Untitled - I AMNESTY - Amnesty International

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Untitled - I AMNESTY - Amnesty International
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Attualmente hanno risposto da ogni parte del mondo
circa 3 milioni di interessati a porre fine
a tortura, pena di morte e altre violazioni dei diritti umani.
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DA 40 ANNI DIAMO VOCE
A CHI NON HA VOCE.
ABBIAMO SALVATO VITE
UMANE E GARANTITO
IL RISPETTO DI DIGNITÀ
E DIRITTI GRAZIE
AL CONTRIBUTO DI TUTTI VOI.
CONTINUATE A SOSTENERCI!
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EDITORIALE
LEGENDA
Cara amica, caro amico,
permettetemi di prendere spunto da un ricordo personale.
È l’autunno del 1977. Sono iscritto da due giorni ad
Amnesty International, un’associazione che in Italia è
quasi sconosciuta. È sabato e sono con altri in piazza
Navona, a Roma, ad avvicinare le persone per chiedere
due cose: se ci conoscono e se vogliono firmare la nostra
petizione contro la pena di morte.
È un ricordo banale che, nondimeno, significa qualcosa:
“Amnesty International” e “abolizione della pena di morte”
sono parole che da allora si accompagnano, si pronunciano
tutte d’un fiato. E non soltanto di un abbinamento di parole
si tratta ma di azioni concrete in vista di un obiettivo, di
battaglie vincenti e in alcuni casi già vinte. Tra queste
ultime ve n’è una che è tutta italiana: tra il 1991 e il 1994
abbiamo parlato con centinaia di parlamentari, riuscendo a
convincerli che non aveva senso, una volta accettata l’idea
che la pena di morte è ingiusta e inutile in tempo di pace,
mantenere un’eccezione per il tempo di guerra. Abbiamo
scritto noi il testo della legge e ne abbiamo accompagnato
il cammino parlamentare. Alla fine il successo è arrivato.
Altre battaglie abolizioniste di Amnesty International Italia
sono diventate battaglie dell’Italia in Europa o nel mondo,
che proseguono tuttora.
Nel 1977, Amnesty International Italia era nata da due anni.
Nel 2015 ne compirà 40. Ora, a differenza di allora, anche
nel nostro paese siamo un’organizzazione conosciuta.
Proprio come allora, però, siamo un’organizzazione fatta
di persone il cui sostegno morale ed economico è la
condizione principale del successo delle nostre azioni e, in
definitiva, della nostra sopravvivenza.
Non siamo diventati un’istituzione, né assomigliamo a
un’agenzia dell’Onu. Non siamo una realtà che continuerà
a esistere (e a difendere i diritti umani) a prescindere
dal contributo di chi crede in noi. Alla soglia dei 40 anni,
abbiamo ancora, più che mai, bisogno di voi. Perché,
anche se in Italia dal 1994 nessuna legge prevede più la
pena di morte, c’è ancora molta, moltissima strada da
fare affinché i diritti umani di tutti, in Italia e nel mondo,
siano finalmente rispettati.
“Vogliamo ringraziare Amnesty International per aver dato a Saeed Jazee
e Ali Mahin-Tobari un’altra opportunità di vita.”
SOSTIENICI!
Nazanin Afshin-Jam e il comitato “Stop all’esecuzione dei minori” in Iran
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LA BACHECA
Continua la campagna di Amnesty International Sos Europa, per chiedere agli stati membri dell’Ue che le persone vengano prima
delle frontiere, per mettere fine alle morti nel Mediterraneo e chiedere il rispetto dei diritti di migranti, rifugiati e richiedenti
asilo, anche alla luce degli ultimi terribili eventi.
Ecco alcuni dei vostri commenti su questo tema lasciati sui social network.
Prima le persone, poi le frontiere. Uno
slogan che in realtà è un programma
molto attuale e pregnante perché le
barriere non hanno mai costruito ponti
di pace e solidarietà.
Cristina R.
L’Ue deve anche cambiare la politica estera
nei confronti dei paesi di provenienza,
altrimenti sarà una storia infinita.
L’accoglienza da sola non basta.
Renzo D.
Sempre alta la bandiera dell’accoglienza!
Solo perché siamo così fortunati, non
significa che dobbiamo dimenticarci del
resto del mondo.
Continua così Amnesty International!
Sara T.
Le persone non devono più essere sfruttate,
ridotte in miseria o uccise nei loro paesi,
dall’opulento Occidente, solo così non
avranno più necessità di rischiare la vita
per varcare le nostre frontiere.
Giuseppe C.
La Fortezza Europa diventa sempre più
rinchiusa in se stessa, promette
di contribuire all’accoglienza e al
riconoscimento dello status di rifugiati
e in pratica finora non ha fatto nulla.
L’egoismo dell’Europa è pari alla
politica dell’austerità che ha portato
alla disoccupazione e alla povertà
milioni di europei, mentre una
minoranza sempre più piccola diventa
sempre più ricca. Se non si inverte la
rotta arriverà il naufragio, anche
dei ricchi.
Maria Grazia P.
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twitte
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Fermamente convinto che senza
il rispetto dei diritti umani non ci può
essere alcuna politica buona per tutti.
Angelo V.
Ma l’Europa è unita solo sulla carta?
Queste persone hanno un disperato
bisogno di aiuto, non possono essere
lasciate alla deriva! Europa apri le
orecchie e gli occhi, l’Italia, da sola, non
ce la fa più!
Paola B.
Sarebbe ora che l’Europa facesse la sua
parte. Veramente, stavolta.
Se no, aumenterà sempre di più la rabbia
e il razzismo contro queste povere
anime.
Adriana M.
BUONE NOTIZIE
Repubblica Ceca - 25 settembre
La Commissione europea ha avviato
una procedura d’infrazione contro
il paese per le politiche educative
discriminatorie nei confronti dei rom. Olanda - 16 luglio
Un tribunale ha giudicato l’Olanda
responsabile per la morte di 300 civili
musulmani di Bosnia uccisi nel 1995
a Srebrenica, per non averli protetti.
Danimarca - 11 giugno
Il parlamento ha approvato una legge che
rimuove gli ostacoli al riconoscimento del
cambio di sesso all’anagrafe.
DANIMARCA REPUBBLICA CECA
BIELORUSSIA
OLANDA
ISRAELE
USA
Usa - 16 luglio
Il giudice Cormac Carney della contea di Orange
ha dichiarato incostituzionale la pena di morte in
California.
Argentina - 5 agosto
Estela Carlotto, fondatrice delle Abuelas de plaza
de Mayo, ha riabbracciato suo nipote Guido, nato
nel 1978 in un carcere argentino.
Bielorussia - 21 giugno
A seguito di un provvedimento di amnistia
da lui non sollecitato, Ales Bialiatski è stato s
carcerato dopo aver trascorso quasi tre anni
dei quattro e mezzo cui era stato condannato.
EGITTO
GUATEMALA
NIGERIA
ARGENTINA
Guatemala - 6 giugno
Un tribunale svizzero ha condannato all’ergastolo
l’ex direttore della polizia nazionale per aver preso
parte all’uccisione di sei detenuti e averne ucciso
un settimo nel 2006.
Nigeria - 10 giugno
La Corte della Comunità economica degli stati dell’Africa
occidentale ha stabilito che, il 12 ottobre 2009, le forze
di sicurezza aprirono senza ragione il fuoco contro una
manifestazione pacifica.
CINA
INDIA
MYANMAR
UGANDA
ZAMBIA
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India - 19 agosto
Il tribunale di Manipur ha disposto il rilascio
di Irom Sharmila, prigioniera di coscienza
adottata da Amnesty International.
Cina - 7 agosto
Gao Zhisheng, tra i più noti avvocati
per i diritti umani del paese, è stato
rilasciato. Era stato arrestato all’inizio
del 2009 per “incitamento
alla sovversione”.
Egitto - 17 giugno
Dopo 10 mesi di carcere senza processo,
il giornalista del canale arabo di
al-Jazeera Abdallah Elshamy è stato
rilasciato.
Uganda - 1° agosto
La Corte costituzionale
ha annullato la legge contro
gli omosessuali promulgata
dal parlamento il 24 febbraio.
Israele - 19 giugno
A seguito della decisione
di considerarlo “inidoneo”
al servizio militare, l’obiettore
di coscienza Omar Sa’ad
è stato rimesso in libertà.
Myanmar - 4 luglio
Sono tornati in libertà Zaw Pe (noto
come Thu Ya Thet Tin), giornalista
della Voce democratica della Birmania,
e Win Myint Hlaing.
Zambia - 3 luglio
Un tribunale ha assolto James Mwape e Philip Mubiana
dall’accusa di aver avuto relazioni sessuali contro natura. PRIMO PIANO
Ci sono due modi per parlare della pena capitale. Il
primo è contare il numero dei morti, scioccare con
le cifre a doppio o triplo zero della Cina, dell’Iran,
raccontare i macabri dettagli delle due ore trascorse
da un condannato a morte negli Usa prima che un
medico meno incapace degli altri trovasse la vena
giusta. Si può ricordare al mondo il numero dei paesi
che ancora mantengono la pena di morte.
Oppure, si può contare il numero dei vivi, delle persone
salvate, spesso all’ultimo minuto, delle condanne
annullate e di quelle commutate. Si può raccontare
il cammino, lento ma inesorabile, del movimento
abolizionista, Amnesty International in testa: quando
iniziammo a lavorare sulla pena di morte, il numero
dei paesi che l’avevano abolita era uguale al numero
di quelli che, oggi, la applicano ancora: una ventina.
A questo progresso globale, Amnesty International
Italia ha contribuito tanto, portando avanti nel nostro
paese una campagna di fatto continua, che ha visto
come compagni di viaggio movimenti religiosi e laici,
giornalisti, artisti, istituzioni nazionali e locali fino alle
autorità di governo. Soprattutto, una larga parte di
opinione pubblica sensibile, solidale e attiva.
Se il tema della pena di morte in Italia è diventato
popolare, una parte di merito va a… Raffaella Carrà.
Una domenica di marzo del 1987, dal suo programma
pomeridiano, bucarono lo schermo il dolore e il rimorso di
una ragazzina statunitense allora 17enne, Paula Cooper,
condannata a morte per aver ucciso in modo orribile, due
anni prima, la sua insegnante di religione.
UN MONDO
LIBERO
DALLA PENA
DI MORTE
di Riccardo Noury,
portavoce di Amnesty International Italia
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Che una minorenne venisse uccisa dallo stato per un
omicidio commesso a 15 anni, parve insopportabile a
milioni di persone. In Italia, nacque il Coordinamento non
uccidere, da un idea di don Primo Greganti. Vi aderimmo
subito. Per la prima volta, nel 1987, dal Vaticano si chiese
di salvare una persona condannata a morte. Anche grazie a
quella campagna, che divenne mondiale, la Corte suprema
federale degli Usa giunse a stabilire il divieto di mettere
a morte minorenni al momento del reato e la condanna
a morte di Paula Cooper venne commutata. Il 17 giugno
2013, è tornata in libertà.
Amnesty International Italia fu tra le sezioni nazionali del
nostro movimento più attive nella campagna mondiale
per l’abolizione lanciata nel 1989. Raccogliemmo oltre
100.000 firme per chiedere la fine delle esecuzioni nei sette
paesi dove queste erano praticate ogni giorno o quasi e
organizzammo un tour delle ambasciate per consegnarle
(chi scrive fu testimone oculare dei proiettili esplosi al
nostro arrivo, fortunatamente in aria, da una finestra
dell’ambasciata dell’Iraq). Quell’anno, promuovemmo in
Italia un grande film sulla pena di morte: “La sottile linea
blu”, di Errol Morris, sul caso di un innocente condannato
a morte negli Usa, Randall Dale Adams. Quel film e gli
appelli che ne derivarono salvarono una vita.
