OccupaziOne del liceO

Transcript

OccupaziOne del liceO
1
Anno 5 - N. 3 - Dicembre 2010
PERIODICO DI INFORMAZIONE - CULTURA - SPORT - AUTTUALITA’ - GIOCHI
Liceo Scientifico “F. Bruno” - Liceo Classico “G. Colosimo” - Corigliano Calabro - www.liceicorigliano.it
Un obiettivo comune
Occupazione del Liceo
Contro la riforma e per il diritto all’istruzione pubblica
Prima che questa mia esperienza avesse formalmente inizio, il mio primissimo impatto con
questa istituzione scolastica è stato proprio con
questo giornale scolastico, che mi è stato gentilmente offerto in visione. Questo mio approccio
è stato decisamente positivo. Sfogliando le sue
pagine, mi sono subito reso conto che presto mi
sarei trovato di fronte ad una di quelle realtà che
rendono produttivo il lavoro scolastico e gratificante il ruolo di dirigente.
Dalla lettura degli articoli prodotti dagli
alunni si poteva intuire uno spessore culturale
adeguato alla loro età, una grande ricchezza di
contenuti, proprietà grammaticali, discorsive e
lessicali di ottimo livello. Dal che si poteva facilmente evincere la validità del lavoro svolto
dai docenti e, in particolare, dal coordinatore
del giornale, il prof. Giacomo Gilio.
Mi sono bastate, poi, poche settimane per
consolidare queste mie iniziali impressioni e
per capire in maniera definitiva ed inequivocabile che mi trovavo di fronte ad una istituzione
scolastica con studenti preparati e motivati, docenti con elevatissime qualità culturali, professionali ed umane, un apparato amministrativo
efficiente e produttivo: gli ingredienti necessari
ad una scuola per poter rispondere adeguatamente alle esigenze dell’utenza, per conseguire
gli obiettivi pedagogici e didattici prefissati, per
formare alunni in grado di inserirsi autorevolmente all’interno dei loro vari contesti esperienziali, di saper gestire le complesse dinamiche
della realtà contemporanea e di poter acquisire
solide basi per la continuazione dei loro studi e
dei loro percorsi di vita.
Un pensiero e un ringraziamento, perciò, al
(continua a pag. 2)
Anche noi studenti del liceo scientifico “Fortunato Bruno” abbiamo partecipato alla protesta
(una vera e propria marea montante in tutta Italia)
contro la cosiddetta “Riforma Gelmini”, occupando la nostra scuola; dico “nostra” perché la scuola
non è solo una proprietà dello Stato, ma anche una
proprietà pubblica,
nostra appunto come
“nostro” (di “tutti”
gli studenti) è il diritto all’ istruzione, che
questa riforma vuole
toglierci.
Questa
ingiusta
“riforma”,
infatti,
rende operativi alcuni nefasti cambiamenti nel mondo
della scuola: tagli di
circa 8,3 miliardi di
euro
all’istruzione
pubblica e conseguenti tagli di decine
e decine di migliaia di docenti di ogni ordine e
grado; riduzione del personale ATA; drastica diminuzione dei viaggi d’istruzione; ritorno dei
voti, compreso quello in condotta, anziché dei
(continua a pag. 11)
SIAMO ANCORA UNO STIVALE UNITO DOPO 150 ANNI?
Nel 1861 la nostra Italia si unificava sotto
un’unica bandiera, quella del regno sabaudo.
Oggi, nel 2010, compie 150 anni: un secolo e
mezzo durante il quale è cresciuta, si è evoluta, grazie al contributo di uomini coraggiosi che
hanno dato la vita per ciò che l’Italia è oggi.
Un contributo rilevante di vite umane l’ha dato
il meridione, nelle varie guerre per rendere più
unita l’Italia.
Ma com’è oggi l’Italia? Può essa vantarsi di
essere uno stivale compatto? Da tutto ciò che
ascoltiamo ogni giorno, non credo che ne pos(continua a pag. 3)
Esclusivo: intervista a Michele Placido
Ricordate la bionda Chloe Sullivan del telefilm americano ‘Smallville’? Amava il giornalismo tanto da riuscire a entrare nella redazione
del famoso ‘Daily Planet’. Un grande riconosci-
mento per le capacità giornalistiche del personaggio interpretato da Allison Mack. Beh, sabato
27 novembre, dietro le quinte del Cinema Teatro
Metropol, ci sentivamo un po’ come lei. Attendevamo, infatti, che Michele Placido in persona ci
ricevesse e scrivevamo, nel frattempo, delle domande da porgli. Si prova una strana sensazione
ad attendere. Solo qualche tempo fa Papa Benedetto XVI diceva che tutta la nostra vita è un’attesa. L’attesa continua di qualcosa o di qualcuno.
Quella mattina noi aspettavamo, imbarazzate ed
adrenaliniche, il primo personaggio ‘importante’
della nostra vita da intervistare. Nelle mani stringevamo biro, foglietti di carta (strappati al volo
dal quaderno di biologia che avevamo fortunatamente portato con noi allo spettacolo teatrale
tenuto da Placido), fotocamere e cellulari pronti
a fermare quegli ‘storici’ momenti. Poi, eccolo
comparire, promettere di tornare di lì a poco e
(continua a pag. 3)
2
DALLA PRIMA PAGINA
Un obiettivo comune
Dirigente scolastico che mi ha preceduto e che mi
ha lasciato una realtà scolastica di tale tenore e che
è stato il promotore, anche, di questa iniziativa editoriale.
Sulla scorta di queste riflessioni è stato, dunque,
estremamente facile per me voler perpetuare questa
esperienza che ha dato frutti positivi nel passato e
che sicuramente continuerà a darne nel futuro. Anzi,
ho proposto di incentivarla ulteriormente promuovendo anche la redazione e la pubblicazione di una
rivista, annuale o periodica, aperta anche a contributi esterni alla scuola e che potrebbe avere un’impostazione monotematica.
“L’aquilone” vuole essere una palestra di idee e
di confronto dialettico!
Per quanto riguarda l’impostazione di questo numero abbiamo ritenuto opportuno - io, i docenti, ma
soprattutto gli studenti - dedicarlo in buona parte ad
un’esperienza recente che ha coinvolto, sia pure in
temi diversi, gli alunni sia del Liceo Classico che del
Liceo Scientifico: l’occupazione delle strutture scolastiche per protestare, come peraltro è avvenuto in
moltissimi istituti della provincia e del paese intero,
contro la riforma della scuola superiore.
Questo momento, piuttosto che essere vissuto
come un momento traumatico o, nella migliore delle
ipotesi, come un fastidio di cui liberarsi al più presto, ha rappresentato per me un ulteriore momento
di riflessione e di comprensione delle caratteristiche
degli studenti del nostro istituto.
Ho immediatamente avvertito che la loro decisione di assumere questa iniziativa è stata non semplice
e non scontata, direi anzi una decisione sofferta. E
soprattutto non ha voluto essere, come spesso avviene, la solita scusa per sottrarsi a qualche giorno di lezione. Era piuttosto la voglia di voler dare il proprio
contributo ad una discussione che
ha investito il paese e che riguarda
direttamente i giovani. Era la netta
volontà di partecipare in qualche
modo alla Storia!
Tra l’altro, avendo discusso in
quei giorni con loro, ho anche percepito che la protesta non era unilaterale. Al suo interno, trovavano
spazio anche coloro i quali avevano
sull’argomento idee divergenti e magari anche un giudizio positivo sulla
riforma, così come deve sempre avvenire in una società democratica e
pluralista. Un momento, quindi, di
analisi, di discussione e di confronto!
Per questi motivi, e per non vanificare questa esperienza, consegnandola all’oblio dei tempi, abbiamo Da sinistra: prof. Salvatore Martino, prof. Pietro Maradei, prof.
deciso insieme di dedicare, come già Franco Sena, prof. Cosimo Esposito
detto, una parte di questo numero alle
tematiche che interessano attualmenla scuola.
te l’universo giovanile: la scuola, il rapporto con il
Anche questo numero del giornale potrà essere,
mercato del lavoro e con la società contemporanea
infatti, visionato sul nostro sito e anche scaricato.
nel suo complesso, il disagio giovanile, le prospetIn prossimità delle vacanze natalizie mi è molto
tive future delle nuove generazioni. Su questi argradito, infine, fare un personale augurio di Buone
gomenti abbiamo anche intenzione di organizzare,
Feste a tutti.
presumibilmente nel mese di gennaio, un convegno
Spero che nel nuovo anno troveremo molte altre
che dovrà rappresentare un ulteriore momento di apoccasioni di incontro e di confronto. Spero anche
profondimento.
che insieme potremo fare nuove esperienze, percorVolendo poi sfruttare questa occasione per fare
rere nuove strade, raggiungere traguardi sempre più
un primo bilancio di questa mia nuova esperienza,
esaltanti.
devo dire che questi pochi mesi sono stati essenzialSempre con un unico obiettivo comune: la crescimente utilizzati per promuovere un nuovo rapporto
ta culturale e la maturazione umana di questi nostri
con l’utenza e con il territorio e per stimolare i livelli
ragazzi!
di partecipazione. In questo contesto, si è inserito
prof. Pietro Maradei
l’allestimento del nuovo sito web dell’Istituto. Un
Dirigente Scolastico
sito molto completo e articolato, al cui interno si potrà trovare, in tempo reale, tutto quello che riguarda
Riportiamo il discorso di commiato dalla scuola del preside Franco Sena,
che ha fortemente voluto la nascita di questo giornale e a cui va
il nostro augurio e un “grazie” speciale per la preziosa attività svolta
Saluto di commiato dalla scuola
Ringrazio il mio collega prof. Pietro Maradei, a
me subentrato, per l’invito rivoltomi a esser qui oggi,
seppur per breve tempo, per un saluto a tutto il personale della scuola con il quale ho avuto il piacere di
lavorare per 6 anni. Rara sensibilità ha espresso il DS
con questo invito, che lo colloca al di sopra di certe
meschinità e gelosie che a volte turbano la serenità
dei rapporti interpersonali. Ti ringrazio, caro collega,
e ti offro tutta la mia collaborazione sempre che tu
la gradisca. Se ho scritto questo saluto rinunciando
a parlare a braccio, come suol dirsi, l’ho fatto per il
timore, certo non infondato, che l’emozione confondesse la tela del discorso o, ancor peggio, tradisse
il sereno fluire della parola. Che dirvi, cari amici?
Sarei un ipocrita, dopo 40 anni e più di servizio di
cui 25 da preside, e non lo sono come sapete, se manifestassi gioia per essermi liberato di un fardello di
preoccupazioni che tolgono il sonno quali quelle che
un istituto grande come il nostro ti rovescia addosso
continuamente, in cui ogni giorno portano la vivacità
dei loro giovani anni centinaia di ragazzi, su cui vegliano, non senza ansie e timori, altrettante centinaia
di genitori, nel quale i problemi di organizzazione
didattica, amministrativa, contabile sono tanti e tali
da far tremar le vene e i polsi. In verità, nonostante
questa selva d’incombenze, mi dispiace e non poco
abbandonare la scuola, quella scuola che mi ha dato
tanto per farmi crescere culturalmente e che mi ha
elevato socialmente, che mi ha fornito gli strumenti
per affrontare le sfide del mondo, per saper leggere le difficili pagine della società che dai miei verdi
anni ad ora si è fatta sempre più complessa, per esser
guidato, nel cammino della vita, da quell’umanesimo che è stato alla base dei miei studi liceali prima
e universitari dopo nell’Ateneo glorioso di Napoli.
Io ho creduto nel mio lavoro, ho amato i ragazzi di
quell’amore che non è facile indulgenza, ma induce a
riflettere sul loro destino di uomini, tesori da tirare a
volte dal fango, forzieri in cui, a furia di scavare, scorgevi qualcosa luccicare, e non era vetro, anime sensibili
che, negli ultimi giorni, mostravano dispiacere per il
mio abbandono e mi commuovevano per la loro sincerità sgombra da servile ipocrisia. Abbiamo considerato
sempre i nostri giovani come creature da proteggere
dal nulla che avanza e che inghiotte con voracità tanti
ragazzi senza guide, senza punti di riferimento, se non
“Il grande fratello” o qualche insignificante cantante o
attore di grido...: se essi sono capaci di concepire grandi sentimenti come l’amore per il preside e per i docenti
vuol dire che la nostra opera non è stata vana e che va
continuata senza soste.
Cari docenti, vi esprimo la più sincera gratitudine
per la vostra dedizione alla scuola, per aver indossato,
in maggioranza, il grembiule che Gesù indossò per lavare i piedi agli Apostoli, per farvi piccoli come i nostri
ragazzi al fine di farli grandi. Per voi ho voluto sempre
essere un primus inter pares, sforzandomi di creare un
ambiente di lavoro piacevole, lungi da esso atteggiamenti autoritari o indagatori, fornendovi tutti i mezzi
che agevolassero il vostro non facile lavoro. So bene
che il mio operato non è sfuggito a errori di varia natura, così come capita a ogni essere umano: homo sum,
scriveva Terenzio, humani nihil a me alienum puto, e
di essi vi chiedo scusa. Non raramente, poi, capita a
noi uomini di scuola di registrare qualche insuccesso
o ricevere offese larvate per cui abbiamo congedato le
giornate col sapore della cicuta dentro la gola. Forse
nei momenti difficili avevamo bisacce troppo lise per
contenere la verità e tutti i suoi pesi… Il nostro lavoro
ci ha anche insegnato la pazienza, la cautela, l’attesa
prudente del ragno senza le quali è vano aspettarci validi risultati. Tornando a me, ma non è il mio velato narcisismo bensì esame sincero di me da sottoporre al vostro giudizio, so che non sono stato un dirigente schivo
nel bisogno di aprirmi a voi, e a volte sono stato anche
frainteso, ma certo lontano da protagonismo deleterio e
insensibile a lodi servili. Ed anche se qualche volta,
com’è naturale, ha preso corpo qualche divergenza
di opinioni tra noi, con conseguente animata discussione, essa si è dissolta alla luce del confronto pacato
e amichevole come nelle migliori famiglie.
E’ stato sempre questo il mio sogno, come sapete: fare di questa scuola una famiglia, accomunata
dagli stessi ideali etici e pedagogici dove, ciascuno
di voi, pur preservando la propria identità, rifuggisse
da comportamenti deleteri dettati da risentimenti per
presunti torti subiti o altro, e mettesse a disposizione
del collega la propria esperienza e il proprio bagaglio
culturale in quello spirito di servizio che solo può
conseguire il bene comune. Non sto qui a ricordare
tutte le iniziative culturali e i progetti e la cura dei
locali e le attrezzature di cui abbiamo arricchito la
nostra attività, espressione d’amore per i nostri studenti, dei quali si è voluta agevolare la fatica dello
studio e aprirli a nuovi orizzonti..
Non posso concludere senza aver rivolto un pensiero grato ai mie due i collaboratori, prof. Martino
e prof. Alterisi, quest’ultimo da quest’anno in pensione, per la feconda opera svolta e per i rapporti
leali cui insieme abbiamo ispirato il nostro cammino,
e al prof. Cosimo Esposito, amico fidato e custode
attento del liceo classico, persona laboriosa, amabile
e corretta. Un grazie ancora al personale ATA, del
quale il nostro Segretario ha fatto una squadra efficiente indispensabile al buon andamento dell’istituto. Al buon Fausto, compagno di lavoro e amico, il
mio grazie sentito per aver dato un prezioso contributo alle realizzazioni surricordate e l’augurio che
possa lavorare in simbiosi, così come con me, col
nuovo preside, del quale si appalesano fine intelligenza e attiva volontà, al fine di continuare l’opera di
costruzione di una grande scuola.
Auguri a tutti, ma anche a me stesso, affinché possa abituarmi al nuovo vestito che il tempo mi cuce
addosso. Che io ripeta a me stesso: ciò che hai fatto
appartiene al passato, pensa a quello che farai domani. Hai tanti orizzonti da esplorare, tante vie da percorrere, tante mete a cui aspirare: coraggio, vecchio
mio, ricomincia senza patemi e con rinnovato vigore:
la vita continua.
prof. Franco Sena
Dirigente Scolastico
Cultura e Scuola
DALLA PRIMA PAGINA
Esclusivo: intervista a Michele Placido
sparire nuovamente. Panico. Gli istanti successivi
furono caratterizzati da un collettivo ‘rinfresco’ al
trucco, tipicamente femminile, e da un batticuore
generale. Quando tornò, perché tornò, con professionalità, iniziammo a porgli le nostre domande…
Che scuola superiore ha frequentato?
Ho frequentato l’Istituto Tecnico per Geometri. E poi, naturalmente, ho studiato recitazione..
Cosa significa per lei recitare?
Recitare significa ‘To Play’, giocare. Vuol dire
impegnare la mia anima, il mio corpo, la mia mente, la mia intelligenza sul palcoscenico al servizio
dei grandi autori come Shakespeare o Pirandello.
Cosa consiglierebbe ai giovani che vogliono
diventare attori?
Frequentare una scuola, una scuola di teatro,
una scuola di cinema perché un’apparizione in televisione non rende “artisti’’. Bisogna frequentare
dei corsi, bisogna impegnarsi, leggere. Soprattutto letteratura e poesia. Bisogna anche guardare
buoni film.
E’ stato difficile per lei sfondare?
No. Perché in qualche modo è stato un gioco.
Non ho mai pensato che fosse un lavoro difficile.
Quando si ha la passione non si trova difficoltà.
Al festival di Roma e in questi giorni i lavoratori del mondo dello spettacolo, dell’arte,
della cultura hanno protestato e continuano a
DALLA PRIMA PAGINA
SIAMO ANCORA UNO STIVALE
UNITO DOPO 150 ANNI?
siamo essere tanto orgogliosi. I mass media ci
propongono continuamente il quadro di un’Italia
divisa in due: nord e sud.
Noi meridionali siamo portati ad ammirare con
occhi sognanti il nord come il paese delle meraviglie, dove tutto funziona perfettamente, dove non
ci sono problemi legati alla mafia, dove il lavoro
si trova non appena si svolta l’angolo, dove esiste
un maggiore senso civico. Insomma un mondo diverso all’interno dello stesso Paese!
Loro, i settentrionali, invece, pensano che noi
al sud viviamo nel paese dei balocchi, dove non
si lavora, e invece di lavoro non ce n’è, dove si
è governati da una classe politica inadeguata che
spesso è in relazione e in affari con la mafia e che
quindi siamo tutti delinquenti. Perché siamo etichettati come tali? Dico “siamo” per includere
nella definizione tutti noi meridionali, divenuti
ciò che ci attribuiscono e non quello che realmente rappresentiamo. Certo è vero che per il senso
civico e d’appartenenza non eccelliamo, è vero
che spesso noi meridionali tendiamo a essere
troppo furbi, è vero che non abbiamo troppo rispetto per le istituzioni, è vero che la mafia esiste
farlo contro i tagli a questi importantissimi settori. Cosa si sente di dire a proposito?
Io credo che la cultura sia una questione soprattutto personale. Ognuno dovrebbe cercare di
coltivarla da solo. Naturalmente, se lo Stato concede finanziamenti alle scuole per la costruzione
di appositi laboratori è ancora meglio.
Lei è un meridionale. Come noi. Come vive
il provenire da terre difficili? Cosa ha provato
recitando il ruolo del boss mafioso Provenzano
nel ‘L’ultimo padrino’?
Perché difficile? La mia terra è bellissima!
Sicuramente. Ma è, purtroppo, un territorio
attanagliato da problematiche serie.
(risata) Ma le problematiche ci sono dappertutto. Certo, qui mancano i collegamenti.
Le infrastrutture?
Sì. Ferrovie, autostrade, aeroporti. Mi chiedevate della mia interpretazione di Provenzano, un personaggio sicuramente
negativo. Noi siamo tutti buoni e cattivi
allo stesso tempo. Siamo equidistanti.
Quando si interpreta un personaggio
negativo l’attore deve sforzarsi di far
prevalere la propria parte oscura. Ma
deve saperla dominare.
La ringrazio per aver risposto alle
nostre domande.
Grazie a voi.
Alla fine dell’intervista si concesse
alle fotocamere. Purtroppo mancò il
tempo per gli autografi. Ne fece,infatti,
solo due. Uno appartiene alla nostra
prof. di Inglese, che tanto lo desiderava.
E l’altro ad una sua bionda e simpatica collega. A
noi restano le foto, i ricordi e la sensazione di aver
vissuto una mattinata alla Chloe Sullivan.
Luciana Franzese, Ilaria Scorzafave,
Rita Tassitani, Alessandra Berardi,
Selene Zangaro, Giusy Cofone,
Paola Cardamone, Cristina Marzullo,
Esterina Marzullo
Classe II A – Liceo Classico
e che tanti convivono con essa; ma è anche vero
che al sud la maggior parte della popolazione è
onesta, operosa, è anche vero che abbiamo altre
caratteristiche, altre qualità che ripagano tutto.
L’ospitalità, la gentilezza, la disponibilità,
sono pregi, infatti, che ci appartengono e dei quali
possiamo essere entusiasti. Noi del sud dobbiamo essere consapevoli dei nostri errori, dobbiamo credere nelle nostre possibilità e capacità di
saperci sollevare dalla situazione critica in cui ci
troviamo, dobbiamo lottare per ottenere un futuro migliore. Tanti meridionali si sono sacrificati
per realizzare un’Italia unita; tanti, emigrando al
nord, hanno contribuito allo sviluppo del Paese,
tante persone del sud sono emigrate e continuano a farlo, per mantenere una famiglia, e quindi
mantengono viva e salda anche l’economia del
nord. Cosa si è fatto affinché anche qui le cose
cambiassero, affinché ci fosse più lavoro, affinché
non fossimo delle regioni emarginate? Beh, fino a
oggi poco o niente, anzi la nostra situazione economica va alla deriva.
Dopo 150 anni di storia comune fra meridionali e settentrionali, occorrerebbe essere meno egoisti e bisognerebbe che tutti porgessimo una mano
a chi ha bisogno di sostegno, a chi è in difficoltà.
Bisognerebbe che chi sta meglio, come coloro
che stanno al nord, non guardasse al sud come ad
un paese straniero, ma come ad una parte dello
stivale che necessita di aiuto.
Ilaria Mingrone III A
3
Usanze e tradizioni:
2 novembre,
“ppi l’anima i ri muort!”
In America c’è chi dice che un vecchio ubriacone sia riuscito a prendere in giro Lucifero tanto
che, nell’ora della sua morte, non l’hanno accettato neanche all’Inferno e se ne va girovagando nel
buio con una lanterna nella notte del 31 ottobre,
accompagnato da fantasmi, mummie, vampiri
e zombi, ed è proprio questo che attira i giovani
che organizzano feste e veglioni indossando le più
bizzarre maschere. Come nel resto d’Italia, Halloween è diventato ormai un business: anche qui a
Corigliano si possono notare vetrine allestite con
zucche illuminate, fantasmi, scheletri, pipistrelli e
maschere; in più i bambini, oltre a partecipare a
feste in maschera, adorano girare per le case del
quartiere per chiedere ‘dolcetto o scherzetto?’ e si
può notare la loro felicità quando tornano a casa
con bustine piene di dolci, caramelle e merendine,
che poi dividono con i loro compagni. Quest’anno
Halloween è arrivato di domenica, seguito dal ponte del 2 novembre, che è la ricorrenza dei defunti.
Ogni paese ha un’usanza diversa: ad esempio,
nei paesi albanesi si celebra questa ricorrenza andando a pranzare nel cimitero sulle tombe dei defunti, tutti insieme come se fosse una grande festa.
