss.
284
Vd. Iohannis Diaconi, Istoria Veneticorum, ed. e tr. it. L.A. Berto, Bologna 1999, I, § 11, p. 62
(Vindemius, episcopus Cessensis); sulla datazione di quest’opera cfr. ibid., Introduzione, pp. 7-8 (che stima
gli anni tra 967-1018). Vd. anche Andreae Danduli, Chronica per extensum descripta, cur. Ester Pastorello,
Bologna 1938, p. 83 rr. 26-27 (e p. 85 rr. 22-26).
285
Cfr. B. Benussi, Storia documentata di Rovigno, Trieste 1888, rist. Trieste 1977, pp. 31-32; 35-36 e
Appendice IX, pp. 332-337 (oltre alla modestia della località, va ricordato che una catastrofe avrebbe
provocato lo sprofondamento dell’isola di Cissa attorno alla metà del secolo VIII, o poco oltre: c’è notizia di
due fortissimi terremoti, nel 754 e nel 800-801); Id., Del vescovato di Cissa e di Rovigno (Studio critico),
«AttiMemIstria» 34, 1922, pp. 131-171; vd. spec. p. 154: «l’origine d’un vescovato sull’isola di Cissa nel
sec. V, il suo perdurare sino alla seconda metà del sec. VIII, ed il suo sparire improvviso in questo ultimo
periodo di tempo manca d’ogni presupposto razionale e storico»; L. Margetič, Le prime notizie cit., spec. pp.
126 ss.; cfr. comunque P.F. Kehr scriveva «ab insula Cissa, ubi saec. VI sedes episcopalis exstiterat, cuius
episcopus Vindemius concilio Gradensi a. Chr. 579 celebrato interfuit, postea in mari demersa» (Regesta
Pontificum Romanorum cit., p. 235) e R. Van Doren, s.v. Cissa, in DHGE, Paris 1953, XII, c. 851, che
assegna a Vindemius ‘di Cissa’ una datazione, compresa tra il 571 e il 577 (sulla quale cfr. C. De Franceschi,
Saggi e Considerazioni sull’Istria nell’Alto Medioevo. II. Cessensis episcopus, «AttiMemIstria» 18 n.s.,
1970, p. 70, da Lanzoni). Estrema, se non faziosa, la posizione di F. Babudri, Il vescovato di Cissa in Istria
cit., spec. pp. 43 ss. (sui rilievi per l’individuazione dell’isola sprofondata cfr. A. Pogatschnig, Nota
aggiuntiva, apud F. Babudri, Il vescovato di Cissa cit., pp. 58-61).
286
I riferimenti delle fonti antiche su Cissa sono assai poco frequenti e in qualche caso dubbi (cfr. in ogni
caso il Thesaurus Linguae Latinae - Onomasticon, vol. II, cit., c. 460, s.v. Cissa). Vd. Plinio il
Vecchio, Naturalis Historia, III, 151, p. 294, che parla delle isole davanti alla foce Timavi
calidarum fontium, citando effettivamente Cissa e Pullaria (ma l’editore fa un rimando in apparato ad
un luogo precedente III, 140, p. 289, su Gissa: si rischia effettivamente una certa confusione sulle due
località, l’una istriana, l’altra dalmata); poi San Girolamo, che nella sua lettera ad Castricianum (Ep. LXVIII,
77
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
È ben curioso che, se un vescovato di Cissa fosse mai esistito, quella località
sia rimasta nella più completa oscurità proprio nei secoli VI e VII nonostante le
raffinate elaborazioni filologiche (con una forte componente ‘ideologica’) di studiosi
insigni: conseguentemente non resterebbe che riportare a Ceneda questo primo,
importante, frammento testimoniale di fonte ecclesiastica287. In effetti è paradossale
che si affermi l’esistenza di un episcopato sull’isola di Cissa disponendo, come unica
documentazione, del dubbio spunto della Sinodo del 579 (corroborato dall’altrettanto
dubbio spunto del 680, che esamineremo poi), creando in questo modo un riferimento
circolare, con il documento che dà fede alla sede, mentre la sede, così asseverata,
dovrebbe dar fede al titolo, che a sua volta convaliderebbe il documento288.
Ceneda, se non altro, avrebbe avuto dalla sua le caratteristiche che
potenzialmente le avrebbero consentito di essere sede deputata all’insediamento di un
vescovo, già a partire dall’epoca Franca e nel contesto dato.
Devo confessare che la serie di studi e pubblicazioni sull’argomento
Ceneda/Cissa si affronta faticosamente e non senza qualche noia o imbarazzo, specie
per certe punte di caparbietà, nella secolare ed aspra lotta per l’affermazione della
primogenitura (sarebbe meglio dire dell’effettività) del vescovato dell’isola che non
c’è, piuttosto che di quello dello sfortunato castrum cenedese, rimasto desolatamente
privo di fonti genuine che documentino la sua storia più risalente.
Ma prima di affrontare, sul piano filologico, la difendibilità della lezione
p. 675) ha un riferimento a Cissa non sicuro (cfr. B. Benussi, Del vescovato di Cissa cit., pp. 138-139 e
l’apparato all’edizione geronimiana, p. 675, che reca anche le varianti scissam e cisses). Ancora nel VII
secolo anche l’Anonimo Ravennate (V, 24; A.N. Rigoni, L’ambito territoriale cit., p. 148) scriveva: nam in
colfo occidentale in ipso Mari Magno littore Dalmatie seu Liburnie atque Ystrie sunt insule, inter cerera
quae dicuntur, id est... Cissa. La testimonianza più interessante, che è comunque cronologicamente
antecedente a questa dell’Anonimo, situabile com’è nel V secolo, è quella della Notitia Dignitatum
Occidentis, XI, 49, perché ci offre tra l’altro la forma aggettivale di Cissa, Cissensis, nell’indicare la carica di
procurator bafii Cissensis Venetiae et Histriae, il che indica la presenza nell’isola ancora nel tardo impero di
una tintoria (di porpora) imperiale; cfr. A.H.M. Jones, The Later Roman Empire cit., p. 836 e n. 29, pp.
1350-1351, tr. it., p. 1273 e n. 29 pp. 1646-1647. Su queste fonti cfr. ancora F. Babudri, Il vescovato di Cissa
in Istria cit., pp. 38-39.
287
Cfr. L. Margetič, Le prime notizie cit., p. 129. È insostenibile comunque una localizzazione terza, cfr.
ad es. Iohannis Diaconi, Istoria Veneticorum cit., p. 63 ove il curatore traduce incongruamente: «Vindemio,
vescovo di ·isak», che riporterebbe all’antica Scisia (Pannonia Orientale, hod. Croazia). Sgombriamo il
campo anche dall’equazione Cissa = Gissa, nell’isola dalmata di Pago (cfr. anche C. De Franceschi,
Cessensis episcopus, cit., pp. 80-81).
288
Dire, come fa S. Tramontin (Origini del Cristianesimo nel Veneto cit., p. 119, n. 107), che alcune
«diocesi dell’Istria» possano «essere sicuramente documentate per il V o VI sec.», tra le quali «Pedena e
Cissa» è azzardato a causa della inevitabile ‘circolarità’ della pretesa documentazione.
78
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
Cenetensis per Vindemius, esaminiamo cos’altro sappiamo su di lui: le sole notizie,
successive tuttavia al 579, le fornisce Paolo Diacono289, che scrive: his diebus
defuncto Helia Aquilegensi patriarcha, postquam quindecim annos sacerdotium gesserat e cioè, ‘alla morte del patriarca di Aquileia, Helia, dopo quindici anni di
episcopato [la morte del presule risale al 586-587]’, Severus huic succedens regendam suscepit ecclesiam ‘gli successe, nel governo del patriarcato, Severus’.
Quem Smaracdus patricius veniens de Ravenna in Gradus, per semet ipsum e
basilica extrahens, Ravennam cum iniuria duxit cum aliis tribus ex Histria episcopis,
id est Iohanne Parentino et Severo atque Vindemio, necnon etiam Antonio iam sene
ecclesiae defensore: ‘il patrizio Smaragdus [l’esarca bizantino di Ravenna290]
raggiunse Grado dalla sua sede e arrestò personalmente [il patriarca] Severus,
strappandolo alla basilica [dove si era rifugiato] e lo condusse con la forza a Ravenna
unitamente ad altri tre vescovi, Iohannes, di Parenzo, Severus [di Trieste] Vindemius,
e persino all’ormai vecchio Antonius, defensor [cioè amministratore] del patrimonio
della chiesa’.
289
Hist. Lang. III, 26, p. 157 (vd. Iohannis Diaconi, Istoria Veneticorum cit., I § 17, p. 68). Il personaggio
ecclesiastico di nome Vindemius che nelle fonti mi pare più prossimo al vescovo di cui si tratta è un
Vindemius acolitus, citato tra i nomina presbiterorum, diaconorum, qui Romam venerunt cum Victore
presbitero et Mastalone diacono al tempo di papa Felice IV (anni 526-530; Agnellus Rav., lib pont. 60, p.
321), e che a quell’epoca avrebbe dovuto avere una ventina-trentina d’anni, e non può quindi identificarsi
con il nostro vescovo, a meno di non immaginarlo assai vecchio (sulla dignità dell’acolitato cfr. L.
Duchesne, in Liber Pontificalis, I, pp. 171 e 190-191, n. 25; 321-322 e nn. 2-3; 371); ricordo quanto
segnalato in precedenza alla nota 3, relativamente ad un Vende...o de Cenida ancario, da una scritta
rinvenuta a Montecassino. Se la colmatura della lacuna, che viene normalmente data con Vende(gisl)o fosse
proposta in Vende(mi)o, peraltro compatibile, potremmo avere la testimonianza della permanenza del nome
in ambito cenedese tra la fine dell’VIII e l’inizio del IX secolo. Curiosamente, nel tardoantico, abbiamo
notizia di diversi ecclesiastici che portano il nome Vindemius, in particolare in Africa ed in Italia: il primo di
questi partecipa ad una Sinodo sotto papa Silvestro (314-335); un secondo è vescovo (donatista) di Cenae,
presso Cartagine, nel 411; sono poi attestati, all’epoca dell’occupazione vandalica dell’Africa, un
Vindemius, episcopus Altuburitanus (Africa Proconsularis) ed un Vindemius episcopus Lamfoctensis
(Mauritania Stifensis), che potrebbero tuttavia essere la medesima persona. Ci fu poi, più tardi, un
Vindemius, episcopus Antiatinus, che partecipò alle Sinodi romane del 499 e del 502, all’epoca di papa
Gelasio (cfr. comunque W. Enßlin, s. vv. Vindemius 1, 2, 3, 4, RE IX A.1 (1961), cc. 24-25; per la
partecipazione dei vescovi di Anzio alle Sinodi citate cfr. anche Liber Pontificalis, XXXIII. Silvester in
Duchesne, I, p. 192, n. 38). Il nome Vindemius doveva essere particolarmente diffuso nell’area cartaginese,
come mostra una scoperta archeologica piuttosto recente, avvenuta nel sito di Bir Messaouda, relativa alla
«first half of the fifth century A.D. ...from one of the cemeteries outside of Carthage», che ha portato alla
luce «the grave inscription» di un bambino di dieci anni, di nome Vindemius (storia del ritrovamento e foto
dell’iscrizione nel sito Internet http://www.hum.uva.nl/carthage/101600.htm).
290
Cfr. PLRE III-B, s.v. Smaragdus 2, pp. 1164-1166; per l’arresto dei vescovi, p. 1165. F. Babudri
ricostruisce addirittura un preciso itinerario di Smaragdo nella sua incursione repressiva (Il vescovato di
Cissa in Istria cit., pp. 44-45).
79
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
L’intervento repressivo dell’autorità imperiale contro i vescovi è da collocarsi
tra il 587 e il 589 e puntava a contrastare lo scisma dei Tre Capitoli.
Dopo un anno di carcerazione e vessazioni a Ravenna, dove erano stati
costretti ad abiurare lo scisma, i vescovi poterono infine tornare a Grado (extempto
vero anno, e Ravenna ad Grados reversi sunt291), ma, ricusati dai loro stessi fedeli e
dagli altri colleghi vescovi, rimasti rigorosamente tricapitolini, dovettero ritrattare
l’abiura nel corso di una apposita Sinodo di vescovi, riunita nel 591 a Marano,
località lagunare tra le foci di Tagliamento e Isonzo (post haec facta est sinodus
decem episcoporum in Mariano), dove Severus sconfessò per iscritto il proprio
‘errore’ (receperunt Severum Patriarcham Aquilegensem dantem libellum erroris
sui)292. Con il patriarca furono riammessi alla comunione tricapitolina i vescovi Severus di Trieste, Iohannes di Parenzo, Patricius di Emona293, il nostro Vindemius e
Iohannes di Celeia294 (cum patriarcha autem communicaverunt isti episcopi: Severus,
Parentinus Iohannes, Patricius, Vindemius et Iohannes295).
È stato ipotizzato che Vindemius, di cui – nelle due circostanze in cui viene
citato (al momento dell’arresto e al momento della ritrattazione dell’abiura e della
riammissione alla communio tricapitolina) – Paolo Diacono tace sistematicamente la
sede, si trovasse a Grado «per la sua consacrazione»296; il silenzio di Paolo va
valutato con la prudenza d’uso: tuttavia, se Vindemius era già vescovo nel 579,
perché ipotizzare la necessità di una sua nuova consacrazione? E, se del caso, a quale
altra diocesi sarebbe stato destinato?
A meno di non voler ipotizzare un Vindemius già titolare a Ceneda,
supponiamo fino alla Sinodo di Grado, poi non rientrato in sede, rimasto in esilio e
riconsacrato vescovo di Cissa per assegnargli una sede territorialmente più sicura297.
291
Paul. Diac. Hist. Lang. III, 26, p. 157; idem anche per le due successive citazioni di Paolo.
Sulla Sinodo di Marano unica fonte è proprio Paolo Diacono; cfr. L. Duchesne, L’Église au VIème
Siècle cit., p. 245; G. Cuscito, Aquileia e Bisanzio cit., pp. 239 ss.; Id., La Fede Calcedonese cit., pp. 222 ss.;
G. Arnosti, Lo scisma tricapitolino cit., pp. 74-79. È ben curioso che G.D. Gordini, s.v. Grado, in Dizionario
dei Concili, Roma 1965, vol. II, p. 148, dopo aver ricordato la Sinodo gradense del 579, commenti anche
quella del 590 come se si fosse tenuta nella stessa località; cfr. piuttosto S. Tramontin, s.v. Grado, in DHGE,
Paris 1985-1986, XXI, cc. 1025-1026.
293
Emona è Aemona Pannoniorum, l’attuale Lubiana.
294
Celeia è Celjie-Cilli, in Slovenia; cfr. Lidia Capo (ed.), Paolo Diacono, Storia dei Longobardi cit., nn.
a Hist. Lang. III, 26, p. 482.
295
Paul. Diac. Hist. Lang. III, 26, p. 158.
296
Cfr. G. Cuscito, Aquileia e Bisanzio cit., p. 237; Id., La Fede Calcedonese cit., p. 223.
297
N. Faldon (Le origini del cristianesimo nel territorio cit., p. 44) sostiene un’ipotesi che si basa sillo
stesso presupposto: «Vindemio, forse eletto vescovo all’epoca dei Franchi, potrebbe essere scappato da
Ceneda proprio all’arrivo dei Longobardi, come avevano fatto altri vescovi compreso quello di Aquileia»;
secondo me, tuttavia, alla fuga del vescovo cenedese non può essere fatta corrispondere la immediata presa
della città da parte dei Longobardi.