L’opportunità per rilanciare la campagna abolizionista
arrivò nel 1991, da un episodio accaduto durante la guerra
contro l’Iraq (ne parliamo nelle prossime pagine).
Tema abbastanza comune negli articoli di politica estera
dei quotidiani e nei dibattiti radiotelevisivi, la pena di
morte arrivò nelle librerie nel 1992 con “Occhio per occhio.
La pena di morte in quattro storie” (Arnoldo Mondadori),
scritto da Sandro Veronesi con la collaborazione di Amnesty
Raccogliemmo
oltre 100.000 firme
per chiedere la fine
delle esecuzioni nei
sette paesi dove
queste erano
praticate ogni giorno...
International. Nella prima metà degli anni Novanta, non
era raro che centinaia di parlamentari sottoscrivessero le
nostre azioni urgenti su casi di pena di morte. Un appello
dell’allora presidente della camera, Giorgio Napolitano,
evitò la ripresa delle esecuzioni a Trinidad e Tobago. La
deputata radicale Adelaide Aglietta, nel 1992, presentò
una relazione al Parlamento europeo, cui contribuì anche
il nostro presidente Antonio Marchesi. I successi erano
molti ma anche le delusioni. Nel 1995, non riuscimmo a
salvare Ken Saro Wiwa e otto attivisti nigeriani, impiccati
dal regime militare dell’epoca per aver cercato di difendere
il loro territorio, l’Ogoniland, dalle inquinanti attività
petrolifere della Shell. L’Italia continuava ad appassionarsi
a casi di pena di morte, soprattutto negli Usa (in quel
paese il sistema della pena capitale non era avvolto
dalla segretezza e consentiva di organizzare campagne,
mobilitazioni, appelli). Condannati a morte si rivolgevano
all’Italia sperando di ottenere la commutazione della pena.
Furono proprio due “battaglie perse”, quella per Joseph
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O’Dell nel 1997 e quella per l’italoamericano Rocco
Derek Barnabei nel 2000, a convincerci che, oltre agli
appelli per salvare singoli condannati a morte, sarebbe
stato necessario moltiplicare gli sforzi per convincere gli
stati a cancellare la pena di morte e per spingere quelli
abolizionisti a fare pressione sui mantenitori.
Così, mentre tra il 2002 e il 2003 l’Italia partecipò con
successo alle nostre azioni urgenti per salvare Safiya
e Amina, condannate a morte per il “reato” di adulterio
in Nigeria, con l’inizio del nuovo secolo la campagna
abolizionista fece un salto di qualità: la pena di morte
divenne questione internazionale, tema di politica estera
e, infine, di dibattito all’Assemblea generale delle Nazioni
Unite, dove anche quest’anno si voterà una risoluzione
per una moratoria sulle esecuzioni. In vista di questo
appuntamento è stata creata una “task force” composta
dal ministero degli Esteri, Amnesty Internatonal e altre
organizzazioni della società civile, da noi proposta e
prontamente istituita da Federica Mogherini.
Negli ultimi mesi, grazie al vostro impegno e alla
partecipazione di altre decine di migliaia di persone,
“Meriam l’apostata”, una donna sudanese condannata
all’impiccagione per abbandono dell’Islam, è stata salvata
(nelle prossime pagine troverete il racconto della sua storia).
Negli Usa, Henry McCollum è stato riconosciuto innocente
dopo 30 anni nel braccio della morte. In Giappone, a Iwao
Hakamada è stato accordato un nuovo processo dopo quasi
mezzo secolo in attesa dell’impiccagione.
La nostra campagna è vicina al successo. Non terminerà
l’anno prossimo, lo sappiamo. Ma da alcuni anni, non ci
chiediamo più se la pena di morte verrà abolita.
Ci chiediamo quando. E la risposta è presto!
APPROFONDIMENTO
IL NOSTRO
IMPEGNO CONTRO
LE ESECUZIONI!
di Tina Marinari
ufficio Campagne e ricerca di Amnesty International Italia
La pena di morte è la punizione più crudele, inumana e degradante. Viola il diritto alla
vita. Per questo Amnesty International porta avanti da anni una battaglia per la sua
abolizione completa!
La prima campagna mondiale contro la pena di morte, dal titolo “Quando lo stato uccide”,
fu lanciata nel 1989. Molte cose sono cambiate da allora, soprattutto in positivo. Nel
1977, quando Amnesty International partecipò alla Conferenza internazionale sulla pena
di morte a Stoccolma, i paesi abolizionisti erano appena 16. Oggi, più di due terzi dei
paesi al mondo ha abolito la pena capitale per legge o nella pratica. Il numero dei paesi
abolizionisti, 140, ha ampiamente superato quello dei mantenitori, che sono 58.
La tendenza mondiale verso l’abolizione della pena di morte ha conosciuto negli anni
‘90 una decisa accelerazione, sostenuta dai principali organi internazionali come la
Commissione sui diritti umani dell’Onu, e da numerose organizzazioni non governative,
tra cui Amnesty International.
Il 2 maggio 2002, Amnesty International è stata uno dei membri fondatori della Coalizione
mondiale contro la pena di morte, una coalizione di oltre 150 organizzazioni per i diritti
umani, associazioni di avvocati, sindacati e autorità locali e regionali, che si sono uniti nel
tentativo di liberare il mondo dalla pena capitale. Oggi Amnesty International coordina la
Rete asiatica contro la pena di morte, network fondato nel 2006 e composto da avvocati,
parlamentari e attivisti di numerosi paesi.
Il 18 dicembre 2007, le Nazioni Unite hanno ribadito e rafforzato la loro posizione contro
la pena di morte quando l’Assemblea generale ha approvato una risoluzione - con una
maggioranza schiacciante: 104 voti a favore, 54 contrari e 29 astensioni - che chiede
agli stati membri di stabilire una moratoria sulle esecuzioni “in vista dell’abolizione
della pena di morte” e impegna il Segretario generale dell’Onu a riferirne l’effettiva
implementazione e a riportare tale verifica alle successive sessioni dell’Assemblea.
Queste risoluzioni, sebbene non vincolanti, portano con sé un considerevole peso politico
e morale e costituiscono uno strumento efficace per persuadere i paesi ad abbandonare
l’uso della pena di morte. Il prossimo dicembre, l’Assemblea generale voterà la quinta
risoluzione su una moratoria internazionale contro la pena di morte e il lavoro di Amnesty
International affinché quest’anno i voti a favore aumentino è già iniziato.
Il trend positivo del numero dei paesi abolizionisti riflette uno stato d’animo generale
della società civile. Oggi le persone non sono più disposte a stare a guardare mentre i loro
governi mettono a morte in nome della giustizia.
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“È difficile, in un caso come il nostro, capire esattamente cosa abbia determinato un esito favorevole ma
di solito questo accade quando si mobilita un gruppo
molto ampio di persone come Amnesty International,
che coinvolge un numero incalcolabile di persone...”
L’avvocato di Richard Tandy Smith, condannato a morte
in Oklahoma, Usa, in attesa dell’esecuzione dal 1986. Il
18 maggio il governatore dello stato ha commutato la
condanna a morte in ergastolo
SOSTIENICI!
di Antonio Marchesi,
presidente di Amnesty International Italia
Da un’intervista rilasciata al settimanale Famiglia Cristiana
durante la partecipazione italiana all’intervento militare contro
l’Iraq, deciso dalle Nazioni Unite a seguito dell’invasione del
Kuwait, prese le mosse una campagna di Amnesty International
Italia per colmare una “dimenticanza” che, lungi dall’essere un
problema solo astratto, divenne di enorme attualità. Si trattava
di una residua permanenza della pena di morte nella legge
italiana, figlia del dispositivo dell’art. 27 della Costituzione
(“Non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalle
leggi militari di guerra”).
Ne parliamo con il giornalista Roberto Zichitella, che lavorava
già allora per il settimanale cattolico e conduceva il programma
radiofonico Radio3mondo.
© REUTERS / Goran Tomasevic
PRIMO PIANO
L’ABOLIZIONE
DEFINITIVA
DELLA PENA
DI MORTE
IN ITALIA
© Rajput Yasir/Demotix
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Roberto, puoi aiutarci a ricostruire i fatti?
La vicenda risale al gennaio del 1991, all’epoca della guerra del Golfo. L’inviato
di Famiglia Cristiana, Guglielmo Saninini, raggiunge Dubai e da lì s’imbarca sul
cacciatorpediniere lanciamissili “Audace”, la nave che comandava la missione navale
italiana in quella guerra. Durante la navigazione Saninini intervista il contrammiraglio
Mario Buracchia, comandante della forza navale nel Golfo. A un certo punto Saninini
chiede a Buracchia se abbia avuto, in quei mesi, un pensiero ricorrente. Buracchia
risponde: “Tutto questo forse si sarebbe potuto evitare con un po’ di buonsenso”.
L’intervista viene pubblicata e subito scatena un putiferio.
Paolo Barile, per il quale “in linea generale non è ammissibile che un ufficiale dia giudizi
sull’opportunità o meno di iniziare un’operazione militare di cui è protagonista, anzi
addirittura il comandante”. Qualcuno fa notare che le parole di Buracchia potrebbero
configurarsi come alto tradimento. Per quel reato, il codice penale militare di guerra
prevede la pena di morte. Bartolo Ciccardini, esponente della Democrazia Cristiana,
tuona su La Stampa: “Per quello che ha detto Buracchia andrebbe fucilato”.
Cosa accade nei giorni successivi?
Buracchia in un primo tempo dichiara di essere stato frainteso, spiegando che le sue
frasi si riferivano a Saddam Hussein e agli iracheni, non alle forze multinazionali.
Però la registrazione dell’intervista viene data al Gr1 e, pur con le normali esitazioni,
le pause e la frammentarietà di un colloquio, conferma nella sostanza il ragionamento
di Buracchia. Il comandante, nel frattempo, ha deciso di rimettere il suo incarico al
Capo di stato maggiore della marina, “perché mi manca la serenità”. La sera stessa
del 31 gennaio il ministro della Difesa Rognoni accetta le dimissioni di Buracchia
“con rammarico”, ringraziando l’ufficiale per “l’opera svolta” e il “generoso senso di
responsabilità”.
Dov’è lo scandalo? Era un pensiero ricorrente in quel periodo…
Fa scandalo il fatto che un militare come Buracchia, pluridecorato e veterano del Medio
Oriente, comandante di una forza navale impegnata in un’operazione di guerra, possa
esprimere dei dubbi e delle valutazioni politiche. Fra le tante reazioni politiche ricordo
quella del liberale Raffaele Costa, presidente della commissione Difesa della camera dei
deputati: “Non è di competenza di un ammiraglio della marina valutare decisioni politiche
dell’Onu e del governo italiano”. Nella polemica interviene anche il costituzionalista
Mentre il dibattito si scalda, il governo ricorda che
il decreto legge 247 del 23 agosto 1990 (convertito
nella legge 298 il 19 ottobre 1990) stabiliva che “al
personale militare impiegato nella missione affidata
alle unità navali si applica il codice penale militare di
pace”. Si tratta di una deroga, precisamente all’art.