Qui a Corigliano, invece, al mattino tutti i parroci
si riuniscono insieme ai fedeli nella chiesa principale del cimitero per celebrare la Santa Messa,
dopo ognuno fa la visita ai propri cari defunti ed
è una “festa” vedere tutta quella gente, compresi i bambini, con i fiori in mano. Tornati a casa,
si prepara un ricco pranzo. Il primo piatto tipico
sono le tagliatelle con ceci e, per secondo, baccalà
con patate. Due o tre giorni prima si mette a bagno
(a mollo) il baccalà per dissalarlo, mentre i ceci
vengono messi nell’acqua la sera per poi essere
cucinati al mattino. Le tagliatelle si preparano a
mano con uova, acqua e farina e si stendono con il
mattarello. Inoltre si preparano polpette, cavolfiore fritto, crocchette di riso o di patate, melanzane
ripiene e si porta già cucinato il piatto in regalo.
Gli anziani tengono molto a questa usanza, i nonni
soprattutto ricordano sempre che, durante i preparativi del pranzo, si deve considerare un piatto in
più per i propri morti che, generalmente, viene dato
ad una famiglia del vicinato, ed ecco perché già il
giorno prima si chiede ad un vicino se accetta un
pranzo per “l’anima dei morti”. C’è chi aspetta
tanto questa offerta perché si sa che fa bene all’anima di un defunto. Dopo cena è usanza lasciare la
tavola apparecchiata con qualche pietanza, tipo
frutta, pane e vino, per i defunti che, come si pensa, nella notte entrano in casa per “approfittare” di
questo banchetto.
Il 4 novembre, inoltre, per la commemorazione
dei caduti, qui a Corigliano il Sindaco, insieme ai
cittadini, si reca in piazza San Francesco per ricordare i caduti in guerra e, davanti al monumento
posto in mezzo alla piazza e seguito dalla banda
musicale del paese, posa una corona di fiori sulla
statua. Molte scuole prendono parte a questo evento.
Irene Romano IV A
4
Cultura e Scuola
MODELLI E STRUMENTI
PER LA DIDATTICA DELLA
LETTERATURA GRECA E LATINA
A fronte della difficoltà di offrire agli studenti un
insegnamento che sia duraturo e spendibile a breve e
lungo termine nella scuola così come al di fuori della scuola, anche il docente di letteratura latina deve
armarsi e procedere con efficacia. Tre i principali
modelli didattici di cui può fare uso: quello storicistico, quello per generi e quello per tema basato
principalmente sul testo. Se si riflette attentamente
sul problema, verrà fuori che il docente, più che limitarsi ad una sterile scelta che anteponga un modello ad un altro, dovrebbe avere la scaltrezza di fare
una programmazione che sia a percorsi intrecciati:
in fondo, la scelta di un solo modello risulterebbe
una pura semplificazione del problema che è oggi
alla base dell’insegnamento della letteratura.
Pur venendo sempre più a diminuire le ore dedicate a questa disciplina, non si può ridurre l’insegnamento della letteratura greca o latina ad una scelta di
comodo: il “fatto letterario” è pur sempre qualcosa
di complesso che deve coinvolgere intellettualmente
ed emotivamente e il cui luogo di fruizione non deve
essere soltanto l’aula scolastica. I ragazzi di oggi
sono bombardati continuamente da mille stimoli diversi, ma non per questo si deve rinunciare a offrire
loro momenti di riflessione culturale e letteraria a
largo respiro, che amplino i loro orizzonti mentali e
facciano emergere il loro “gusto estetico”.
Ne viene fuori che, a fronte della sempre più
marcata marginalizzazione della letteratura, che non
rappresenta più un valore di per sé, il docente deve
possedere una preparazione e una professionalizzazione doppia: profonda deve essere la sua consapevolezza teorica, da esplicarsi nella sua capacità di
scelta, di sintesi e di esposizione; altresì radicata
deve essere la sua padronanza della specificità del
linguaggio letterario e la convinzione dello statuto autonomo della creazione letteraria. A monte di
tutto ci deve essere, naturalmente, la riflessione epistemologica su quello che debba essere il modello
più efficace cui rifarsi per l’impostazione di una ben
ponderata programmazione, avendo di mira sempre
la valorizzazione del proprium della letteratura. La
letteratura potrebbe, perciò, rappresentare una sorta
di zona “neutra” di dialogo, di cui la nostra società,
a sfondo fortemente scientifico e tecnologico, sente
sempre più il bisogno per porsi all’incrocio fra “materiale ed immaginario”.
Nonostante le critiche provenienti da più fronti
al modello storicistico, che mal si adatterebbe alla
programmazione modulare, l’insegnante non può
completamente rinunciare ad esso, a meno che non
voglia gettare nel caos mentale i suoi studenti. Il modello storicistico anzi, se usato parzialmente e con
cautela può servire a meglio innestare gli altri due
modelli: può, cioè, servire da “canovaccio” su cui
impostare il discorso letterario: esso non offrirà più
e solo un’arida galleria di autori ed opere sotto forma di monografie, ma fornirà la griglia di inquadramento storico-letterario su cui poi lavorare.
Il modello per generi letterari concorrerà a dare
agli studenti l’idea della dinamicità del fatto letterario: i generi letterari non sono altro che gruppi o
famiglie storiche da caratterizzare, determinare e
descrivere storicamente, in quanto il genere è sottoposto sia al cambiamento storico (piano diacronico),
sia al trasferimento di funzioni (piano sincronico).
Dal momento che forme e generi letterari sono fenomeni in primo luogo sociali, poiché poggiano su
funzioni della vita terrena e si manifestano, in primo
luogo, in un insieme di tratti distintivi tanto formali
che contenutistici, essi rendono visibili le strutture
elementari nelle quali si è manifestata l’azione della
letteratura, socialmente modellatrice e fondatrice di
comunicazione. Un’opera appartiene ad un genere
in quanto esiste la necessità per ogni opera che vi
sia un orizzonte di attesa precostituito allo scopo di
orientare la comprensione del lettore e rendere così
possibile una ricezione qualificata., in assenza della
quale gli scrittori e le opere risultano delle monadi
veramente “senza porte e senza finestre”.
Se concepiamo i generi letterari non in modo
formale, ma come canali sociali di comunicazione
fra autore e lettori, farne un asse privilegiato di riferimento può permettere di unificare la storia degli
intellettuali, quella delle ideologie e delle poetiche,
quella delle forme, quella dell’immaginario e dei
temi letterari, quella della ricezione e del pubblico.
Nel genere letterario determinati temi assumono
forme determinate in relazione a lettori determinati. La categoria del genere permette di comprendere
la complessità di un autore che può aver composto
opere appartenenti a generi diversi; permette di allargare l’arco temporale trattato e di proiettarsi in
epoche diverse; al contrario, un uso indiscriminato
della categoria di genere letterario può chiudere gli
autori in blocchi autonomi, dare un taglio solo ed
esclusivamente formale alla trattazione. Gli studenti
dovranno comprendere che il concetto di genere non
è un contenitore vuoto in cui inserire autori e testi,
ma è qualcosa che dà forma agli stessi.
Al modello per generi si dovrà intersecare quello
basato sul testo per soddisfare quel bisogno di bellezza immanente e connaturato a ciascuno di noi:
l’avvicinamento alla lettura dei testi letterari è qualcosa che si conquista faticosamente e lentamente.
Pur se sospinti inizialmente alla lettura dall’interesse verso un determinato tema, lentamente i ragazzi
acquisteranno gusto nell’avvicinarsi alla lettura per
il puro e unico gusto del leggere, “perché leggere i
classici è meglio che non leggere i classici”. I classici servono a così tante cose che non si può rimanere
indifferenti di fronte alla loro utilità e al loro fascino: È classico ciò che tende a relegare l’attualità al
rango di rumore di fondo, ma nello stesso tempo di
questo rumore di fondo non può fare meno………..
Un classico è un libro che non ha mai finito di dire
quel che ha da dire……… Si dicono classici quei libri che costituiscono una ricchezza per chi li ha letti
e amati; ma costituiscono una ricchezza non minore
per chi si riserba la fortuna di leggerli per la prima
volta nelle condizioni migliori per gustarli.
Lettura “inconsapevole” e “lettura consapevole”:
questi sono i due livelli che l’insegnante dovrà far
raggiungere ai suoi allievi e tutti e tre i modelli saranno utili allo scopo, in particolare il modello basato sul testo sarà utile nel raggiungimento del primo
livello, mentre il modello storicistico e quello per
generi concorreranno a costruire nel discente l’abitudine alla lettura riflessa e consapevole.
La nostra è una sfida complessa: perciò, solo armandoci di strumenti complessi ma non complicati
vinceremo la sfida e risveglieremo “il piacere della
lettura” nei nostri ragazzi, senza alcuna velleità di
voler essere esaustivi o enciclopedici.
Emanuela Cairo
I poeti comici e Cecco Angiolieri
Lo stile comico, da alcuni detto comico-realistico,
si configurò anche come parodia della poesia tragicostilnovistica, i temi principali dello Stil Nuovo venivano ripresi in chiave umoristica, volgare, l’amore
veniva celebrato come esperienza fisica, terrena, perdendo del tutto il carattere salvifico e cortese che pervadeva le poesie guinizelliane e dantesche. La donna
comica, che raggiunge l’apice nella Becchina di Angiolieri (che viene spesso definita anti-Beatrice proprio per questo motivo) non possiede quelle qualità
morali e, per certi versi, ultraterrene, ma è una donna
“reale”, sensuale, volgare, potremmo dire degradante.
Altri temi ricorrenti nei canzonieri dei poeti comici erano il gioco d’azzardo e la vita squallida dei bassifondi. Fra tutti, colui che spicca, come spicca Dante
fra gli stilnovisti, è il senese Cecco Angiolieri, la cui
capacità espressiva e formale rimarrà ineguagliata
nell’ ambito della poesia goliardica.
In lui si trovano tutte le caratteristiche del gaudente, si potrebbe fare una similitudine con Sordi nel Marchese del Grillo, che vuole solo godersi la vita, infischiandosi di soldi e lavoro ( tra l’altro lo stesso Angiolieri
vendette una vigna per 900 lire). Se dell’Angiolieri uomo non abbiamo grandi testimonianze, dell’Angiolieri
poeta ci rimangono ben 150 componimenti, di solito sonetti o dialoghi, di cui 121 sono attribuiti a lui in modo
certo. Malgrado quello che si può pensare Angiolieri, e gli altri poeti comici, pur trattando argomenti “bassi”,
usavano forme e costruzioni comuni anche allo stile tragico: come già detto, infatti, lo stile riguardava solo
il registro linguistico e le soluzioni formali, non erano quindi illetterati né poeti di seconda categoria ma,
anzi, venivano rispettati perché aderivano ad una corrente che affondava le sue radici nella poesia goliardicogiullaresca medievale.
I contenuti del canzoniere di Angiolieri, le “Rime”, si basano su tre “pilastri”: l’amore per Becchina, l’odio
verso i genitori, i divertimenti (ed il gioco d’azzardo). Nel suo canzoniere l’amore per Becchina assume importanza pari a quello di Dante per Beatrice, basti pensare che, su 121 poesie, cento sono dedicate o hanno
come protagonista questa donna. Si può quindi affermare, con il beneficio del dubbio, che Cecco, malgrado
la palese intenzione di parodiare i canzonieri stilnovistici, fosse realmente innamorato di questa donna e che
non fosse solo una trovata stilistica. In effetti, analizzando la poesia “Becchin amor”, al di sotto della patina
di umorismo si può trovare una certa malinconia di fondo, che si riscontra in quasi tutti i suoi componimenti,
dovuta, forse, proprio a questo amore che alternava momenti di sensualità e passione a momenti di tradimenti
reciproci. La capacità espressiva e formale di Cecco raggiunge l’apice nel sonetto “S’i’ fosse foco”, in cui, con
sapiente maestria, unisce la volontà di stupire e di esagerare ad una ponderata ricerca formale: i 14 versi sono
tutti endecasillabi e sono tutti divisi da una cesura perfetta che spesso corrisponde ad una virgola; un componimento formato da sette iperboli (se fossi foco, se fossi vento, se fossi papa ecc..) e da un ultima terzina con cui
chiude il cerchio iperbolico e “tragico” del sonetto con un finale irriverente ed ironico (Se fossi Cecco, come
io sono e fui, terrei le donne giovani e leggiadre e le vecchie e brutte lascerei agli altri) creando un effetto allo
stesso tempo di forte impatto ma molto scorrevole che si conclude con una vanteria in stile goliardico- ironico.
Questa poesia è importante perché è quasi una summa del pensiero angiolieresco: il disprezzo per il mondo nella prima quartina, l’ironia sui poteri di Chiesa e Impero nella seconda, l’odio per i genitori nella prima terzina e
l’amore per le donne nella seconda terzina, sono appunto gli elementi che si ritrovano in tutto il suo canzoniere.
Per certi versi questo poeta del trecento mi ha fatto ricordare la voglia di libertà e voglia di vivere, evidente
dei personaggi autobiografici di Kerouac. Sia Cecco che Kerouac volevano la stessa cosa, ma la loro situazione è molto diversa, Cecco è un uomo inserito nel suo tempo e nella sua società, la vive dall’interno, ha già
quello che vuole; Kerouac, invece, vive in una società che non sente sua, ne viene imprigionato, non sa come
liberarsene, in pratica questo è quello che avrebbe portato ai movimenti giovanili di rivolta (che non seppero
comunque dare alternative valide).
Quello che mi viene da pensare è che, rispetto agli altri poeti del suo tempo, Cecco si sentisse più libero,
non sentiva il bisogno di fondare un movimento, né di insegnare qualcosa, cercava di godersi la vita, credo
ritenesse la poesia un modo per sfogarsi, dimenticare i problemi e, cosa più importante, credo avesse capito
che nella vita non bisogna mai prendersi troppo sul serio, perché magari la storia non si ricorderà di te ma, di
certo, trascorrerai una vita più serena.
Francesco Mondera III A
Cultura e Scuola
Mììì… in Sicilia fummo!
Tutto iniziò un piovoso venerdì mattina, precisamente il 15 Ottobre, quando i nostri impavidi esploratori intrapresero la loro avventura verso “l’isola
che c’è” , date le sue decisamente considerevoli dimensioni: la Sicilia! Armati delle più avanzate forme di difesa (fotocamere, telefonini e i-pod) e dello
stretto necessario per la sopravvivenza (panini, piz-
ze, cioccolata, the, coca-cola e le importantissime
caramelline di gomma), i nostri giovani eroi, accompagnati dai più atletici e coraggiosi professori conosciuti nella metropoli di Corigliano (Angelo Tocci e
Salvatore Cardile), hanno affrontato un lungo viaggio combattendo contro mille insidiosi autogrill,
ma arrivando infine alla meta! Dopo aver riposato
le loro stanche membra, affaticate dal cammino e
dalla nottata passata insonne per proteggere “l’accampamento” dall’attacco straniero, i plotoni VA,
VD e VE si sono diretti verso l’Etna per colonizzare
la sua cima, volendo prendere da quella terra straniera nuovi insegnamenti da portare poi nella terra
natia. Prima di dover “scalare” il monte, si immaginava un cammino difficile
ma non impossibile: le
cose cambiarono appena
scesi dal mezzo militare.
L’aria era fredda e persino le unghie dei piedi
chiedevano pietà e calore. Dopo aver rifocillato
(ovviamente, per l’ennesima volta) i corpi dei
coraggiosi per prepararli
al viaggio, “Corigliano”
si incamminò per i sentieri tortuosi. Durante il
percorso, grazie all’aiuto
della provvidenza, trovarono due uomini del luogo che aiutarono i nostri a
percorrere il vulcano. La
salita fu ardua e molti furono i caduti che interruppero il viaggio (non tutti riuscirono a sopravvivere al freddo e alla fatica). I pericoli erano diffusi in
ogni angolo del vulcano e la terra sottostante faceva
presagire il peggio ma i nostri coraggiosi giovani
eroi arrivarono alla meta, potendo guardare e tenere
in pugno un’intera isola dall’alto! CORIGLIANO
5
AVEVA CONQUISTATO ANCHE L’ETNA!
In verità questa escursione ci ha dato la possibilità
di toccare con mano, di sentire l’odore e vedere i veri
colori di ciò che sui libri non ha la stessa consistenza
e non possiede la stessa bellezza. Quel fine settimana non ci ha solo permesso di rendere reale quello
che svogliati impariamo dentro quattro mura, ma ci
ha regalato un viaggio in una terra così vicina a noi
e al contempo così perfettamente autentica. Questo
viaggio come tutti gli altri di istruzione ci rimarca il
vero significato della scuola, intesa come luogo in
cui si concretizza il desiderio di conoscere. La scuola è ciò che ci portiamo dietro, quello che riusciamo
a fare nostro nella vita lontano da quell’edificio che
tanto ci mancherà tra un anno. La scuola è ridere,
felici e autoironici, sapendo riconoscere le diverse
rocce presenti sul vulcano, è guardarsi attorno e rimanere estasiati dalla natura che però sappiamo distinguere e che apprezziamo di più proprio grazie
alla conoscenza acquisita, la scuola è condivisione,
è saper abbattere il muro insegnante-alunno e godersi insieme questa “trasferta”! Lo scopo di questa
escursione non è stato solo comprendere meglio i
fenomeni vulcanici, conoscere le rocce formatesi
dal magma piuttosto che l’attività effusiva dell’Etna, bensì quello di insegnare come non sia poi così
inutile quello che sui libri ci appare insignificante
per la nostra vita; quello di insegnarci come scalare
un vulcano, aiutandosi gli uni con gli altri evitando
di cadere, è un messaggio di vita; forse quanto sia
alto l’Etna o quando sia stata la sua ultima eruzione
non ce lo ricorderemo più, ma rimarrà in noi, nitida
come se fossa stata scattata ieri, la foto di due giorni condivisi con le persone che ci hanno aiutato a
crescere!
Alessandra Spezzano VD
Aci Trezza, terra della “Provvidenza”!
Lasciate le coste calabresi e salpati nella bellissima terra siciliana, avvolti da un paesaggio variopinto dei più fervidi colori, circondati da un mare la cui
bellezza risiede nel suo pacifico e nobile splendore,
peregrini siamo stati accolti nell’incantevole Sicilia,
terra di tante bellezze, opulenta d’invidiati beni e
ricca di nobili spiriti.
Il 15 Ottobre alcune quinte classi del liceo scientifico F.Bruno, guidate dal professore Tocci e dal
professore Cardile, sono state accompagnate in un
viaggio d’istruzione alla scoperta della terra natale
di un grande uomo, uno dei più importanti scrittori
dell’Ottocento, il maggior esponente della corrente
letteraria del Verismo, Giovanni Verga.
Ad Aci Trezza, centro peschereccio di antica e
notevole tradizione, famoso per il suo paesaggio caratteristico, lo scrittore ambientò il celebre romanzo
I Malavoglia (1881); nello stesso luogo, nel 1948,
venne girato il film “La terra trema” di Luchino Visconti e Antonio Pietrangeli, capolavoro del neorealismo realizzato con attori non professionisti abitanti
del luogo.
Per mantenere viva l’attenzione su un territorio
che, nonostante il suo patrimonio storico-culturale,
sta affrontando l’indifferenza di chi dimentica le sue
radici, non distante dalla Chiesa del Patrono, in base
ad alcuni elementi descrittivi forniti dal Verga nei
Malavoglia, è stata identificata la “casa del nespolo”, l’abitazione di Padron ‘Ntoni, ed è proprio lì,
dove “si sente russare il mare”, che è stato allestito
il museo “Casa del nespolo”. Questo presenta una
struttura architettonica tipicamente siciliana della
metà del XIX secolo, con cortile, un piccolo orto e
l’ingresso caratterizzato da un arco in pietra lavica
a tutto sesto. L’interno è articolato in due stanze: la
prima, la sala “La terra trema”, raccoglie fotografie,
locandine e varie testimonianze dell’omonimo capolavoro cinematografico; la seconda, la “Stanza dei
Malavoglia”, ospita testimonianze del mondo dei
pescatori della metà dell’Ottocento, con una raccolta di antichi strumenti di lavoro e suppellettili della
vita quotidiana. Interessanti le foto scattate personalmente da Giovanni Verga e la raccolta di lettere
al fratello Pietro. E’ proprio in quest’ultima stanza
che ci sono state narrate le vicende descritte dallo
scrittore siciliano.
Presso il paese di Aci Trezza, nel catanese, vive
la famiglia Toscano che, nonostante sia decisamente laboriosa, viene soprannominata Malavoglia per
antifrasi. Il patriarca è Padron ‘Ntoni, vedovo, che
vive presso la casa del nespolo insieme al figlio Bastiano, detto Bastianazzo, quest’ultimo sposato con
Maria (la longa). Bastiano ha cinque figli: ‘Ntoni,
Luca, Filomena (detta Mena), Alessio (detto Alessi)
e Rosalia (detta Lia). Il principale mezzo di sostentamento è la “Provvidenza”, una piccola imbarcazione utilizzata per la pesca. ‘Ntoni, il maggiore dei
figli, parte per la leva militare e Padron ‘Ntoni tenta
un affare comprando una grossa partita di lupini, peraltro avariati, da un suo compaesano, chiamato Zio
Crocifisso per via delle sue continue lamentele e del
suo perenne pessimismo. Il carico viene affidato al
figlio Bastianazzo perché vada a venderlo a Riposto,
ma egli perderà tutta la merce durante un naufragio,
e con essa anche la vita. A seguito di questa sventura, la famiglia si ritrova con una triplice disgrazia:
il debito dei lupini, la Provvidenza da riparare e la
perdita di Bastianazzo e quindi di un membro importante della famiglia. Finito il servizio militare,
‘Ntoni torna molto malvolentieri alla vita laboriosa
della sua famiglia, e non rappresenta alcun sostegno
per la già precaria situazione economica del nucleo
familiare.
Purtroppo, le disgrazie per la famiglia non terminano. Luca, uno dei nipoti, muore in battaglia e questo determina la rottura del fidanzamento di Mena
con Brasi Cipolla. Il debito causerà alla famiglia la
perdita dell’amata Casa del nespolo, e via via la reputazione della famiglia andrà peggiorando fino a
raggiungere livelli umilianti. Un nuovo naufragio
della “Provvidenza” porta Padron ‘Ntoni ad un passo dalla morte, dalla quale, fortunatamente, riesce a
scampare. In seguito Maruzza, la nuora, muore di
colera. Il primogenito ‘Ntoni decide di andare via
dal paese per far ricchezze, ma, una volta tornato ancora più impoverito, perde ogni desiderio di lavorare, dandosi all’alcolismo ed all’ozio. La partenza di
‘Ntoni costringe la famiglia a vendere la Provvidenza
per accumulare denaro al fine di riacquistare la casa
del nespolo, mai dimenticata. La padrona dell’osteria Santuzza, già ambita dallo sbirro Don Michele,
a causa dei numerosi intrallazzi di quest’ultimo, si
invaghisce di ‘Ntoni, mantenendolo gratuitamente
all’interno del suo locale. La condotta di ‘Ntoni e le
lamentele del padre la convinceranno a distogliere
le sue aspirazioni dal ragazzo, e a richiamare Don
Michele all’osteria. Ciò sarà origine di una rissa tra
i due; rissa che sfocerà in una coltellata di ‘Ntoni al
petto di Don Michele durante una retata anti contrabbando alla quale il Malavoglia si era dato. ‘Ntoni finirà dunque in prigione. Padron ‘Ntoni, accorso
al processo e sentite le voci circa una relazione tra
Don Michele e sua nipote Lia, stramazza al suolo.