292
80
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
Le fonti successive, in questo caso, avrebbero potuto fare un po’ di
confusione, rinvenendo Vindemius in elenchi di diverse titolarità: avrebbe potuto
essere stato Cenetensis fino ad una certa data (579?) e Cissensis in seguito?
L’ipotesi, a prima vista, ha tutto il sapore del compromesso, ma in realtà tiene
conto dell’altrimenti inesplicabile serie di ondeggiamenti della titolarità di
Vindemius, che hanno le caratteristiche del difetto di conoscenza: l’origine
dell’ipotetico vescovato cissense, infatti, anche per i suoi sostenitori, non si allontana
troppo dagli anni a cavallo della metà del VI secolo, ed è immaginata (unitamente a
quello di Pedena) quasi esclusivamente per assegnare una onorevole sede di ripiego a
vescovi privati delle loro «in Pannonia o in qualche regione finitima in seguito a
devastatrici invasioni barbariche»298.
Si deve ricordare che, in Paolo Diacono, Vindemius è accomunato in modo
sistematico a vescovi istriani (cfr. ad es.: cum aliis tribus ex Histria episcopis299),
anche se l’uso di Histria, proprio in Paolo non è certo univoco, e potrebbe benissimo
valere per Venetia300.
Si dovrà comunque pensare a Vindemius come ad un presule in esilio, forse
non già dal 579301, ma probabilmente a partire dagli anni 587-591: che fosse in attesa
di essere assegnato ad altra diocesi, come si è detto, resta da dimostrare, mentre non è
possibile che non fosse ancora consacrato, perché altrimenti, non si spiegherebbe la
sua sottoscrizione in calce agli Atti di Grado.
298
C. De Franceschi, Cessensis episcopus cit., p. 84; analoga valutazione anche in G.B. Bognetti, La
continuità delle sedi episcopali cit., pp. 304 e 321. Su Pedena cfr. in part. L. Margetič, Le prime notizie cit.,
pp. 131-133.
299
Hist. Lang. III, 26, p. 157.
300
Ancora per il papa Gregorio la denominazione Histria abbracciava probabilmente anche buona parte
del Veneto (cfr. R. Cessi (cur.), Documenti cit., vol. I, doc. nr. 11, pp. 21-23 (in Histriae videlicet partibus);
L. Margetič, Le prime notizie cit., p. 117: il vescovo di Oderzo, nel 680 si definirà ancora episcopus sanctae
ecclesiae Opitergensis provinciae Istria). Se vogliamo pensare a Vindemius come al vescovo di Ceneda, una
diocesi, come si è suggerito, fondata in territorio pro-tempore sotto controllo Franco, quello degli anni 580590 non sarebbe stato comunque un buon momento per lui, dato che, contestualmente al regolamento di
conti operato dagli imperiali sui vescovi tricapitolini, era in atto un attacco combinato contro i Longobardi da
parte delle truppe imperiali da sud, e di contingenti Franchi da nord, con esiti discutibili sempre per ragioni
afferenti alla dubbia lealtà dei Franchi, accusati come minimo di incapacità di coordinamento, fino al solito
doppio gioco ad esclusivo loro favore. Vd. Greg. Tur. Hist. Fr. X, 2-3, vol. II, pp. 486-497, e Paul. Diac.
Hist. Lang. III, 31, p. 164-168; vd. anche le Epist. Austras. nn. 40 e 41 (aa. 585-590), pp. 145-148, nelle
quali l’esarca ravennate, scrivendo a Childeberto II, accusa platealmente i duchi Franchi di aver fatto fallire,
con il loro comportamento, l’attacco su Verona, proprio mentre gli imperiali erano giunti ormai a venti
miglia dalla città (cfr. C.G. Mor, Verona Medievale cit., pp. 26-27).
301
Cfr. L. Margetič, Le prime notizie cit., spec. p. 130 (che sostiene che ancora a quella data l’episcopus
Cenetensis si sarebbe trovato nella propria sede di titolarità, come altri vescovi della Venetia erano nelle
loro).
81
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
Preferisco non inoltrarmi nella giungla di variabili storiche e logiche che
deriverebbe dall’accettazione di questa sorta di compromesso, e tornare decisamente
alla questione di Cissa: decisiva appare la scelta di un approccio filologico che si
proponga di non difendere a tutti i costi il testo dei codici (magari contro
l’insostenibilità geografico-statistica), ma di ricavare da quel poco che ci è stato
trasmesso possibili elementi di effettività.
Si tenga ovviamente conto che il testo degli Atti della Sinodo Gradense risulta
essere stato interpolato, e alquanto manomesso, per ragioni politiche (che peraltro
non attengono minimamente all’argomento che qui si discute)302. In particolare si
deve rilevare come non sia mai stata segnalata una variante Cissensis, che
riporterebbe automaticamente a Cissa, ma invece diversi assai più intriganti
Cessensis. E questa forma alterata ci spinge ad ipotizzare con un certo fondamento un
originale Cenetensis al di là della forma grafica che il vocabolo – per traversie di
copiatura – avrebbe potuto assumere in seguito303.
Anche un sostenitore dell’istrianità del presule Vindemius come V. Botteon,
ha avuto cura di sottolineare che «il Cessensis viene interpretato per Cissa e non per
Ceneta»304: il riferimento, anche filologicamente, non appare infatti scontato, al punto
che il medesimo studioso, riconoscendo, come peraltro è già stato notato, che solo su
quel fragile aggettivo Cessensis si sostiene la dimostrazione dell’esistenza stessa
della diocesi insulare istriana, è costretto a scrivere: «non intendo asserire che
Vindemio sia stato certamente vescovo di Cissa, ed ammetto che egli possa essere
stato in altra sede ignota; quello che parmi aver assodato si è che lo si debba
eliminare dalla serie dei vescovi cenedesi»305.
Questa è la classica posizione che ho definito ‘ideologica’: fate quel che
volete, ma rimuovete da Ceneda quel vescovo scismatico!
Sintetizzo di seguito le diverse lezioni del titolo di Vindemius segnalate dalle
varie fonti o edizioni della Sinodo di Grado, o contermini306:
302
Cfr. L. Duchesne, L’Église au VIème Siècle cit., p. 244, n. 2 (che nota tuttavia come almeno «les
signatures conservées par le Chronicon [Gradense] paraissent authentiques»).
303
Cfr. L. Margetič, Le prime notizie cit., p. 127.
304
Un documento prezioso cit., p. 125 (sottolineatura mia); cfr. anche N. Faldon, Le origini del
cristianesimo nel territorio cit., p. 44.
305
Ibid., p. 128 (corsivo mio).
306
Essenzialmente con l’aiuto del saggio di C. De Franceschi, Cessensis episcopus cit., pp. 72 ss.
82
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
autore o testo
CEN(lezione cenetensis o simili)
Cronica de singulis patriarchis Nove
307
Aquileie
Chronica Patriarcharum Gradensium
episcopus cenensis
(variante
308
CES(lezione cessensis o simili)
episcopus cessensis
episcopus cessensis
)
episcopus cessensis, con la
variante cesensis
Vindemius episcopus sancte
309
ecclesie cesensis
Vindemio cesensi
Iohannis Diaconi, Istoria Veneticorum, I, §
11, p. 62
Danduli Andreae, Chronica per extensum
descripta, p. 83, rr. 26-27
Danduli Andreae, Chronica per extensum
descripta, p. 85, rr. 22-26
Tomaso Diplovatacio, Tractatus de
Vindemius ... episcopus
310
sancte ecclesie cessensis
Venete urbis...
Nicolò Coleti, ed. veneziana dei Vindemius
Episcopus
311
sancte ecclesie CeneSacrosanta Concilia... del Labbé
312
tensis
F. Ughelli, Italia Sacra cit., V, c. 29
Vindemius Episcopus S.
313
Eccl. Caesen.
F. Ughelli, Italia Sacra cit., V, cc. 31 e Vindemius
Episcopus
314
173
Cenetensis
Sacrorum
Conciliorum
Nova
et Vindemius
Episcopus
Amplissima Collectio (cur. J.D. Mansi), t. sanctae ecclesiae Cene315
tensis
IX, p. 926 (da N. Coleti )
316
Vindemius Episcopus S. Caesen. e cesetensis 317
De Rubeis, Monumenta...
Ecclesiae Cenetensis
318
cesetensis
Cronaca Benintendi
319
cessensis
Cronaca di Giovanni Sagornini
307
Cfr. C. De Franceschi, Cessensis episcopus cit., p. 74.
Cfr. ibid., p. 75 («riferendosi all’Ughelli il De Rubeis riporta la variante del passo in esame»).
309
C. De Franceschi, Cessensis episcopus cit., p. 73, indica la lezione dell’edizione di Ester Pastorello
come cessensis, mentre il testo reca cesensis.
310
Cfr. C. De Franceschi, Cessensis episcopus cit., p. 73, n. 25 (si tratta di Tomaso Diplovatacio, o de
Plovataciis, Tractatus de Venete urbis libertate et eiusdem imperii dignitate et privilegiis et an de iure
Dominium Venetorum habeat superiorem in temporalibus (1521-1523), Biblioteca Marciana, Venezia,
Codici latini LXXIV C 374).
311
Cfr. C. De Franceschi, Cessensis episcopus cit., p. 73, n. 26 (si tratta dei Sacrosanta Concilia ad
regiam editionem exacta... Studio Philippi Labbei et Gabr. Cossarii Soc. Jesu Presbyterorum. Nunc vero
integre insertis Stephani Balusii et Joannis Harduini additionibus, curante Nicolao Coleti ecclesiae S.
Moysis Venetiarum sacerdote alumno, Venetiis, t. XIV, c. 498).
312
Ibid., p. 74 (secondo Coleti, il testo sarebbe stato tratto «ex vetusto codice Bibliothecae Vallicellanae
in lucem edita»).
313
Cfr. qui, supra, nota 277. Da una versione della cronaca di Andrea Dandolo, secondo C. De
Franceschi, Cessensis episcopus cit., p. 73.
314
Cfr. ancora qui, supra, nota 277.
315
Cfr. C. De Franceschi, Cessensis episcopus cit., p. 74 («il Mansi... riportò testualmente la redazione
degli atti sinodali dal Coleti, con l’annotazione che gli stessi provenivano dalla Biblioteca Vallicelliana di
Roma»).
308
83
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
Di fronte alla assoluta mancanza di un esplicito e netto Cissensis, il termine
che ci è stato tràdito avrebbe potuto subire una serie di passaggi così potenzialmente
riassumibile: un’originario Cenetensis sarebbe stato abbreviato in un primo tempo in
Cen.sis o Ce.sis, salvo essere successivamente riletto per esteso nel Cessensis
superstite.
– 9.4 Esame delle fonti su Ceneda nn. 4a e 4b
Ricordo che, per quanto discutibile risulti il Placito di Liutprando, in esso
emerge una realtà difficilmente contestabile: un vescovato a Ceneda sarebbe esistito
prima che venisse meno la sede episcopale di Opitergium (= Oderzo). Le due sedi
vescovili esistettero quindi per anni, indipendenti l’una dall’altra, fin che, nel corso
delle vicende successive, il vescovo di Ceneda finì con l’ereditare una porzione della
estinta diocesi opitergina (trasferita nel 640 ad Eraclea320), divenendone, in parte, il
continuatore321.
Interessante, ma di maniera, si rivela la posizione di S. Tramontin, secondo il
quale, in fondo, potremo anche avanzare l’ipotesi di un vescovo cenedese antitricapitolino (?), specie quando il vescovo era ad Oderzo, avendo accettato Oderzo,
sia pure tardivamente, agli inizi del VII secolo (come Grado e come le altre diocesi
nel territorio bizantino), le decisioni di Giustiniano. Evidentemente tali decisioni le
avrebbe accettate il vescovo di Oderzo: allora si potrebbe ipotizzare anche la
presenza di un vescovo a Ceneda. Come si ebbe il doppio vescovo ad AquileiaGrado, una situazione analoga avrebbe ben potuto verificarsi anche per CenedaOderzo.
Si sarebbe trattato tuttavia dell’unico caso perché non risultano altre situazioni
documentate.
Del resto il caso risulterebbe giustificabile per Aquileia-Grado, perché si
trattava di due metropoliti, più difficilmente per il territorio di una semplice diocesi.
316
Cfr. Ibid., p. 75 (si tratta di Jo. Fran. Bernardus De Rubeis, Monumenta Ecclesiae Aquileiensis,
Argentinae (=Venetiis), 1740, cc. 240 e 254).
317
Varianti citate da De Rubeis in C. De Franceschi, Cessensis episcopus cit., p. 75.
318
Cfr. Ibid., p. 75 (si tratta della Cronaca di Benintendi de’ Ravagnani, segretario del Doge Andrea
Dandolo, che lavorò per rimaneggiare e proseguire la cronaca dello stesso).
319
Cfr. Ibid., p. 75, n. 35.
320
Cfr. G. Cuscito, Testimonianze archeologiche monumentali cit., p. 84.
321
Anzi «sunt enim qui putent primitivam sedem episcopalem Opitergii (Oderzo) fuisse. Post eversionem
civitatis primum a Rothari rege dirutae, postea a Grimoaldo rege funditus destructae. Opiterginus episcopus
Heracleam in urbem in aestuario Veneticorum sitam se transtulisse notum est, territorio Opitergino inter
Foroiulienses, Tarvisianos, Cenetenses diviso, unde colligendum esse contendunt episcopatum Cenetensem
post haec conditum esse» (P.F. Kehr, Regesta Pontificum Romanorum cit., vol. I, p. 82).
84
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
Al massimo si potrebbe dire “avrebbe potuto essere anche così” 322.
Cronologicamente, secondo S. Tramontin, saremmo comunque nel VII secolo
senza possibilità di attretrare nel VI323.
Questo insistere da un lato sulla ‘necessità’ dell’ortodossia per il titolare di
324
Ceneda e dall’altro sul VII secolo, tradisce il pregiudizio che cela questa posizione:
perché se Ceneda restò in mano imperiale sino al 615 ca., come abbiamo già
ipotizzato, noi non sappiamo nulla della politica ecclesiastica corrente praticata dagli
imperiali nelle cittadine venete del tempo e quindi non sappiamo neppure se, ad
esempio, trovatisi di fonte un vescovo cenedese di nomina Franca lo avessero
mantenuto in carica (dipendeva comunque da Aquileia), lo avessero sostituito con
uno di obbedienza imperiale, ovvero se avessero provveduto loro stessi ad istituire la
diocesi. In questo senso persino una dedica a San Martino di origine bizantina
rientrerebbe nella normalità, visto il culto del Santo praticato nell’Esarcato325.
Abbiamo davanti un percorso accidentato, che si giustifica ancora con un
pesante accumulo di difetti di conoscenza. Esso si concretizza in un tardo esempio di
grafia greca e latina, relativo ad un vescovo del 680: troviamo infatti – dopo un
secolo di silenzio – un’altra modesta testimonianza su un episcopus che dai moderni
viene di nuovo assegnato da taluno a Cissa, da altri a Ceneda.
Nel 680 abbiamo la prova che il titolare dell’episcopato opitergino continuava
ad esistere, fregiandosi del titolo, pur essendo indubitabilmente in esilio; il
documento sottoscritto dall'ultimo presule opitergino, Benenatus326, era stato firmato
anche da altri vescovi esuli dalle loro sedi, e da un Ursinus, episcopus Cenetensis:
infatti «nel 680 i vescovi di Altino, Oderzo, Padova, quali firmatari degli atti del
concilio lateranense erano indubbiamente esuli dalle loro sedi e si trovavano in
territorio lagunare sotto il controllo bizantino. Pertanto è lecito supporre che anche il
vescovo di Ceneda fosse esule»327.
