1368259076-trauma cranico - Facoltà di Medicina e Chirurgia

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1368259076-trauma cranico - Facoltà di Medicina e Chirurgia
Trauma cranio-encefalico
I traumi cranio-encefalici sono danni funzionali o strutturali del SNC causati da forze
fisiche meccaniche (dal greco trauma = lesione, ferita) e si determinano ogni
qualvolta vi sia stato un impatto al capo, sia presente una lesione cutanea o un
episodio di perdita di coscienza di durata variabile.
Le cause più frequenti sono rappresentate da:
- incidenti stradali,
- cadute accidentali ed incidenti domestici,
- attività sportive,
- incidenti sul lavoro,
- aggressioni,
- altro.
L’abuso di alcool e l’uso di droghe sono le concause più importanti da tenere in
considerazione soprattutto nei soggetti in età giovanile.
Il trauma cranico rappresenta, per frequenza e per impiego di risorse, uno dei
maggiori problemi sanitari nei Paesi maggiormente industrializzati. La sua incidenza
annua è stimata attorno ai 300 casi per 100.000 abitanti, con maggiore frequenza nel
maschio in età giovanile-adulta; di questi 30-40 vanno incontro ad esiti invalidanti;
mentre la mortalità riferibile ai traumi cranici o alle loro conseguenze comprende il 5
% di tutti i decessi.
L’outcome di questi pazienti è drammaticamente influenzato dalla qualità del
trattamento nelle prime ore dopo il trauma e in particolare dalla concomitanza di
fattori sistemici di aggravamento, quali l’ipotensione arteriosa, l’ipossia e il ritardo
diagnostico delle lesioni chirurgiche. L’approccio clinico-diagnostico in urgenza del
traumatizzato cranico è complesso e per tale motivo deve essere quanto più possibile
multidisciplinare ed integrato. Di fondamentale importanza ai fini dell’outcome,
infatti, è la prima ora dall'evento traumatico per il controllo e la stabilizzazione dei
parametri vitali del paziente. La creazioni di linee guida specifiche nonché
l’organizzazione di un dipartimento per l’emergenza ha favorito la riduzione sia dei
tempi di intervento che degli esiti derivanti da un trattamento tardivo.
Anatomia patologica e fisiopatologia del trauma cranioencefalico
Le lesioni cranioencefaliche
Le lesioni cranioencefaliche di origine traumatica sono distinte in base al tempo di
insorgenza in immediate, precoci e tardive. Le lesioni immediate possono interessare
gli involucri (ferite, contusioni della cute, fratture ossee, lesioni durali) o il
parenchima cerebrale (contusione cerebrale, danno assonale diffuso, lesione troncale,
emorragia subaracnoidea); le lesioni precoci comprendono l’ematoma (extradurale,
subdurale, intracerebrale), la lacerazione cerebrale e il rigonfiamento cerebrale
diffuso; mentre le lesioni tardive includono l’ipertensione endocranica, l’ischemia e
le infezioni.
LESIONI CRANIOENCEFALICHE IMMEDIATE
Lesioni cutanee conseguenti al contatto tra forza traumatica e cuoio capelluto, in
genere sono le sedi del punto di impatto, possono associarsi a lesioni ossee e durali
sottostanti: in quest’ ultimo caso il trauma viene definito aperto.
La frattura cranica è conseguente alla brusca deformazione e rottura della teca su
una ampia superficie e può estendersi dalla volta alla base. Quando si ha
un’estensione verso la fossa cranica anteriore o verso la rocca possono essere
coinvolti rispettivamente il nervo olfattorio, i nervi ottici, il VII e l’VIII. Raro è
l’interessante dei nervi cranici bassi per fratture occipitali. Lesioni della fossa cranica
anteriore o media accompagnate da lesione durale o aracnoidea possono dar luogo a
fuoriuscita di liquor cefalorachidiano (oto o rino-liquorrea).
La contusione cerebrale è una lesione che interessa la superficie cerebrale, essa si
differenzia dalla lacerazione cerebrale poiché pia ed aracnoide sono integre, è
caratterizzata da un coinvolgimento vascolare focale che dà luogo ad emorragia da
lesione vasale, edema da vasoparalisi e necrosi ischemica. È una lesione evolutiva. La
contusione può essere sottostante ad una frattura nel punto di impatto: contusione da
colpo o può essere localizzata in sede opposta al punto di impatto ed in tal caso viene
definita contusione da contraccolpo. Le contusioni cerebrali conseguenti all’effetto
diffuso della forza traumatica solitamente localizzate a livello dei poli frontali e
temporali e dovute all’urto di tali superfici contro le asperità ossee delle basi quando
il capo è sottoposto a movimenti di accelerazione-decelerazione sono definite lesioni
da colpo intermedio. In tali circostanze la mobilità relativa dell’encefalo rispetto al
cranio e l’improvvisa decelerazione producono un impatto improvviso di queste aree
sulle superfici ossee.
Danno assonale diffuso: è la conseguenza dell’effetto diffuso della forza traumatica
all’intera massa encefalica, è un danno primario ed interessa selettivamente gli assoni
senza iniziale coinvolgimento cellulare o vascolare, non si accompagna ad
ipertensione endocranica né a danni ischemici immediati, si instaura immediatamente
dopo il trauma. L’entità del danno assonale (n° di assoni coinvolti) dipende dalla
quantità di energia applicata, con l’aumentare della forza applicata il danno assonale
si estende dai centri semiovali al corpo calloso e alla sostanza bianca profonda
(capsula interna, tronco cerebrale). L’entità del danno assonale determina la gravità
dello stato clinico e la prognosi del paziente. La lesione assonale nella sua estensione
dalla sostanza bianca emisferica fino al tronco cerebrale, è in grado di produrre una
disconnessione tra strutture corticali e strutture attivanti del tronco cerebrale deputate
al mantenimento dello stato di vigilanza e coscienza (sostanza reticolare). La lesione
assonale diffusa è responsabile dello stato di coma che si instaura immediatamente
dopo il trauma indipendentemente dalla presenza di lesioni focali. La durata e la
gravità dello stato di coma, l’entità dei disturbi neurologici che l’accompagnano
(risposta motoria, deficit dell’oculomozione) l’evoluzione verso quadri clinici
vegetativi persistenti, l’entità degli esiti neuropsicologici post-traumatici e
dell’amnesia post-traumatica dipendono dall’entità del danno assonale. La durata e la
gravità dello stato di coma sono indici della gravità del danno assonale. Le lesione del
tronco sono responsabili dello stato di coma immediato, in quanto non può esserci
consapevolezza senza vigilanza. La lesione della sostanza reticolare determina,
pertanto, uno stato di coma che successivamente evolve verso lo stato vegetativo
persistente per la riattivazione nel tempo della sostanza reticolare. Le lesioni
emorragiche (corpo calloso, nuclei basali, tronco cerebrale) evidenziate dalla TAC
e/o dalla RMN sono indicativi del danno assonale diffuso.
Emorragia subaracnoidea presente nel 60 % dei traumi cranici gravi. Produce una
modificazione dei meccanismi di autoregolazione del flusso cerebrale (PA, PCO2).
LESIONI PRECOCI
Sono dovute a lesione vascolare e al conseguente aumento del volume intracranico:
Ematoma extradurale: si forma tra teca cranica e dura madre, è una lesione focale
dovuta al distacco improvviso e alla lacerazione di vasi meningei con scollamento
della dura dalla teca (+ frequente nei giovani). È di origine arteriosa (in genere si ha
lacerazione dell’arteria meningea media), ha sviluppo rapido e già dopo poche ore
possono svilupparsi i segni dell’ipertensione endocranica.
Ematoma subdurale: è dovuto alla rottura dei vasi a ponte tra encefalo e dura madre
ed è di origine venosa ed arteriosa. Può essere acuto e cronico a sviluppo lento. In
quest’ultimo caso, dopo un intervallo libero di alcuni giorni, compaiono i segni
neurologici che variano a seconda della sede interessata e sono accompagnati da
irrequietezza, cefalea, sonnolenza, crisi epilettica, fino ad arrivare, con il progressivo
sviluppo dell’ematoma ad un quadro di "ipertensione endocranica". L’ematoma
subdurale
acuto
è
rapidamente
ingravescente
e
costituisce
un’emergenza
neurochirurgia molto più grave dell’ematoma extradurale in quanto frequentemente
associato a lesione parenchimale sottostante la raccolta ematica.
Ematoma intracerebrale o lacerazione: si manifesta con la rottura vasale
responsabile della formazione dell’ematoma, la compressione e lo spasmo
responsabile dell’ischemia tessutale e la vasoparalisi responsabile della formazione di
edema. Si differenzia dalla contusione per la contemporanea lesione della pia e
dell’aracnoide, è una lesione evolutiva.
Rigonfiamento ed edema cerebrale: il rigonfiamento cerebrale è una condizione
caratterizzata da un abnorme risposta vascolare con vasodilatazione ed aumento del
volume extracellulare (VEC), il rigonfiamento non è sinonimo di edema. Alla fase di
iperemia segue l’edema. Il rigonfiamento cerebrale diffuso interessa l’encefalo in
toto, può complicare un quadro di danno assonale diffuso ed è responsabile di
ipertensione endocranica.