Ormai vecchio, il suo salmodiare si fa sconnesso e
i suoi proverbi pronunciati senza cognizione di causa. Lia, la sorella minore, vittima delle malelingue,
lascia il paese e si abbandona all’umiliante mestiere
della prostituta. Mena, a causa della vergognosa situazione della sorella, sceglie di rinunciare a sposarsi con compare Alfio, di cui è innamorata, e rimarrà
in casa ad accudire i figli di Nunziata e di Alessi,
il minore dei fratelli, che continuando a fare il pescatore ricostruirà la famiglia e potrà ricomprare la
“casa del nespolo”. Acquistata la casa, ciò che resta
della famiglia farà visita all’ospedale al vecchio Padron ‘Ntoni, per informarlo della compravendita e
annunciargli un suo imminente ritorno a casa. Sarà
l’ultima gioia per il vecchio, che morirà proprio nel
giorno del suo agognato ritorno. Neanche il desiderio di morire nella casa dov’era nato sarà dunque
esaudito. Quando ‘Ntoni, uscito di prigione, ritornerà al paese, si renderà conto di non poter restare
a causa del suo passato, in cui si è auto-escluso dal
nucleo familiare rinnegando sistematicamente i suoi
valori.
E’ stato interessante immergersi totalmente in un
romanzo che si concretizzava sotto ai nostri occhi.
Anna Sassanelli V A
6
Cultura e Scuola
Fiori di Loto
A volte il passato sembra più presente che mai. A volte si pensa che il
mondo sia cambiato, che la gente, che l’uomo sia cambiato, ma spesso mi rivedo di fronte ad un testo di Seneca o di Platone o Cicerone, e non sento per
niente il bando dell’anacronismo, anzi mi sento parte di tutto ciò e capisco
che così come Saffo tremava e non riusciva a proferir parola alla vista del
suo amore, che così come Seneca sentiva su di sé la “romantica” caducità
del tempo che inesorabilmente ci fa scorrere via e ci fa morire <<prematuramente>>, che così come Platone disprezzava e denigrava i falsi politici, la
falsa democrazia, i falsi dotti, anche io faccio parte di quell’ingranaggio che,
perpetuamente, gira e ritorna: la storia. Che la storia sia davvero un “eterno
ritorno”? Non ci voglio credere, altrimenti la speranza che si possa imparare
dagli errori, che si possa guarire, svanisce, limitiamoci a chiamare la politica
augustea e la “nostra” un’analogia!
Non possiamo di certo sperare neanche che il Male svanisca o che venga
scacciato da un paladino, neanche le Paure scompaiono né vengono allontanate, ed una paura che è sempre albergata nella mente del despota è la
Cultura! Infatti Augusto fu uno zelante accentratore e populista, che pian
piano divenne “princeps” indiscusso, di fatto svuotò il potere dagli organi
esecutivi, divenne “maximus pontifex” (Capo della Chiesa), e sua era la
“tribunicia potestas” cioè il diritto di veto, fece inoltre un astutissimo uso
della propaganda; a lui dovevano rispondere lo Stato e la Chiesa, finanche la
Cultura e l’Arte (sembra quasi un Leviatano di hobbesiana memoria). Quindi alla grandissima “Res publica” romana, era rimasto solo il nome, perché
di fatto non era diventata altro che una Monarchia assolutistica e dispotica,
perché nel momento in cui la “religione” tace, e la cultura viene “fatta tacere”, ci si ritrova di fronte ad un assolutismo. Sotto Augusto la cultura venne
assoggettata ad una serie di censure, di soffocamenti,di epurazioni, la cultura
“era” solo se assoggettata a lui; ma la “libertas cogitandi” veniva oppressa
per il semplice motivo che apre gli occhi ai dormienti. La cultura fa paura
perché è forza, ed infatti furono assassinati grandi personaggi dell’epoca,
proprio perché con l’avversario non si discute, si grida, si aggredisce e se dà
troppo fastidio si liquida; ma ciò è frutto di paura.
“Sapere è Potere” diceva Bacone, esso fornisce uno stimolo a far emergere
quella facoltà critica e di discernimento che tutti possediamo e che dobbiamo usare, è il solo mezzo con il quale dobbiamo lottare, è la nostra spada e il
nostro scudo oggi più che allora. La cultura ci smuove da questa quiescenza,
ci fa muovere, e chi non si muove non può mai accorgersi delle catene che
lo trattengono; Lenin diceva “Studiare, studiare ed ancora studiare”. Non incentivare la cultura significa aver paura di essa, e questo connota una “dittatura”: si pensi a Tremonti (Ministro dell’economia italiana), il quale ha osato
affermare: “Fatevi un panino con la Divina Commedia”; mentre si ricordino
i celebri versi danteschi: “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir
virtute e canoscenza”. Però non bisogna neanche confondere il vero senso
della Cultura che è “aprire gli occhi” con “essere eruditi”, anzi il rifugiarsi
nel “Mondo di Carta” (Galileo) che è proprio dell’erudito è un insegnamento
assai negativo, non è altro che un’illusione, un proiettarsi in un mondo diverso da questo, uno sgambetto alla responsabilità che ci comporta lo stesso
“vivere” e la “vita”! L’erudito chiuso nella sua torre d’avorio, nel suo mondo
di carta, geloso del suo sapere, non è altro che un male ancora maggiore,
anzi proprio egli contribuisce al disfacimento culturale. L’uomo invece deve
essere emancipato dalla cultura, deve usarla, per agire! <<Io voglio che l’uomo non contempli senza azione e che non operi senza contemplazione>>
diceva Giordano Bruno (filosofo arso vivo come eretico impenitente). Oggi
la cultura viene demonizzata, messa quasi in cattiva luce; si stanno sempre
più divulgando dei modelli, degli “idoli”, ma questi idoli non professano il
sapere, sono simboli apologetici dell’Ignoranza, anelano alla applicazione
di una “forma mentis” errata (e ci stanno riuscendo?), ed è facile soggiogare
una massa di ignoranti, è semplice prenderla in giro, sottometterla, ma il
bello sapete qual è, che gli ignoranti non se ne accorgono neppure, così da
vivere formalmente in democrazia, praticamente in dittatura. La loro stupidità è una stupidità violenta che uccide e che contribuirà “stupidamente” a
sopprimere sempre lo “Sveglio”, colui di cui Leopardi parla in questi termini: <<Or di riposo
/ paghi viviamo, e
scorti da / mediocrità: sceso il sapiente
/ e salita è la turba a
un sol confine, /...che
il mondo agguaglia.
/ O scopritor famoso / segui; risveglia
i morti, poi che dormono i vivi>> .
Augusto si avvaleva della propaganda per celebrare e
celebrarsi, ma come
diceva il noto giornalista Enzo Biagi (bistrattato grazie all’editto bulgaro
dalla TV italiana per 7 anni) << chi vuol raccontare storia vera fa il giornalista, chi vuole raccontare storia falsata fa propaganda>>. E ciò è vero; infatti
la propaganda si avvale di commistioni antitetiche, cioè unire un validissimo
ideale con una spregevole azione, in modo tale che le guerre vengano fatte in
nome di Dio ad esempio, in più si avvale di slogan ( “Meno male che Silvio
c’è” per esempio), Augusto si serviva di quello della “Pax” (PACE) poiché
Roma usciva da un periodo di terribili guerre civili, ed era facile capire che il
popolo stanco avrebbe facilmente rinunciato ai propri diritti per la pace.
Così come avvenne sotto Hitler, infatti anche la Germania usciva da un
periodo di crisi economica, e sarebbe stata disposta a tutto pur di ascendere
sulla scena europea. Ed in realtà fu davvero disposta a tutto e lo dimostra
il drammatico sterminio degli ebrei, la Shoah: quindi, in uno Stato in cui
trionfa il bisogno e la povertà è facile che un popolo si faccia comprare,
abdicando alla propria dignità e alla libertà. Si dice spesso “liberi come gli
uccelli” e l’uomo prima era libero come un uccello, ma poi pian piano, per
bisogno, ha iniziato a scendere sulla terra per nutrirsi, per sopravvivere, poi
trovò qualcuno che gli assicurò da mangiare e da bere …. da allora quel
libero uccello, che volava nel cielo, pian piano ha rinunciato alle sue ali, alla
sua libertà, carcerato sulla terra! Gerolamo Savonarola, il quale fu arso vivo
e le sue ceneri furono sparse sul fiume Arno, disse: “[…] il tiranno vuole che
i sudditi non intendano alcuna cosa del governo, seconda cosa cerca sempre
di abbassare i potenti, e ammazza o fa mal capitare gli uomini eccellenti di
roba o di nobiltà o d’ingegno, e studia di fare che il popolo sia occupato alla
vita più ché a lui”. Così viene descritto il modello di una politica dispotica,
al quale Augusto aderì diligentemente, infatti sotto le mentite spoglie dell’
“intrattenimento” teneva buono e allegro e ignorante il popolino. Organizzò
gli spettacoli teatrali, le parate militari, i giochi circensi e mentre la mente della gente era “trattenuta” e tenuta a bada, egli poteva tranquillamente
occuparsi dei propri affari. Però, nemmeno a Roma c’era qualcosa che somigliasse alla inarrestabile diffusione dei “mezzi di distrazione di massa”,
propulsori di “culturame”, quali: riviste, radio, televisione, che ci offrono un
“divertimento” (dal latino “devertere” cioè “uscire fuori da sé”), sfiorando
l’oblio, andando in un “altro” mondo, non questo, e per chi ci vive dentro
con troppa continuità può trasformarsi in “oppio”, come lo descrive Marx
e quindi in una minaccia alla libertà. Pascal diceva <<la gente piuttosto che
preoccuparsi dei problemi fa finta che non esistano>>…..troppo facile eludere in tal modo la vita!
<<Nel VII libro dell’Odissea Ulisse approda su un’isola, l’isola dei Lotofagi. Questi vivevano di ciò che la natura offriva, e quindi di piante, erbe,
e fiori di Loto, che avevano la capacità di fornire l’Oblio all’uomo (in greco
“Lethe”,da “lanthano” = “fuggire da, nascondersi”), ed essi erano felici, e
con felicità accolsero Ulisse ed il suo equipaggio. Dopo poco l’equipaggio
di Ulisse, nutritosi di questi fiori, divenne un branco di stupidi animali,” ma
chi di loro mangiò del loto il dolcissimo frutto non voleva portar notizie
indietro e tornare / ma volevano là, tra i mangiatori di loto, / a pascer loto
restare e scordare il ritorno”, dimenticatisi di loro stessi, del loro ritorno in
patria, del loro “lògos”, quindi abdicarono al proprio intelletto, ma Ulisse
li riporta via con sé, perché l’”illuminato, astuto e folle” Ulisse non abdica
mai al proprio “pensare”. L’invito è quello di divenire un pò tutti noi Ulisse;
”io amo colui che vuole creare al di là di se stesso” diceva Nietzsche, perché
l’invito è quello di andare anche noi oltre le “Colonne d’Ercole”, di ascoltare
il canto delle Sirene, di ingozzarci del seme del peccato, di oltrepassare quel
muro dai cocci di vetro pur di svenarci diceva Montale, l’invito è di superare
il Limite, SEMPRE!
<<AUDE SCIRE>> (OSA SAPERE)
Michele Lionetti II A
Liceo Classico “G. Colosimo”
7
Il degrado ambientale
La questione ambientale è un argomento di
vastissime proporzioni, non facilmente esaminabile nel contesto di poche pagine, ma cercherò
di coglierne i punti essenziali. Negli ultimi cinquant’anni, in tutto il mondo si sono verificati
numerosi fenomeni di inquinamento di diversa
natura: quello industriale, causato soprattutto dai
gas di scarico delle autovetture e dal problema
della gestione dei rifiuti; quello agricolo, legato
allo sfruttamento delle colture e degli allevamenti e all’uso di pesticidi; quello ecologico, dovuto
alla crescente diminuzione delle aree naturali e
di verde. Fenomeni che stanno mettendo a dura
prova la vita e l’equilibrio ecologico del pianeta.
Il degrado dell’ambiente nasce da complessi mutamenti sociali ed economici che hanno investito
l’intero territorio urbano e rurale, ma, spesso, è
anche frutto di interessi economici miopi e criminali. L’inquinamento ambientale, in Italia, ha
purtroppo offerto alle organizzazioni criminali
l’opportunità di accrescere le loro attività illecite.
L’ecomafia trae vantaggi economici enormi dal
controllo degli smaltimenti illeciti di rifiuti, dall’abusivismo edilizio, dal commercio clandestino
di animali e dall’attacco al patrimonio archeologico ed ecologico nazionale.
Con degrado ambientale si intende il deterioramento dell’ambiente causato dall’impoverimento
delle risorse naturali, quali l’aria, l’acqua ed il
suolo,l a distruzione di ecosistemi e l’estinzione
di flora e fauna selvatica. Se l’acqua è fonte di vita
ed elemento indispensabile alla sopravvivenza di
qualunque organismo vivente sulla terra, diventa
di primaria importanza monitorare il suo stato di
salute e intervenire nei casi in cui risulti inquinata da elementi chimici, microrganismi dannosi
e metalli, che, disciolti in essa, provocano gravi
danni agli ecosistemi. Sono diversi i tipi di inquinamento cui possono andare incontro le riserve
acquifere: l’inquinamento civile, causato dalle
acque reflue degli ambienti urbani che non vengono trattate da impianti di depurazione adeguati
e dunque arrivano ad inquinare fiumi e mari; l’inquinamento industriale, ben più dannoso rispetto
al precedente perché gli scarichi delle industrie
portano residui di metalli pesanti che provocano
gravi danni agli ecosistemi fluviali e marini; infine, l’inquinamento agricolo, che è causato dai pesticidi e dagli additivi chimici. Le falde acquifere
sono indispensabili per l’approvvigionamento di
acqua, nell’irrigazione dei campi, per il bestiame
e le necessità umane. Aggrava ulteriormente la situazione il fatto che le sostanze e i metalli tossici
vengono assorbiti dai pesci e dalle creature che
abitano mari e fiumi, che possono trasmettere all’uomo che se ne nutre diverse malattie.
Un altro dei problemi più ampiamente discusso
è lo smaltimento dei rifiuti. Il problema delle discariche abusive è sempre più una piaga dei nostri
tempi. Discariche colme di vecchie lavatrici, poltrone inutilizzabili, copertoni d’auto e ferraglia di
tutti i tipi. Nonostante vi sia una legge che proibisce l’abbandono indiscriminato di rifiuti nel territorio, la situazione non accenna a migliorare e
la deturpazione del suolo non accenna a diminuire. L a necessità di riciclare il materiale di scarto
da abitazioni, attività commerciali e industriali
in Italia si è fatta strada solo di recente, infatti
l’obbligo della differenziata per i Comuni Italiani
risale al 2006. Educare i cittadini alla raccolta differenziata, fornire loro assistenza e materiali per
cominciare la differenziazione nelle proprie case
e nei loro negozi, attrezzare le città in modo che
la differenziata diventasse un dovere oltre che un
diritto, per una maggiore vivibilità globale, non è
stato facile, e sono ancora molte le città italiane
che ancora non adottano la raccolta differenziata per ottenere i loro stessi Comuni più “puliti”.
Con il termine “smaltimento” dei rifiuti, si intende quella pratica attraverso cui i rifiuti, siano essi
urbani o industriali, sono eliminati in maniera definitiva, oppure riutilizzati per altri scopi, come
capita nel caso di rifiuti organici, plastica, carta
o alluminio. I termovalorizzatori sono particolari impianti, più noti con il nome di inceneritori
per lo smaltimento dei rifiuti. Questi particolari
impianti di nuova costruzione, tramite la combustione dei rifiuti, creano calore e vapore acqueo
che possono essere convertiti in energia. La cosa
che fa più pensare, però, è che risulta esserci un
rapporto causa-effetto tra la presenza di tali impianti e l’aumento delle patologie respiratorie,car
diovascolari e neoplastiche nelle aree circostanti.
Numerose sostanze sono altamente tossiche e favoriscono l’insorgenza di tumori.
Un “apporto” fondamentale alla “distruzione”
dell’ambiente è stato sicuramente dato dall’uomo, infatti la specie umana è intervenuta in processi naturali trasformandoli in processi lineari
al termine dei quali non esiste la possibilità del
riutilizzo, ma scaturisce invece il rifiuto. Lo scarto che si accumula e inquina è qualcosa che la
natura non riesce a metabolizzare, ma è qualcosa
che rompe l’armonia circolare della sequenza della vita. La crisi ecologica investe tutta la società
e per la sua soluzione non sono sufficienti misure
giuridiche, amministrative e tecniche, ma è necessaria l’affermazione di un’ “etica ecologica”,
fondata sulla conoscenza dei pericoli che corre
l’ambiente, sulle cause e le conseguenze economiche e sociali. E’, dunque, sempre più pressante
l’esigenza di dar vita ad un pensiero innovativo, a
una nuova civiltà dell’umano, in cui sia recuperata quell’integrità e quell’appartenenza dell’uomo
all’ambiente. L’uomo deve assolutamente essere
saldamente ancorato al tessuto ambientale che lo
circonda.
Secondo il mio modesto parere, è inutile colpevolizzare chi ci governa, chi ci comanda, perché
dobbiamo essere noi cittadini, al massimo delle
nostre possibilità, a ridare alla nostra magnifica
Italia quell’immagine positiva che ha duramente conquistato e che sta sempre di più perdendo.
A tal proposito cito Michail Gorbaciov, Premio
Nobel per la pace, il quale ha chiaramente affermato che per evitare la morte del nostro mondo
è necessario un movimento d’opinione guidato
da una grande leadership e finalizzato a creare un
nuovo ordine mondiale basato su maggiore giustizia ed eguaglianza. Da queste parole si evince
un chiaro messaggio, cioè che solo attraverso un
mondo e quindi una società improntata al rispetto
della legalità si può aspirare ad un futuro migliore. Bisognerebbe riconsiderare la politica, intesa
non come strumento di egemonia di schieramenti
di parte, ma come corrispondenza e passione al
destino dell’uomo e della civiltà. Dunque, una politica non solo delle istituzioni ma anche dei singoli cittadini, vissuta come tentativo di superare
la diversità delle esperienze, delle scelte di vita e
dei valori per incontrarsi e operare per una causa
comune.
Piera Nicoletti V E
Morti Bianche, piaga della società di oggi
È possibile morire semplicemente perché ci si è recati al lavoro come ogni giorno? Ancora oggi,
nonostante il progresso tecnologico e i suoi grandi passi avanti, avvengono numerosi e drammatici
eventi sul lavoro. Pur essendo un argomento di enorme rilevanza sociale, molto spesso non gli si
dà l’ importanza che meriterebbe. È strano affrontare questo tema, ma è proprio per la superficialità con cui viene trattato che ne vogliamo parlare. Non solo i lavoratori di oggi sono esposti a un
rischio quotidiano, ma anche noi dobbiamo essere consapevoli in quanto lavoratori del domani. Un
essere umano esce di casa per andare a lavoro: per sostentare se stesso e la propria famiglia. La sera
dovrebbe farvi ritorno sano e salvo. Questa dovrebbe essere
Vita d’affann
la norma, ma spesso non è così. Se ne parla una settimana,
e poi tutto viene dimenticato. Ma ogni giorno muoiono lamal retribuita
voratori, in aziende sconosciute nell’edilizia, nell’industria,
a rischio
nell’agricoltura. In tutti i settori, insomma. Questi lavoratori
vengono spesso ricordati anche nelle strade e nelle piazze
si lavora
d’Italia a loro dedicate. Negli ultimi anni, sulla stampa e alper misero salario
l’interno del movimento dei lavoratori, per definire il fenoe si spera
meno sono stati utilizzate anche le espressioni “morti bianche” e “omicidi bianchi”, dove l’uso dell’aggettivo “bianco”
che non arrivi
allude all’assenza di una mano direttamente responsabile
fugace
dell’incidente. Annualmente nel mondo muoiono circa 2
milioni di lavoratori, tra cui 12 mila bambini . Tra il 1996
l’angelo bianco
e il 2005 l’Italia è risultato, proporzionalmente, il Paese con
distruttore
il più alto numero di lavoratori morti. È vero, gli ultimi dati
di vita terrena,
segnano un miglioramento. Eppure l’allarme sulla sicurezza in Italia resta alto. Qual è la soluzione? È difficile dirlo,
che in lacrime
ma forse la risposta è più semplice di quando immaginiamo:
lascia affranto
ogni lavoratore ha il diritto di lavorare sicuro e ogni datore
di lavoro ha il dovere di garantirgli questa sicurezza. A tal
il cuor
proposito riportiamo questa poesia che speriamo faccia ridi chi resta...
flettere...
(Clelia Maria Parente)
Mattia Pasquale Turano, Eliana Bosco I A
8
Disturbi Cronici Alimentari
DECALOGO DELLE RAGAZZE PRO-ANA
- se non sei magra non sei attraente;
- essere magri è più importante che essere sani;
- compra vestiti, taglia i capelli, prendi lassativi, fai di tutto per sembrare più magra;
- non puoi mangiare senza sentirti colpevole;
- non puoi mangiare cibo ingrassante senza punirti dopo;
- devi contare le calorie e ridurne di conseguenza l’assunzione;
- quello che dice la bilancia è la cosa più importante;
- perdere peso è bene,mettere peso è male;
- non sarai mai troppo magra;
- essere magri e non mangiare sono simboli di vera forza di volontà e
autocontrollo…
DECALOGO DELLE RAGAZZE NO-ANA
- Se non sei sana, non sei attraente
- Essere sani è la cosa più importante
- Compra dei vestiti, tagliati i capelli seguendo i gusti e i colori della tua
anima, a cui non importa di essere super-magra!
- Puoi mangiare senza sentirti colpevole, nutrendoti con equilibrio e nel
modo giusto, rispettando la salute del tuo corpo.
- Non puoi mangiare cibo ingrassante: per il semplice fatto che non esiste cibo ingrassante se assunto con buon senso ed equilibrio. Possiamo
mangiare di tutto un po’!
- Contare le calorie e ridurne l’assunzione non spetta a te: caso mai al
tuo medico di fiducia qualora tu ne abbia effettivamente bisogno
- Quello che dice la bilancia non è la cosa più importante: un ago grigio
posto al centro di una scatola non può sostituirsi ai buoni consigli del
tuo medico
- “Perdere peso è bene, guadagnare peso è male” sarebbe auspicabile
solo nel caso tu sia obiettivamente obesa
- Non sarai mai troppo bella se sei gravemente sottopeso
- Essere magri e non mangiare non sono affatto simbolo di vera forza di
volontà e autocontrollo, anzi è esattamente il contrario: se hai fiducia
in te stessa e una buona dose di equilibrio interiore non hai motivazioni per fuggire da un piatto di pastasciutta e un buon gelato al cioccolato…
Lo sfruttamento del lavoro minorile
Il problema dello sfruttamento del lavoro minorile è globale, riguarda
ormai ogni angolo della terra. Migliaia di fotografie in bianco e nero potrebbero apparire davanti ai nostri occhi, raccontandoci altrettante storie di
sfruttamento: i cucitori di palloni in Pakistan, gli artigiani di tappeti indiani,
i raccoglitori di canna da zucchero in Brasile… Non dimenticando i cinque milioni e mezzo di adolescenti che vengono impiegati negli Stati Uniti
D’America. Questo problema accomuna tristemente paesi evoluti e paesi
poveri; le sfaccettature che lo caratterizzano sono diverse, ma esiste un unico crudele presupposto: lo sfruttamento, l’indigenza, la povertà, l’infanzia
negata. La prima causa di questo fenomeno è sicuramente la povertà, molte
storie di sfruttamento partono dalla necessità di sfamare una famiglia che ha
perso il padre o che si è indebitata o, più semplicemente, che è aumentata
con l’arrivo di nuovi nati. Molti Stati, inoltre, si sono indebitati con altri
governi o con banche straniere private. Il peso di questo debito è diventato
insostenibile per molti paesi, aggravato dagli interessi e dalla rivalutazione
del dollaro. Nonostante i piani di aggiustamento strutturale proposti dal Fondo monetario Internazione, nella seconda metà degli anni Ottanta, il potere
d’acquisto medio delle famiglie dell’Africa sub sahariana e dell’America
latina è ulteriormente crollato. Non si deve, inoltre, dimenticare che i bambini e gli adolescenti subiscono angherie e ricatti, non hanno coscienza sindacale e, dunque, diventano la forza lavoro ideale per gran parte dei datori
di lavoro.