322
Sul fenomeno della duplicazione dei vescovati cfr. G. Arnosti, Lo scisma tricapitolino cit., pp. 101-
103.
323
Cfr. Le origini cit., p. 34; in precedenza anche Id., Origini del Cristianesimo cit., p. 120, n. 114; cfr.
poi V. Botteon, Un documento prezioso cit., pp. 127; 132-135.
324
Per chi fosse interessato ad una tarda lettura bizantina della leggenda di San Martino, cfr. H. Delehaye,
La vie grecque de saint Martin de Tours, «SBN» 5, 1939, pp. 428-431; F. Halkin, Légende grecque de saint
Martin évêque de Tours, «RSBN», 20-21, 1983/84, pp. 69-91.
325
Per chi fosse interessato ad una tarda lettura bizantina della leggenda di San Martino, cfr. H. Delehaye,
La vie grecque de saint Martin de Tours, «SBN» 5, 1939, pp. 428-431; F. Halkin, Légende grecque de saint
Martin évêque de Tours, «RSBN», 20-21, 1983/84, pp. 69-91.
326
Cfr. V. Botteon, Un documento prezioso cit., pp. 57 ss.; G. Cuscito, Testimonianze archeologiche
monumentali cit., p. 86.
327
L. Margetič, Le prime notizie cit., p. 130.
85
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
Il documento cui mi riferisco è agli Atti del III Concilio Constantinopolitano,
il VI Ecumenico328, quello, per intenderci, che mise fine all’eresia monotelitica329, che
si svolse con inusuale lunghezza tra il 7 novembre 680 e il 16 settembre 681 sotto la
presidenza dell’imperatore Costantino IV, che l’aveva convocato con «evidente
affermazione di indipendenza dal Papato»330.
Esso registrò un ‘passaggio’ romano, quando centoventicinque vescovi delle
diocesi italiche e occidentali sottoscrissero la ‘lettera sinodale’ che il papa Agatone
trasmise poi ai padri conciliari nel settembre 680331. «Questa lettera, come del resto
tutti gli atti conciliari ci sono pervenuti nel testo greco e in traduzione latina, e in
genere anche la lettera che ci interessa viene considerata originale nel testo greco,
come risulta dall’annotazione che si trova nelle varie edizioni degli atti conciliari, che
qualifica il testo latino “Vetus interpretatio ex Graeco, cui similem asservat
Collegium Parisiense Societatis Jesu”»332.
Agli Atti del Constantinopolitano III il documento romano (contenente, fra le
altre, la sottoscrizione di Ursinus, episcopus sanctae ecclesiae Cenetensis) è stata
collocata nell’ambito della cosiddetta Actio IV.
Mettiamo a confronto i testi relativi alle sottoscrizioni apposte a documenti
sinodali o conciliari, a circa un secolo di distanza l’una dall’altra:
I. [= fonte nr. 3]
Atti della Sinodo Gradense
a. 579 – latino
Vindemius episcopus sanctae
ecclesiae Cessensis (= Cenetensis?)
II. [= fonte nr. 4a]
III. [= fonte nr. 4b]
Actio IV Concilio Costant. III
Actio IV Concilio Costant. III
333
a. 680-681 – latino
a. 680-681 – greco334
Ursinus episcopus sanctae ec- Oªrsºnoq ®låxistoq ®pºskopoq t∂q
clesiae Cenetensis provinciae ·gºaq ®kklesºaq K™nsoy ®parxºaq
|Istrºaq [correz. a margine Ken™toy]
Istriae
328
Cfr. G. Ostrogorsky, Storia dell’Impero Bizantino cit., pp. 111-112.
Cfr. L. Duchesne, L’Église au VIème Siècle cit., pp. 431-485; per i provvedimenti finali assunti dal
Concilio cfr. Conciliorum Oecumenicorum Decreta, Bologna 1973, pp. 123-130.
330
G. Pepe, Il Medioevo barbarico d’Italia cit., p. 190; cfr. L. Duchesne, L’Église au VIème Siècle cit., pp.
466 ss.
331
G. Pepe data l’invio della delegazione papale al Concilio all’anno 679 (Il Medioevo barbarico d’Italia
cit., pp. 295-296); cfr. L. Duchesne, L’Église au VIème Siècle cit., pp. 463 ss. (part. pp. 464-465, n. 1).
332
C. De Franceschi, Cessensis episcopus cit., p. 76 e n. 37.
333
Vd. Sacrorum Conciliorum Nova et Amplissima Collectio (cur. J.D. Mansi), Florentiae 1743, t. IX, c.
311. Cfr. anche F. Ughelli, Italia Sacra cit., V, c. 173.
334
Sacrorum Conciliorum cit., t. IX, c. 312.
329
86
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
Nel caso I., che abbiamo già esaminato, esiste in effetti il ricorrente (ma
probabilmente, come si è detto, controvertibile) Cessensis nei codici.
Nel caso III. un misterioso K™nsoy (=kénsou) ha fatto pensare alla corruzione
di qualcosa come Kess™nsoy (=kessénsou). Si veda l’opinione di C. De Franceschi: «il
trascrittore, ignorando evidentemente l’esistenza del minuscolo vescovato di Cissa,
anziché sciogliere correttamente l’abbreviazione paleografica di Kess™nsoy costituita
da una K, seguita da un punto (abbreviazione per contrazione delle lettere ess) dopo il
qual punto c’è il segno paleografico per en, una s e infine il segno paleografico per oy,
trascurò il punto e lesse K™nsoy»335. A me pare invece che non sia altro che la traduzione in greco della sottoscrizione del caso II., ove non sembra esservi
paradossalmente alcun dubbio su Cenetensis336.
È stato tuttavia segnalato, ancora da C. De Franceschi, che il testo latino
mostrerebbe «gravi inesattezze» e che «allo stesso non deve attribuirsi alcuna fede di
fronte al testo greco» e, inoltre che andrebbero ripudiati «senz’altro non solo
l’aggettivo toponimico latino [Cenetensis], ma anche la correzione marginale di
quello greco da K™nsoy a Ken™toy»337. Ma persino uno studioso dell’autorità di P.F.
Kehr, che pure dubitava apertamente del Vindemius Cenetensis del 579, scriveva a
questo proposito: «utut est, primus Cenetensis episcopus, quem novimus, Ursinus est,
qui concilio Romano a. 680 ab Agathone P.M. celebrato interfuit»338.
Lujo Margetič ha sostenuto, dal canto suo, che la sottoscrizione in
latinoavrebbe potuto essere stata una traduzione dal greco339, ma non abbiamo
certezze. Documento e sottoscrizioni avrebbero anche potuto essere stati redatti in
origine in latino, e solo successivamente trasposti in greco (come certo accadde, viceversa, per altri atti conciliari redatti originariamente in greco)340.
335
Cessensis episcopus cit., p. 79.
Anche F. Babudri annota che: «la versio latina ha cenetensis» (Il vescovato di Cissa in Istria cit., p. 46).
337
Cessensis episcopus cit., p. 79.
338
Regesta Pontificum Romanorum cit., vol. I, p. 82 (corsivo mio); cfr. anche P.B. Gams, Series
Episcoporum cit., p. 783. R. Van Doren, invece, che già riteneva Vindemius presule Cissense, continua
dicendo: «un de ses successeurs, Ursinus, assita au synode romain de 680» (s.v. Cissa, cit., p. 851);
parimenti F. Babudri, Il vescovato di Cissa in Istria cit., pp. 45-47.
339
Cfr. Le prime notizie cit., p. 126; cfr. C. De Franceschi, Cessensis episcopus cit., p. 76.
340
Sulla decadenza culturale di Roma nel periodo, esiste la specifica testimonanza dello stesso papa Agatone (cfr. G. Pepe, Il Medioevo barbarico d’Italia cit., pp. 295 e 302). Uno studioso come H. Quentin «rileva
che nella lettera in oggetto, come nelle altre dei papi Onorio, Agatone e Leone II, relative al monelitismo,
sebbene il pontefice Agatone fosse originario di Palermo e quindi, se non greco, di solida cultura ellenica, il
testo originale è quello latino, conosciuto come la versione di Sergio I, per il fatto che negli atti conciliari
pubblicati dal Merlin e dall’Hardouin, c’è l’annotazione “Scriptus est codex temporibus domini Sergi
Sanctissimi ac beatissimi papae et in patriarchio sanctae ecclesiae romane recluditur. Deo gratias. Amen”»
C. De Franceschi, Cessensis episcopus cit., p. 76 che si riferisce a Henri Quentin O.S.B., Notes sur les
originaux latins des lettres des papes Honorius, S. Agathon et Léon II, rélatives au monothelisme, in
“Miscellanea Amelli”, Badia di Montecassino 1920.
336
87
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
Infatti «il testo greco segue l’ordine delle parole del testo latino e questo,
secondo l’uso invalso nella seconda metà del secolo VII, ha le frasi con finale
metrico. Se il testo latino fosse una traduzione di quello greco, si sarebbe dovuto
abbandonare l’ordine delle parole greche per ottenere dei finali metrici nella
traduzione latina»341.
C. De Franceschi ha tuttavia sostenuto che avrebbe poca importanze stabilire
se il testo della lettera di papa Agatone fosse stato redatto originariamente in greco o
in latino, in quanto, almeno le firme sarebbero senz’altro state «apposte in lingua
greca al testo greco inviato a Costantinopoli, e come tali sono molto più precise e
complete della relativa traduzione in calce al testo latino, eseguita in un secondo
momento da persone meno esatte e meno preparate»342.
Lujo Margetič rileva comunque «che la radice è Ken- ...ovviamente il latino
Cen-», e che è molto più probabile che K™nsoy si riferisca a Ceneta che a Cissa, tanto
più che un tau, t, può nella trascrizione essere facilmente scambiata per un sigma, s,
ed immagina infine opportunamente un passaggio esemplificabile come: Ken™toy
→Kentoy →K™nsoy343.
La poco chiara espressione K™nsoy (=kénsou), con la citata correzione
marginale Ken™toy, andrebbe quindi intesa come la malaccorta resa di una
abbreviazione, tipo Cen.sis: mi è difficile immaginare altre forme di abbreviazione,
dal citato Ken™toy (=kenétou) all’ancora più grossolano Kenet™nsoy (=keneténsou)344.
E comunque, se ipotizziamo una primitiva stesura in greco, come avrebbe
potuto trasformarsi il rozzo K™nsoy nel Cenetensis che ci è stato tràdito? Si tratta di
una modalità decisamente analoga a quella sopra evidenziata per dar una ragione al
Cessensis della Sinodo di Grado.
Non ci resta che prendere atto di una sorta di ‘congiura degli amanuensi’ che
avrebbero inconsapevolmente lavorato contro la trasmissione corretta del termine
Cenetensis, tanto nel caso del 579 (vescovo Vindemius), quanto nel caso del 680
(vescovo Ursinus). Come si è detto in precedenza, la vicenda della davvero
incredibile perdita totale dei riferimenti epigrafici e documentali relativi alla
denominazione di Ceneda, dall’età romana al VII secolo, non può che essere fatta
risalire a una straordinaria serie di casualità o comunque ad analoghe involontarie
omissioni, corruzioni e cancellazioni, anche se è stato indagato l’interesse che da parte di
341
Henri Quentin, op. cit., sintetizzato da C. De Franceschi, Cessensis episcopus cit., p. 76.
Cessensis episcopus cit., pp. 76-77.
343
Le prime notizie cit., p. 127.
344
Quando C. De Franceschi (Cessensis episcopus cit., p. 79) segnala, ad esempio, la piena
corrispondenza tra Sen™nsoy e Senensis, trascura di dare una valida ragione perché Cissensis avrebbe dovuto
corrispondere a Ken™nsoy/K™nsoy perdendo sistematicamente il suono ‘i’, non solo negli esiti greci, ma
anche, e soprattutto in quelli latini.
342
88
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
Grado e di Venezia (come, d’altro canto, da parte di Aquileia e della sua diocesi
suffraganea di Ceneda) ci sarebbe stato nel falsificare i dati di una situazione
anteriore345.
In ogni caso, per gli anni attorno al 680, come ha scritto autorevolmente G.B.
Bognetti, almeno da Padova si ricorreva, ad esempio, all’ordinario di Treviso per
l’esercizio di quelle funzioni per le quali il vescovo è indispensabile (come accadeva
a Siena rispetto ad Arezzo) e «questa è anche l’indicazione che proverrebbe da carta
spuria, ma, nella realtà non del tutto infondata, pel vescovado di Ceneda»346.
§ 10. Reminiscenze poetiche sulla Ceneda tardoantica e sul suo territorio
[esame delle fonti su Ceneda nn. 1 e 7]
Si devono esaminare, a questo punto, le due citazioni di Ceneta non ancora
direttamente trattate, la prima cronologicamente molto prossima ai fatti degli anni ’50
e ’60 del VI secolo, la seconda (che generalmente mi risulta trascurata) appartenente
ad un autore contemporaneo a Paolo Diacono. Si tratta, in entrambi i casi, di testi
poetici, e in entrambi i casi di riferimenti paesaggistici che non aggiungono nulla a
quanto già sapevamo.
Venanzio Fortunato, ripercorse a ritroso, nella Vita di San Martino347, scritta
tra 569 e 576, un viaggio immaginario ed emozionale rispetto a quello reale,
intrapreso qualche anno prima con motivazioni complesse, politiche e diplomatiche
(e forse solo apparentemente religiose) lasciando Ravenna per la Gallia (anni 564565348: in questo celebre e suggestivo testo, Venanzio menziona Ceneta, località che
345
G.B. Bognetti, La continuità delle sedi episcopali cit., pp. 317-318.
Ancora G.B. Bognetti, La continuità delle sedi episcopali cit., p. 325 (corsivo mio).
347
Il testo di Venanzio Fortunato, Vita Sancti Martini, IV 656-671, di seguito riprodotto, è quello della
più recente edizione: S. Quesnel (éd.), Venance Fortunat, Œuvres, Tome IV, Vie de Saint Martin, Paris
1996, pp. 99-100 (note di commento ibid., pp. 170-171); si consulti anche, con qualche piccola differenza
testuale, l’ed. F. Leo, in MGH AA, Berolini 1881, IV, 1 pp. 368-369.
348
Cfr. PLRE III-A, s.v. Fortunatus 2 (Venantius Honorius Clementianus Fortunatus), pp. 491-492; cfr.
anche R. Heuberger, Rätien, cit., pp. 40-41. Sulle date cfr. S. Quesnel (éd.), Venance Fortunat, Œuvres, t.
IV, cit., Introduction, p. vii (partenza nell’anno 565; cfr. anche e M. Schuster, s.v. Venantius Fortunatus cit.,
c. 678); p. xiii (composizione della Vita Martini tra 569 e 576); cfr. anche M. Pavan Venanzio Fortunato tra
Venetia, Danubio e Gallia cit., p. 18 («la data della partenza... si pone...tra l’autunno del 563 e la primavera
564»); p. 19 (composizione «comunque prima del 576, anno di morte del vescovo di Parigi Germano che nel
poema figura ancora vivo»). Sul viaggio di Venanzio e sulle sue effettive ragioni, comprese quelle di natura
politica, cfr. J. Šašel, Il viaggio di Venanzio Fortunato cit., pp. 359-375 e G. Rosada, Il “viaggio” di Venanzio Fortunato cit., pp. 43 ss.; M. Rouche, Autocensure et Diplomatie chez Fortunat a propos de l’Elegie sur
Galeswinthe, ibid., p. 157 («Fortunat se révèle...comme l’homme des fidélités silencieuses. Mais de plus, il est
aussi un remarquable agent politique au service de la Romanité et de Byzance. Jusqu’ici, on croyait qu’il avait
346
89
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
ben conosceva, essendo considerato originario di una località assai vicina, l’odierna
Valdobbiadene, se non di Ceneda stessa349.
