Lingue Africane Avvenire ed evoluzione nel tempo della

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Lingue Africane Avvenire ed evoluzione nel tempo della
MISNA
Lingue Africane
Avvenire ed evoluzione
nel tempo della globalizzazione
di
Aurélia Ferrari
Centro Studi di lingue Africane
Inaco - Parigi
Dossier: 6
Marzo 2011
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In Africa, esiste un numero importante di lingue, circa 2.000, in pratica il 30%
del totale delle lingue parlate nel mondo. Le lingue africane sono state classificate
in vari modi. Una classificazione generalmente accettata definisce quattro gruppi
principali di lingue interrelate.
Afro-asiatico. Questo gruppo di circa 200 o più lingue, con circa 175 milioni di
parlanti, occupa la maggior parte dell’Africa settentrionale, incluso il “corno”
orientale del continente, tranne il Sahara centrale e le aree del Nilo superiore.
Com’è noto, appartengono a questo gruppo le lingue semitiche, tra cui l’arabo, che
è parlato anche nella penisola arabica, e l’egiziano antico. Il gruppo si estende
verso sud all’incirca fino al lago Ciad. Membri noti di questo gruppo sono gli
arabi (più di 100 milioni di parlanti), gli hausa in Africa occidentale, gli amarici e
i somali, entrambi in Africa orientale.
Nigero-kordofano. Questo grandissimo gruppo copre la maggior parte dei due
terzi meridionali dell’Africa, tranne che una vasta area nel sud-ovest. Il suo ramo
principale è quello Niger-Congo, che contiene più di 1.000 lingue, con 200
milioni di parlanti. Le lingue bantu dell’Africa centrale, orientale e meridionale
costituiscono, com’è noto, un sotto-gruppo del ramo Niger-Congo. Esse sono circa
500 e comprendono più di 100 milioni di parlanti. Tra le lingue bantu, sono noti il
kiswahili in Africa orientale e lo Shona, lo Xhosa e lo Zulu in Sudafrica. Il gruppo
nigero-kordofano ha questo nome perché un altro ramo principale, sebbene molto
piccolo, è costituito dalle lingue kordofane. Questo gruppo include circa 30
lingue, con 300.000 parlanti in Sudan, isolati dall’altro ramo principale, quello
Niger-Congo, da lingue del gruppo afro-asiatico e del gruppo Nilo-sahariano,
menzionato qui sotto.
Nilo-sahariano. Questo gruppo di 140 o più lingue, con forse 11 milioni di
parlanti sparsi in lungo e in largo in zone dell’Africa centrale ed orientale, è stato
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difficile da riconoscere, per le considerevoli differenze tra i suoi membri e perché
essi sono sparsi in lungo e in largo. Sono circondati sia da lingue afro-asiatiche,
sia da quelle del gruppo Niger-Congo. In Africa orientale sono membri di questo
gruppo, com’è noto, i masai ed i nubiani.
Khoisan. Questo gruppo di circa 30 lingue, con più di 100.000 parlanti, è
situato in una vasta zona dell’Africa sud-occidentale. Le lingue khoisan erano
probabilmente parlate, in origine, in quasi tutta l’Africa meridionale. L’espansione
meridionale di parlanti bantu, tuttavia, occupò gran parte della loro area d’origine,
e l’immigrazione da sud di coloni olandesi li restrinse ancor di più. Due lingue
connesse sono parlate nel nord della Tanzania, sicuramente traccia, in un Paese
montuoso, di una precedente lingua khoisan, diffusa in un’area molto più vasta.
Oggi, molte delle lingue khoisan sono parlate in Sudafrica, Namibia, Botswana ed
Angola. Le lingue degli ottentotti e dei boscimani sono, com’è noto, membri del
gruppo khoisan. Una celebre caratteristica delle lingue khoisan è il loro uso di
consonanti avulsive al posto delle normali consonanti occlusive p, t e k. Molte tra
le lingue khoisan sono in pericolo a causa della pressione esercitata dalle lingue
bantu più diffuse, i parlanti di alcune delle quali prendono in prestito dalle lingue
khoisan qualche suono avulsivo, come per esempio fanno i parlanti dello xhosa,
che è la lingua di Nelson Mandela (il gruppo consonantico xh indica la cosiddetta
articolazione laterale avulsiva di un lato della lingua contro il lato interno destro
dei molari, con un successivo suono d’acca aspirata).