L’edema cerebrale post-traumatico è primariamente vasogenico ed è conseguente
all’alterazione della barriera emato-encefalica con spandimento extracellulare di
costituenti plasmatici (proteine, H2O, elettroliti, Na+), successivamente è anche
citotossico ed è caratterizzato dall’alterazione della pompa Na+/K+ con accumulo di
acqua intracellulare. L’edema cerebrale è caratterizzato da perdita del tono vascolare,
vasodilatazione ed iperemia, ↑ del flusso ematico cerebrale. Clinicamente si hanno i
segni di ipertensione endocranica e stato di coma.
LESIONI TARDIVE
Le lesioni tardive sono rappresentate dall’ipertensione endocranica, l’ischemia le
infezioni.
Ipertensione endocranica
L’aumento della pressione intracranica (PIC) è in genere secondario ad un aumento
di uno dei fattori intracranici (liquidi, parenchimatosi o ematici) o alla presenza di
neoformazioni (tumori, ematomi, ascessi) o all’associazioni di più cause.
Cause di ipertensione endocranica da aumento dei compartimenti cerebrali possono
essere liquorali, vascolari, parenchimali (Tabella 1):
Liquorali
Difficoltà
Vascolari
di
drenaggio
Parenchimali
del ↓deflusso venoso giugulare
liquor
contenuto
↑
H2O
del
parenchima (edema cerebrale)
Difficoltà di riassorbimento del ↑flusso ematico cerebrale
liquor
Tabella 1. Ipertensione endocranica: cause
Quando l’aumento di volume intracranico è notevole esiste il rischio di incuneamento
cerebrale. La sindrome da incuneamento cerebrale è legata alla dislocazione di
strutture sopracorticali dalla loro sede naturale, ed è responsabile di una
compressione su strutture sottocorticali. I malati presentano in questo caso delle
alterazioni dello stato di coscienza, del diametro pupillare e del ritmo respiratorio. Si
hanno due sindromi di incuneamento cerebrale: assiale e uncale. L’incuneamento
assiale sopraggiunge quando gli effetti della lesione intracranica fanno convergere la
pressione sul tronco dell’encefalo (peggioramento dello stato di coscienza,
iperventilazione, pupille di diametro medio ed irregolari). L’incuneamento uncale è
secondario a lesioni lateralizzate che spingono la parte mediana del lobo temporale
verso il tronco dell’encefalo comprimendo il III nervo cranico, l’oculomotore. Esso è
caratterizzato inizialmente da: pupille
dapprima non reagenti alla luce e
successivamente midriatiche, respiro, livello di coscienza e risposte motorie
conservati.
Se
cardiorespiratoria.
non
Le
si
interviene
due
immediatamente
sindromi
caratterizzano
compare
il
livello
insufficienza
anatomico
dell’alterazione della funzione, ma non sono specifiche dell’eziologia della lesione
responsabile.
La PIC aumenta, inoltre, quando si ha un aumento delle pressione arteriosa, del
volume e del flusso ematico cerebrale.
L’ipertensione endocranica determina ischemia sia attraverso una riduzione della
Pressione di Perfusione Cerebrale
(PPC) sia attraverso un ostacolo della
microcircolazione che rende l’apporto di O2 inferiore alla richiesta. L’ischemia,
inoltre, alterando la permeabilità di membrana attraverso la perdita funzionale delle
pompe di membrana, determina edema citotossico responsabile di un ulteriore
aumento della PIC.
In presenza di Ipertensione Endocranica l’obiettivo terapeutico
è quello di
sorvegliare che l’apporto di O2 al cervello rimanga superiore alla sua richiesta al fine
di evitare l’ischemia cerebrale. Ciò si ottiene sia attraverso l’aumento della PPC
secondario alla riduzione della PIC, sia attraverso l’ottimizzazione del trasporto di
O2 al cervello con l’aiuto di un monitoraggio dell’emodinamica cerebrale (doppler
transcranico) e del metabolismo cerebrale (misura della differenza artero-venosa
cerebrale in O2 e della Saturazione del sangue venoso giugulare, SjO2).
Le lesioni cerebrali traumatiche vengono, inoltre, distinte in base alla estensione
in focali e diffuse.
Lesioni focali: ematomi extra ed intracerebrali, contusioni e lacerazioni del tessuto
cerebrale, lacerazioni vascolari e dei nervi cranici. Ad una lesione focale quasi
sempre fa seguito edema cerebrale perifocale di tipo vasogenico. Tali lesioni
aumentano progressivamente di volume e determinano un quadro di ipertensione
endocranica con aggravamento dello stato di coscienza. Per tali lesioni è indicato il
trattamento chirurgico.
Lesioni diffuse: sono determinate dalle componenti inerziali delle forze sul S.N.C.
Anatomicamente si presentano come emorragie sul corpo calloso e nella parte più
craniale e dorsale del tronco. Sul piano clinico sono responsabili della perdita di
coscienza e dello stato di coma immediato.
Lesioni diffuse sono anche il DAI ed il rigonfiamento cerebrale.
Nei traumi cranioencefalici gravi si possono associare lesioni focali e lesioni diffuse
responsabili di un coma immediato e della comparsa secondaria di danno neurologico
focale.
In base alla presenza o meno di una comunicazione tra contenuto intracranico ed
ambiente esterno il trauma è diviso in:
- aperto,
- chiuso.
La differenza sostanziale tra i due tipi di trauma è la concreta possibilità, nel trauma
cranico aperto, di complicanze settiche quali meningite, encefalite e
empiema
sottodurale.
La lesione primaria e secondaria
La lesione cerebrale può essere, distinta in primaria (si stabilisce al momento del
trauma, è caratterizzata da distruzione neuronale, è in genere irreversibile) o
secondaria (è potenziale, è favorita da fattori intra ed extracranici ed ha come
denominatore comune l’ischemia).
La lesione primaria può essere focale e/o diffusa.
Le lesioni primarie focali (ematoma extradurale, sottodurale acuto, intracerebrale)
aumentano progressivamente di volume e determinano un quadro di ipertensione
endocranica che si sviluppa dopo un intervallo libero. Lo stato di coscienza si
aggrava, successivamente, dopo il trauma.
Le lesioni primarie diffuse sono: le lesioni assonali diffuse e
il rigonfiamento
cerebrale diffuso. Le lesioni assonali diffuse sono dovute ad un disallineamento della
sostanza bianca con rottura di vasi e di assoni. Il quadro clinico è caratterizzato da
uno stato di coma immediato. Il rigonfiamento cerebrale diffuso è caratterizzato da
iperemia (vasodilatazione) ed edema.
La lesione secondaria è generalmente una lesione ischemica, la cui insorgenza è
favorita dalla gravità della lesione primaria, da fattori extracranici, dall’ipertensione
endocranica.
I fattori extracranici, che più frequentemente sono causa di lesione secondaria, sono:
-
l’ipotensione: la ↓ della pressione arteriosa sistolica al di sotto di 80 mmhg
provoca ischemia
- l’ipossiemia: è un fattore peggiorativo, può derivare da un trauma toracico, da uno
stato di coma
- l’ipercapnia: provoca vasodilatazione cerebrale e quindi ipertensione endocranica
- l’anemia: riduce l’apporto di O2 attraverso la riduzione dell’emoglobina (proteina
carrier dell’O2).
La lesione secondaria, sopraggiunge ogni volta che l’apporto di O2 diventa inferiore
alla richiesta, essa , tuttavia può essere prevenuta e trattata al contrario della lesione
primaria che può restare al di fuori di ogni risorsa terapeutica.
Fisiopatologia del trauma cranioencefalico
Il cranio è un compartimento chiuso costituito da due componenti:
- il contenitore: cute, teca, annessi cutanei, dura madre;
- il contenuto: tessuto nervoso, vasi, sangue, liquido cefalorachidiano.