9 del codice penale militare di guerra, che prevede la
sua applicazione non solo in tempo di guerra ma ogni
volta che le forze armate italiane siano impegnate
in operazioni all’estero. Una deroga che da un lato
salva Buracchia da una (anche se molto improbabile)
condanna a morte in corte marziale ma dall’altro
mostra le contraddizioni tra la tradizione abolizionista
e la permanenza nella legge di un “residuato bellico”.
La vicenda spinge Amnesty International Italia a
prendere una forte iniziativa verso il parlamento,
che già nel 1989 aveva manifestato sensibilità con
oltre 200 adesioni di deputati e senatori all’appello
della campagna contro la pena di morte. Nel 1991
è direttamente Amnesty International a scrivere il
testo di legge abolizionista, poi sottoscritto da 334
deputati e oltre 100 senatori. Non viene approvato per
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lo scioglimento anticipato della legislatura ma con
quella successiva, per merito della sen. Salvato, con
la legge 589 del 13 ottobre 1994, l’Italia diventa un
paese totalmente abolizionista.
Ci vorranno altri 13 anni per risolvere l’incongruenza
di una disposizione costituzionale (l’art. 27 già
richiamato sopra) che prevedeva in circostanze
eccezionali l’applicazione di una sanzione già abolita
dal parlamento. Con la legge costituzionale del 2
ottobre 2007, verranno tolte dal testo le parole “se
non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra”.
PRIMO PIANO
MERIAM,
UNA GRANDE
VITTORIA
di Antonella Napoli
11
Quando una campagna per
i diritti umani si conclude
con la salvezza della vittima
destinata all’inaccettabile
sopruso della pena di morte
e riesce a far stringere il
mondo intero in un unico
grande abbraccio protettivo
e solidale, è un successo
che riguarda tutti, non una
singola organizzazione o
il solo protagonista.
Questo è avvenuto per la scarcerazione di Meriam
Ibrahim Ishag, sudanese cristiana che, incinta
all’ottavo mese, era stata condannata all’impiccagione
per apostasia.
La gioia per il suo rilascio è stata immensa, eravamo
certi non potesse finire diversamente. L’impegno è stato
costante, globale, determinato. La petizione lanciata
da Italians for Darfur, nel nostro paese, ha raccolto
150mila firme, grazie anche al supporto del quotidiano
Avvenire.
E fino a quando Meriam non è arrivata in Italia non
abbiamo mai abbassato la guardia.
Poche ore prima della sua liberazione, dopo
l’annullamento della sentenza di primo grado, scrivevo
su Twitter che nonostante la corte d’appello avesse
posto la parola fine al procedimento giudiziario, lei
e la sua famiglia non sarebbero stati al sicuro fino a
quando non avessero lasciato il Sudan. E le mie parole
sono state profetiche visto che il giorno dopo, mentre
stavano per imbarcarsi su un volo per gli Stati Uniti,
i servizi segreti li hanno bloccati e Meriam è stata
sottoposta a fermo giudiziario con l’accusa di aver
presentato documenti di viaggio falsi.
Essendo sudanese, secondo le autorità locali, non poteva
partire con il nulla osta rilasciato dall’ambasciata
del Sud Sudan e con un visto americano, nonostante
il marito, Daniel Wani, avesse doppia cittadinanza,
americana e sud sudanese.
Meriam è stata rinchiusa per oltre 10 ore in un ufficio
di pubblica sicurezza, interrogata a lungo e con metodi
vessatori. Alla fine l’hanno lasciata andare solo perché
non era formalmente in arresto.
L’accanimento di cui è stata vittima questa giovane,
che aveva la sola colpa di credere fortemente alla sua
fede, è stato alimentato da un clima d’integralismo
condiviso da gran parte della popolazione del Sudan,
che vive in sintonia con i dettami della legge coranica.
La condanna che stava per portare sul patibolo Meriam
non era frutto solo del giudizio di un magistrato
estremista ma di un sentimento comune che potrebbe
generare altri casi simili. È per questo che la nostra
opera di monitoraggio sul Sudan continua. Pronti a
difendere altre Meriam e tutte le vittime dei soprusi
che, purtroppo, continuano a essere perpetrati in
questo paese come in molte altre realtà, dove i diritti
umani non sono considerati una priorità.
Antonella Napoli è una giornalista professionista, studia e si forma tra Roma, Londra e New York.
Fondatrice e presidente dell’associazione Italians for Darfur, membro delle associazioni Articolo 21 e GiULia
– Giornaliste unite libere autonome, si occupa da anni di diritti umani, promuovendo campagne, eventi e
iniziative istituzionali per sensibilizzare sui temi ignorati dai grandi media. È autrice del libro “Volti e colori
del Darfur” (Edizioni Gorée), da cui è tratta l’omonima mostra da lei ideata e curata.
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DAL MONDO
OBAMA PARLA DI TORTURA
di Trisha Thomas e Niccolò Piga
“Abbiamo torturato un po’ di gente [...]. Abbiamo fatto cose
contrarie ai nostri valori. Capisco perché questo è successo.
Penso che sia importante che quando guardiamo al passato
ci ricordiamo di quanto la gente fosse spaventata quando
le Torri crollarono”.
Questa la dichiarazione di Obama durante la conferenza
stampa di venerdì 1° agosto, che risponde alla domanda
sul rapporto redatto dal senato riguardo agli atti di tortura
commessi dalla Cia. Questa dichiarazione ha generato
molto interesse per il fatto che Obama ha scelto di usare
in un discorso ufficiale il termine “tortura” e non “tecniche
di interrogatorio rafforzato”, rendendo esplicita la linea di
demarcazione tra i due termini. L’uso delle “tecniche di
interrogatorio rafforzato” fu promosso dal presidente George
W. Bush in un memorandum del 7 febbraio 2002, nel quale
si affermava che l’art. 3 della Convenzione di Ginevra non
doveva essere applicato ai prigionieri di guerra, talebani o
membri di Al Qaeda.
Nel luglio del 2007, il presidente statunitense andò oltre,
emanando l’ordine esecutivo 13440, che diceva che la Cia
era libera d’interpretare sia il senso che l’applicazione del
suddetto art. 3 della Convenzione di Ginevra.
Nello specifico, quest’ordine esecutivo, attraverso un
complesso linguaggio burocratico, gettava alle ortiche
l’art. 3 e dava alla Cia il via libera a interrogare i prigionieri
di guerra con le proprie regole.
L’art. 3 della Convenzione di Ginevra stabilisce che “...
rimangono vietate, in ogni tempo e luogo [...] le violenze
Trisha Thomas è una giornalista americana che lavora per l’Associated Press a Roma dal 1994, coprendo l’Italia
e il Vaticano. Nel 2008 e 2012, ha lavorato come opinionista per Rai News 24 e Sky Italia durante le elezioni
americane. Dal 2011 racconta le sue esperienze come madre e giornalista sul blog www.mozzarellamamma.com. Niccolò Piga è uno studente di Global Law alla Tilburg University, nei Paesi Bassi. Ha un vivo interesse
per il diritto umanitario e internazionale. Nato e cresciuto a Roma in un ambiente molto internazionale
© REUTERS/Giath Taha
ha frequentato il Liceo Chateaubriand in lingua francese.
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contro la vita e l’integrità corporale, specialmente
l’assassinio in tutte le sue forme, le mutilazioni, i
trattamenti crudeli, le torture e i supplizi” [...] “gli oltraggi
alla dignità personale, specialmente i trattamenti umilianti
e degradanti”. Tra i vari metodi sdoganati da Bush ci sono:
waterboarding (simulazione di affogamento), deprivazione
del sonno, isolamento ecc.
Gli abusi effettuati dall’esercito statunitense sono ormai
ben noti e includono umiliazione di genere sessuale e
religioso, in luoghi quali le prigioni di Guantánamo, Abu
Ghraib e Bagram.
Barack Obama ha vinto la presidenza a seguito di un
lunga campagna, nella quale uno dei punti cruciali
era proprio il suo atteggiamento fermamente contrario
all’uso di “tecniche di interrogatorio rafforzato” e il suo
desiderio che gli Stati Uniti rispettassero la Convenzione
di Ginevra. Il secondo giorno della sua presidenza, Obama
emise l’ordine esecutivo 13491, nel quale dichiarò
l’annullamento dell’ordine precedente rilasciato dal
George W. Bush nel 2007 e di ogni ordine rilasciato dall’11
settembre 2001 al 20 gennaio 2009, riguardante la
detenzione o l’interrogatorio di detenuti. Queste risoluzioni,
che calcano la scissione tra le due presidenze, segnano la
fine delle “tecniche d’interrogatorio rafforzato” americane
(adesso definite dal presidente stesso come atti di
tortura). La definizione da parte di Obama delle “tecniche
d’interrogatorio rafforzato” come “tortura” è sembrata
leggermente tiepida e le sue parole sono sembrate quasi
una giustificazione per gli atti commessi, tuttavia questa
ammissione e l’uso della parola “sbagliato” possono
essere considerate un primo passo degli Stati Uniti nel
riconoscere gli errori del passato.
DAL MONDO
ALTA TENSIONE TRA RUSSIA E UCRAINA
Il 14 luglio, il presidente ucraino Petro Porošenko
ha accusato la Russia di aver inviato dei soldati
a combattere al fianco dei separatisti filorussi
nell’est dell’Ucraina e di aver schierato di nuovo le
sue truppe al confine orientale. La dichiarazione è
arrivata poco dopo che un aereo passeggeri della
Malaysia Airlines era stato abbattuto al confine
con la Russia, provocando la morte di quasi 300
persone a bordo. Secondo il governo ucraino, l’aereo
volava a una quota troppo alta per essere colpito
dalle armi attualmente in possesso dei separatisti.
Intanto nell’Ucraina orientale negli ultimi mesi
si sono verificati rapimenti, pestaggi selvaggi
e altre torture inflitte ad attivisti, manifestanti
e giornalisti. La maggior parte dei rapimenti è
stata perpetrata dai separatisti armati ma ci sono
anche prove di un minor numero di abusi da parte
delle forze pro-Kiev. Non esistono dati completi o affidabili sul numero
di rapimenti ma il ministero dell’Interno ucraino ha
riferito circa 500 casi tra aprile e giugno 2014. Il
2 settembre, Vladimir Putin e Petro Poroshenko
avevano avuto una conversazione telefonica
sull’accordo per una tregua nell’est dell’Ucraina
ma il cessate il fuoco è stato violato dopo poco.
Mentre i negoziati procedono con incertezza,
la situazione sul terreno resta pericolosa. Il 12
settembre è entrato in vigore un nuovo pacchetto
di sanzioni da parte dell’Ue e degli Usa verso
la Russia. Secondo l’Onu, il conflitto nell’est
dell’Ucraina ha causato più di un milione di
sfollati e circa 3000 vittime.