Egli si limita tuttavia ad un semplice cenno nel corso della sua celebre
descrizione della geografia della Venetia orientale, dettagliata, accorata e carica di
nostalgia, ma senza concedere alcun particolare degno di attenzione sulle caratteristiche della struttura urbana e difensiva del castrum, limitandosi a ricordarne
nel contesto, per quel che a noi rimane, la posizione orografica elevata350.
Comunque il passo venanziano pur nella lamentata sinteticità, sembra
attestare che Ceneda era un centro di una certa rilevanza, dove si trovava, inoltre, una
comunità cristiana già organizzata attorno ad un luogo di culto351:
60
Hinc Venetum saltus campestria perge per arva,
submontana quidem castella per ardua tendens,
aut Aquiliensem si forte accesseris urbem,
Cantianos Domini nimium venereris amicos
ac Fortunati benedictam martyris urnam
Da qui [dopo Forum Iulii e il Tagliamento] attraversi il
territorio e le fertili terre venete, seguendo la strada degli
352
alti castelli della pedemontana , o se magari giungerai
alla città di Aquileia, avrai l’occasione di venerare assai i
353
[martiri] Canziani amici del Signore
e di onorare l’urna
354
benedetta del martire Fortunato
quitté l’Italie pour échapper aux autorités byzantines, à cause de son acceptation des Trois Chapitres et qu’il
aurait choisi Sigebert comme hôte parce qu’il croyait que la Venétie resterait franque. En réalité... Fortunat,
formé pour une carriere civile, fut envoyé, comme Martin de Braga, par Ravenne et Byzance, pour soutenir
une politique pro-byzantine en Occident»). Sull’attività letteraria (e sui suoi aspetti politico-religiosi) cfr.
anche E. Stein, Bas-Empire cit., «Excursus T», pp. 832-834.
349
Cfr. anche M. Manitius, Geschichte der Lateinischen Literatur des Mittelalters, München 1911, I, pp.
172-173; N. Faldon (Le origini del cristianesimo nel territorio cit., p. 37) sostiene che Venanzio sarebbe nato
piuttosto nella «Vallata di Ceneda, alle due Playae di Serravalle».
350
La definizione isidoriana di castrum è infatti oppidum loco altissimo situm (Etym., XV 2, 13).
351
Come scrive G. Cuscito, Testimonianze archeologiche monumentali cit., pp. 101-102.
352
La strada che porta à rebours Venanzio Fortunato nelle sue patrie terre amiche passa da Ragogna e dal
corso del Tagliamento e, per attagliarsi al verso per submontana castella etc., si sarebbe articolata, secondo
quanto ha proposto G. Rosada, «all’incirca tra Pinzano, Castelnuovo, Spilimbergo, Toppo, Meduno,
Maniago, Montereale Valcellina, Aviano, Polcenigo, Caneva» (Il “viaggio” di Venanzio Fortunato cit., p.
38); cfr. anche G. Arnosti,“Per Cenetam gradiens”. Appunti sulle vie della romanizzazione con riferimento
all’Antico Cenedese, «Il Flaminio» 9, 1996, p. 100.
353
Cfr. G. Cuscito, Economia e Società, in AA.VV., Da Aquileia a Venezia. Una mediazione tra
l’Europa e l’Oriente dal II secolo a.C. al VI secolo d.C., Milano (1980) 19862, pp. 658-659; S. Tramontin,
Origini del Cristianesimo nel Veneto cit., p. 120, n. 110; G. Rosada, Il “viaggio” di Venanzio Fortunato cit.,
p. 46.
354
Cfr. G. Cuscito, Economia e Società cit., pp. 658-659.
90
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
65
70
pontificemque pium Paulum cupienter adora,
qui me primaevis converti optabat ab annis.
Si petis illud iter qua se Concordia cingit,
Augustinus adest pretiosus Basiliusque.
Qua mea Tarvisius residet, si molliter intras,
inlustrem socium Felicem, quaeso, require
cui mecum lumen Martinus reddidit olim.
356
Per Cenitam gradiens et amicos Duplavenenses,
qua natale solum est mihi sanguine, sede parentum,
prolis 6origo patrum, frater, soror, ordo nepotum
quos colo corde fide, breviter, peto, redde salutem
e il pio vescovo Paolo [=Paolino], colui che desiderava fin
dalla mia giovinezza vedermi convertito. Se prendi la
strada che tocca Concordia, avrai modo di vedere l’insosti355
tuibile Agostino e Basilio .
Se ti fermi con calma nella mia Treviso,
cerca, ti prego, il mio insigne amico Felice, al quale [San]
357
Martino un tempo restituì la vista così come fece con me
358
Attraversando Ceneda e i miei amici di Valdobbiadene ,
ti troverai nella terra d’origine, mia, dei miei genitori e di
tutta la mia famiglia, dove risiedono mio fratello, mia
sorella e la schiera dei miei nipoti: ti prego allora [si
359
rivolge al libretto dei suoi stessi versi ] di fare una breve
sosta e di recar a tutti loro, che amo e a cui un vincolo mi
360
unisce, il mio saluto
Il mero accenno a Ceneda di Venanzio Fortunato è pressoché contemporaneo
allo spunto più corposo di Agazia, di cui ho avuto modo di discutere: è curioso che
355
Sant’Agostino e San Basilio? Ma forse un Augustinus o Augustus sarebbe stato vescovo di Concordia
verso la fine del VI secolo (cfr. S. Tramontin, Origini del Cristianesimo nel Veneto cit., p. 120, n. 112).
356
Segnalo a questo proposito che nell’edizione F. Leo cit., p. 369, al v. 668, era stata preferita la lezione
Cenetam nonostante nell’apparato critico fosse indicato che i codici recavano concordemente Cenitam
ovvero Cinitam). Cfr. S. Tramontin, Le origini del Cristianesimo a Treviso, in E. Brunetta (cur.), Storia di
Treviso. I. Le origini, Venezia 1989, p. 321.
357
Cfr. anche E. Stein, Bas-Empire cit., pp. 834, n. 1 e S. Tramontin, Origini del Cristianesimo nel
Veneto cit., p. 120, n. 113; cfr. anche J. Šašel, Il viaggio di Venanzio Fortunato cit., pp. 361-362.
358
Tra Caneva e Cavolano avrebbe dovuto esservi lo snodo che consentiva di raggiungere Ceneda, portarsi nel Quartier del Piave e, dopo Susonnia, l’attuale Susegana, risalire fino a Duplabilis (uso, nel tradurre,
forse impropriamente, la denominazione attuale, Valdobbiadene; cfr. M. Schuster, s.v. Venantius Fortunatus
cit., c. 677; A. Zamboni, Toponomastica e storia religiosa cit., p. 47); cfr. anche G. Rosada, Il “viaggio” di
Venanzio Fortunato cit., p. 39.
359
Questo appare un motivo poetico che risale ad Ovidio (vd. Tristia III, 1, ed. Wheeler, p. 100): si tratta
del classico ‘colloquio con il libro’ dell’esule impossibilitato a tornare in patria; cfr. F. Della Corte, Venanzio Fortunato, il poeta dei fiumi cit., pp. 138.
360
La traduzione libera del latino venanziano è mia. Altre traduzioni italiane di questi versi, si trovano in
S. Tramontin, Origini del Cristianesimo nel Veneto cit., pp. 119-120; Id., Le origini del Cristianesimo a
Treviso cit., p. 343, n. 81; in V. Peri, Chiesa e cultura religiosa, in AA.VV., Storia della Cultura Veneta cit.,
p. 175; e in G. Rosada Il “viaggio” di Venanzio Fortunato cit., pp. 27-28 (a cura di F. Rizzetto).
91
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
entrambi questi autori fossero poeti361 e, per di più (pur essendo agli antipodi l’uno
dall’altro), fossero così interessati alla cultura ed alla società dei Franchi.
Il riferimento di Paolo Diacono ai versi di Venanzio, ove si nomina il castrum
di Ceneda, presenta un pendant di pura descrizione paesaggistica in un carme di
Paolino, vescovo di Aquileia contemporaneo dello stesso Paolo Diacono362, e
formatisi nello stesso ambiente scolastico-episcopale363.
Egli ebbe modo di accennare all’area cenedese nel contesto di narrazione
idealmente odeporica, riadattata alle circostanze ed alle modalità con cui compose i
Versus Paulini de Herico Duce, nell’anno 799, anche qui senza particolari
indicazioni che aiutino a definire precisamente la realtà del tempo, salvo per quanto
concerne la sua generica collocazione a guardia di una catena montagnosa (iuga
Cenetensium)364.
Trascrivo le prime tre strofe dei Versus:
1. Mecum Timavi saxa novem flumina
365
flete per novem fontes redundantia ,
quae salsa gluttit unda ponti Ionici,
piangete con me, o rocce del Timavo, e tutti
e nove i fiumi che da nove fonti riversanti
inghiottono le onde salate del mar Ionio:
361
L’opera poetica di Agazia è pubblicata, oltre che in varie edizioni della c.d. Antologia Palatina, anche
specif. da G. Viansino, Agazia Scolastico. Epigrammi, Milano 1967.
362
Su questo presule aquileiense, nato probabilmente nel 726 ed in carica tra 787 e 802, cfr. M. Manitius,
Geschichte der Lateinischen Literatur, cit., I, pp. 368-370; J. Reviron, s.v. Paulin d’Aquilée, in Dictionnaire
de Théologie Catholique, tome XII, 1 (1933), cc. 62-67; V. Peri, Chiesa e cultura cit., pp. 192 ss.; 208 ss.;
C.G. Mor, La Cultura Veneta cit., spec. pp. 230-237; The Oxford Dictionary of the Christian Church,
Oxford 19782, repr. 1988, p. 1054 (Paulinus, St.). Si tratta di un omonimo, tanto nel nome quanto nella
carica ecclesiastica, del presule citato in uno dei versi sopra riportati di Venanzio Fortunato (Vita Sancti
Martini, IV 661: pontificemque pium Paulum), vescovo di Aquileia, tra 558 e 561, seguace dello scisma
tricapitolino, che nel 569 fuggirà a Grado a causa dell’invasione Longobarda (ed ivi, più tardi, morirà); su di
lui cfr. Paul. Diac. Hist. Lang. II 10, p. 88; Th. Hodgkin, Italy and her Invaders cit., V, p. 458 e A. Lippold,
s.v. Narses cit., cc. 886-887.
363
Cfr. C.G. Mor, La Cultura cit., pp. 231 ss.
364
Paulinus Aquileiensis, Carmina II 1-3 (Versus Paulini de Herico Duce, pp. 131-133), in MGH
PLAeK, rec. E. Dümmer, Berolini 1881, I, p. 131 (tutti i Carmina di Paolino sono pubblicati ibid., pp. 123148; del Liber Exortationis dello stesso Paolino è in corso un’edizione critica a cura di A. De Nicola; cfr. in
«AttiMemIstria» n.s. XLIX, 2001, pp. 187-213, in progress). La traduzione libera e necessariamente
approssimativa delle prime tre strofe della composizione di Paolino è mia. Ignoro se esistano traduzioni
italiane o in altre lingue moderne di tali versi. Non ho inteso approfondire, sul piano geografico, la
descrizione di Paolino, che fa riferimento a località o siti di non sempre agevole individuazione; tanto meno
ho inteso approfondire i legami tra il defunto dux Hericus e dette localizzazioni, tanto friulane che altrove
dislocate. Sul ‘planctus’ per la morte del duca, cfr. C.G. Mor, La Cultura Veneta cit., p. 236.
365
I primi due versi della prima strofa hanno probabilmente un sapore virgiliano e ricordano, in effetti, i
saxa Timavi di Ecl. 8, 6 (ed. Goold, p. 74) ed Aen. 1, 244-245 (et fontem superare Timavi, | unde per ora novem vasto cum murmure montis; ed. Goelzer, p. 15); cfr. per questo anche C. Voltan, Le fonti letterarie per
la storia della Venetia et Histria I. Da Omero a Strabone, «MIV» 42, 1989, risp. pp. 188 e 196. Sul Timavo
cfr. H. Philipp, s.v. Timavus, RE VI A.1 (1936), cc. 1242-1246.
92
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
366
367
Istris Sausque , Tissa, Culpa, Marua,
368
369
370
Natissa , Corca , gurgites Isontii .
.
2. Hericum
mihi dulce nomen plangite,
2
Sirmium, Pola, tellus Aquileiae,
371
Iulii Forus, Cormonis ruralia ,
372
Piangete con me Herico, dolce nome, città
di Sirmio, Pola, contrade di Aquileia,
Forum Iulii (Cividale), campagne di
Cormons,
373
rupi di Osoppo, contrafforti dei Cenedesi;
piange la terra Abtensis e l’Albengana.
3. Nec3 tu cessare, de cuius confinio
est oriundus, urbs dives Argentea,
lugere multo gravique cum gemitu!
civem famosum perdidisti nobile
germine natum claroque de sanguine.
E non smettere di piangere con abbondante
e doloroso gemito, o ricca città Argentea,
375
dai cui dintorni era originario , hai
perduto un cittadino famoso, nato da nobile
ceppo di celebre sangue.
rupes Osopi , iuga Cenetensium ,
374
Abtensis humus ploret et Albenganus .
.
Istro e Saus, Tissa, Culpa, Marua, Natisone,
Corca, gorghi dell’Isonzo.
366
Non credo che sia il Danubio: Paolino si riferisce evidentemente a corsi d’acqua più vicini alla sua
zona. Vd. però Plin. Naturalis Historia III, 127: a flumine Histro in Hadriam effluente e Danuvio amne
eodemque Histro exadversum Padi Fauces (citando Cornelio Nepote, Plinio parlava di una fiume, Hister,
che defluisce dal corso del Danubio, dà il nome alla penisola istriana e si getta nell’Adriatico di fronte al
Po). Negli Scholia Vergiliana Bernensia (ad Georg. III 475) si legge che i ‘campi del Timavo’ si trovano
sull’Istro (in Istro sunt). Per queste due fonti rinvio a C. Voltan, Le fonti letterarie cit., risp. pp. 176-177 e
228-229.
367
Se non fosse la Sava, potremmo pensare ad un piccolo fiume chiamato Alsa (o Aussa) che sbocca
poco più a est del Natisone. Cfr. H. Philipp, s.v. Natiso, RE XVI.2 (1935), cc. 1806-1810 (specificamente,
ivi, la cartina).
368
La Tissa forse è il Theiss; la Culpa dovrebbe identificarsi tuttora con un fiume con questo nome; la
Marua è forse il Mur (cfr. la cartina pobblicata da H. Ubl, Das Noricum Ripense und die einseitigen
Beziehungen zu Norditalien cit., p. 307); per la Natissa (hod. Natisone) cfr. ancora H. Philipp, s.v. Natiso cit.
cc. 1806-1810.
369
«Jetzt Gurk (slovenisch Krka)»: cfr. Patsch, s.v. Corcoras, RE IV.1 (1900), c. 1219.
370
È l’Isonzo; cfr. Fluss, s.v. Sontius, RE III A.1 (1927), cc. 996-998.