La scatola cranica è una struttura ossea rigida e la somma dei tre componenti (tessuto
nervoso, sangue, liquor) deve rimanere, al variare di uno dei tre fattori, costante,
secondo la legge di Monro-Kellie, perché non si abbia una modificazione della
pressione intracranica. Il volume di una neoformazione può essere compensato,
inizialmente, da uno spostamento del sangue o del liquor in modo che la PIC aumenti
solo di poco; superati questi meccanismi di compenso si determina un aumento della
PIC. La PIC è l’equivalente della pressione del liquor in posizione supina ed è pari a
10-15 mmHg, la sua misurazione è importante in quanto essa condiziona la
perfusione cerebrale. La pressione di perfusione cerebrale (PPC) è data dalla
differenza tra Pressione Arteriosa Media (PAM) e PIC, il suo valore normale è di 7080 mmHg. Ogni aumento della PIC determina una riduzione della PPC. Il
mantenimento di una adeguata PPC consente un apporto continuo di O2 e glucosio
fondamentali per il metabolismo del neurone. Il flusso ematico cerebrale è regolato
dalla PPC, dalla Pressione parziale di CO2 (PaCO2) e da fattori metabolici. In
condizioni fisiologiche il circolo cerebrale è dotato di autoregolazione che lo rende
indipendente dal circolo sistemico. L’autoregolazione è la variazione della resistenza
vascolare che permette di mantenere un flusso ematico cerebrale adeguato alle
necessità metaboliche malgrado le variazioni della PPC. Quando la PPC è diminuita,
per riduzione della PAM o per un aumento della PIC, la vasodilatazione mantiene il
flusso costante fino ad un valore di PPC di 60 mmHg; se la PPC diminuisce
ulteriormente la funzione cerebrale viene garantita da un aumento dell’estrazione di
O2 fino ad un massimo del 60 %. Quando questi due meccanismi di difesa del
Sistema Nervoso Centrale si esauriscono l’apporto di O2 diventa insufficiente per
garantire la funzione di membrana del tessuto neuronale e lo stato cerebrale si
deteriora. La PaCO2 agisce sul flusso ematico cerebrale attraverso una variazione
delle resistenze vascolari, il suo aumento porta a vasodilatazione con aumento del
flusso, del volume ematico cerebrale e della PIC; mentre la
sua diminuzione
determina una vasocostrizione con diminuzione del flusso, del volume ematico e
della PIC.
Le forze traumatiche, oltre a provocare lesione diretta del tessuto nervoso,
determinano un danno anche delle strutture vascolari. Esse, infatti, producono
modificazioni morfofunzionali a carico della barriera ematoencefalica con il
passaggio di acqua e macromolecole dal compartimento vascolare a quello
interstiziale e conseguente comparsa di edema vasogenico. L’edema vasogenico
interessa gli spazi intercellulari della sostanza bianca risparmiando la grigia e può
essere
perilesionale
o
diffuso.
All’edema
vasogenico,
caratterizzato
da
un’interruzione della barriera ematoencefalica, nel trauma cranioencefalico si associa
l’edema citotossico, secondario a disturbi ipossico-ischemici. L’edema citotossico è
caratterizzato da un accumulo di acqua intracellulare (astrociti). È più grave
dell’edema vasogenico poiché il rigonfiamento delle cellule astrocitarie presenti in
sede pericapillare e perineuronale determina una compressione vascolare con
ulteriore danno per gli scambi metabolici. L’edema cerebrale che complica il trauma
cranioencefalico provoca un aumento di volume del tessuto cerebrale. Quest’ultimo
si traduce in un aumento della PIC e quindi in una riduzione della PPC responsabile
di un decremento del flusso ematico cerebrale con ulteriore aggravamento
dell’ischemia e dell’edema fino alla morte cerebrale (Fig.1). Il trauma encefalico
grave può, inoltre, compromettere la perfusione cerebrale a causa dell’alterazione
dell’autoregolazione del flusso ematico cerebrale. Nel momento in cui viene meno il
meccanismo dell’autoregolazione, infatti, il flusso ematico cerebrale diventa
dipendente dai valori di pressione sistemica.
Fig. 1
Quadri clinici delle lesioni cranioencefaliche
Lesioni cranioencefaliche e sintomatologia clinica
Commozione cerebrale si identifica con lo stato di perdita di coscienza di durata
inferiore alle 6 ore, è legata alla presenza di lesioni focali. È un disturbo di coscienza
post-traumatica
transitorio
reversibile
associato
ad
alterazioni
sistemiche
(bradicardia, ipotensione, apnea). È una disfunzione temporanea in grado di
determinare una disconnessione diffusa tra strutture corticali e centri attivanti del
tronco cerebrale. Se la lesione neuronale è limitata al mesencefalo il danno assonale è
reversibile, mentre lesioni primarie del tronco cerebrale si associano quasi sempre a
danno assonale diffuso. Il segno più comune della perdita di coscienza transitoria non
seguita da complicanze chirurgiche è l’amnesia antero e retrograda.
Ematoma extradurale (tipico della giovane età):
Può manifestarsi con diversi quadri clinici:
Il paziente è sveglio, e rimane sveglio per tutto il periodo successivo,
Il paziente ha una breve perdita di coscienza post-traumatica seguita da
completa ripresa
Il paziente è sveglio subito dopo il trauma poi presenta alterazione dello
stato di coscienza ed entra in coma
Il paziente dopo una transitoria perdita della coscienza entra in coma,
Il paziente è in coma dal momento del trauma
L’andamento in due tempi (intervallo libero e lucido) è tipico dell’ematoma
extradurale. Il deterioramento ha spesso le caratteristiche della sindrome uncale
(anisocoria, midriasi omolaterale alla lesione, emiparesi controlaterale, alterazione
progressiva dello stato di coscienza).
Ematoma sottodurale: è la lesione più grave delle lesioni post-traumatiche, solo in
rari casi non comporta importanti alterazioni dello stato di coscienza. La storia clinica
è un genere rapidamente ingravescente con possibile erniazione transtentoriale.
Contusione cerebrale e focolaio lacerocontuso: tipico della V decade, se non è
accompagnato da ematoma subdurale raramente l’evoluzione è rapidamente
ingravescente con segni di ernia uncale. Da solo può condizionare la comparsa dei
disturbi neurologici locali (emiparesi, afasia, emianopsia) quando sono interessate
aree acustiche. Ematomi a sede temporale danno compressione del tronco più
frequentemente degli ematomi a sede parietale, frontale e occipitale. Le lesioni a sede
cerebellare sono quelle a rapido deterioramento neurologico per compressione del
tronco. Importante è l’edema perilesionale che causa un aumento della massa
Caratteristica fondamentale è il progressivo deterioramento neurologico che può
avvenire in un area di tempo variabile, spesso supera le 24 ore.
Lesioni diffuse: il Danno Assonale Diffuso (DAI) è responsabile dello stato di coma
subito dopo il trauma indipendentemente dalla presenza di lesioni focali. La durata e
la gravità dello stato di coma, l’entità dei disturbi neurologici dipende dall’entità e
dalla distribuzione rostro-caudale della
lesione assonale diffusa. Il DAI è
responsabile della comparsa di stati vegetativi persistenti.
Stato vegetativo: può essere prodotto o da un danno corticale (coma postanossico: il
coma apallico) o da un danno cerebrale diffuso (DAI) con o senza coinvolgimento
del sistema reticolare del tronco dell’encefalo (che determina lo stato di vigilanza).
L’evoluzione verso uno stato neurovegetativo persistente può verificarsi anche dopo
lesione della sostanza reticolare in quanto quest’ultima, al contrario della corteccia
cerebrale, tende nel tempo a riattivarsi. Nello stato vegetativo persistente il paziente è
sveglio (tiene gli occhi aperti), ma è insensibile agli stimoli dolorosi e non risponde
alla chiamata.
Presenta occhi aperti persi nel vuoto senza possibilità di contatto, alterazioni posturali
(ipertono estensorio e flessorio spastico dei 4 arti), riflessi primitivi, disturbi
neurovegetativi (ipertermia, IPA, piloerezione, sudorazione).
Coma cerebrale traumatico: Condizione in cui si ha un’abolizione dello stato di
coscienza. La coscienza
è il processo mentale che dà consapevolezza di sé e
dell’ambiente esterno, essa ha due componenti la risvegliabilità (o vigilanza) e la
consapevolezza. Il mantenimento della consapevolezza dipende dalla funzione della
corteccia, quello della vigilanza dalla funzione della sostanza reticolare del tronco
dell’encefalo. L’interruzione della connessione tra strutture corticali e tronco
dell’encefalo, che ha funzione attivante sulla corteccia, produce il coma. Le cause di
tale interruzione possono essere lesioni focali o diffuse.Dato che la consapevolezza
non è possibile senza la vigilanza, l’essere più o meno risvegliabili è il fattore più
importante nel determinare il livello o il grado di coscienza.
Esistono vari livelli dello stato di coscienza:
Paziente sveglio-vigile e consapevole
Paziente sonnolento-facilmente risvegliabile e consapevole
Paziente torpido-risvegliabile con difficoltà e scarsamente consapevole
Coma-non risvegliabile e non consapevole
Stato vegetativo-vigile, ma non consapevole
Lo stato di coma è caratterizzato da:
- alterazione della motilità
- alterazioni della motilità oculare
- presenza di riflessi patologici (Babinski)
- alterazioni neurovegetative (Aritmie, bradicardia, tachicardia, ipertensione arteriosa,
sudorazione, piloerezione, febbre).
La gravità della depressione del livello di coscienza viene spesso valutata utilizzando
la Glasgow Coma Scale (Tabella 2). Un paziente è in coma se non è in grado di aprire
gli occhi, pronunciare parole ed eseguire ordini semplici (GCS < 8, oppure uguale a 8
nel caso di un paziente che emetta suoni incomprensibili).