Vi sono poi le variabili culturali che aggravano il problema, sovrapponendo alle complicazioni economiche antiche e nuove disparità sociali; questo
fenomeno è, ad esempio, molto diffuso in India dove le leggi nazionali che
proibiscono il lavoro per i minori di quattordici anni non vengono messe in
pratica per i bambini della casta degli “Intoccabili”. Su tutte queste variabili culturali, infine, domina quella “di genere”, che fa sì che nel mondo le
bambine siano, a parità di età e di provenienza sociale, più penalizzate dai
maschi. A molte di esse si nega ancora il diritto all’educazione di base con
l’effetto di mantenerle ai livelli più infimi della scala sociale e di assoggettarle, una volta cresciute, allo sfruttamento da parte del marito. L’istruzione
è l’unico vaccino efficace che può stroncare questa piaga tremenda. Il fabbisogno per rendere l’istruzione un diritto concreto per tutti i bambini del
mondo ammonterebbe a una somma annua pari a quattro giornate di spese
militari mondiali.
Elena Lombisani I B
Così si apre la pagina virtuale di uno dei tanti blog PRO-ANA che stanno pian piano
diffondendosi nel web. Il problema dell’anoressia e della bulimia ha sempre interessato i giovani che non ne erano affetti, ma quello di cui ancora molti sono all’oscuro è
l’esistenza di veri e propri gruppi numerosi di ragazzi e ragazze accomunati da questa
malattia che incitano e venerano la cosiddetta “Dea Ana”. Si ritrovano sul web creando
blog e forum dove quotidianamente aggiornano il loro diario alimentare: molte volte
questi diari vengono documentati con foto scattate giorno dopo giorno, settimana dopo
settimana, per far notare a tutti i loro cambiamenti fisici. Tutte queste foto vengono
commentate e la cosa più shoccante è il fatto che sono tutti commenti di ammirazione,
le loro parole sono impregnate di una folle gelosia per chi riesce ad avvicinarsi sempre di più verso l’abbraccio mortale di Ana. Nei Paesi industrializzati come l’ Italia,
i disturbi cronici alimentari affliggono quasi il 12% delle donne tra i 12 e i 25 anni
di età, per non parlare dell’America e della Spagna in cui i numeri raggiungono cifre
esorbitanti.
L’anoressia è l’unica malattia psicologica che ha ripercussioni visibili sul corpo. È
una sorta di tunnel dal quale è difficile uscire. Chi è stato anoressico in realtà non ne
è mai uscito: il calcolo delle calorie, il pesare qualsiasi cosa si mangi, con la voglia
assurda di andare in bagno e procurarsi ossessivamente il vomito per ripulire il corpo
da quello che si è ingerito rimane un’ossessione quasi ineliminabile dentro di loro.
Dopo anni di studio dei D.C.A. ancora non si è arrivati a capire il vero motivo per cui
alcuni ragazzi si spingono a ciò: c’è chi lo fa per bisogno di attenzioni; chi invece, come
accusa qualcuno, lo fa per emulare i modelli sbagliati che appaiono nelle riviste e nel
mondo della moda.
La cosa più preoccupante non sono le persone affette da questa malattia, ma coloro
che le ammirano, le incitano e le aiutano ad ammalarsi o addirittura le invidiano, desiderando di essere malate anche loro. Questo è un semplice articolo che ci apre una
piccola finestra su un mondo malato e perverso lontano dalla nostra quotidianità, o
almeno così crediamo.
Ecco una sorta di lettera dove è la DEA ANA che parla
<Qualcuno mi conosce come “Bulimia Nervosa”, ma visto che saremo presto intime, potrai semplicemente chiamarmi Mia. Questo è il nome con cui le mie migliori
amiche mi chiamano. Le mie amiche leali. Col tempo, anche tu diventerai una mia amica leale. Nessun altro dovrà saperlo. Soltanto tu saprai che sono intorno a te. Talvolta
ti dirò di non mangiare e mi darai retta. Altre volte, mi disobbedirai e divorerai l’intera
torta. Quindi ti farò sentire veramente in colpa. Andrai al bagno, dove aprirai il rubinetto e ti costringerai a vomitare. A volte passerai ore vomitando. Presto imparerai
che sono nel controllo. Mi amerai a tal punto che non racconterai a nessuno di me. Se
lo fai, corro il rischio di venire distrutta e non è questo che vuoi, no? Con il mio aiuto,
potrai apparire grandiosa esattamente come le tue modelle e attrici preferite. Potrai
sembrare migliore. Ora devo andarmene, ma pensami spesso. Pensami tutto il tempo!
Sono l’unica che vuole effettivamente farti sentire amata. Ricordatelo!>
Anna Amica, Clarissa Bruno, Vanessa Colucci
III A Liceo Classico
Emo, una moda occultata
Come è noto, la moda è una componente importante nella vita della
maggior parte delle persone. Tra tutti, però, quelli ad essere particolarmente influenzati sono i teenager che, attraversando un’età nella quale
la loro mente è più facilmente condizionabile, tendono a seguire i modelli proposti dai mass media, i principali indicatori di moda. Purtroppo
questi modelli finiscono, a volte, con diventare legge per i ragazzini,
che sono sempre più in balia del mondo dell’ “apparenza”. L´individuo,
quindi, annulla la propria personalità e preferisce omologarsi a ciò che
lo circonda e chi, d´altra parte, o per necessità o per scelta, non corrisponde a questi canoni, viene escluso dal gruppo. La moda, intesa come
abbigliamento, finisce per plasmare i pensieri e i modi di fare dei ragazzi, che perdono di vista il senso dei veri valori. È triste vedere come
la maggior parte degli adolescenti si trovi a suo agio in una società che
annulla la personalità del singolo e favorisce il formarsi di gruppi standardizzati, nei quali bisogna seguire “regole precise” riguardanti lo stile
che si adotta. Ciò, in particolare, riguarda un fenomeno di origine musicale dilagato in molti stati europei negli Stati Uniti (su cui ha indagato
qualche tempo fa anche il giornalista inglese del Times. Ma che vuol
dire? Leggendo la sua storia sull´enciclopedia libera wikipedia, si capisce che è soprattutto musica, ma definirlo come un semplice movimento
che prende le sue matrici dalla passione per uno stesso genere musicale
(hardcore/punck) sarebbe riduttivo e non ne chiarirebbe adeguatamente
il concetto. Si capisce dall´inchiesta di M. Kirisch che il mondo emo è
più complesso di ciò che i ragazzi emo stessi ci lasciano credere. È un
universo virtuale, che ha come punto di ritrovo principale le comunità
web. Qui i ragazzi parlano di musica, testi, ma si rivelano anche segreti
tristi, spesso riguardanti il suicidio. La faccenda però rimane misteriosa
anche per il Times. Ovviamente tutto risulterebbe molto più chiaro se
un emo si dichiarasse e spiegasse tutto, ma ciò è difficile, sembra quasi
che vogliano tenere all’oscuro i meccanismi del loro “mondo parallelo”.
Tuttavia, è necessario interessarsi alla faccenda, soprattutto da parte di
adolescenti e genitori, non fosse altro che emo, oltre ad “emo-zione”,
sta anche per “sangue”.
Ariella Fonsi, II B
Liceo Classico “G. Colosimo”
9
La vicenda di Sarah Scazzi
Si chiamava Sarah Scazzi la quindicenne
scomparsa il 26 agosto di quest’anno ad Avetrana
(Taranto) e poi ritrovata morta su indicazione dello zio (probabile omicida) nelle campagne circostanti. Ripercorriamone la triste vicenda, poiché si
tratta di un fatto di cronaca emblematico che tanto
(troppo..) ha interessato la stampa nazionale.
Fin dall’inizio i carabinieri non escludono che
possa essere stata rapita. Figlia di una casalinga e
di un muratore che lavora a Milano, ma che nei
giorni scorsi è tornato ad Avetrana per le ferie.
Aveva un fratello che lavora anche lui al Nord.
A quanto risulta ai carabinieri, che continuano ad
ascoltare parenti, amici e conoscenti di Sarah, la
quindicenne era una ragazzina solare, che aveva
amici e non avvertiva il bisogno di avere relazioni sentimentali . Anche Facebook si è mobilitata
per ritrovarla. Il tutto finché il corpo viene ritrovato nella notte tra il 6 e il 7 Ottobre, e si scopre in diretta a “Chi l’ha visto?” che la giovane
probabilmente è stata uccisa dallo zio, Michele
Misseri. La ragazza, prima della sua scomparsa,
avrebbe confidato alla cugina, Sabrina Misseri, di
aver ricevuto ripetute molestie da parte dello zio
Misseri. Nei giorni precedenti, Michele Misseri,
forse preso dai rimorsi, fece ritrovare il telefonino
di Sarah nei luoghi da lui sempre frequentati per
via del lavoro. Il cellulare venne fatto ritrovare
un mese dopo la sua scomparsa. Un cellulare che
non ha mai convinto gli inquirenti: il telefonino
era parzialmente bruciacchiato e privo di batteria
e di scheda sim. Un tentativo di depistaggio, da
parte dello zio, che, a tarda sera, è crollato durante un lungo interrogatorio davanti ai carabinieri.
Durante l’interrogatorio Misseri confessa : «L’ho
uccisa nel garage di casa, poi l’ho portata in campagna e ho sotterrato il corpo». E’ stato fermato
per omicidio volontario, sequestro di persona e
Un grido contro la violenza
La violenza contro le donne è un fenomeno
che coinvolge donne di ogni estrazione sociale
e di ogni livello culturale e provoca danni fisici
e gravi conseguenze sulla salute mentale. Oggi
se ne parla tanto, ma effettivamente che cos’è la
violenza? Comunemente si crede che la violenza
sia solo di tipo fisico, ma in realtà essa può manifestarsi in diversi modi: da quella fisica a quella
sessuale, da quella psicologica a quella economica, oppure manifestarsi come stalking (persecuzione). Raramente le donne denunciano gli abusi
subiti. Le donne aggredite provano paura, rabbia,
insicurezza, vergogna e al tempo stesso dolore per
la situazione che vivono, e perdono la propria autostima. Chi usa la violenza sulle donne, a volte,
è il datore di lavoro, un amico, il collega o l’insegnante, ma anche il compagno di classe oppure
uno sconosciuto. Non bisogna, però, dimenticare
una ricerca effettuata dall’Harvard University ripresa dall’ONU (2003), la quale afferma che la
prima causa di morte o di invalidità nel mondo
per le donne non è né la malattia, né la guerra,
né gli incidenti stradali, ma la violenza domestica
subita da parte del marito, del partner, del genitore e del figlio. Riguardo alle cause di tanto accanimento, che ha ripercussioni notevoli sull’integrità psicofisica della donna, ancora si discute.
Esistono delle differenze biochimiche e ormonali,
dei diversi livelli di testosterone e serotonina, e
una differente forza fisica tra i due sessi. La fisiologia è tuttavia la spiegazione meno attendibile dei comportamenti vessatori. Più importanti
appaiono i motivi culturali, come il prevalere del
maschio nelle società patriarcali, il quale monopolizza potere e conoscenza e tende ad escludere
le donne. L’Occidente ha conosciuto, negli ultimi
decenni, un cambiamento repentino e radicale di
ruoli e costumi. E’ possibile che il maschio occidentale viva un momento di disorientamento,
di crisi d’identità in cui sente il proprio secolare
e consuetudinario potere vacillare al cospetto di
donne sempre più autonome. Un potere che, al
contrario, nei paesi sottosviluppati si traduce in
azioni coatte, come l’accesso negato alle donne
in gran parte del mondo islamico, o riprovevoli
come la mutilazione ai genitali alle donne africane, in condizioni abominevoli, senza anestesia e
soprattutto su bambine anche in tenerissima età;
oppure le vedove arse in India o le donne lapidate.
Nel terzo mondo è più difficile raccogliere dati
precisi poiché la violenza sulla donna viene ritenuta una normale componente del tessuto culturale e non viene identificata come tale neppure dalle
sue vittime. Un gruppo di ricerca che investigava
in Kenia ha rilevato che il 72 % delle donne intervistate venivano picchiate regolarmente dal marito, pratica legale in questo Paese. Bisognerebbe
modificare le culture dove il maschio ha ancora
una posizione dominante e troppi privilegi da difendere. Compito non facile se non impossibile,
laddove c’è chiusura mentale e adesione totale ai
turpi dogmi della più vieta tradizione. Nelle società aperte e democratiche può essere fatto qualcosa sul piano della prevenzione, sensibilizzando
in particolare le nuove generazioni al problema ed
educando sin da bambini al rispetto della donna.
Anche quest’anno il 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulla donna, molte
sono state le politiche italiane a mobilitarsi. Basti
menzionare l’iniziativa contro la mutilazione dei
genitali del ministero per le pari opportunità ed il
discorso in ricordo delle sorelle dissidenti Mirabal, in occasione del cinquantesimo anniversario
della loro uccisione da parte del dittatore dominicano Trujillo, da parte dell’esponente radicale
Emma Bonino. La memoria di queste coraggiose
sorelle ci riempie di speranza e ci dà forza per
continuare a combattere per una società ugualitaria nella quale uomini e donne possano godere
degli stessi diritti. Kahlil Gibran scrisse : “Chi
prova pietà per la donna, la disprezza. Chi le attribuisce le colpe dei mali della società, la opprime.
Chi crede che la bontà di lei dipenda solo dalla
propria bontà e che la sua malvagità dipenda solo
dalla propria, è uno spudorato. Ma colui che accetta la donna come Dio l’ha fatta, le rende giustizia”. Chi si rende colpevole della violenza sulle
donne va punito severamente. E talvolta, in un secondo momento, qualora ne esistano le premesse,
va cercata una sua riabilitazione tramite una terapia psicologica appropriata. A volte, anche con i
mostri sono possibili i miracoli.
Angela Gencarelli VE
occultamento di cadavere. Il corpo è stato ritrovato nudo e in posizione fetale nel pozzetto nel
quale è stato gettato. La mamma di Sara, Concetta
Serrano, ha appreso delle ricerche del corpo della
figlia, mentre era in collegamento in diretta con il
programma di Rai 3 “Chi l’ha visto”. Una diretta
che avveniva proprio dalla casa dello zio. Oltre a
zio Michele, i militari hanno ascoltato anche le
dichiarazioni di sua moglie e della figlia maggiore
Valentina, sorella di Sabrina, la cugina che la quindicenne di Avetrana doveva incontrare per andare
al mare il 26 agosto scorso e nella casa della quale non è mai arrivata. Della quindicenne si hanno
notizie certe fino alle 14.30, quando Sarah esce
di casa; le tracce si perdono definitivamente alle
14.42, quando il cellulare di Sarah viene spento e
non sarà mai più riacceso. La mamma della giovane ha sempre pensato e detto che Sarah era stata
rapita. Misseri avrebbe aggredito la nipotina dopo
che lei, per l’ennesima volta, aveva rifiutato le
sue avances. Sarah, alla vigilia della scomparsa,
aveva cercato aiuto dalla cugina Sabrina, ma probabilmente, a causa delle confidenze che le fece,
sorse un litigio fra le due ragazze. Sabrina e le sue
dichiarazioni sono state al centro delle indagini
fin dall’inizio. Sabrina andò a parlare con il padre
di quanto le aveva detto la cuginetta. E proprio da
un’intercettazione di Sabrina, che diceva alla madre «tanto lo so che l’ha presa lui...», i carabinieri
di Taranto hanno tratto la certezza di essere sulla
pista giusta. Misseri, il 26 agosto, aveva avvicinato di nuovo la ragazza per costringerla a tacere.
Nei giorni successivi la cugina di Sarah Scazzi
sarebbe stata fermata perché ritenuta complice
nell’omicidio. Ora si trova in stato di fermo con
l’accusa di concorso in omicidio. Michele Misseri
non ha fatto tutto da solo. La posizione di Sabrina
si è trasformata da testimone in indagata. Ad incastrarla sarebbe stata un’intercettazione ambientale. La madre Cosima Serrano e la sorella Valentina le sono solidali, credono nella sua innocenza.
La ragazza, accusata dal padre di aver partecipato all’uccisione di Sarah, attirandola nel garage,
viene difesa a spada tratta dalla sorella Valentina
che la ritiene assolutamente innocente e accusa il
padre di voler uccidere anche Sabrina. Più passa
il tempo e più si delinea un quadro sempre più
ricco di particolari. Il movente della gelosia, che
avrebbe spinto Sabrina Misseri a uccidere la cugina Sarah Scazzi, prende sempre più corpo. Infatti, emerge un nuovo fondamentale dettaglio in
merito: l’interesse di Sabrina Misseri per Ivano,
amico di entrambe, rasentava l’ossessione. Sabrina è reclusa nella struttura penitenziaria femminile di Taranto dal 15 ottobre, in seguito alla
testimonianza del padre, con l’accusa di concorso
in omicidio ed occultamento del cadavere della
cugina Sarah Scazzi. Dall’ultima deposizione di
Michele Misseri, i campi di accusa si estendono
ad omicidio volontario. Mariangela, l’amica con
cui Sabrina Misseri e Sarah Scazzi dovevano andare al mare quel giorno, il 26 agosto, la cui testimonianza ha contribuito ad aggravare la posizione di Sabrina Misseri, ha mandato una lettera ad
una giornalista del Tg5, scusandosi di non poter
rilasciare interviste, ma esternando comunque il
suo pensiero. Nella lettera Mariangela ribadisce
la ricostruzione di quel giorno: “Sabrina era in
strada molto agitata. Mi è parso molto strano che
fosse già sulla strada e mi è apparso ancora più
strano che da subito lei mi abbia detto ‘L’hanno
presa’”. La quinta versione dei fatti descritta da
Michele Misseri, nella quale accusa la figlia di
aver partecipato attivamente all’omicidio di Sarah, risultò troppo precisa e puntuale per provenire da una persona confusa e di scarsa cultura
come lui. Anche l’ultimo faccia a faccia tra Michele Misseri e la figlia Sabrina, nel quale l’uomo
conferma le sue accuse, non ha affatto fugato tutti
i dubbi sulla dinamica degli avvenimenti di quel
26 agosto. Quando potremmo sapere la verità su
tutto questo? Per adesso il delitto Sarah Scazzi è
un caso aperto e pieno di misteri.
Antonietta Luzzi I B classico
10
Il tempo
delle farfalle
Il tempo delle farfalle racconta di una
famiglia che fuggì da Santo Domingo per
sfuggire all’oppressione del dittatore Tujillo.
A questa famiglia appartenevano tre giovani donne. Tutte caratterialmente differenti:
Minerva era molto acculturata e aveva una
volontà di ferro che le permetteva di portare
a termine gli obiettivi che voleva raggiungere; Patria, invece, era una devota e aveva il
gran sogno di diventare suora; infine abbiamo
Mariateresa, molto sensibile, morta giovanissima. Il dittatore di Santo Domingo aveva
raggiunto il potere assoluto in questo Paese,
portandolo alla miseria e al degrado totale.
Uccise tutti coloro che cercavano di opporsi,
ma le sue vittime preferite erano le ragazze,
che non uccideva, ma si divertiva stuprandole. Le sorelle Mirabal scoprono questa amara
realtà quando Minerva, invitata al palazzo di
Tujillo, si oppone alle avances del dittatore,
facendolo sfigurare in presenza di migliaia di
persone. Questo gesto costerà molto caro alla
famiglia Mirabal, con l’uccisione del capofamiglia. A quel tempo l’università era riservata
ai soli uomini, ma Minerva riesce ad ottenere il consenso da Tujillo per frequentarlo, il
dittatore accetta, ma arrivato il giorno della
laurea, non consegna l’attestato a Minerva.
Mentre frequenta l’università, Minerva incontra un gruppo di giovani che erano contro Tujillo, questa cosa la interessa molto e
quindi intraprende il cammino per fermare la
dittatura. Presto la affianca la sorella e vengono soprannominate “Farfalle”. Intanto si
sposano con due ragazzi del gruppo Manolo
e Leandro. Nel tentativo di nascondere delle
armi vengono arrestati e portati in due carceri differenti: le donne a “La 40” e gli uomini
al carcere di Puerto Plata. In questi carceri il
trattamento delle persone era da animali, infatti venivano nutrite con una fetta di pane e
un po’ di acqua sporca. Le donne riescono ad
essere scagionate e vanno a Puerto Plata per
far visita ai mariti ma, dopo la visita, vengono
condotte da delle guardie in un canneto e vengono uccise a bastonate. Questo film mette in
risalto un problema che persiste ancora oggi:
la violenza sulle donne.
Infatti, la violenza sulle donne oggi colpisce tutti i Paesi, industrializzati o no. Le vittime sono donne di tutte la classi sociali, dalla
più povera a quella più ricca. In molte nazioni
le donne vengono pestate persino a sangue,
nella maggior parte delle volte, dai loro compagni e in altri casi da un estraneo, senza dimenticare i parenti, anche quelli più stretti.
La violenza sulle donne ha maggior rilievo
nel terzo mondo, infatti picchiare le proprie
mogli è diventata un’abitudine, così come lo
stupro. In taluni casi le donne stesse sono favorevoli a subire stupri, in cambio di qualche
misero soldo; in altri casi sono le famiglie che
vendono le proprie figlie per darle, secondo
loro, una vita migliore. Questo problema ha
avuto rapido sviluppo a tal punto che oggi
non si riescono a trovare delle soluzioni. Per
risolverlo c’è bisogno anche del contributo
delle vittime della violenza, però questo aiuto
non è fornito anche per timore di un’altro atto
di molestie. Quindi, fino a quando non ci sarà
collaborazione, non si troverà la soluzione a
questo problema.
Marghella Pasquale II B
Recensione del libro Bruciata viva di Suad
“Nessuno può immaginare il dolore che si prova con il corpo in fiamme. Un dolore atroce e profondo che non si dimentica più”.
“Bruciata viva” è un libro-testimonianza di una
donna cisgiordana che ha raccontato la sua storia, per spezzare il
tabù del silenzio e dell’accettazione, per far conoscere la vita
che ha vissuto, non solo la sua,
ma di tutte quelle donne che come
lei hanno saputo ribellarsi all’ingiustizia. Suad è lo pseudonimo
di quella che è stata: una donna
che si è ribellata al proprio destino. Il libro si apre con una frase
molto significativa: “…Al mio
paese nascere donna è una maledizione”.
Basta solo leggere le prime
battute del libro per capire la situazione della donna in quei Paesi, come la Giordania, dove la
donna è solo a disposizione di un
unico uomo.
