OccupaziOne del liceO
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OccupaziOne del liceO
1 Anno 5 - N. 3 - Dicembre 2010 PERIODICO DI INFORMAZIONE - CULTURA - SPORT - AUTTUALITA’ - GIOCHI Liceo Scientifico “F. Bruno” - Liceo Classico “G. Colosimo” - Corigliano Calabro - www.liceicorigliano.it Un obiettivo comune Occupazione del Liceo Contro la riforma e per il diritto all’istruzione pubblica Prima che questa mia esperienza avesse formalmente inizio, il mio primissimo impatto con questa istituzione scolastica è stato proprio con questo giornale scolastico, che mi è stato gentilmente offerto in visione. Questo mio approccio è stato decisamente positivo. Sfogliando le sue pagine, mi sono subito reso conto che presto mi sarei trovato di fronte ad una di quelle realtà che rendono produttivo il lavoro scolastico e gratificante il ruolo di dirigente. Dalla lettura degli articoli prodotti dagli alunni si poteva intuire uno spessore culturale adeguato alla loro età, una grande ricchezza di contenuti, proprietà grammaticali, discorsive e lessicali di ottimo livello. Dal che si poteva facilmente evincere la validità del lavoro svolto dai docenti e, in particolare, dal coordinatore del giornale, il prof. Giacomo Gilio. Mi sono bastate, poi, poche settimane per consolidare queste mie iniziali impressioni e per capire in maniera definitiva ed inequivocabile che mi trovavo di fronte ad una istituzione scolastica con studenti preparati e motivati, docenti con elevatissime qualità culturali, professionali ed umane, un apparato amministrativo efficiente e produttivo: gli ingredienti necessari ad una scuola per poter rispondere adeguatamente alle esigenze dell’utenza, per conseguire gli obiettivi pedagogici e didattici prefissati, per formare alunni in grado di inserirsi autorevolmente all’interno dei loro vari contesti esperienziali, di saper gestire le complesse dinamiche della realtà contemporanea e di poter acquisire solide basi per la continuazione dei loro studi e dei loro percorsi di vita. Un pensiero e un ringraziamento, perciò, al (continua a pag. 2) Anche noi studenti del liceo scientifico “Fortunato Bruno” abbiamo partecipato alla protesta (una vera e propria marea montante in tutta Italia) contro la cosiddetta “Riforma Gelmini”, occupando la nostra scuola; dico “nostra” perché la scuola non è solo una proprietà dello Stato, ma anche una proprietà pubblica, nostra appunto come “nostro” (di “tutti” gli studenti) è il diritto all’ istruzione, che questa riforma vuole toglierci. Questa ingiusta “riforma”, infatti, rende operativi alcuni nefasti cambiamenti nel mondo della scuola: tagli di circa 8,3 miliardi di euro all’istruzione pubblica e conseguenti tagli di decine e decine di migliaia di docenti di ogni ordine e grado; riduzione del personale ATA; drastica diminuzione dei viaggi d’istruzione; ritorno dei voti, compreso quello in condotta, anziché dei (continua a pag. 11) SIAMO ANCORA UNO STIVALE UNITO DOPO 150 ANNI? Nel 1861 la nostra Italia si unificava sotto un’unica bandiera, quella del regno sabaudo. Oggi, nel 2010, compie 150 anni: un secolo e mezzo durante il quale è cresciuta, si è evoluta, grazie al contributo di uomini coraggiosi che hanno dato la vita per ciò che l’Italia è oggi. Un contributo rilevante di vite umane l’ha dato il meridione, nelle varie guerre per rendere più unita l’Italia. Ma com’è oggi l’Italia? Può essa vantarsi di essere uno stivale compatto? Da tutto ciò che ascoltiamo ogni giorno, non credo che ne pos(continua a pag. 3) Esclusivo: intervista a Michele Placido Ricordate la bionda Chloe Sullivan del telefilm americano ‘Smallville’? Amava il giornalismo tanto da riuscire a entrare nella redazione del famoso ‘Daily Planet’. Un grande riconosci- mento per le capacità giornalistiche del personaggio interpretato da Allison Mack. Beh, sabato 27 novembre, dietro le quinte del Cinema Teatro Metropol, ci sentivamo un po’ come lei. Attendevamo, infatti, che Michele Placido in persona ci ricevesse e scrivevamo, nel frattempo, delle domande da porgli. Si prova una strana sensazione ad attendere. Solo qualche tempo fa Papa Benedetto XVI diceva che tutta la nostra vita è un’attesa. L’attesa continua di qualcosa o di qualcuno. Quella mattina noi aspettavamo, imbarazzate ed adrenaliniche, il primo personaggio ‘importante’ della nostra vita da intervistare. Nelle mani stringevamo biro, foglietti di carta (strappati al volo dal quaderno di biologia che avevamo fortunatamente portato con noi allo spettacolo teatrale tenuto da Placido), fotocamere e cellulari pronti a fermare quegli ‘storici’ momenti. Poi, eccolo comparire, promettere di tornare di lì a poco e (continua a pag. 3) 2 DALLA PRIMA PAGINA Un obiettivo comune Dirigente scolastico che mi ha preceduto e che mi ha lasciato una realtà scolastica di tale tenore e che è stato il promotore, anche, di questa iniziativa editoriale. Sulla scorta di queste riflessioni è stato, dunque, estremamente facile per me voler perpetuare questa esperienza che ha dato frutti positivi nel passato e che sicuramente continuerà a darne nel futuro. Anzi, ho proposto di incentivarla ulteriormente promuovendo anche la redazione e la pubblicazione di una rivista, annuale o periodica, aperta anche a contributi esterni alla scuola e che potrebbe avere un’impostazione monotematica. “L’aquilone” vuole essere una palestra di idee e di confronto dialettico! Per quanto riguarda l’impostazione di questo numero abbiamo ritenuto opportuno - io, i docenti, ma soprattutto gli studenti - dedicarlo in buona parte ad un’esperienza recente che ha coinvolto, sia pure in temi diversi, gli alunni sia del Liceo Classico che del Liceo Scientifico: l’occupazione delle strutture scolastiche per protestare, come peraltro è avvenuto in moltissimi istituti della provincia e del paese intero, contro la riforma della scuola superiore. Questo momento, piuttosto che essere vissuto come un momento traumatico o, nella migliore delle ipotesi, come un fastidio di cui liberarsi al più presto, ha rappresentato per me un ulteriore momento di riflessione e di comprensione delle caratteristiche degli studenti del nostro istituto. Ho immediatamente avvertito che la loro decisione di assumere questa iniziativa è stata non semplice e non scontata, direi anzi una decisione sofferta. E soprattutto non ha voluto essere, come spesso avviene, la solita scusa per sottrarsi a qualche giorno di lezione. Era piuttosto la voglia di voler dare il proprio contributo ad una discussione che ha investito il paese e che riguarda direttamente i giovani. Era la netta volontà di partecipare in qualche modo alla Storia! Tra l’altro, avendo discusso in quei giorni con loro, ho anche percepito che la protesta non era unilaterale. Al suo interno, trovavano spazio anche coloro i quali avevano sull’argomento idee divergenti e magari anche un giudizio positivo sulla riforma, così come deve sempre avvenire in una società democratica e pluralista. Un momento, quindi, di analisi, di discussione e di confronto! Per questi motivi, e per non vanificare questa esperienza, consegnandola all’oblio dei tempi, abbiamo Da sinistra: prof. Salvatore Martino, prof. Pietro Maradei, prof. deciso insieme di dedicare, come già Franco Sena, prof. Cosimo Esposito detto, una parte di questo numero alle tematiche che interessano attualmenla scuola. te l’universo giovanile: la scuola, il rapporto con il Anche questo numero del giornale potrà essere, mercato del lavoro e con la società contemporanea infatti, visionato sul nostro sito e anche scaricato. nel suo complesso, il disagio giovanile, le prospetIn prossimità delle vacanze natalizie mi è molto tive future delle nuove generazioni. Su questi argradito, infine, fare un personale augurio di Buone gomenti abbiamo anche intenzione di organizzare, Feste a tutti. presumibilmente nel mese di gennaio, un convegno Spero che nel nuovo anno troveremo molte altre che dovrà rappresentare un ulteriore momento di apoccasioni di incontro e di confronto. Spero anche profondimento. che insieme potremo fare nuove esperienze, percorVolendo poi sfruttare questa occasione per fare rere nuove strade, raggiungere traguardi sempre più un primo bilancio di questa mia nuova esperienza, esaltanti. devo dire che questi pochi mesi sono stati essenzialSempre con un unico obiettivo comune: la crescimente utilizzati per promuovere un nuovo rapporto ta culturale e la maturazione umana di questi nostri con l’utenza e con il territorio e per stimolare i livelli ragazzi! di partecipazione. In questo contesto, si è inserito prof. Pietro Maradei l’allestimento del nuovo sito web dell’Istituto. Un Dirigente Scolastico sito molto completo e articolato, al cui interno si potrà trovare, in tempo reale, tutto quello che riguarda Riportiamo il discorso di commiato dalla scuola del preside Franco Sena, che ha fortemente voluto la nascita di questo giornale e a cui va il nostro augurio e un “grazie” speciale per la preziosa attività svolta Saluto di commiato dalla scuola Ringrazio il mio collega prof. Pietro Maradei, a me subentrato, per l’invito rivoltomi a esser qui oggi, seppur per breve tempo, per un saluto a tutto il personale della scuola con il quale ho avuto il piacere di lavorare per 6 anni. Rara sensibilità ha espresso il DS con questo invito, che lo colloca al di sopra di certe meschinità e gelosie che a volte turbano la serenità dei rapporti interpersonali. Ti ringrazio, caro collega, e ti offro tutta la mia collaborazione sempre che tu la gradisca. Se ho scritto questo saluto rinunciando a parlare a braccio, come suol dirsi, l’ho fatto per il timore, certo non infondato, che l’emozione confondesse la tela del discorso o, ancor peggio, tradisse il sereno fluire della parola. Che dirvi, cari amici? Sarei un ipocrita, dopo 40 anni e più di servizio di cui 25 da preside, e non lo sono come sapete, se manifestassi gioia per essermi liberato di un fardello di preoccupazioni che tolgono il sonno quali quelle che un istituto grande come il nostro ti rovescia addosso continuamente, in cui ogni giorno portano la vivacità dei loro giovani anni centinaia di ragazzi, su cui vegliano, non senza ansie e timori, altrettante centinaia di genitori, nel quale i problemi di organizzazione didattica, amministrativa, contabile sono tanti e tali da far tremar le vene e i polsi. In verità, nonostante questa selva d’incombenze, mi dispiace e non poco abbandonare la scuola, quella scuola che mi ha dato tanto per farmi crescere culturalmente e che mi ha elevato socialmente, che mi ha fornito gli strumenti per affrontare le sfide del mondo, per saper leggere le difficili pagine della società che dai miei verdi anni ad ora si è fatta sempre più complessa, per esser guidato, nel cammino della vita, da quell’umanesimo che è stato alla base dei miei studi liceali prima e universitari dopo nell’Ateneo glorioso di Napoli. Io ho creduto nel mio lavoro, ho amato i ragazzi di quell’amore che non è facile indulgenza, ma induce a riflettere sul loro destino di uomini, tesori da tirare a volte dal fango, forzieri in cui, a furia di scavare, scorgevi qualcosa luccicare, e non era vetro, anime sensibili che, negli ultimi giorni, mostravano dispiacere per il mio abbandono e mi commuovevano per la loro sincerità sgombra da servile ipocrisia. Abbiamo considerato sempre i nostri giovani come creature da proteggere dal nulla che avanza e che inghiotte con voracità tanti ragazzi senza guide, senza punti di riferimento, se non “Il grande fratello” o qualche insignificante cantante o attore di grido...: se essi sono capaci di concepire grandi sentimenti come l’amore per il preside e per i docenti vuol dire che la nostra opera non è stata vana e che va continuata senza soste. Cari docenti, vi esprimo la più sincera gratitudine per la vostra dedizione alla scuola, per aver indossato, in maggioranza, il grembiule che Gesù indossò per lavare i piedi agli Apostoli, per farvi piccoli come i nostri ragazzi al fine di farli grandi. Per voi ho voluto sempre essere un primus inter pares, sforzandomi di creare un ambiente di lavoro piacevole, lungi da esso atteggiamenti autoritari o indagatori, fornendovi tutti i mezzi che agevolassero il vostro non facile lavoro. So bene che il mio operato non è sfuggito a errori di varia natura, così come capita a ogni essere umano: homo sum, scriveva Terenzio, humani nihil a me alienum puto, e di essi vi chiedo scusa. Non raramente, poi, capita a noi uomini di scuola di registrare qualche insuccesso o ricevere offese larvate per cui abbiamo congedato le giornate col sapore della cicuta dentro la gola. Forse nei momenti difficili avevamo bisacce troppo lise per contenere la verità e tutti i suoi pesi… Il nostro lavoro ci ha anche insegnato la pazienza, la cautela, l’attesa prudente del ragno senza le quali è vano aspettarci validi risultati. Tornando a me, ma non è il mio velato narcisismo bensì esame sincero di me da sottoporre al vostro giudizio, so che non sono stato un dirigente schivo nel bisogno di aprirmi a voi, e a volte sono stato anche frainteso, ma certo lontano da protagonismo deleterio e insensibile a lodi servili. Ed anche se qualche volta, com’è naturale, ha preso corpo qualche divergenza di opinioni tra noi, con conseguente animata discussione, essa si è dissolta alla luce del confronto pacato e amichevole come nelle migliori famiglie. E’ stato sempre questo il mio sogno, come sapete: fare di questa scuola una famiglia, accomunata dagli stessi ideali etici e pedagogici dove, ciascuno di voi, pur preservando la propria identità, rifuggisse da comportamenti deleteri dettati da risentimenti per presunti torti subiti o altro, e mettesse a disposizione del collega la propria esperienza e il proprio bagaglio culturale in quello spirito di servizio che solo può conseguire il bene comune. Non sto qui a ricordare tutte le iniziative culturali e i progetti e la cura dei locali e le attrezzature di cui abbiamo arricchito la nostra attività, espressione d’amore per i nostri studenti, dei quali si è voluta agevolare la fatica dello studio e aprirli a nuovi orizzonti.. Non posso concludere senza aver rivolto un pensiero grato ai mie due i collaboratori, prof. Martino e prof. Alterisi, quest’ultimo da quest’anno in pensione, per la feconda opera svolta e per i rapporti leali cui insieme abbiamo ispirato il nostro cammino, e al prof. Cosimo Esposito, amico fidato e custode attento del liceo classico, persona laboriosa, amabile e corretta. Un grazie ancora al personale ATA, del quale il nostro Segretario ha fatto una squadra efficiente indispensabile al buon andamento dell’istituto. Al buon Fausto, compagno di lavoro e amico, il mio grazie sentito per aver dato un prezioso contributo alle realizzazioni surricordate e l’augurio che possa lavorare in simbiosi, così come con me, col nuovo preside, del quale si appalesano fine intelligenza e attiva volontà, al fine di continuare l’opera di costruzione di una grande scuola. Auguri a tutti, ma anche a me stesso, affinché possa abituarmi al nuovo vestito che il tempo mi cuce addosso. Che io ripeta a me stesso: ciò che hai fatto appartiene al passato, pensa a quello che farai domani. Hai tanti orizzonti da esplorare, tante vie da percorrere, tante mete a cui aspirare: coraggio, vecchio mio, ricomincia senza patemi e con rinnovato vigore: la vita continua. prof. Franco Sena Dirigente Scolastico Cultura e Scuola DALLA PRIMA PAGINA Esclusivo: intervista a Michele Placido sparire nuovamente. Panico. Gli istanti successivi furono caratterizzati da un collettivo ‘rinfresco’ al trucco, tipicamente femminile, e da un batticuore generale. Quando tornò, perché tornò, con professionalità, iniziammo a porgli le nostre domande… Che scuola superiore ha frequentato? Ho frequentato l’Istituto Tecnico per Geometri. E poi, naturalmente, ho studiato recitazione.. Cosa significa per lei recitare? Recitare significa ‘To Play’, giocare. Vuol dire impegnare la mia anima, il mio corpo, la mia mente, la mia intelligenza sul palcoscenico al servizio dei grandi autori come Shakespeare o Pirandello. Cosa consiglierebbe ai giovani che vogliono diventare attori? Frequentare una scuola, una scuola di teatro, una scuola di cinema perché un’apparizione in televisione non rende “artisti’’. Bisogna frequentare dei corsi, bisogna impegnarsi, leggere. Soprattutto letteratura e poesia. Bisogna anche guardare buoni film. E’ stato difficile per lei sfondare? No. Perché in qualche modo è stato un gioco. Non ho mai pensato che fosse un lavoro difficile. Quando si ha la passione non si trova difficoltà. Al festival di Roma e in questi giorni i lavoratori del mondo dello spettacolo, dell’arte, della cultura hanno protestato e continuano a DALLA PRIMA PAGINA SIAMO ANCORA UNO STIVALE UNITO DOPO 150 ANNI? siamo essere tanto orgogliosi. I mass media ci propongono continuamente il quadro di un’Italia divisa in due: nord e sud. Noi meridionali siamo portati ad ammirare con occhi sognanti il nord come il paese delle meraviglie, dove tutto funziona perfettamente, dove non ci sono problemi legati alla mafia, dove il lavoro si trova non appena si svolta l’angolo, dove esiste un maggiore senso civico. Insomma un mondo diverso all’interno dello stesso Paese! Loro, i settentrionali, invece, pensano che noi al sud viviamo nel paese dei balocchi, dove non si lavora, e invece di lavoro non ce n’è, dove si è governati da una classe politica inadeguata che spesso è in relazione e in affari con la mafia e che quindi siamo tutti delinquenti. Perché siamo etichettati come tali? Dico “siamo” per includere nella definizione tutti noi meridionali, divenuti ciò che ci attribuiscono e non quello che realmente rappresentiamo. Certo è vero che per il senso civico e d’appartenenza non eccelliamo, è vero che spesso noi meridionali tendiamo a essere troppo furbi, è vero che non abbiamo troppo rispetto per le istituzioni, è vero che la mafia esiste farlo contro i tagli a questi importantissimi settori. Cosa si sente di dire a proposito? Io credo che la cultura sia una questione soprattutto personale. Ognuno dovrebbe cercare di coltivarla da solo. Naturalmente, se lo Stato concede finanziamenti alle scuole per la costruzione di appositi laboratori è ancora meglio. Lei è un meridionale. Come noi. Come vive il provenire da terre difficili? Cosa ha provato recitando il ruolo del boss mafioso Provenzano nel ‘L’ultimo padrino’? Perché difficile? La mia terra è bellissima! Sicuramente. Ma è, purtroppo, un territorio attanagliato da problematiche serie. (risata) Ma le problematiche ci sono dappertutto. Certo, qui mancano i collegamenti. Le infrastrutture? Sì. Ferrovie, autostrade, aeroporti. Mi chiedevate della mia interpretazione di Provenzano, un personaggio sicuramente negativo. Noi siamo tutti buoni e cattivi allo stesso tempo. Siamo equidistanti. Quando si interpreta un personaggio negativo l’attore deve sforzarsi di far prevalere la propria parte oscura. Ma deve saperla dominare. La ringrazio per aver risposto alle nostre domande. Grazie a voi. Alla fine dell’intervista si concesse alle fotocamere. Purtroppo mancò il tempo per gli autografi. Ne fece,infatti, solo due. Uno appartiene alla nostra prof. di Inglese, che tanto lo desiderava. E l’altro ad una sua bionda e simpatica collega. A noi restano le foto, i ricordi e la sensazione di aver vissuto una mattinata alla Chloe Sullivan. Luciana Franzese, Ilaria Scorzafave, Rita Tassitani, Alessandra Berardi, Selene Zangaro, Giusy Cofone, Paola Cardamone, Cristina Marzullo, Esterina Marzullo Classe II A – Liceo Classico e che tanti convivono con essa; ma è anche vero che al sud la maggior parte della popolazione è onesta, operosa, è anche vero che abbiamo altre caratteristiche, altre qualità che ripagano tutto. L’ospitalità, la gentilezza, la disponibilità, sono pregi, infatti, che ci appartengono e dei quali possiamo essere entusiasti. Noi del sud dobbiamo essere consapevoli dei nostri errori, dobbiamo credere nelle nostre possibilità e capacità di saperci sollevare dalla situazione critica in cui ci troviamo, dobbiamo lottare per ottenere un futuro migliore. Tanti meridionali si sono sacrificati per realizzare un’Italia unita; tanti, emigrando al nord, hanno contribuito allo sviluppo del Paese, tante persone del sud sono emigrate e continuano a farlo, per mantenere una famiglia, e quindi mantengono viva e salda anche l’economia del nord. Cosa si è fatto affinché anche qui le cose cambiassero, affinché ci fosse più lavoro, affinché non fossimo delle regioni emarginate? Beh, fino a oggi poco o niente, anzi la nostra situazione economica va alla deriva. Dopo 150 anni di storia comune fra meridionali e settentrionali, occorrerebbe essere meno egoisti e bisognerebbe che tutti porgessimo una mano a chi ha bisogno di sostegno, a chi è in difficoltà. Bisognerebbe che chi sta meglio, come coloro che stanno al nord, non guardasse al sud come ad un paese straniero, ma come ad una parte dello stivale che necessita di aiuto. Ilaria Mingrone III A 3 Usanze e tradizioni: 2 novembre, “ppi l’anima i ri muort!” In America c’è chi dice che un vecchio ubriacone sia riuscito a prendere in giro Lucifero tanto che, nell’ora della sua morte, non l’hanno accettato neanche all’Inferno e se ne va girovagando nel buio con una lanterna nella notte del 31 ottobre, accompagnato da fantasmi, mummie, vampiri e zombi, ed è proprio questo che attira i giovani che organizzano feste e veglioni indossando le più bizzarre maschere. Come nel resto d’Italia, Halloween è diventato ormai un business: anche qui a Corigliano si possono notare vetrine allestite con zucche illuminate, fantasmi, scheletri, pipistrelli e maschere; in più i bambini, oltre a partecipare a feste in maschera, adorano girare per le case del quartiere per chiedere ‘dolcetto o scherzetto?’ e si può notare la loro felicità quando tornano a casa con bustine piene di dolci, caramelle e merendine, che poi dividono con i loro compagni. Quest’anno Halloween è arrivato di domenica, seguito dal ponte del 2 novembre, che è la ricorrenza dei defunti. Ogni paese ha un’usanza diversa: ad esempio, nei paesi albanesi si celebra questa ricorrenza andando a pranzare nel cimitero sulle tombe dei defunti, tutti insieme come se fosse una grande festa. Qui a Corigliano, invece, al mattino tutti i parroci si riuniscono insieme ai fedeli nella chiesa principale del cimitero per celebrare la Santa Messa, dopo ognuno fa la visita ai propri cari defunti ed è una “festa” vedere tutta quella gente, compresi i bambini, con i fiori in mano. Tornati a casa, si prepara un ricco pranzo. Il primo piatto tipico sono le tagliatelle con ceci e, per secondo, baccalà con patate. Due o tre giorni prima si mette a bagno (a mollo) il baccalà per dissalarlo, mentre i ceci vengono messi nell’acqua la sera per poi essere cucinati al mattino. Le tagliatelle si preparano a mano con uova, acqua e farina e si stendono con il mattarello. Inoltre si preparano polpette, cavolfiore fritto, crocchette di riso o di patate, melanzane ripiene e si porta già cucinato il piatto in regalo. Gli anziani tengono molto a questa usanza, i nonni soprattutto ricordano sempre che, durante i preparativi del pranzo, si deve considerare un piatto in più per i propri morti che, generalmente, viene dato ad una famiglia del vicinato, ed ecco perché già il giorno prima si chiede ad un vicino se accetta un pranzo per “l’anima dei morti”. C’è chi aspetta tanto questa offerta perché si sa che fa bene all’anima di un defunto. Dopo cena è usanza lasciare la tavola apparecchiata con qualche pietanza, tipo frutta, pane e vino, per i defunti che, come si pensa, nella notte entrano in casa per “approfittare” di questo banchetto. Il 4 novembre, inoltre, per la commemorazione dei caduti, qui a Corigliano il Sindaco, insieme ai cittadini, si reca in piazza San Francesco per ricordare i caduti in guerra e, davanti al monumento posto in mezzo alla piazza e seguito dalla banda musicale del paese, posa una corona di fiori sulla statua. Molte scuole prendono parte a questo evento. Irene Romano IV A 4 Cultura e Scuola MODELLI E STRUMENTI PER LA DIDATTICA DELLA LETTERATURA GRECA E LATINA A fronte della difficoltà di offrire agli studenti un insegnamento che sia duraturo e spendibile a breve e lungo termine nella scuola così come al di fuori della scuola, anche il docente di letteratura latina deve armarsi e procedere con efficacia. Tre i principali modelli didattici di cui può fare uso: quello storicistico, quello per generi e quello per tema basato principalmente sul testo. Se si riflette attentamente sul problema, verrà fuori che il docente, più che limitarsi ad una sterile scelta che anteponga un modello ad un altro, dovrebbe avere la scaltrezza di fare una programmazione che sia a percorsi intrecciati: in fondo, la scelta di un solo modello risulterebbe una pura semplificazione del problema che è oggi alla base dell’insegnamento della letteratura. Pur venendo sempre più a diminuire le ore dedicate a questa disciplina, non si può ridurre l’insegnamento della letteratura greca o latina ad una scelta di comodo: il “fatto letterario” è pur sempre qualcosa di complesso che deve coinvolgere intellettualmente ed emotivamente e il cui luogo di fruizione non deve essere soltanto l’aula scolastica. I ragazzi di oggi sono bombardati continuamente da mille stimoli diversi, ma non per questo si deve rinunciare a offrire loro momenti di riflessione culturale e letteraria a largo respiro, che amplino i loro orizzonti mentali e facciano emergere il loro “gusto estetico”. Ne viene fuori che, a fronte della sempre più marcata marginalizzazione della letteratura, che non rappresenta più un valore di per sé, il docente deve possedere una preparazione e una professionalizzazione doppia: profonda deve essere la sua consapevolezza teorica, da esplicarsi nella sua capacità di scelta, di sintesi e di esposizione; altresì radicata deve essere la sua padronanza della specificità del linguaggio letterario e la convinzione dello statuto autonomo della creazione letteraria. A monte di tutto ci deve essere, naturalmente, la riflessione epistemologica su quello che debba essere il modello più efficace cui rifarsi per l’impostazione di una ben ponderata programmazione, avendo di mira sempre la valorizzazione del proprium della letteratura. La letteratura potrebbe, perciò, rappresentare una sorta di zona “neutra” di dialogo, di cui la nostra società, a sfondo fortemente scientifico e tecnologico, sente sempre più il bisogno per porsi all’incrocio fra “materiale ed immaginario”. Nonostante le critiche provenienti da più fronti al modello storicistico, che mal si adatterebbe alla programmazione modulare, l’insegnante non può completamente rinunciare ad esso, a meno che non voglia gettare nel caos mentale i suoi studenti. Il modello storicistico anzi, se usato parzialmente e con cautela può servire a meglio innestare gli altri due modelli: può, cioè, servire da “canovaccio” su cui impostare il discorso letterario: esso non offrirà più e solo un’arida galleria di autori ed opere sotto forma di monografie, ma fornirà la griglia di inquadramento storico-letterario su cui poi lavorare. Il modello per generi letterari concorrerà a dare agli studenti l’idea della dinamicità del fatto letterario: i generi letterari non sono altro che gruppi o famiglie storiche da caratterizzare, determinare e descrivere storicamente, in quanto il genere è sottoposto sia al cambiamento storico (piano diacronico), sia al trasferimento di funzioni (piano sincronico). Dal momento che forme e generi letterari sono fenomeni in primo luogo sociali, poiché poggiano su funzioni della vita terrena e si manifestano, in primo luogo, in un insieme di tratti distintivi tanto formali che contenutistici, essi rendono visibili le strutture elementari nelle quali si è manifestata l’azione della letteratura, socialmente modellatrice e fondatrice di comunicazione. Un’opera appartiene ad un genere in quanto esiste la necessità per ogni opera che vi sia un orizzonte di attesa precostituito allo scopo di orientare la comprensione del lettore e rendere così possibile una ricezione qualificata., in assenza della quale gli scrittori e le opere risultano delle monadi veramente “senza porte e senza finestre”. Se concepiamo i generi letterari non in modo formale, ma come canali sociali di comunicazione fra autore e lettori, farne un asse privilegiato di riferimento può permettere di unificare la storia degli intellettuali, quella delle ideologie e delle poetiche, quella delle forme, quella dell’immaginario e dei temi letterari, quella della ricezione e del pubblico. Nel genere letterario determinati temi assumono forme determinate in relazione a lettori determinati. La categoria del genere permette di comprendere la complessità di un autore che può aver composto opere appartenenti a generi diversi; permette di allargare l’arco temporale trattato e di proiettarsi in epoche diverse; al contrario, un uso indiscriminato della categoria di genere letterario può chiudere gli autori in blocchi autonomi, dare un taglio solo ed esclusivamente formale alla trattazione. Gli studenti dovranno comprendere che il concetto di genere non è un contenitore vuoto in cui inserire autori e testi, ma è qualcosa che dà forma agli stessi. Al modello per generi si dovrà intersecare quello basato sul testo per soddisfare quel bisogno di bellezza immanente e connaturato a ciascuno di noi: l’avvicinamento alla lettura dei testi letterari è qualcosa che si conquista faticosamente e lentamente. Pur se sospinti inizialmente alla lettura dall’interesse verso un determinato tema, lentamente i ragazzi acquisteranno gusto nell’avvicinarsi alla lettura per il puro e unico gusto del leggere, “perché leggere i classici è meglio che non leggere i classici”. I classici servono a così tante cose che non si può rimanere indifferenti di fronte alla loro utilità e al loro fascino: È classico ciò che tende a relegare l’attualità al rango di rumore di fondo, ma nello stesso tempo di questo rumore di fondo non può fare meno……….. Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire……… Si dicono classici quei libri che costituiscono una ricchezza per chi li ha letti e amati; ma costituiscono una ricchezza non minore per chi si riserba la fortuna di leggerli per la prima volta nelle condizioni migliori per gustarli. Lettura “inconsapevole” e “lettura consapevole”: questi sono i due livelli che l’insegnante dovrà far raggiungere ai suoi allievi e tutti e tre i modelli saranno utili allo scopo, in particolare il modello basato sul testo sarà utile nel raggiungimento del primo livello, mentre il modello storicistico e quello per generi concorreranno a costruire nel discente l’abitudine alla lettura riflessa e consapevole. La nostra è una sfida complessa: perciò, solo armandoci di strumenti complessi ma non complicati vinceremo la sfida e risveglieremo “il piacere della lettura” nei nostri ragazzi, senza alcuna velleità di voler essere esaustivi o enciclopedici. Emanuela Cairo I poeti comici e Cecco Angiolieri Lo stile comico, da alcuni detto comico-realistico, si configurò anche come parodia della poesia tragicostilnovistica, i temi principali dello Stil Nuovo venivano ripresi in chiave umoristica, volgare, l’amore veniva celebrato come esperienza fisica, terrena, perdendo del tutto il carattere salvifico e cortese che pervadeva le poesie guinizelliane e dantesche. La donna comica, che raggiunge l’apice nella Becchina di Angiolieri (che viene spesso definita anti-Beatrice proprio per questo motivo) non possiede quelle qualità morali e, per certi versi, ultraterrene, ma è una donna “reale”, sensuale, volgare, potremmo dire degradante. Altri temi ricorrenti nei canzonieri dei poeti comici erano il gioco d’azzardo e la vita squallida dei bassifondi. Fra tutti, colui che spicca, come spicca Dante fra gli stilnovisti, è il senese Cecco Angiolieri, la cui capacità espressiva e formale rimarrà ineguagliata nell’ ambito della poesia goliardica. In lui si trovano tutte le caratteristiche del gaudente, si potrebbe fare una similitudine con Sordi nel Marchese del Grillo, che vuole solo godersi la vita, infischiandosi di soldi e lavoro ( tra l’altro lo stesso Angiolieri vendette una vigna per 900 lire). Se dell’Angiolieri uomo non abbiamo grandi testimonianze, dell’Angiolieri poeta ci rimangono ben 150 componimenti, di solito sonetti o dialoghi, di cui 121 sono attribuiti a lui in modo certo. Malgrado quello che si può pensare Angiolieri, e gli altri poeti comici, pur trattando argomenti “bassi”, usavano forme e costruzioni comuni anche allo stile tragico: come già detto, infatti, lo stile riguardava solo il registro linguistico e le soluzioni formali, non erano quindi illetterati né poeti di seconda categoria ma, anzi, venivano rispettati perché aderivano ad una corrente che affondava le sue radici nella poesia goliardicogiullaresca medievale. I contenuti del canzoniere di Angiolieri, le “Rime”, si basano su tre “pilastri”: l’amore per Becchina, l’odio verso i genitori, i divertimenti (ed il gioco d’azzardo). Nel suo canzoniere l’amore per Becchina assume importanza pari a quello di Dante per Beatrice, basti pensare che, su 121 poesie, cento sono dedicate o hanno come protagonista questa donna. Si può quindi affermare, con il beneficio del dubbio, che Cecco, malgrado la palese intenzione di parodiare i canzonieri stilnovistici, fosse realmente innamorato di questa donna e che non fosse solo una trovata stilistica. In effetti, analizzando la poesia “Becchin amor”, al di sotto della patina di umorismo si può trovare una certa malinconia di fondo, che si riscontra in quasi tutti i suoi componimenti, dovuta, forse, proprio a questo amore che alternava momenti di sensualità e passione a momenti di tradimenti reciproci. La capacità espressiva e formale di Cecco raggiunge l’apice nel sonetto “S’i’ fosse foco”, in cui, con sapiente maestria, unisce la volontà di stupire e di esagerare ad una ponderata ricerca formale: i 14 versi sono tutti endecasillabi e sono tutti divisi da una cesura perfetta che spesso corrisponde ad una virgola; un componimento formato da sette iperboli (se fossi foco, se fossi vento, se fossi papa ecc..) e da un ultima terzina con cui chiude il cerchio iperbolico e “tragico” del sonetto con un finale irriverente ed ironico (Se fossi Cecco, come io sono e fui, terrei le donne giovani e leggiadre e le vecchie e brutte lascerei agli altri) creando un effetto allo stesso tempo di forte impatto ma molto scorrevole che si conclude con una vanteria in stile goliardico- ironico. Questa poesia è importante perché è quasi una summa del pensiero angiolieresco: il disprezzo per il mondo nella prima quartina, l’ironia sui poteri di Chiesa e Impero nella seconda, l’odio per i genitori nella prima terzina e l’amore per le donne nella seconda terzina, sono appunto gli elementi che si ritrovano in tutto il suo canzoniere. Per certi versi questo poeta del trecento mi ha fatto ricordare la voglia di libertà e voglia di vivere, evidente dei personaggi autobiografici di Kerouac. Sia Cecco che Kerouac volevano la stessa cosa, ma la loro situazione è molto diversa, Cecco è un uomo inserito nel suo tempo e nella sua società, la vive dall’interno, ha già quello che vuole; Kerouac, invece, vive in una società che non sente sua, ne viene imprigionato, non sa come liberarsene, in pratica questo è quello che avrebbe portato ai movimenti giovanili di rivolta (che non seppero comunque dare alternative valide). Quello che mi viene da pensare è che, rispetto agli altri poeti del suo tempo, Cecco si sentisse più libero, non sentiva il bisogno di fondare un movimento, né di insegnare qualcosa, cercava di godersi la vita, credo ritenesse la poesia un modo per sfogarsi, dimenticare i problemi e, cosa più importante, credo avesse capito che nella vita non bisogna mai prendersi troppo sul serio, perché magari la storia non si ricorderà di te ma, di certo, trascorrerai una vita più serena. Francesco Mondera III A Cultura e Scuola Mììì… in Sicilia fummo! Tutto iniziò un piovoso venerdì mattina, precisamente il 15 Ottobre, quando i nostri impavidi esploratori intrapresero la loro avventura verso “l’isola che c’è” , date le sue decisamente considerevoli dimensioni: la Sicilia! Armati delle più avanzate forme di difesa (fotocamere, telefonini e i-pod) e dello stretto necessario per la sopravvivenza (panini, piz- ze, cioccolata, the, coca-cola e le importantissime caramelline di gomma), i nostri giovani eroi, accompagnati dai più atletici e coraggiosi professori conosciuti nella metropoli di Corigliano (Angelo Tocci e Salvatore Cardile), hanno affrontato un lungo viaggio combattendo contro mille insidiosi autogrill, ma arrivando infine alla meta! Dopo aver riposato le loro stanche membra, affaticate dal cammino e dalla nottata passata insonne per proteggere “l’accampamento” dall’attacco straniero, i plotoni VA, VD e VE si sono diretti verso l’Etna per colonizzare la sua cima, volendo prendere da quella terra straniera nuovi insegnamenti da portare poi nella terra natia. Prima di dover “scalare” il monte, si immaginava un cammino difficile ma non impossibile: le cose cambiarono appena scesi dal mezzo militare. L’aria era fredda e persino le unghie dei piedi chiedevano pietà e calore. Dopo aver rifocillato (ovviamente, per l’ennesima volta) i corpi dei coraggiosi per prepararli al viaggio, “Corigliano” si incamminò per i sentieri tortuosi. Durante il percorso, grazie all’aiuto della provvidenza, trovarono due uomini del luogo che aiutarono i nostri a percorrere il vulcano. La salita fu ardua e molti furono i caduti che interruppero il viaggio (non tutti riuscirono a sopravvivere al freddo e alla fatica). I pericoli erano diffusi in ogni angolo del vulcano e la terra sottostante faceva presagire il peggio ma i nostri coraggiosi giovani eroi arrivarono alla meta, potendo guardare e tenere in pugno un’intera isola dall’alto! CORIGLIANO 5 AVEVA CONQUISTATO ANCHE L’ETNA! In verità questa escursione ci ha dato la possibilità di toccare con mano, di sentire l’odore e vedere i veri colori di ciò che sui libri non ha la stessa consistenza e non possiede la stessa bellezza. Quel fine settimana non ci ha solo permesso di rendere reale quello che svogliati impariamo dentro quattro mura, ma ci ha regalato un viaggio in una terra così vicina a noi e al contempo così perfettamente autentica. Questo viaggio come tutti gli altri di istruzione ci rimarca il vero significato della scuola, intesa come luogo in cui si concretizza il desiderio di conoscere. La scuola è ciò che ci portiamo dietro, quello che riusciamo a fare nostro nella vita lontano da quell’edificio che tanto ci mancherà tra un anno. La scuola è ridere, felici e autoironici, sapendo riconoscere le diverse rocce presenti sul vulcano, è guardarsi attorno e rimanere estasiati dalla natura che però sappiamo distinguere e che apprezziamo di più proprio grazie alla conoscenza acquisita, la scuola è condivisione, è saper abbattere il muro insegnante-alunno e godersi insieme questa “trasferta”! Lo scopo di questa escursione non è stato solo comprendere meglio i fenomeni vulcanici, conoscere le rocce formatesi dal magma piuttosto che l’attività effusiva dell’Etna, bensì quello di insegnare come non sia poi così inutile quello che sui libri ci appare insignificante per la nostra vita; quello di insegnarci come scalare un vulcano, aiutandosi gli uni con gli altri evitando di cadere, è un messaggio di vita; forse quanto sia alto l’Etna o quando sia stata la sua ultima eruzione non ce lo ricorderemo più, ma rimarrà in noi, nitida come se fossa stata scattata ieri, la foto di due giorni condivisi con le persone che ci hanno aiutato a crescere! Alessandra Spezzano VD Aci Trezza, terra della “Provvidenza”! Lasciate le coste calabresi e salpati nella bellissima terra siciliana, avvolti da un paesaggio variopinto dei più fervidi colori, circondati da un mare la cui bellezza risiede nel suo pacifico e nobile splendore, peregrini siamo stati accolti nell’incantevole Sicilia, terra di tante bellezze, opulenta d’invidiati beni e ricca di nobili spiriti. Il 15 Ottobre alcune quinte classi del liceo scientifico F.Bruno, guidate dal professore Tocci e dal professore Cardile, sono state accompagnate in un viaggio d’istruzione alla scoperta della terra natale di un grande uomo, uno dei più importanti scrittori dell’Ottocento, il maggior esponente della corrente letteraria del Verismo, Giovanni Verga. Ad Aci Trezza, centro peschereccio di antica e notevole tradizione, famoso per il suo paesaggio caratteristico, lo scrittore ambientò il celebre romanzo I Malavoglia (1881); nello stesso luogo, nel 1948, venne girato il film “La terra trema” di Luchino Visconti e Antonio Pietrangeli, capolavoro del neorealismo realizzato con attori non professionisti abitanti del luogo. Per mantenere viva l’attenzione su un territorio che, nonostante il suo patrimonio storico-culturale, sta affrontando l’indifferenza di chi dimentica le sue radici, non distante dalla Chiesa del Patrono, in base ad alcuni elementi descrittivi forniti dal Verga nei Malavoglia, è stata identificata la “casa del nespolo”, l’abitazione di Padron ‘Ntoni, ed è proprio lì, dove “si sente russare il mare”, che è stato allestito il museo “Casa del nespolo”. Questo presenta una struttura architettonica tipicamente siciliana della metà del XIX secolo, con cortile, un piccolo orto e l’ingresso caratterizzato da un arco in pietra lavica a tutto sesto. L’interno è articolato in due stanze: la prima, la sala “La terra trema”, raccoglie fotografie, locandine e varie testimonianze dell’omonimo capolavoro cinematografico; la seconda, la “Stanza dei Malavoglia”, ospita testimonianze del mondo dei pescatori della metà dell’Ottocento, con una raccolta di antichi strumenti di lavoro e suppellettili della vita quotidiana. Interessanti le foto scattate personalmente da Giovanni Verga e la raccolta di lettere al fratello Pietro. E’ proprio in quest’ultima stanza che ci sono state narrate le vicende descritte dallo scrittore siciliano. Presso il paese di Aci Trezza, nel catanese, vive la famiglia Toscano che, nonostante sia decisamente laboriosa, viene soprannominata Malavoglia per antifrasi. Il patriarca è Padron ‘Ntoni, vedovo, che vive presso la casa del nespolo insieme al figlio Bastiano, detto Bastianazzo, quest’ultimo sposato con Maria (la longa). Bastiano ha cinque figli: ‘Ntoni, Luca, Filomena (detta Mena), Alessio (detto Alessi) e Rosalia (detta Lia). Il principale mezzo di sostentamento è la “Provvidenza”, una piccola imbarcazione utilizzata per la pesca. ‘Ntoni, il maggiore dei figli, parte per la leva militare e Padron ‘Ntoni tenta un affare comprando una grossa partita di lupini, peraltro avariati, da un suo compaesano, chiamato Zio Crocifisso per via delle sue continue lamentele e del suo perenne pessimismo. Il carico viene affidato al figlio Bastianazzo perché vada a venderlo a Riposto, ma egli perderà tutta la merce durante un naufragio, e con essa anche la vita. A seguito di questa sventura, la famiglia si ritrova con una triplice disgrazia: il debito dei lupini, la Provvidenza da riparare e la perdita di Bastianazzo e quindi di un membro importante della famiglia. Finito il servizio militare, ‘Ntoni torna molto malvolentieri alla vita laboriosa della sua famiglia, e non rappresenta alcun sostegno per la già precaria situazione economica del nucleo familiare. Purtroppo, le disgrazie per la famiglia non terminano. Luca, uno dei nipoti, muore in battaglia e questo determina la rottura del fidanzamento di Mena con Brasi Cipolla. Il debito causerà alla famiglia la perdita dell’amata Casa del nespolo, e via via la reputazione della famiglia andrà peggiorando fino a raggiungere livelli umilianti. Un nuovo naufragio della “Provvidenza” porta Padron ‘Ntoni ad un passo dalla morte, dalla quale, fortunatamente, riesce a scampare. In seguito Maruzza, la nuora, muore di colera. Il primogenito ‘Ntoni decide di andare via dal paese per far ricchezze, ma, una volta tornato ancora più impoverito, perde ogni desiderio di lavorare, dandosi all’alcolismo ed all’ozio. La partenza di ‘Ntoni costringe la famiglia a vendere la Provvidenza per accumulare denaro al fine di riacquistare la casa del nespolo, mai dimenticata. La padrona dell’osteria Santuzza, già ambita dallo sbirro Don Michele, a causa dei numerosi intrallazzi di quest’ultimo, si invaghisce di ‘Ntoni, mantenendolo gratuitamente all’interno del suo locale. La condotta di ‘Ntoni e le lamentele del padre la convinceranno a distogliere le sue aspirazioni dal ragazzo, e a richiamare Don Michele all’osteria. Ciò sarà origine di una rissa tra i due; rissa che sfocerà in una coltellata di ‘Ntoni al petto di Don Michele durante una retata anti contrabbando alla quale il Malavoglia si era dato. ‘Ntoni finirà dunque in prigione. Padron ‘Ntoni, accorso al processo e sentite le voci circa una relazione tra Don Michele e sua nipote Lia, stramazza al