GLASGOW COMA SCALE
PUNTEGGIO
Apertura degli occhi
4 - spontanea
3 - alla chiamata
2 - allo stimolo doloroso
1 - in nessun caso
Risposta motoria
6 - obbedisce agli ordini
5 - localizza lo stimolo doloroso
4 - si sottrae allo stimolo doloroso
3 - risposta flessoria stereotipa
2 - risposta in estensione
1 - nessun movimento
Risposta verbale
5 - appropriata ed orientata
4 - conversazione confusa
3 - parole inappropriate
2 - suoni incomprensibili
1 - nessun suono
Tabella 2. Glasgow Coma Scale
Diagnostica clinica
In presenza di un paziente con trauma cranico è necessario raccogliere un’anamnesi
accurata: modalità del trauma, stati morbosi intercorrenti e modi e tempi della
comparsa di alterazioni neurologiche (perdita di coscienza transitoria o persistente,
alterazioni successive, deficit neurologici focali). Va comunque sempre esclusa la
presenza di intossicazione acuta da alcool e/o droghe, ipoglicemia, malattie
cardiache, ictus cerebri. La valutazione neurologica del paziente con trauma cranico
deve essere ripetuta quando le condizioni cardio-circolatorie sono stabili. Le lesioni
intracraniche sono evolutive, pertanto la valutazione del traumatizzato cranico,
indipendentemente dalla presenza di lesioni extracraniche, deve essere ripetuta nelle
ore successive. La prima valutazione deve stabilire la presenza di:
1. ferite,
2. abrasioni,
3. contusioni,
4. ecchimosi,
5. otorrea e/o ecchimosi mastoidea (frattura base cranica),
6. rinoliquorrea (frattura fronto basale),
7. segni di intossicazione alcolica, da farmaci, droghe ecc,
8. frequenza degli atti respiratori (respiro di Cheyne Stokes, ecc.),
9. traumi cervicali e della colonna toraco-lombare
10.lesioni toracoaddominali
Gestione extraospedaliera del trauma cranico
L'obiettivo primario dell'assistenza extraospedaliera è la stabilizzazione delle funzioni
vitali da conseguire attraverso una successione di valutazioni ed interventi. La
prevenzione e il trattamento dell'ipotensione e dell'ipossia sono priorità assolute;
questo fattore terapeutico può influenzare drammaticamente l'outcome in quanto è il
principale fattore di prevenzione del danno secondario. Ciò si può ottenere
applicando tempestivamente le fasi ABC della rianimazione:
Airway patency - Pervietà delle vie aeree
Ogni paziente con una ferita al di sopra della clavicola ed ogni paziente incosciente in
seguito ad un trauma, deve essere trattato come se avesse subito un trauma al rachide
cervicale fino a prova contraria. Nel paziente incosciente va sempre posizionato il
collare cervicale e comunque nelle manovre di valutazione delle vie aeree il collo va
mantenuto in posizione neutra. Bisogna ricercare ed eliminare subito tutte quelle
condizioni che ostruiscono le vie aeree (sangue, vomito o secrezioni) ripristinandone
la pervietà nella maniera adeguata. Va eseguita un’ispezione manuale delle cavità
aeree superiori alla ricerca di possibili corpi estranei quali denti fratturati o avulsi,
chewngum o protesi delle arcate dentali. Il mantenimento della pervietà delle vie
aeree viene garantito attraverso la sublussazione della mandibola, la rimozione dei
corpi estranei e l’inserimento di una cannula orofaringea (più corretta l'intubazione
orotracheale). Qualora si decida di intubare il paziente, la via di intubazione
consigliata è quella orotracheale, l'intubazione nasotracheale alla cieca non è
consigliata. È fondamentale la protezione delle vie aeree dall’aspirazione di materiale
gastrico, di sangue, muco; il rischio di vomito è elevato. Un aspiratore dovrebbe
essere sempre disponibile. Il sondino nasogastrico dovrebbe essere posizionato dalla
bocca, per l'eventualità di una frattura della base cranica e dell'etmoide.
Breathing – Respiro
In questa fase si valutano la presenza, la frequenza e la profondità del respiro; si
osserva il collo per evidenziare eventuali deviazioni dell’asse tracheale ed infine si
osserva il torace per evidenziare ferite, deformità, segmenti mobili ed instabilità della
gabbia toracica (volet costale) . Una volta terminata l’ispezione del torace si procede
alla somministrazione di ossigeno. La somministrazione di O2 a flussi elevati, per un
breve periodo di tempo, non ha controindicazioni e deve essere garantita a tutti i
pazienti. L’intubazione tracheale è sicuramente la metodica di controllo più adeguata
e definitiva, ma anche l’esecuzione corretta delle sole manovre di base può garantire
una ventilazione sufficiente per lunghi periodi di tempo. Il controllo del respiro dopo
aver eseguito un adeguato esame clinico si avvale dell’uso di manovre di I, II, III
livello (Figura 2).
Figura 2. Il controllo del respiro
Nel soggetto incosciente è sempre indicato il controllo della via aerea appena
possibile con l’intubazione tracheale. Nel soggetto cosciente il posizionamento di un
tubo tracheale dipende dall’esame clinico (Figura 3). Criterio obiettivo può essere la
presenza di almeno due dei seguenti elementi : un revised trauma score inferiore a 10;
una frequenza respiratoria superiore a 35 o inferiore a 10, una saturazione di
Ossigeno rilevata con saturimetro inferiore al 90% in maschera Ossigeno con
reservoir. Una volta stabilita l’indicazione tracheale si seguono protocolli specifici a
seconda se la lesione della colonna cervicale è ancora sospettata od è già esclusa.
Tutti i pazienti intubati devono essere sottoposti a ventilazione controllata mirata ad
ottenere:
- adeguata ossigenazione (PaO2 >90 mmHg, con SaO2 >95%);
- prevenzione dell'ipercapnia e dell'ipocapnia, mantenendo una PaCO2 tra 30 e 35
mmHg.
L'ipercapnia è un fattore importante di aggravamento "evitabile" della lesione
cerebrale e va assolutamente prevenuta o corretta; l'acidosi e la vasodilatazione
cerebrale sono infatti causa di ipertensione intracranica e danno cerebrale secondario.
L'iperventilazione, con la conseguente ipocapnia, non è consigliabile poiché la
vasocostrizione cerebrale indotta dalla diminuzione di CO2 ematica causa
ipoperfusione cerebrale ed aggrava una situazione già critica di diminuzione di flusso
o di inadeguato trasporto di ossigeno.
Figura 3. Algoritmo per l’intubazione tracheale
La Cricotiroidotomia è un intervento che, se eseguito con la tecnica corretta è gravato
da complicanze immediate e a distanza in misura inferiore rispetto alla tracheotomia
chirurgica standard. La tracheotomia chirurgica standard richiede, infatti, anche se
eseguita da chirurghi esperti, dai 15 ai 60 minuti, in ambiente ospedaliero. Per la
cricotiroidotomia i tempi vanno, a seconda della tecnica usata da pochissimi secondi
a 2 minuti; è sicuramente il metodo da preferire in ambiente extraospedaliero, perché
esso si è rivelato rapido e sicuro per l’alta percentuale di successi nel raggiungimento
dell’obiettivo.
Circulation - Stabilità cardiocircolatoria
In questa fase viene eseguita la valutazione del circolo e dell'attività cardiaca; se
questa è assente si praticano le manovre di ACLS. Se necessario si effettuano le
manovre chirurgiche di primo livello (drenaggio PNX, controllo della ferita toracica
mediante una garza fissata su tre lembi, controllo temporaneo emorragie). Bisogna
sempre tener presente che il traumatizzato cranico è anche un politraumatizzato, si
tratta, quindi, di pazienti molto seri con problematiche complesse. Un singolo
episodio ipotensivo (PA sistolica <90 mmHg) nelle prime fasi dopo il trauma
aumenta la mortalità e la disabilità. E’opportuno, pertanto, mantenere una Pressione
Arteriosa Sistolica superiore ai 110 mmHg nell'adulto durante tutte le fasi del
trattamento per assicurare una adeguata Pressione di Perfusione Cerebrale (PPC).
Tale obiettivo viene raggiunto attraverso:
- l’identificazione e contenimento delle emorragie esterne: le lesioni del cuoio
capelluto possono essere causa di grave sanguinamento, ma possono essere
facilmente fermate, una volta che esse siano state considerate ed identificate;
- l’incannulamento di almeno un accesso venoso di grosso calibro ( 16 G);
- il reintegro volemico iniziale con soluzioni isotoniche (fisiologica, ringer lattato) e/o
colloidi
- la somministrazione di farmaci vasoattivi: dopamina > 5 γ/kg/min e/o noradrenalina
> 0.05 γ/kg/min.
Non devono essere somministrate sia le soluzioni ipotoniche (glucosata 5%) che i
diuretici osmotici (mannitolo);
Nella fase extraospedaliera, solo in caso di deterioramento clinico e segni clinici di
erniazione cerebrale (anisocoria, segni di lato) si procede alla somministrazione di
mannitolo 18 % (0.25 g/kg in 15 minuti) e all’esecuzione di un'iperventilazione
moderata (PaCO2 28-30 mmHg) al fine di
contenere l'aumento di PIC e la
compressione del tronco dell'encefalo. Ciò consente di guadagnare il tempo
necessario a raggiungere la neurochirurgia, mantenendo, in ogni momento, una
adeguata pressione arteriosa. Va, tuttavia, sottolineato che sono possibili ipotensione
ed aumento del volume dell'ematoma dopo la somministrazione di mannitolo e che
l'ipocapnia può diminuire il flusso ematico cerebrale a livelli critici.