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Da quando, il 29 giugno, lo Stato islamico (prima conosciuto
come Stato islamico dell’Iraq e del Levante) ha proclamato
la nascita del califfato, guidato da Abu Bakr al Baghdadi,
il gruppo sta consolidando il suo controllo su zone della
Siria, del Libano e quasi un terzo del territorio iracheno. Una
campagna di estrema violenza già iniziata con la presa del
controllo su Mosul il 10 giugno. Quello che sta avvenendo è
una “pulizia etnica di dimensioni storiche”, ha denunciato
Amnesty International, con l’obiettivo di spazzare via ogni
traccia di non arabi e non sunniti, vale a dire assiri cristiani,
sciiti turcomanni, sciiti shabak, yazidi, kakai e sabeani
mandeani, oltre agli arabi e i sunniti che si oppongono. Ad
agosto nella zona di Sinjar sono avvenute numerose uccisioni
di massa. Due delle più sanguinose hanno avuto luogo
quando lo Stato islamico ha razziato i villaggi di Qiniveh
e Kocho, rispettivamente il 3 e il 15 del mese. Centinaia
di persone sono state uccise solo in questi due villaggi:
gruppi di uomini e ragazzi, anche di soli 12 anni, sono stati
rastrellati, portati via e uccisi. Le uccisioni e i rapimenti di
massa hanno gettato nel terrore l’intera popolazione del nord
dell’Iraq, costringendo migliaia di persone alla fuga.
© REUTERS/Osman Orsal
PULIZIA ETNICA IN IRAQ
La sorte della maggior parte degli yazidi
rapiti e tenuti in prigionia dallo Stato
islamico rimane sconosciuta. Molti sono
stati minacciati di stupro o di aggressioni
sessuali e costretti a convertirsi all’Islam.
In alcuni casi, sono stati rapiti interi
gruppi familiari. Il 1° settembre, l’Onu
ha annunciato l’invio di una squadra
di osservatori in Iraq per indagare sulle
violazioni dei diritti umani.
Gli Usa hanno iniziato un’azione militare
in Iraq contro lo Stato islamico, inclusi
attacchi aerei, mentre altri paesi stanno
fornendo aiuti militari all’Iraq e al governo
curdo per le loro operazioni. Mentre molti
gruppi di minoranza sono stati costretti a
fuggire, più di un milione di musulmani
sunniti che vivono a Mosul e in altre zone
controllate dal gruppo armato non hanno
potuto andarsene a causa degli scontri
e degli attacchi aerei che hanno fatto
già vittime tra i civili. Secondo le Nazioni
Unite nell’ultimo mese in Iraq sono morte
almeno 1420 persone. Il 2 settembre,
i militanti dello Stato islamico hanno
decapitato il giornalista statunitense
Steven Sotloff, diffondendo su Internet il
video dell’esecuzione. Intanto la Turchia
ha cominciato a chiudere i valichi di
frontiera con la Siria, dopo che 130.000
rifugiati curdi si sono riversati nel paese
in fuga dall’avanzata dello Stato islamico.
inBreve
Italia - Il 9 luglio, 39 persone, compresi 11
minori e persone affette da gravi patologie,
sono state sgomberate da un insediamento
informale nei pressi della stazione ferroviaria
Val d’Ala, a Roma, senza il rispetto degli
standard internazionali.
Myanmar - Il 10 luglio, un tribunale di
Pakokku ha condannato cinque giornalisti e
l’amministratore del quotidiano Unità. Erano
stati arresti tra gennaio e febbraio, dopo che
il giornale aveva pubblicato un articolo circa
una fabbrica di armi chimiche nella regione
di Magwe.
Usa - Il 23 luglio, l’esecuzione di Joseph
Wood, condannato a morte nel 1989 per
l’omicidio della sua ex fidanzata e del
padre di quest’ultima, è iniziata alle 13.52
(ora locale) ma l’uomo è stato dichiarato
morto solo due ore dopo. La governatrice
dell’Arizona ha dichiarato che l’esecuzione è
stata “legale” e che Wood “non ha sofferto”
ma ha ordinato di rivedere la vicenda per
capire perché l’esecuzione sia durata così a
lungo.
Libia - Il 25 agosto, nelle acque libiche è
affondata un’imbarcazione con circa 200
migranti provenienti dall’Africa Subsahariana.
Solo 16 di loro sono sopravvissuti. La marina
militare libica ha dichiarato di aver soccorso,
il 15 settembre, 36 persone dopo che
un’imbarcazione con a bordo 250 rifugiati e
migranti è affondata nei pressi di Tajoura, a
15
est di Tripoli. Altre due imbarcazioni risultano
essere affondate nei giorni precedenti nel
Mediterraneo centrale, con diverse centinaia
di persone annegate.
Vietnam - Il 26 agosto sono stati condannati
a due e tre anni di carcere gli attivisti Bui Thi
Minh Hang, Nguyen Thi Thuy Quynh e Nguyen
Van Minh, con l’accusa di “disturbare l’ordine
pubblico”. Decine di loro sostenitori, familiari
e altri attivisti sono stati minacciati, picchiati
e arrestati per impedire loro di essere presenti
alla sentenza in tribunale.
Giappone - Il 29 agosto, Mitsuhiro
Kobayashi, 56 anni, e Tsutomu Takamizawa,
59 anni, sono stati impiccati rispettivamente
a Sendai e Tokyo. Entrambi erano stati
condannati per omicidio.
Bahrein - Il 30 agosto, l’attivista per
i diritti umani Maryam al Khawaja,
figlia di uno dei leader dell’opposizione
condannato all’ergastolo, era stata arrestata
all’aereoporto mentre rientrava nel paese. Il
18 settembre è stata rilasciata ma con un
divieto di espatrio.
Turchia - Dal 2 al 5 settembre, Istanbul
ha ospitato l’Internet Governance Forum,
un evento organizzato dalle Nazioni Unite
per condividere le migliori pratiche in tema
di regolamentazione della rete, sicurezza e
diritti umani. Nello stesso tempo nel paese
29 utenti di Twitter erano sotto processo a
Smirne, rischiando fino a tre anni di carcere.
India - Secondo il rapporto di un’agenzia
governativa indiana reso pubblico il 4
settembre, sono in media 92 le donne che
nel paese vengono violentate ogni giorno.
Il numero complessivo dei casi di stupro
segnalati è passato da 24.923 nel 2012 a
33.707 nel 2013.
Mozambico - Il 5 settembre è stato firmato
l’accordo di pace tra il presidente Armando
Guebuza e il leader del movimento dei
ribelli Renamo, mettendo fine a due anni di
conflitto e al governo del partito unico.
Russia - Il premio Anna Politkovskaja,
promosso dall’Unione dei giornalisti di
Russia, quest’anno è stato assegnato al
fotoreporter italiano Andrea Rocchelli e al
giornalista freelance russo Andrej Mironov,
uccisi il 25 maggio nell’est dell’Ucraina.
È la prima volta che viene premiato uno
straniero.
Siria - L’11 settembre, i jihadisti del Fronte
al Nusra hanno liberato i 45 peacekeeper
dell’Onu, provenienti dalle isole Fiji, presi in
ostaggio due settimane prima sulle Alture
del Golan.
Qatar - Il 15 settembre, dopo la ratifica
dell’emiro Tamin bin Hamad Al-Thani, è
entrata in vigore la legge 14/2014 sui crimini
informatici, che pone una grave minaccia nei
confronti della libertà d’espressione.
Iran - Il 16 settembre, sette persone che
avevano realizzato una versione amatoriale
del brano “Happy” di Pharrell Williams,
sono state condannate a 91 frustate e a
vari periodi di carcere. L’esecuzione della
sentenza è stata sospesa per tre anni.
DAL MONDO
Intervista a Cosimo Caridi
UNA GUERRA
SENZA VINCITORI
È stato difficile entrare nella Striscia? Qual è stato l’atteggiamento
del governo israeliano verso i giornalisti?
Entrare non è stato difficile con un accredito dell’ufficio stampa
del governo israeliano. I problemi si sono verificati dopo. Il terzo,
quarto giorno che ero lì ci è stato consigliato caldamente di lasciare
la Striscia, sia da parte degli uffici israeliani sia dalla nostra
ambasciata. Col tempo la nostra posizione è diventata veramente
scomoda. Non ci dicevano quando il valico era aperto per entrare e
uscire e la strada per arrivarci era sotto continui bombardamenti. Ci
hanno detto di andare via perchè non potevano garantire la nostra
incolumità.
Nelle tue cronache del conflitto hai spesso sottolineato che si
trattava di uno scontro psicologico prima ancora che reale.
Perchè?
Evidentemente le guerre sono cambiate negli ultimi anni, non ci
sono due fronti da cui si spara. Israele ha uno degli eserciti più
efficenti del mondo, è stato il primo a utilizzare i droni, i così detti
“bombardamenti chirurgici”, il sistema dei commandos. Israele
non vede Hamas, che è nascosto tra la popolazione, e Hamas
non vede Israele, se non al confine. La guerra è una questione di
suoni. Dopo un paio di giorni si riconoscono quali sono i droni, che
hanno un rumore sordo, e gli F16, che sono dei cacciabombardieri
che scatenano l’inferno. Poi ci sono i rumori dei cannoneggiamenti
dal mare delle navi israeliane, che sparano circa 50-60 colpi in un
minuto con cadenza regolare, poi i carri armati e i mortai. In tutto
questo, in mezzo alle case, dai tetti e dai garage, si sentono partire
i razzi di Hamas ma non atterrare. Vediamo i morti e la distruzione
ma non sappiamo cosa avviene.
© Epa/Oliver Weliken
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Oltre alla tragedia della perdita di vite
umane, con 2139 palestinesi morti, tra
cui oltre 490 bambini, quali sono stati gli
ostacoli più difficili che la popolazione
palestinese ha dovuto affrontare?
Gaza vive sotto embargo dal 2006, da
quando Hamas ha vinto le elezioni e c’è
stato lo scontro interno tra Hamas e Fatah.
Da quel momento in poi le cose sono solo
peggiorate e oltre al blocco ci sono state
ben tre guerre. Solo in questo conflitto,
Israele ha sparato decine di centinaia
di tonnellate di esplosivo, distruggendo
tutto, oltre a quello che non era stato
possibile ricostruire dalle precedenti
guerre. La Striscia è una piccola prigione
in cui le persone schiacciate all’interno
cercano di sopravvivere. Il 50 per cento
della popolazione è al di sotto dei 16 anni
e la disoccupazione è al 40 per cento.
Questo significa che non ci sono soldi
per vivere a Gaza. Si vive degli aiuti che
arrivano dal Golfo, dall’Europa, dalle
grandi Ong. Con l’inizio della guerra poi
le fabbriche sono state chiuse, i servizi
sanitari di base sono stati azzerati per
curare i feriti, l’elettricità mancava (tra
l’altro Israele ha colpito la più grande
centrale elettrica della Striscia). L’acqua
è stata razionata e si parla del 90 per
cento della popolazione senza accesso
ad acqua potabile nell’abitazione. Solo
Hamas ha garantito un minimo di welfare,
cercando di fare quello che farebbe uno
stato, dove uno stato non c’è.
Dalla tua percezione sul campo, come
la popolazione palestinese di Gaza ha
reagito a questa guerra e come ne è
uscita Hamas?
Un paio di settimane prima dell’escalation,
Hamas e Fatah avevano deciso d’istituire
un governo di unità nazionale, forse il
tentativo più riuscito di creare un sistema
unico. Quello è stato un momento di
risentimento dell’opinione pubblica verso
Hamas, perché cedeva a Fatah. Hamas
ha una parte politica e una militare, che
sono sempre vissute assieme ma non
hanno mai completamente condiviso
tutto. Quando è cominciata la guerra, la
parte militare ha preso il sopravvento ma
anche quella politica ha riconquistato
valore. Soprattutto c’è stato un momento
in cui sembrava che Israele non riuscisse
a entrare nella Striscia senza perdere
tantissimi militari e questo ha generato
un’ondata di orgoglio tra i palestinesi:
potete bombardarci ma questa è casa
nostra e se entrate noi sappiamo
difenderci. D’altra parte, dopo settimane
di bombardamenti i gazawi erano provati.