suolo. Ormai vecchio, il suo salmodiare si fa sconnesso e i suoi proverbi pronunciati senza cognizione di causa. Lia, la sorella minore, vittima delle malelingue, lascia il paese e si abbandona all’umiliante mestiere della prostituta. Mena, a causa della vergognosa situazione della sorella, sceglie di rinunciare a sposarsi con compare Alfio, di cui è innamorata, e rimarrà in casa ad accudire i figli di Nunziata e di Alessi, il minore dei fratelli, che continuando a fare il pescatore ricostruirà la famiglia e potrà ricomprare la “casa del nespolo”. Acquistata la casa, ciò che resta della famiglia farà visita all’ospedale al vecchio Padron ‘Ntoni, per informarlo della compravendita e annunciargli un suo imminente ritorno a casa. Sarà l’ultima gioia per il vecchio, che morirà proprio nel giorno del suo agognato ritorno. Neanche il desiderio di morire nella casa dov’era nato sarà dunque esaudito. Quando ‘Ntoni, uscito di prigione, ritornerà al paese, si renderà conto di non poter restare a causa del suo passato, in cui si è auto-escluso dal nucleo familiare rinnegando sistematicamente i suoi valori. E’ stato interessante immergersi totalmente in un romanzo che si concretizzava sotto ai nostri occhi. Anna Sassanelli V A 6 Cultura e Scuola Fiori di Loto A volte il passato sembra più presente che mai. A volte si pensa che il mondo sia cambiato, che la gente, che l’uomo sia cambiato, ma spesso mi rivedo di fronte ad un testo di Seneca o di Platone o Cicerone, e non sento per niente il bando dell’anacronismo, anzi mi sento parte di tutto ciò e capisco che così come Saffo tremava e non riusciva a proferir parola alla vista del suo amore, che così come Seneca sentiva su di sé la “romantica” caducità del tempo che inesorabilmente ci fa scorrere via e ci fa morire <<prematuramente>>, che così come Platone disprezzava e denigrava i falsi politici, la falsa democrazia, i falsi dotti, anche io faccio parte di quell’ingranaggio che, perpetuamente, gira e ritorna: la storia. Che la storia sia davvero un “eterno ritorno”? Non ci voglio credere, altrimenti la speranza che si possa imparare dagli errori, che si possa guarire, svanisce, limitiamoci a chiamare la politica augustea e la “nostra” un’analogia! Non possiamo di certo sperare neanche che il Male svanisca o che venga scacciato da un paladino, neanche le Paure scompaiono né vengono allontanate, ed una paura che è sempre albergata nella mente del despota è la Cultura! Infatti Augusto fu uno zelante accentratore e populista, che pian piano divenne “princeps” indiscusso, di fatto svuotò il potere dagli organi esecutivi, divenne “maximus pontifex” (Capo della Chiesa), e sua era la “tribunicia potestas” cioè il diritto di veto, fece inoltre un astutissimo uso della propaganda; a lui dovevano rispondere lo Stato e la Chiesa, finanche la Cultura e l’Arte (sembra quasi un Leviatano di hobbesiana memoria). Quindi alla grandissima “Res publica” romana, era rimasto solo il nome, perché di fatto non era diventata altro che una Monarchia assolutistica e dispotica, perché nel momento in cui la “religione” tace, e la cultura viene “fatta tacere”, ci si ritrova di fronte ad un assolutismo. Sotto Augusto la cultura venne assoggettata ad una serie di censure, di soffocamenti,di epurazioni, la cultura “era” solo se assoggettata a lui; ma la “libertas cogitandi” veniva oppressa per il semplice motivo che apre gli occhi ai dormienti. La cultura fa paura perché è forza, ed infatti furono assassinati grandi personaggi dell’epoca, proprio perché con l’avversario non si discute, si grida, si aggredisce e se dà troppo fastidio si liquida; ma ciò è frutto di paura. “Sapere è Potere” diceva Bacone, esso fornisce uno stimolo a far emergere quella facoltà critica e di discernimento che tutti possediamo e che dobbiamo usare, è il solo mezzo con il quale dobbiamo lottare, è la nostra spada e il nostro scudo oggi più che allora. La cultura ci smuove da questa quiescenza, ci fa muovere, e chi non si muove non può mai accorgersi delle catene che lo trattengono; Lenin diceva “Studiare, studiare ed ancora studiare”. Non incentivare la cultura significa aver paura di essa, e questo connota una “dittatura”: si pensi a Tremonti (Ministro dell’economia italiana), il quale ha osato affermare: “Fatevi un panino con la Divina Commedia”; mentre si ricordino i celebri versi danteschi: “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”. Però non bisogna neanche confondere il vero senso della Cultura che è “aprire gli occhi” con “essere eruditi”, anzi il rifugiarsi nel “Mondo di Carta” (Galileo) che è proprio dell’erudito è un insegnamento assai negativo, non è altro che un’illusione, un proiettarsi in un mondo diverso da questo, uno sgambetto alla responsabilità che ci comporta lo stesso “vivere” e la “vita”! L’erudito chiuso nella sua torre d’avorio, nel suo mondo di carta, geloso del suo sapere, non è altro che un male ancora maggiore, anzi proprio egli contribuisce al disfacimento culturale. L’uomo invece deve essere emancipato dalla cultura, deve usarla, per agire! <<Io voglio che l’uomo non contempli senza azione e che non operi senza contemplazione>> diceva Giordano Bruno (filosofo arso vivo come eretico impenitente). Oggi la cultura viene demonizzata, messa quasi in cattiva luce; si stanno sempre più divulgando dei modelli, degli “idoli”, ma questi idoli non professano il sapere, sono simboli apologetici dell’Ignoranza, anelano alla applicazione di una “forma mentis” errata (e ci stanno riuscendo?), ed è facile soggiogare una massa di ignoranti, è semplice prenderla in giro, sottometterla, ma il bello sapete qual è, che gli ignoranti non se ne accorgono neppure, così da vivere formalmente in democrazia, praticamente in dittatura. La loro stupidità è una stupidità violenta che uccide e che contribuirà “stupidamente” a sopprimere sempre lo “Sveglio”, colui di cui Leopardi parla in questi termini: <<Or di riposo / paghi viviamo, e scorti da / mediocrità: sceso il sapiente / e salita è la turba a un sol confine, /...che il mondo agguaglia. / O scopritor famoso / segui; risveglia i morti, poi che dormono i vivi>> . Augusto si avvaleva della propaganda per celebrare e celebrarsi, ma come diceva il noto giornalista Enzo Biagi (bistrattato grazie all’editto bulgaro dalla TV italiana per 7 anni) << chi vuol raccontare storia vera fa il giornalista, chi vuole raccontare storia falsata fa propaganda>>. E ciò è vero; infatti la propaganda si avvale di commistioni antitetiche, cioè unire un validissimo ideale con una spregevole azione, in modo tale che le guerre vengano fatte in nome di Dio ad esempio, in più si avvale di slogan ( “Meno male che Silvio c’è” per esempio), Augusto si serviva di quello della “Pax” (PACE) poiché Roma usciva da un periodo di terribili guerre civili, ed era facile capire che il popolo stanco avrebbe facilmente rinunciato ai propri diritti per la pace. Così come avvenne sotto Hitler, infatti anche la Germania usciva da un periodo di crisi economica, e sarebbe stata disposta a tutto pur di ascendere sulla scena europea. Ed in realtà fu davvero disposta a tutto e lo dimostra il drammatico sterminio degli ebrei, la Shoah: quindi, in uno Stato in cui trionfa il bisogno e la povertà è facile che un popolo si faccia comprare, abdicando alla propria dignità e alla libertà. Si dice spesso “liberi come gli uccelli” e l’uomo prima era libero come un uccello, ma poi pian piano, per bisogno, ha iniziato a scendere sulla terra per nutrirsi, per sopravvivere, poi trovò qualcuno che gli assicurò da mangiare e da bere …. da allora quel libero uccello, che volava nel cielo, pian piano ha rinunciato alle sue ali, alla sua libertà, carcerato sulla terra! Gerolamo Savonarola, il quale fu arso vivo e le sue ceneri furono sparse sul fiume Arno, disse: “[…] il tiranno vuole che i sudditi non intendano alcuna cosa del governo, seconda cosa cerca sempre di abbassare i potenti, e ammazza o fa mal capitare gli uomini eccellenti di roba o di nobiltà o d’ingegno, e studia di fare che il popolo sia occupato alla vita più ché a lui”. Così viene descritto il modello di una politica dispotica, al quale Augusto aderì diligentemente, infatti sotto le mentite spoglie dell’ “intrattenimento” teneva buono e allegro e ignorante il popolino. Organizzò gli spettacoli teatrali, le parate militari, i giochi circensi e mentre la mente della gente era “trattenuta” e tenuta a bada, egli poteva tranquillamente occuparsi dei propri affari. Però, nemmeno a Roma c’era qualcosa che somigliasse alla inarrestabile diffusione dei “mezzi di distrazione di massa”, propulsori di “culturame”, quali: riviste, radio, televisione, che ci offrono un “divertimento” (dal latino “devertere” cioè “uscire fuori da sé”), sfiorando l’oblio, andando in un “altro” mondo, non questo, e per chi ci vive dentro con troppa continuità può trasformarsi in “oppio”, come lo descrive Marx e quindi in una minaccia alla libertà. Pascal diceva <<la gente piuttosto che preoccuparsi dei problemi fa finta che non esistano>>…..troppo facile eludere in tal modo la vita! <<Nel VII libro dell’Odissea Ulisse approda su un’isola, l’isola dei Lotofagi. Questi vivevano di ciò che la natura offriva, e quindi di piante, erbe, e fiori di Loto, che avevano la capacità di fornire l’Oblio all’uomo (in greco “Lethe”,da “lanthano” = “fuggire da, nascondersi”), ed essi erano felici, e con felicità accolsero Ulisse ed il suo equipaggio. Dopo poco l’equipaggio di Ulisse, nutritosi di questi fiori, divenne un branco di stupidi animali,” ma chi di loro mangiò del loto il dolcissimo frutto non voleva portar notizie indietro e tornare / ma volevano là, tra i mangiatori di loto, / a pascer loto restare e scordare il ritorno”, dimenticatisi di loro stessi, del loro ritorno in patria, del loro “lògos”, quindi abdicarono al proprio intelletto, ma Ulisse li riporta via con sé, perché l’”illuminato, astuto e folle” Ulisse non abdica mai al proprio “pensare”. L’invito è quello di divenire un pò tutti noi Ulisse; ”io amo colui che vuole creare al di là di se stesso” diceva Nietzsche, perché l’invito è quello di andare anche noi oltre le “Colonne d’Ercole”, di ascoltare il canto delle Sirene, di ingozzarci del seme del peccato, di oltrepassare quel muro dai cocci di vetro pur di svenarci diceva Montale, l’invito è di superare il Limite, SEMPRE! <<AUDE SCIRE>> (OSA SAPERE) Michele Lionetti II A Liceo Classico “G. Colosimo” 7 Il degrado ambientale La questione ambientale è un argomento di vastissime proporzioni, non facilmente esaminabile nel contesto di poche pagine, ma cercherò di coglierne i punti essenziali. Negli ultimi cinquant’anni, in tutto il mondo si sono verificati numerosi fenomeni di inquinamento di diversa natura: quello industriale, causato soprattutto dai gas di scarico delle autovetture e dal problema della gestione dei rifiuti; quello agricolo, legato allo sfruttamento delle colture e degli allevamenti e all’uso di pesticidi; quello ecologico, dovuto alla crescente diminuzione delle aree naturali e di verde. Fenomeni che stanno mettendo a dura prova la vita e l’equilibrio ecologico del pianeta. Il degrado dell’ambiente nasce da complessi mutamenti sociali ed economici che hanno investito l’intero territorio urbano e rurale, ma, spesso, è anche frutto di interessi economici miopi e criminali. L’inquinamento ambientale, in Italia, ha purtroppo offerto alle organizzazioni criminali l’opportunità di accrescere le loro attività illecite. L’ecomafia trae vantaggi economici enormi dal controllo degli smaltimenti illeciti di rifiuti, dall’abusivismo edilizio, dal commercio clandestino di animali e dall’attacco al patrimonio archeologico ed ecologico nazionale. Con degrado ambientale si intende il deterioramento dell’ambiente causato dall’impoverimento delle risorse naturali, quali l’aria, l’acqua ed il suolo,l a distruzione di ecosistemi e l’estinzione di flora e fauna selvatica. Se l’acqua è fonte di vita ed elemento indispensabile alla sopravvivenza di qualunque organismo vivente sulla terra, diventa di primaria importanza monitorare il suo stato di salute e intervenire nei casi in cui risulti inquinata da elementi chimici, microrganismi dannosi e metalli, che, disciolti in essa, provocano gravi danni agli ecosistemi. Sono diversi i tipi di inquinamento cui possono andare incontro le riserve acquifere: l’inquinamento civile, causato dalle acque reflue degli ambienti urbani che non vengono trattate da impianti di depurazione adeguati e dunque arrivano ad inquinare fiumi e mari; l’inquinamento industriale, ben più dannoso rispetto al precedente perché gli scarichi delle industrie portano residui di metalli pesanti che provocano gravi danni agli ecosistemi fluviali e marini; infine, l’inquinamento agricolo, che è causato dai pesticidi e dagli additivi chimici. Le falde acquifere sono indispensabili per l’approvvigionamento di acqua, nell’irrigazione dei campi, per il bestiame e le necessità umane. Aggrava ulteriormente la situazione il fatto che le sostanze e i metalli tossici vengono assorbiti dai pesci e dalle creature che abitano mari e fiumi, che possono trasmettere all’uomo che se ne nutre diverse malattie. Un altro dei problemi più ampiamente discusso è lo smaltimento dei rifiuti. Il problema delle discariche abusive è sempre più una piaga dei nostri tempi. Discariche colme di vecchie lavatrici, poltrone inutilizzabili, copertoni d’auto e ferraglia di tutti i tipi. Nonostante vi sia una legge che proibisce l’abbandono indiscriminato di rifiuti nel territorio, la situazione non accenna a migliorare e la deturpazione del suolo non accenna a diminuire. L a necessità di riciclare il materiale di scarto da abitazioni, attività commerciali e industriali in Italia si è fatta strada solo di recente, infatti l’obbligo della differenziata per i Comuni Italiani risale al 2006. Educare i cittadini alla raccolta differenziata, fornire loro assistenza e materiali per cominciare la differenziazione nelle proprie case e nei loro negozi, attrezzare le città in modo che la differenziata diventasse un dovere oltre che un diritto, per una maggiore vivibilità globale, non è stato facile, e sono ancora molte le città italiane che ancora non adottano la raccolta differenziata per ottenere i loro stessi Comuni più “puliti”. Con il termine “smaltimento” dei rifiuti, si intende quella pratica attraverso cui i rifiuti, siano essi urbani o industriali, sono eliminati in maniera definitiva, oppure riutilizzati per altri scopi, come capita nel caso di rifiuti organici, plastica, carta o alluminio. I termovalorizzatori sono particolari impianti, più noti con il nome di inceneritori per lo smaltimento dei rifiuti. Questi particolari impianti di nuova costruzione, tramite la combustione dei rifiuti, creano calore e vapore acqueo che possono essere convertiti in energia. La cosa che fa più pensare, però, è che risulta esserci un rapporto causa-effetto tra la presenza di tali impianti e l’aumento delle patologie respiratorie,car diovascolari e neoplastiche nelle aree circostanti. Numerose sostanze sono altamente tossiche e favoriscono l’insorgenza di tumori. Un “apporto” fondamentale alla “distruzione” dell’ambiente è stato sicuramente dato dall’uomo, infatti la specie umana è intervenuta in processi naturali trasformandoli in processi lineari al termine dei quali non esiste la possibilità del riutilizzo, ma scaturisce invece il rifiuto. Lo scarto che si accumula e inquina è qualcosa che la natura non riesce a metabolizzare, ma è qualcosa che rompe l’armonia circolare della sequenza della vita. La crisi ecologica investe tutta la società e per la sua soluzione non sono sufficienti misure giuridiche, amministrative e tecniche, ma è necessaria l’affermazione di un’ “etica ecologica”, fondata sulla conoscenza dei pericoli che corre l’ambiente, sulle cause e le conseguenze economiche e sociali. E’, dunque, sempre più pressante l’esigenza di dar vita ad un pensiero innovativo, a una nuova civiltà dell’umano, in cui sia recuperata quell’integrità e quell’appartenenza dell’uomo all’ambiente. L’uomo deve assolutamente essere saldamente ancorato al tessuto ambientale che lo circonda. Secondo il mio modesto parere, è inutile colpevolizzare chi ci governa, chi ci comanda, perché dobbiamo essere noi cittadini, al massimo delle nostre possibilità, a ridare alla nostra magnifica Italia quell’immagine positiva che ha duramente conquistato e che sta sempre di più perdendo. A tal proposito cito Michail Gorbaciov, Premio Nobel per la pace, il quale ha chiaramente affermato che per evitare la morte del nostro mondo è necessario un movimento d’opinione guidato da una grande leadership e finalizzato a creare un nuovo ordine mondiale basato su maggiore giustizia ed eguaglianza. Da queste parole si evince un chiaro messaggio, cioè che solo attraverso un mondo e quindi una società improntata al rispetto della legalità si può aspirare ad un futuro migliore. Bisognerebbe riconsiderare la politica, intesa non come strumento di egemonia di schieramenti di parte, ma come corrispondenza e passione al destino dell’uomo e della civiltà. Dunque, una politica non solo delle istituzioni ma anche dei singoli cittadini, vissuta come tentativo di superare la diversità delle esperienze, delle scelte di vita e dei valori per incontrarsi e operare per una causa comune. Piera Nicoletti V E Morti Bianche, piaga della società di oggi È possibile morire semplicemente perché ci si è recati al lavoro come ogni giorno? Ancora oggi, nonostante il progresso tecnologico e i suoi grandi passi avanti, avvengono numerosi e drammatici eventi sul lavoro. Pur essendo un argomento di enorme rilevanza sociale, molto spesso non gli si dà l’ importanza che meriterebbe. È strano affrontare questo tema, ma è proprio per la superficialità con cui viene trattato che ne vogliamo parlare. Non solo i lavoratori di oggi sono esposti a un rischio quotidiano, ma anche noi dobbiamo essere consapevoli in quanto lavoratori del domani. Un essere umano esce di casa per andare a lavoro: per sostentare se stesso e la propria famiglia. La sera dovrebbe farvi ritorno sano e salvo. Questa dovrebbe essere Vita d’affann la norma, ma spesso non è così. Se ne parla una settimana, e poi tutto viene dimenticato. Ma ogni giorno muoiono lamal retribuita voratori, in aziende sconosciute nell’edilizia, nell’industria, a rischio nell’agricoltura. In tutti i settori, insomma. Questi lavoratori vengono spesso ricordati anche nelle strade e nelle piazze si lavora d’Italia a loro dedicate. Negli ultimi anni, sulla stampa e alper misero salario l’interno del movimento dei lavoratori, per definire il fenoe si spera meno sono stati utilizzate anche le espressioni “morti bianche” e “omicidi bianchi”, dove l’uso dell’aggettivo “bianco” che non arrivi allude all’assenza di una mano direttamente responsabile fugace dell’incidente. Annualmente nel mondo muoiono circa 2 milioni di lavoratori, tra cui 12 mila bambini . Tra il 1996 l’angelo bianco e il 2005 l’Italia è risultato, proporzionalmente, il Paese con distruttore il più alto numero di lavoratori morti. È vero, gli ultimi dati di vita terrena, segnano un miglioramento. Eppure l’allarme sulla sicurezza in Italia resta alto. Qual è la soluzione? È difficile dirlo, che in lacrime ma forse la risposta è più semplice di quando immaginiamo: lascia affranto ogni lavoratore ha il diritto di lavorare sicuro e ogni datore di lavoro ha il dovere di garantirgli questa sicurezza. A tal il cuor proposito riportiamo questa poesia che speriamo faccia ridi chi resta... flettere... (Clelia Maria Parente) Mattia Pasquale Turano, Eliana Bosco I A 8 Disturbi Cronici Alimentari DECALOGO DELLE RAGAZZE PRO-ANA - se non sei magra non sei attraente; - essere magri è più importante che essere sani; - compra vestiti, taglia i capelli, prendi lassativi, fai di tutto per sembrare più magra; - non puoi mangiare senza sentirti colpevole; - non puoi mangiare cibo ingrassante senza punirti dopo; - devi contare le calorie e ridurne di conseguenza l’assunzione; - quello che dice la bilancia è la cosa più importante; - perdere peso è bene,mettere peso è male; - non sarai mai troppo magra; - essere magri e non mangiare sono simboli di vera forza di volontà e autocontrollo… DECALOGO DELLE RAGAZZE NO-ANA - Se non sei sana, non sei attraente - Essere sani è la cosa più importante - Compra dei vestiti, tagliati i capelli seguendo i gusti e i colori della tua anima, a cui non importa di essere super-magra! - Puoi mangiare senza sentirti colpevole, nutrendoti con equilibrio e nel modo giusto, rispettando la salute del tuo corpo. - Non puoi mangiare cibo ingrassante: per il semplice fatto che non esiste cibo ingrassante se assunto con buon senso ed equilibrio. Possiamo mangiare di tutto un po’! - Contare le calorie e ridurne l’assunzione non spetta a te: caso mai al tuo medico di fiducia qualora tu ne abbia effettivamente bisogno - Quello che dice la bilancia non è la cosa più importante: un ago grigio posto al centro di una scatola non può sostituirsi ai buoni consigli del tuo medico - “Perdere peso è bene, guadagnare peso è male” sarebbe auspicabile solo nel caso tu sia obiettivamente obesa - Non sarai mai troppo bella se sei gravemente sottopeso - Essere magri e non mangiare non sono affatto simbolo di vera forza di volontà e autocontrollo, anzi è esattamente il contrario: se hai fiducia in te stessa e una buona dose di equilibrio interiore non hai motivazioni per fuggire da un piatto di pastasciutta e un buon gelato al cioccolato… Lo sfruttamento del lavoro minorile Il problema dello sfruttamento del lavoro minorile è globale, riguarda ormai ogni angolo della terra. Migliaia di fotografie in bianco e nero potrebbero apparire davanti ai nostri occhi, raccontandoci altrettante storie di sfruttamento: i cucitori di palloni in Pakistan, gli artigiani di tappeti indiani, i raccoglitori di canna da zucchero in Brasile… Non dimenticando i cinque milioni e mezzo di adolescenti che vengono impiegati negli Stati Uniti D’America. Questo problema accomuna tristemente paesi evoluti e paesi poveri; le sfaccettature che lo caratterizzano sono diverse, ma esiste un unico crudele presupposto: lo sfruttamento, l’indigenza, la povertà, l’infanzia negata. La prima causa di questo fenomeno è sicuramente la povertà, molte storie di sfruttamento partono dalla necessità di sfamare una famiglia che ha perso il padre o che si è indebitata o, più semplicemente, che è aumentata con l’arrivo di nuovi nati. Molti Stati, inoltre, si