Exposure - Esposizione-Ricerca di lesioni associate
In tutti i traumatizzati cranici deve essere mantenuta la stabilizzazione del rachide
cervicale (collare rigido) e devono essere esclusi lo pneumotorace e l'emoperitoneo. È
indispensabile che il politraumatizzato sia sottoposto il più precocemente possibile ad
un trattamento rianimatorio che stabilizzi la situazione circolatoria e respiratoria e ad
un rapido screening diagnostico che escluda lo pneumotorace e l'emoperitoneo,
ancora frequentemente non riconosciuti in modo tempestivo anche all'interno
dell'Ospedale.
La diagnosi ed il trattamento precoce del pneumotorace e dell'emoperitoneo
potrebbero ridurre notevolmente la mortalità extra ed intraospedaliera, grazie al
miglior controllo dell’ipotensione arteriosa, dell’ipossia e dello shock. Ciò richiede
un approccio multidisciplinare clinico ed organizzativo, durante tutta la prima fase
diagnostica e la degenza in terapia intensiva.
Ulteriori elementi da considerare sono: le informazioni ottenute dai primi
soccorritori (sulla modalità del trauma, sulla presenza di un eventuale intervallo
libero, di convulsioni, di rino-otoliquorrea, di cianosi); l’età (è un fattore prognostico
importante, l'età avanzata influisce in modo negativo sull'outcome,
la dinamica
fisiopatologica della lesione traumatica può essere molto differente nelle età
estreme); la presenza di patologie preesistenti (diatesi allergica, trattamenti
farmacologici, lo stato eventuale di stomaco pieno e di assunzione di alcool o
sostanze stupefacenti).
Disability - Valutazione neurologica
Consiste nella valutazione neurologica del traumatizzato mediante un breve esame
per determinare il livello di coscienza e analizzare lo stato di vigilanza del paziente
utilizzando la scala AVPU:
A-Alert: stato di vigilanza.
V-Verbal: risposta verbale.
P-Painful: risposta allo stimolo doloroso.
U-Unresponsive: mancanza di risposte.
Mediante l'applicazione della scala AVPU è possibile valutare il grado di coscienza
del paziente ed il suo grado di vigilanza, orientamento, memoria, affettività e quindi
l'integrità delle strutture cerebrali superiori. L'esame neurologico procede con la
valutazione del diametro delle pupille e del riflesso fotomotore. L'eccitazione
luminosa della retina provoca restringimento della pupilla (miosi), mentre l'oscurità
provoca dilatazione pupillare (midriasi), grazie all'azione del muscolo costrittore
dell'iride innervato dal III paio di nervi cranici (oculomotore comune). Uno dei segni
più comuni di processo espansivo endocranico è l’anisocoria con midriasi fissa.
Inizialmente la midriasi è reagente alla luce ed è dovuta alla compressione esercitata
dal tessuto erniato sulle fibre parasimpatiche, negli stadi avanzati la midriasi diviene
fissa e si giunge anche alla paralisi dei muscoli oculari estrinseci innervati dal III
nervo cranico. La fase finale dell'intervento di primo soccorso al traumatizzato
consiste nell'assegnazione del punteggio GCS; in modo tale da comunicare attraverso
un codice la gravità del traumatizzato al Pronto Soccorso e/o alla TI accettatrice.
In base ai valori del GCS, i traumi cranici sono distinti in:
- gravi: GCS < 8;
- moderati: GCS 9-12;
- lievi: GCS 12-15.
Il traumatizzato cranico con GCS < 13 va indirizzato ad un dipartimento di
emergenza-urgenza almeno di 2° livello. La valutazione neurologica, pertanto, deve
essere eseguita secondo le indicazioni seguenti: GCS, diametro delle pupille e riflesso
pupillare alla luce. Qualora il punteggio totale della GCS sia maggiore od uguale ad 8
il paziente viene considerato sveglio, qualora sia uguale o minore di 7 il paziente
viene considerato in coma tanto più grave quanto più basso il punteggio Altro sistema
di triage utilizzato è il "Revised Trauma Score" (RTS); pazienti con RTS maggiore di
10 sono considerati traumi gravi quindi da trasportare ad un dipartimento di
emergenza almeno di II livello (Tabella 3).
Glasgow Coma Scale
PA Sistolica
Frequenza respiratoria
Punteggio
13 - 15
> 89
10 - 29
4
9 - 12
76 - 89
> 29
3
6-8
50 - 75
6-9
2
4-5
1 - 49
1-5
1
3
0
0
0
Totale da 0 a 10
Score < 9 = trauma severo
Tabella 3. Revised Trauma Score di Champion (RTS)
Trasporto del traumatizzato
È fondamentale prima di iniziare il trasporto comunicare alla Centrale Operativa il
codice di rientro.
In questa fase si esegue:
-valutazione continua A-B-C;
-ossigenoterapia al 100%;
-monitoraggio della pressione arteriosa, dell’ECG, della saturimetria.
-mantenimento della terapia infusiva
-eventuale sedazione con benzodiazepine per ottimizzare il trasporto,
-informazione circa: dinamica dell’incidente, condizioni cliniche del paziente ed
eventuali cambiamenti delle medesime, trattamento effettuato.
Durante la gestione extraospedaliera del grave traumatizzato cranico il personale
paramedico dovrebbe partecipare attivamente all’esecuzione della rianimazione
cardiocircolatoria, all’inserimento di un accesso venoso e alla somministrazione di
liquidi o farmaci per via endovenosa, all’intubazione orotracheale e alla valutazione
dei parametri vitali (GCS, PA, FR). Pertanto il personale infermieristico del 118
dovrebbe effettuare periodici corsi di formazione inerenti il triage primario del
paziente traumatizzato per poi poter comprendere ed eseguire correttamente ogni fase
dell’ABCDE, che rappresentano i primi cinque momenti nella valutazione di un
grave traumatizzato.
Trattamento del traumatizzato cranioencefalico grave (GCS < 8)
Negli ultimi decenni sono stati effettuati notevoli progressi nella comprensione
fisiopatologica dell'evento traumatico; uno dei concetti fondamentali emersi da
ricerche sperimentali e cliniche è che il danno cerebrale non si esaurisce al momento
dell'impatto (danno primario) ma evolve nelle ore e nei giorni successivi (danno
secondario). La rimozione chirurgica delle masse intracraniche rappresenta la priorità
assoluta del management e non può essere sostituita da alcun trattamento alternativo.
Tuttavia la prevenzione e il trattamento dei fattori extracerebrali alla base del danno
secondario costituisce l'obiettivo fondamentale del trattamento medico rianimatorio;
il mantenimento meticoloso dell'omeostasi sistemica non solo previene il danno
cerebrale secondario ischemico-anossico ma limita notevolmente lo sviluppo di
ipertensione intracranica, in assenza di lesioni trattabili chirurgicamente. Il danno
secondario può essere dovuto a cause intracraniche o extracraniche. La maggior parte
degli insulti secondari produce conseguenze neuropatologiche di tipo ischemico. Le
cause intracraniche includono: ipertensione endocranica, lesioni espansive, edema,
idrocefalo, infezioni, crisi comiziali, alterazioni di flusso regionale e globale, danno
da radicali liberi e da sostanze eccitotossiche.
Le cause extracerebrali comprendono: ipotensione arteriosa, ipossia, anemia,
ipertermia, iper/ipocapnia, anormalità elettrolitiche (prevalentemente l’iposodiemia),
ipo/iperglicemia, disturbi dell’equilibrio acido-base.Il primo insulto in ordine di
importanza è la ritardata diagnosi ed evacuazione di ematomi intracranici. Va
pertanto sottolineato che la terapia medica, in presenza di lesioni aggredibili
chirurgicamente, permette solamente di “guadagnare tempo” affinché possa essere
raggiunta rapidamente la sala operatoria. La terapia medica non può sostituire
l’evacuazione chirurgica che, quando indicata, è l’unica terapia potenzialmente
efficace. Durante tutte le fasi del trattamento del paziente cranioencefalico e in
particolare in Rianimazione l'obiettivo principale è la prevenzione del danno
cerebrale secondario ciò si ottiene con il controllo della pressione intracranica e
preservando l'omeostasi dell'organismo. Per ottenere ciò è indispensabile uno
standard minimo di monitoraggio strumentale che dovrebbe essere presente in
qualsiasi reparto di Terapia Intensiva accreditato per il trattamento di gravi
traumatizzati cranici. Durante il triage secondario il rianimatore deve ripetere sempre
l’esame primario dell’ABCDE continuando gli interventi terapeutici necessari a
mantenere le funzioni vitali. Deve inserire un monitoraggio invasivo, istituire gli
interventi terapeuti specialistici mentre completa una dettagliata analisi secondaria,
deve effettuare un esame terziario e una valutazione del follow-up ospedaliero per
scoprire le lesioni trascurate durante l’esame primario e secondario.