17
© Epa/Mohammed Saber
sono molto lontani da Hamas. Questo ha portato
a uno stallo con continue richieste di tregua.
Dopo una settimana di guerra c’è stata una
prima proposta egiziana ma Hamas l’ha rifiutata
per come è stata fatta e perché non c’erano le
richieste palestinesi fondamentali. Poi c’è stato
un continuo batti e ribatti su questa proposta,
con l’intermediazione di Kerry. Dai dati Onu, sono
morte più di 2000 persone, ci sono stati danni per
oltre cinque miliardi di dollari, ci
vorranno cinque anni per tornare
Cosimo Caridi è un giornalista freelance.
a un livello di vita paragonabile
Collabora con il Fatto Quotidiano
al precedente e 30 anni per un
da oltre tre anni, scrivendo e filmando
livello di sviluppo paragonabile
corrispondenze da tutto il Medio
Oriente. Il suo primo viaggio in Israele/
al precedente ma di fatto non
Palestina è stato nel 2000 e nel 2007-08
è cambiato niente: l’accordo
ha vissuto per oltre un anno a Betlemme,
prevede il ritorno alle condizioni
per un progetto con un’associazione
della tregua del 2012.
israelo/palestinse d’informazione
I palestinesi hanno ottenuto tre
alternativa. È entrato per la prima volta
a Gaza nel 2012, per coprire la guerra
miglia in più per pescare e dai
di novembre. I suoi video reportage sono
valici passeranno dei materiali
stati trasmessi dai maggiori tg nazionali
ma c’è ancora discussione
ma lavora soprattuto con il mercato
su quali, perché gli israeliani
televisivo sudamericano. Sta lavorando a
una collaborazione per un documentario
sostengono che in passato
su Lampedusa prodotto per Al Jazeera.
da li è stato fatto passare il
cemento per costruire i tunnel
sotterranei.
Cosa ha cambiato questa guerra e cosa ha Per il resto tutto è bloccato. Per me questa
guerra è soltanto in pausa, non scoppierà tra
portato l’accordo di pace?
Il grande alleato della Striscia nell’ultima una settimana ma la situazione purtroppo non è
offensiva militare era stato l’Egitto di Morsi e dei affatto cambiata.
© UNHCR/J. Tanner
Fratelli musulmani. Da quando i militari hanno
(a cura di Beatrice Gnassi)
preso il potere in Egitto questo è cambiato, perché
Quasi 500.000 persone sono state sfollate
all’interno della Striscia, che è poco più grande di
una piccola provincia italiana. Il 20 per cento della
popolazione si è spostata sui confini e un buon
30 per cento è stata colpita dai bombardamenti.
La gente voleva tornare alla normalità, anche se
è evidente che la normalità ancora non c’è. La
maggior parte delle strutture dell’Unrwa usate
per i corsi scolastici è occupata dai profughi,
27 ospedali sono stati bombardati e la zona
industriale è stata completamente distrutta. Ho
parlato con imprenditori e investitori che non
solo hanno perso tutto ma hanno anche perso
la volontà d’investire, visto che si fa la guerra
ogni due, tre anni. Poi c’è l’aspetto religioso: i
bombardamenti sono iniziati durante il Ramadan
e dopo 10 giorni c’era la festa dell’Eid. C’è stata
una specie di gara di solidarietà, perché nell’Eid è
importante fare beneficenza. Chi aveva una casa,
uno scantinato, lo apriva agli sfollati. Ho visto un
garage dove vivevano 250 persone, alle quali ogni
giorno gli abitanti del palazzo a fianco portavano
cibo. Non si può fare un segno netto per dire da che
parte sta la popolazione, certo è che le famiglie
colpite sono state tantissime e che queste non
saranno pronte a un dialogo con Israele.
18
APPROFONDIENTO
© Epa
I DIRITTI UMANI
SONO L’ULTIMA
LINEA DI DIFESA
Yonatan Gher, direttore esecutivo di Amnesty International Israele
19
Mio fratello e io abbiamo due esperienze
diverse di quello che sta accadendo tra Gaza
e Israele. Lui ha 20 anni, sta svolgendo il
serivzio militare e ha combattuto a Gaza. Io
invece sono il direttore esecutivo di Amnesty
International Israele, un’organizzazione
fortemente coinvolta nel documentare
e fare campagne sugli evidenti crimini
perpetrati da entrambe le parti in conflitto.
Sono anche un obiettore di coscienza.
La mia posizione non ha diminuito la preoccupazione
per lui e per gli altri membri della mia famiglia
nella stessa situazione. Quando vivi una situazione
così complessa in una famiglia, l’humour è spesso
l’approccio migliore così scherziamo talvolta sul
fatto che se il resto del mondo ascoltasse la richiesta
di Amnesty International per un embargo sulle
armi, comincerei dalla sua arma. In questa parte
del mondo, l’humour è uno dei modi di affrontare
situazioni terribilmente tristi.
Dall’inizio del conflitto, oltre 1800 palestinesi e
64 soldati e tre civili israeliani sono stati uccisi.
Ognuna di queste vite perdute, bambini, neonati,
anziani, uomini, donne, a Gaza come in Israele è
una tragedia. I discorsi pubblici in Israele cercano
di relativizzare: se devi esprimere tristezza per le
persone morte a Gaza, almeno non essere triste come
quando viene ucciso un israeliano. E assicurati di
sottolineare che è anche colpa di Hamas. Il fatto
di essere semplicemente tristi significa che c’è
qualcosa di sbagliato in te: ti preoccupi più di loro
che della tua gente. Traditore.
Poichè mi rifiuto di prendere parte a tutto questo e
anzi ritengo che ogni vita sia sacra, senza relativismo,
senza contesto e senza giustificazione, credo che
parlare di diritti umani sia un buon rifugio. Essendo
i diritti umani un quadro legale, sono basati su un
codice morale al di sopra delle nazioni. Noi in Israele
Credo che l’ultima
linea di difesa per
i bambini di Gaza,
per mio figlio e
per tutte e due le
parti in conflitto
sia il rispetto dei
diritti umani
crediamo di avere una particolare affinità con i diritti
umani, poichè sono stati stabiliti all’indomani della
Seconda Guerra mondiale, quando il mondo disse
“mai più”. É un codice che nel giudaismo esiste
da secoli: Arvut Hadadit, la resposabilità reciproca
tra le persone o, come la chiama spesso Amnesty
International, solidarietà. L’idea è che i paesi si
interessino gli uni agli altri, per assicurare che un
insieme di diritti adottati collettivamente siano
garantiti a ogni persona in tutto il mondo.
Israele è stata importante per la creazione degli
20
strumenti dei diritti umani. Basta pensare al ruolo
attivo avuto da Israele per la Convenzione dei rifugiati
negli anni Cinquanta o per alcuni importanti passi
fatti per il Trattato sul commercio di armi, che è stato
adottato proprio lo scorso anno.
Ma Israele usa uno standard diverso per per sè e per
il resto del mondo. Le azioni che costituiscono evidenti
violazoni dei diritti umani quando le commettono
gli altri, qui sono chiamate “politiche” e se critichi
queste azioni sarai accusato di “ignorare il contesto”
o, la preferita di Israele, “criticarci è antisemita”.
Sono le 2.30 di mattina e ho appena tirato fuori dal
letto mio figlio di cinque anni. Lo tengo in braccio
nella tromba delle scale, la nostra zona di sicurezza,
perchè si sentono le sirene degli allarmi. Pochi forti
colpi che speriamo siano l’Irone Dome che intercetta
i razzi, lanciati per ucciderci. Mio figlio la mattina va
all’asilo e sente parlare dei soldati che ci proteggono.
Si vanta che suo zio è un soldato coraggioso.
I bambini fanno disegni che vengono mandati alle
unità combattenti dell’esercito e appesi nei carri
armati. Di sera, durante un allarme, mi ha chiesto
se anche a Gaza ci sono le sirene. Ho spiegato che i
bambini a Gaza non hanno nessuno e non hanno l’Iron
Dome. “Chi li protegge?” mi chiede. Credo che l’ultima
linea di difesa per i bambini di Gaza, per mio figlio e
per tutte e due le parti in conflitto sia il rispetto dei
diritti umani diritti umani. (6 agosto 2014)
IN ITALIA
Gianni Rufini
Direttore generale
di Amnesty International Italia
CHIEDONO GIUSTIZIA E DIRITTI
Sta crollando, il Medio Oriente. Siria, Iraq e Gaza sono
pezzi di un disastro che sta sconvolgendo la vita di
decine di milioni di persone, condannate a subire ogni
brutalità, dolore, lutto e la perdita di un futuro. La violenza
come unica risorsa, l’odio religioso ed etnico che ha
preso il posto di ogni dialettica sociale, la drammatica
constatazione che non esistono più le regole della guerra
e quelle della diplomazia. Non ci voleva molto, nel
2003, a capire che l’invasione dell’Iraq avrebbe minato
profondamente un mondo, di cui l’Onu era un simbolo,
che cercava di trovare un equilibrio sostenibile in cui
la guerra, intesa come violenza, sopruso e brutalità
barbarica, potesse diventare un relitto del passato.
Quei popoli disperati vorrebbero solo una cosa.
Vorrebbero vedere che esiste una giustizia, che i loro
diritti sono sacri quanto i nostri e che c’è chi li difende e
li garantisce. Vorrebbero che non si cercassero risposte
solamente nell’uso della forza e del terrore.
Che la loro vita e la loro dignità fossero protette da
quella stessa comunità internazionale che pure se ne è
assunta l’onere.
Amnesty International lavora per questo, al fianco
di quelle donne e di quegli uomini. Raccoglie la loro
testimonianza e la diffonde nel mondo. Chiede che
vengano protetti e rispettati. Dà voce ai loro bisogni e ne
difende la dignità e i diritti.
In questi ultimi mesi abbiamo costantemente lavorato sul
Medio Oriente, monitorando quanto accadeva, inviando
i nostri ricercatori sul campo, pubblicando rapporti
dettagliati, lanciando appelli per porre fine alla violenza,
per fermare il commercio di armi, per chiedere indagini
imparziali e tempestive, abbiamo fatto pressione su
governi e istituzioni internazionali. Per continuare a farlo
e ottenere risultati concreti abbiamo bisogno di essere
forti e la nostra forza risiede in ogni singola persona che
ci supporta e ci sostiene.
Amnesty International
lavora per questo, al fianco
di quelle donne e di quegli
uomini. Raccoglie la loro
testimonianza e la diffonde
nel mondo. Chiede che vengano
protetti e rispettati.
Dà voce ai loro bisogni
e ne difende la dignità
e i diritti.
Il tuo aiuto é
essenziale!
SOSTIENICI!
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IN ITALIA
SI PARTE!
a cura di Chiara Pacifici
In Turchia le proteste non si fermano e non si ferma la violenza
della polizia, che colpisce in modo eccessivo e indiscriminato
passanti, manifestanti, giornalisti, personale sanitario e chi
rimane fermo immobile per ore, in segno di protesta.
Ancora non si conosce il numero esatto dei morti, dei feriti
e degli arrestati, il bilancio di questo braccio di ferro tra un
popolo che chiede dignità e diritti e un potere repressivo che
mostra il suo lato peggiore.
Amnesty International è in Turchia, al fianco di chi rivendica il
diritto alla libertà d’espressione e di riunione.