sono indebitati con altri governi o con banche straniere private. Il peso di questo debito è diventato insostenibile per molti paesi, aggravato dagli interessi e dalla rivalutazione del dollaro. Nonostante i piani di aggiustamento strutturale proposti dal Fondo monetario Internazione, nella seconda metà degli anni Ottanta, il potere d’acquisto medio delle famiglie dell’Africa sub sahariana e dell’America latina è ulteriormente crollato. Non si deve, inoltre, dimenticare che i bambini e gli adolescenti subiscono angherie e ricatti, non hanno coscienza sindacale e, dunque, diventano la forza lavoro ideale per gran parte dei datori di lavoro. Vi sono poi le variabili culturali che aggravano il problema, sovrapponendo alle complicazioni economiche antiche e nuove disparità sociali; questo fenomeno è, ad esempio, molto diffuso in India dove le leggi nazionali che proibiscono il lavoro per i minori di quattordici anni non vengono messe in pratica per i bambini della casta degli “Intoccabili”. Su tutte queste variabili culturali, infine, domina quella “di genere”, che fa sì che nel mondo le bambine siano, a parità di età e di provenienza sociale, più penalizzate dai maschi. A molte di esse si nega ancora il diritto all’educazione di base con l’effetto di mantenerle ai livelli più infimi della scala sociale e di assoggettarle, una volta cresciute, allo sfruttamento da parte del marito. L’istruzione è l’unico vaccino efficace che può stroncare questa piaga tremenda. Il fabbisogno per rendere l’istruzione un diritto concreto per tutti i bambini del mondo ammonterebbe a una somma annua pari a quattro giornate di spese militari mondiali. Elena Lombisani I B Così si apre la pagina virtuale di uno dei tanti blog PRO-ANA che stanno pian piano diffondendosi nel web. Il problema dell’anoressia e della bulimia ha sempre interessato i giovani che non ne erano affetti, ma quello di cui ancora molti sono all’oscuro è l’esistenza di veri e propri gruppi numerosi di ragazzi e ragazze accomunati da questa malattia che incitano e venerano la cosiddetta “Dea Ana”. Si ritrovano sul web creando blog e forum dove quotidianamente aggiornano il loro diario alimentare: molte volte questi diari vengono documentati con foto scattate giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, per far notare a tutti i loro cambiamenti fisici. Tutte queste foto vengono commentate e la cosa più shoccante è il fatto che sono tutti commenti di ammirazione, le loro parole sono impregnate di una folle gelosia per chi riesce ad avvicinarsi sempre di più verso l’abbraccio mortale di Ana. Nei Paesi industrializzati come l’ Italia, i disturbi cronici alimentari affliggono quasi il 12% delle donne tra i 12 e i 25 anni di età, per non parlare dell’America e della Spagna in cui i numeri raggiungono cifre esorbitanti. L’anoressia è l’unica malattia psicologica che ha ripercussioni visibili sul corpo. È una sorta di tunnel dal quale è difficile uscire. Chi è stato anoressico in realtà non ne è mai uscito: il calcolo delle calorie, il pesare qualsiasi cosa si mangi, con la voglia assurda di andare in bagno e procurarsi ossessivamente il vomito per ripulire il corpo da quello che si è ingerito rimane un’ossessione quasi ineliminabile dentro di loro. Dopo anni di studio dei D.C.A. ancora non si è arrivati a capire il vero motivo per cui alcuni ragazzi si spingono a ciò: c’è chi lo fa per bisogno di attenzioni; chi invece, come accusa qualcuno, lo fa per emulare i modelli sbagliati che appaiono nelle riviste e nel mondo della moda. La cosa più preoccupante non sono le persone affette da questa malattia, ma coloro che le ammirano, le incitano e le aiutano ad ammalarsi o addirittura le invidiano, desiderando di essere malate anche loro. Questo è un semplice articolo che ci apre una piccola finestra su un mondo malato e perverso lontano dalla nostra quotidianità, o almeno così crediamo. Ecco una sorta di lettera dove è la DEA ANA che parla <Qualcuno mi conosce come “Bulimia Nervosa”, ma visto che saremo presto intime, potrai semplicemente chiamarmi Mia. Questo è il nome con cui le mie migliori amiche mi chiamano. Le mie amiche leali. Col tempo, anche tu diventerai una mia amica leale. Nessun altro dovrà saperlo. Soltanto tu saprai che sono intorno a te. Talvolta ti dirò di non mangiare e mi darai retta. Altre volte, mi disobbedirai e divorerai l’intera torta. Quindi ti farò sentire veramente in colpa. Andrai al bagno, dove aprirai il rubinetto e ti costringerai a vomitare. A volte passerai ore vomitando. Presto imparerai che sono nel controllo. Mi amerai a tal punto che non racconterai a nessuno di me. Se lo fai, corro il rischio di venire distrutta e non è questo che vuoi, no? Con il mio aiuto, potrai apparire grandiosa esattamente come le tue modelle e attrici preferite. Potrai sembrare migliore. Ora devo andarmene, ma pensami spesso. Pensami tutto il tempo! Sono l’unica che vuole effettivamente farti sentire amata. Ricordatelo!> Anna Amica, Clarissa Bruno, Vanessa Colucci III A Liceo Classico Emo, una moda occultata Come è noto, la moda è una componente importante nella vita della maggior parte delle persone. Tra tutti, però, quelli ad essere particolarmente influenzati sono i teenager che, attraversando un’età nella quale la loro mente è più facilmente condizionabile, tendono a seguire i modelli proposti dai mass media, i principali indicatori di moda. Purtroppo questi modelli finiscono, a volte, con diventare legge per i ragazzini, che sono sempre più in balia del mondo dell’ “apparenza”. L´individuo, quindi, annulla la propria personalità e preferisce omologarsi a ciò che lo circonda e chi, d´altra parte, o per necessità o per scelta, non corrisponde a questi canoni, viene escluso dal gruppo. La moda, intesa come abbigliamento, finisce per plasmare i pensieri e i modi di fare dei ragazzi, che perdono di vista il senso dei veri valori. È triste vedere come la maggior parte degli adolescenti si trovi a suo agio in una società che annulla la personalità del singolo e favorisce il formarsi di gruppi standardizzati, nei quali bisogna seguire “regole precise” riguardanti lo stile che si adotta. Ciò, in particolare, riguarda un fenomeno di origine musicale dilagato in molti stati europei negli Stati Uniti (su cui ha indagato qualche tempo fa anche il giornalista inglese del Times. Ma che vuol dire? Leggendo la sua storia sull´enciclopedia libera wikipedia, si capisce che è soprattutto musica, ma definirlo come un semplice movimento che prende le sue matrici dalla passione per uno stesso genere musicale (hardcore/punck) sarebbe riduttivo e non ne chiarirebbe adeguatamente il concetto. Si capisce dall´inchiesta di M. Kirisch che il mondo emo è più complesso di ciò che i ragazzi emo stessi ci lasciano credere. È un universo virtuale, che ha come punto di ritrovo principale le comunità web. Qui i ragazzi parlano di musica, testi, ma si rivelano anche segreti tristi, spesso riguardanti il suicidio. La faccenda però rimane misteriosa anche per il Times. Ovviamente tutto risulterebbe molto più chiaro se un emo si dichiarasse e spiegasse tutto, ma ciò è difficile, sembra quasi che vogliano tenere all’oscuro i meccanismi del loro “mondo parallelo”. Tuttavia, è necessario interessarsi alla faccenda, soprattutto da parte di adolescenti e genitori, non fosse altro che emo, oltre ad “emo-zione”, sta anche per “sangue”. Ariella Fonsi, II B Liceo Classico “G. Colosimo” 9 La vicenda di Sarah Scazzi Si chiamava Sarah Scazzi la quindicenne scomparsa il 26 agosto di quest’anno ad Avetrana (Taranto) e poi ritrovata morta su indicazione dello zio (probabile omicida) nelle campagne circostanti. Ripercorriamone la triste vicenda, poiché si tratta di un fatto di cronaca emblematico che tanto (troppo..) ha interessato la stampa nazionale. Fin dall’inizio i carabinieri non escludono che possa essere stata rapita. Figlia di una casalinga e di un muratore che lavora a Milano, ma che nei giorni scorsi è tornato ad Avetrana per le ferie. Aveva un fratello che lavora anche lui al Nord. A quanto risulta ai carabinieri, che continuano ad ascoltare parenti, amici e conoscenti di Sarah, la quindicenne era una ragazzina solare, che aveva amici e non avvertiva il bisogno di avere relazioni sentimentali . Anche Facebook si è mobilitata per ritrovarla. Il tutto finché il corpo viene ritrovato nella notte tra il 6 e il 7 Ottobre, e si scopre in diretta a “Chi l’ha visto?” che la giovane probabilmente è stata uccisa dallo zio, Michele Misseri. La ragazza, prima della sua scomparsa, avrebbe confidato alla cugina, Sabrina Misseri, di aver ricevuto ripetute molestie da parte dello zio Misseri. Nei giorni precedenti, Michele Misseri, forse preso dai rimorsi, fece ritrovare il telefonino di Sarah nei luoghi da lui sempre frequentati per via del lavoro. Il cellulare venne fatto ritrovare un mese dopo la sua scomparsa. Un cellulare che non ha mai convinto gli inquirenti: il telefonino era parzialmente bruciacchiato e privo di batteria e di scheda sim. Un tentativo di depistaggio, da parte dello zio, che, a tarda sera, è crollato durante un lungo interrogatorio davanti ai carabinieri. Durante l’interrogatorio Misseri confessa : «L’ho uccisa nel garage di casa, poi l’ho portata in campagna e ho sotterrato il corpo». E’ stato fermato per omicidio volontario, sequestro di persona e Un grido contro la violenza La violenza contro le donne è un fenomeno che coinvolge donne di ogni estrazione sociale e di ogni livello culturale e provoca danni fisici e gravi conseguenze sulla salute mentale. Oggi se ne parla tanto, ma effettivamente che cos’è la violenza? Comunemente si crede che la violenza sia solo di tipo fisico, ma in realtà essa può manifestarsi in diversi modi: da quella fisica a quella sessuale, da quella psicologica a quella economica, oppure manifestarsi come stalking (persecuzione). Raramente le donne denunciano gli abusi subiti. Le donne aggredite provano paura, rabbia, insicurezza, vergogna e al tempo stesso dolore per la situazione che vivono, e perdono la propria autostima. Chi usa la violenza sulle donne, a volte, è il datore di lavoro, un amico, il collega o l’insegnante, ma anche il compagno di classe oppure uno sconosciuto. Non bisogna, però, dimenticare una ricerca effettuata dall’Harvard University ripresa dall’ONU (2003), la quale afferma che la prima causa di morte o di invalidità nel mondo per le donne non è né la malattia, né la guerra, né gli incidenti stradali, ma la violenza domestica subita da parte del marito, del partner, del genitore e del figlio. Riguardo alle cause di tanto accanimento, che ha ripercussioni notevoli sull’integrità psicofisica della donna, ancora si discute. Esistono delle differenze biochimiche e ormonali, dei diversi livelli di testosterone e serotonina, e una differente forza fisica tra i due sessi. La fisiologia è tuttavia la spiegazione meno attendibile dei comportamenti vessatori. Più importanti appaiono i motivi culturali, come il prevalere del maschio nelle società patriarcali, il quale monopolizza potere e conoscenza e tende ad escludere le donne. L’Occidente ha conosciuto, negli ultimi decenni, un cambiamento repentino e radicale di ruoli e costumi. E’ possibile che il maschio occidentale viva un momento di disorientamento, di crisi d’identità in cui sente il proprio secolare e consuetudinario potere vacillare al cospetto di donne sempre più autonome. Un potere che, al contrario, nei paesi sottosviluppati si traduce in azioni coatte, come l’accesso negato alle donne in gran parte del mondo islamico, o riprovevoli come la mutilazione ai genitali alle donne africane, in condizioni abominevoli, senza anestesia e soprattutto su bambine anche in tenerissima età; oppure le vedove arse in India o le donne lapidate. Nel terzo mondo è più difficile raccogliere dati precisi poiché la violenza sulla donna viene ritenuta una normale componente del tessuto culturale e non viene identificata come tale neppure dalle sue vittime. Un gruppo di ricerca che investigava in Kenia ha rilevato che il 72 % delle donne intervistate venivano picchiate regolarmente dal marito, pratica legale in questo Paese. Bisognerebbe modificare le culture dove il maschio ha ancora una posizione dominante e troppi privilegi da difendere. Compito non facile se non impossibile, laddove c’è chiusura mentale e adesione totale ai turpi dogmi della più vieta tradizione. Nelle società aperte e democratiche può essere fatto qualcosa sul piano della prevenzione, sensibilizzando in particolare le nuove generazioni al problema ed educando sin da bambini al rispetto della donna. Anche quest’anno il 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulla donna, molte sono state le politiche italiane a mobilitarsi. Basti menzionare l’iniziativa contro la mutilazione dei genitali del ministero per le pari opportunità ed il discorso in ricordo delle sorelle dissidenti Mirabal, in occasione del cinquantesimo anniversario della loro uccisione da parte del dittatore dominicano Trujillo, da parte dell’esponente radicale Emma Bonino. La memoria di queste coraggiose sorelle ci riempie di speranza e ci dà forza per continuare a combattere per una società ugualitaria nella quale uomini e donne possano godere degli stessi diritti. Kahlil Gibran scrisse : “Chi prova pietà per la donna, la disprezza. Chi le attribuisce le colpe dei mali della società, la opprime. Chi crede che la bontà di lei dipenda solo dalla propria bontà e che la sua malvagità dipenda solo dalla propria, è uno spudorato. Ma colui che accetta la donna come Dio l’ha fatta, le rende giustizia”. Chi si rende colpevole della violenza sulle donne va punito severamente. E talvolta, in un secondo momento, qualora ne esistano le premesse, va cercata una sua riabilitazione tramite una terapia psicologica appropriata. A volte, anche con i mostri sono possibili i miracoli. Angela Gencarelli VE occultamento di cadavere. Il corpo è stato ritrovato nudo e in posizione fetale nel pozzetto nel quale è stato gettato. La mamma di Sara, Concetta Serrano, ha appreso delle ricerche del corpo della figlia, mentre era in collegamento in diretta con il programma di Rai 3 “Chi l’ha visto”. Una diretta che avveniva proprio dalla casa dello zio. Oltre a zio Michele, i militari hanno ascoltato anche le dichiarazioni di sua moglie e della figlia maggiore Valentina, sorella di Sabrina, la cugina che la quindicenne di Avetrana doveva incontrare per andare al mare il 26 agosto scorso e nella casa della quale non è mai arrivata. Della quindicenne si hanno notizie certe fino alle 14.30, quando Sarah esce di casa; le tracce si perdono definitivamente alle 14.42, quando il cellulare di Sarah viene spento e non sarà mai più riacceso. La mamma della giovane ha sempre pensato e detto che Sarah era stata rapita. Misseri avrebbe aggredito la nipotina dopo che lei, per l’ennesima volta, aveva rifiutato le sue avances. Sarah, alla vigilia della scomparsa, aveva cercato aiuto dalla cugina Sabrina, ma probabilmente, a causa delle confidenze che le fece, sorse un litigio fra le due ragazze. Sabrina e le sue dichiarazioni sono state al centro delle indagini fin dall’inizio. Sabrina andò a parlare con il padre di quanto le aveva detto la cuginetta. E proprio da un’intercettazione di Sabrina, che diceva alla madre «tanto lo so che l’ha presa lui...», i carabinieri di Taranto hanno tratto la certezza di essere sulla pista giusta. Misseri, il 26 agosto, aveva avvicinato di nuovo la ragazza per costringerla a tacere. Nei giorni successivi la cugina di Sarah Scazzi sarebbe stata fermata perché ritenuta complice nell’omicidio. Ora si trova in stato di fermo con l’accusa di concorso in omicidio. Michele Misseri non ha fatto tutto da solo. La posizione di Sabrina si è trasformata da testimone in indagata. Ad incastrarla sarebbe stata un’intercettazione ambientale. La madre Cosima Serrano e la sorella Valentina le sono solidali, credono nella sua innocenza. La ragazza, accusata dal padre di aver partecipato all’uccisione di Sarah, attirandola nel garage, viene difesa a spada tratta dalla sorella Valentina che la ritiene assolutamente innocente e accusa il padre di voler uccidere anche Sabrina. Più passa il tempo e più si delinea un quadro sempre più ricco di particolari. Il movente della gelosia, che avrebbe spinto Sabrina Misseri a uccidere la cugina Sarah Scazzi, prende sempre più corpo. Infatti, emerge un nuovo fondamentale dettaglio in merito: l’interesse di Sabrina Misseri per Ivano, amico di entrambe, rasentava l’ossessione. Sabrina è reclusa nella struttura penitenziaria femminile di Taranto dal 15 ottobre, in seguito alla testimonianza del padre, con l’accusa di concorso in omicidio ed occultamento del cadavere della cugina Sarah Scazzi. Dall’ultima deposizione di Michele Misseri, i campi di accusa si estendono ad omicidio volontario. Mariangela, l’amica con cui Sabrina Misseri e Sarah Scazzi dovevano andare al mare quel giorno, il 26 agosto, la cui testimonianza ha contribuito ad aggravare la posizione di Sabrina Misseri, ha mandato una lettera ad una giornalista del Tg5, scusandosi di non poter rilasciare interviste, ma esternando comunque il suo pensiero. Nella lettera Mariangela ribadisce la ricostruzione di quel giorno: “Sabrina era in strada molto agitata. Mi è parso molto strano che fosse già sulla strada e mi è apparso ancora più strano che da subito lei mi abbia detto ‘L’hanno presa’”. La quinta versione dei fatti descritta da Michele Misseri, nella quale accusa la figlia di aver partecipato attivamente all’omicidio di Sarah, risultò troppo precisa e puntuale per provenire da una persona confusa e di scarsa cultura come lui. Anche l’ultimo faccia a faccia tra Michele Misseri e la figlia Sabrina, nel quale l’uomo conferma le sue accuse, non ha affatto fugato tutti i dubbi sulla dinamica degli avvenimenti di quel 26 agosto. Quando potremmo sapere la verità su tutto questo? Per adesso il delitto Sarah Scazzi è un caso aperto e pieno di misteri. Antonietta Luzzi I B classico 10 Il tempo delle farfalle Il tempo delle farfalle racconta di una famiglia che fuggì da Santo Domingo per sfuggire all’oppressione del dittatore Tujillo. A questa famiglia appartenevano tre giovani donne. Tutte caratterialmente differenti: Minerva era molto acculturata e aveva una volontà di ferro che le permetteva di portare a termine gli obiettivi che voleva raggiungere; Patria, invece, era una devota e aveva il gran sogno di diventare suora; infine abbiamo Mariateresa, molto sensibile, morta giovanissima. Il dittatore di Santo Domingo aveva raggiunto il potere assoluto in questo Paese, portandolo alla miseria e al degrado totale. Uccise tutti coloro che cercavano di opporsi, ma le sue vittime preferite erano le ragazze, che non uccideva, ma si divertiva stuprandole. Le sorelle Mirabal scoprono questa amara realtà quando Minerva, invitata al palazzo di Tujillo, si oppone alle avances del dittatore, facendolo sfigurare in presenza di migliaia di persone. Questo gesto costerà molto caro alla famiglia Mirabal, con l’uccisione del capofamiglia. A quel tempo l’università era riservata ai soli uomini, ma Minerva riesce ad ottenere il consenso da Tujillo per frequentarlo, il dittatore accetta, ma arrivato il giorno della laurea, non consegna l’attestato a Minerva. Mentre frequenta l’università, Minerva incontra un gruppo di giovani che erano contro Tujillo, questa cosa la interessa molto e quindi intraprende il cammino per fermare la dittatura. Presto la affianca la sorella e vengono soprannominate “Farfalle”. Intanto si sposano con due ragazzi del gruppo Manolo e Leandro. Nel tentativo di nascondere delle armi vengono arrestati e portati in due carceri differenti: le donne a “La 40” e gli uomini al carcere di Puerto Plata. In questi carceri il trattamento delle persone era da animali, infatti venivano nutrite con una fetta di pane e un po’ di acqua sporca. Le donne riescono ad essere scagionate e vanno a Puerto Plata per far visita ai mariti ma, dopo la visita, vengono condotte da delle guardie in un canneto e vengono uccise a bastonate. Questo film mette in risalto un problema che persiste ancora oggi: la violenza sulle donne. Infatti, la violenza sulle donne oggi colpisce tutti i Paesi, industrializzati o no. Le vittime sono donne di tutte la classi sociali, dalla più povera a quella più ricca. In molte nazioni le donne vengono pestate persino a sangue, nella maggior parte delle volte, dai loro compagni e in altri casi da un estraneo, senza dimenticare i parenti, anche quelli più stretti. La violenza sulle donne ha maggior rilievo nel terzo mondo, infatti picchiare le proprie mogli è diventata un’abitudine, così come lo stupro. In taluni casi le donne stesse sono favorevoli a subire stupri, in cambio di qualche misero soldo; in altri casi sono le famiglie che vendono le proprie figlie per darle, secondo loro, una vita migliore. Questo problema ha avuto rapido sviluppo a tal punto che oggi non si riescono a trovare delle soluzioni. Per risolverlo c’è bisogno anche del contributo delle vittime della violenza, però questo aiuto non è fornito anche per timore di un’altro atto di molestie. Quindi, fino a quando non ci sarà collaborazione, non si troverà la soluzione a questo problema. Marghella Pasquale II B Recensione del libro Bruciata viva di Suad “Nessuno può immaginare il dolore che si prova con il corpo in fiamme. Un dolore atroce e profondo che non si dimentica più”. “Bruciata viva” è un libro-testimonianza di una donna cisgiordana che ha raccontato la sua storia, per spezzare il tabù del silenzio e dell’accettazione, per far conoscere la vita che ha vissuto, non solo la sua, ma di tutte quelle donne che come lei hanno saputo ribellarsi all’ingiustizia. Suad è lo pseudonimo di quella che è stata: una donna che si è ribellata al proprio destino. Il libro si apre con una frase molto significativa: “…Al mio paese nascere donna è una maledizione”. Basta solo leggere le prime battute del libro per capire la situazione della donna in quei Paesi, come la Giordania, dove la donna è solo a disposizione di un unico uomo. Nella famiglia di appartenenza prima del matrimonio, se qualcuno vede che la donna è sola per strada, senza la madre o la sorella maggiore è chiamata “charmuta”, e la famiglia è discriminata da tutto il villaggio. Rimanere incinta prima del matrimonio è stato lo ‘sbaglio’ della protagonista, che ha pagato con dolore e sofferenza. Il cognato un giorno, insieme ai genitori di Suad, decide di farla fuori