371
Hod. Cividale del Friuli (Hericus era stato dux Foroiuliensis) e hod. Cormons.
372
Sembra quasi una riminiscenza venanziana, dall’appena vista Vita Sancti Martini IV 654 (per rupes,
Osope, tuas).
373
Anche qui si sente forse un rinvio venanziano (al verso citato della Vita Sancti Martini IV 668: per
Cenitam gradiens, introdotto dal riferimento ai submontana castella). L’apparato all’edizione paoliniana, p.
131, a 2, 4, reca anche l’ennesima variante dei codici su Ceneda: Cetenensium.
374
Che si tratti di Asti e di Albenga? Resta oscuro il rapporto con le altre località e gli altri siti citati.
375
Argentea urbs è l’attuale Strasburgo (cfr. anche l’indice dell’ed. paoliniana, p. 640): infatti il duca
Erico, originario di quella città, era stato preposto al Friuli tra il 791 e il 799, dopo aver vissuto in
precedenza alcuni anni alla corte di Carlo Magno ed avervi conosciuto e frequentato Paolino, allora magister
artis grammaticae presso la medesima corte (cfr. N. Roman, Notizie intorno al Castello Patriarcale di
Sacile (sec. X-XV), in in «Atti del 3° Convegno. Castelli tra Piave e Livenza» cit., spec. pp. 95-96).
93
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
Abbreviazioni ed espressioni particolari:
a., aa.
anno (annum), anni (anni, annos)
«AAAd» «Antichità Altoadriatiche» – Udine
AA.VV. autori vari
a.C.
avanti Cristo
A.D.
anno domini
«Aevum» «Aevum» – Rassegna di scienze storiche, linguistiche e filologiche – Milano
agg.
aggettivo
«AIV»
«Atti dell’Istituto Veneto» – Venezia
al.
alii (altri)
apud
presso
«ArchMKge» «Archiv für mittelrheinischen Kirchengeschichte»
«ArchMur»
«Archivio Muratoriano» – Studi e ricerche in servizio della Nuova Edizione
dei Rerum Italicarum Scriptores – Bologna
«ArchStBFC» «Archivio Storico di Belluno Feltre Cadore» – Belluno
an.
anastatica
«ASNP» «Annali della Scuola Normale Superiore» – Pisa
«AttiMemIstria»
«Atti e Memorie della Società Istriana di Archeologia e Storia Patria»
austras. austrasica, austrasicae
«AVen» «Archeologia Veneta»
B.C.
before Christ (avanti Cristo)
«Byzantion» «Byzantion» – Revue internationale des études byzantines – Bruxelles
«ByzSlav»
«Byzantinoslavica» – Revue internationale des études byzantines – Praha
c., cc.
colonna, colonne
ca., c.
circa
c.d.
cosiddetto
chap.
chapter (capitolo)
CSHB
Corpus Scriptorum Historiae Byzantinae – series Bonnensis
CFHB
Corpus Fontium Historiae Byzantinae – series Berolinensis
cfr.
confronta
cit.
citato, citata
cur., curr. curatore, curatori
DBI
Dizionario Biografico degli Italiani – Roma 1960-ss.
d.C.
dopo Cristo
d. h.
dass heisst (cioè)
DHGE
Dictionnaire d’Histoire et de Géographie Ecclésiastiques – Paris
doc.
documento
«DOP» «Dumbarton Oaks Papers» – Washington
ead.
eadem (la stessa [autrice])
ed. (éd.), edd. edizione, editore (éditeur), editori
ep. epp. epistola (epistula), epistole (epistulae)
ex.
exeunte (uscente; alla fine)
fasc.
fascicolo
«Il Flaminio» «Il Flaminio» – Rivista di Studi della Comunità Montana delle Prealpi
Trevigiane – Vittorio Veneto
«FMS» «Frühmittelalterliche Stusien» Jahrbuch des Instituts für
Frühmittelalterforschung der Universität Münster – Berlin
fr., frr.
frammento, frammenti
94
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
gen.
generale
«GIF»
«Giornale Italiano di Filologia» – Rivista Trimestrale di Cultura – Roma
«HJ»
«Historisches Jahrbuch» – München
hod.
hodie (oggi, odierno, odierna)
«HZ»
«Historische Zeitschrift» – München
ibid.
ibidem (lo stesso [passo])
id.
idem (lo stesso [autore])
in.
inizio
ind.
indictio (indizione)
infra
in seguito, successivamente
ingl.
inglese
it.
italiano, italiana
lett.
letteralmente
lib.
libro
Mass.
Massachusetts (U.S.A.)
MGH AA Monumenta Germaniae Historica. Auctores Antiquissimi
MGH EE Monumenta Germaniae Historica. Epistulae
MGH GPR
Monumenta Germaniae Historica. Gestorum Pontificum Romanorum
MGH PLAeK Monumenta Germaniae Historica. Poetae Latini Aevi Karolini
MGH SS. rer. Ger.
Monumenta Germaniae Historica. Scriptores rerum Germanicarum in usu
Scholarum
MGH SS. rer. Mer.
Monumenta Germaniae Historica. Scriptores rerum Merowingicarum
MGH SS. rer. Lang.
Monumenta Germaniae Historica. Scriptores rerum Langobardicarum et
Italicarum saec. VI-IX
«MIV» «Memorie dell’Istituto Veneto – Classe di Scienze Morali, Lettere e Arti»
n., nn.
nota, note
«NA»
«Neues Archiv der Gesellschaft für ältere deutsche Geschichtskunde»
«NAV» «Nuovo Archivio Veneto» – Venezia
nr.
numero
op.
opera
«PBA» «Proceedings of the British Academy» – Oxford
p.c.
post consulatum (dopo il consolato di)
PLRE
Prosopogrphy of the Later Roman Empire (The)
praef.
praefatio (prefazione)
«Prometheus» «Prometheus» – Rivista quadrimestrale di studi classici – Firenze
«QGrig» «Quaderni Grigionitaliani» – Coira
«QM»
«Quaderni Medievali» – Bari
p., pp.
pagina, pagine
part.
particolarmente
passim
in più punti
PG
Patrologiae Cursus Completus – Series Graeca
PL
Patrologiae Cursus Completus – Series Latina
PLRE
The Prosopography of the Later Roman Empire
publ., pubbl. publié, pubblicato
RE
Paulys Real-Encyclopädie der classischen Altertumwissenschaft
curr. G.Wissowa et al.
RE Supplbd. Paulys Real-Encyclopädie, Supplementband (volume di supplemento)
r., rr.
riga, righe
95
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
rec.
recensuit/recenserunt (curò/curarono l’edizione)
repr.
reprint (ristampa)
«RFIC» «Rivista Italiana di Filologia e Istruzione Classica» – Torino
«RHEglFr»
«Revue d’histoire de l’Eglise de France»
risp.
rispettivamente
rist.
ristampa
«RomBarb»
«Romanobarbarica» – Roma
«RSBN» «Rivista di Studi Bizantini e Neoellenici» – Roma
«RSBS» «Rivista di Studi Bizantini e Slavi» – Bologna
«RSI»
«Rivista Storica Italiana» – Napoli
s., ss.
seguente, seguenti
«SBN» «Studi Bizantini e Neoellenici» – Roma
«SdC»
«Storia della Città» Rivista internaz. di storia urbana e territoriale Milano
«SDHI» «Studia et Documenta Historiae et Iuris» Romae Pontific. Univ. Lateranensis
sost.
sostantivo
spec.
specialmente
«Speculum» «Speculum» A Journal of Medieval Studies – Cambridge (Mass.)
«SSCISAM» «Settimane di Studio del Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo»
Spoleto
«StudMed»
«Studi Medievali» – Spoleto
supra
in precedenza
«SV»
«Studi Veneziani» – Venezia
s.v., s.vv. sub voce, sub vocibus (alla voce, alle voci)
t., tt.
tomo, tomi
tr., trad. traduzione
«Traditio» «Traditio» Studies in Ancient and Medieval History, Thought and Religion
– New York
v., vv.
verso, versi
«Viator» «Viator» – Medieval and Renaissance Studies – Berkeley (California-USA)
vd.
vedi
vol., voll. volume, volumi
«ZGO» «Zeitschrift für die Geschichte des Oberrheins»
«ZRG-KA» «Zeitschrift für der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte (Kanonistische
Abteilung)» – Graz
96
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
Le Fonti (Autori Antichi)
Additamenta ad Chronica Maiore ex Codicibus viversis, ed. Th. Mommsen, MGH
AA, XI =Chronica minora II, Berlin 1894, repr. München 1981, pp. 491-494
Agathiae Myrinaei, Historiarum libri quinque, rec. R. Keydel, Berolini 1967 - CFHB (tr. ingl.,
Agathias, The Histories, cur. J.D. Frendo, Berlin-New York 1975); consultata anche l’edizione: Agathiae
Myrinaei, Historiarum libri quinque, rec. S. Costanza, Università degli Studi di Messina, Messina 1969
Agnelli Ravennatis, Liber pontificalis, in O. Holder-Egger (ed.), Agnelli qui et Andreas Liber
Pontificalis Ecclesiae Ravennatis, MGH SS. rer. Long., Hannoverae 1878, pp. 265-391 (consultata anche l’ed. Th.
Mommsen, in MGH AA, IX = Chronica minora I, Berlin 1892, repr. München 1981, passim)
Anastasii, Chronographia Tripertita, rec. C.De Boor, in Theophanis, Chronographia, Lipsiae 1885, II,
pp. 31-446
Annales Ravennatenses, ed. O. Holder-Egger, pubbl. in appendice a Id., Untersuchungen über einige
annalistische Quellen zur Geschichte des fünften und sechtsten Jahrhundert II., «NA» 1, 1876, pp. 336-368
Anonimi, Beowulf, cur. L. Koch, Torino (1987) 1992
Anonimus Ravennas, ed. J. Schnetz, in Itineraria Romana, Lipsiae 1940, II
Auctarii Hauniensis Extrema, ed. Th. Mommsen, Chronica minora I, pp. 337-339 oltre all’ed. R.
Cessi, in «ArchMur» 22, 1922, pp. 638-641
Auctarium Marcellini, in Chronica minora II, pp. 104-108 (è stata consultata anche la
più recente edizione condotta sostanzialmente sul lavoro mommseniano, da B. Croke (cur.),
The Chronicle of Marcellinus, Sydney 1995, spec. pp. 45-52, che contiene anche una
traduzione inglese del testo)
Auctarium Marcellini alterum, in Chronica minora II, p. 43, n. 1 (oltre alla pubblicazione in calce al Chronicon di Marcellinus Comes, in PL, ed. J.-P. Migne, Parisiis 1861, LI,
cc. 946-948)
Bedae Venerabilis, Chronica Maiora ed. Th. Mommsen, MGH AA, XIII = Chronica
minora III, Berlin 1898, repr. München 1981, pp. 223-354 (comprende anche Chronica
Minora, Inperpolationes e Auctaria)
Cassiodori Senatoris, Variae, MGH AA, XII, Berolini 1894, pp. 1-385
Chronica Patriarcharum Gradensium, in MGH SS. rer. Lang., pp. 392-397
Conciliorum Oecomenicorum Decreta, ed. Istituto per le scienze religiose, Bologna 1973
Constantini Porphyrogeniti, De Administrando Imperio, ed. Gy. Moravcsik (english translation by
R.J.H. Jenkins) [CFHB], Dumbarton Oaks – Center for Byzantine Studies, Washington, 1967, second impression
1985
Corippi Africani Grammatici, In Laudem Iustini Augusti minoris Libri IV, in Id., Libri qui supersunt,
rec. I. Partsch, MGH AA, III, pars posterior, Berolini 1879, pp. 111-156
Corpus Iuris Civilis (rec. R. Schoell-G. Kroll), Berolini 19546, vol. II - Novellae
Corpus Inscriptionum Latinarum, Berolini 1877, vol. V
Danduli Andreae, Chronica per extensum descripta (aa. 46-1280 d.C.), cur. Ester Pastorello, Bologna
1938 (Rerum Italicarum Scriptores, t. XII, parte I)
Epistolae Aevi Merowingi Collectae, ed. W. Gundlach, in MGH EE, Berolini 1892, t. III, pars VIII, pp.
434-468
Epistolae Arelatenses, ed. W. Gundlach, in MGH EE, t. III, pars I, pp. 1-83
Epistolae Austrasicae, ed. W. Gundlach, in MGH EE, t. III, pars III, pp. 110-153
Evagrii Scholastici, Historiae Ecclestiasticae, in PG, ed. J.-P. Migne, Parisiis 1865, LXXXVI, 2, cc.
2405-2905
97
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
Excerpta codicis Vaticani Graeci 96 (saec. XIV), in Agathiae Myrinaei, Historiarum libri quinque, rec.
S. Costanza cit., passim
Excerpta Sangallensia, nei Fasti Vindobonenses priores cum excerptis Sangallensibus, in Chronica
minora I, pp. 334-336
Excerpta Valesiana, ed. J. Moreau, Lipsiae 1968
Fredegarii Scholastici, Chronicarum quae dicuntur Fredegarii Scholastici Libri IV cum continuationibus, ed. B. Krusch in MGH SS. rer. Mer., II, Hannoverae 1888, pp. 1-193
Georgii Cedreni, Historiarum Compendium, ed. I. Bekker [CSHB], Bonnae 1838-1839
Gregorii I Papae, Registrum Epistolatum, ed. P. Ewald-L.M. Hartmann, in MGH EE, Berolini 1841, t.
I (libri I-VII)
Gregorii Turonensis, Hisoria Francorum, ed. M. Oldoni, Fondazione Lorenzo Valla, Milano 1981
voll. I-II; è stata vista anche: B. Krusch (cur.), Gregorii Episcopi Turonensis, Hisoriarum Libri X, MGH SS. rer.
Mer. t. I, pars I, fasc. I-II-III, editio altera, Hannoverae (unveränderter Nachdruck) 1993
Hieronymi (Sancti Eusebii Hieronymi), Epistulae, rec. I. Hilberg, Vindobonae-Lipsiae 1910, pars I
(Epp. I-LXX)
Historia Langobardorum Codicis Gothani, ed. G. Waitz, in MGH SS. rer. Lang., pp. 7-11
Ioannis Malalae, Chronographia, rec. I. Thurin, [CFHB], Berolini et Novi Eboraci 2000; si citano
contestualmente le pagine della classica ed. L. Dindorf [CSHB], Bonnae 1831
Iohannis Abbatis Monasterii Biclarensis, Chronica, in Chronica minora II, pp. 207-220
Iohannis Diaconi, Istoria Veneticorum, ed. e tr. it. L.A. Berto, Bologna 1999
Iohannis Lydi, De Magistratibus populi Romani libri tres, ed. R. Wünsch, Lipsiae 1903
Ionae, Vita Iohannis Abbatis Reomarensis, ed. B. Krusch, in MGH SS. rer. Mer., Hannoverae 1888, III,
pp. 502-517
Iordanis, Romana et Getica, ed. Th. Mommsen, MGH AA, V.1, Berlin 1882, repr. München 1982
Isidori Hispalensis, Etymologiae, ed. W.W. Lindsay, Oxford 1911
Isidoris Iunioris episcopi Hispalensis, Chronica Maiora, in Chronica minora II, pp. 391-506 (comprende anche la Chronicarum Epitome e gli Auctaria)
Liber Pontificalis, texte, introduction et commentaire par L. Duchesne, Paris (1886, poi emendata
19552=) 1981, pubblicata su tre tomi, di cui uno di indici e integrazioni; consultata anche l’edizione: Libri
Pontificalis pars prior, in MGH GPR, cur. Th. Mommsen, Berolini 1898, in part. il vol. I
Marcellini Comitis, Chronicon (vd. Auctarium Marcellini)
Marii Aventicensis, Chronica ad a. 538, in Chronica minora II, pp. 225-239
Maximiani, Elegiae, ed. T. Agozzino, Bologna 1970
Menae patricii cum Thoma referendario, De Scientia Politica Dialogus, ed. C.M. Mazzucchi,
Milano 1982
Menandri Protectoris, Fragmenta, in C. Müller, ed., Fragmenta Historicorum Graecorum, Parisiis
1851, vol. IV, pp. 200-269; e la nuova ed. di R.C. Blockley, The History of Menander the Guardsman, Liverpool
1985
Michaelis Pselli, Chronographia, ed. S. Impellizzeri, Fondazione Lorenzo Valla, Milano 19973
(commento U. Criscuolo e tr. it. S. Ronchey)
Notitia Dignitatum utriusque Imperii, Pars Occidentis, ed. O. Seeck, Berlin 1876
Origo Gentis Langobardorum, ed. G. Waitz, in MGH SS. rer. Lang., pp. 1-6
Ovidii Nasonis, Tristia, ed. A. Leslie Wheeler, Ovid, Tristia – Ex Ponto, London-Cambridge (Mass.)