La proposta educativa
di Amnesty International
Italia per l’anno scolastico
2014-15
22
22
Il 20 novembre compie 25 anni la più
ratificata di tutte le convenzioni: la
Convenzione internazionale sui diritti
dell’infanzia e dell’adolescenza (Crc)
del 1989.
Un documento che ha segnato una
svolta importante nel cammino dei
diritti umani: per la prima volta, in
un atto internazionale, i minori sono
trattati da protagonisti, come persone
che hanno diritto a partecipare alle
scelte che li riguardano e come
individui in grado di esprimere le loro
idee e prendere decisioni.
Per festeggiare questa data
fondamentale e ricordare l’importanza
di conoscere i propri diritti e di
attivarsi per farli rispettare, Amnesty
International ha deciso di dedicare
alla Crc l’offerta educativa per l’anno
scolastico 2014-15.
L’illustratrice Antonella Abbatiello
ha creato per noi un poster con il
testo semplificato della Crc, che
ha ispirato le pagine del catalogo
“Educare ai diritti umani”, in cui è
presentata l’offerta educativa, gli
strumenti didattici e i progetti rivolti
al mondo della scuola, oltre ai giochi e agli albi illustrati (vedi
pagina 31).
Amnesty Kids Scuola (www.amnestykids.it) è la proposta
educativa rivolta alle classi del secondo ciclo della scuola
primaria e a quelle della scuola secondaria di primo grado.
Partecipando al progetto le classi ricevono un kit con materiali
didattici e possono, durante l’anno, dare il loro importante
contributo alla difesa dei diritti umani partecipando alle Azioni
Urgenti Kids.
La proposta educativa per la scuola secondaria di secondo
grado, oltre a Human Rights Friendly Schools, si arricchisce del
progetto Scuole attive contro l’omofobia e la transfobia.
Il progetto, composto da un sito Internet (scuole-lgbti.amnesty.
it), con una guida per gli insegnanti scaricabile gratuitamente
online, vuole essere il “luogo” in cui studenti e professori d’istituti
diversi s’incontrano per scambiarsi idee, proposte e azioni per
migliorare l’ambiente scolastico e renderlo rispettoso dei diritti
umani e libero da ogni forma di discriminazione e violenza.
“La scuola è uno dei principali luoghi in cui ragazze e ragazzi si
confrontano con i modelli prevalenti nella società e negli ultimi
anni, in Italia, attacchi verbali e fisici nei confronti delle persone
omosessuali e transessuali si sono verificati con preoccupante
frequenza”, ha ricordato Gianni Rufini, direttore generale di
Amnesty International Italia. “Ed è dimostrato quanto l’omofobia
e la transfobia subite a scuola abbiano ripercussioni negative
molto forti nella vita delle vittime, non solo da adolescenti ma
anche quando saranno adulti”.
L’augurio è che tutti, insegnanti e studenti, genitori e personale
scolastico, possano vivere un anno all’insegna della solidarietà
e del rispetto dei diritti umani.
AGENDA
E CALENDARIO
È dedicata all’Italia e al 40° anniversario
di Amnesty International Italia, l’edizione
2015 del calendario e dell’agenda.
Disponibile nei formati da parete e da tavolo, il calendario 2015 punta l’attenzione sulla situazione dei diritti
umani nel nostro paese, attraverso le immagini scattate da quattro bravi fotografi, Giuseppe Chiantera, Francesca Leonardi, Simone Perolari, Stefano Romano, abbinate agli articoli
della Dichiarazione universale dei diritti umani. È inoltre disponibile l’agenda settimanale di
Amnesty International, realizzata in collaborazione con l’azienda Legami. L’agenda contiene
informazioni sulla storia dell’associazione e un’interessante panoramica sul lavoro di Amnesty
International in Italia, in Europa e nel mondo.
Per ordinare i prodotti vai su: sostieni.amnesty.it
GEMELLAGGIO PER I DIRITTI UMANI
Domenica 21 settembre in occasione del “Festinval”, manifestazione del borgo medioevale di Valbonne (francia-provenza), che festeggiava il gemellaggio con Marti, borgo toscano
del comune di Montopoli Valdarno, il gruppo Amnesty 73 Liguria, Sanremo, con Daniele
Damiani della circoscrizione hanno organizzato l’evento SOS Europa – Le persone poi le
frontiere.
oltre agli appelli e alle testimonianze è stata presentata la mostra fotografica di Giorgos
Moutafis e il video e le fotografie della veleggiata del 25 luglio a lampedusa. non sono
mancate le barchette gialle e la partecipazione dei bambini entusiasti che hanno firmato
le impronte colorate delle loro mani sulla vela.
Si è tenuto anche un flash-mob per la campagna Stop alla tortura.
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IN ITALIA
AMBASCIATORI
DI DIRITTI
LA GIORNATA
MONDIALE
PER IL DIRITTO ALL’ALLOGGIO
FERMARE LA TORTURA!
Anche quest’anno quasi 110 persone hanno approfittato dell’estate per avvicinarsi ad Amnesty
International, decidendo di partecipare a un campo estivo. Giovani dai 14 ai 25 anni che hanno voluto
saperne di più sulla discriminazione delle donne, dei rom, delle persone Lgbti, sulla tortura, sulla
responsabilità delle imprese. Per questo sono venuti a Panta Rei a Passignano sul Trasimeno, per poi
tornare a scuola, all’università, al lavoro con qualche informazione in più, con un nuovo punto di vista
e con la ferma convinzione che piccoli gesti compiuti da più persone sono in grado di cambiare la vita
di altre persone. Majid e di Said, due dei 60 partecipanti alla quarta edizione del campo di Lampedusa,
all’isola erano approdati anni prima, in fuga da violenze, persecuzioni e violazioni. Chi è stato insieme a
loro al campo non ha potuto fare a meno, un volta tornato a casa, di raccontare le loro storie, diventando
così ambasciatore dei diritti dei migranti, ambasciatori dei diritti umani.
24
Il 21 ottobre tutte le sezioni di Amnesty International
che prendono parte alla campagna Stop alla tortura
organizzeranno una consegna pubblica delle firme alle
ambasciate uzbeke. La petizione internazionale in favore
di Dilorom Abdukadirova, prigioniera di coscienza che sta
scontando una condanna a 18 anni e che ha subito tortura
e altri maltrattamenti durante la detenzione preventiva,
ha raccolto oltre 200.000 firme.
La Sezione Italiana organizzerà un momento pubblico nei
pressi dell’ambasciata con lettere giganti a formare la
frase “Stop tortura”. Ad accompagnarci nella consegna
delle firme ci sarà una nota attivista uzbeka Nadezhda
Atayeva, presidente dell’associazione Human Rights for
Central Asia, che dal 20 al 24 ottobre sarà nostra ospite
per uno speaking tour sulla campagna Stop alla tortura.
Ma questo è solo l’inizio. Vogliamo raccogliere anche le
voci delle cittadine e dei cittadini italiani indignati per
la tortura, determinati a non abbassare la guardia e a
impegnarsi per porvi fine. Cosa vorresti dire ai governi
che torturano? Scrivi la tua indignazione, il tuo pensiero,
una tua riflessione su un foglio e sullo sfondo che puoi
scaricare su staff.amnesty-it/mrddtort.pdf. I messaggi
raccolti faranno parte di un’installazione e verranno
mostrati in occasione degli eventi pubblici legati alla
campagna. I messaggi devono arrivare negli uffici
della Sezione Italiana entro il 30 novembre (Amnesty
International Sezione Italiana - Ufficio attivismo, Via
Magenta 5, 00185 Roma).
Per informazioni: [email protected] o 064490220
IN ITALIA
SOS EUROPA IN MISSIONE
WRITE FOR RIGHTS 3-21 DICEMBRE 2014
In vista del primo anniversario del tragico naufragio del 3 ottobre scorso al largo
di Lampedusa, che è costato la vita a 368 migranti e richiedenti asilo, dal 22 al
28 settembre una delegazione con i direttori di tre sezioni di Amnesty International
(Italia, Germania e Francia) ha condotto una missione in Sicilia per analizzare la
situazione e le condizioni di migranti, rifugiati e richiedenti asilo, alla luce delle
attività dell’Operazione Mare Nostrum. La delegazione ha incontrato il presidente
della regione Sicilia, il sindaco di Lampedusa, il comandante della Capitaneria di
porto di Lampedusa e le associazioni che offrono assistenza ai migranti. Inoltre, la
delegazione ha visitato la base navale dell’Operazione Mare Nostrum ad Augusta.
Il 27 settembre, ad Agrigento il gruppo locale ha organizzato una mobilitazione
pubblica.
Ogni dicembre, centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo scrivono a
qualcuno che non hanno mai incontrato. Mandano lettere e firmano petizioni in
solidarietà con le persone i cui diritti umani sono stati violati; scrivono ai governi e
chiedono giustizia. La Write for Rights è un’azione globale che si svolge ogni anno
in occasione del 10 dicembre, anniversario della Dichiarazione universale dei diritti
umani, alla quale prendono parte oltre 80 sezioni di Amnesty International in tutto
il mondo. Milioni di persone fanno sentire la loro voce. Amnesty International ha
riscontrato che gli sforzi della maratona Write for Rights portano risultati positivi
per almeno un terzo dei casi trattati ogni anno. In Italia, la Write for Rights, si è
svolgerà dal 3 al 21 dicembre e attivisti e sostenitori di Amnesty International
invieranno appelli e messaggi di solidarietà, firmeranno petizioni in favore di John
Jeanette Solstad Remø, Norvegia (Europa); Daniel Quintero, Venezuela (Americhe);
la comunità di Bhopal, India (Asia); Moses Akatugba, Nigeria (Africa); Raif Badawi,
Arabia Saudita (Medio Oriente e Africa del Nord). Si attiveranno per la maratona
Write for Rights anche le scuole di ogni ordine e grado.
:DIRITTI
:Diritti, il fascicolo illustrato sui diritti umani per lettori
e lettrici dagli 8 anni in su, festeggia il 25° anniversario
della Convenzione internazionale sui diritti dei minori
con un numero dedicato alle feste! Riceverlo a casa è
facilissimo, visita www.amnestykids.it/iscriviti.
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APPELLI
GRECIA
Giustizia per Paraskevi Kokoni
ARABIA SAUDITA
Libertà per Raif Badawi
GIAPPONE
Nuovo processo per Hakamada Iwao
Nel villaggio di Etoliko, nella Grecia occidentale,
ci sono stati diversi attacchi razzisti contro la
comunità rom. Nell’ottobre 2012, Paraskevi Kokoni,
il figlio di 11 anni e il nipote affetto da disabilità
mentale di 23, sono stati aggrediti mentre erano
usciti per fare la spesa. Nel novembre 2013, tre
uomini sono stati accusati per aver provocato
gravi danni fisici a Paraskevi e suo nipote durante
l’aggressione. Tuttavia, i precedenti attacchi
razzisti di Etoliko sono stati ignorati e Amnesty
International teme che le indagini non abbiano
preso in considerazione il possibile movente
razzista. La prima udienza era prevista per il 1°
aprile 2014 ma è stata rimandata a novembre.
Il primo settembre 2014, la Corte d’appello
di Gedda ha confermato la condanna di Raif
Badawi a 10 anni di prigione, 1000 frustate
e una multa di 1.000.000 di rial sauditi (circa
196.000 euro), per aver creato e amministrato il
sito Saudi Arabian Liberals e per aver insultato
l’Islam. Raif Badawi è un prigioniero di coscienza.