bruciandola viva. E’ costato molto a Suad, obbligata a portare sul suo viso una maschera, nonostante numerosi interventi sul corpo. Nel momento più buio della sua vita, quando era in ospedale in fin di vita, le viene incontro Jacqueline, che lavorava con la fondazione Surgir, che aiuta le donne vittime di violenze e che si sono ritrovate in un momento tragico della loro vita. Dopo aver partorito, il bambino le viene portato via, ma grazie a Jacqueline, Suad e suo figlio vengono portati in una famiglia in Europa fino a quando Suad comincia ad avere una vita propria e si allontana per vergogna da suo figlio. Diventa una donna matura e felice, ma sempre con una grande ferita che porta nel cuore e sul corpo. Si sposa e ha due figlie che vengono a sapere fin da subito di avere un fratello, Maruan, “il figlio della colpa”, ma il destino vuole che i due s’incontrino e che la loro vita vada avanti insieme. Questa storia si conclude con un lieto fine, ma molte donne sono rimaste vittime di queste violenze. Il libro fa notare la grande differenza tra la donna che vive in Europa e quella che vive in Asia. Basti pensare all’abbigliamento, allo stile di vita, all’istruzione e alla posizione nel mondo del lavoro. Sono tutti fattori che fanno sì che la donna possa essere più libera. La cultura è forse l’elemento più importante, perché gli atteggiamenti della donna in Europa non vengono discriminati e in altri Paesi vengono puniti con la morte. Non conta in quale paese si trovi una donna, l’unica cosa che conta è l’essere donna. La violenza sulle donne è sempre più frequente e spesso si è indifferenti fino a quando non accade a una persona vicina, a quel punto ci si rende conto che non è una fantasia ma una realtà. Non ci sono distinzioni d’età e di classe sociale. Spesso la donna si vergogna della realtà in cui si trova e spesso dà false verità nel momento in cui un uomo le infligge una violenza. Ogni donna crede di non farcela senza un uomo accanto, ma non è cosi, perché ci sono testimonianze di molte donne cha hanno saputo riprendersi la propria vita senza rimpianti. Ogni donna si fa delle domande alle quali spesso non si può rispondere; quella a cui non si può rispondere è: “Qual è il giorno in cui tutte le donne saranno libere nel vero senso della parola e quando gli uomini capiranno che la violenza sulla donne è una loro debolezza e non una loro forza”? Vuono Giovanna classe II C La violenza sulle donne mente inutili tutte le iniziative che si fanno partire contro la violenza, lo stalking. A mio avviso il problema non è solo questo; il fatto è che molti aggressori (se non TUTTI) non vengono debitamente puniti dalla giustizia italiana o, addirittura, ottengono gli arresti domiciliari (che sono inutili visto che, se l’uomo è a piede libero, può prendere una qualsiasi donna e rifare ciò per cui doveva essere punito). Un’altra cosa orribile è che non subiscono violenze solo donne adulte, bensì anche bambine che, indifese e fragili, devono sottostare ai soprusi e alle attenzioni morbose di esseri a dir poco mostruosi. Il punto è che se una persona è onesta e corretta, se il suo animo è “nobile”, non penserebbe mai di alzare le mani contro una donna. Diversamente, purtroppo, anche un gesto “involontario” può avere cause tragiche. Ne è un esempio il ventenne che, dopo una lite per motivi futili, sferrò un pugno contro un’infermiera trentaduenne, uccidendola. La cosa ovvia è che non voleva di certo ucciderla, ma si può tirare un pugno ad una donna solo perché questa aveva scavalcato la fila? Non credo proprio. Resta comunque il fatto che un omicida (perché di omicida si tratta) sia attualmente agli arresti domiciliari ed è una cosa di cui la giustizia italiana si dovrebbe VERGOGNARE. Viteritti Rita classe II C Essendo una ragazza, questa tematica mi sta molto a cuore. Odio ascoltare notizie al telegiornale riguardanti uomini che maltrattano le donne perché significa che gli uomini, la maggior parte delle volte, sono fortemente maschilisti e di conseguenza si sentono superiori. Non è così. Noi donne spesso crediamo che loro abbiano un animo mostruoso proprio per gli atteggiamenti che traspaiono attraverso le notizie quotidiane e, a volte, questo ci lascia credere di essere il genere più sensibile. E’ vero che anche delle donne commettono reati terribili, ma noi non avremmo mai la forza necessaria per opporci ad un uomo. Credo che questo problema sia una vera e propria piaga, non solo nel nostro Paese, ma anche in tutto il resto del mondo. La cosa peggiore è che sono poche le donne che reagiscono, o comunque, denunciano il fatto. Tante, troppe donne tengono nascosta la violenza subita, non sapendo che così si peggiora soltanto la situazione; bisogna trovare la forza di opporsi a questa dura realtà che ci colpisce. Le donne, spesso, tendono a non fidarsi di nessuno e non dovrebbe affatto essere così. Dovremmo avere intorno a noi un clima di serenità e fiducia e non di crudeltà, altrimenti sono total- Scuola in rivolta L’università sui tetti Contro la riforma Gelmini gli studenti tornano a manifestare sui tetti, in cortei, o di nuovo occupando simbolicamente monumenti per rivendicare la libertà all’università pubblica. Da nord a sud ci sono sempre nuove proteste: lezioni sui tetti a Roma, manifestazioni a Torino, Pavia, Palermo; occupata la Normale di Pisa; a Perugia studenti incatenati per qualche ora alla Fontana Maggiore. Questa riforma rischia di impedire le crescite di futuri talenti. Tutto il Paese non tollera più le illusioni, le menzogne del nostro Presidente del Consiglio. Non si può più raccontare una storia diversa dalla realtà. Siamo al dunque: si gioca il futuro dell’Italia. Questo governo sta togliendo la speranza, la possibilità di studiare, di crescere. La protesta è La protesta è arrivata anche a Ginevra, dove un gruppo di ricercatori, studenti e dottorandi italiani che lavorano al CERN, uno dei più grandi laboratori di fisica nucleare, è salito sul tetto del building all’amministrazione centrale in “difesa” di maggiori diritti. In un appello al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ricercatori, docenti, studenti e precari in tutta Italia chiedono al capo dello Stato di “fermare questo atto che produrrà danni difficilmente reversibili”. Intanto il ministro dell’Istruzione, Maria Stella Gelmini, critica la scelta di alcuni leader politici, tra cui il segretario del Partito Democratico, Pierluigi Bersani, di salire sui tetti della Facoltà insieme agli studenti. “In questo modo si legittimano gli eccessi” ha detto il ministro. Dobbiamo ammettere che questa riforma è “una presa per i fondelli”. Lo ha capito tutto il mondo delle scuole, che in questi giorni sta dando vita ad una “pacifica” rivolta. Il fatto che meraviglia di più è che nessuno in Parlamento prova a cambiare sul serio le cose. un iniziativa giusta e pienamente condivisibile. Le coscienze di noi giovani si ribellano al tentativo di tagliare ancora la formazione, l’università, non vogliamo diventare invisibili. E’ una grande battaglia che merita sostegno e solidarietà. Si arriva a questi scontri sociali perché il Paese non discute più di problemi reali, di lavoratori, di studenti, delle famiglie. Non ci danno nemmeno lo spazio per confrontarci. Il governo va avanti senza ascoltare nessuno, senza esaminare le ragioni degli altri. La rappresentazione della realtà è una finzione, è falsa, come si vede nei tg e su certi giornali. Le lotte di questi giorni, sui monumenti, sulle gru, gli scioperi della fame sono un messaggio chiaro: i lavoratori, i cittadini si mettono in gioco in prima persona per difendere il diritto al lavoro e allo studio. Bisogna rispettare queste persone ed è grave che certe istituzioni alimentino minacce di fronte alle proteste sociali. Antonello Palummo VE 11 DALLA PRIMA PAGINA Occupazione del Liceo giudizi nella scuola primaria; aumento della durata dei libri di testo, per non parlare del notevole aumento delle tasse universitarie. Si tratta, in gran parte, di una restaurazione che, come tutti i tentativi di discutibile ritorno al passato, non riscuote simpatie né tra gli studenti né tra gli insegnanti e nemmeno nelle famiglie. Per quanto riguarda l’università, sembra che l’intervento governativo tagli le gambe alla ricerca scientifica, un’attività fondamentale per promuovere lo sviluppo economico e il progresso della nazione, per vincere nella competizione internazionale. Il decreto messo a punto dal ministro Gelmini (o, se volete, Tremonti!) appare a molti come un forte tentativo di togliere ossigeno all’istruzione pubblica per promuovere le scuole private, con il rischio di discriminare gli studenti in base al ceto sociale. Indubbiamente la scuola, oggi, non gode di buona salute. Le classifiche internazionali, che misurano la preparazione degli studenti, collocano la scuola italiana agli ultimi posti tra i Paesi sviluppati. Per questi motivi, studenti e professori sono scesi in massa nelle piazze per rendere esplicita la protesta. Alcuni esempi. A Pavia studenti e dottorandi hanno occupato le aule e chiesto a gran voce un colloquio con il rettore, mentre a Pisa l’attività didattica è stata interrotta su indicazione del Senato accademico per consentire la massima partecipazione possibile all’assemblea di ateneo. A Salerno sono saliti sul tetto del rettorato dell’Università. La facoltà di Lettere di Palermo è stata occupata al termine di un’assemblea straordinaria degli studenti. Ci sono state manifestazioni pacifiche e variopinte. Alcuni istituti sono stati occupati e purtroppo abbiamo assistito anche a violenti e riprovevoli scontri fisici tra opposte fazioni. Ma, a parte questi casi sporadici, la protesta degli studenti ha incontrato il consenso pressoché totale da parte della popolazione. Era davvero emblematico vedere i giovani manifestare incoraggiati dai cittadini plaudenti. Le ragioni della contestazione studentesca sono d’altronde comprensibili. Attualmente i giovani si affacciano a un futuro di precarietà, che angoscia e rende impossibile loro formulare un progetto di vita. La nostra occupazione del liceo è stata pacifica e civile. E’ stato un momento molto importante del nostro iter da studenti. Ci ha permesso di parlare, di confrontarci, di capire. In una parola, di “crescere”. Ci siamo confrontati anche con studenti altre parti della provincia e della stessa Università della Calabria. Vorrei rivolgere un saluto affettuoso e un ringraziamento a tutti coloro che hanno reso possibile questa protesta: “Cari amici, come certamente sapete, abbiamo colto il risultato auspicato, ovvero far sentire la nostra voce. Siamo solo all’inizio di una difficile e lunga battaglia, so benissimo che la nostra protesta rappresenta una piccola goccia, ma tante piccole gocce formano un mare... E allora noi, come tante piccole gocce, cerchiamo di formare un mare capace di abbattere gli scogli che si frappongono fra di noi ed il nostro diritto alla scuola!”. Un ringraziamento al Dirigente Scolastico, prof. Pietro Maradei, che ci ha appoggiato ed ha saputo comprendere la valenza civile e pedagogica dell’iniziativa. Cristiano Lifrieri VE 12 Scuola in rivolta Lo spirito dell’occupazione Il fatto che il Ministro della Pubblica Istruzione abbia licenziato, tra il 2008 e il 2010, circa 100.000 insegnanti, a causa del taglio di miliardi di euro effettuato ai danni della scuola pubblica, ha lasciato molti indifferenti. È successo che numerosi studenti si siano opposti alle più basilari forme di protesta, a causa della sempreverde scusa “tanto lo si fa solo per non entrare a scuola”. Queste persone danno per scontato che qualsiasi forma di sciopero sia negativa. Varrebbe la pena ricordargli come si sia combattuto e quanta gente sia morta per la conquista di un diritto inalienabile che è alla base della società odierna; ho l’impressione che abbiano orrore delle forme di sciopero e di tutto quel che possa turbare il quieto vivere. Ed è una cosa molto triste, spia di una visione davvero ristretta delle cose... Come paragone mi viene in mente il Puritanesimo e quel suo codice morale soffocante per la libertà individuale e per una società civile (e credo sia inutile sottolineare quale sia l’istituzione che fin da bambini ci indirizza verso questa visione del mondo). Quello che voglio rimarcare, e che molti non afferrano, è che tagli simili alla scuola italiana avrebbero dovuto portare a forme di protesta estremamente più incisive: ora non ce ne rendiamo conto, ma i fondi a disposizione delle scuola, già estremamente bassi, sono ridicoli. E avremmo dovuto lottare molto più a lungo e con più tenacia per evitare quella che potrebbe essere definita una catastrofe per il Paese. E non sto esagerando; la vediamo come una cosa lontana, ma vi assicuro che è estremamente reale, e gli effetti non tarderanno a manifestarsi, prima sul piano prettamente scolastico, poi su tutto il Paese, sulle industrie, sullo sviluppo generale. Insomma, guardatevi attorno: tutto quello che vedete, tutto quello che rende così alto il nostro livello di vita lo si deve alla ricerca, alla scienza prima e all’ingegneria poi. Come si può anche solo pensare di fare un taglio così pesante a un settore così vitale? Vuol dire non guardare al di là del proprio naso, vuol dire sminuire il ruolo della ricerca solo perché non porta risultati immediati né effetti tangibili nel breve periodo. Ma risulta determinante, alla fine. Le critiche che sono state mosse all’occupa- zione organizzata nel nostro liceo si rivelano quindi infondate. È vero che avremmo dovuto scegliere un momento migliore, per coordinarci alle altre scuole italiane, ma non è stata una cosa del tutto estemporanea; tant’è vero che il rappresentante dell’università, venuto giovedì 11 novembre, ha incoraggiato l’iniziativa e ha addirittura proposto di allungarne la durata. Lo spirito sotteso all’occupazione era di protestare contro un’irrazionale taglio al settore scolastico, scegliendo una forma di protesta più vigorosa del normale, per sottolineare la gravità della situazione; cosa che, mi fa piacere dirlo, è riuscita, grazie alla partecipazione degli studenti, anche se mi sarebbe piaciuto vedere l’adesione dei professori, dato che in fondo la riforma colpisce loro per primi. Ma non è sufficiente. Ci sarebbe dovuta essere un’adesione maggiore; in fondo, chi può evitare di essere contrario alla riforma Gelmini? È evidente che c’è stato una sostanziale superficialità da parte di molti, come se la cosa non ci riguardasse. Ed è assurdo. Ma è possibile un disinteresse tale da portare molti studenti a distaccarsi da qualsiasi forma di ragionamento (perché una protesta è ragionamento)? Cos’è che ci impedisce di interessarci a cose un po’ più importanti? Non dico di partecipare attivamente a ogni discussione, solo che, rispetto a cose che incidono sul nostro futuro in maniera così determinante, tutti dobbiamo fare la nostra parte, e non essere così totalmente apatici. Questo articolo vuole essere una provocazione e un’esortazione a partecipare di più alla vita scolastica, in modi che vanno al di là del semplice studio. Antonio Polino IV C Scuola in rivolta “LA LOTTA FA SCUOLA” “Contro questa scuola dei padroni, dieci, cento, mille occupazioni!” Poco importa se c’è chi fa uso strumentale della collocazione politica degli studenti per aprire in anticipo una campagna elettorale reale ed apparente insieme. Futili sono tali tentativi di sabotaggio quando una intera comunità studentesca inizia a sentire sulla propria pelle il peso della perdita della libertà e le conseguenza nefaste di un’incipiente dittatura. “Ci vogliono ignoranti, ci avranno ribelli!”. Su questo principio si basa il processo “controriformista” avviato da noi studenti del liceo classico contro il tentativo, da parte di questo governo, di averci ignoranti, e quindi più facilmente controllabili. Gli unici mezzi di autodifesa che abbiamo a nostra disposizione sono le ore di scuola che suscitano in noi l’affermazione di un nuovo, forte senso critico. Ed è da questa stessa necessità che nasce oggi, di nuovo, dopo più di quarant’anni, un’aggregazione studentesca spontanea, un nuovo movimento, chiaro, lineare ed univoco: vogliamo essere capaci di decidere per il nostro futuro e vogliamo esserne artefici. Importante è stata l’adesione, anche se in tempo non più direttamente utile, al movimento partito dal “Colosimo”, da parte del Liceo scientifico, del Professionale ed, infine, della Ragioneria. Importante è stato il rafforzamento della posizione sostenuta da tutte le scuole della provincia, ottenuto grazie all’adesione degli istituti coriglianesi a tale iniziativa di sensibilizzazione. Fastidioso è stato sentirci dire che “è stato inutile occupare” quando, in realtà, si è contribuito in modo concreto all’implemento della statistica provinciale delle occupazioni, che risultano, ad oggi, essere state attuate nella stragrande maggioranza degli istituti. Tale statistica sarà utile, nel Consiglio Nazionale dei Presidenti delle Consulte, per il rafforzamento di una posizione politica vicina alla promulgazione di “leggi tampone”, volte ad arginare i decreti costituenti la cosiddetta “riforma Gelmini” ed un tentativo di veto all’approvazione del “DDL APREA”, che andrebbe a rendere l’istruzione un servizio affi- Pre-OCCUPIAMOCI...! E’ un periodo d’instabilità per l’intero ordine scolastico. Il 2000, che sembrava essere un’epoca di grandi cambiamenti, ha portato all’instabilità delle componenti sociali di un intero Paese. Non si ha una giusta misura della sua portata e la crisi, che su ogni fronte si fa sentire, va colmata. La si potrebbe ridurre in molti modi, ma non di certo lasciando che la si colmi andando a tagliare i fondi per l’istruzione. Ecco perché nasce il risentimento degli studenti, di noi studenti, che vediamo negato un diritto così elementare che non dovrebbe neanche essere rivendicato. E’ giusto dover pagare abbondanti tasse per poter conseguire una laurea e togliere risorse alla ricerca? E’ una situazione che riguarda in modo particolare anche noi liceali, futuri universitari. Tutti i giovani dovrebbero avere la possibilità di accedere al mondo dell’istruzione in tutti i suoi livelli, come sancisce la Costituzione, ma purtroppo in una società precaria come la nostra non a tutti è possibile. E’ triste questa situazione, dovrebbe essere lo Stato stesso ad incentivare i giovani allo studio, eppure non è così. Questo meccanismo non può far altro che allontanare il giovane dallo studio. Potremmo ritrovarci, a lungo andare, in una società in cui l’ignoranza potrebbe prendere il sopravvento. E’ proprio per questo che il Liceo Scientifico “Fortunato Bruno”, dopo un’accurata riflessione, ha deciso di occupare! Eravamo consapevoli di non poter ottenere niente di concreto, ma nel nostro piccolo abbiamo voluto far sentire la nostra 13 dato a privati e non più pubblico, volto quindi al puro profitto e non ai contenuti. È triste pensare di regredire ad una società feudo-medievale in cui l’istruzione ed il diritto allo studio sono un privilegio di coloro i quali hanno una buona collocazione economica mentre resterebbero un sogno per le persone di estrazione sociale più umile. Inammissibile sarebbe accettare una posizione che, come questa, ci impedirebbe un accesso al mondo del lavoro, che già oggi risulta più difficile che un accesso in paradiso. Iniziative del genere sono e devono continuare ad essere manifesto della nostra generazione, “una generazione di sogni, conflitti e rivoluzioni”. Francesco Amendola, Marco Vercillo III A Liceo Classico “G. Colosimo” voce, una voce che non ha fatto la differenza a livello nazionale, ma che è bastata ad esprimere il nostro dissenso ad una legge sconcertante sotto il profilo scolastico. Quella dell’occupazione è stata un’esperienza intensa, sono stati cinque giorni in cui tutti noi studenti abbiamo vissuto la scuola sotto un altro aspetto. L’organizzazione, che in quei giorni ha saputo gestire un intero istituto, è stata fondamentale: ogni singolo studente ha dimostrato di essere maturo facendo proseguire così l’ordinaria esecuzione di questa manifestazione. La nostra è stata una protesta civile in cui la compostezza della situazione era sempre sotto controllo. In quei giorni è avvenuto per noi qualcosa di veramente costruttivo: è stata, infatti, una manifestazione che, nei vari momenti in cui si è articolata, attraverso varie assemblee ed incontri, come quello col vice presidente del consiglio degli studenti dell’UNICAL, Alfonso Rugna, ci ha permesso ancor più di dialogare e di informarci. Ci siamo sentiti più motivati a protestare, con cognizione di causa, contro una legge che riteniamo possa ostacolare la vita scolastica di noi studenti, che, com’è giusto che sia, abbiamo importanti aspettative per il nostro futuro ma assistiamo impotenti ai tentativi di tarparci le ali. Cinque giorni per poter stare in una scuola sono comunque tanti e così si trascorreva il tempo con un salutare divertimento caratterizzato da tornei di calcio, pallavolo, canti o semplicemente da una chiacchierata tra amici. Era strano poter vivere la scuola in qualsiasi ora, era come fossimo a casa nostra e come ognuno fa con la propria casa abbiamo cercato al meglio di prendercene cura. Alla fine di questa esperienza siamo soddisfatti della riuscita e speriamo che qualcosa possa davvero smuoversi: soprattutto che si trovi stabilità all’interno del nostro Paese e che la classe politica mediti per una riforma scolastica migliore poiché la scuola e la cultura non devono essere toccate in quanto sono i fondamenti dell’intero tessuto sociale. Domenica Rizzuti IIIB 14 Scuola in rivolta La storia della scuola “Ciò che differenzia l’uomo dall’animale è la ragione”. Questo è il pensiero dei primi filosofi greci che, dopo aver elaborato le proprie dottrine, iniziarono a creare i primi modelli di scuola. Possiamo affermare che la prima scuola italiana fu quella Pitagorica a Crotone. Questo fu solo il punto di partenza di una grande “struttura” che non trova mai fine e che, attraverso i vari secoli, si trasforma. Passa dalle mani della chiesa (nel Medioevo) a quelle della politica (nel Settecento), da privata diviene pubblica, e da facoltativa obbligatoria. La prima vera riforma per la scuola italiana fu attuata nel 1859 con la legge Casati. Infatti, alla vigilia dell’unificazione d’Italia, i piemontesi espressero così la loro politica di libertà, dividendo la scuola elementare in due bienni, di cui il primo obbligatorio, creando il ginnasio (a pagamento) e la