1965
98
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
Pauli Diaconi, Historia Romana, ed. H. Droysen, MGH SS. rer. Ger., Berlin 1879, repr. München 1978
(è stata consultata anche l’ed. A. Crivellucci, Pauli Diaconi, Historia Romana, Roma 1914)
——— Historia Langobardorum, ed. Lidia Capo, Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Fondazione
Lorenzo Valla, Milano 19953 (sono state utilizzate anche le edd.: L. Bethmann-G. Waitz, Pauli, Historia
Langobardorum, in MGH SS. rer. Lang., Hannoverae 1878 e A. Zanella, Paolo Diacono, Storia dei Longobardi,
Milano 19932)
Pauli Silentiarii, =Ekfrasiq to† nao† t∂q \Agºaq Sofºaq, in P. Friedländer (erklärt von), Johannes von
Gaza und Paulus Silentiarius. Kunstbeschreibugen Justinianischer Zeit, Leipzig und Berlin 1912, pp. 225-256;
267-297
Paulini Aquileiensis, Carmina, rec. E. Dümmer, in MGH PLAeK, Berolini 1881, I, pp. 123-148
Paulini Petricordiae, De vita Sancti Martini Episcopi Libri VI, in M. Petschenig (ed.), Paulini
Petricordiae, Quae supersunt, CSEL 16.1, Vienna 1888, pp. 16-159
C. Plinii Secundi, Naturalis Historiae Libri XXXVII, ed. C. Mayhoff, Stutgardiae (1906=) 1967 vol. I
(Libri I-VI)
Procopii Caesarensis, Bellum Gothicum, in J. Haury-G. Wirth (edd.), Procopii Caesarensis Opera
Omnia - De Bellis, Lipsiae 1962-1963, voll. I-II (ed. e trad. it. e cur. M. Craveri, Torino 1977, pp. 435-766)
——— Historia quae dicitur Arcana, in J. Haury-G. Wirth (edd.), Procopii Caesarensis Opera Omnia,
Lipsiae 1963, vol. III (trad. it. e cur. F.M. Pontani, Roma 1972)
——— de aedificiis libri VI, in J. Haury-G. Wirth (edd.), Procopii Caesarensis Opera Omnia, Lipsiae
1964, vol. IV
Sacrorum Conciliorum Nova et Amplissima Collectio (cur. J.D. Mansi), Florentiae 1743 (t. IX); 1745
(t. XI)
Salviani Presbyteri Massiliensis, De gubernatione Dei libri VIII, in Id., Libri qui supersunt, rec. C.
Halm, MGH AA, I, pars I, Berolini 1877, pp. 1-108
Sidonii Apollinaris, Carmina et Epistulae, ed. W.B. Andreson, Sidonius, Poems and Letters,
Cambridgre (Mass.)-London 1963 (vol. I); 1965 (vol. II)
Strabonis, Geographica, ed. F. Sbordone, Romae 1970, vol. II (libri III-V), riprodotta nell’ed. e trad. it.
di A.M. Biraschi, Strabone, Geografia – L’Italia – Libri V-VI, Milano 20004
Suidae Lexicon, ed. Ada Adler, Leipzig 1928, rist. Stuttgart 1971, voll. I-IV
Theophanis, Chronographia, rec. C.De Boor, Lipsiae 1883-85, voll. I-II (si citano contestualmente le
pagine dell’ed. Bonnense, 1839-41)
Theophylacti Simocattae, Historiae, ed. C. De Boor, Lipsiae 1887
Vegetii, Epitoma rei militaris, rec. C. Lang, Stutgardiae 1967
Venantii Fortunati, Vita Sancti Martini, in S. Quesnel, éd., Venance Fortunat, Œuvres, Tome IV, Vie
de Saint Martin, Paris 1996 (oltre alla classica ed. F. Leo, in MGH AA, Berolini 1881, IV, 1, pp. 293-370)
——— Carmina, éd. M. Reydellet, Venance Fortunat, Poèmes, Paris 1998, tome II
Vergilii Maronis, Aeneis, in H. Goelzer, ed., Virgile, Énéide, Livres I-IV, Paris 1925
——— Eclogae, in G.P. Goold, ed., Virgil, Eclogues, Georgics, Aeneid 1-6, Cambridge (Mass.)London 1999, rev. ed. 1935
Victoris Tonnenensis Episcopi, Chronica, in Chronica minora II, pp. 178-206
Per il passo di Tucidide citato alla nota 149 si è consultata l’edizione oxoniense (1942) di H.S. Jones-J. Powell
99
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
BIBLIOGRAFIA (Autori Moderni)
I testi preceduti da una lineetta (‘–’) sono stati utilizzati direttamente per questo lavoro; i pochi
preceduti da un asterisco (‘*’) sono stati citati per completezza espositiva, in quanto di essi si era inteso
soltanto far memoria nelle note; la lineetta lunga (‘———’) indica il richiamo del nome dell’ultimo autore
A
– Agnoletti F., Treviso e le sue Pievi. Illustrazione storica nel XV centenario della istituzione del vescovato
trivigiano (CCCXCVI-MDCCCXCVI), Treviso 1898, rist. an. Bologna 1978, voll. I-II
– Alfonsi L., Sulle Elegie di Massimiano, «AIV» 101, 1941-42, pp. 333 ss.
——— Romani e barbari nella Historia Langobardorum di Paolo Diacono, «RomBarb» 1, 1976, pp. 7-23
– Alpago-Novello Ferrerio Luisa, Bizantini e Longobardi nella Val Belluna, «ArcStBFC» 46, 1975, pp. 5568
– Amann É., s.v. Trois-Chapitres (affaire des), in Dictionnaire de Théologie Catholique, Paris 1950, t. XV,
2, cc. 1868-1924
– Arnosti G., L’evoluzione delle logiche insediative e dell’organizzazione del territorio dall’epoca Romana
al primo altomedioevo, in «Atti del 2° Convegno. Il sistema difensivo di Ceneda. Problemi di conoscenza, recupero e
valorizzazione» (maggio 1991), Vittorio Veneto 1993, pp. 29-68
——— Appunti sul Ducato Longobardo di Ceneda, in «Atti del 3° Convegno. Castelli tra Piave e Livenza.
Problemi di conoscenza, recupero e valorizzazione» (maggio 1994), Vittorio Veneto 1995, pp. 17-42
——— “Per Cenetam gradiens”. Appunti sulle vie della romanizzazione con riferimento all’Antico
Cenedese, «Il Flaminio» 9, 1996, pp. 59-106
——— Lo scisma tricapitolino e l’origine della Diocesi di Ceneda, «Il Flaminio» 11, 1998, pp. 59-104
B
– Babudri F., Il vescovato di Cissa in Istria, «AttiMemIstria» 31, 1919, pp. 33-67
– Baus K., s.v. Dreikapitelstreit, in Lexikon für Theologie und Kirche, Freiburg 1959, vol. III, cc. 565-566
– Bechevolo R., Il Castello di San Martino, Vittorio Veneto 1982
– Beisel F., Theudebertus Magnus rex Francorum. Persönlichkeit und Zeit, Idstein 1993
– Benussi B., Storia documentata di Rovigno, Trieste 1888, rist. Trieste 1977
——— Del vescovato di Cissa e di Rovigno (Studio critico), «AttiMemIstria» 34, 1922, pp. 131-171
– Bertini F., Boezio e Massimiano, in Atti del Congresso Internazionale di Studi Boeziani, Pavia 5-8 ottobre
1980, Roma 1981, pp. 273-283
– Berto Luigi Andrea, La «Venetia» tra Franchi e Bizantini. Considerazioni sulle fonti, in «SV», n. s.
XXXVIII, 1999, pp. 189-202
——— Iohannis Diaconi, Istoria Veneticorum, ed. e tr. it. Luigi Andrea Berto, Bologna 1999
– Bertolini O., Roma di fronte a Bisanzio e ai Longobardi, Bologna 1941
——— s.v. Baduila, in DBI, Roma 1963, vol. 5, pp. 138-155
– Bierbauer V., Zur ostgotischen Geschichte in Italien, «StudMed» 14, 1973, pp. 1-37
– Boano G., Su Massimiano e le sue Elegie, «RFIC» 27, 1949, pp. 198 ss.,
– Bognetti G.B., Santa Maria Foris Portas di Castelseprio e la storia religiosa dei Longobardi [1948], ora
in Id., L’Età Longobarda, Milano 1966, II, pp. 13-673
100
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
——— La continuità delle sedi episcopali e l’azione di Roma nel regno Longobardo [1959], in Id., L’Età
Longobarda cit., IV, pp. 301-388
——— Teodorico di Verona e Verona longobarda capitale di regno [1960], in Id., L’Età Longobarda cit.,
IV, pp. 339-377
– Botteon V., Un documento prezioso riguardo alle origini del vescovado di Ceneda e la serie dei vescovi
cenedesi corretta e documentata. Illustrazione critico-storica, Conegliano 1907
– Bury J.B., History of the Later Roman Empire from the Death of Theodosius I to the Death of Justinian,
(London 1923) New York 1958, voll. I-II
– Büttner H., Die Alpenpolitik der Franken im 6. und 7. Jahrhundert, «HJ» 79, 1959, pp. 62-88
C
– Cameron Averil, Agathias on the Early Merovingians, «ASNP» 37, 1968, pp. 95-140
——— Agathias on Sassanians, «DOP» 23-24, 1969/1970, pp. 66-183
——— Agathias, Oxford 1970
– Cannella Giovanna, Ricerche su Ceneda nell’Alto Medio Evo (sec. VI-X), tesi di laurea a.a. 1970-1971 –
Università di Padova, Facoltà di Lettere e Filosofia – relatore prof. C.G. Mor
– Capizzi C., L’imperatore Anastasio I (491-518). Studio sulla sua vita, la sua opera e la sua personalità,
Roma 1969
– Capo Lidia (ed.), Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Fondazione Lorenzo Valla, Milano 19953
——— Paolo Diacono e il mondo Franco: l’incontro di due esperienze storiografiche, in P. Chiesa (cur.),
Paolo Diacono. Uno scrittore fra tradizione longobarda e rinnovamento carolingio. Convegno internazionale di Studi,
Cividale del Friuli 6-9 maggio 1999, Udine 2000, pp. 39-74
– Cappelletti G., Le Chiese d’Italia dalla loro origine sino ai nostri giorni, Venezia 1854, vol. X
– Carile A., Consenso e dissenso fra propaganda e fronda nelle fonti narrative dell’età giustinianea, in G.G.
Archi (cur.), L’Imperatore Giustiniano. Storia e Mito (giornate di studio a Ravenna 14-16 ottobre 1976), Milano 1978,
pp. 37-93
——— Il Bellum Gothicum dall’Isonzo a Ravenna, «AAAd» 13, 1978, pp. 147-193 = Carile A., La società
venetica dalla guerra gotica fra Isonzo e Ravenna all’avvento dei Longobardi, cap. I di Id., La formazione del Ducato
Veneziano, in Carile A.-Fedalto G., Le origini di Venezia, Bologna 1978, pp. 127-171
– Carile A.-Fedalto G., vedi Carile A.
– Cavazzocca Mazzanti V., Dove fosse il S. Daniele degli imperatori (6° Contributo alla Storia di Lazise),
«NAV» 36, 1918, pp. 181-187,
– Cessi R., Le prime conquiste longobarde in Italia, «NAV» 35, 1918, pp. 101-158
——— Studi sulle fonti dell’età gotica e longobarda. II. ‘Prosperi Continuatio Hauniensis’, «ArchMur» 22,
1922, pp. 588-641
——— Nova Aquileia, «AIV» 88, 1928-29, pp. 543-594
——— (a cura di), Documenti relativi alla storia di Venezia anteriori al Mille, Padova 1942, vol. I (sec. VIX)
——— Provincia, Ducato, Regnum nella Venetia Bizantina, «AIV» 123, 1964-65, pp. 405-419
– Christie N., The Lombards. The Ancient Lombards, Oxford UK-Cambridge USA 1995, tr. it. I Longobardi.
Storia e Archeologia di un popolo, Genova 1997
– Claude D., Die Bestellung der Bischöfe im merowingischen Reiche, «ZRG-KA» 49, 1963, pp. 1-75
* Coleti N., Sacrosanta Concilia ad regiam editionem exacta... Studio Philippi Labbei et Gabr. Cossarii Soc.
Jesu Presbyterorum. Nunc vero integre insertis Stephani Balusii et Joannis Harduini additionibus, curante Nicolao
Coleti ecclesiae S. Moysis Venetiarum sacerdote alumno, Venetiis, t. XIV
101
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
– Costanza S., Orientamenti cristiani nella storiografia di Agazia, «Helikon» 2, 1962, pp. 90-111
– Cracco Ruggini Lellia, Economia e Società nell’”Italia Annonaria”. Rapporti fra agricoltura e
commercio dal IV al VI secolo d.C., Milano 1961
——— Vicende rurali nell’Italia antica dall’età tetrarchica ai Longobardi, «RSI» 76, 1964, pp. 261-286
– Cuscito G., Aquileia e Bisanzio nella controversia dei Tre Capitoli, «AAAd» 12, 1977, pp. 231-262
——— La politica religiosa della corte longobarda di fronte allo scisma dei Tre Capitoli. L’età Teolindiana,
in «Atti del VI Congresso Internazionale di Studi sull’Alto Medioevo - Longobardi e Lombardia: aspetti di civiltà
longobarda» - Milano 21-25 ottobre 1978, Spoleto 1980, t. II, pp. 373-381.