Il 29 luglio 2013, il tribunale di Gedda l’aveva
condannato per violazione della legge vigente
sulla tecnologia informatica, insulto alle autorità
religiose mediante alcuni post, suoi e di altri
autori, pubblicati sul suo sito web. È detenuto,
nel carcere di Briman, a Gedda, dal 17 giugno
2012.
Hakamada Iwao è stato condannato a morte
per un omicidio avvenuto nel 1966. Dopo 20
giorni di interrogatori da parte della polizia,
senza l’assistenza di un avvocato, Hakamada
Iwao aveva confessato il delitto. In seguito ha
ritrattato e, durante il processo, ha dichiarato di
essere stato picchiato e minacciato dalla polizia,
che lo ha obbligato a firmare la confessione.
Oggi ha 78 anni e ha trascorso più di 45 anni nel
braccio della morte, in attesa ogni giorno della
possibile esecuzione. Il 27 marzo 2014, la corte
distrettuale di Shizuoka ha accolto la richiesta
di un nuovo processo e Hakamada Iwao è stato
rilasciato lo stesso mese.
Chiedi al Presidente del Consiglio Matteo Renzi
di impegnarsi nel semestre italiano dell’Ue per
chiedere indagini complete sui crimini d’odio.
Scrivi a re Abdullah bin Abdul Aziz Al Saud e
chiedi il rilascio incondizionato e l’annullamento
della condanna di Raif Badawi!
Scrivi al procuratore generale affinché Hakamada
Iwao possa avere un nuovo processo subito!
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INTERVISTE
Prefetto Francesco Cirillo
OSCAD: UN PONTE CONTRO
LA DISCRIMINAZIONE
a cura di Elena Santiemma
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Come è nato l’Osservatorio per la sicurezza
contro gli atti discriminatori (Oscad) e qual è il
suo ruolo?
Nel settembre 2010, l’allora Capo della polizia,
pref. Antonio Manganelli, ebbe un incontro con
una delegazione di associazioni Lgbt che lanciò un
grido d’aiuto alle Forze di polizia per le numerose
aggressioni ai danni di persone omosessuali
verificatesi in diverse città d’Italia quell’estate. Ci si
rese conto di essere in grave ritardo nell’affrontare
la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni.
Da questo appello è nato l’Oscad, un organismo
interforze, e sono state avviate importanti
collaborazioni con associazioni e istituzioni.
La nostra mission è dunque essere un “ponte” tra le
vittime di atti discriminatori e le Forze di polizia. Il
primo passo da compiere è far emergere il fenomeno
e combattere il così detto under reporting, ossia la
non segnalazione di un episodio di discriminazione
subìto. I reati non denunciati non sono perseguiti
e restano invisibili. Per questo motivo si è cercato
di agevolare la denuncia mettendo a disposizione
un’apposita casella di posta elettronica e numeri
di fax dedicati, impiegando operatori altamente
qualificati.
La conoscenza dei dati, poi, consente di sviluppare
analisi, quantificando e qualificando la gravità del
fenomeno e predisporre così adeguate contromisure.
Per fare tutto questo è fondamentale assicurare
agli operatori di polizia una formazione ad hoc,
fornendo non solo istruzioni operative ma regole
per relazionarsi correttamente con la vittima e
instaurare un rapporto di fiducia reciproca.
Cosa accade praticamente quando ricevete una
segnalazione?
Le segnalazioni ricevute vengono sottoposte a un primo
esame per individuare se l’evento attiene o meno alla
sfera della sicurezza. Se il fatto segnalato non costituisce
un episodio discriminatorio e non ha rilevanza penale,
l’interessato viene invitato a rivolgersi alle associazioni
di categoria o ad altri enti competenti. Qualora la
segnalazione descriva un atto discriminatorio non
costituente reato, il caso viene sottoposto all’Unar (Ufficio
nazionale antidiscriminazioni razziali).
Quando l’episodio rappresentato attiene alla sfera della
sicurezza, copia della segnalazione viene trasmessa alle
direzioni centrali della Polizia di stato e del comando
generale dell’Arma dei carabinieri, che curano la
successiva diramazione alle articolazioni territoriali.
Se l’atto discriminatorio è stato posto in essere attraverso
Internet, la segnalazione viene inoltrata al Servizio di
polizia postale e delle comunicazioni. Laddove ci siano
gli estremi di una fattispecie costituente reato per la
quale è prevista la procedibilità a querela, si invita il
segnalante a recarsi presso il più vicino ufficio di polizia
per formalizzare la querela.
Quali sono i dati relativi ai crimini d’odio rilevati
dall’Oscad?
L’ordinamento penale italiano non prevede la definizione
di crimine d’odio. Tuttavia, è previsto il reato di
istigazione all’odio, nonché una circostanza aggravante
(che comporta un aumento generale della pena), qualora
un reato venga commesso con una motivazione d’odio.
In entrambi i casi, però, tutte le disposizioni fanno
riferimento solo all’odio etnico, nazionale, razziale o
religioso. Tuttavia, i dati di cui dispone l’Oscad relativi alle
segnalazioni ricevute, non sono cumulabili né coincidenti
con i dati ufficiali delle Forze di polizia né con quelli in
possesso del ministero della Giustizia. Ciò premesso, al 14
luglio 2014 sono pervenute all’Oscad complessivamente
933 segnalazioni, di cui 354 concernenti atti discriminatori
costituenti reato, 270 segnalazioni che riguardano il web
e 309 relative a fatti di altra natura. Delle segnalazioni
relative ad atti discriminatori costituenti reato, il 52 per
cento riguardavano l’etnia, il 26 per cento l’orientamento
sessuale, l’identità di genere e il genere, il 17 per cento
il credo religioso, il 2 per cento l’età, il 2 per cento la
disabilità e un 1 per cento altro.
L’Oscad svolge anche attività di formazione. Di che
genere?
La formazione riveste una particolare importanza nelle
attività dell’Oscad, perché cruciale per sensibilizzare il
personale delle Forze di polizia sui temi del rispetto dei
diritti umani e della prevenzione/contrasto degli atti di
discriminazione. In proposito, sono state intensificate le
AMNESTY INTERNATIONAL E L’OSCAD
Combattere la discriminazione e difendere i diritti di donne, migranti, rom e persone
Lgbti in Italia, con questo obiettivo Amnesty International Italia ha collaborato con
l’Oscad a un vasto programma di formazione. Tra marzo e giugno 2014, assieme
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relazioni con istituzioni e associazioni attive in ambito
antidiscriminatorio, come con Amnesty International,
e sono state rafforzate le attività formative congiunte.
Inoltre, in ambito internazionale, l’Oscad ha promosso
un importante progetto formativo realizzato con l’OsceOdihr, denominato Tahcle (Training Against Hate Crimes
for Low Enforcement), sulla prevenzione e il contrasto
dei crimini d’odio. In ambito nazionale portiamo avanti
le nostre attività formative presso la Scuola superiore di
polizia per i corsi dirigenti e commissari e una capillare
campagna di formazione in materia di diritti umani,
antidiscriminazione e contrasto dei crimini d’odio in tutti
i corsi di formazione della Polizia di stato.
Quali attività avete in programma?
Durante il semestre europeo di presidenza italiana,
l’Oscad parteciperà a una giornata di confronto sulla
tematica della violenza di genere. Inoltre, sarà fra gli
esponenti di punta di un gruppo di lavoro internazionale
di livello tecnico in materia di crimini d’odio, promosso
dall’Agenzia per i diritti fondamentali dell’Ue e finalizzato
a coordinare e ottimizzare gli sforzi profusi dai paesi in
materia. Prevediamo inoltre attività formative interforze
per il personale delle Forze di polizia e auspichiamo di
riuscire a realizzare, insieme ad Amnesty International,
un’attività formativa sulle problematiche relative alle
popolazioni rom e sinti.
a funzionari Oscad, realtà operative della Polizia di stato e gli avvocati della
Rete Lenford (retelenford.it), i formatori di Amnesty Italia hanno incontrato circa
1850 attori-chiave nella protezione dei diritti umani, gli allievi di diverse scuole
di Polizia italiane, parlando di crimini d’odio, normativa antidiscriminatoria,
profilazione etnico-razziale, gestione operativa di casi con vittime vulnerabili.
INTERVISTE
Mud
TU DA CHE
PARTE STAI?
a cura di
Beatrice Gnassi
Mud, alias Michele Negrini, ex frontman dei Terzobinario,
ha vinto il Premio Amnesty Emergenti 2014 sul palco di
Voci per la libertà, con il brano “Metti un giorno ti svegli
(tu da che parte stai)?”.
Complimenti innanzitutto per la vincita del Premio Amnesty Emergenti 2014!
Come è nato il brano che hai portato a Voci per la libertà?
Il brano è nato pensando a tutti quei diritti che a volte diamo per scontati nelle
nostre giornate e non ci rendiamo conto che un tempo non era così e potrebbe non
essere così per chi viene dopo di noi. Ogni giorno dobbiamo essere consapevoli e
farci carico di come vanno le cose.
Quando ho ascoltato il brano mi è subito venuta in mente la scritta sulle strisce
pedonali di Buenos Aires “Mai più guardare dall’altra parte”. Eppure guardiamo di continuo altrove, dicendoci che non ci riguarda, che non è colpa nostra,
che è lontano da noi…
Credo che sia necessario partire da piccoli gesti. Di fronte a problemi molto importanti il rischio è che ci sentiamo impotenti e inutili, come di fronte alle guerre, alla violenza sulle donne, all’accoglienza della diversità. Bisogna ripartire da
quello che ci capita tutti i giorni, stare vicini alle persone che hanno bisogno e che
abbiamo accanto, questo può darci l’energia per fare cose anche più grandi.
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In realtà non era la prima volta che salivi sul palco di Voci per la libertà da vincitore. Nel 2009 hai
vinto con i Terzobinario, con il brano “Rights Here!
Rights Now!”. Sono state due esperienze diverse?
E perché hai deciso di tornare su quel palco?
Sono state esperienze molto diverse. Innanzitutto
perché si è un po’ più nudi da soli mentre il gruppo
ti da più forza. È stata una grande gioia e stupore intanto l’essere arrivato fin lì e poi aver vinto. Ho
voluto riprovarci perché penso che lo scrivere canzoni non sia staccato dalla nostra vita. Ognuno di noi
porta nelle sue canzoni quello che è e nella mia vita
ci sono alcune passioni forti. Per me anche solo essere presente era importante, per dare il mio piccolo
contributo alle battaglie che Amnesty International
porta avanti. Salire su quel palco significa dire “Io
sto da questa parte!”. Ci tengo inoltre a ringraziare
tutti i ragazzi che organizzano Voci per la libertà, che
hanno avuto l’idea geniale di unire la musica e i diritti umani, una sfida importante che stanno portano
avanti con tanta passione e bravura.
scina verso il basso e ogni giorno dobbiamo fare quello sforzo di alzare lo sguardo e guardare all’orizzonte
lontano per continuare a camminare con la testa alta.
Da dove nasce il nome Mud?
Io vivo in un piccolo paese vicino a un grande fiume
che è il Po, quindi la commistione tra terra e acqua, la
palude fanno parte di me. Nel progetto inoltre ci sarà
una commistione con l’inglese. Viviamo tutti dentro a
un fango fatto di una quotidianità che spesso ci tra-
Cosa vorresti dire agli attivisti, ai soci, a tutte le
persone che partecipano alle attività di Amnesty
International?