Nella famiglia di appartenenza prima del matrimonio, se qualcuno vede che la donna è sola
per strada, senza la madre o la sorella maggiore è
chiamata “charmuta”, e la famiglia è discriminata
da tutto il villaggio. Rimanere incinta prima del
matrimonio è stato lo ‘sbaglio’ della protagonista,
che ha pagato con dolore e sofferenza. Il cognato un giorno, insieme ai genitori di Suad, decide
di farla fuori bruciandola viva. E’ costato molto
a Suad, obbligata a portare sul suo viso una maschera, nonostante numerosi interventi sul corpo.
Nel momento più buio della sua vita, quando era
in ospedale in fin di vita, le viene incontro Jacqueline, che lavorava con la fondazione Surgir, che
aiuta le donne vittime di violenze e che si sono
ritrovate in un momento tragico della loro vita.
Dopo aver partorito, il bambino le viene portato via, ma grazie a Jacqueline, Suad e suo figlio
vengono portati in una famiglia in Europa fino a
quando Suad comincia ad avere una vita propria
e si allontana per vergogna da suo figlio. Diventa
una donna matura e felice, ma sempre con una
grande ferita che porta nel cuore e sul corpo. Si
sposa e ha due figlie che vengono a sapere fin da
subito di avere un fratello, Maruan, “il figlio della
colpa”, ma il destino vuole che i
due s’incontrino e che la loro vita
vada avanti insieme.
Questa storia si conclude con
un lieto fine, ma molte donne sono
rimaste vittime di queste violenze. Il libro fa notare la grande differenza tra la donna che vive in
Europa e quella che vive in Asia.
Basti pensare all’abbigliamento,
allo stile di vita, all’istruzione e
alla posizione nel mondo del lavoro. Sono tutti fattori che fanno
sì che la donna possa essere più
libera. La cultura è forse l’elemento più importante, perché gli
atteggiamenti della donna in Europa non vengono discriminati e
in altri Paesi vengono puniti con
la morte.
Non conta in quale paese si trovi una donna,
l’unica cosa che conta è l’essere donna. La violenza sulle donne è sempre più frequente e spesso
si è indifferenti fino a quando non accade a una
persona vicina, a quel punto ci si rende conto che
non è una fantasia ma una realtà. Non ci sono distinzioni d’età e di classe sociale.
Spesso la donna si vergogna della realtà in cui
si trova e spesso dà false verità nel momento in
cui un uomo le infligge una violenza. Ogni donna
crede di non farcela senza un uomo accanto, ma
non è cosi, perché ci sono testimonianze di molte
donne cha hanno saputo riprendersi la propria vita
senza rimpianti. Ogni donna si fa delle domande
alle quali spesso non si può rispondere; quella a
cui non si può rispondere è: “Qual è il giorno in
cui tutte le donne saranno libere nel vero senso
della parola e quando gli uomini capiranno che la
violenza sulla donne è una loro debolezza e non
una loro forza”?
Vuono Giovanna classe II C
La violenza
sulle donne
mente inutili tutte le iniziative che si fanno partire
contro la violenza, lo stalking.
A mio avviso il problema non è solo questo; il
fatto è che molti aggressori (se non TUTTI) non
vengono debitamente puniti dalla giustizia italiana o, addirittura, ottengono gli arresti domiciliari
(che sono inutili visto che, se l’uomo è a piede
libero, può prendere una qualsiasi donna e rifare
ciò per cui doveva essere punito).
Un’altra cosa orribile è che non subiscono
violenze solo donne adulte, bensì anche bambine
che, indifese e fragili, devono sottostare ai soprusi e alle attenzioni morbose di esseri a dir poco
mostruosi.
Il punto è che se una persona è onesta e corretta, se il suo animo è “nobile”, non penserebbe
mai di alzare le mani contro una donna. Diversamente, purtroppo, anche un gesto “involontario” può avere cause tragiche. Ne è un esempio
il ventenne che, dopo una lite per motivi futili,
sferrò un pugno contro un’infermiera trentaduenne, uccidendola. La cosa ovvia è che non voleva
di certo ucciderla, ma si può tirare un pugno ad
una donna solo perché questa aveva scavalcato la
fila? Non credo proprio. Resta comunque il fatto
che un omicida (perché di omicida si tratta) sia
attualmente agli arresti domiciliari ed è una cosa
di cui la giustizia italiana si dovrebbe VERGOGNARE.
Viteritti Rita classe II C
Essendo una ragazza, questa tematica mi sta
molto a cuore. Odio ascoltare notizie al telegiornale riguardanti uomini che maltrattano le donne perché significa che gli uomini, la maggior
parte delle volte, sono fortemente maschilisti e
di conseguenza si sentono superiori. Non è così.
Noi donne spesso crediamo che loro abbiano un
animo mostruoso proprio per gli atteggiamenti
che traspaiono attraverso le notizie quotidiane e,
a volte, questo ci lascia credere di essere il genere più sensibile. E’ vero che anche delle donne
commettono reati terribili, ma noi non avremmo
mai la forza necessaria per opporci ad un uomo.
Credo che questo problema sia una vera e propria piaga, non solo nel nostro Paese, ma anche
in tutto il resto del mondo. La cosa peggiore è
che sono poche le donne che reagiscono, o comunque, denunciano il fatto. Tante, troppe donne tengono nascosta la violenza subita, non sapendo che così si peggiora soltanto la situazione;
bisogna trovare la forza di opporsi a questa dura
realtà che ci colpisce.
Le donne, spesso, tendono a non fidarsi di
nessuno e non dovrebbe affatto essere così. Dovremmo avere intorno a noi un clima di serenità
e fiducia e non di crudeltà, altrimenti sono total-
Scuola in rivolta
L’università sui tetti
Contro la riforma Gelmini gli studenti tornano
a manifestare sui tetti, in cortei, o di nuovo occupando simbolicamente monumenti per rivendicare la libertà all’università pubblica. Da nord a sud
ci sono sempre nuove proteste: lezioni sui tetti a
Roma, manifestazioni a Torino, Pavia, Palermo;
occupata la Normale di Pisa; a Perugia studenti
incatenati per qualche ora alla Fontana Maggiore.
Questa riforma rischia di impedire le crescite
di futuri talenti. Tutto il Paese non tollera più le
illusioni, le menzogne del nostro Presidente del
Consiglio. Non si può più raccontare una storia
diversa dalla realtà. Siamo al dunque: si gioca il
futuro dell’Italia.
Questo governo sta togliendo la speranza, la
possibilità di studiare, di crescere. La protesta è
La protesta è arrivata anche a Ginevra, dove un
gruppo di ricercatori, studenti e dottorandi italiani che lavorano al CERN, uno dei più grandi
laboratori di fisica nucleare, è salito sul tetto del
building all’amministrazione centrale in “difesa”
di maggiori diritti. In un appello al presidente
della Repubblica Giorgio Napolitano, ricercatori,
docenti, studenti e precari in tutta Italia chiedono al capo dello Stato di “fermare questo atto che
produrrà danni difficilmente reversibili”. Intanto
il ministro dell’Istruzione, Maria Stella Gelmini,
critica la scelta di alcuni leader politici, tra cui il
segretario del Partito Democratico, Pierluigi Bersani, di salire sui tetti della Facoltà insieme agli
studenti. “In questo modo si legittimano gli eccessi” ha detto il ministro. Dobbiamo ammettere
che questa riforma è “una presa per i fondelli”.
Lo ha capito tutto il mondo delle scuole, che in
questi giorni sta dando vita ad una “pacifica” rivolta. Il fatto che meraviglia di più è che nessuno
in Parlamento prova a cambiare sul serio le cose.
un iniziativa giusta e pienamente condivisibile.
Le coscienze di noi giovani si ribellano al tentativo di tagliare ancora la formazione, l’università,
non vogliamo diventare invisibili.
E’ una grande battaglia che merita sostegno e
solidarietà. Si arriva a questi scontri sociali perché il Paese non discute più di problemi reali, di
lavoratori, di studenti, delle famiglie. Non ci danno nemmeno lo spazio per confrontarci. Il governo va avanti senza ascoltare nessuno, senza esaminare le ragioni degli altri.  La rappresentazione
della realtà è una finzione, è falsa, come si vede
nei tg e su certi giornali. Le lotte di questi giorni,
sui monumenti, sulle gru, gli scioperi della fame
sono un messaggio chiaro: i lavoratori, i cittadini
si mettono in gioco in prima persona per difendere il diritto al lavoro e allo studio.
Bisogna rispettare queste persone ed è grave
che certe istituzioni alimentino minacce di fronte
alle proteste sociali.
Antonello Palummo VE
11
DALLA PRIMA PAGINA
Occupazione
del Liceo
giudizi nella scuola primaria; aumento della
durata dei libri di testo, per non parlare del
notevole aumento delle tasse universitarie. Si
tratta, in gran parte, di una restaurazione che,
come tutti i tentativi di discutibile ritorno al
passato, non riscuote simpatie né tra gli studenti né tra gli insegnanti e nemmeno nelle
famiglie.
Per quanto riguarda l’università, sembra
che l’intervento governativo tagli le gambe
alla ricerca scientifica, un’attività fondamentale per promuovere lo sviluppo economico e
il progresso della nazione, per vincere nella
competizione internazionale. Il decreto messo a punto dal ministro Gelmini (o, se volete, Tremonti!) appare a molti come un forte
tentativo di togliere ossigeno all’istruzione
pubblica per promuovere le scuole private,
con il rischio di discriminare gli studenti in
base al ceto sociale. Indubbiamente la scuola,
oggi, non gode di buona salute. Le classifiche
internazionali, che misurano la preparazione
degli studenti, collocano la scuola italiana
agli ultimi posti tra i Paesi sviluppati.
Per questi motivi, studenti e professori
sono scesi in massa nelle piazze per rendere
esplicita la protesta. Alcuni esempi. A Pavia
studenti e dottorandi hanno occupato le aule e
chiesto a gran voce un colloquio con il rettore, mentre a Pisa l’attività didattica è stata interrotta su indicazione del Senato accademico per consentire la massima partecipazione
possibile all’assemblea di ateneo. A Salerno
sono saliti sul tetto del rettorato dell’Università. La facoltà di Lettere di Palermo è stata
occupata al termine di un’assemblea straordinaria degli studenti. Ci sono state manifestazioni pacifiche e variopinte. Alcuni istituti
sono stati occupati e purtroppo abbiamo assistito anche a violenti e riprovevoli scontri
fisici tra opposte fazioni. Ma, a parte questi
casi sporadici, la protesta degli studenti ha incontrato il consenso pressoché totale da parte
della popolazione. Era davvero emblematico
vedere i giovani manifestare incoraggiati dai
cittadini plaudenti. Le ragioni della contestazione studentesca sono d’altronde comprensibili. Attualmente i giovani si affacciano a
un futuro di precarietà, che angoscia e rende impossibile loro formulare un progetto di
vita.
La nostra occupazione del liceo è stata
pacifica e civile. E’ stato un momento molto
importante del nostro iter da studenti. Ci ha
permesso di parlare, di confrontarci, di capire. In una parola, di “crescere”. Ci siamo confrontati anche con studenti altre parti della
provincia e della stessa Università della Calabria. Vorrei rivolgere un saluto affettuoso e un
ringraziamento a tutti coloro che hanno reso
possibile questa protesta: “Cari amici, come
certamente sapete, abbiamo colto il risultato
auspicato, ovvero far sentire la nostra voce.
Siamo solo all’inizio di una difficile e lunga
battaglia, so benissimo che la nostra protesta
rappresenta una piccola goccia, ma tante piccole gocce formano un mare... E allora noi,
come tante piccole gocce, cerchiamo di formare un mare capace di abbattere gli scogli
che si frappongono fra di noi ed il nostro diritto alla scuola!”. Un ringraziamento al Dirigente Scolastico, prof. Pietro Maradei, che
ci ha appoggiato ed ha saputo comprendere
la valenza civile e pedagogica dell’iniziativa.
Cristiano Lifrieri VE
12
Scuola in rivolta
Lo spirito dell’occupazione
Il fatto che il Ministro della Pubblica Istruzione abbia licenziato, tra il 2008 e il 2010, circa
100.000 insegnanti, a causa del taglio di miliardi
di euro effettuato ai danni della scuola pubblica,
ha lasciato molti indifferenti. È successo che numerosi studenti si siano opposti alle più basilari
forme di protesta, a causa della sempreverde scusa “tanto lo si fa solo per non entrare a scuola”.
Queste persone danno per scontato che qualsiasi
forma di sciopero sia negativa. Varrebbe la pena
ricordargli come si sia combattuto e quanta gente
sia morta per la conquista di un diritto inalienabile
che è alla base della società odierna; ho l’impressione che abbiano orrore delle forme di sciopero
e di tutto quel che possa turbare il quieto vivere. Ed è una cosa molto triste, spia di una visione
davvero ristretta delle cose... Come paragone mi
viene in mente il Puritanesimo e quel suo codice
morale soffocante per la libertà individuale e per
una società civile (e credo sia inutile sottolineare
quale sia l’istituzione che fin da bambini ci indirizza verso questa visione del mondo).
Quello che voglio rimarcare, e che molti non
afferrano, è che tagli simili alla scuola italiana avrebbero dovuto portare a forme di protesta
estremamente più incisive: ora non ce ne rendiamo conto, ma i fondi a disposizione delle scuola,
già estremamente bassi, sono ridicoli. E avremmo
dovuto lottare molto più a lungo e con più tenacia
per evitare quella che potrebbe essere definita una
catastrofe per il Paese. E non sto esagerando; la
vediamo come una cosa lontana, ma vi assicuro
che è estremamente reale, e gli effetti non tarderanno a manifestarsi, prima sul piano prettamente
scolastico, poi su tutto il Paese, sulle industrie,
sullo sviluppo generale. Insomma, guardatevi
attorno: tutto quello che vedete, tutto quello che
rende così alto il nostro livello di vita lo si deve
alla ricerca, alla scienza prima e all’ingegneria
poi. Come si può anche solo pensare di fare un
taglio così pesante a un settore così vitale? Vuol
dire non guardare al di là del proprio naso, vuol
dire sminuire il ruolo della ricerca solo perché
non porta risultati immediati né effetti tangibili
nel breve periodo. Ma risulta determinante, alla
fine.
Le critiche che sono state mosse all’occupa-
zione organizzata nel nostro liceo si rivelano quindi infondate. È vero che
avremmo dovuto scegliere
un momento migliore, per
coordinarci alle altre scuole
italiane, ma non è stata una
cosa del tutto estemporanea;
tant’è vero che il rappresentante dell’università, venuto
giovedì 11 novembre, ha incoraggiato l’iniziativa e ha
addirittura proposto di allungarne la durata.
Lo spirito sotteso all’occupazione era di protestare
contro un’irrazionale taglio
al settore scolastico, scegliendo una forma di protesta più vigorosa del normale,
per sottolineare la gravità
della situazione; cosa che, mi
fa piacere dirlo, è riuscita, grazie alla partecipazione degli studenti, anche se mi sarebbe piaciuto
vedere l’adesione dei professori, dato che in fondo la riforma colpisce loro per primi.
Ma non è sufficiente. Ci sarebbe dovuta essere
un’adesione maggiore; in fondo, chi può evitare
di essere contrario alla riforma Gelmini? È evidente che c’è stato una sostanziale superficialità
da parte di molti, come se la cosa non ci riguardasse. Ed è assurdo. Ma è possibile un disinteresse tale da portare molti studenti a distaccarsi
da qualsiasi forma di ragionamento (perché una
protesta è ragionamento)? Cos’è che ci impedisce
di interessarci a cose un po’ più importanti? Non
dico di partecipare attivamente a ogni discussione, solo che, rispetto a cose che incidono sul
nostro futuro in maniera così determinante, tutti
dobbiamo fare la nostra parte, e non essere così
totalmente apatici.
Questo articolo vuole essere una provocazione e un’esortazione a partecipare di più alla vita
scolastica, in modi che vanno al di là del semplice
studio.
Antonio Polino IV C
Scuola in rivolta
“LA LOTTA FA SCUOLA”
“Contro questa scuola dei padroni, dieci, cento, mille occupazioni!”
Poco importa se c’è chi fa uso strumentale della collocazione politica degli studenti per aprire
in anticipo una campagna elettorale reale ed apparente insieme. Futili sono tali tentativi di sabotaggio quando una intera comunità studentesca inizia
a sentire sulla propria pelle il peso della perdita
della libertà e le conseguenza nefaste di un’incipiente dittatura.
“Ci vogliono ignoranti, ci avranno ribelli!”. Su
questo principio si basa il processo “controriformista” avviato da noi studenti del liceo classico
contro il tentativo, da parte di questo governo, di
averci ignoranti, e quindi più facilmente controllabili. Gli unici mezzi di autodifesa che abbiamo
a nostra disposizione sono le ore di scuola che suscitano in noi l’affermazione di un nuovo, forte
senso critico. Ed è da questa stessa necessità che
nasce oggi, di nuovo, dopo più di quarant’anni,
un’aggregazione studentesca spontanea, un nuovo movimento, chiaro, lineare ed univoco: vogliamo essere capaci di decidere per il nostro futuro
e vogliamo esserne artefici. Importante è stata
l’adesione, anche se in tempo non più direttamente utile, al movimento partito dal “Colosimo”,
da parte del Liceo scientifico, del Professionale
ed, infine, della Ragioneria. Importante è stato il
rafforzamento della posizione sostenuta da tutte
le scuole della provincia, ottenuto grazie all’adesione degli istituti coriglianesi a tale iniziativa di
sensibilizzazione. Fastidioso è stato sentirci dire
che “è stato inutile occupare” quando, in realtà,
si è contribuito in modo concreto all’implemento
della statistica provinciale delle occupazioni, che
risultano, ad oggi, essere state attuate nella stragrande maggioranza degli istituti. Tale statistica
sarà utile, nel Consiglio Nazionale dei Presidenti
delle Consulte, per il rafforzamento di una posizione politica vicina alla promulgazione di “leggi
tampone”, volte ad arginare i decreti costituenti
la cosiddetta “riforma Gelmini” ed un tentativo
di veto all’approvazione del “DDL APREA”, che
andrebbe a rendere l’istruzione un servizio affi-
Pre-OCCUPIAMOCI...!
E’ un periodo d’instabilità per l’intero ordine scolastico. Il 2000, che sembrava essere
un’epoca di grandi cambiamenti, ha portato
all’instabilità delle componenti sociali di un intero Paese. Non si ha una giusta misura della
sua portata e la crisi, che su ogni fronte si fa
sentire, va colmata. La si potrebbe ridurre in
molti modi, ma non di certo lasciando che la
si colmi andando a tagliare i fondi per l’istruzione. Ecco perché nasce il risentimento degli
studenti, di noi studenti, che vediamo negato un
diritto così elementare che non dovrebbe neanche essere rivendicato. E’ giusto dover pagare
abbondanti tasse per poter conseguire una laurea e togliere risorse alla ricerca? E’ una situazione che riguarda in modo particolare anche
noi liceali, futuri universitari. Tutti i giovani dovrebbero avere la possibilità di accedere al mondo
dell’istruzione in tutti i suoi livelli, come sancisce la Costituzione, ma purtroppo in una società
precaria come la nostra non a tutti è possibile. E’
triste questa situazione, dovrebbe essere lo Stato
stesso ad incentivare i giovani allo studio, eppure
non è così. Questo meccanismo non può far altro
che allontanare il giovane dallo studio. Potremmo
ritrovarci, a lungo andare, in una società in cui
l’ignoranza potrebbe prendere il sopravvento.
E’ proprio per questo che il Liceo Scientifico
“Fortunato Bruno”, dopo un’accurata riflessione,
ha deciso di occupare! Eravamo consapevoli di
non poter ottenere niente di concreto, ma nel nostro piccolo abbiamo voluto far sentire la nostra
13
dato a privati e non più pubblico, volto quindi al
puro profitto e non ai contenuti. È triste pensare
di regredire ad una società feudo-medievale in
cui l’istruzione ed il diritto allo studio sono un
privilegio di coloro i quali hanno una buona collocazione economica mentre resterebbero un sogno per le persone di estrazione sociale più umile.
Inammissibile sarebbe accettare una posizione
che, come questa, ci impedirebbe un accesso al
mondo del lavoro, che già oggi risulta più difficile
che un accesso in paradiso. Iniziative del genere sono e devono continuare ad essere manifesto
della nostra generazione, “una generazione di sogni, conflitti e rivoluzioni”.
Francesco Amendola, Marco Vercillo
III A Liceo Classico “G. Colosimo”
voce, una voce che non ha fatto la differenza a
livello nazionale, ma che è bastata ad esprimere
il nostro dissenso ad una legge sconcertante sotto il profilo scolastico. Quella dell’occupazione
è stata un’esperienza intensa, sono stati cinque
giorni in cui tutti noi studenti abbiamo vissuto
la scuola sotto un altro aspetto. L’organizzazione, che in quei giorni ha saputo gestire un intero
istituto, è stata fondamentale: ogni singolo studente ha dimostrato di essere maturo facendo
proseguire così l’ordinaria esecuzione di questa
manifestazione. La nostra è stata una protesta
civile in cui la compostezza della situazione era
sempre sotto controllo. In quei giorni è avvenuto per noi qualcosa di veramente costruttivo: è stata, infatti, una manifestazione che, nei
vari momenti in cui si è articolata, attraverso
varie assemblee ed incontri, come quello col
vice presidente del consiglio degli studenti
dell’UNICAL, Alfonso Rugna, ci ha permesso
ancor più di dialogare e di informarci. Ci siamo
sentiti più motivati a protestare, con cognizione
di causa, contro una legge che riteniamo possa ostacolare la vita scolastica di noi studenti,
che, com’è giusto che sia, abbiamo importanti
aspettative per il nostro futuro ma assistiamo
impotenti ai tentativi di tarparci le ali. Cinque
giorni per poter stare in una scuola sono comunque tanti e così si trascorreva il tempo con un
salutare divertimento caratterizzato da tornei di
calcio, pallavolo, canti o semplicemente da una
chiacchierata tra amici. Era strano poter vivere
la scuola in qualsiasi ora, era come fossimo a
casa nostra e come ognuno fa con la propria
casa abbiamo cercato al meglio di prendercene
cura. Alla fine di questa esperienza siamo soddisfatti della riuscita e speriamo che qualcosa
possa davvero smuoversi: soprattutto che si
trovi stabilità all’interno del nostro Paese e che
la classe politica mediti per una riforma scolastica migliore poiché la scuola e la cultura non
devono essere toccate in quanto sono i fondamenti dell’intero tessuto sociale.
Domenica Rizzuti IIIB
14
Scuola in rivolta
La storia della scuola
“Ciò che differenzia l’uomo dall’animale è la ragione”. Questo è il pensiero dei primi filosofi greci che, dopo aver elaborato le proprie dottrine,
iniziarono a creare i primi modelli di scuola. Possiamo affermare che la
prima scuola italiana fu quella Pitagorica a Crotone. Questo fu solo il punto
di partenza di una grande “struttura” che non trova mai fine e che, attraverso
i vari secoli, si trasforma. Passa dalle mani della chiesa (nel Medioevo) a
quelle della politica (nel Settecento), da privata diviene pubblica, e da facoltativa obbligatoria.