——— Economia e Società, in AA.VV., Da Aquileia a Venezia. Una mediazione tra l’Europa e l’Oriente
dal II secolo a.C. al VI secolo d.C., Milano (1980) 19862, pp. 567-690
——— La Fede Calcedonese e i Concili di Grado (579) e di Marano (591), «AAAd» 17, 1980, pp. 207-230
——— Testimonianze archeologiche monumentali del Cristianesimo antico fino al secolo IX, in «Le origini
del Cristianesimo tra Piave e Livenza, da Roma a Carlo Magno», Atti del Convegno di Vittorio Veneto (24-25 ottobre
1981), Vittorio Veneto 1983, pp. 79-107
D
– De Franceschi C., Saggi e Considerazioni sull’Istria nell’Alto Medioevo. II. Cessensis episcopus,
«AttiMemIstria» 18 n.s., 1970, pp. 69-106
* Delehaye H., La vie grecque de saint Martin de Tours, «SBN» 5, 1939, pp. 428-431
– Della Corte F., Venanzio Fortunato, il poeta dei fiumi, in «Venanzio Fortunato tra Italia e Francia. Atti del
Convegno internazionale di Studi (Valdobbiadene-Treviso, maggio 1990)», Treviso 1993, pp. 137-147
– Delogu P., Il regno longobardo, in P. Delogu-A. Guillou-G. Ortalli, Longobardi e Bizantini, Storia
d’Italia, Torino 1980, vol. I, pp. 1-216
– De Muralt E., Essai de Chronographie Byzantine de 395 a 1057, St.-Pétersbourg 1855, vol. I
* De Nicola A., (ed.) Paulini Aquileiensis, Liber Exortationis, «AttiMemIstria» n.s. XLIX, 2001, pp. 187213, parte I
* De Rubeis Jo. Fran. Bernardus, Monumenta Ecclesiae Aquileiensis, Argentinae (=Venetiis), 1740
– De Vit V., vd. Forcellini Aeg.
– Diehl Ch., Giustiniano. La restaurazione imperiale in Occidente, in The Cambridge Medieval History,
Cambridge 1911-1913, ed. it. Storia del Mondo Medievale, vol. I, La Fine del Mondo Antico, Milano 1978, spec. pp.
572-596
* Diplovatacio Tomaso (de Plovataciis), Tractatus de Venete urbis libertate et eiusdem imperii dignitate et
privilegiis et an de iure Dominium Venetorum habeat superiorem in temporalibus (1521-1523), Biblioteca Marciana,
Venezia, Codici latini LXXIV C 374
– Dölger F., Die frühbyzantinische und byzantinisch beeinflusste Stadt (V.-VIII. Jahrhundert), in «Atti del III
Congresso internazionale di Studi sull’Alto Medio Evo», Spoleto 1959, pp. 65-100
– Dorigo W., Venezia Origini. Fondamenti, ipotesi, metodi, Milano 1983
– Duchesne L., L’Église au VIème Siècle, Paris 1925
102
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
E
– Enßlin W., s.v. Leuthari, RE XII.2 (1924), cc. 2313-2314
——— s.v. Pamphronius 2, RE XVIII.3 (1949), cc. 353-354
——— s.v. Widin, RE VIII A.2 (1958), c. 2097
——— s.v. Vindemius 1, 2, 3, 4, RE IX A.1 (1961), cc. 24-25
– Ewig E., Kirke und Civitas in der Merowingerzeit, «SSCISAM» 7, 1960, pp. 45-71, ora in Id., Spätantikes
und fränkisches Gallien, München 1979, vol. II, pp. 1-20
——— Le culte de Saint Martin à l’époque franque, «RHEglFr» 47, 1961, pp. 1-18, ora in Id., Spätantikes
und fränkisches Gallien cit., vol. II, pp. 355-370
——— Die Martinskult im Frühmittelalter, «ArchMKge» 14, 1962, pp. 11-30, ora in Id., Spätantikes und
fränkisches Gallien cit., vol. II, pp. 371-392
F
– Faldon N., Le origini del cristianesimo nel territorio, in N. Faldon (cur.), Storia Religiosa del Veneto – 3. –
Diocesi di Vittorio Veneto, Padova 1993, pp. 21-48
– Feliciangeli B., Longobardi e Bizantini lungo la via Flaminia nel secolo VI, Camerino 1908, rist. an.
Bologna 1974
– Fluss, s.v. Sontius, RE III A.1 (1927), cc. 996-998
——— s.v. Tarvisium RE IV A.2 (1932), cc. 2452-2453
– Francovich Onesti Nicoletta, Vestigia Longobarde in Italia (568-774). Lessico e Antroponimia, Roma
1999
– Frendo J.D. (cur.), Agathias, The Histories, Berlin-New York 1975
– Forcellini Aeg. et. al., Totius Latinitatis Lexicon. Onomasticon, cur. V. De Vit, Prati 1868, t. VIII, p. 207
(s.v. Ceneta); Onomasticon Totius Latinitatis, cur. J. Perin, Patavii 1913, I, p. 353 (s.v. Ceneta)
G
– Gabotto F., Storia dell’Italia Occidentale nel Medio Evo (395-1313) Libro I. I Barbari nell’Italia
Occidentale, Pinerolo 1911, tomo II
– Gams Pius Bonifacius, Series Episcoporum Ecclesiae Catholicae , Ratisbonae 1873
– Gasparri S., I Duchi Longobardi, Roma 1978
——— Dall’età longobarda al secolo X, in D. Rando-G.M. Varanini (curr.), Storia di Treviso. II Il
Medioevo, Venezia 1991, pp. 3-39
– Gasquet A., L’Empire Byzantin et la Monarchie Franque, Paris 1888
– Gibbon E., The History of the Decline and Fall of the Roman Empire, [1781-1788], repr. London 1995, tr.
it. Storia della decadenza e caduta dell’Impero Romano, Torino 1967
– Goffart W., Byzantine Policy in the West under Tiberius II and Maurice. The Pretenders Hermenegild and
Gundovald (579-585), «Traditio» 13, 1957, pp. 73-118
– Gordini G.D., s.v. Grado, in Dizionario dei Concili, Roma 1965, vol. II, p. 148
– Gregorovius F., Geschichte der Stadt Rom im Mittelalter [1859 ss.], tr. it. Storia di Roma nel Medioevo,
Roma 1900
– Grilli A., Il territorio d’Aquileia nei geografi antichi, «AAAd» 15, 1979, pp. 25-55
– Guillou A, L’Italia Bizantina dall’invasione Longobarda alla caduta di Ravenna, in P. Delogu-A. GuillouG. Ortalli, Longobardi e Bizantini cit., pp. 217-338
– Gusso M., A proposito di alcune locuzioni interregnali di fonti tardoantiche e altomedievali, «SDHI» 57,
1991, pp. 431-444
——— Alle origini dei Grigioni: fatti d’arme combattuti sui Campi Canini, presso Bellinzona, nei secolo IVVI d.C., «Prometheus» 22, 1996, pp. 60-86
——— Le origini dei Grigioni: i Campi Canini, presso Bellinzona, nella storia retica dei secoli IV-VI d.C.,
«QGrig» 65/1, 1997, pp. 7-21
103
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
H
* Halkin F., Légende grecque de saint Martin évêque de Tours, «RSBN», 20-21, 1983/84, pp. 69-91
– Hartmann L.M., s.v. Butilinus, RE III.1 (1897), cc. 1085-1087
– Heuberger R., Rätien im Altertum und Frühmittelalter. Forschungen und Darstellung, Schlern-Schriften
20, Innsbruck 1932, Band I.
– Hodgkin Th., Italy and Her Invaders, Oxford 18962 (voll. III-IV); Oxford 19162 (vol. V)
– Holder-Egger O.,Untersuchungen über einige annalistische Quellen zur Geschichte des fünften und
sechtsten Jahrhundert II., «NA» 1, 1876, pp. 1-368
——— Untersuchungen über einige annalistische Quellen zur Geschichte des fünften und sechtsten
Jahrhundert III. (Die Chronik des Marcellinus Comes und die oströmischen Fasten), in «NA» 2, 1877, pp. 49-109
– Holtzmann R., Die Italienpolitik der Merowinger und des Königs Pippin, in Das Reich. Idee und Gestalt.
Festschrift für Johannes Haller, Stuttgart 1940, pp. 95-132, rist. Darmstadt 1962
– Hülsen C., s.v. Ceneta, RE III.2 (1899), c. 1899
– Hunger H., Die hochsprachliche profane Literatur der Byzantiner, I, München 1978
I
– Impellizzeri S., La Letteratura Bizantina. Da Costantino a Fozio, Firenze 1975
J
– Jadin L., s.v. Ceneda, in DHGE, Paris 1953, XII, cc. 136-144
– James E., The Franks, Oxford UK-Cambridge USA 1991, tr. it. I Franchi. Agli albori dell’Europa. Storia
e Mito, Genova 1998
– Jarnut J., Geschichte der Langobarden, Stuttgart-Berlin-Köln-Mainz 1985, tr. it. Storia dei Longobardi,
Torino 1995
– Jones A.H.M., The Later Roman Empire 284-602. A Social, Economic, and Administrative Survey [Oxford
1964], Baltimore 1986, tr. it. Il Tardo Impero Romano (284-602 d.C.), Milano 1973-1981
K
– Kandler P., Codice Diplomatico Istriano, Trieste 1862-1865, rist. Trieste 1986, vol. I
– Kehr P.F., Regesta Pontificum Romanorum – Italia Pontificia, vol. I (Venetia et Histria), pars I, Provincia
Aquileiensis, Berolini 1923
– Keller H., Fränkische Herrschaft und alamannische Herzogtum in 6. und 7. Jahrhundert, «ZGO» 124,
1976, pp. 1-30
– Koch Ursula, Mediterranes und Langobardisches Kulturgut in Gräbern der Älteren Merowingerzeit
zwischen Main, Neckar und Rhein, in «Atti del VI Congresso Internazionale di Studi sull’Alto Medioevo» cit, t. I, pp.
107-122
– König Ingemar, Theoderich der Große und Cassiodor. Vom Umgang mit dem römischen “Erbe”, in A.
Giebmeyer-H. Schnabel-Schüle (curr.), Das Wichtigste ist der Mensch. Festschrift für Klaus Gerteis zum 60.
Geburtstag, Mainz 2000, pp. 211-228
– Kubitschek W., s.v. Castellum, in RE III.2 (1899), cc. 1754-1758
L
– Ladner G.B., On Roman Attitudes towards Barbarians in Late Antiquity, «Viator» 7, 1976, pp. 1-25
* Lanzoni F., Le diocesi d’Italia dalle origini al principio del secolo VII (ann. 600), Faenza 1927, vol. II
– Lippold A., s.v. Narses 13a, RE Supplbd. XIII (1970), cc. 875-876
– Löhlein G., Die Alpen- und Italienpolitik der Merowinger im VI. Jahrhundert, Erlanger Abhandlungen zur
mittleren und neueren Geschichte, 16. Band, Erlangen 1932
104
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
M
– Manitius M., Geschichte der Lateinischen Literatur des Mittelalters, München 1911, I
– Manselli Raoul, La Chiesa Longobarda e le Chiese dell’Occidente in «Atti del VI Congresso
Internazionale di Studi sull’Alto Medioevo» cit., t. I, pp. 247-264
– Markus R.A., Ravenna and Rome, 554-604, «Byzantion» 51, 1981, pp. 566-578
– Margetič L., Le prime notizie su alcuni vescovati istriani, in Histrica et Adriatica. Raccolta di saggi
storico-giuridici e storici, tr. it. di A. Margetič, Trieste 1983, pp. 113-133
– Mathisen Ralph W., Roman Aristocrats in Barbarian Gaul: Strategies for Survival in an Age of
Transition, Austin (Texas) 1993
——— Barbarian Bishops and the Churches “in barbaricis gentibus” during Late Antiquity, «Speculum»,
72, 1997, pp. 664-697
——— Syagrius of Autun, Virgilius of Arles, and Gregory of Rome: Factionalism, Forgery, and Local
Authority at the Ent of the Sixth Century, in «L’Église et la Mission au VIe siècle – Actes du Colloque d’Arles de
1998», Paris 2000, pp. 260-290
– Mazzarino S., Per una storia delle Venezie da Catullo al basso impero [1964 e 1970], ora in Id., Antico,
tardoantico ed èra costantiniana, II, Bari 1980, pp. 214-257
——— Da Lolliano et Arbetio al mosaico storico di S. Apollinare in Classe (Note sulla tradizione culturale
di Ravenna e dell’Anonimo Ravennate) [1965], ibid., pp. 313-335
– Mazzucchi C.M., Per una rilettura del palinsesto vaticano contenente il dialogo ‘Sulla Scienza Politica’
del tempo di Giustiniano, in G.G. Archi (cur.), L’Imperatore Giustiniano. Storia e Mito cit., pp. 237-247
– McKitterick Rosamond, Paolo Diacono e i Franchi: il contesto storico e culturale, in P. Chiesa (cur.),
Paolo Diacono. Atti del Convegno Internazionale di Studi cit., pp. 9-28
– Meli M., Eco scandinave nella Historia Langobardorum di Paolo Diacono, in P. Chiesa (cur.), Paolo
Diacono. Atti del Convegno Internazionale di Studi cit., pp. 333-353
– Merone E., Per la biografia di Massimiano, «GIF» 1, 1948, pp. 346 ss.
– Mies G., Culto dei santi e pietà popolare, in N. Faldon (cur.), Diocesi di Vittorio Veneto cit., pp. 291-349
– Momigliano A., Cassiodorus and Italian Culture of his Time, «PBA» 41, 1955, pp. 207-245, ora in Id.,
Secondo Contributo alla Storia degli Studi Classici, Roma 1984, pp. 191-229
——— s.v. Cassiodoro, in DBI, Roma 1978, vol. XXI, pp. 494-504
– Mor C.G., Verona Medievale. dalla caduta dell’Impero al Comune, in AA.VV., Verona e il suo territorio,
Verona 1964
——— La Cultura Veneta nei secoli VI-VIII, in Storia della Cultura Veneta 1. Dalle origini al Trecento,
Vicenza 1976, pp. 215-239
——— Bizantini e Langobardi sul limite della Laguna, «AAAd» 17, 1980, pp. 231-264
——— Da Roma a Carlo Magno: vicende politiche tra Piave e Livenza, in «Le origini del Cristianesimo tra
Piave e Livenza» cit. (1983), pp. 7-20
– Moroni G., Dizionario di erudizione Storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni, Venezia 1841,
vol. XI, p. 72 (s.v. Ceneda)
– Mortensen L.B., Impero Romano, Historia Romana e Historia Langobardorum, in P. Chiesa (cur.), Paolo
Diacono. Atti del Convegno Internazionale di Studi cit., pp. 355-366
– Muratori L., Annali d’Italia dal principio dell’Era Volgare sino all’anno 1500, Milano 1744, t. III
N
– Nagl Assunta, s.v. Theia, RE V. A.2 (1934), c. 1602-1604
——— s.v. Theodebald 1, RE V. A.2 (1934), cc. 1714-1715
——— s.v. Ueydºbaldoq 2, RE V A.2 (1934), c. 1715
——— s.v. Theodebert 1, RE V. A.2 (1934), cc. 1715-1721
——— s.v. Totila, RE VI A.2 (1937), cc. 1828-1838
– Nonn U., s.v. Theudebert, in Lexikon des Mittelalters, München 1997, VIII, cc. 685-686
105
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
O
– Olivieri Dante, Toponomastica Veneta e Città, Venezia-Roma 1961
– Orselli Alba Maria, Santi e Città. Santi e Demoni urbani tra Tardoantico e Alto Medioevo, SSCISAM 36
(1988), Spoleto 1989, pp. 783-830
– Ortalli G, Venezia dalle origini a Pietro II Orseolo, in P. Delogu-A. Guillou-G. Ortalli, Longobardi e Bizantini cit., pp. 339-438
– Ostrogorsky G., Geschichte des Byzantinischen Staates, München 1963, tr. it. Storia dell’Impero
Bizantino, Torino 1968
– Oxford Dictionary of the Christian Church (The), Oxford 19782, repr. 1988, p. 1054 (s.v. Paulinus, St.)