La gestione del traumatizzato cranico in Terapia Intensiva si articola attraverso un
attento
monitoraggio clinico e strumentale ed uno specifico trattamento
farmacolocico. Quest’ultimo è, infatti, fortemente influenzato dal monitoraggio
clinico e strumentale che condiziona le scelte terapeutiche
Il monitoraggio del traumatizzato cranico è di tipo cardiocircolatorio, respiratorio,
metabolico, neurologico e strumentale.
Il monitoraggio del traumatizzato cranioencefalico in TI
Il monitoraggio cardiocircolatorio prevede la registrazione continua di:
-Pressione arteriosa cruenta: Il monitoraggio continuo è indispensabile. In presenza
di monitoraggio concomitante della PIC permette il calcolo della PPC.
-Pressione Venosa Centrale (PVC): Semplice se pur grossolano indicatore di volemia
il cui ripristino è uno dei momenti terapeutici più importanti per il raggiungimento ed
il mantenimento della normovolemia. In pazienti emodinamicamente instabili o in
trattamento con vasopressori è auspicabile il posizionamento di un catetere di SwanGanz.
-Elettrocardiogramma
Il monitoraggio respiratorio prevede:
-Pulsossimetria (SaO2): Consente una valutazione contemporanea sia respiratoria che
cardiocircolatoria.
-Capnografia: la valutazione delle CO2 di fine espirazione (ETCO2 ) consente di
controllare l’efficacia della modalità di ventilazione in relazione sia agli scambi
respiratori che alla prevenzione dell’edema cerebrale
-Emogasanalisi (EGA) : l’esecuzione di un’EGA è obbligatoria ogni 8 ore, e
ogniqualvolta sia presente: un deterioramento neurologico e cardiocircolatorio; una
modificazione della saturazione venosa giugulare, della SaO2, della ETCO2 della
temperatura, della sedazione e dei parametri ventilatori
-Rx torace:. Deve essere effettuato all’ingresso, dopo posizionamento di catetere
venoso centrale o reintubazione e su indicazione dell’obiettività clinica e del
monitoraggio respiratorio.
Il monitoraggio metabolico prevede il controllo di: elettroliti, glicemia, azotemia,
creatinina, EGA almeno 3 volte/die, osmolarità sierica quotidiana, emocromo, assetto
coagulativo, epatico, esame urine quotidiano, Bilancio azotato, elettroliti urinari,
protidogramma, temperatura corporea.
-Diuresi oraria: Indice indiretto di perfusione. La monitorizzazione oraria è
considerata fondamentale. In caso di danno encefalico la risposta oligurica o poliurica
può avere significato di iper o iposecrezione di ADH; non è raro osservare una
risposta poliurica dopo carico osmotico.
-Temperatura corporea: L'aumento della temperatura cerebrale comporta incrementi
del fabbisogno cerebrale di ossigeno e può aggravare lo squilibrio tra richiesta ed
apporto, contribuendo a determinare ischemia cerebrale. Fondamentale quindi il suo
controllo mediante un monitoraggio continuo. È indispensabile far riferimento alla
temperatura centrale (esofagea, rettale, vescicale) ricordando che il valore di
temperatura cerebrale è di solito superiore a quello rilevato nelle sedi di abituale
monitoraggio in rianimazione. L'ipertermia deve essere precocemente e drasticamente
trattata.
-Esami ematochimici: E’ soprattutto finalizzato al controllo dell’emocromo, della
sodiemia e della glicemia. Il mantenimento di adeguati valori di emoglobina
garantisce un corretto trasporto di O2. Fondamentale rimane l’influenza del sodio sul
flusso di acqua attraverso membrane semipermeabili, come la barriera ematoencefalica, e quella della glicemia il cui mancato controllo può amplificare i danni di
un alterato equilibrio acido-base e del metabolismo energetico della cellula cerebrale.
Il monitoraggio neurologico si avvale essenzialmente della valutazione della GCS
(risposta motoria,risposta verbale, apertura occhi) del diametro pupillare, dei riflessi
fotomotore, ciliospinale, oculo-cefalico oculo-vestibolare, corneale e palpebrale.
Questa dovrebbe essere eseguita all’ingresso, ogni ora o ogni volta che compaiono
variazioni da parte dell’infermiere ed ogni quattro ore o ogni volta che compaiono
variazioni da parte del medico ogni otto ore nei pazienti sedati. Ogni peggioramento
significativo necessita di un esame neurologico più dettagliato o un approfondimento
con TAC cerebrale.
Risposta motoria: al comando verbale o allo stimolo doloroso in decorticazione o in
decerebrazione.
Decorticazione: Flessione e adduzione degli arti superiori, estensione arti inferiori. Si
ritrova nelle lesioni emisferiche, che interrompono la via cortico-spinale, lesioni
quindi che includono la capsula interna.
Decerebrazione: Iperdistensione dei quattro arti, iperpronazione arti superiori. Si
rileva in lesioni del tronco encefalico e nelle lesioni della fossa cranica posteriore che
comprimono il tronco encefalico.
La valutazione completa della motricità prevede anche il controllo del tono
muscolare, della reazione mimica, della presenza di movimenti spontanei, della
comparsa di crisi convulsive o della presenza di agitazione psicomotoria.
Il monitoraggio strumentale prevede l’esecuzione di controlli radiologici
dell’encefalo (Tomografia Assiale Computerizzata: TAC) e del rachide cervicale, la
misurazione della PIC e della saturazione del sangue venoso misto (SjO2). Oltre ad
un monitoraggio specifico cranioencefalico, va eseguito un controllo delle eventuali
lesioni in altri distretti, medianti esami strumentali specifici per ogni tipo di lesione.
La misurazione della pressione intracranica (PIC)
Il monitoraggio della PIC rimane fondamentale per eseguire un trattamento efficace;
l'ipertensione intracranica è la minaccia principale alla sopravvivenza del
traumatizzato in fase acuta e non può essere evidenziata con metodi indiretti né, in
modo qualitativamente e quantitativamente accettabile, con la TAC.
Indicazioni:
-Tutti i pazienti emodinamicamente stabili (PAs >110mmHg e SO2 >95%) che
presentano un GCS ≤ 8 con TAC positiva per danno encefalico (lesioni ad alta
densità come ematomi o contusioni, o ipodense come l’edema o cisterne basali
compresse).
- GCS ≤ 8 con TAC negativa con presenza di almeno due dei seguenti fattori:
anomalie di diametro e reflettività pupillare, asimmetria di risposta motoria,
ipotensione arteriosa, età ≥ 40.
- Vanno escluse le cause di coma metabolico e farmacologico.
Quando posizionare il monitoraggio: Al più presto, dopo stabilizzazione clinica e
definizione diagnostica (a completamento degli esami strumentali).
Dove posizionare il monitoraggio: La sala operatoria è l'ambiente preferibile, per le
condizioni di sterilità rispetto al posizionamento al letto del malato nel reparto di
Rianimazione.
Tecnica: La tecnica di prima scelta prevede il posizionamento di un catetere
ventricolare. Se dopo due tentativi di posizionamento non si riesce ad individuare la
cavità ventricolare è consigliato posizionare un catetere subdurale o parenchimale.
Sorveglianza delle complicanze: È fondamentale l'adozione rigorosa delle tecniche di
asepsi durante le manovre di drenaggio liquorale e di prelievo. Sono raccomandati i
sistemi chiusi di drenaggio. È consigliabile eseguire prelievi per esame citochimico e
batteriologico in tutti i casi in cui si provvede a deliquorazione e comunque dopo il 3
giorno
dimonitorag
gio.
È indispensabile la contemporanea misurazione della Pressione Arteriosa Media per
il monitoraggio continuo della Pressione di Perfusione Cerebrale (PPC).
Il trasduttore della pressione arteriosa può essere mantenuto a livello del meato
acustico esterno, per una corretta determinazione della PPC (PPC=MAP-PIC).
In caso di deliquorazione terapeutica il valore registrato non rappresenta quello della
PIC, essendo aperto il sistema. Nel caso di decompressione ossea o di liquorrea i
valori monitorizzati possono sottostimare la gravità del rigonfiamento cerebrale o
essere inattendibili, anche in relazione alle modalità di monitoraggio. In pratica,
soprattutto in caso di decompressiva ossea, vanno considerati allarmanti valori anche
minimamente aumentati di PIC. In presenza di masse sottotentoriali, l'ernia cerebrale
o la compressione del tronco possiamo rilevare anche valori non elevati di PIC,
misurata
nel
comparto
sovratentoriale.
In molti centri è ritenuto prudente misurare la PIC nei pazienti sottoposti ad
evacuazione
di
ematoma
intracranico, posizionando il catetere alla
fine
dell'intervento.