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Le lingue in via d’estinzione
Il patrimonio dell’Africa che è uno dei più ricchi del mondo, è tuttavia
minacciato. Secondo un recente Atlante pubblicato dall’Unesco, tra 500 e 600
lingue parlate nel continente sarebbero in via d’estinzione, tra le quali 250 già
quasi estinte. In effetti, due zone sembrano essere le più colpite da questo
fenomeno: l’una, all’est, comprende 5 paesi (l’Etiopia, l’Uganda, la Tanzania, il
Kenya, ed il sud del Sudan) l’altra, all’ovest, è composta essenzialmente dalla
Nigeria e dal nord del Camerun.
Di solito si distinguono i seguenti gradi di lingue in situazione di pericolo, col
parametro migliore costituito dal comportamento di una lingua nelle diverse
generazioni di una comunità linguistica, specialmente dal comportamento dei
bambini.
Se essi hanno smesso del tutto d’imparare la lingua ed il livello di persone che
non la parlano ha raggiunto il 10-30%, la lingua è potenzialmente in pericolo. Se
ci sono rimasti solo pochi bambini che parlano la lingua ed i più giovani che la
parlano bene sono giovani adulti, la lingua è in pericolo.
Se il più giovane, che sia capace di parlarla in modo fluente, ha ampiamente
superato la mezza età, la lingua è seriamente in pericolo. Se è rimasta solo una
manciata di parlanti, la maggior parte dei quali anziani, la lingua è moribonda. Se
non sembra sia rimasto alcun parlante, si ritiene che la lingua sia estinta (molte
lingue sono state ritenute estinte, ma di recente sono stati trovati alcuni parlanti ed
alcune lingue realmente estinte sono recentemente tornate in uso).
Di fronte al fenomeno di non trasmissione di alcune lingue africane, che porta
con sé la non trasmissione di patrimoni culturali e della storia di società intere,
nascono alcuni organismi che reagiscono a questo problema. Così, l’ONG Nacalo
in Camerun sostiene, in favore delle lingue camerunesi, delle azioni per
l’alfabetizzazione degli adulti nella loro lingua materna, mentre il Propelca
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(Programma operativo di ricerca per l’insegnamento delle lingue camerunesi)
favorisce quella dei bambini. Ricordiamo inoltre che, da un lato, molti studi hanno
provato che l’alfabetizzazione in lingua madre permette un migliore
apprendimento scolastico ed una migliore acquisizione delle lingue seconde e che,
dall’altro, gli ordinamenti linguistici in favore delle lingue locali sono più adatti
ad assicurare l’evoluzione delle popolazioni senza rotture e lo sviluppo del paese.
Non sembra opportuno, infatti, che dei bambini di scuola elementare apprendano a
leggere e scrivere in una lingua esogena (in genere il francese o l’inglese) che essi
non parlano e non capiscono, cosa che sfortunatamente avviene spesso in Africa.
Bilinguismo e multilinguismo
Gli africani, in genere, sono bilingui o poliglotti. Essi hanno una memoria ed
un’intelligenza più grande e più utile e più capacità d’apprendimento, rispetto a
persone che conoscono una sola lingua. Bilingui e poliglotti hanno
necessariamente uno spazio mnemonico più ampio nelle loro teste, con la loro
conoscenza di vocabolario e di grammatica di due o più lingue.