La prima vera riforma per la scuola italiana fu attuata nel 1859 con la legge
Casati. Infatti, alla vigilia dell’unificazione d’Italia, i piemontesi espressero
così la loro politica di libertà, dividendo la scuola elementare in due bienni,
di cui il primo obbligatorio, creando il ginnasio (a pagamento) e la scuola
tecnica. L’Ottocento si chiude con altre due leggi emanate da Coppino e da
Garibaldi, che modificarono la scuola nei suoi punti essenziali, portando le
elementari a cinque anni con il primo triennio obbligatorio e esplicitando la
richiesta di “lezioni di cose” durante l’anno scolastico. Nei primi anni del
Novecento le cose sembrano andare benissimo; l’analfabetismo diminuisce
e, per la prima volta, l’Italia presenta il problema della disoccupazione intellettuale. La borghesia, però, inizia ad avere un po’di timore per un eventuale
rinnovamento delle classi. Le prime leggi del Novecento sono quelle di Orlando e Daneo-Credaro. Esse impongono ai comuni di istituire scuole fino
alla quarta classe e di provvedere all’istruzione dei figli delle famiglie disagiate. In questo periodo, però, il tema centrale è se bisogna creare un corso
intermedio tra la scuola elementare e il ginnasio (ovvero la scuola media).
Nel 1922 il filosofo Giovanni Gentile diventa Ministro della
Pubblica Istruzione sotto il governo di Mussolini. Nel 1923 la sua
riforma modifica la scuola profondamente: la scuola elementare,
resa obbligatoria con iscrizioni per anno di nascita, dura per un
quinquennio, appunto dai sei ai dieci anni dell’alunno; segue un
grado successivo di scuola (“media inferiore”) che dura tre anni, e
quella secondaria, che può durare dai tre ai quattro anni in base al
tipo di scuola. La riforma porta l’obbligo di studio fino a 14 anni,
crea i rimandi estivi e i programmi delle elementari, che ancora
oggi sono gli stessi e cosa molto importante inserisce l’obbligo di
studio della religione cattolica. Nel 1928 nasce con il ministro Belluzzo la scuola di avviamento professionale al posto della scuola
media e superiore per chi vuole immettersi subito nel mondo del
lavoro. Nel 1939, all’inizio della seconda guerra mondiale, viene
emanata la legge Bottai che rimane, però, solo sulla carta tranne
per la creazione definitiva della scuola media e l’unificazione di
tutti i bienni delle scuole superiori. Nel 1945, verso la fine della
seconda guerra mondiale la Sicilia, già libera, cerca di rifondare
la repubblica con l’aiuto di qualche inglese. Gli inglesi proponevano una scuola avanzata, moderna, aperta alle novità e senza la
religione cattolica. Il popolo cattolico si rivoltò e chiese di avere
un proprio rappresentante nella commissione incaricata di redigere
le leggi. Si arrivo ad compromesso e si ottennero dei programmi
molto avanzati.
Nasce la Costituzione e la scuola vi entra dentro, e viene dichiarata pubblica, gratuita e obbligatoria per almeno otto anni. Non si modifica la struttura scolastica, che rimane con la scuola elementare alla base, al centro la
scuola media e di avviamento professionale e solo dopo la scuola media,
durante la quale si era studiato il latino, si poteva accedere ai licei o senza
il latino agli altri istituti. Bisognerà aspettare il 1962 per vedere una nuova
riforma scolastica sulla carta. Questo è l’anno della fine per la scuola di
avviamento professionale e la creazione della scuola media unificata che
dà l’accesso a ogni scuola superiore. Vengono introdotte le classi miste e
rimane come punto interrogativo solo la questione del latino, facoltativo
all’ultimo anno di scuola media. Nel 1968 viene istituita la scuola materna,
ma solo l’anno seguente, il 1969, porterà una vera ventata di aria fresca con
la liberalizzazione delle università e le modifiche sull’esame di maturità.
Infatti finora solo gli studenti del liceo classico potevano accedere a tutte le
università. L’esame di maturità, invece, viene suddiviso in due prove scritte,
una di italiano ed una specifica del tipo di scuola scelta, e una prova orale
su due materie scelte dallo Stato fra un gruppo di quattro già anticipate. I
docenti che devono giudicare l’alunno sono tutti esterni tranne uno. Gli anni
Settanta rappresentano un fallimento dal punto di vista delle riforme, ma una
conquista dei diritti da parte degli studenti e dei genitori. La riforma della
scuola secondaria fallisce e nel 1974 nascono i rappresentanti dei genitori
e degli studenti con i Decreti delegati. Fanno la loro prima comparsa gli
insegnanti di sostegno per i ragazzi con handicap e vengono tolti gli esami
di riparazione alle medie. L’unica riforma è quella del 1979, che elimina il
latino dalla scuola media. Si cerca di far sparire la “selezione classista” che,
però, durerà ancora nel tempo.
Gli anni Ottanta e Novanta rinnovano i programmi della scuola. Negli
istituti tecnici, ma soprattutto nei licei, entrano i Programmi Brocca. Aumentano i professori, divisi per disciplina e nascono anche i programmi per
la scuola elementare e gli orientamenti di quella materna. Nel 1996 diventa
ministro della pubblica istruzione Luigi Berlinguer, l’ex-rettore dell’università di Siena. Berlinguer decide di proporre un modello della scuola quasi
americano, organizzandola in due cicli, ma la riforma non verrà mai approvata. Nel 1997 viene, attraverso una legge, cambiato il punteggio da sessantesimi a centesimi dell’esame di maturità e introdotto il credito formativo
nella scuola superiore e per l’esame di maturità verrà anche stabilito che la
commissione sia interna e solo il presidente esterno. Per avere una nuova
riforma passeranno quasi 10 anni, arrivando così al 2006 con la riforma
Fioroni. Essa porta un irrigidimento dell’esame di maturità, che si chiamerà
d’ora in poi Esame di Stato e chi avrà debiti formativi non vi potrà accedere.
L’obbligo di frequenza sarà portato a 16 anni e il biennio delle scuole superiori sarà unitario. Il 4 Agosto 2006, per la prima volta nella storia della Repubblica, ci fu una riforma scolastica mandata alla camera dal popolo, dopo
aver raccolto oltre 100.000 firme. Il ministro Fioroni ha, inoltre, reintrodotto
i rimandi estivi.
Arriviamo ad oggi col decreto proposto dal ministro Gelmini, che tocca
tutti gli ordini scolastici, ma soprattutto il nostro futuro, dunque l’università.
Reintroduce il maestro unico nelle scuole elementari e la valutazione decimale in tutti gli ordini. Abolisce le ore da 50 minuti, ma soprattutto toglie
fondi all’Università con un bel -85% sulle borse di studio e un aumento
pazzesco delle tasse di iscrizione e mensili. E’ vero che la scuola italiana è
una delle più arretrate d’Europa, non per questo, però, in un periodo di crisi,
invece che aiutare le famiglie a sostenere le spese, se ne devono imporre
di più. Si parla tanto di scuola meritocratica, ma, più che meritocratica, sta
diventando scuola d’èlite.
Buonocore Gregorio classe 3A
Bloccare le scuole per
liberare il futuro
Bloccare le scuole per liberare il futuro, quel futuro incerto che oggi
noi studenti non riusciamo chiaramente a vedere a causa dei tagli alla
scuola attuati dalla Riforma Gelmini, riforma che mira a privatizzare la
scuola pubblica, ignorando quelle migliaia di ragazzi che ogni giorno
scendono in piazza per opporsi ad un sistema malato, incapace di dare
una risposta concreta alla crisi da questo stesso provocata.
È stato normale, se non scontato, per noi ragazzi domandarci perché
in un momento di crisi come quello attuale le politiche europee hanno
approntato degli interventi di sostegno verso la scuola e la ricerca, mentre in Italia si procede in direzione ostinata e contraria, tagliando quel
che già sono le esili risorse dell’istruzione, incentivando a discapito di
questa gli istituti privati. Forse perché quel governo che dovrebbe garantirci un futuro dignitoso è troppo impegnato a nascondere il degrado
sociale, politico e culturale del nostro Paese. Per questo, noi studenti del
Liceo Classico “G. Colosimo” abbiamo occupato l’istituto nei giorni
28, 29, 30 ottobre. Occupare per dare un segnale, un segnale compatto,
per far capire che anche gli studenti della provincia di Cosenza hanno
voglia di combattere, di resistere; anche noi non ci stiamo, anche noi
lottiamo per il nostro futuro. Pretendiamo che il governo investa sulla
scuola, sui giovani, perché è solo investendo sull’istruzione che il paese
può pensare di avere un futuro migliore.
Gianfranco Costa, Roberta Durante II B
Liceo Classico “G. Colosimo”
Scuola in rivolta
15
Ci hanno abbandonati! Parole, parole, parole..
Purtroppo è passato tanto tempo da quella bella mattinata di sole, quando
noi alunni del liceo classico di Corigliano scioperammo dinanzi alla porta
comunale per ottenere una nuova struttura,una scuola degna di tale nome!
In quella circostanza intervennero tante facce conosciute nell’ambiente politico cittadino, le loro parole non erano più che tranquillizzanti. Frasi del
tipo: ‘’La faremo! Tranquilli, ragazzi, è un vostro diritto!’’ Solo ora, purtroppo, scrivendo questo articoletto sul giornalino della nostra ormai fatiscente scuola, mi accorgo che quelle parole contenevano solo falsità e che il
loro contenuto non poteva colmare la nostra rabbia, quella dovuta al fatto di
non poter avere una nuova struttura scolastica. Sarebbe bello, molto bello se
Corigliano un giorno potesse disporre di una struttura scolastica adeguata,
sarebbe davvero qualcosa di positivo nella nostra città visto che, ultimamente, si parla solo di mafia, un fenomeno molto negativo che purtroppo ci
rappresenta in Italia e non solo. Le stiamo tentando tutte, noi alunni di questa ‘’scuola’’: occupazioni, manifestazioni… ma nessuno ci dà retta. Tutti
scomparsi, nessuno che si fa più avanti o, meglio, nessuno che si interessa di
noi alunni vittime di promesse mai mantenute.
In questi ultimi giorni in a dire il vero qualcuno si è rifatto vivo, dicendo
nuovamente che la scuola sarà edificata. Sono sicuro che tanti, se non molti,
compagni di studio la penseranno come me: SE NON VEDO NON CREDO! Sì, perché ci state prendendo in giro, non ci fidiamo più di voi, politici
incapaci di dirigere determinate cariche! All’inizio si stava muovendo qualcosa, proprio quel qualcosa che ci faceva ben sperare, ma poi un silenzio
totale che è durato fino a pochi giorni fa, fin quando noi studenti stanchi
abbiamo deciso di occupare la nostra scuola stessa. A fine novembre il Consiglio Comunale ha approvato il perfezionamento della variante al PRG e
la Cassa Depositi e Prestiti ha concesso oltre 2 milioni e mezzo di euro; si
attende il parere, determinante, del Genio Civile. Staremo a vedere!
Ragazzi, non scoraggiamoci, la speranza è l’ultima a morire…
Simone Trebisonda Classe I A
Liceo Classico “G. Colosimo”
Eh sì! Volendo parlare delle promesse delle autorità politiche competenti,
è giusto rifarsi alle parole di una famosa canzone di Mina: non sono state
altro, appunto, che “parole, parole, parole”.. Difatti, oggetto delle nostre diverse proteste, alle quali sono giunte solo promesse messe a tacere dal tempo, da un po’ di anni a questa parte, è la costruzione di una nuova sede per il
Liceo Classico G. Colosimo, dagli scettici considerata un’utopia. Purtroppo
è da molto tempo, ormai, che l’attuale struttura non risponde più a quelli che
sono i principi di una struttura funzionante: fili elettrici scoperti, arretratezza
dal punto di vista laboratoriale sia scientifico che tecnologico, scarsa attrezzatura per svolgere adeguatamente educazione fisica, classi umide e/o piccole, e, quel che è più preoccupante, numerose crepe nelle colonne portanti
che metterebbero a rischio la nostra incolumità; questa è la dimostrazione di
come il Liceo Classico sia caduto sempre di più nel dimenticatoio generale.
Quel che ci conforta, però, è il vedere come tutti gli studenti partecipino alle manifestazioni, non ultima l’occupazione dell’edificio, specie delle
prime nuove liceo – 4° ginnasio prima della riforma Gelmini – che hanno
preso a cuore la questione. E questo è molto importante perché tutti insieme
possiamo! Questo nostro “alzare la voce”, finalmente, ha suscitato un po’
di scompiglio, proprio come volevamo: in data giovedì 25 novembre 2010,
infatti, è stato ospitato Giuseppe Giudiceandrea, presidente commissione
consiliare edilizia scolastica della provincia di Cosenza, venuto a fornirci
delucidazioni riguardanti principalmente i tempi così lunghi per la realizzazione della nuova scuola. Questa, a mio modo di vedere, dovrà rimanere nel
centro storico, perché dà quel tocco in più che avvalora il patrimonio artistico/culturale quasi trascurato. L’unico nostro punto debole, forse, è il non
crederci più quando invece abbiamo combattuto, e vinto, diverse battaglie al
fine di rendere i locali sempre più consoni (es. l’impianto di riscaldamento):
chi ci dice che non vinceremo la guerra, un giorno?
Francesco Gentile
IA Liceo Classico
Lavoriamoci sopra
Diverse sono le problematiche che si aggravano legate al mondo del
lavoro (vedi Pomigliano). E’ da denotare un cambiamento per ciò che
concerne gli aspetti principali, che non riguardano più soltanto alienazione, stipendi, ecc…, bensì attacchi ai diritti dei lavoratori e difficoltà
nell’entrare nel mondo del lavoro. Non ci sono più uffici di collocamento efficienti come un tempo. I sindacati sono più deboli e non hanno le
forze necessarie per le loro rivendicazioni. Le lotte oggi sono finalizzate
alla conservazione delle conquiste già ottenute, il che è un limite, rafforzato dalla demoralizzazione dei lavoratori. Per superare tali problematiche è necessaria una controffensiva nei confronti di Confindustria ed
una ricostruzione delle relazioni di classe. Da ricostruire è anche l’atteggiamento della classe operaia circa l’utilità delle sue azioni e circa le sue
prospettive di vita. La cosa da evitare è un’iniziativa non direttamente
connessa alle cose reali. Una cosa utile da fare, in questa direzione, è una
risposta “unificante”, che sia da collante tra le nuove generazioni precarie, le vecchie “stabili” (dei posti fissi), i pensionati e gli extracomunitari. Da sottolineare è la mancanza di uno “Stato sociale europeo”, che ne
dimostra la debolezza. Importante è riprendere il discorso della mobilitazione europea. Bisogna capire cosa serve per cominciare a cambiare
la situazione. Lavoro e non lavoro dipendono dalla presenza o meno
di una salda regolamentazione. Importante sarebbe prendere coscienza
delle responsabilità politiche ed iniziare a lavorare sulla comunicazione,
rettificando le “false informazioni” (come globalizzazione, cambio del
posto di lavoro). Difficile è oggi spiegare la legittimità di uno sciopero
avendo il coraggio di dire “NO” ad alcuni accordi in chiave di scelta del
“male minore”. Grave è stato l’allontanamento dal tema della centralità
del lavoro. Rilevante è rimarcare questa centralità come elemento caratterizzante della nostra società. L’ipotesi della “facile uscita” dalla crisi
era un’illusione in quanto è stata mezzo di indebolimento delle classi
più fragili (vedi i provvedimenti di Tremonti). I provvedimenti degli ul-
timi anni sono sempre stati contro i lavoratori, contro i loro diritti contro i
modelli contrattuali, contro l’articolo 18; importanti sono anche le scelte
presenti nell’ultima manovra finanziaria. Questi avvenimenti minacciano
il nostro futuro, che è estremamente preoccupante anche per la decadenza del cosiddetto Stato sociale (esempio sono le pensioni). Astuto è
stato il tentativo di isolamento dei lavoratori che, avendo salari ed orari
diversi, hanno esigenze diverse e non facilmente sintetizzabili. Indispensabile è, dunque, il tema della “riunificazione” della classe operaia. Si
sono preferiti i contratti individuali, diversi nelle varie fabbriche, a quelli
nazionali, unici per tutto lo Stato, perdendo molte emancipazioni ottenute nei secoli. L’accanimento nei confronti del mondo del lavoro e dei
lavoratori è utile per l’indebolimento di una società che diventa, quindi,
più facilmente controllabile.
Dorella Albamonte, Marco Vercillo
III A Liceo Classico
16
Jeanne d’Arc… Une héroïne universelle
Le culte de Jeanne d’Arc est un mythe extraordinaire, parce qu’elle est considéréé «fille du
peuple» révolutionnaire, restauratrice de la monarchie et de l’ordre divin, patriote trahie par les
élites et l’Eglise. Jeanne, malgré sa courte vie, a
inspiré pour des siècles historiens, poètes, peintres
et aujourd’hui aussi réalisateurs. Chacun d’eux
nous raconte une histoire différente, mais on doit
comprendre au moins en pertie la vérité parce que
Jeanne doit représenter un idéal pour tous les jeunes. Jeanne d’Arc serait née en 1412 à Domrémy,
en Lorraine, et serait issue d’une famille de paysans assez aisée. Jeanne était très religieuse, se
rendait à l’église chaque samedi et pratiquait l’aumône pour les pauvres. Elle vit pendant la guerre
de Cent Ans qui voit le roi d’Angleterre Édouard
III qui revendiquait le trône de France et la noblesse française qui s’y opposait et voulait que la
couronne revienne au dauphin Charles. A douze
ou treize ans, dans le jardin de son père Jeanne
commence à entendre des voix. Elle dit avoir eu
très peur la première fois. Ces voix célestes lui
donnent l’ordre de ramener le Dauphin sur le trône et de libérer la France de la présence anglaise.
Elle répond à cet appel quatre ans avant quand
décide de partir pour obtenir une audience auprès
du dauphin Charles. La légende veut qu’elle ait
réussi à reconnaître le dauphin dans l’assemblée
qu’il portait des vêtements simples. Elle lui raconte des voix qu’elle a entendues, mais il est méfiant et lui fait subir des interrogatoires menés par
les autorités religieuses à Poitiers, qui vérifient
entre autres sa virginité. Elle leur prédit que les
Anglais lèveront le siège d’Orléans, le roi sera sacré à Reims et Paris rentrera dans le domaine royal de Charles. Alors Charles accepte de lui confier une armée pour libérer Orléans des Anglais.
Elle partira pour Orléans vêtue d’une armure et
d’une épée et elle envoya une missive aux Anglais pour les prévenir de sa venue et leur demander de quitter Orléans. Les Anglais refusèrent et
Ils voyaient en cette femme une sorcière, une personne maléfique. Jeanne remporte la victoire contre les Anglais, la nouvelle se répand dans toute
la France et pour cela elle est définie “la Pucelle
d‘Orléans“. Elle poursuit son chemin vers Reims,
soumettant chacune des villes à son passage et le
17 juillet 1429, Charles est couronné roi de France dans la cathédrale de Reims en présence de
Jeanne et prend le nom de Charles VII.
Ensuite Jeanne tente de libérer Paris avec l’accord du roi. Mais cette tentative se solde par un
échec. Elle est faite prisonnière par les Bourguignons qui la vendent aux Anglais pour 10 000 livres. Elle est emmenée à Rouen pour être jugée
par un tribunal qui l’accuse d’hérésie parce que
les Anglais cherchaient à discréditer son charisme
qui avait redonné espoir au peuple français.
Elle est condamnée et elle est brûlée vive sur la
place du Vieux-Marché à Rouen le 30 mai 1431.
Vingt-cinq ans plus tard, un second procès, organisé par Charles VII sur la demande de la mère de
Jeanne et du pape Calixte III, réhabilite la figure
de Jeanne d’Arc. Elle est ensuite canonisée en
1920 par Benoît XV.
Jeanne d’Arc n’est donc pas une héroïne légendaire ou mythique, comme on le lit trop souvent,
mais l’une des figures les mieux connues de l’histoire de France, celle que l’on surnomme souvent et à juste titre «la mère de la nation». Elle
est devenue l’esprit de la France, la jeune fille, le
guerrier Saint, le symbole républicain et napoléonien pour l’opposition aux anglais et pour protéger la France à la domination étrangère.
Enfin, je ne résiste pas à l’envie de citer ce témoignage admiratif de l’écrivain américain Mark
Twain, qui peut paraître exagéré au premier abord
mais qui s’avère totalement justifié si l’on veut
prendre la peine d’étudier sérieusement la vie de
notre sainte héroïne:
«En tenant compte des circonstances de ses
origines, de sa jeunesse, de son sexe, de l’analphabétisme et de la pauvreté de son environnement, des conditions hostiles dans lesquelles elle
dut exercer ses fabuleux talents et remporter ses
victoires, tant sur le champ de bataille que dans
le prétoire face à ces juges iniques qui l’ont condamnée à mort, Jeanne d’Arc demeure, aisément,
de très loin, la personnalité la plus extraordinaire
jamais produite par la race humaine…»
Alessandra Piluso Classe III C
My experience in Strasbourg
Thanks to a competition about human
rights I won a journey to Strasbourg where
I had the possibility to visit the Council of
Europe, the European Parliament and the
wonderful city. The purpose of this movement about human rights was to discuss
about euthanasia and abortion. During my
staying in Strasbourg, the winners of the
competition, many Members of the Parliament and voluntaries talked about these
topics that pushed us to reflect more about
the sense of life, a precious value. We were
given from our companions a paper where there were ten points about the dignity
to talk about; for example the role that the
istitutions and the family should have on
the dignity of a man. During the Council of
Europe an exponent of one or more groups
argue about these themes speaking on the
pros and cons, but many Members of the
Parliament and of the movement debated
on these topics too. The visit to European Parliament was very exciting because
for some hours, we had the sensation to
be Members of the Parliament. The presi-
dent of the Popular Political Party (PPE),
the French Joseph Daul, welcomed in one
of the many rooms of the building asking
us to ask questions. The president talked
about european economic balance, about
the wages of political people, about the
problem of the emigration and about all
the troubles we are living in Europe. This
beautiful experience brought me to look at
life and to reflect about abortion in a different way. Maybe, before this experience, I
had a more superficial idea about abortion,
instead now, I think that
probably nothing and
nobody can deny a new
life.
This experience was
very beautiful, we could
visit the city which is
very nice with its enormous cathedral and the
river that passed through
it. For me, this experience, will remain forever
a beautiful memory for
the new friendships, for
the atmosphere that we
lived together in those
days. But, of course there are more important and deeper reasons
so I will ever forget those days in Strasbourg. Because to reflect about human rights
is a duty, and all of us should help people
who are in need. I must thank my english
teacher, Eufemia Trisolini who encourage
me to partecipate to this competition and
now, I raccomand all students to partecipate to make young generations aware about
the respect everyone of life and should give
to life her own life.
Ludovica Mazza V B
17
Strasburgo: visita al Parlamento europeo
Lo scorso anno è stata indetta la ventitreesima edizione del concorso letterario nazionale dal
Movimento per la Vita Italiano; premio dei vincitori un viaggio della durata di quattro giorni a
Strasburgo con visita al Parlamento Europeo. I
vincitori sono stati circa duecentocinquanta, provenienti da varie Regioni Italiane: ventuno dalla
Calabria e, più precisamente, tre dal nostro istituto.
Il viaggio è stato intervallato da una fermata
presso l’aeroporto di Milano-Linate, il resto si è
svolto in pullman: noi calabresi, accompagnati
dal prof. Saverio Ardito, abbiamo viaggiato assieme ai ragazzi vincitori provenienti dal Piemonte. L’argomento del tema svolto per il concorso
riguardava la dignità umana. Pertanto, ci siamo
messi subito al lavoro durante il viaggio in pullman. Un documentario a supporto illustrava il
momento del concepimento dal punto di vista
scientifico, per poter meglio comprendere cosa
sia la dignità umana, valida anche per poche cellule appena create: l’aborto, infatti, rappresenta
un vero e proprio omicidio!