La misurazione della saturazione venosa giugulare di ossigeno (SjO2)
La determinazione della differenza artero-giugulare di ossigeno è un utile indice del
rapporto tra flusso ematico cerebrale e consumo di ossigeno. In alternativa alla
misura della differenza artero-giugulare, che può risultare fuorviante in caso di
anemia grave, si può utilizzare la differenza in saturazione, denominata Estrazione
Cerebrale di Ossigeno (CEO2), che è data dalla differenza tra Saturazione arteriosa e
Saturazione venosa giugulare (SjO2). La SjO2 rappresenta la saturazione di sangue
venoso a livello del golfo della giugulare. Essa rappresenta un indice importante del
tipo di metabolismo cerebrale e quindi indirettamente fornisce notizie sul flusso
ematico cerebrale. Pur essendo una metodica soggetta a notevoli limiti, essa consente
di individuare situazioni pericolose di desaturazione, spesso causate da una ridotta
PPC o da un’eccessiva iperventilazione ed ipocapnia. La SjO2 dovrebbe essere
registrata in maniera continua, ma il costo e l'attendibilità del segnale offerto dai
cateteri a fibre ottiche rimangono un problema aperto.
Indicazione: paziente sottoposto a iperventilazione terapeutica; paziente con GCS<8
con monitoraggio multiparametrico. Si considera range normale di CEO2 tra 25 e 45
%.
Metodica: Prevede il posizionamento in direzione retrograda, caudo-craniale, del
catetere venoso all’interno della vena giugulare interna di destra fino al golfo della
giugulare. Il controllo del corretto posizionamento viene eseguito mediante
radiografia: la punta del catetere nel bulbo giugulare normalmente si proietta a
livello della giunzione atlo-occipitale. È opportuno inserire il catetere dal lato della
giugulare di calibro maggiore, come evidenziato dalla TAC. Il dato è comunque
globale e sono possibili anche notevoli differenze tra i due lati.
Prelievi seriati: Vanno eseguiti ogni 12 ore in caso di deterioramento clinico, di
valori di PIC > 25 mmHg o di PPC < 70 mmHg, di variazioni di EtCO2 o PaCO2, di
modifiche della sedazione e di anemizzazione acuta.
Controindicazione: lesioni locali del collo.
Complicanze: puntura carotidea; sono descritti casi di trombosi della giugulare e di
infezione.
Il monitoraggio della SjO2 non è sostitutivo di altri monitoraggi cerebrali e in
particolare della PIC.
Altri monitoraggi cerebrali
Non sono stati considerati altri monitoraggi cerebrali, date le caratteristiche di
requisiti minimi di queste linee guida. Sono tuttavia da tener presente il monitoraggio
continuo o seriato dell'EEG (anche in forma semplificata e processata), i Potenziali
Evocati
Multimodali,
il
Doppler
Transcranico.
Tali monitoraggi offrono informazioni aggiuntive per la comprensione della dinamica
fisiopatologica,
per
guidare
il
trattamento
e
per
la
prognosi.
L'EEG è inoltre, nel nostro Paese, indispensabile per l'accertamento di morte a cuore
battente.
Il monitoraggio delle lesioni associate
Esso è rivolto essenzialmente all’evidenza di lesioni toraciche, addominali e midollari
e comprende: Rx torace (emo-pneumotorace), Ecoaddome (emoperitoneo), Ecocardio
(tamponamento pericardio), TAC toraco-addominale addome e torace (emopneumotorace, tamponamento pericardico, emoperitoneo, ematomi retroperitoneali),
RM midollo nel sospetto di lesione vertebro-midollare.
Trattamento farmacologico
Il trattamento farmacologico prevede il mantenimento di un adeguata funzione
cardiocircolatoria, di un’adeguata ventilazione ed ossigenazione, la sedazione, la
terapia dell’ipertensione endocranica .
Funzione cardiocircolatoria
-Volemia: Il paziente deve essere presentare una situazione di normovolemia, e
l’ipovolemia deve essere rapidamente corretta (come accade molto frequentemente
nel traumatizzato). L’emorragia esterna e/o interna deve essere rapidamente esclusa o
diagnosticata e il suo trattamento ha la massima priorità. Il pneumotorace e il
tamponamento pericardico devono essere esclusi o diagnosticati e
se presenti,
devono essere drenati immediatamente. Non esistono indicazioni alla restrizione
idrica.
-Pressione arteriosa: La pressione di perfusione cerebrale deve essere mantenuta
superiore a 70 mmHg, al fine di aumentare il flusso ematico cerebrale, ridotto nelle
prime ore dopo il trauma, e di evitare gli
effetti deleteri dell’ipotensione. Ciò
richiede il contemporaneo controllo della pressione intracranica (PIC) e della
pressione arteriosa media (PAM) in quanto la pressione di perfusione cerebrale (PPC)
è data dalla differenza tra PAM e PIC. L’ipotensione deve essere evitata o corretta
immediatamente, l’ipotensione non è generalmente imputabile al trauma cranico di
per sé, ma ad una causa extracranica che va sempre ricercata e corretta. Se presente,
questa è dovuta a:
- perdite ematiche: visibili: lesioni scalpo (soprattutto in età pediatrica),
maxillofaciali, fratture esposte; occulte: ematomi intra/retroperitoneali, emotorace,
ematoma pelvico, frattura ossa lunghe, rottura aorta;
- lesione midollare;
- pneumotorace;
- contusione/tamponamento cardiaco;
- eccessiva sedazione.
Queste cause vanno rapidamente ricercate e correttamente trattate. È necessario
mantenere sempre una normotensione (Pressione Arteriosa Media >90mmHg).
È raccomandabile pertanto monitorizzare in continuo la pressione arteriosa in modo
cruento. La sede consigliata è l’arteria radiale ed il trasduttore di pressione dovrebbe
essere tenuto a livello del meato acustico esterno, in modo da poter calcolare
correttamente la pressione di perfusione cerebrale.
Spesso diventa indispensabile ricorrere a farmaci vasocostrittori capaci di aumentare
la pressione arteriosa media. Inotropi e vasocostrittori sono routinariamente impiegati
nelle terapie intensive per migliorare la performance cardiaca e/o incrementare la
pressione arteriosa. Data la particolare suscettibilità dei politraumatizzati a riduzioni
della portata renale plasmatica, l’uso dei farmaci vasocostrittori deve sempre
salvaguardare la perfusione renale. L’uso di farmaci vasocostrittori non è sostitutivo
o alternativo al trattamento dell’ipertensione intracranica. Se ne consiglia l’uso: per
elevare i valori della PAM ancora inadeguata dopo reintegro volemico ed ottenere
una normotensione arteriosa (PAM >90 mmHg); per migliorare la PPC quando il
trattamento dell’ipertensione intracranica non risulta efficace (Pressione di Perfusione
Cerebrale >70mmHg).
Farmaci cardio e vasoattivi più frequentemente utilizzati sono: la dopamina, la
noradrenalina.
Dopamina: Se infusa a 5 µg/kg/min aumenta la contrattilità cardiaca e la gittata. A
dosaggi superiori (fino a 10 µg/kg/min) produce ulteriore aumento della gittata con
modesto aumento pressorio. Al di sopra dei 10 µg/kg/min aumentano le resistenze
vascolari periferiche e di conseguenza i valori di pressione arteriosa media.
Noradrenalina: Provoca aumento di pressione arteriosa e di resistenze vascolari
sistemiche. Il dosaggio iniziale consigliato, sufficientemente sicuro, in grado già di
aumentare i valori di pressione arteriosa è di 0,02-0,04 µg/kg/min, ma si possono
raggiungere dosaggi più elevati se necessario, prestando però la massima attenzione
alla prevenzione di danni renali.
La funzionalità renale durante infusione di amine simpaticomimetiche deve essere
attentamente monitorata. Il rischio potenziale di indurre insufficienza renale aumenta
considerevolmente se i farmaci vasoattivi sono utilizzati in associazione a farmaci
quali il mannitolo, gli aminoglicosidi, la vancomicina.
Ventilazione-Ossigenazione
Il controllo della ventilazione, per poter garantire, un adeguato scambio respiratorio
deve:
-Assicurare la pervietà delle vie aeree nei pazienti in coma (GCS=8) con
l’intubazione tracheale.
-Evitare e correggere immediatamente episodi di ipossiemia. Classicamente si
definisce ipossiemia una PaO2 =60 mmHg. Nel caso dei traumatizzati è prudente
intervenire prima che questo livello venga raggiunto e garantire sempre e comunque
una saturazione arteriosa superiore al 97%. Come limiti pratici una PaO2 di 90 mmHg
e una saturazione di emoglobina arteriosa superiore al 97% rappresentano semplici
ma importanti obiettivi.
- Mantenere la normocapnia (PaCO2 di 35-40 mmHg).
Sedazione
È necessario provvedere sempre, previa assistenza respiratoria, ad una adeguata
sedazione ed analgesia, anche se non sono presenti lesioni associate al trauma
cranico.
Gli Obiettivi della sedazione sono:
- controllo della sindrome da stress;
- controllo delle stimolazioni algogene;
- tolleranza al tubo tracheale;
- adattamento al ventilatore;
- riduzione delle alterazioni intracraniche indotte dal nursing;
- riduzione ipertono muscolare.