Che siamo dalla stessa parte! Partendo da punti di
vista diversi, ognuno di noi da il suo contributo! A
Rosolina Mare poi ho incontrato i ragazzi di Amnesty
Quali sono i tuoi programmi per il prossimo futuro
e pensi che Amnesty International possa in qualche modo farne parte?
Intanto in autunno dovrei pubblicare il mio primo album! Spero che questo incontro con Amnesty International possa avere un seguito. A me piacerebbe fare
la mia parte attraverso la musica. A Rosolina Mare, il
cantante dei Perturbazione diceva una cosa che condivido molto: nessun musicista può essere “il musicista di Amnesty” e ad Amnesty International non
servono solo testimonial famosi che ne diventino unici portavoce. Invece è importante che tutti gli artisti
che credono nelle battaglie di Amnesty se ne facciano
portatori, ognuno come può e crede. Ogni musicista è
prima di tutto una persona e se riesce a portare nella
propria arte tutte le sue sfaccettature, anche le battaglie di Amnesty troveranno il giusto spazio.
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International che sono stati bravissimi nel coinvolgermi e spiegarmi l’importanza di contribuire concretamente con un impegno mensile per sostenere
l’organizzazione. Quando le cose nascono dai contatti umani quello che si semina cresce più forte.
LIBERTÀ
CONFLITTI
RAGAZZI
DA NON PERDERE
MADONNA LIBERACI DA PUTIN!
LA GUERRA DENTRO
lasciato una traccia indelebile in questo
cammino; un cammino che non si deve
fermare e per questo la 21ma scheda delle
“carte in tavola” è completamente bianca
e invita ogni bambino e ogni bambina a
esprimersi con parole e disegni per dare il
suo contributo.
Le “carte in tavola” sono inoltre corredate
da un bugiardino che suggerisce modi di
utilizzo e attività per riflettere, giocare, far
volare la fantasia e immaginarsi ognuno la
propria storia e il proprio cammino in difesa
dei diritti umani, a scuola, con gli amici, in
famiglia.
Il materiale sulle azioni delle Pussy Riot
spedito da un anonimo - che vuole rimanere
tale - all’editore Claudio Fucci, è lo scheletro
di questo volume. La carne ce la mettono
Daniele Paletta e Mikhail Amosov: il primo
controllando le fonti e integrando con la sua
sapienza musicale, il secondo traducendo i
testi dal russo e spiegando usi e costumi
di una cultura così diversa dalla nostra.
Il testo, appassionante e coraggioso, sa
guardare con la lungimiranza di uno studio,
una storia a noi ancora eccessivamente
vicina, analizzandone anche l’aspetto
mediatico.
Il cammino dei diritti
Janna Carioli, Andrea Rivola
Fatatrac, settembre 2014,
€ 9,90 (carte in tavola)
€ 18,90 (albo illustrato) Età: dai 6 anni
Madonna liberaci da Putin!
Andrea Vania
a cura di Daniele Paletta,
Mikhail Amosov e Claudio Fucci
Vololibero, febbraio 2014, € 15,00
La guerra della Siria vista da un punto
d’osservazione diretto e drammatico:
Aleppo e la sua regione. Francesca Borri,
freelance i cui reportage sono spesso
ospitati da il Fatto Quotidiano, ha trascorso
alcuni mesi sotto le bombe, nei rifugi
con famiglie intere sempre più infuriate
contro i presunti “liberatori”, al fronte in
una guerra immobile in cui conquistare
10 metri di terreno sembrava ogni volta il
segno della vittoria definitiva dei gruppi
dell’opposizione armata. Il suo racconto
denuncia la ferocia insensata della guerra
e il cinismo del sistema dell’informazione
che non poche volte di quella ferocia si
nutre per fare lo “scoop”.
IL CAMMINO DEI DIRITTI
“Il cammino dei diritti” nasce da un’idea
di Amnesty International in collaborazione
con la casa editrice Fatatrac: due bellissimi
strumenti educativi che, con un formato
diverso, narrano la stessa storia.
Ventuno “carte in tavola” e un albo
illustrato raccontano gli avvenimenti che
hanno rappresentato un passo in avanti nel
cammino dei diritti umani nella storia.
Per ogni data un’illustrazione di Andrea
Rivola, una poesia di Janna Carioli e una
didascalia fanno rivivere gli eventi e i
personaggi attraverso colori, rime e parole.
Si parte dal 1786 con l’abolizione della
pena di morte nel Granducato di Toscana
e si arriva al 2013, in Pakistan, con Malala
Yousafzai e il suo appello per il diritto
all’istruzione. Nel mezzo tante tappe che
ci ricordano la strada percorsa fino a oggi,
costellata di date e persone che hanno
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La guerra dentro
Francesca Borri
Bompiani, maggio 2014, € 12,00
CARCERE
SOCIETÀ
CONFLITTI
ATTIVISMO
CODICE A SBARRE
(IN)SICUREZZE
IL RITORNO
EVERYDAY REBELLION
“Codice a sbarre” rappresenta il risultato
finale di un importante laboratorio di
scrittura curato dalla Ibiskos Editrice
Risolo, che ha visto come protagoniste le
ospiti della Casa circondariale femminile di
Empoli. Il volume raccoglie testimonianze,
riflessioni, considerazioni e storie raccolte
e coordinate da Patrizia Tellini, a sua volta
ospite in passato della struttura detentiva e
oggi addetta stampa del Comune di Empoli.
I proventi delle vendite di questo libro
verranno devoluti a sostegno di progetti,
scelti dalle ospiti, che contribuiscano alla
loro risocializzazione.
Dalla musica dei corridos messicani
all’organizzazione degli spazi urbani,
dal ruolo degli esperti alla violenza delle
bande giovanili, dalla privatizzazione alla
stregoneria africana, dall’immigrazione
alla demonizzazione del capitalismo, dalle
chiese pentecostali ai narco-trafficanti,
l’(in)sicurezza pervade la contemporaneità.
La cornice è il capitalismo neoliberale,
per il quale sicurezza e insicurezza sono
funzionali al mantenimento di un ordine
politico, sociale e culturale, fondato
sulla diseguaglianza. Il volume esplora
la costruzione del binomio sicurezza/
insicurezza nel mondo neoliberale.
Questo libro è un puzzle: di ricordi, nostalgie,
desideri, di perdite e di ritrovamenti.
La scrittura di Ana Kramar, costretta a
scappare dalla sua casa durante il conflitto
in Bosnia, nasce dall’esigenza profonda,
umana ancor prima che letteraria, di
ricostruire un mondo perduto, distrutto
dalla guerra e dalla lontananza. Una
raccolta di racconti che narrano storie
migrabonde dalle quali emerge una
“potenza ombelicale”, un ponte personale
e culturale sul quale Ana Kramar si muove
con la disinvoltura di un’equilibrista. Un
ponte sospeso ma “edificabile”, che ci
rivela le qualità umane e artistiche di una
scrittrice vera.
Il documentario fa una panoramica sui
gruppi di protesta creativa e non violenta
di tutto il mondo, documentando la
quotidiana rivoluzione di alcune delle più
creative e innovative realtà degli ultimi
anni: Occupy Wall Street, la Primavera
araba, il Movimento spagnolo 15M e le
Femen ucraine. Gli attivisti dei diversi
movimenti si raccontano, presentano i loro
metodi, diversissimi eppure tutti ispirati
al principio pacifista. ll film non è che una
parte di un progetto per creare strumenti
per la comunicazione e l’informazione degli
attivisti in tutto il mondo.
Codice a sbarre
AA.VV.
Ibiskos Editrice Risolo, settembre 2014,
€ 15,00
(In)sicurezze
Javier González Díez,
Stefano Pratesi, Ana Cristina Vargas
Novalogos, maggio 2014,
€ 30,00
Il ritorno. Storie migrabonde
Ana Kramar
Gilgamesh Edizioni, febbraio 2014,
€ 10,00
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Everyday rebellion
Fratelli Riahi
Officine Ubu
Svizzera, Germania, Austria 2013
Nei cinema dall’11 settembre
RAGAZZI
CONFLITTI
ITALIA
CONFLITTI
AKIM CORRE
UCRAINA
IL PARTITO DELLA POLIZIA
KADAMOU
Sarà disponibile nelle librerie a partire
da novembre il bellissimo albo illustrato,
“Akim corre” di Claude K. Dubois. Amnesty
International ha voluto patrocinare l’edizione
italiana di questa storia a lieto fine,
raccontata attraverso illustrazioni in bianco
e nero, a volte poco più che schizzi. Pagine
“silenziose”, che non hanno quasi bisogno di
parole ma che riescono attraverso immagini
forti, a narrare ai più piccoli le vicende dei
tanti bambini costretti alla fuga dalla violenza
della guerra e il loro diritto a essere protetti e
accolti. La sorpresa del lieto fine invita piccoli
e grandi lettori a fare qualcosa per regalare lo
stesso lieto fine ai tantissimi bambini in fuga.
Fra la cronaca di oggi e la storia di ieri
questo libro propone la prima ricostruzione
di un processo di democratizzazione ancora
incompiuto. La fine dell’Unione Sovietica,
la rivoluzione arancione, il regime di
Janukovic, le proteste di Majdan, il rischio
di una guerra civile. Una trama di differenze
culturali e linguistiche interrogate nella
loro profondità. “La nazione è una comunità
immaginata”: questa è la sola prospettiva
entro cui leggere i recenti avvenimenti.
Disegnando le tappe di questo processo
l’autore riflette sull’attualità, nella
consapevolezza di un’Europa sempre troppo
fragile.
Dai processi per le violenze e le torture
durante il G8 di Genova del 2001 e dalle
“prove generali” delle manifestazioni
di Napoli, represse duramente tre mesi
prima, Marco Preve legge, attraverso
ulteriori fatti drammatici (Cucchi,
Aldrovandi…) e vicende di “malapolizia”
solo apparentemente secondarie, un
sistema di coperture, impunità, solidarietà
di corpo e cameratismo, che ha permesso a
molti dirigenti di polizia di uscire immuni,
in non pochi casi addirittura promossi e
comunque intoccabili, da oltre un decennio
di violazioni dei diritti umani in Italia.
Ambientato nella Repubblica Centrafricana,
nel luglio 2013, il libro racconta una
giornata particolare di un’équipe chirurgica
di un’organizzazione umanitaria, in un
paese in mano ai signori della guerra,
dopo un cruento colpo di stato. I sentimenti
contrastanti di chi è in prima linea, la paura,
l’amore e l’odio hanno come sfondo un’Africa
dannatamente bella e affascinante. L’autore
di questo romanzo, Antonio Bruscoli, chirurgo
da 30 anni, grazie alla sua esperienza come
medico di Emergency, riesce a tratteggiare
un quadro realistico delle crisi umanitarie
generate da guerriglie e conflitti bellici che
affliggono il continente africano.
Akim corre
Claude K. Dubois
Babalibri, novembre 2014, € 11,50
Età: dai 6 anni
Il partito della polizia
Marco Preve
Chiarelettere, marzo 2014, € 13,90
Ucraina. Insorgere per la democrazia
Simone Attilio Bellezza
La Scuola, luglio 2014, € 8,50
33
Kadamou
Antonio Bruscoli
Falco Editore, luglio 2014,
€ 15,00
SOSTIENICI!
> CONTATTA IL GRUPPO PIÙ VICINO!