scuola tecnica. L’Ottocento si chiude con altre due leggi emanate da Coppino e da Garibaldi, che modificarono la scuola nei suoi punti essenziali, portando le elementari a cinque anni con il primo triennio obbligatorio e esplicitando la richiesta di “lezioni di cose” durante l’anno scolastico. Nei primi anni del Novecento le cose sembrano andare benissimo; l’analfabetismo diminuisce e, per la prima volta, l’Italia presenta il problema della disoccupazione intellettuale. La borghesia, però, inizia ad avere un po’di timore per un eventuale rinnovamento delle classi. Le prime leggi del Novecento sono quelle di Orlando e Daneo-Credaro. Esse impongono ai comuni di istituire scuole fino alla quarta classe e di provvedere all’istruzione dei figli delle famiglie disagiate. In questo periodo, però, il tema centrale è se bisogna creare un corso intermedio tra la scuola elementare e il ginnasio (ovvero la scuola media). Nel 1922 il filosofo Giovanni Gentile diventa Ministro della Pubblica Istruzione sotto il governo di Mussolini. Nel 1923 la sua riforma modifica la scuola profondamente: la scuola elementare, resa obbligatoria con iscrizioni per anno di nascita, dura per un quinquennio, appunto dai sei ai dieci anni dell’alunno; segue un grado successivo di scuola (“media inferiore”) che dura tre anni, e quella secondaria, che può durare dai tre ai quattro anni in base al tipo di scuola. La riforma porta l’obbligo di studio fino a 14 anni, crea i rimandi estivi e i programmi delle elementari, che ancora oggi sono gli stessi e cosa molto importante inserisce l’obbligo di studio della religione cattolica. Nel 1928 nasce con il ministro Belluzzo la scuola di avviamento professionale al posto della scuola media e superiore per chi vuole immettersi subito nel mondo del lavoro. Nel 1939, all’inizio della seconda guerra mondiale, viene emanata la legge Bottai che rimane, però, solo sulla carta tranne per la creazione definitiva della scuola media e l’unificazione di tutti i bienni delle scuole superiori. Nel 1945, verso la fine della seconda guerra mondiale la Sicilia, già libera, cerca di rifondare la repubblica con l’aiuto di qualche inglese. Gli inglesi proponevano una scuola avanzata, moderna, aperta alle novità e senza la religione cattolica. Il popolo cattolico si rivoltò e chiese di avere un proprio rappresentante nella commissione incaricata di redigere le leggi. Si arrivo ad compromesso e si ottennero dei programmi molto avanzati. Nasce la Costituzione e la scuola vi entra dentro, e viene dichiarata pubblica, gratuita e obbligatoria per almeno otto anni. Non si modifica la struttura scolastica, che rimane con la scuola elementare alla base, al centro la scuola media e di avviamento professionale e solo dopo la scuola media, durante la quale si era studiato il latino, si poteva accedere ai licei o senza il latino agli altri istituti. Bisognerà aspettare il 1962 per vedere una nuova riforma scolastica sulla carta. Questo è l’anno della fine per la scuola di avviamento professionale e la creazione della scuola media unificata che dà l’accesso a ogni scuola superiore. Vengono introdotte le classi miste e rimane come punto interrogativo solo la questione del latino, facoltativo all’ultimo anno di scuola media. Nel 1968 viene istituita la scuola materna, ma solo l’anno seguente, il 1969, porterà una vera ventata di aria fresca con la liberalizzazione delle università e le modifiche sull’esame di maturità. Infatti finora solo gli studenti del liceo classico potevano accedere a tutte le università. L’esame di maturità, invece, viene suddiviso in due prove scritte, una di italiano ed una specifica del tipo di scuola scelta, e una prova orale su due materie scelte dallo Stato fra un gruppo di quattro già anticipate. I docenti che devono giudicare l’alunno sono tutti esterni tranne uno. Gli anni Settanta rappresentano un fallimento dal punto di vista delle riforme, ma una conquista dei diritti da parte degli studenti e dei genitori. La riforma della scuola secondaria fallisce e nel 1974 nascono i rappresentanti dei genitori e degli studenti con i Decreti delegati. Fanno la loro prima comparsa gli insegnanti di sostegno per i ragazzi con handicap e vengono tolti gli esami di riparazione alle medie. L’unica riforma è quella del 1979, che elimina il latino dalla scuola media. Si cerca di far sparire la “selezione classista” che, però, durerà ancora nel tempo. Gli anni Ottanta e Novanta rinnovano i programmi della scuola. Negli istituti tecnici, ma soprattutto nei licei, entrano i Programmi Brocca. Aumentano i professori, divisi per disciplina e nascono anche i programmi per la scuola elementare e gli orientamenti di quella materna. Nel 1996 diventa ministro della pubblica istruzione Luigi Berlinguer, l’ex-rettore dell’università di Siena. Berlinguer decide di proporre un modello della scuola quasi americano, organizzandola in due cicli, ma la riforma non verrà mai approvata. Nel 1997 viene, attraverso una legge, cambiato il punteggio da sessantesimi a centesimi dell’esame di maturità e introdotto il credito formativo nella scuola superiore e per l’esame di maturità verrà anche stabilito che la commissione sia interna e solo il presidente esterno. Per avere una nuova riforma passeranno quasi 10 anni, arrivando così al 2006 con la riforma Fioroni. Essa porta un irrigidimento dell’esame di maturità, che si chiamerà d’ora in poi Esame di Stato e chi avrà debiti formativi non vi potrà accedere. L’obbligo di frequenza sarà portato a 16 anni e il biennio delle scuole superiori sarà unitario. Il 4 Agosto 2006, per la prima volta nella storia della Repubblica, ci fu una riforma scolastica mandata alla camera dal popolo, dopo aver raccolto oltre 100.000 firme. Il ministro Fioroni ha, inoltre, reintrodotto i rimandi estivi. Arriviamo ad oggi col decreto proposto dal ministro Gelmini, che tocca tutti gli ordini scolastici, ma soprattutto il nostro futuro, dunque l’università. Reintroduce il maestro unico nelle scuole elementari e la valutazione decimale in tutti gli ordini. Abolisce le ore da 50 minuti, ma soprattutto toglie fondi all’Università con un bel -85% sulle borse di studio e un aumento pazzesco delle tasse di iscrizione e mensili. E’ vero che la scuola italiana è una delle più arretrate d’Europa, non per questo, però, in un periodo di crisi, invece che aiutare le famiglie a sostenere le spese, se ne devono imporre di più. Si parla tanto di scuola meritocratica, ma, più che meritocratica, sta diventando scuola d’èlite. Buonocore Gregorio classe 3A Bloccare le scuole per liberare il futuro Bloccare le scuole per liberare il futuro, quel futuro incerto che oggi noi studenti non riusciamo chiaramente a vedere a causa dei tagli alla scuola attuati dalla Riforma Gelmini, riforma che mira a privatizzare la scuola pubblica, ignorando quelle migliaia di ragazzi che ogni giorno scendono in piazza per opporsi ad un sistema malato, incapace di dare una risposta concreta alla crisi da questo stesso provocata. È stato normale, se non scontato, per noi ragazzi domandarci perché in un momento di crisi come quello attuale le politiche europee hanno approntato degli interventi di sostegno verso la scuola e la ricerca, mentre in Italia si procede in direzione ostinata e contraria, tagliando quel che già sono le esili risorse dell’istruzione, incentivando a discapito di questa gli istituti privati. Forse perché quel governo che dovrebbe garantirci un futuro dignitoso è troppo impegnato a nascondere il degrado sociale, politico e culturale del nostro Paese. Per questo, noi studenti del Liceo Classico “G. Colosimo” abbiamo occupato l’istituto nei giorni 28, 29, 30 ottobre. Occupare per dare un segnale, un segnale compatto, per far capire che anche gli studenti della provincia di Cosenza hanno voglia di combattere, di resistere; anche noi non ci stiamo, anche noi lottiamo per il nostro futuro. Pretendiamo che il governo investa sulla scuola, sui giovani, perché è solo investendo sull’istruzione che il paese può pensare di avere un futuro migliore. Gianfranco Costa, Roberta Durante II B Liceo Classico “G. Colosimo” Scuola in rivolta 15 Ci hanno abbandonati! Parole, parole, parole.. Purtroppo è passato tanto tempo da quella bella mattinata di sole, quando noi alunni del liceo classico di Corigliano scioperammo dinanzi alla porta comunale per ottenere una nuova struttura,una scuola degna di tale nome! In quella circostanza intervennero tante facce conosciute nell’ambiente politico cittadino, le loro parole non erano più che tranquillizzanti. Frasi del tipo: ‘’La faremo! Tranquilli, ragazzi, è un vostro diritto!’’ Solo ora, purtroppo, scrivendo questo articoletto sul giornalino della nostra ormai fatiscente scuola, mi accorgo che quelle parole contenevano solo falsità e che il loro contenuto non poteva colmare la nostra rabbia, quella dovuta al fatto di non poter avere una nuova struttura scolastica. Sarebbe bello, molto bello se Corigliano un giorno potesse disporre di una struttura scolastica adeguata, sarebbe davvero qualcosa di positivo nella nostra città visto che, ultimamente, si parla solo di mafia, un fenomeno molto negativo che purtroppo ci rappresenta in Italia e non solo. Le stiamo tentando tutte, noi alunni di questa ‘’scuola’’: occupazioni, manifestazioni… ma nessuno ci dà retta. Tutti scomparsi, nessuno che si fa più avanti o, meglio, nessuno che si interessa di noi alunni vittime di promesse mai mantenute. In questi ultimi giorni in a dire il vero qualcuno si è rifatto vivo, dicendo nuovamente che la scuola sarà edificata. Sono sicuro che tanti, se non molti, compagni di studio la penseranno come me: SE NON VEDO NON CREDO! Sì, perché ci state prendendo in giro, non ci fidiamo più di voi, politici incapaci di dirigere determinate cariche! All’inizio si stava muovendo qualcosa, proprio quel qualcosa che ci faceva ben sperare, ma poi un silenzio totale che è durato fino a pochi giorni fa, fin quando noi studenti stanchi abbiamo deciso di occupare la nostra scuola stessa. A fine novembre il Consiglio Comunale ha approvato il perfezionamento della variante al PRG e la Cassa Depositi e Prestiti ha concesso oltre 2 milioni e mezzo di euro; si attende il parere, determinante, del Genio Civile. Staremo a vedere! Ragazzi, non scoraggiamoci, la speranza è l’ultima a morire… Simone Trebisonda Classe I A Liceo Classico “G. Colosimo” Eh sì! Volendo parlare delle promesse delle autorità politiche competenti, è giusto rifarsi alle parole di una famosa canzone di Mina: non sono state altro, appunto, che “parole, parole, parole”.. Difatti, oggetto delle nostre diverse proteste, alle quali sono giunte solo promesse messe a tacere dal tempo, da un po’ di anni a questa parte, è la costruzione di una nuova sede per il Liceo Classico G. Colosimo, dagli scettici considerata un’utopia. Purtroppo è da molto tempo, ormai, che l’attuale struttura non risponde più a quelli che sono i principi di una struttura funzionante: fili elettrici scoperti, arretratezza dal punto di vista laboratoriale sia scientifico che tecnologico, scarsa attrezzatura per svolgere adeguatamente educazione fisica, classi umide e/o piccole, e, quel che è più preoccupante, numerose crepe nelle colonne portanti che metterebbero a rischio la nostra incolumità; questa è la dimostrazione di come il Liceo Classico sia caduto sempre di più nel dimenticatoio generale. Quel che ci conforta, però, è il vedere come tutti gli studenti partecipino alle manifestazioni, non ultima l’occupazione dell’edificio, specie delle prime nuove liceo – 4° ginnasio prima della riforma Gelmini – che hanno preso a cuore la questione. E questo è molto importante perché tutti insieme possiamo! Questo nostro “alzare la voce”, finalmente, ha suscitato un po’ di scompiglio, proprio come volevamo: in data giovedì 25 novembre 2010, infatti, è stato ospitato Giuseppe Giudiceandrea, presidente commissione consiliare edilizia scolastica della provincia di Cosenza, venuto a fornirci delucidazioni riguardanti principalmente i tempi così lunghi per la realizzazione della nuova scuola. Questa, a mio modo di vedere, dovrà rimanere nel centro storico, perché dà quel tocco in più che avvalora il patrimonio artistico/culturale quasi trascurato. L’unico nostro punto debole, forse, è il non crederci più quando invece abbiamo combattuto, e vinto, diverse battaglie al fine di rendere i locali sempre più consoni (es. l’impianto di riscaldamento): chi ci dice che non vinceremo la guerra, un giorno? Francesco Gentile IA Liceo Classico Lavoriamoci sopra Diverse sono le problematiche che si aggravano legate al mondo del lavoro (vedi Pomigliano). E’ da denotare un cambiamento per ciò che concerne gli aspetti principali, che non riguardano più soltanto alienazione, stipendi, ecc…, bensì attacchi ai diritti dei lavoratori e difficoltà nell’entrare nel mondo del lavoro. Non ci sono più uffici di collocamento efficienti come un tempo. I sindacati sono più deboli e non hanno le forze necessarie per le loro rivendicazioni. Le lotte oggi sono finalizzate alla conservazione delle conquiste già ottenute, il che è un limite, rafforzato dalla demoralizzazione dei lavoratori. Per superare tali problematiche è necessaria una controffensiva nei confronti di Confindustria ed una ricostruzione delle relazioni di classe. Da ricostruire è anche l’atteggiamento della classe operaia circa l’utilità delle sue azioni e circa le sue prospettive di vita. La cosa da evitare è un’iniziativa non direttamente connessa alle cose reali. Una cosa utile da fare, in questa direzione, è una risposta “unificante”, che sia da collante tra le nuove generazioni precarie, le vecchie “stabili” (dei posti fissi), i pensionati e gli extracomunitari. Da sottolineare è la mancanza di uno “Stato sociale europeo”, che ne dimostra la debolezza. Importante è riprendere il discorso della mobilitazione europea. Bisogna capire cosa serve per cominciare a cambiare la situazione. Lavoro e non lavoro dipendono dalla presenza o meno di una salda regolamentazione. Importante sarebbe prendere coscienza delle responsabilità politiche ed iniziare a lavorare sulla comunicazione, rettificando le “false informazioni” (come globalizzazione, cambio del posto di lavoro). Difficile è oggi spiegare la legittimità di uno sciopero avendo il coraggio di dire “NO” ad alcuni accordi in chiave di scelta del “male minore”. Grave è stato l’allontanamento dal tema della centralità del lavoro. Rilevante è rimarcare questa centralità come elemento caratterizzante della nostra società. L’ipotesi della “facile uscita” dalla crisi era un’illusione in quanto è stata mezzo di indebolimento delle classi più fragili (vedi i provvedimenti di Tremonti). I provvedimenti degli ul- timi anni sono sempre stati contro i lavoratori, contro i loro diritti contro i modelli contrattuali, contro l’articolo 18; importanti sono anche le scelte presenti nell’ultima manovra finanziaria. Questi avvenimenti minacciano il nostro futuro, che è estremamente preoccupante anche per la decadenza del cosiddetto Stato sociale (esempio sono le pensioni). Astuto è stato il tentativo di isolamento dei lavoratori che, avendo salari ed orari diversi, hanno esigenze diverse e non facilmente sintetizzabili. Indispensabile è, dunque, il tema della “riunificazione” della classe operaia. Si sono preferiti i contratti individuali, diversi nelle varie fabbriche, a quelli nazionali, unici per tutto lo Stato, perdendo molte emancipazioni ottenute nei secoli. L’accanimento nei confronti del mondo del lavoro e dei lavoratori è utile per l’indebolimento di una società che diventa, quindi, più facilmente controllabile. Dorella Albamonte, Marco Vercillo III A Liceo Classico 16 Jeanne d’Arc… Une héroïne universelle Le culte de Jeanne d’Arc est un mythe extraordinaire, parce qu’elle est considéréé «fille du peuple» révolutionnaire, restauratrice de la monarchie et de l’ordre divin, patriote trahie par les élites et l’Eglise. Jeanne, malgré sa courte vie, a inspiré pour des siècles historiens, poètes, peintres et aujourd’hui aussi réalisateurs. Chacun d’eux nous raconte une histoire différente, mais on doit comprendre au moins en pertie la vérité parce que Jeanne doit représenter un idéal pour tous les jeunes. Jeanne d’Arc serait née en 1412 à Domrémy, en Lorraine, et serait issue d’une famille de paysans assez aisée. Jeanne était très religieuse, se rendait à l’église chaque samedi et pratiquait l’aumône pour les pauvres. Elle vit pendant la guerre de Cent Ans qui voit le roi d’Angleterre Édouard III qui revendiquait le trône de France et la noblesse française qui s’y opposait et voulait que la couronne revienne au dauphin Charles. A douze ou treize ans, dans le jardin de son père Jeanne commence à entendre des voix. Elle dit avoir eu très peur la première fois. Ces voix célestes lui donnent l’ordre de ramener le Dauphin sur le trône et de libérer la France de la présence anglaise. Elle répond à cet appel quatre ans avant quand décide de partir pour obtenir une audience auprès du dauphin Charles. La légende veut qu’elle ait réussi à reconnaître le dauphin dans l’assemblée qu’il portait des vêtements simples. Elle lui raconte des voix qu’elle a entendues, mais il est méfiant et lui fait subir des interrogatoires menés par les autorités religieuses à Poitiers, qui vérifient entre autres sa virginité. Elle leur prédit que les Anglais lèveront le siège d’Orléans, le roi sera sacré à Reims et Paris rentrera dans le domaine royal de Charles. Alors Charles accepte de lui confier une armée pour libérer Orléans des Anglais. Elle partira pour Orléans vêtue d’une armure et d’une épée et elle envoya une missive aux Anglais pour les prévenir de sa venue et leur demander de quitter Orléans. Les Anglais refusèrent et Ils voyaient en cette femme une sorcière, une personne maléfique. Jeanne remporte la victoire contre les Anglais, la nouvelle se répand dans toute la France et pour cela elle est définie “la Pucelle d‘Orléans“. Elle poursuit son chemin vers Reims, soumettant chacune des villes à son passage et le 17 juillet 1429, Charles est couronné roi de France dans la cathédrale de Reims en présence de Jeanne et prend le nom de Charles VII. Ensuite Jeanne tente de libérer Paris avec l’accord du roi. Mais cette tentative se solde par un échec. Elle est faite prisonnière par les Bourguignons qui la vendent aux Anglais pour 10 000 livres. Elle est emmenée à Rouen pour être jugée par un tribunal qui l’accuse d’hérésie parce que les Anglais cherchaient à discréditer son charisme qui avait redonné espoir au peuple français. Elle est condamnée et elle est brûlée vive sur la place du Vieux-Marché à Rouen le 30 mai 1431. Vingt-cinq ans plus tard, un second procès, organisé par Charles VII sur la demande de la mère de Jeanne et du pape Calixte III, réhabilite la figure de Jeanne d’Arc. Elle est ensuite canonisée en 1920 par Benoît XV. Jeanne d’Arc n’est donc pas une héroïne légendaire ou mythique, comme on le lit trop souvent, mais l’une des figures les mieux connues de l’histoire de France, celle que l’on surnomme souvent et à juste titre «la mère de la nation». Elle est devenue l’esprit de la France, la jeune fille, le guerrier Saint, le symbole républicain et napoléonien pour l’opposition aux anglais et pour protéger la France à la domination étrangère. Enfin, je ne résiste pas à l’envie de citer ce témoignage admiratif de l’écrivain américain Mark Twain, qui peut paraître exagéré au premier abord mais qui s’avère totalement justifié si l’on veut prendre la peine d’étudier sérieusement la vie de notre sainte héroïne: «En tenant compte des circonstances de ses origines, de sa jeunesse, de son sexe, de l’analphabétisme et de la pauvreté de son environnement, des conditions hostiles dans lesquelles elle dut exercer ses fabuleux talents et remporter ses victoires, tant sur le champ de bataille que dans le prétoire face à ces juges iniques qui l’ont condamnée à mort, Jeanne d’Arc demeure, aisément, de très loin, la personnalité la plus extraordinaire jamais produite par la race humaine…» Alessandra Piluso Classe III C My experience in Strasbourg Thanks to a competition about human rights I won a journey to Strasbourg where I had the possibility to visit the Council of Europe, the European Parliament and the wonderful city. The purpose of this movement about human rights was to discuss about euthanasia and abortion. During my staying in Strasbourg, the winners of the competition, many Members of the Parliament and voluntaries talked about these topics that pushed us to reflect more about the sense of life, a precious value. We were given from our companions a paper where there were ten points about the dignity to talk about; for example the role that the istitutions and the family should have on the dignity of a man. During the Council of Europe an exponent of one or more groups argue about these themes speaking on the pros and cons, but many Members of the Parliament and of the movement debated on these topics too. The visit to European Parliament was very exciting because for some hours, we had the sensation to be Members of the Parliament. The presi- dent of the Popular Political Party (PPE), the French Joseph Daul, welcomed in one of the many rooms of the building asking us to ask questions. The president talked about european economic balance, about the wages of political people, about the problem of the emigration and about all the troubles we are living in Europe. This beautiful experience brought me to look at life and to reflect about abortion in a different way. Maybe, before this experience, I had a more superficial idea about abortion, instead now, I think that probably nothing and nobody can deny a new life. This experience was very beautiful, we could visit the city which is very nice with its enormous cathedral and the river that passed through it. For me, this experience, will remain forever a beautiful memory for the new friendships, for the atmosphere that we lived together in those days. But, of course there are more important and deeper reasons so I will ever forget those days in Strasbourg. Because to reflect about human rights is a duty, and all of us should help people who are in need. I must thank my english teacher, Eufemia Trisolini who encourage me to partecipate to this competition and now, I raccomand all students to partecipate to make young generations aware about the respect everyone of life and should give to life her own life. Ludovica Mazza V B 17 Strasburgo: visita al Parlamento europeo Lo scorso anno è stata indetta la ventitreesima edizione del concorso letterario nazionale dal Movimento per la Vita Italiano; premio dei vincitori un viaggio della durata di quattro giorni a Strasburgo con visita al Parlamento Europeo. I vincitori sono stati circa duecentocinquanta, provenienti da varie Regioni Italiane: ventuno dalla Calabria e, più precisamente, tre dal nostro istituto. Il viaggio è stato intervallato da una fermata presso l’aeroporto di Milano-Linate, il resto si è svolto in pullman: noi calabresi, accompagnati dal prof. Saverio Ardito, abbiamo viaggiato assieme ai ragazzi vincitori provenienti dal Piemonte. L’argomento del tema svolto per il concorso riguardava la dignità umana. Pertanto, ci siamo messi subito al lavoro durante il viaggio in pullman. Un documentario a supporto illustrava il momento del concepimento dal punto di vista scientifico, per poter meglio comprendere cosa sia la dignità umana, valida anche per poche cellule appena create: l’aborto, infatti, rappresenta un vero e proprio omicidio! Ovviamente, non sono mancate le nostre opinioni sull’argomento con tanto di racconti di esperienze personali. Appena arrivati a destinazione, dopo esserci sistemati nell’ostello della gioventù, fortunatamente a pochi metri dal centro della città, e, dopo aver cenato, ci siamo riuniti per svolgere il compito più importante del viaggio dal momento che il giorno dopo ci saremmo dovuti recare presso il Consiglio d’Europa. Il nostro compito consisteva nel creare dei veri e propri emendamenti ai vari articoli della Costituzione, diventando così i veri protagonisti della giornata, quasi come se fossimo dei Deputati. I temi scelti sono stati: il rafforzamento della salvaguardia della vita umana, l’analisi sui limiti della ricerca scientifica qualora essa sfoci nella violenza alla dignità umana e l’importanza della scuola e dell’università nella formazione dei giovani su questo argomento. Un ragazzo/a per gruppo regionale aveva il compito di presentare l’eventuale modifica, mentre il Presidente della commissione dava la possibilità ad un altro vincitore di presentare un eventuale reclamo all’emendamento citato; quest’ultimo sarebbe stato approvato nel caso in cui, a fine votazione, avesse avuto la maggioranza di consensi. Presentati tutti gli emendamenti, il Presidente del Movimento, Carlo Casini, ha preferito colloquiare con gli stessi ragazzi, illustrando loro l’importanza del viaggio e la fortuna di visitare la sede in cui i rappresentati dei Paesi Europei hanno lavorato per istituire le leggi della Costituzione. Il resto della giornata è stato dedicato alla visita della città. Il giorno seguente ci siamo recati presso la sede del Parlamento Europeo. Presa ognuno la propria postazione, i vincitori hanno avuto la possibilità di discutere con Joseph Daul, il presidente del PPE, il partito popolare europeo (il Parlamento Europeo, infatti, così come quello italiano, è composto da vari partiti la cui maggior parte dei parlamentari, duecentosessantacinque, fanno parte del PPE). Il parlamentare ha esposto alcuni problemi dell’UE, come il proliferare della delinquenza e la piaga della disoccupazione che attanaglia ancora popoli interi. Allo stesso tempo, egli ha trattato gli aspetti positivi di quest’organo, che lavora per il benessere di tutti i cittadini, quali la protezione dell’ambiente, la sicurezza dei trasporti, il sostegno della ricerca, la promozione della sanità pubblica. Pilastri della Costituzione Europea sono il contrastare tanto lo sfruttamento della donna quanto la pena di morte al fine di porre i diritti dell’uomo al di sopra di ogni cosa. La serata è stata dedicata alla visione del film “Bella”. La trama narrava di una donna convinta a non abortire da un suo amico che la sosterrà, poi, nella crescita del bambino. L’obiettivo del film, ovviamente, è stato quello di accentuare il valore della dignità umana poiché ognuno ha diritto alla vita, anche un piccolo feto. Il terzo giorno del nostro soggiorno a Stra- sburgo è stato dedicato allo shopping nella città oltre che alla visita dei suoi monumenti con tanto di giro in battello. La cattedrale gotica, posta al centro della città, nella quale abbiamo ascoltato la Santa Messa, è stata la struttura che più ci ha colpiti. La città si presenta splendida dal punto di vista architettonico e artistico. A conclusione, abbiamo cenato in un locale caratteristico della città. L’esperienza si è rivelata singolare sia per quanto riguarda i rapporti interpersonali stabilitisi durante il viaggio sia per l’arricchimento del nostro bagaglio culturale. Con la speranza che le amicizie sorte durante il viaggio non si perdano, non possiamo che rimanere soddisfatti tanto dell’organizzazione quanto dei momenti di riflessione che il tema scelto ci ha offerto. Tutto ciò testimonia il fatto che i giovani di oggi, anche se molti possono pensare il contrario, sono ancora interessati ad argomenti socialmente utili, e lo fanno nel massimo rispetto delle circostanze accoppiando anche momenti di svago e divertimento. Ringraziamo la prof.ssa Eufemia Trisolini, coordinatrice Regionale del Movimento, nonché componente della commissione esaminatrice, per averci dato la possibilità di vivere un’esperienza così formativa. Nonostante non sia potuta essere la nostra accompagnatrice per motivi personali, è doveroso porle un riconoscimento tanto per il suo impegno profuso nello stimolare gli alunni a partecipare quanto per il suo desiderio di buona riuscita del viaggio. Visitare la sede del Parlamento Europeo è un’opportunità di cui pochi possono godere ed usufruirne in modo così semplice è una vera e propria fortuna. Il tutto appare più piacevole grazie ai temi scelti, che non solo rispecchiano aspetti fondamentali della società odierna, ma rappresentano anche un punto di riflessione per noi tutti e, se trattati in modo adeguato, possono stimolare sempre di più. L’obiettivo principale del Movimento, infatti, è quello di conoscere le opinioni dei giovani e il loro atteggiamento nei confronti di argomenti così delicati al fine di comunicare loro dei veri valori. Consigliamo a tutti di partecipare, è un’esperienza davvero unica! Giulia Fino 4C 18 Riflettendo “IL MONDO E’ MEGLIO CON UN AMICO COME TE” LE REGOLE DELL’AMICIZIA SECONDO LA BIBBIA Una canzone per riflettere sull’ AMICIZIA: Affetti Personali di Eros Ramazzotti Il mondo è meglio con un amico come te. Quando ti cerco Ti fai trovare sempre senza domandarmi perché… Tu mi conosci, lo sai già, quando ho bisogno di complicità, di evadere dalla solita realtà. Sei l’altra ala che a volte mi manca… Con un amico come te sono sicuro che Il mondo è meglio di com’è… Soli mai, veramente non si è soli mai quando ci uniscono affetti personali si può scoprire che… un’amicizia è bella anche perché… ci lega si ma senza usare catene, ci tiene insieme, semmai, di più. Anima dolce, questa sei tu, mia cara amica, anche se a volte sai essere davvero pungente proprio come un’ortica, però mi piaci. Sai perché? Posso parlare apertamente con te, scambiare i pensieri più sinceri, fra noi, per non ritrovarci ad esplorare la vita… Cosa sarebbe mai la vita senza amici… Cosa sarebbe mai? Ah, i ricordi… “Vi è mai capitato di uscire la mattina di casa, con il freddo pungente di quelle mattine di febbraio che ti pelano il viso dal gelo, di avviarvi pigramente verso scuola aspettando che il caffellatte faccia effetto sui vostri neuroni azzerati dal sonno, con la prospettiva deprimente di sei-oresei? Probabilmente sì, e fin qui è facile. Vi è mai capitato, in una mattina di cui sopra, incappucciati, immersi in un giaccone da circolo polare che lascia al giudizio del mondo solo la vostra bella faccia semi-congelata, di far strada in mezzo alla folla che corre, sbuffa, strepita, e di sentirvi, lungo il marciapiede intasato, completamente soli? Può darsi, ma nemmeno questo è troppo difficile. Vi è mai capitato, la fatidica mattina di cui sopra, (dal libro dei Proverbi) -<<Non dire al prossimo: “Va’, ripassa, te lo darò domani” se tu hai ciò che ti chiede>>. -<<Discuti la tua causa con il tuo vicino, ma non rivelare il segreto altrui>>. -<<Rimprovera il saggio ed egli ti amerà, istruisci il giusto ed egli aumenterà la dottrina>>. -<<Ascolta il consiglio e accetta la correzione per essere saggio in avvenire>>. -<<Non ingannare. Come un pazzo che scaglia tizzoni e frecce di morte, così è quell’uomo che inganna il suo prossimo e poi dice: “Ma sì, è stato uno scherzo”>>. -<<Leali sono le ferite di un amico, fallaci i baci di un nemico>>. -<<Non abbandonare il tuo amico né quello di tuo padre>>. SECONDO TE ... -Quando è importante avere degli amici? -Qual è la caratteristica fondamentale di una vera amicizia? -Sai trovare il tempo per coltivare vere amicizie? -In te è più forte il bisogno di socialità o la ricerca della solitudine? -Tra i motivi che ti spingono a stringere amicizie quali metti al primo posto: l’interesse, il piacere o la gratuità? -Che cosa significa che la vera amicizia sa tenere sempre insieme identità e differenze? Sei d’accordo? arrotolati nel giaccone di cui sopra, di imbattervi nella ragazza o nel ragazzo che popola i vostri sogni degli ultimi quattro mesi e di essere matematicamente certi che nel giro di cinque secondi i suoi occhi meravigliosi si sarebbero incrociati dritti dritti con i vostri? Succede che quei cinque secondi si dilatano come un’eternità, al ritmo montante del battito del cuore che aumenta in quantità inversamente proporzionale alla distanza, calante, fra voi due. E succede che i neuroni ancora in coma si accendono tutti e tutti insieme, come le luci di un albero di Natale appena attacchi la spina. E succede che i neuroni ormai in stato d’assedio si concentrano sulla risposta da fornire alla seguente, ineludibile, decisiva, angosciante domanda: “Che faccio?” A quattro secondi dall’impatto, vengono passate in rassegna le seguenti opzioni: 1) sfoderare sorriso smagliante, con esposizione simultanea del 100% del proprio apparato dentario: comunica buonumore, simpatia da vendere, da tipa che sa stare al mondo, sicura di sé; 2)fare gli occhi languidi, da persona dolcissima, modello zucchero e miele, tenero fuori e tenero dentro; 3) articolare espressione tenebrosa, dura, piena di mistero, di quelli che non devono mai chiedere il permesso a nessuno e se vogliono una cosa se la prendono e basta; 4) far finta di nulla, abbassare lo sguardo, proseguire dritto radente al muro e sperare in un temporaneo calo della vista di lui/lei o di un improvviso banco di nebbia. Sono tremendamente pochi quattro se- Nella bibbia si trova anche la famosa frase <<Chi trova un amico trova un tesoro>> (Sir.6,14) e poi: <<Un amico vuol bene sempre,è nato per essere fratello della sventura>>.(Pr 17,17). Prof. Ssa Maria Di Bella Antonello Palummo VE condi anche quando sembrano durare un’eternità. E infatti sono già diventati tre anche solo a fare il conto delle possibili maschere da metterci in faccia per sembrare quelli che, pensiamo, l’altro vorrebbe che fossimo. Per piacergli, e per piacerci un po’ di più, perché se tra battito del cuore e distanza dai meravigliosi occhi in questione c’è una proporzione inversa, la proporzione è direttissima con la nostra autostima: più si avvicina l’incontro degli sguardi e più questa finisce sotto i nostri piedi, anzi, prende una pala e scava perché arrivata per terra può sempre sotterrarsi. In due secondi (ne sono rimasti solo due) è difficile scegliere: i neuroni fumano dall’iperattività, ma l’ansia non trasforma mica in Einstein. Allora: dolci come la cioccolata? Simpatici come a Zelig? Belli e maledetti? Meno uno. Ci siamo. Zero. Forse non vi è capitata, nel gelo di febbraio, una storia così. O forse era giugno, alle quattro del pomeriggio. O forse non era l’amore, ma il nostro migliore amico. Chissà.. Di sicuro c’è da sperare una cosa: che qualunque fosse il mese, l’ora, la temperatura esterna ed il proprietario degli occhi, abbiamo scelto di mostrare la nostra faccia, di far brillare il nostro sguardo, di metter in gioco i nostri sentimenti. Perché di cioccolata ce n’è a tonnellate, i comici da Zelig sono centinaia, e i belli maledetti si sprecano: ma di tipi come noi, beh, quelli sono unici al mondo.. “ Marina & Giusy III A Liceo Classico “G. Colosimo” Arte Cos’era realmente Castel del Monte? Qual era la sua funzione e perché, se è davvero così importante, non vi sono fonti storiche che ne trattano? Non è assolutamente possibile rispondere con certezza a questi interrogativi, ma possiamo almeno esaminare delle ipotesi formulate nel tempo. Infatti, quella costruzione, che vista con un occhio poco attento può sembrare un semplice castello, in realtà nasconde molti significati. Sappiamo che fu costruito durante l’epoca Federiciana circa nel 1200 e che riflette tutti gli interessi e le conoscenze di Federico II di Svevia. Il castello, situato nei pressi di Andria in Puglia, sorge su un banco roccioso e presenta una caratteristica pianta ottagonale. Sugli otto spigoli si innestano otto torri con la stessa forma nelle cortine murarie per le quali si è utilizzata la pietra calcarea locale e nelle quali si aprono otto monofore al piano inferiore, mentre al piano superiore sono presenti sette bifore ed una sola trifora, rivolta verso la città di Andria. Poiché la pianta ottagonale rappresenta l’intersezione tra quadrato e cerchio, i quali simboleggiano rispettivamente la terra e il divino, molti pensano che Castel del Monte fosse stato un tempio sacro per i riti di iniziazione. Una particolarità, infatti, che si può facilmente osservare è che varcando il portale fastosamente decorato, per entrare poi nel cortile, l’iniziando si trova dinnanzi ad altri due portali altrettanto decorati. Ma se varca la soglia e si volge indietro, vedrà che quel portale appena attraversato è disadorno, quasi che tutto quello che l’iniziando ha davanti a sé rappresenta il bello e quindi la spiritualità, mentre ciò che abbandona è spoglio come lo è la profanità materiale. Nel castello è inoltre visibile la presenza del numero aureo o divina proporzione di 1,618 che ricordiamo essere l’unico numero presente in natura, anche nell’uomo. Nel portale, stesso, ad esempio, si può sovrapporre una stella a 5 punte che va a definire un pentagono, che determina le proporzioni della costruzione. Considerando, ad esempio, i segmenti della stella venutisi a formare e dividendoli per il numero aureo, otterremo le indicazioni delle varie altezze in cui si collocano le cornici del portale ed i capitelli delle lesene. Allo stesso tempo la stella a 5 punte può essere considerata una trasposizione in geometria del rapporto armonico che è nell’uomo. Questo è ciò che pensò Agrippa di Nettesheim disegnando l’uomo-microcosmo. Il portale, quindi, in chiave esoterica rappresenta l’uomo. È proprio l’esoterismo una caratteristica principale del castello che nasconde molti significati di cui solo pochi iniziati, un tempo, potevano venirne a conoscenza. Ma come nel portale tutto fu costruito secondo parametri matematici, questo avvenne anche all’interno del castello. Ciò ha fatto sollevare l’ipotesi sulla funzionalità Il libro di pietra del castello stesso ad osservatorio astronomico. Secondo alcune fonti, ad esempio, la notte del solstizio d’estate, al centro del cortile interno, si vede esattamente la stella Vega che fu la stella polare tredicimila anni fa e lo sarà nuovamente fra altrettanto tempo. Come la piramide di Cheope, nella valle di Giza, orientata esattamente con i quattro punti cardinali, il Partenone ad Atene con la facciata rivolta verso il sorgere del sole, durante le feste Panatenaiche in onore di Minerva, o il complesso megalitico di Stonehenge, in Inghilterra, orientato verso il sorgere del sole al solstizio d’estate, così in Castel del Monte ritroviamo un numero rilevante di accorgimenti simbolici riguardo l’astronomia, la matematica, la geografia e la geometria. In tutto il castello ritroviamo solo sedici sale, otto per ciascun piano, che hanno forma trapezoidale e sono state coperte con un’ingegnosa soluzione. Lo spazio è ripartito in una campata centrale quadrata coperta a crociera costolonata con semicolonne in breccia corallina al pianterreno e pilastri trilobati di marmo a quello superiore, mentre i restanti spazi triangolari sono coperti da volte a botte ogivali. È possibile notare come vi sia un misto di stile romanico e gotico e constatare quanto Federico II fosse un amante dell’arte e andasse alla ricerca delle novità, poiché il gotico per quei tempi era considerato tale. In tutte le stanze le chiavi di volta delle crociere sono diverse fra loro, decorate da elementi antropomorfi, zoomorfi e fitomorfi. Fra gli elementi antropomorfi ritroviamo anche la figura di un cavaliere che sembra raffigurare il Bafometto, simbolo legato ai templari, monaci-cavalieri, dediti anche alle discipline esoteriche. Il collegamento fra i due piani del castello avviene attraverso tre scale a chiocciola inserite in altrettante torri. Tutte le scale sono comunicanti tra loro, hanno due porte, una per entrare e l’altra per uscire, ma vi sono due sale che costringono il visitatore a tornare indietro. Guar- Impressioni dalla luce “Cos’è disegnare? Come ci si arriva? È l’atto di aprirsi un passaggio attraverso un muro di ferro invisibile che sembra trovarsi tra ciò che si sente e che si può” (Vincent van Gogh). L’arte sembra essere una figlia bistrattata da diverse madri, da mille mani che ne fanno ciò che meglio credono. Ogni artista colora, distrugge, ridisegna e costruisce un mondo che mai corrisponde alla realtà oggettiva, ma sempre a ciò che con arroganza pensa che essa sia. Gli impressionisti, nati in Francia nella seconda metà dell’Ottocento hanno rivoluzionato il modo di fare arte. Anticonformisti, si sono sradicati dalla cultura classica tradizionale eliminando dal dipinto ciò che da sempre nell’arte è stato il principio primo di ogni rappresentazione, il soggetto, ma rendendo protagonista la luce raffigurata al meglio nella pittura paesaggistica. Gli impressionisti infatti prediligevano dipingere “en plein air”, all’aria aperta, per poter catturare la luce e la sua capacità di posarsi sugli oggetti e renderli vivi. Come avevano fatto a non pensarci prima? È la luce che ci permette di percepire e distinguere ogni cosa, è la luce la protagonista di ogni visione! Monet ha espresso perfettamente questo concetto nel suo dipinto “Impressione, sole nascente”. La “materia prima”, il pensiero rivoluzionario di Monet come di tutti gli altri Impressionisti (Manet, Renoir, Degas) è stato poi ripreso da Vincent Van Gogh, post-impressionista, uomo stravagante, sensibile e talora paurosamente originale nel realizzare e spiegare, come fa nelle lettere che invia a suo fratello Theo, le sue opere d’arte. Van Gogh si dedicò alla luce in relazione all’uomo: volle rappresentare la dignità umana di chi vive del suo lavoro come in “I mangiatori di patate”. L’uomo dei girasoli ha, inoltre, spiegato come l’arte non fosse altro che la rappresentazione della coscienza dell’artista (sempre utilizzando la luce come soggetto). Nonostante l’artista non godesse più del prestigio posseduto in passato, poteva, forse proprio per questo isolamento dalla società, aiutare l’uomo ad andare oltre il banale e raggiungere la vera esistenza e il bello. Tutto ciò è evidente negli autoritratti dell’artista olandese in cui si nota un crescendo della sua coscienza che lo fa piombare 19 da caso queste due sale guardano verso i punti dell’orizzonte in cui sorge il sole ai solstizi d’inverno e d’estate, nei giorni, quindi, in cui l’astro arresta la sua corsa e torna indietro. A questo punto bisogna, però, chiedersi perché si escludono le eventuali funzioni residenziale o militare del castello, che, nonostante siano meno misteriose e intriganti, sono senza dubbio le più probabili per un castello. Dobbiamo, anzitutto, mettere in evidenza che nel castello sono presenti solo cinque camini, che non è riscontrabile la presenza in passato di cucine o di camere patronali e che non vi sono differenze strutturali nelle sale. Quindi, a causa di tutto ciò, è inimmaginabile pensare che una famiglia nobile abbia potuto vivere in un luogo del genere. Insieme ai cinque camini sono presenti anche cinque cisterne, che, nella loro proiezione su un unico piano, non a caso, disegnano una stella a cinque punte. Perché, tuttavia, escludere che il castello sia stato una fortezza militare? Già dall’esterno si nota la mancanza di un fossato e la presenza di feritoie troppo strette per lanciare le frecce. Mentre, un altro elemento, visibile solo all’interno e non meno importante degli altri, è da ascrivere alle scale a chiocciola che, invece di girare verso destra, come avviene solitamente nei castelli destinati alla difesa, per impedire ai nemici di brandire la spada, girano verso sinistra. Se il castello non poteva essere una residenza permanente, avrebbe potuto essere una residenza estiva o meglio ancora un rifugio di caccia. Si pensa anche che esso sia stato una vera e propria scuola per falconieri. Una delle torri, infatti, possiede l’unica scala praticabile fino al terrazzo senza interruzione: la sua funzione “di servizio” è suggerita tanto dall’essere accessibile dalla quinta sala, quanto dalla singolarità del fatto che, all’altezza del piano superiore, oltre al passaggio diretto verso la quinta sala, esista un altro passaggio, spostato verso sinistra, che permette di proseguire fino al terrazzo, utilizzato appunto dai falconieri, senza passare per la sala. Nonostante ciò non possiamo dare per certa neanche questa ipotesi. Grandissimo interesse riveste anche il corredo scultoreo che è stato in gran parte depauperato e che, forse, avrebbe potuto tramandarci qualcosa in più sulla funzione del castello. Numerose sono, quindi, le ipotesi formulate nel tempo dagli storici sulla funzione di Castel del Monte e numerose sono le caratteristiche che confermano alcune ipotesi piuttosto che altre, ma nessuna che possa rivelarci davvero la verità. Non sappiamo e forse non sapremo mai cosa ci nasconde Castel del Monte. Un luogo che racchiude gran parte delle conoscenze dell’uomo e che da molto tempo stupisce con il suo alone misterioso chi lo visita. Alessandra Piluso, Ilaria Marino Classe III C in un profondo sconforto e lo porta infine al suicidio. Nell’autoritratto del 1887 si ritrae contornato da un’aureola divina, che lo eleva dal resto della società e che, insieme agli occhi assenti, è il simbolo