Ovviamente, non sono mancate le nostre opinioni sull’argomento con tanto di racconti di
esperienze personali. Appena arrivati a destinazione, dopo esserci sistemati nell’ostello della
gioventù, fortunatamente a pochi metri dal centro
della città, e, dopo aver cenato, ci siamo riuniti
per svolgere il compito più importante del viaggio
dal momento che il giorno dopo ci saremmo dovuti recare presso il Consiglio d’Europa. Il nostro
compito consisteva nel creare dei veri e propri
emendamenti ai vari articoli della Costituzione,
diventando così i veri protagonisti della giornata,
quasi come se fossimo dei Deputati.
I temi scelti sono stati: il rafforzamento della
salvaguardia della vita umana, l’analisi sui limiti
della ricerca scientifica qualora essa sfoci nella
violenza alla dignità umana e l’importanza della
scuola e dell’università nella formazione dei giovani su questo argomento.
Un ragazzo/a per gruppo regionale aveva
il compito di presentare l’eventuale modifica,
mentre il Presidente della commissione dava la
possibilità ad un altro vincitore di presentare un
eventuale reclamo all’emendamento citato; quest’ultimo sarebbe stato approvato nel caso in cui,
a fine votazione, avesse avuto la maggioranza di
consensi. Presentati tutti gli emendamenti, il Presidente del Movimento, Carlo Casini, ha preferito
colloquiare con gli stessi ragazzi, illustrando loro
l’importanza del viaggio e la fortuna di visitare la
sede in cui i rappresentati dei Paesi Europei hanno
lavorato per istituire le leggi della Costituzione.
Il resto della giornata è stato dedicato alla visita della città. Il giorno seguente ci siamo recati presso la sede del Parlamento Europeo. Presa
ognuno la propria postazione, i vincitori hanno
avuto la possibilità di discutere con Joseph Daul,
il presidente del PPE, il partito popolare europeo
(il Parlamento Europeo, infatti, così come quello
italiano, è composto da vari partiti la cui maggior
parte dei parlamentari, duecentosessantacinque,
fanno parte del PPE). Il parlamentare ha esposto
alcuni problemi dell’UE, come il proliferare della
delinquenza e la piaga della disoccupazione che
attanaglia ancora popoli interi. Allo stesso tempo,
egli ha trattato gli aspetti positivi di quest’organo, che lavora per il benessere di tutti i cittadini,
quali la protezione dell’ambiente, la sicurezza dei
trasporti, il sostegno della ricerca, la promozione
della sanità pubblica. Pilastri della Costituzione
Europea sono il contrastare tanto lo sfruttamento della donna quanto la
pena di morte al fine di
porre i diritti dell’uomo
al di sopra di ogni cosa.
La serata è stata dedicata alla visione del film
“Bella”. La trama narrava di una donna convinta a non abortire da un
suo amico che la sosterrà, poi, nella crescita del
bambino. L’obiettivo
del film, ovviamente, è
stato quello di accentuare il valore della dignità
umana poiché ognuno
ha diritto alla vita, anche un piccolo feto.
Il terzo giorno del
nostro soggiorno a Stra-
sburgo è stato dedicato allo shopping nella città
oltre che alla visita dei suoi monumenti con tanto
di giro in battello. La cattedrale gotica, posta al
centro della città, nella quale abbiamo ascoltato
la Santa Messa, è stata la struttura che più ci ha
colpiti. La città si presenta splendida dal punto
di vista architettonico e artistico. A conclusione,
abbiamo cenato in un locale caratteristico della
città.
L’esperienza si è rivelata singolare sia per
quanto riguarda i rapporti interpersonali stabilitisi durante il viaggio sia per l’arricchimento del
nostro bagaglio culturale. Con la speranza che le
amicizie sorte durante il viaggio non si perdano,
non possiamo che rimanere soddisfatti tanto dell’organizzazione quanto dei momenti di riflessione che il tema scelto ci ha offerto. Tutto ciò testimonia il fatto che i giovani di oggi, anche se molti
possono pensare il contrario, sono ancora interessati ad argomenti socialmente utili, e lo fanno nel
massimo rispetto delle circostanze accoppiando
anche momenti di svago e divertimento.
Ringraziamo la prof.ssa Eufemia Trisolini,
coordinatrice Regionale del Movimento, nonché
componente della commissione esaminatrice, per
averci dato la possibilità di vivere un’esperienza
così formativa. Nonostante non sia potuta essere
la nostra accompagnatrice per motivi personali,
è doveroso porle un riconoscimento tanto per il
suo impegno profuso nello stimolare gli alunni a
partecipare quanto per il suo desiderio di buona
riuscita del viaggio. Visitare la sede del Parlamento Europeo è un’opportunità di cui pochi possono
godere ed usufruirne in modo così semplice è una
vera e propria fortuna. Il tutto appare più piacevole grazie ai temi scelti, che non solo rispecchiano aspetti fondamentali della società odierna, ma
rappresentano anche un punto di riflessione per
noi tutti e, se trattati in modo adeguato, possono
stimolare sempre di più. L’obiettivo principale
del Movimento, infatti, è quello di conoscere le
opinioni dei giovani e il loro atteggiamento nei
confronti di argomenti così delicati al fine di comunicare loro dei veri valori. Consigliamo a tutti
di partecipare, è un’esperienza davvero unica!
Giulia Fino 4C
18
Riflettendo
“IL MONDO E’ MEGLIO
CON UN AMICO COME TE”
LE REGOLE DELL’AMICIZIA
SECONDO LA BIBBIA
Una canzone per riflettere sull’ AMICIZIA:
Affetti Personali di Eros Ramazzotti
Il mondo è meglio
con un amico come te.
Quando ti cerco
Ti fai trovare sempre
senza domandarmi perché…
Tu mi conosci,
lo sai già,
quando ho bisogno di complicità,
di evadere dalla solita realtà.
Sei l’altra ala che a volte mi manca…
Con un amico come te sono sicuro che
Il mondo è meglio di com’è…
Soli mai,
veramente non si è soli mai
quando ci uniscono affetti personali
si può scoprire che…
un’amicizia è bella anche perché…
ci lega si ma senza usare catene,
ci tiene insieme, semmai, di più.
Anima dolce,
questa sei tu, mia cara amica,
anche se a volte sai essere davvero
pungente
proprio come un’ortica,
però mi piaci. Sai perché? Posso
parlare
apertamente con te,
scambiare i pensieri più sinceri,
fra noi,
per non ritrovarci ad esplorare
la vita…
Cosa sarebbe mai la vita senza
amici…
Cosa sarebbe mai?
Ah, i ricordi…
“Vi è mai capitato di uscire la mattina di casa,
con il freddo pungente di quelle mattine di febbraio che ti pelano il viso dal gelo, di avviarvi
pigramente verso scuola aspettando che il caffellatte faccia effetto sui vostri neuroni azzerati dal
sonno, con la prospettiva deprimente di sei-oresei? Probabilmente sì, e fin qui è facile. Vi è mai
capitato, in una mattina di cui sopra, incappucciati, immersi in un giaccone da circolo polare che
lascia al giudizio del mondo solo la vostra bella
faccia semi-congelata, di far strada in mezzo alla
folla che corre, sbuffa, strepita, e di sentirvi, lungo il marciapiede intasato, completamente soli?
Può darsi, ma nemmeno questo è troppo difficile.
Vi è mai capitato, la fatidica mattina di cui sopra,
(dal libro dei Proverbi)
-<<Non dire al prossimo: “Va’, ripassa, te lo
darò domani” se tu hai ciò che ti chiede>>.
-<<Discuti la tua causa con il tuo vicino, ma
non rivelare il segreto altrui>>.
-<<Rimprovera il saggio ed egli ti amerà,
istruisci il giusto ed egli aumenterà la
dottrina>>.
-<<Ascolta il consiglio e accetta la correzione
per essere saggio in avvenire>>.
-<<Non ingannare. Come un pazzo che
scaglia tizzoni e frecce di morte, così è
quell’uomo che inganna il suo prossimo e poi
dice: “Ma sì, è stato uno scherzo”>>.
-<<Leali sono le ferite di un amico, fallaci i
baci di un nemico>>.
-<<Non abbandonare il tuo amico né quello di
tuo padre>>.
SECONDO TE ...
-Quando è importante avere degli amici?
-Qual è la caratteristica fondamentale di una vera
amicizia?
-Sai trovare il tempo per coltivare vere amicizie?
-In te è più forte il bisogno di socialità o la
ricerca della solitudine?
-Tra i motivi che ti spingono a stringere amicizie
quali metti al primo posto: l’interesse, il piacere
o la gratuità?
-Che cosa significa che la vera amicizia sa
tenere sempre insieme identità e differenze? Sei
d’accordo?
arrotolati nel giaccone di cui sopra, di imbattervi nella ragazza o nel ragazzo che popola i vostri
sogni degli ultimi quattro mesi e di essere matematicamente certi che nel giro di cinque secondi
i suoi occhi meravigliosi si sarebbero incrociati
dritti dritti con i vostri? Succede che quei cinque
secondi si dilatano come un’eternità, al ritmo
montante del battito del cuore che aumenta in
quantità inversamente proporzionale alla distanza, calante, fra voi due. E succede che i neuroni
ancora in coma si accendono tutti e tutti insieme, come le luci di un albero di Natale appena
attacchi la spina. E succede che i neuroni ormai
in stato d’assedio si concentrano sulla risposta da
fornire alla seguente, ineludibile, decisiva, angosciante domanda: “Che faccio?” A quattro secondi dall’impatto, vengono passate in rassegna le
seguenti opzioni: 1) sfoderare sorriso smagliante,
con esposizione simultanea del 100% del proprio
apparato dentario: comunica buonumore, simpatia da vendere, da tipa che sa stare al mondo,
sicura di sé; 2)fare gli occhi languidi, da persona dolcissima, modello zucchero e miele, tenero
fuori e tenero dentro; 3) articolare espressione tenebrosa, dura, piena di mistero, di quelli che non
devono mai chiedere il permesso a nessuno e se
vogliono una cosa se la prendono e basta; 4) far
finta di nulla, abbassare lo sguardo, proseguire
dritto radente al muro e sperare in un temporaneo
calo della vista di lui/lei o di un improvviso banco
di nebbia. Sono tremendamente pochi quattro se-
Nella bibbia si trova anche la famosa frase
<<Chi trova un amico trova un tesoro>>
(Sir.6,14) e poi: <<Un amico vuol bene
sempre,è nato per essere fratello della
sventura>>.(Pr 17,17).
Prof. Ssa Maria Di Bella
Antonello Palummo VE
condi anche quando sembrano durare un’eternità.
E infatti sono già diventati tre anche solo a fare
il conto delle possibili maschere da metterci in
faccia per sembrare quelli che, pensiamo, l’altro
vorrebbe che fossimo. Per piacergli, e per piacerci
un po’ di più, perché se tra battito del cuore e distanza dai meravigliosi occhi in questione c’è una
proporzione inversa, la proporzione è direttissima
con la nostra autostima: più si avvicina l’incontro
degli sguardi e più questa finisce sotto i nostri piedi, anzi, prende una pala e scava perché arrivata
per terra può sempre sotterrarsi. In due secondi
(ne sono rimasti solo due) è difficile scegliere: i
neuroni fumano dall’iperattività, ma l’ansia non
trasforma mica in Einstein. Allora: dolci come la
cioccolata? Simpatici come a Zelig? Belli e maledetti? Meno uno. Ci siamo. Zero. Forse non vi
è capitata, nel gelo di febbraio, una storia così.
O forse era giugno, alle quattro del pomeriggio.
O forse non era l’amore, ma il nostro migliore
amico. Chissà.. Di sicuro c’è da sperare una cosa:
che qualunque fosse il mese, l’ora, la temperatura esterna ed il proprietario degli occhi, abbiamo
scelto di mostrare la nostra faccia, di far brillare
il nostro sguardo, di metter in gioco i nostri sentimenti. Perché di cioccolata ce n’è a tonnellate, i
comici da Zelig sono centinaia, e i belli maledetti
si sprecano: ma di tipi come noi, beh, quelli sono
unici al mondo.. “
Marina & Giusy III A
Liceo Classico “G. Colosimo”
Arte
Cos’era realmente Castel del Monte? Qual
era la sua funzione e perché, se è davvero così
importante, non vi sono fonti storiche che ne trattano? Non è assolutamente possibile rispondere
con certezza a questi interrogativi, ma possiamo
almeno esaminare delle ipotesi formulate nel
tempo. Infatti, quella costruzione, che vista con
un occhio poco attento può sembrare un semplice
castello, in realtà nasconde molti significati. Sappiamo che fu costruito durante l’epoca Federiciana circa nel 1200 e che riflette tutti gli interessi e
le conoscenze di Federico II di Svevia. Il castello,
situato nei pressi di Andria in Puglia, sorge su un
banco roccioso e presenta una caratteristica pianta ottagonale. Sugli otto spigoli si innestano otto
torri con la stessa forma nelle cortine murarie per
le quali si è utilizzata la pietra calcarea locale e
nelle quali si aprono otto monofore al piano inferiore, mentre al piano superiore sono presenti
sette bifore ed una sola trifora, rivolta verso la
città di Andria. Poiché la pianta ottagonale rappresenta l’intersezione tra quadrato e cerchio, i
quali simboleggiano rispettivamente la terra e il
divino, molti pensano che Castel del Monte fosse stato un tempio sacro per i riti di iniziazione.
Una particolarità, infatti, che si può facilmente
osservare è che varcando il portale fastosamente
decorato, per entrare poi nel cortile, l’iniziando
si trova dinnanzi ad altri due portali altrettanto
decorati. Ma se varca la soglia e si volge indietro, vedrà che quel portale appena attraversato è
disadorno, quasi che tutto quello che l’iniziando
ha davanti a sé rappresenta il bello e quindi la
spiritualità, mentre ciò che abbandona è spoglio
come lo è la profanità materiale. Nel castello è
inoltre visibile la presenza del numero aureo o divina proporzione di 1,618 che ricordiamo essere
l’unico numero presente in natura, anche nell’uomo. Nel portale, stesso, ad esempio, si può sovrapporre una stella a 5 punte che va a definire
un pentagono, che determina le proporzioni della
costruzione. Considerando, ad esempio, i segmenti della stella venutisi a formare e dividendoli
per il numero aureo, otterremo le indicazioni delle varie altezze in cui si collocano le cornici del
portale ed i capitelli delle lesene. Allo stesso tempo la stella a 5 punte può essere considerata una
trasposizione in geometria del rapporto armonico
che è nell’uomo. Questo è ciò che pensò Agrippa
di Nettesheim disegnando l’uomo-microcosmo.
Il portale, quindi, in chiave esoterica rappresenta
l’uomo. È proprio l’esoterismo una caratteristica
principale del castello che nasconde molti significati di cui solo pochi iniziati, un tempo, potevano venirne a conoscenza. Ma come nel portale
tutto fu costruito secondo parametri matematici,
questo avvenne anche all’interno del castello.
Ciò ha fatto sollevare l’ipotesi sulla funzionalità
Il libro di pietra
del castello stesso ad osservatorio astronomico. Secondo alcune fonti, ad esempio, la notte del solstizio
d’estate, al centro del cortile interno, si vede esattamente la stella Vega che fu la stella polare tredicimila anni fa e lo sarà nuovamente fra altrettanto tempo.
Come la piramide di Cheope, nella valle di Giza,
orientata esattamente con i quattro punti cardinali,
il Partenone ad Atene con la facciata rivolta verso
il sorgere del sole, durante le feste Panatenaiche in
onore di Minerva, o il complesso megalitico di Stonehenge, in Inghilterra, orientato verso il sorgere del
sole al solstizio d’estate, così in Castel del Monte
ritroviamo un numero rilevante di accorgimenti simbolici riguardo l’astronomia, la matematica, la geografia e la geometria. In tutto il castello ritroviamo
solo sedici sale, otto per ciascun piano, che hanno
forma trapezoidale e sono state coperte con un’ingegnosa soluzione. Lo spazio è ripartito in una campata centrale quadrata coperta a crociera costolonata
con semicolonne in breccia corallina al pianterreno
e pilastri trilobati di marmo a quello superiore, mentre i restanti spazi triangolari sono coperti da volte
a botte ogivali. È possibile notare come vi sia un
misto di stile romanico e gotico e constatare quanto
Federico II fosse un amante dell’arte e andasse alla
ricerca delle novità, poiché il gotico per quei tempi
era considerato tale. In tutte le stanze le chiavi di
volta delle crociere sono diverse fra loro, decorate
da elementi antropomorfi, zoomorfi e fitomorfi. Fra
gli elementi antropomorfi ritroviamo anche la figura
di un cavaliere che sembra raffigurare il Bafometto,
simbolo legato ai templari, monaci-cavalieri, dediti
anche alle discipline esoteriche. Il collegamento fra
i due piani del castello avviene attraverso tre scale a
chiocciola inserite in altrettante torri. Tutte le scale
sono comunicanti tra loro, hanno due porte, una per
entrare e l’altra per uscire, ma vi sono due sale che
costringono il visitatore a tornare indietro. Guar-
Impressioni dalla luce
“Cos’è disegnare? Come ci si arriva? È l’atto di
aprirsi un passaggio attraverso un muro di ferro invisibile che sembra trovarsi tra ciò che si sente e che
si può” (Vincent van Gogh). L’arte sembra essere
una figlia bistrattata da diverse madri, da mille mani
che ne fanno ciò che meglio credono. Ogni artista
colora, distrugge, ridisegna e costruisce un mondo
che mai corrisponde alla realtà oggettiva, ma sempre a ciò che con arroganza pensa che essa sia. Gli
impressionisti, nati in Francia nella seconda metà
dell’Ottocento hanno rivoluzionato il modo di fare
arte. Anticonformisti, si sono sradicati dalla cultura
classica tradizionale eliminando dal dipinto ciò che
da sempre nell’arte è stato il principio primo di ogni
rappresentazione, il soggetto, ma rendendo protagonista la luce raffigurata al meglio nella pittura paesaggistica. Gli impressionisti infatti prediligevano
dipingere “en plein air”, all’aria aperta, per poter
catturare la luce e la sua capacità di posarsi sugli
oggetti e renderli vivi. Come avevano fatto a non
pensarci prima? È la luce che ci permette di percepire e distinguere ogni cosa, è la luce la protagonista
di ogni visione! Monet ha espresso perfettamente
questo concetto nel suo dipinto “Impressione, sole
nascente”. La “materia prima”, il pensiero rivoluzionario di Monet come di tutti gli altri Impressionisti
(Manet, Renoir, Degas) è stato poi ripreso da Vincent Van Gogh, post-impressionista, uomo stravagante, sensibile e talora paurosamente originale nel
realizzare e spiegare, come fa nelle lettere che invia
a suo fratello Theo, le sue opere d’arte. Van Gogh si
dedicò alla luce in relazione all’uomo: volle rappresentare la dignità umana di chi vive del suo lavoro
come in “I mangiatori di patate”.
L’uomo dei girasoli ha, inoltre, spiegato come
l’arte non fosse altro che la rappresentazione della
coscienza dell’artista (sempre utilizzando la luce
come soggetto). Nonostante l’artista non godesse
più del prestigio posseduto in passato, poteva, forse
proprio per questo isolamento dalla società, aiutare l’uomo ad andare oltre il banale e raggiungere la
vera esistenza e il bello. Tutto ciò è evidente negli
autoritratti dell’artista olandese in cui si nota un
crescendo della sua coscienza che lo fa piombare
19
da caso queste due sale guardano verso i punti
dell’orizzonte in cui sorge il sole ai solstizi d’inverno e d’estate, nei giorni, quindi, in cui l’astro
arresta la sua corsa e torna indietro. A questo punto bisogna, però, chiedersi perché si escludono
le eventuali funzioni residenziale o militare del
castello, che, nonostante siano meno misteriose
e intriganti, sono senza dubbio le più probabili
per un castello. Dobbiamo, anzitutto, mettere in
evidenza che nel castello sono presenti solo cinque camini, che non è riscontrabile la presenza
in passato di cucine o di camere patronali e che
non vi sono differenze strutturali nelle sale. Quindi, a causa di tutto ciò, è inimmaginabile pensare
che una famiglia nobile abbia potuto vivere in un
luogo del genere. Insieme ai cinque camini sono
presenti anche cinque cisterne, che, nella loro proiezione su un unico piano, non a caso, disegnano
una stella a cinque punte. Perché, tuttavia, escludere che il castello sia stato una fortezza militare?
Già dall’esterno si nota la mancanza di un fossato
e la presenza di feritoie troppo strette per lanciare
le frecce. Mentre, un altro elemento, visibile solo
all’interno e non meno importante degli altri, è
da ascrivere alle scale a chiocciola che, invece di
girare verso destra, come avviene solitamente nei
castelli destinati alla difesa, per impedire ai nemici di brandire la spada, girano verso sinistra. Se il
castello non poteva essere una residenza permanente, avrebbe potuto essere una residenza estiva
o meglio ancora un rifugio di caccia. Si pensa anche che esso sia stato una vera e propria scuola per
falconieri. Una delle torri, infatti, possiede l’unica
scala praticabile fino al terrazzo senza interruzione: la sua funzione “di servizio” è suggerita tanto
dall’essere accessibile dalla quinta sala, quanto
dalla singolarità del fatto che, all’altezza del piano
superiore, oltre al passaggio diretto verso la quinta
sala, esista un altro passaggio, spostato verso sinistra, che permette di proseguire fino al terrazzo,
utilizzato appunto dai falconieri, senza passare per
la sala. Nonostante ciò non possiamo dare per certa neanche questa ipotesi. Grandissimo interesse
riveste anche il corredo scultoreo che è stato in
gran parte depauperato e che, forse, avrebbe potuto tramandarci qualcosa in più sulla funzione del
castello. Numerose sono, quindi, le ipotesi formulate nel tempo dagli storici sulla funzione di Castel del Monte e numerose sono le caratteristiche
che confermano alcune ipotesi piuttosto che altre,
ma nessuna che possa rivelarci davvero la verità.
Non sappiamo e forse non sapremo mai cosa ci
nasconde Castel del Monte. Un luogo che racchiude gran parte delle conoscenze dell’uomo e che da
molto tempo stupisce con il suo alone misterioso
chi lo visita.
Alessandra Piluso, Ilaria Marino
Classe III C
in un profondo sconforto e lo porta infine al suicidio. Nell’autoritratto del 1887 si ritrae contornato da
un’aureola divina, che lo eleva dal resto della società e che, insieme agli occhi assenti, è il simbolo
della capacità dell’artista, in questo caso dello stesso
Vincent, di trascendere e librarsi aldilà della corruzione del sistema. Anche nell’autoritratto dedicato a
Gauguin, la critica nei confronti della stessa società
è sottolineata anche dall’assenza della cravatta e dalla testa rasata, simbolo di essenzialità monacale. La
luce, in entrambi i dipinti, tratteggia lo spazio in cui
è immerso Van Gogh, dà profondità, ma allo stesso
tempo aspazialità, inserendo l’artista in una sorta
di mondo assente, nella realtà di chi fa arte, di chi
è arte! Nell’ultimo autoritratto, realizzato prima di
morire, si scorge ormai un Vincent stanco, disilluso
ed infelice, privo dell’aureola simbolo di saggezza
che invece superbamente caratterizzava i precedenti
dipinti. La luce ha il suo corso, anche nell’amarezza, nella pazzia che spinge poi i “matti”, coloro che
sono in grado di capire la realtà proprio perché non
la prendono sul serio nella sua staticità, ma la rappresentano come loro stessi la vedono, a togliersi la
vita. La luce è il principio, il sole nascente, è la notte
stellata, la sera dell’anima!
Alessandra Spezzano V D
Arte
LA CITTA’-MARTIRE
20
Le dominazioni bizantine, musulmane, longobarde e normanne nell’Italia meridionale determinarono il carattere composito di un’architettura in
cui si associano, con felice ibridismo, motivi settentrionali e orientali. L’influenza longobarda si
fa maggiormente sentire lungo la costa pugliese,
innestandosi su una cultura fondamentalmente bizantina. Oltre alle innumerevoli cattedrali e chiese d’epoca romanica che caratterizzano il basso
murgese, spicca, fra la pomposità del barocco
da Padova. Nella navata destra, in sette grandi
armadi a muro presenti nell’abside, si conservano
le ossa dei beati Martiri di Otranto. Sono i resti
di ottocento e più cittadini sgozzati dai Turchi sul
Colle di Minerva il 14 agosto 1480, per non aver
voluto rinnegare la fede cristiana. Otranto, per
questo evento glorioso, è chiamata anche la ‘Città-martire’. Grande rilievo va espresso per il mosaico pavimentale che ricopre l’intero piano della
cattedrale. In tessere policrome di calcare locale
salentino, la cattedrale di Otranto. Edificata sui
resti di una domus romana, di un villaggio messapico  e di un tempio paleocristiano, fu fondata nel 1068 dal vescovo normanno Guglielmo e
consacrata al culto il 1º agosto 1088 durante il
papato di Urbano II. È dedicata alla Vergine Annunziata e misura 54 m di lunghezza e 25 m di
larghezza. Costruita su 42 colonne monolitiche e
tutte di riporto, diverse per qualità del granito e
del marmo, per stile e tempo di produzione di cui
si ignora la provenienza. Composta da 23 semicolonne che formano 45 campate quadrate più
tre dell’abside centrale suddivise in 5 filari per 9.
Alcune delle colonne sono lisce ed altre ricoperte
da scanalature e, grazie ad una
disposizione sapiente, creano
l’effetto di grande omogeneità
e non di confusione. Sulla facciata a doppio spiovente spicca
un portale barocco del 1764 e
un rosone rinascimentale a 16
raggi con fini trafori gotici di
forma circolare e con transenne convergenti al centro secondo l’arte gotico-araba della fine
del XV secolo. Il soffitto della
navata centrale è formata a
cassettoni in legno dorato e risale al 1698, mentre il paliotto
dell’altare maggiore, in argento, è opera di oreficeria napoletana del ‘700. Alcuni affreschi
parietali situati all’interno del
tempio e nella cripta evidenziano tracce bizantine. Lungo
le navate laterali sono visibili
sei altari dedicati alla Resurrezione di Gesù, a San Domenico di Guzman, alla Madonna
Assunta, alla Pentecoste, alla Visitazione della Beata Vergine Maria e a Sant’Antonio
durissimo, è stato eseguito tra il 1163 e il 1166 da
un gruppo di artisti capeggiati da un monaco
basiliano di nome Pantaleone, probabilmente
del Monastero di San Nicola di Casole, su commissione dell’arcivescovo Gionata, il cui nome è
situato in corrispondenza dell’entrata principale
della cattedrale, nella parte inferiore del mosaico.
Formato da tessere policrome in calcare locale, si
estende per oltre 16 metri, coprendo interamente
il pavimento della cattedrale. Questa vera e propria opera d’arte, unica nel Mezzogiorno, resistette all’invasione turca del 1480; si dispiega lungo
tutta la navata centrale, sul presbiterio, l’abside e i
bracci del transetto, e vi è raffigurato l’immagina-
rio medievale, con ricchezza espressiva e secondo
un senso di horror che non risente dell’irregolarità
dei tasselli né dell’assenza di plasticità. Fu pensato come un immenso tappeto da preghiera e come
rappresentazione del felice connubio tra tradizione culturale orientale e occidentale. Il primo dilemma cui ci si trova di fronte è dovuto alla totale
assenza di riferimenti neotestamentari e la cosa
è, a dir poco, inusuale per una chiesa cristiana.
Le raffigurazioni sono, per lo più, tratte dall’antico testamento, ma svariati simboli e immagini
appaiono, ad una prima analisi superficiale, totalmente fuori contesto. Nella navata centrale è raffigurato un maestoso albero che parte dalla porta
e giunge quasi fin sotto al presbiterio intorno alla
quale si sviluppano figure umane e di animali. Prima si pensava che questo simbolo rappresentasse
l’Albero della Vita, per le dimensioni e la centralità nell’opera, ma non vi è certezza di questa
interpretazione. Tra i rami dell’ albero del Bene
e del Male si svolgono varie scene: le vicende di
Adamo ed Eva, le raffigurazioni dei dodici mesi
dell’anno rappresentati con i relativi segni zodiacali, le vicende di Caino e di Abele e anche scene bibliche e mitologiche come la leggenda di re
Artù e l’Inferno e il Paradiso. Partendo dall’abside è raffigurata l’immagine di Bisanzio “capitale”
dell’Oriente. Dopo si giunge ai tondi che racchiudono gli animali fantastici del Bestiario. Proseguendo in quella direzione si incontra l’immagine
di Re Artù che cavalca un caprone, e il gatto di
Losanna, accanto a Caino e Abele: Caino tiene un
bastone e lo colpisce, Abele è piegato dal dolore.
Proseguendo si giunge alla raffigurazione dei tondi con i dodici mesi dell’anno. Ogni mese ha una
cornice ornata di segni geometrici e cifre arabe
all’interno della quale appaiono gli uomini intenti
nelle fatiche stagionali. Il mosaico prosegue con
la preparazione dell’arca di Noè e il diluvio. Poi
gli uomini che sono inghiottiti dai pesci. Ma dopo
il diluvio, ecco il ramoscello di olivo, ovvero, il
ritorno della pace. Il mosaico è spesso interrotto
da iscrizioni latine, che permettono di passare da
una scena all’altra e da cui si desumono le uniche
notizie sul monaco Pantaleone. Tale mosaico era,
forse, rivolto a coloro che conoscevano bene il
Phisiologus, il Bestiario Latino e persino i Vangeli Apocrifi. Seguendo un percorso figurato verso
la salvezza ci si trova davanti ad un albero, il cui
tronco è lunghissimo e attraversa tutta la chiesa.
Il percorso del tronco è il cammino dei fedeli che
qui imparavano a raggiungere la redenzione, tra
gli episodi dell’Antico Testamento, dei Vangeli,
del Romanzo di Alessandro e del ciclo di Re Artù.
Questo mosaico è una sorta di storia dell’umanità
fitta di episodi, staccati l’uno dall’altro, ma ben riconoscibili dai fedeli. Il mosaico
inizia con il cosiddetto peccato
d’orgoglio. Infatti, si vede subito
la Torre di Babele e Alessandro
il Grande, seduto tra due grifoni,
colpevoli di aver osato troppo.
L’iconografia del pavimento presenta, una commistione di temi
religiosi, prevalentemente tratti
dalle Sacre Scritture e scene mitologiche e di vita quotidiana.
Sono presenti varie interpretazioni, più o meno fantasiose, sul
significato recondito del mosaico
della Cattedrale di Otranto, quali
quella cabalistica o il riferimento
ad un’antica leggenda che lega
l’interpretazione alla scoperta
del Graal. Il mosaico è considerato un’enciclopedia medievale e
uno dei più misteriosi monumenti del nostro patrimonio storicoartistico, poiché decifrarlo è, da
sempre, un intricato enigma privo di soluzioni. 
Chiara De Fabrizio III C
Racconti E Poesie
21
Nella mia mente ristagna un pensiero
Nella mia mente ristagna un pensiero.
Ricordi, momenti di vita vissuta.
Non distinguo il falso dal vero,
precipito nel silenzio di una stanza muta.
Scorgo all’improvviso un piccolo sentiero.
La muraglia di nebbia nella mia mente è caduta,
sono piccole cose che ti rendono fiero.
Spariscono i dubbi, dimentico il tempo in cui ti ho avuta.
Ritorno me stesso, con il tempo lo accetto.
Scompare il triste e arriva il sorriso.
Ritorna la voglia di iniziare a sognare.
Scompare l’affanno dal mio stanco petto.
Ritorna la gioia sul mio spento viso.
Scompare la paura di provare ad amare.
Alessio Sposato Classe IV A
Il sole dentro me
Sento che cresco…
Emozioni forti, risate pazze, sbalzi d’umore
Fanno parte della mia vita…
E’ questa l’adolescenza,
la gioia di sentirsi liberi e, allo stesso tempo,
prigionieri di un mondo tutto nostro,
un mondo che mentre ci sorride,
ci strappa anche una lacrima..
Nessuno si accorge di cosa succede,
avviene tutto dentro me…
E’ una guerra,
una lotta continua contro un qualcosa di misterioso,
come quella del sole nelle giornate primaverili
che lotta per uscire da dietro le nuvole,
ma non ce la fa!
Perché solo quando arriverà l’estate,
potrà brillare liberamente.
Chiara Fusaro VB
Liceo Classico “G. Colosimo”
Con le foglie tra i ricordi
Come si strappano facilmente i ricordi,
con che semplicità si ramificano nell’anima,
mettono lì radice,
e non se ne vanno più.
Per questo non ti si dimentica.
Ma se i ricordi son foglie,
beh, l’autunno è alle porte,
allora vento, spazzali via.
Di te non rimarrà più traccia.
Giusy Olivieri VB
Liceo Classico “G. Colosimo”
Il vento
Perché tu, oh tu, sei come il vento che fa cadere tutti i
fiori di un ciliegio.
Non vedi come spogli senza pietà quell’albero?
Non senti le urla dei petali al suolo?
Le grida delle foglie?
Sei lo stesso vento che mi scompiglia i capelli.
Mi arruffi tutti i pensieri.
Placa la tua rabbia, vento.
Non vedi che quel ciliegio,
devastato dalla tua forza,
muore per te?
E nonostante tutto,
rifiorirà ancora.
Ma tu, spietato, porterai via, ancora una volta,
i frutti della sua felicità.
Giusy Olivieri VB
Liceo Classico “G. Colosimo”
Il vento del perdono
Adesso voglio raccontarvi una storia. Sì, proprio così: non è certo un trattato di scienze,
un libro di matematica o un articolo di giornale: è un racconto che dedico a voi adulti,
col semplice scopo di farvi tornare a pensare - sì, anche solo per qualche attimo - come
un bambino. Una storia semplice ma complessa, bella ma toccante; una storia che parla
di due fratelli, due bambini che si amavano con tutto il cuore, che non facevano altro che
ridere e scherzare e condividere la propria gioia insieme.
Vivevano nella più assoluta spensieratezza, senza preoccupazioni o problemi... come
del resto ogni bambino. Eh sì, perché i bambini sono innocenti e non possono avere
qualcosa di davvero preoccupante nella testa. Loro non lavorano, loro non sanno cosa sia
la passione, loro non capiscono cosa sia il peccato. Indifesi, deboli, fragili, piccoli... No. I
bambini non sono spensierati. Loro soffrono, proprio come noi adulti, o forse addirittura
più di noi: perché per loro la cosa più banale può diventare un inferno, un qualcosa di
insopportabile. E dietro i loro sguardi felici alle volte può nascondersi il più triste dei
dolori.
Questi due fratelli vennero però separati da un triste evento, una di quelle spiacevoli
situazioni di cui si sente tanto parlare nei film: un avvenimento reale ma allo stesso tempo
inaccettabile. E Sho, che era nato solo due anni prima del suo fratellino Amir, non aveva
certo preso bene questa separazione. Era da giorni che quasi non apriva più bocca, se
non per lo stretto necessario; erano giorni che ingoiava qualche pezzo di pane e poi
diceva che era già pieno; ma soprattutto erano giorni che aveva smesso di sorridere,
privando i suoi genitori di quel suo sguardo luminoso, di quei suoi occhi brillanti che lo
avevano da sempre caratterizzato.
E poi gli piaceva tanto guardare le stelle. Anche se fuori il vento soffiava, anche se fuori
fosse piovuto fuoco o se per una qualche assurda magia andare fuori all’aria aperta lo
avesse ucciso, lui non avrebbe rinunciato alla sua uscita notturna.
In primo luogo perché gli piaceva contare quei puntini luminosi nel cielo, e stare a
contatto con la natura, ma il motivo principale era perché solo lì poteva parlare con suo
fratello.
Dopo aver richiuso delicatamente la porta alle sue spalle, Sho avanzò in punta di piedi
per un sentiero erboso e poi si lasciò cadere a terra, disteso. Rimase immobile per pochi
istanti e chiuse gli occhi, assaporando la leggera brezza notturna che gli accarezzava la
pelle. Poi iniziò a parlare.
«Amir» sussurrò. «Amir... lo so che ci sei. Non è forse così?».
Il vento soffiò più forte, scompigliando i capelli di Sho. Sembrò aumentare d’intensità,
sempre più, finché non iniziò persino a fischiare.
«Ecco, lo vedi» proseguì Sho con gli occhi chiusi, mentre una specie di sorriso sembrava
delinearsi sul suo volto, «vedi, lo so che ci sei. E so che vuoi tornare. Vero?»
Non ci fu risposta. Stavolta il vento se ne stette in silenzio. Non un filo d’erba si muoveva,
e l’attesa si fece angosciante.
«Amir... tu vuoi tornare, vero?» ripeté il bambino. Aspettò per poco ancora, ma poi
stanco, e con voce rotta, continuò: «È solo colpa mia, Amir, è solo colpa mia! Scusami, ti
prego, scusami!». Due grosse lacrime rigarono il volto del bambino. «Ho capito che ho
sbagliato, ma adesso perché non ritorni? È un dispetto? O vivere lì è meglio?».
E anche stavolta nessun suono si poteva udire nell’aria, niente che spezzasse la tranquillità
che regnava nell’ambiente. Assolutamente nulla turbava la quiete della notte, una notte
di stelle, una notte di dolore e vento. Poi, però, ecco levarsi un singhiozzare sommerso,
un qualcosa di terribilmente spaventoso, quasi come una tortura di fronte alla quale un
assassino si troverebbe inevitabilmente costretto a confessare.
«Scusami, Amir, scusami! Io non dovevo darti il permesso di scendere giù a giocare e
lasciarti solo. Io... io adesso farò quello che vuoi per farmi perdonare. Ma non ho più un
compagno di giochi, e ho bisogno di te... Tutta colpa di quell’omone cattivo! È tutta colpa
sua se ora tu sei una stella!».
Sho sospirò pesantamente e, dopo essersi asciugato le lacrime, affondò il volto nell’erba
riprendendo a piangere.
«Dimmi almeno se ti trovi bene adesso... dimmi se ti manco. Fammelo capire in qualche
modo... per favore. Ho bisogno di te. Giocare a palla con il muro non è divertente come
farlo con te. Tornerai, vero?».
E il vento tacque.
Andrea Forciniti II D
22
GIOCHI
Giochi matematici
a cura del prof. Cosimo Agostino Sosto
1) UN’EQUAZIONE IN NUMERI ROMANI
La seguente equazione non è verificata:
Cosa bisogna fare per far sì che, spostando un solo fiammifero,
tale equazione risulti verificata?
2) UN PRODOTTO MOLTO LUNGO…..
Qual è il valore del seguente prodotto
(x-a)(x-b)…..(x-y)(x-z) = ?
Attenzione il prodotto è composto in totale da 26 parentesi e a,
b, … z sono dei numeri qualsiasi reali.
3) PEDALARE IN BICICLETTA LA DOMENICA
(ma senza fretta però)
Cosimo e Giacomo vogliono confrontare le loro velocità in
bicicletta, ma hanno a disposizione un solo veicolo. Decidono
quindi di misurarsi uno dopo l’altro su una strada pianeggiante,
dotata di cippi chilometrici. Cosimo pedala dal chilometro 1 al
chilometro 12; Giacomo è sul portabagagli per cronometrare. Poi
dal chilometro 12 al chilometro 24 Giacomo pedala e Cosimo
passa sul portabagagli per cronometrare. Cosimo stravince.
Avreste forse potuto prevedere il risultato? E se sì, perché?
4) QUESTI MILIARDARI!!
Un miliardario possiede una collezione di diverse automobili.
Quanti veicoli possiede in totale, considerando che tutte,
tranne due, sono rosse, che tutte tranne due sono nere, e
che tutte, tranne due, sono bianche?
5) PERCHE’ A SCUOLA NON SI GIOCA A
TENNIS?
Viene organizzato un torneo di tennis fra n giocatori. Il principio
è quello dell’eliminazione diretta: se un giocatore perde un
incontro non può partecipare ad altre partite. Qual è il numero
di partite giocate – compresa la finale – in funzione del numero
dei giocatori?
Le soluzioni verranno pubblicate sul sito della scuola
www.liceicorigliano.it dopo le vacanze di Natale.
Spor t
23
La pallavolo, uno sport che insegna a fare squadra
La pallavolo fu inventata in America e, in poco
tempo, si diffuse in tutto il mondo. Questo sport
ebbe un gran successo anche in Italia agli inizi
degli anni ‘80.
Da allora, nel nostro Paese, questo è diventato
uno sport popolare ed è anche il secondo gioco
più praticato dopo il calcio.
A Corigliano la pallavolo si è diffusa grazie
alla Volley Corigliano con la promozione in A1.
Per la popolazione locale è stato un orgoglio
avere una propria squadra alle vette della classifica, infatti erano molti coloro che andavano la domenica allo stadio per sostenere la squadra.
Dopo il periodo di prosperità sportiva, la Volley è retrocessa in B1. Ciò non ha fortunatamente
intaccato il fermento sportivo che continua a crescere, riempiendo gli spalti dei tifosi coriglianesi.
La pallavolo è lo sport che mi piace di più e che
pratico. Nasce come una passione recente, infatti
ho iniziato a giocare a pallavolo in seconda media. Mi piace perché, innanzitutto, è un gioco di
squadra in cui la cosa più importante è essere uniti, poiché solo uniti si può arrivare alla vittoria.
La pallavolo non è solo un divertimento, in
quanto richiede tanto impegno e un costante allenamento, ma è anche un modo per insegnare ai
ragazzi ad affrontare le difficoltà senza mai stancarsi.
Federica Marino I A
L’espressione della
nostra vita: la danza
Tutti noi abbiamo passioni che inseguiamo
da molto tempo e che nascono in modo diverso. Per ciascuno è indispensabile avere una
passione da seguire e adesso vi parleremo della nostra, la danza.
Abbiamo iniziato a praticarla quando eravamo molto piccole e dobbiamo ammettere
che, all’inizio, per noi non era così importante,
era solo un passatempo. Nel corso degli anni,
iniziando a vedere degli spettacoli di danza (ad
esempio: Giselle, il Lago dei cigni, lo Schiaccianoci, la Bayadere, Don Chisciotte, Romeo e
Giulietta e molti altri), tendevamo ad immedesimarci nelle emozioni delle protagoniste, immaginando di ballare al loro posto. Ma ci siamo rese conto che non è così semplice come
sembra, perché dietro a un bellissimo spettacolo c’è molto lavoro, ma la voglia di ballare
ci spinge a seguire ogni minima regola per arrivare alla perfezione. Durante l’adolescenza,
quando si accumula molto stress e si sente il peso
del mondo sulle proprie spalle, si inizia a cercare
uno sfogo ballando, e capisci che non puoi smettere più quando il corpo e la mente trovano l’armonia giusta, quando si crea un’alchimia tra se
stessi e la danza, e si diventa liberi, liberi da tutto
e tutti. In base a come si balla è semplice capire il
proprio stato d’animo e anche gli altri capiranno,
osservandoci, come siamo fatte veramente. Verso
la fine dell’anno accademico arriva il momento
di mostrarci al pubblico: lo spettacolo. Il palco, il
camerino, quei vestiti, a dir poco stupendi, fanno
dimenticare tutta la fatica accumulata, e diventa
tutto fantastico! Infine, solo dopo molto allenamento, arriva ciò che compensa i nostri sforzi e
mostra se siamo all’altezza delle nostre aspettative, ossia l’esame. Durante l’esame vengono dei
ballerini professionisti per esaminarci e vedere
se siamo adatte a passare al grado successivo ed
è una gioia immensa riuscire ad arrivarci con un
buon giudizio. Noi amiamo
quest’arte non solo perché è
una delle più espressive, che
coinvolge direttamente, ma
anche perché grazie ad essa
si possono creare dei legami
speciali come, ad esempio, la
nostra amicizia, infatti è grazie alla danza che noi siamo
diventate amiche! Questa è la
nostra passione, la rappresentazione fondamentale della
nostra vita.
Ada Bruno
Lorena Martilotti IA
24
Le nostre foto
I A Liceo Scientifico
I B Liceo Scientifico
I C Liceo Scientifico
I D Liceo Scientifico
I A Liceo Classico
I B Liceo Classico
DALLA MEDIA ALLE SUPERIORI
Il passaggio dalla scuola media a quella superiore è, per la maggior parte
degli adolescenti, assai “traumatico”. La scuola superiore si differenzia dalle
altre proprio per il diverso metodo di studio, molto più complesso e impegnativo. Molti ragazzi, infatti, credono che la scuola superiore, in questo
caso il Liceo, sia altrettanto facile come le scuole medie. Per questi motivi
gli allievi, spesso, sottovalutano il nuovo percorso di studi con il rischio di
essere rimandati o addirittura bocciati. Le scuole medie servono per crescere
e per apprendere metodi nuovi, così anche le superiori, che hanno un ruolo
fondamentale: quello di avviarci ad un futuro migliore. Infatti il Liceo, come
tutte le altre scuole superiori, fornisce gli strumenti per affrontare l’Università e approfondire meglio gli studi, gli interessi, così da permetterci poi di
entrare nel mondo del lavoro. Quindi, noi ragazzi, dobbiamo saper capire
l’importanza della scuola senza prenderla alla leggera, ma sul serio. Dobbiamo anche capire che la scuola è importante per noi stessi, per migliorare
le nostre conoscenze, per sviluppare le nostre capacità, per farci diventare
cittadini consapevoli, dotati di spirito critico e di autonomia di pensiero. La
scuola è diventata come una seconda casa, dove si trascorre molto tempo,
in compagnia di altri ragazzi. Gli studi delle scuole superiori sono assai più
impegnativi, allenano il nostro cervello e lo preparano alle nuove sfide. Non
bisogna sottovalutare la scuola dal momento che grazie ad essa un giorno
diventeremo e ci sentiremo in pieno cittadini del mondo e capiremo quant’è
stata importante.
Arturo Sarli IB
Giada Grispo I B
DIRETTORE: Pietro Antonio Maradei
RESPONSABILE: Giacomo Gilio
Hanno collaborato a questo numero i docenti:
Diamante Bruno, Emanuela Cairo,
Maria Di Bella, Cosimo Esposito,
Giuseppe Godino, Maria T. Sangregorio,
Cosimo A. Sosto, Angelo Tocci, Eufemia
Trisolini, Mario Vicino
Buone Vacanze
Tip. TECNOSTAMPA
Largo Deledda - Corigliano Scalo (Cs)
I C Liceo Classico
Liceo Scientifico “F. Bruno”
Liceo Classico “G. Colosimo”
C.da Torrelunga - Tel. 098381110 - Corigliano Calabro
www.liceicorigliano.it
REDAZIONE ALUNNI:
Isabella Castagna, Alessandro Ceniti, Francesco Curia,
Ariella Fonsi, Luciana Franzeze, Angela Gencarelli, Piera
Nicoletti, Antonello Palummo,
Simona Palummo, Maria
R. Petrone, Irene Romano,
Paolo Sassone,
Alessandra Spezzano,