Scelta dei farmaci:
Nella scelta del tipo di sedazione è fondamentale che si considerino alcuni aspetti
fondamentali: la breve durata d’azione per l’esecuzione di valutazioni neurologiche
ripetute e frequenti nelle prime ore dal trauma; la stabilità emodinamica soprattutto
nei pazienti ipovolemici. I farmaci più frequentemente utilizzati sono: le
benzodiazepine, il propofol, gli oppioidi, i curari
Terapia medica per il controllo della Pressione Intracranica
Per un corretto trattamento dell’ipertensione intracranica è necessario che la PIC sia
monitorizzata
più
precocemente
possibile.
Il
monitoraggio
della
PIC
è
sufficientemente sicuro e legato ad un basso numero di complicanze.
Il trattamento nell’adulto deve essere iniziato quando la PIC supera stabilmente (per
almeno minuti) valori di 20-25 mmHg (15 mmHg in presenza di craniotomia
decompressiva).
Prima di attuare un trattamento specifico devono essere esclusi, ed eventualmente
corretti, alcuni fattori che possono essere direttamente responsabili dell’aumento
della PIC:
— ostacolo al deflusso venoso (mal posizionamento del capo e del collo,
disadattamento al ventilatore, pneumotorace);
— cause di vasodilatazione cerebrale (febbre, ipercapnia, ipotensione, crisi
epilettiche);
— cause di ipertensione arteriosa (dolore, stimoli viscerali, sedazione inadeguata);
— brivido;
— iposodiemia;
— malfunzionamento delle apparecchiature.
L’iperpiressia è un fattore di aggravamento molto frequente nel decorso di questi
malati e comporta modificazioni metaboliche e dinamiche che aumentano il rischio di
danno secondario e di ischemia. Va trattata energicamente ricordando però che alcuni
farmaci antipiretici possono avere un impatto negativo sull’emodinamica (riducendo
la pressione arteriosa). Il mantenimento della normotermia con mezzi farmacologici e
fisici è quindi un obiettivo importante del trattamento, così come la meticolosa
prevenzione delle infezioni. L’ ipotermia moderata (32-33°C) è da considerarsi oggi
un’opzione terapeutica in attesa di verifica che non è tuttavia esente da possibili gravi
complicanze.
Trattamento urgente di sospetta ipertensione endocranica
Prima che sia iniziato il monitoraggio della PIC, è ovviamente impossibile sapere se
esista o meno ipertensione endocranica, e la terapia non sarebbe motivata. Tuttavia
esistono condizioni nelle quali il trattamento è indicato, dato il fondato sospetto di
ipertensione endocranica in atto, in particolare quando siano presenti segni clinici di
erniazione transtentoriale (anisocoria e segni di lato).
Scelta del trattamento
L’interpretazione dei dati del monitoraggio della PIC deve essere sempre associata a
frequenti valutazioni cliniche, TAC seriate e al calcolo della pressione di perfusione
cerebrale. La pressione endocranica deve essere mantenuta al di sotto del valore
soglia salvaguardando la Pressione di Perfusione Cerebrale, che deve restare
superiore a 70 mmHg. Alcune terapie, infatti, possono ridurre la PIC ma causano,
simultaneamente, diminuzioni della pressione arteriosa. Le scelte terapeutiche
devono essere effettuate considerando tutti i dati clinici e strumentali disponibili. La
letteratura indica due possibilità terapeutiche:
— un trattamento mirato, che presuppone una diagnosi eziopatogenetica
dell’aumento della PIC ottenuta tramite l’analisi dei dati provenienti dal
monitoraggio multiparametrico;
— un trattamento a scalini, che invece prende in considerazione l’utilizzo di
provvedimenti meno aggressivi e meno gravati da complicanze come prima scelta per
poi arrivare a trattamenti più aggressivi se non si ottiene risultato favorevole.
Non esistono prove di una superiorità di uno dei due approcci e non è sempre
possibile, interpretando i dati del monitoraggio multiparametrico, identificare la causa
responsabile dell’aumento della pressione intracranica. La terapia a scalini è quindi
raccomandabile per la sua semplicità e per la possibilità di essere effettuata anche in
Centri in cui non sono utilizzabili monitoraggi multiparametrici. La terapia a scalini
include, oltre ad un livello basale di sedazione ed analgesia, l’utilizzo di
deliquorazione, mannitolo e ipocapnia moderata, che vengono introdotti in sequenza.
In molti Centri, ad esempio, si infonde mannitolo solo dopo che la deliquorazione si
sia dimostrata inefficace, e la iperventilazione viene utilizzata quale ultimo presidio
terapeutico, riservato ai casi nei quali la PIC resti superiore ai valori soglia
nonostante il pregresso impiego di sedazione, deliquorazione e mannitolo.
Deliquorazione
La deliquorazione permette una rapida rimozione di volume intracranico con
conseguente riduzione della PIC:
— la manovra è possibile solo quando è posizionato un catetere ventricolare;
— molto spesso la diminuzione della PIC è di breve durata;
— la rimozione di liquor deve avvenire lentamente;
— il gradiente tra la punta del catetere e il punto di gocciolamento del liquor deve
essere di circa 10 cm H2O, per evitare i problemi illustrati al punto seguente;
— una sottrazione troppo brusca potrebbe causare sia il collabimento della parete
ventricolare, con un possibile peggioramento dello shift in caso di processo espansivo
controlaterale, sia vere e proprie azioni di suzione sull’ependima ventricolare con
possibilità di sanguinamento;
— evitare le manipolazioni del catetere per minimizzare il rischio infettivo.
La deliquorazione impedisce la contemporanea lettura dei valori della PIC, in quanto
effettuata con il sistema di misurazione aperto. Essa deve pertanto essere utilizzata in
modo intermittente.
Mannitolo
Ha sostituito nella pratica clinica gli altri diuretici osmotici. I suoi meccanismi di
azione sono probabilmente molteplici. I più conosciuti sono gli effetti emodinamici
sistemici e cerebrali e l’effetto osmotico.
1) Effetti emodinamici sistemici e cerebrali:
— espansione della volemia;
— riduzione dell’ematocrito e della viscosità ematica;
— aumento della gittata cardiaca e della pressione arteriosa;
— incremento della pressione di perfusione cerebrale;
— aumento del flusso ematico cerebrale, in particolare nel microcircolo;
— riduzione della PIC.
Gli effetti sul flusso cerebrale sembrano essere più marcati in pazienti con bassa
pressione di perfusione cerebrale (<70 mmHg).
2) Effetto osmotico.
Riduzione del volume intracranico, dovuta al richiamo di acqua nei vasi per il
gradiente di pressione osmotica indotto dal mannitolo nelle regioni a barriera
ematoencefalica integra. L’effetto è evidente 15-30 minuti dopo l’infusione e dura da
90 minuti a 6 ore.
Iperventilazione (ipocapnia)
L’iperventilazione permette una rapida riduzione della PIC producendo una
vasocostrizione cerebrale quando la reattività dei vasi cerebrali alle variazioni di CO2
è mantenuta. L’ iperventilazione preventiva non si è dimostrata efficace ed è prudente
evitarla soprattutto nelle prime 24 ore. L’ipocapnia moderata (PaCO2 tra 30 e 35
mmHg), è considerabile un trattamento relativamente esente da gravi complicanze e
frequentemente efficace nel controllare un aumento della pressione intracranica. L’
ipocapnia marcata (con PaCO2 tra 25 e 30 mmHg) è un’opzione terapeutica quando
l’ipertensione intracranica non risponde alla terapia standard.
Tiopentone sodico
I barbiturici appaiono esercitare i loro effetti di protezione cerebrale e riduzione della
pressione endocranica attraverso due diversi meccanismi:
1) riduzione del flusso ematico cerebrale e del metabolismo cerebrale
2) inibizione della perossidazione lipidica mediata dai radicali liberi.
La prevenzione e trattamento immediato di tutti i fattori di aggravamento, sistemici e
cerebrali, e il mantenimento dell’omeostasi sono obiettivi prioritari e di sicura
efficacia nel prevenire il danno cerebrale secondario e favorire il miglior recupero del
paziente. Nel caso in cui il monitoraggio della PIC mostri un aumento dei valori
pressori intracranici si suggerisce di:
1) escludere le cause extracraniche (compresa l’inadeguata sedazione ed analgesia) e
le masse evacuabili chirurgicamente (TAC);
2) garantire una pressione di perfusione superiore ai 70 mmHg;
3) intraprendere provvedimenti specifici: deliquorazione, mannitolo e ipocapnia
moderata (PaCO2 di 30-35 mmHg).
Solo in caso di inefficacia:
4) effettuare terapie di secondo livello, gravate da maggiori complicanze: ipocapnia
spinta (PaCO2 di 25-30 mmHg), barbiturici ad alte dosi (Burst-suppression EEG) ed
eventualmente decompressioni chirurgiche (interne e/o esterne).
Il management medico del traumatizzato cranico comprende, inoltre, anche altri
aspetti di notevole importanza, in grado di modificare l’outcome. Essi includono:
la gastroprotezione;
la gestione dell’apparato respiratorio;
il mantenimento di un bilancio idro-elettrolitico adeguato;
il controllo delle infezioni;
la terapia nutrizionale;
il trattamento fisioterapico.
la terapia antepilettica