P
* Pantoni A., Documenti epigrafici sulle presenze di settentrionali a Montecassino nell’Alto Medioevo,
«Benedictina» 1958, pp. 205-232
– Paronetto Vera, I Longobardi nell’Epistolario di Gregorio Magno, in «Atti del VI Congresso
Internazionale di Studi sull’Alto Medioevo» cit., t. II, pp. 559-570
– Patsch, s.v. Corcoras, RE IV.1 (1900), c. 1219
– Pavan M., Venanzio Fortunato tra Venetia, Danubio e Gallia Merovingica, in «Venanzio Fortunato tra
Italia e Francia» cit., pp. 25-57
– Pepe G., Il Medioevo Barbarico d’Italia [1941], Torino 1963
——— Il Medioevo Barbarico in Europa [1949], Milano 1967
– Peri V., Chiesa e cultura religiosa, in AA.VV., Storia della Cultura Veneta cit., pp. 167-214
– Perin J., vd. Forcellini Aeg.
– Pfister M. Christian, La Gallia sotto i Franchi Merovingi: vicende storiche, in The Cambridge Medieval
History, Cambridge 1911-1913, ed. it. Storia del Mondo Medievale, vol. I, La Fine del Mondo Antico, Milano 1978, pp.
688-711
– Philipp H., s.v. Susonnia, RE IV A.1 (1931), c. 988
——— s.v. Natiso, RE XVI.2 (1935), cc. 1806-1810
——— s.v. Timavus, RE VI A.1 (1936), cc. 1242-1246
– Pietri Luce, L’Ordine senatorio in Gallia dal 476 alla fine del VI secolo, in AA.VV. (cur. A. Giardina),
Società Romana e Impero Tardoantico, vol. I (Istituzioni, Ceti, Economie), Roma-Bari 1986, pp. 307-323 (nn., pp. 699703)
– Pirenne H., Mahomet et Charlemagne, Bruxelles 1937, tr. it. Maometto e Carlomagno, Roma-Bari 1976
– PLRE II = J.R. Martindale (cur.), The Prosopogrphy of the Later Roman Empire A.D. 395-527, Cambridge
1980,
vol. II, s.vv.:
Childebertus, pp. 284-285
Chlodovechus (Clovis), pp. 288-290
Chlotacharius, pp. 291-292
Maximianus 7, pp. 739-740
Theodoricus 6, pp. 1076-1077
– PLRE III = J.R. Martindale (cur.), The Prosopography of the Later Roman Empire A.D. 527-641,
Cambridge 1992
vol. III-A, s.vv.:
Agathias, pp. 23-25
Amingus, p. 55
Antiochus 2, p. 90
106
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
Audoin, pp. 152-153
Aurelianus 1 (Fl. Marianus Michaelius Gabrihelius Petrus Iohannis Narses Aurelianus Limenius Stefanus),
p. 156
Bonus 3, p. 241
Butilinus, pp. 253-254
Chamingus, p. 281
Conda, pp. 330-331
Constantianus 1, pp. 333-334
Firminus 1, pp. 484-485
Fortunatus 2 (Venantius Honorius Clementianus Fortunatus), pp. 491-492
Gogo, pp. 541-542
Ildibaldus, pp. 614-615
Ildigisal, pp. 616-617
Indulf qui et Gundulf, pp. 618-619
Ioannes 40, p. 650
vol. III-B, s.vv.:
Lanthacarius, p. 765
Lazarus 2, p. 767
Leontius 5, p. 775
Leudardus, p. 786
Leutharis, pp. 789-790
Missurius, p. 893
Narses 1, pp. 912-928
Pamphronius, p. 962
Sindual, pp. 1154-1155
Smaragdus 2, pp. 1164-1166
Stephanus 11, p. 1186
Theia, p. 1224
Theodebaldus 1, pp. 1227-1228
Theodibaldus 2, pp. 1228
Theodebertus I, pp. 1228-1230
Theodolinda, pp. 1235-1236
Theodorus 14, p. 1249 = Theodorus 24, p. 1253-1253 (?)
Totila, qui et Baduila, pp. 1328-1332
Vaces, p. 1350
Valerianus 1, pp. 1360-1361
Vitalius 1, pp. 1380-1381
Vuldetrada, pp. 1396-1397
Warinarius, p. 1401
Widin, p. 1403
vol. III-B (indici):
Lombard Duces, pp. 1534-1535
– Pogatschnig A., Nota aggiuntiva, apud Babudri F., Il vescovato di Cissa cit., in «AttiMemIstria» 31,
1919, pp. 58-61
– Prinz F., Die bischöfliche Stadtherrschaft im Frankreich vom 5. bis zum 7. Jahrhundert, «HZ» 217, 1973,
pp. 1-35
– Puliatti S., Ricerche sulla legislazione “regionale” di Giustiniano. Lo statuto civile e l’ordinamento
militare della Prefettura africana, Milano 1980
107
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
Q
* Quentin Henri O.S.B., Notes sur les originaux latins des lettres des papes Honorius, S. Agathon et Léon
II, rélatives au monothelisme, in “Miscellanea Amelli”, Badia di Montecassino 1920
– Quesnel S. (éd.), Venance Fortunat, Œuvres, Tome IV, Vie de Saint Martin, Paris 1996
R
– Rampi M., La storiografia agaziana e il “favoloso”, «QM» 37, 1994, pp. 39-59
– Ravegnani G., La difesa militare delle città in età giustinianea, «SdC» 14, 1980, pp. 87-116
——— Kastron e Polis: ricerche sull’organizzazione territoriale nel VI secolo, «RSBS» 1982, pp. 271-282
——— Castelli e città fortificate nel VI secolo, Ravenna 1983
– Reviron J., s.v. Paulin d’Aquilée, in Dictionnaire de Théologie Catholique, t. XII, 1 (1933), cc. 62-67
– Reydellet M., Tradition et Nouveté dans les Carmina de Fortunat, in «Venanzio Fortunato tra Italia e
Francia» cit., pp. 81-98
——— (éd.), Venance Fortunat, Poèmes, Paris 1998, tome II
– Rigoni Anna Nicoletta, La Venetia nella cosmografia dell’Anonimo Ravennate, «AVen» 5, 1982, pp. 207235
——— L’ambito territoriale della Venetia tra Altomedioevo e Medioevo nella cosmografia dell’Anonimo
Ravennate, in Paolo Diacono e Guido, in La Venetia nell’area Padano-Danubiana. Le vie di comunicazione, Atti del
Convegno internazionale (Venezia, aprile 1988), Padova 1990, pp. 137-150
——— Documentazione archeologica e strategie d’intervento per la ricostruzione storica di Ceneda e del
suo territorio, in «Atti del 2° Convegno. Il sistema difensivo di Ceneda» cit., pp. 109-119
– Roman N., Notizie intorno al Castello Patriarcale di Sacile (sec. X-XV), in in «Atti del 3° Convegno.
Castelli tra Piave e Livenza» cit., pp. 95-108
– Rosada G., La direttrice endolagunare e per acque interne nella decima regio maritima: tra risorsa
naturale e organizzazione antropica, in La Venetia nell’area Padano-Danubiana cit. (1990), pp. 153-182
——— Il “viaggio” di Venanzio Fortunato ad Turones: il tratto da Ravenna ai Breonum loca e la strada per
submontana castella, in «Venanzio Fortunato tra Italia e Francia» cit. (1993), pp. 25-57
– Rouche M., Autocensure et Diplomatie chez Fortunat a propos de l’Elegie sur Galeswinthe, in «Venanzio
Fortunato tra Italia e Francia» cit., pp. 149-159
– Rubin B., Das Zeitalter Iustinians, Berlin 1960, I.
– Ruggini Lellia, vedi Cracco Ruggini Lellia
– Ruzza V., Guida di Vittorio Veneto e della Zona Pedemontana tra Piave e Livenza, Vittorio Veneto 20003
S
– Saitta B., La Civilitas di Teoderico. Rigore amministrativo, “tolleranza” religiosa e recupero dell’antico
nell’Italia ostrogota, Roma 1993
– Salvador A., Testimonianze in sito: morfologia, ruderi, strutture in elevato, in in «Atti del 3° Convegno.
Castelli tra Piave e Livenza» cit., pp. 71-93
– Šašel Jaroslav, Il viaggio di Venanzio Fortunato e la sua attività in ordine alla politica bizantina,
«AAAd» 19, 1981, pp. 359-375
– Schmidt L., Die letzten Ostgoten, «Abhandlungen der Preußischen Akademie der Wissenschaften – phil.hist. Klasse», Berlin 1943, nr. 10, pp. 3-15
– Schrebelreiter G., Die Frühfränkische Episkopat: Bild und Wirklichkeit, «FMS» 17, 1983, pp. 131-147
– Schreiber H., Auf den Spuren der Goten, München 1977, tr. it. I Goti, Milano 1981
108
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
– Schuster Mauriz, s.v. Venantius Fortunatus (Venantius 18), RE VIII. A.1 (1955), cc. 677695
– Sendula Dariusz, Aspetti dei rapporti politico-giuridici tra il Regnum Langobardorum e l’Impero
Bizantino nei sec. VI-VIII, in «Atti del VI Congresso Internazionale di Studi sull’Alto Medioevo» cit., t. II, pp. 622-631
– Sillano Maria Teresa, Appunti e ipotesi sul culto di San Giorgio in età Longobarda, in «Atti del VI
Congresso Internazionale di Studi sull’Alto Medioevo» cit., t. II, pp. 633-637
– Sophocles E.A., Greek Lexicon of the Roman and Byzantine Periods (from B.C. 146 to A.D. 1100), New
York 1900
– Stein E., Histoire du Bas-Empire. De la dispatition de l’Empire d’Occidente à la mort de Justinien (476565), publ. par J.-R. Palanque, Paris-Bruxelles-Amsterdam 1949, II
– Stroheker K.F., Der senatorische Adel im spätantiken Gallien, Tübingen 1948, rist. Darmstadt 1970
– Sundwall J., Abhandlungen zur Geschichte des ausgehenden Römertums, Helsingfors 1919, repr. New
York 1975
– Szövérffi J., À la source de l’humanisme chrétien médieval: “Romanus” et “Barbarus” chez Vénance
Fortunat, «Aevum» 1971, pp. 77-86
T
– Tabacco G., L’inserimento dei Longobardi nel quadro delle dominazioni germaniche dell’Occidente, «Atti
del VI Congresso Internazionale di Studi sull’Alto Medioevo» cit., t. I, pp. 225-246
– Thesaurus Linguae Latinae - Onomasticon, Lipsiae 1907-1914, vol. II:
c. 314 (s.v. Ceneta)
c. 460 (s.v. Cissa)
– Tomasi G., La Diocesi di Ceneda. Chiese e uomini dalle origini al 1586, Vittorio Veneto 1998, voll. I-II
– Tramontin S., Origini del Cristianesimo nel Veneto, in AA.VV., Storia della Cultura Veneta cit. (1976),
pp. 102-123
——— Le origini del Cristianesimo nel Veneto e gli inizi della Diocesi di Ceneda, in «Le origini del
Cristianesimo tra Piave e Livenza» cit. (1983), pp. 21-36
——— s.v. Grado, in DHGE, Paris 1985-1986, XXI, cc. 1024-1029
——— Le origini del Cristianesimo a Treviso, in E. Brunetta (cur.), Storia di Treviso. I. Le origini, Venezia
1989, pp. 311-359
– Treadgold W., A History of the Byzantine State and Society, Stanford (California-USA) 1997
U
– Ubl Hannsjörg, Das Noricum Ripense und die einseitigen Beziehungen zu Norditalien. Der Fall der
Römischen Armee beim limes danubicus, in La Venetia nell’area Padano-Danubiana, Atti del Convegno cit., pp. 305328
– Udal’cova Zinaida V., Le monde vu par les historiens byzantins du IVe au VIIe siècle, «ByzSlav» 33, 1972,
pp. 193-213
– Ughelli F., Italia Sacra sive de Episcopis Italiae et Insularum Adjacentium ed. cur. N. Coleti, Venetiis
1720, t. V
V
– Van Dam Raymond, Images of Saint Martin in Late Roman and Early Merovingian Gaul, «Viator» 19,
1988, pp. 1-27
– Van Doren R., s.v. Cissa, in DHGE, Paris 1953, XII, c. 851
– Vasiliev A.A., Histoire de l’Empire Byzantin, Paris 1932, I
* Viansino G., Agazia Scolastico. Epigrammi, Milano 1967
– Voltan Clizia, Le fonti letterarie per la storia della Venetia et Histria I. Da Omero a Strabone, «MIV» 42,
1989
109
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Numero speciale dei Quaderni nel XX anniversario del Circolo (febbraio 2003), pp. 9-110 Gusso
* Vulcanio Bonaventura, Agathiae Scholastici, De imperio et rebus gestis Iustiniani Imperatoria libri
quinque. Ex Bibliotheca et interpretatione Bonaventurae Vulcanii, cum notis eiusdem . Accesserunt eiusdem Agathiae
epigrammata, cum versione Latina. Venetiis. Ex typographia Bartholomaei Javarina M.DCC.XXIX
W
– Wallace-Hadrill J.M., The Barbarian West. 400-1000, 1957, tr. it. L’Occidente Barbarico. 400-1000,
Milano 1963
– Woodword E.L., Christianity and Nationalism in the Later Roman Empire, London 1916
Z
– Zamboni A. Toponomastica e storia religiosa fino al IX secolo, in «Le origini del Cristianesimo tra Piave e
Livenza» cit., pp. 43-78
– Zanella A. (cur.), Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Milano 19932
Ringraziamenti
Desidero esprimere la mia gratitudine al personale della Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia e a quello della
Biblioteca Comunale di Vittorio Veneto (Ceneda) per la cortese assistenza che mi hanno costantemente prestato nel corso della
ricerca.
Desidero altresì ringraziare le Istituzioni di seguito citate, che hanno collaborato con la massima competenza e
sollecitudine reperendo e fornendomi testi, riproduzioni di saggi e articoli, senza l’apporto dei quali non sarebbe stato nemmeno
pensabile questo lavoro:
– Biblioteca del Dipartimento di Italianistica e Biblioteca del Dipartimento di Filologia Classica e Medievale
dell’Università degli Studi di Bologna
– Biblioteca della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Cagliari
– Univesritätsbibliotek Erlangen-Nürnberg
– Biblioteca Comunale Manfrediana di Faenza
– Deutsche Bibliothek - Frankfurt am Main
– Biblioteca dell’Istituto di Filologia Classica – Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Macerata
– Biblioteca Estense Universitaria – Università degli Studi di Modena
– Biblioteca della Scuola Normale Superiore di Pisa
– Biblioteca della Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell’Università di Bologna – sede di Ravenna
– Biblioteca Nazionale Universitaria – Torino
Sono state complessivamente utilizzate un’ottantina di edizioni di altrettante fonti antiche tardoantiche o medievali (considerate anche più edizioni per la stessa fonte); una sessantina di volumi di storia, economia o letterarura; circa centoventi tra saggi e
articoli, compresa una Tesi di laurea; più di settanta voci dai più autorevoli Dizionari, dalla RE, dalle PLRE, dai Thesauri ecc.
Sono stati visitati inoltre i siti Internet di diverse Biblioteche italiane e straniere, quello dell’Istituto Centrale per il
Catalogo Unico oltre al fondamentale sito per la ricerca dell’allocazione dei periodici nelle biblioteche italiane.
In alcuni casi, disperati e non, il motore di ricerca Google si è rivelato di estrema e sorprendente efficienza e raffinatezza.
In ogni caso l’intera responsabilità del lavoro e degli eventuali errori è, e resta, esclusivamente mia.
110
© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte