Introduzione di Guido Bertolaso all`interno del volume “Beni
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Introduzione di Guido Bertolaso all`interno del volume “Beni
Introduzione di Guido Bertolaso all’interno del volume “Beni Culturali in Umbria: dall’emergenza sismica alla ricostruzione” Negli ultimi anni, il Dipartimento della protezione civile ha investito molto più che in passato sul tema dei beni culturali in situazioni di emergenza. Si è trattato di un investimento in uomini, strutture, analisi e studi, esercitazioni e prove pratiche di procedure, equipaggiamenti e tecniche, basato sul convincimento che anche le opere della cultura fanno parte integrante di ciò che siamo chiamati a proteggere in modo efficace ed efficiente. La storia della protezione civile in Italia segue un ritmo sincopato, con forti accelerazioni nei periodi immediatamente successivi ad una qualche grande catastrofe, quando i cambiamenti, le innovazioni, le decisioni e le scelte sono aiutate dal clima di forte emozione che, dopo un disastro, coinvolge insieme l’opinione pubblica, le istituzioni, i decisori politici. L’emozione di una tragedia recente ha sempre aiutato la Protezione civile a superare difficoltà, resistenze, ritardi, favorendo la maturazione di condizioni favorevoli per arrivare a decisioni importanti. E’ stato così anche per i beni culturali: non si contano le immagini di chiese sventrate, di affreschi e dipinti esposti dai crolli ad una innaturale illuminazione solare, di libri e manufatti sommersi dal fango, scattate ad ogni catastrofe che ha colpito il Paese e poi dimenticate in archivio. Dall’alluvione di Firenze in poi, l’Italia sa che anche il suo patrimonio d’arte e di cultura è a rischio, che l’insicurezza dei siti e l’insipienza delle collocazioni può essere fatale anche per l’arte. Eppure c’è stato bisogno del crollo in diretta televisiva della vela di scuola giottesca della Basilica superiore di S.Francesco d’Assisi per creare una sensibilità sufficiente a far vibrare l’animo di ogni italiano, a sentire vicino, sulla pelle, il rischio che un terremoto, un’alluvione, una frana potessero far strage non solo di vite, di abitazioni ed infrastrutture, ma anche della nostra memoria e delle testimonianze alle quali ogni territorio affida la sua storia, la sua identità, la sua riconoscibilità. Da allora qualcosa è cambiato in meglio. Già nel corso di quell’emergenza si tentò di fare di più, accelerando il lavoro di censimento dei danni, sperimentando i primi interventi di messa in sicurezza di monumenti resi pericolanti dal sisma, rendendo più funzionale il rapporto tra soccorritori e soprintendenze, grazie anche all’istituzione, da parte del governo, di un commissario delegato ad hoc. Si uscì allora, con una sensibilità diversa, dallo schema pragmatico che accomunava la verifica dei danni al patrimonio artistico a quella, necessaria per ogni struttura colpita, per verificarne l’abitabilità e diagnosticare gli interventi necessari al ripristino della funzionalità. Come sempre, non sono le istituzioni, le amministrazioni o i “soggetti pubblici competenti” ad imparare, a reagire, a spendersi con intelligenza e dedizione, ma le persone. In Umbria e nelle Marche furono molti gli esperti, i responsabili nazionali e locali del 1 nostro patrimonio artistico che si diedero da fare perché l’incuria e il pressappochismo non aggiungessero al danno subito la beffa di una sottovalutazione del problema. E’ grazie al lavoro pionieristico svolto allora da personale della protezione civile, delle soprintendenze, dei vigili del fuoco con l’indispensabile apporto del volontariato, che si avviarono, negli anni successivi, le prime riflessioni organiche sul modo di intervenire, in caso di catastrofe, sui beni culturali. Fu possibile verificare i risultati di questo impegno in occasione del terremoto che colpì, nel 2002, il Molise e il nord della Puglia: in quell’occasione, grazie all’intervento di personale che già aveva fatto esperienza in Umbria e nelle Marche, insieme ad esperti e responsabili delle aree colpite, fu possibile concludere la verifica dei danni in tempi straordinariamente brevi, consentendo di annoverare gli interventi su diversi edifici monumentali e storici già nei primi elenchi delle opere da avviarsi con urgenza. Ad operare sul territorio, furono sistematicamente squadre miste di tecnici con varie professionalità e di esperti di beni culturali, in grado, con un solo sopraluogo, di valutare sia gli aspetti tecnici del danno strutturale subito dagli edifici che la consistenza degli effetti della catastrofe sul patrimonio artistico nonché la stima dei danni, consentendo di adottare tempestivamente le misure necessarie ad evitare il peggio. Sono stati moltissimi gli interventi effettuati dalle squadre S.A.F. dei vigili del fuoco per la messa in sicurezza di quelle strutture rese pericolanti dal sisma. In questi contesti, ma anche durante le esercitazioni, sono stati sperimentati anche altri modi di agire, individuando siti sicuri e tecniche adeguate per asportare i beni mobili dalle strutture lesionate e riporli in sicurezza e in ordine, in attesa di poterli restituire ai luoghi originari dopo gli interventi di consolidamento. Queste attività sono state coordinate e condotte dal Dipartimento in stretta collaborazione con i responsabili del Ministero per i beni e le attività culturali, dando vita ad una autonoma funzione di supporto, “Salvaguardia dei beni culturali”, aggiunta a quelle attivate immediatamente sul territorio colpito da una calamità al momento della costituzione dei “centri operativi misti” e di altre analoghe strutture di coordinamento dei soccorsi. L’esperienza maturata, nei suoi aspetti positivi e nei suoi risvolti problematici e critici, è stata condotta dal “Gruppo di lavoro per la salvaguardia e la prevenzione dei beni culturali dai rischi naturali” (G.LA.BE.C.) costituito presso il Dipartimento, con l’apporto prezioso di esperti del Ministero per i beni e le attività culturali e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco che ormai, dopo anni di collaborazione intensa e proficua, agiscono e operano con noi senza alcuna differenza di approccio, di metodo, di comportamenti, realizzando anche in questa delicata materia quel concetto di “gioco di squadra” tra istituzioni che è l’asse portante del Servizio nazionale della protezione civile. Il gruppo ha dedicato tempo, energie ed attenzione per predisporre strumenti, procedure, tecniche di intervento con corsi di formazione e con la predisposizione di tre modelli di scheda per il rilevamento del danno alle chiese, ai palazzi ed ai beni mobili ufficializzati con la pubblicazione nella gazzetta ufficiale. Modelli “testati” in ogni occasione, in particolare nell’ambito delle 2 esercitazioni europee di protezione civile organizzate in Italia nel 2005, in Sicilia orientale, e nel 2006 nell’area vesuviana. Con apposito decreto biennale ho provveduto, l’anno scorso, a confermare la validità del “G.LA.BE.C”, per consentire ai suoi membri di codificare e rendere permanenti le innovazioni metodologiche individuate dalla comunità scientifica per gli interventi sui beni culturali in caso di calamità e per completare la predisposizione della serie di schede per il rilievo del danno. Dalle relazioni periodiche che ricevo, constato con soddisfazione che gli orizzonti dell’azione della protezione civile in materia si stanno allargando, e che anche in questo campo si avverte come sta avvenendo in tutti i campi di attività della protezione civile, la necessità di dedicare maggiore attenzione alla fase di previsione e prevenzione del rischio, e non soltanto alla messa a punto di efficaci meccanismi di intervento quando la calamità ha già colpito. E’ in questa direzione che va l’impegno anche per la verifica della vulnerabilità degli edifici e dei centri storici al fine della mitigazione del rischio. Il Servizio nazionale della protezione civile sta assumendo una nuova fisionomia, trasformandosi da macchina dei soccorsi in sistema che agisce, quando è possibile, prima che l’evento calamitoso si verifichi, con misure di prevenzione del danno e di salvaguardia della vita umana e dei beni. In questa trasformazione assumono particolare rilevanza due dimensioni, che sono in qualche modo speculari e complementari. Con i centri funzionali, nazionale e regionali, stiamo potenziando le dotazioni tecnologiche, informative e scientifiche, per arrivare nell’arco di pochi anni ad assicurare un costante monitoraggio sul territorio di tutti i rischi prevedibili, per essere in condizione di conoscere cosa sta accadendo, prevedere quando si può l’evolversi delle situazioni in atto, in tempo utile ad allertare i comuni, e tramite essi la popolazione, della probabilità che, in zone specifiche, sia superata la soglia di rischio considerata “normale” dalla comunità scientifica e che di conseguenza sia utile attivare opportune misure di prevenzione. A questo sforzo che coinvolge l’intero Sistema nazionale, sia al centro che nelle articolazioni regionali e locali, deve però corrispondere, in ogni comune d’Italia, la predisposizione di piani operativi ben fatti e aggiornati, perché localmente si possa tener conto delle previsioni fornite dal sistema ed agire senza perdere tempo, che continua a restare la risorsa indispensabile a qualsiasi buon risultato in materia di protezione civile. A poco serve, infatti, conoscere l’approssimarsi di una minaccia, se poi non si sa cosa fare, in concreto, per evitarne gli effetti più negativi. Gli esempi potrebbero essere numerosi, ne basti uno: nei tempi concitati di un’emergenza che si può decidere di evacuare persone e famiglie, ma è necessario, per riuscire bene e senza effetti collaterali negativi, che già si sappia come farlo, dove portare la gente, come sistemarla e come assisterla, tenendo in conto della possibile durata delle sistemazioni provvisorie. Lo stesso vale per i beni culturali, per i quali intervenire è possibile soltanto se si ha coscienza di ciò che occorre fare. E’ per questo che ho ritenuto anche di istituire, con la recente riorganizzazione degli uffici del Dipartimento, anche un apposito “Servizio per la salvaguardia dei beni culturali”. Non si improvvisa lo spostamento di una biblioteca, la 3 messa in sicurezza dei beni di un museo, il consolidamento di una struttura monumentale, la protezione di un sito archeologico. Qui si tocca il confine, sempre delicato e difficile, tra ciò che è protezione civile in senso stretto e ciò che rientra nei compiti ordinari di tutela, conservazione e valorizzazione del patrimonio che sono propri del Ministero predisposto, con le sue strutture periferiche, e degli enti locali. Ad una analisi anche sommaria dello stato delle cose nel nostro Paese per ciò che riguarda lo stato del nostro patrimonio d’arte e di cultura non sfuggono gli innumerevoli casi di lacune, di mancanze, di inadeguatezze anche di fronte a situazioni di rischio ben evidenti e note da tempo. Non so se la storia insegni a chi non ha intenzione di imparare da essa: in alcune aree del Paese, teatro in passato di grandi tragedie, passata l’emozione del momento si è rinunciato ad ogni intervento sistematico di messa in sicurezza almeno di ciò che è più facile proteggere, per tornare a confidare nella buona sorte o nella improbabilità - scientificamente smentita - che la stessa calamità abbia a ripetersi. Anche il patrimonio artistico è affidato troppo spesso alle medesime, irresponsabili, considerazioni e la sua difesa subordinata al “concerto” di amministrazioni tanto inattive quanto gelose delle loro competenze, magari solo marginali, da rispettarsi comunque, anche se ad esse non corrisponde alcune reale assunzione di responsabilità. Il Dipartimento non si occupa di attribuire responsabilità, individuare colpevoli, spiegare le cause di comportamenti inadeguati. Il nostro compito, già impegnativo, è quello di operare quotidianamente per mettere le nostre competenze, le nostre capacità, le stesse normative che rendono possibile il nostro lavoro, al servizio di quanti sono interessati, con noi, a “proteggere” la vita dei nostri concittadini ed anche i luoghi ed i beni tra i quali viviamo. Abbiamo accumulato un certo know how anche in materia di beni culturali, che consideriamo un tesoro da condividere e non qualcosa da tenere per noi, rendendolo vano ed inutile. Come più volte riconosciuto anche dagli osservatori europei durante le esercitazioni già richiamate. Abbiamo utilizzato questa competenza all’estero, quando ci è stato richiesto in occasione di grandi emergenze internazionali, come nel caso del terremoto che in Iran ha colpito il sito storico di Bam, dove esperti di “protezione civile dei beni culturali” sono intervenuti con noi per disegnare possibili linee di recupero e di restauro da offrire alle autorità di quel Paese. L’abbiamo utilizzata in Italia, facilitando in una lunga serie di casi, dal Teatro La Fenice al completamento del restauro dell’Ultima Cena del Vasari a quello della cattedrale di Noto – completato nel rispetto della normativa antisismica - il lavoro di quanti avevano difficoltà a sciogliere i nodi di una difficile opera di restauro e di rimessa in funzione. Lo stiamo facendo in altri casi, e lo faremo in futuro ogni volta che il nostro intervento sia richiesto e considerato utile alla collettività. E’ in questo atteggiamento di collaborazione disponibile ed aperta che si realizza, a mio avviso, una parte importante della nostra missione: non solo proteggere, com’è scritto nei nostri statuti, ma far sì che il nostro lavoro sia “civile”, nel rispetto di coloro che serviamo con il nostro impegno e di quanto la storia e la natura ci hanno consegnato in dono di bello, di grande, di unico. 4 Le pagine che seguono possono, a mio avviso, rientrare a pieno titolo tra i contributi positivi ad entrambi gli aspetti che ho ricordato del nostro essere “protezione civile” nel nostro ricchissimo, bellissimo e straordinario Paese. 5