della capacità dell’artista, in questo caso dello stesso Vincent, di trascendere e librarsi aldilà della corruzione del sistema. Anche nell’autoritratto dedicato a Gauguin, la critica nei confronti della stessa società è sottolineata anche dall’assenza della cravatta e dalla testa rasata, simbolo di essenzialità monacale. La luce, in entrambi i dipinti, tratteggia lo spazio in cui è immerso Van Gogh, dà profondità, ma allo stesso tempo aspazialità, inserendo l’artista in una sorta di mondo assente, nella realtà di chi fa arte, di chi è arte! Nell’ultimo autoritratto, realizzato prima di morire, si scorge ormai un Vincent stanco, disilluso ed infelice, privo dell’aureola simbolo di saggezza che invece superbamente caratterizzava i precedenti dipinti. La luce ha il suo corso, anche nell’amarezza, nella pazzia che spinge poi i “matti”, coloro che sono in grado di capire la realtà proprio perché non la prendono sul serio nella sua staticità, ma la rappresentano come loro stessi la vedono, a togliersi la vita. La luce è il principio, il sole nascente, è la notte stellata, la sera dell’anima! Alessandra Spezzano V D Arte LA CITTA’-MARTIRE 20 Le dominazioni bizantine, musulmane, longobarde e normanne nell’Italia meridionale determinarono il carattere composito di un’architettura in cui si associano, con felice ibridismo, motivi settentrionali e orientali. L’influenza longobarda si fa maggiormente sentire lungo la costa pugliese, innestandosi su una cultura fondamentalmente bizantina. Oltre alle innumerevoli cattedrali e chiese d’epoca romanica che caratterizzano il basso murgese, spicca, fra la pomposità del barocco da Padova. Nella navata destra, in sette grandi armadi a muro presenti nell’abside, si conservano le ossa dei beati Martiri di Otranto. Sono i resti di ottocento e più cittadini sgozzati dai Turchi sul Colle di Minerva il 14 agosto 1480, per non aver voluto rinnegare la fede cristiana. Otranto, per questo evento glorioso, è chiamata anche la ‘Città-martire’. Grande rilievo va espresso per il mosaico pavimentale che ricopre l’intero piano della cattedrale. In tessere policrome di calcare locale salentino, la cattedrale di Otranto. Edificata sui resti di una domus romana, di un villaggio messapico e di un tempio paleocristiano, fu fondata nel 1068 dal vescovo normanno Guglielmo e consacrata al culto il 1º agosto 1088 durante il papato di Urbano II. È dedicata alla Vergine Annunziata e misura 54 m di lunghezza e 25 m di larghezza. Costruita su 42 colonne monolitiche e tutte di riporto, diverse per qualità del granito e del marmo, per stile e tempo di produzione di cui si ignora la provenienza. Composta da 23 semicolonne che formano 45 campate quadrate più tre dell’abside centrale suddivise in 5 filari per 9. Alcune delle colonne sono lisce ed altre ricoperte da scanalature e, grazie ad una disposizione sapiente, creano l’effetto di grande omogeneità e non di confusione. Sulla facciata a doppio spiovente spicca un portale barocco del 1764 e un rosone rinascimentale a 16 raggi con fini trafori gotici di forma circolare e con transenne convergenti al centro secondo l’arte gotico-araba della fine del XV secolo. Il soffitto della navata centrale è formata a cassettoni in legno dorato e risale al 1698, mentre il paliotto dell’altare maggiore, in argento, è opera di oreficeria napoletana del ‘700. Alcuni affreschi parietali situati all’interno del tempio e nella cripta evidenziano tracce bizantine. Lungo le navate laterali sono visibili sei altari dedicati alla Resurrezione di Gesù, a San Domenico di Guzman, alla Madonna Assunta, alla Pentecoste, alla Visitazione della Beata Vergine Maria e a Sant’Antonio durissimo, è stato eseguito tra il 1163 e il 1166 da un gruppo di artisti capeggiati da un monaco basiliano di nome Pantaleone, probabilmente del Monastero di San Nicola di Casole, su commissione dell’arcivescovo Gionata, il cui nome è situato in corrispondenza dell’entrata principale della cattedrale, nella parte inferiore del mosaico. Formato da tessere policrome in calcare locale, si estende per oltre 16 metri, coprendo interamente il pavimento della cattedrale. Questa vera e propria opera d’arte, unica nel Mezzogiorno, resistette all’invasione turca del 1480; si dispiega lungo tutta la navata centrale, sul presbiterio, l’abside e i bracci del transetto, e vi è raffigurato l’immagina- rio medievale, con ricchezza espressiva e secondo un senso di horror che non risente dell’irregolarità dei tasselli né dell’assenza di plasticità. Fu pensato come un immenso tappeto da preghiera e come rappresentazione del felice connubio tra tradizione culturale orientale e occidentale. Il primo dilemma cui ci si trova di fronte è dovuto alla totale assenza di riferimenti neotestamentari e la cosa è, a dir poco, inusuale per una chiesa cristiana. Le raffigurazioni sono, per lo più, tratte dall’antico testamento, ma svariati simboli e immagini appaiono, ad una prima analisi superficiale, totalmente fuori contesto. Nella navata centrale è raffigurato un maestoso albero che parte dalla porta e giunge quasi fin sotto al presbiterio intorno alla quale si sviluppano figure umane e di animali. Prima si pensava che questo simbolo rappresentasse l’Albero della Vita, per le dimensioni e la centralità nell’opera, ma non vi è certezza di questa interpretazione. Tra i rami dell’ albero del Bene e del Male si svolgono varie scene: le vicende di Adamo ed Eva, le raffigurazioni dei dodici mesi dell’anno rappresentati con i relativi segni zodiacali, le vicende di Caino e di Abele e anche scene bibliche e mitologiche come la leggenda di re Artù e l’Inferno e il Paradiso. Partendo dall’abside è raffigurata l’immagine di Bisanzio “capitale” dell’Oriente. Dopo si giunge ai tondi che racchiudono gli animali fantastici del Bestiario. Proseguendo in quella direzione si incontra l’immagine di Re Artù che cavalca un caprone, e il gatto di Losanna, accanto a Caino e Abele: Caino tiene un bastone e lo colpisce, Abele è piegato dal dolore. Proseguendo si giunge alla raffigurazione dei tondi con i dodici mesi dell’anno. Ogni mese ha una cornice ornata di segni geometrici e cifre arabe all’interno della quale appaiono gli uomini intenti nelle fatiche stagionali. Il mosaico prosegue con la preparazione dell’arca di Noè e il diluvio. Poi gli uomini che sono inghiottiti dai pesci. Ma dopo il diluvio, ecco il ramoscello di olivo, ovvero, il ritorno della pace. Il mosaico è spesso interrotto da iscrizioni latine, che permettono di passare da una scena all’altra e da cui si desumono le uniche notizie sul monaco Pantaleone. Tale mosaico era, forse, rivolto a coloro che conoscevano bene il Phisiologus, il Bestiario Latino e persino i Vangeli Apocrifi. Seguendo un percorso figurato verso la salvezza ci si trova davanti ad un albero, il cui tronco è lunghissimo e attraversa tutta la chiesa. Il percorso del tronco è il cammino dei fedeli che qui imparavano a raggiungere la redenzione, tra gli episodi dell’Antico Testamento, dei Vangeli, del Romanzo di Alessandro e del ciclo di Re Artù. Questo mosaico è una sorta di storia dell’umanità fitta di episodi, staccati l’uno dall’altro, ma ben riconoscibili dai fedeli. Il mosaico inizia con il cosiddetto peccato d’orgoglio. Infatti, si vede subito la Torre di Babele e Alessandro il Grande, seduto tra due grifoni, colpevoli di aver osato troppo. L’iconografia del pavimento presenta, una commistione di temi religiosi, prevalentemente tratti dalle Sacre Scritture e scene mitologiche e di vita quotidiana. Sono presenti varie interpretazioni, più o meno fantasiose, sul significato recondito del mosaico della Cattedrale di Otranto, quali quella cabalistica o il riferimento ad un’antica leggenda che lega l’interpretazione alla scoperta del Graal. Il mosaico è considerato un’enciclopedia medievale e uno dei più misteriosi monumenti del nostro patrimonio storicoartistico, poiché decifrarlo è, da sempre, un intricato enigma privo di soluzioni. Chiara De Fabrizio III C Racconti E Poesie 21 Nella mia mente ristagna un pensiero Nella mia mente ristagna un pensiero. Ricordi, momenti di vita vissuta. Non distinguo il falso dal vero, precipito nel silenzio di una stanza muta. Scorgo all’improvviso un piccolo sentiero. La muraglia di nebbia nella mia mente è caduta, sono piccole cose che ti rendono fiero. Spariscono i dubbi, dimentico il tempo in cui ti ho avuta. Ritorno me stesso, con il tempo lo accetto. Scompare il triste e arriva il sorriso. Ritorna la voglia di iniziare a sognare. Scompare l’affanno dal mio stanco petto. Ritorna la gioia sul mio spento viso. Scompare la paura di provare ad amare. Alessio Sposato Classe IV A Il sole dentro me Sento che cresco… Emozioni forti, risate pazze, sbalzi d’umore Fanno parte della mia vita… E’ questa l’adolescenza, la gioia di sentirsi liberi e, allo stesso tempo, prigionieri di un mondo tutto nostro, un mondo che mentre ci sorride, ci strappa anche una lacrima.. Nessuno si accorge di cosa succede, avviene tutto dentro me… E’ una guerra, una lotta continua contro un qualcosa di misterioso, come quella del sole nelle giornate primaverili che lotta per uscire da dietro le nuvole, ma non ce la fa! Perché solo quando arriverà l’estate, potrà brillare liberamente. Chiara Fusaro VB Liceo Classico “G. Colosimo” Con le foglie tra i ricordi Come si strappano facilmente i ricordi, con che semplicità si ramificano nell’anima, mettono lì radice, e non se ne vanno più. Per questo non ti si dimentica. Ma se i ricordi son foglie, beh, l’autunno è alle porte, allora vento, spazzali via. Di te non rimarrà più traccia. Giusy Olivieri VB Liceo Classico “G. Colosimo” Il vento Perché tu, oh tu, sei come il vento che fa cadere tutti i fiori di un ciliegio. Non vedi come spogli senza pietà quell’albero? Non senti le urla dei petali al suolo? Le grida delle foglie? Sei lo stesso vento che mi scompiglia i capelli. Mi arruffi tutti i pensieri. Placa la tua rabbia, vento. Non vedi che quel ciliegio, devastato dalla tua forza, muore per te? E nonostante tutto, rifiorirà ancora. Ma tu, spietato, porterai via, ancora una volta, i frutti della sua felicità. Giusy Olivieri VB Liceo Classico “G. Colosimo” Il vento del perdono Adesso voglio raccontarvi una storia. Sì, proprio così: non è certo un trattato di scienze, un libro di matematica o un articolo di giornale: è un racconto che dedico a voi adulti, col semplice scopo di farvi tornare a pensare - sì, anche solo per qualche attimo - come un bambino. Una storia semplice ma complessa, bella ma toccante; una storia che parla di due fratelli, due bambini che si amavano con tutto il cuore, che non facevano altro che ridere e scherzare e condividere la propria gioia insieme. Vivevano nella più assoluta spensieratezza, senza preoccupazioni o problemi... come del resto ogni bambino. Eh sì, perché i bambini sono innocenti e non possono avere qualcosa di davvero preoccupante nella testa. Loro non lavorano, loro non sanno cosa sia la passione, loro non capiscono cosa sia il peccato. Indifesi, deboli, fragili, piccoli... No. I bambini non sono spensierati. Loro soffrono, proprio come noi adulti, o forse addirittura più di noi: perché per loro la cosa più banale può diventare un inferno, un qualcosa di insopportabile. E dietro i loro sguardi felici alle volte può nascondersi il più triste dei dolori. Questi due fratelli vennero però separati da un triste evento, una di quelle spiacevoli situazioni di cui si sente tanto parlare nei film: un avvenimento reale ma allo stesso tempo inaccettabile. E Sho, che era nato solo due anni prima del suo fratellino Amir, non aveva certo preso bene questa separazione. Era da giorni che quasi non apriva più bocca, se non per lo stretto necessario; erano giorni che ingoiava qualche pezzo di pane e poi diceva che era già pieno; ma soprattutto erano giorni che aveva smesso di sorridere, privando i suoi genitori di quel suo sguardo luminoso, di quei suoi occhi brillanti che lo avevano da sempre caratterizzato. E poi gli piaceva tanto guardare le stelle. Anche se fuori il vento soffiava, anche se fuori fosse piovuto fuoco o se per una qualche assurda magia andare fuori all’aria aperta lo avesse ucciso, lui non avrebbe rinunciato alla sua uscita notturna. In primo luogo perché gli piaceva contare quei puntini luminosi nel cielo, e stare a contatto con la natura, ma il motivo principale era perché solo lì poteva parlare con suo fratello. Dopo aver richiuso delicatamente la porta alle sue spalle, Sho avanzò in punta di piedi per un sentiero erboso e poi si lasciò cadere a terra, disteso. Rimase immobile per pochi istanti e chiuse gli occhi, assaporando la leggera brezza notturna che gli accarezzava la pelle. Poi iniziò a parlare. «Amir» sussurrò. «Amir... lo so che ci sei. Non è forse così?». Il vento soffiò più forte, scompigliando i capelli di Sho. Sembrò aumentare d’intensità, sempre più, finché non iniziò persino a fischiare. «Ecco, lo vedi» proseguì Sho con gli occhi chiusi, mentre una specie di sorriso sembrava delinearsi sul suo volto, «vedi, lo so che ci sei. E so che vuoi tornare. Vero?» Non ci fu risposta. Stavolta il vento se ne stette in silenzio. Non un filo d’erba si muoveva, e l’attesa si fece angosciante. «Amir... tu vuoi tornare, vero?» ripeté il bambino. Aspettò per poco ancora, ma poi stanco, e con voce rotta, continuò: «È solo colpa mia, Amir, è solo colpa mia! Scusami, ti prego, scusami!». Due grosse lacrime rigarono il volto del bambino. «Ho capito che ho sbagliato, ma adesso perché non ritorni? È un dispetto? O vivere lì è meglio?». E anche stavolta nessun suono si poteva udire nell’aria, niente che spezzasse la tranquillità che regnava nell’ambiente. Assolutamente nulla turbava la quiete della notte, una notte di stelle, una notte di dolore e vento. Poi, però, ecco levarsi un singhiozzare sommerso, un qualcosa di terribilmente spaventoso, quasi come una tortura di fronte alla quale un assassino si troverebbe inevitabilmente costretto a confessare. «Scusami, Amir, scusami! Io non dovevo darti il permesso di scendere giù a giocare e lasciarti solo. Io... io adesso farò quello che vuoi per farmi perdonare. Ma non ho più un compagno di giochi, e ho bisogno di te... Tutta colpa di quell’omone cattivo! È tutta colpa sua se ora tu sei una stella!». Sho sospirò pesantamente e, dopo essersi asciugato le lacrime, affondò il volto nell’erba riprendendo a piangere. «Dimmi almeno se ti trovi bene adesso... dimmi se ti manco. Fammelo capire in qualche modo... per favore. Ho bisogno di te. Giocare a palla con il muro non è divertente come farlo con te. Tornerai, vero?». E il vento tacque. Andrea Forciniti II D 22 GIOCHI Giochi matematici a cura del prof. Cosimo Agostino Sosto 1) UN’EQUAZIONE IN NUMERI ROMANI La seguente equazione non è verificata: Cosa bisogna fare per far sì che, spostando un solo fiammifero, tale equazione risulti verificata? 2) UN PRODOTTO MOLTO LUNGO….. Qual è il valore del seguente prodotto (x-a)(x-b)…..(x-y)(x-z) = ? Attenzione il prodotto è composto in totale da 26 parentesi e a, b, … z sono dei numeri qualsiasi reali. 3) PEDALARE IN BICICLETTA LA DOMENICA (ma senza fretta però) Cosimo e Giacomo vogliono confrontare le loro velocità in bicicletta, ma hanno a disposizione un solo veicolo. Decidono quindi di misurarsi uno dopo l’altro su una strada pianeggiante, dotata di cippi chilometrici. Cosimo pedala dal chilometro 1 al chilometro 12; Giacomo è sul portabagagli per cronometrare. Poi dal chilometro 12 al chilometro 24 Giacomo pedala e Cosimo passa sul portabagagli per cronometrare. Cosimo stravince. Avreste forse potuto prevedere il risultato? E se sì, perché? 4) QUESTI MILIARDARI!! Un miliardario possiede una collezione di diverse automobili. Quanti veicoli possiede in totale, considerando che tutte, tranne due, sono rosse, che tutte tranne due sono nere, e che tutte, tranne due, sono bianche? 5) PERCHE’ A SCUOLA NON SI GIOCA A TENNIS? Viene organizzato un torneo di tennis fra n giocatori. Il principio è quello dell’eliminazione diretta: se un giocatore perde un incontro non può partecipare ad altre partite. Qual è il numero di partite giocate – compresa la finale – in funzione del numero dei giocatori? Le soluzioni verranno pubblicate sul sito della scuola www.liceicorigliano.it dopo le vacanze di Natale. Spor t 23 La pallavolo, uno sport che insegna a fare squadra La pallavolo fu inventata in America e, in poco tempo, si diffuse in tutto il mondo. Questo sport ebbe un gran successo anche in Italia agli inizi degli anni ‘80. Da allora, nel nostro Paese, questo è diventato uno sport popolare ed è anche il secondo gioco più praticato dopo il calcio. A Corigliano la pallavolo si è diffusa grazie alla Volley Corigliano con la promozione in A1. Per la popolazione locale è stato un orgoglio avere una propria squadra alle vette della classifica, infatti erano molti coloro che andavano la domenica allo stadio per sostenere la squadra. Dopo il periodo di prosperità sportiva, la Volley è retrocessa in B1. Ciò non ha fortunatamente intaccato il fermento sportivo che continua a crescere, riempiendo gli spalti dei tifosi coriglianesi. La pallavolo è lo sport che mi piace di più e che pratico. Nasce come una passione recente, infatti ho iniziato a giocare a pallavolo in seconda media. Mi piace perché, innanzitutto, è un gioco di squadra in cui la cosa più importante è essere uniti, poiché solo uniti si può arrivare alla vittoria. La pallavolo non è solo un divertimento, in quanto richiede tanto impegno e un costante allenamento, ma è anche un modo per insegnare ai ragazzi ad affrontare le difficoltà senza mai stancarsi. Federica Marino I A L’espressione della nostra vita: la danza Tutti noi abbiamo passioni che inseguiamo da molto tempo e che nascono in modo diverso. Per ciascuno è indispensabile avere una passione da seguire e adesso vi parleremo della nostra, la danza. Abbiamo iniziato a praticarla quando eravamo molto piccole e dobbiamo ammettere che, all’inizio, per noi non era così importante, era solo un passatempo. Nel corso degli anni, iniziando a vedere degli spettacoli di danza (ad esempio: Giselle, il Lago dei cigni, lo Schiaccianoci, la Bayadere, Don Chisciotte, Romeo e Giulietta e molti altri), tendevamo ad immedesimarci nelle emozioni delle protagoniste, immaginando di ballare al loro posto. Ma ci siamo rese conto che non è così semplice come sembra, perché dietro a un bellissimo spettacolo c’è molto lavoro, ma la voglia di ballare ci spinge a seguire ogni minima regola per arrivare alla perfezione. Durante l’adolescenza, quando si accumula molto stress e si sente il peso del mondo sulle proprie spalle, si inizia a cercare uno sfogo ballando, e capisci che non puoi smettere più quando il corpo e la mente trovano l’armonia giusta, quando si crea un’alchimia tra se stessi e la danza, e si diventa liberi, liberi da tutto e tutti. In base a come si balla è semplice capire il proprio stato d’animo e anche gli altri capiranno, osservandoci, come siamo fatte veramente. Verso la fine dell’anno accademico arriva il momento di mostrarci al pubblico: lo spettacolo. Il palco, il camerino, quei vestiti, a dir poco stupendi, fanno dimenticare tutta la fatica accumulata, e diventa tutto fantastico! Infine, solo dopo molto allenamento, arriva ciò che compensa i nostri sforzi e mostra se siamo all’altezza delle nostre aspettative, ossia l’esame. Durante l’esame vengono dei ballerini professionisti per esaminarci e vedere se siamo adatte a passare al grado successivo ed è una gioia immensa riuscire ad arrivarci con un buon giudizio. Noi amiamo quest’arte non solo perché è una delle più espressive, che coinvolge direttamente, ma anche perché grazie ad essa si possono creare dei legami speciali come, ad esempio, la nostra amicizia, infatti è grazie alla danza che noi siamo diventate amiche! Questa è la nostra passione, la rappresentazione fondamentale della nostra vita. Ada Bruno Lorena Martilotti IA 24 Le nostre foto I A Liceo Scientifico I B Liceo Scientifico I C Liceo Scientifico I D Liceo Scientifico I A Liceo Classico I B Liceo Classico DALLA MEDIA ALLE SUPERIORI Il passaggio dalla scuola media a quella superiore è, per la maggior parte degli adolescenti, assai “traumatico”. La scuola superiore si differenzia dalle altre proprio per il diverso metodo di studio, molto più complesso e impegnativo. Molti ragazzi, infatti, credono che la scuola superiore, in questo caso il Liceo, sia altrettanto facile come le scuole medie. Per questi motivi gli allievi, spesso, sottovalutano il nuovo percorso di studi con il rischio di essere rimandati o addirittura bocciati. Le scuole medie servono per crescere e per apprendere metodi nuovi, così anche le superiori, che hanno un ruolo fondamentale: quello di avviarci ad un futuro migliore. Infatti il Liceo, come tutte le altre scuole superiori, fornisce gli strumenti per affrontare l’Università e approfondire meglio gli studi, gli interessi, così da permetterci poi di entrare nel mondo del lavoro. Quindi, noi ragazzi, dobbiamo saper capire l’importanza della scuola senza prenderla alla leggera, ma sul serio. Dobbiamo anche capire che la scuola è importante per noi stessi, per migliorare le nostre conoscenze, per sviluppare le nostre capacità, per farci diventare cittadini consapevoli, dotati di spirito critico e di autonomia di pensiero. La scuola è diventata come una seconda casa, dove si trascorre molto tempo, in compagnia di altri ragazzi. Gli studi delle scuole superiori sono assai più impegnativi, allenano il nostro cervello e lo preparano alle nuove sfide. Non bisogna sottovalutare la scuola dal momento che grazie ad essa un giorno diventeremo e ci sentiremo in pieno cittadini del mondo e capiremo quant’è stata importante. Arturo Sarli IB Giada Grispo I B DIRETTORE: Pietro Antonio Maradei RESPONSABILE: Giacomo Gilio Hanno collaborato a questo numero i docenti: Diamante Bruno, Emanuela Cairo, Maria Di Bella, Cosimo Esposito, Giuseppe Godino, Maria T. Sangregorio, Cosimo A. Sosto, Angelo Tocci, Eufemia Trisolini, Mario Vicino Buone Vacanze Tip. TECNOSTAMPA Largo Deledda - Corigliano Scalo (Cs) I C Liceo Classico Liceo Scientifico “F. Bruno” Liceo Classico “G. Colosimo” C.da Torrelunga - Tel. 098381110 - Corigliano Calabro www.liceicorigliano.it REDAZIONE ALUNNI: Isabella Castagna, Alessandro Ceniti, Francesco Curia, Ariella Fonsi, Luciana Franzeze, Angela Gencarelli, Piera Nicoletti, Antonello Palummo, Simona Palummo, Maria R. Petrone, Irene Romano, Paolo Sassone, Alessandra Spezzano,