Essi hanno anche sviluppato una capacità di ricordare più accurata, più svelta e
più precisa ed hanno subito pronte all’uso parole e forme grammaticali da due o
più lingue, rispetto a persone che conoscono una lingua sola (i cosiddetti
monoglottici). Ciò permette loro di evitare, quando parlano, di prendere dalla
lingua sbagliata parole e forme grammaticali. Li rende anche intelligenti e più
inclini ad acquisire nuove conoscenze o ad imparare un’altra lingua. È un vero
peccato che questi fatti non siano di dominio pubblico, perché aiuterebbero a
mantenere in vita molte lingue in pericolo d’estinzione, in Africa ed altrove.
Si può dire che, delle circa 6.000 lingue del mondo, molte, o almeno alcune,
sono parlate da bilingui o da poliglotti. Molti di questi parlano lingue africane e
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questa tradizione deve continuare, a beneficio degli stessi africani. Inoltre,
mantenere in vita la madrelingua di coloro che parlano lingue minoritarie li
aiuterebbe a conservare il senso della loro identità etnica ed il loro orgoglio (ciò in
anni recenti ha risvegliato molti membri di gruppi minoritari in molte parti del
mondo). Ciò ha anche creato un interesse più grande verso la propria lingua e la
sua difesa, da parte di coloro che parlano queste lingue minoritarie. Inoltre, i
governi dei Paesi in cui vivono i parlanti lingue minoritarie, hanno posizioni più
positive verso queste lingue rispetto al passato. Ciò alla fine può avvenire anche in
zone dell’Africa.
In quanto all’Unesco, esso preconizza lo sviluppo del trilinguismo (lingua
materna, lingua veicolare della zona e lingua internazionale), concetto senza
dubbio ideale per questo tipo di situazioni, ma difficile da mettere in opera
concretamente.
Politiche linguistiche africane
Mentre un buon numero di paesi africani, dopo l’Indipendenza, ha favorito le
politiche linguistiche in favore della lingua dell’ex-colonizzatore, elevandola al
rango di lingua ufficiale e scegliendola come lingua d’insegnamento fin dalle
elementari, la Tanzania ha scelto fin dall’Indipendenza, nel 1961, di prendere una
lingua veicolare africana di tradizione scritta, il swahili, come lingua ufficiale e
lingua d’insegnamento.
In Kenya, paese in cui il swahili e l’inglese sono entrambe lingue ufficiali, una
politica linguistica stabilita nel 1976 ha incoraggiato l’insegnamento in lingua
materna nelle scuole elementari. L’inglese, tuttavia, è utilizzato sempre di più
come lingua d’insegnamento nell’insieme del sistema educativo. Il swahili è
insegnato come materia obbligatoria, ma la promozione delle lingue locali come
lingue d’insegnamento ha perduto terreno. Bisogna anche dire che sono
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sopravvenuti dei problemi tecnici, come l’inadeguatezza del lessico tecnico della
maggior parte di alcune lingue locali, la dubbia qualità dei manuali scolastici o la
loro rarità, il carattere obsoleto dei metodi d’insegnamento. Per illustrare ciò,
segnaliamo che il “Kenya Institute of Education” è riuscito a pubblicare libri in
solo 22 lingue su 40. In più, la maggior parte di queste opere non tengono conto
delle varianti dialettali. Con l’entrata in vigore della nuova costituzione, il 4
agosto scorso, ora in Kenya in qualsiasi ufficio pubblico si può chiedere di parlare
swahili. Non solo ma le istituzioni più importanti sono obbligati a tradurre i
documenti ufficiali in swahili.
Le politiche linguistiche che favoriscono le lingue materne sono delle eccezioni
in Africa ed il fenomeno delle lingue “in pericolo” è ben presente. Tuttavia, prima
di allarmarsi riguardo alla scomparsa di un buon numero di lingue, bisogna
ricordare che, da un lato, l’estinzione delle lingue non è un fenomeno nuovo, si
tratta di un fenomeno naturale (le lingue hanno un periodo di vita limitato) iscritto
nelle storia e che, dall’altro, non sono gli uomini al servizio delle lingue, ma è
l’inverso. Se la descrizione di queste lingue in pericolo si rende necessaria da un
punto di vista storico, etnologico e linguistico, sembrerebbe fuori luogo voler far
rinascere delle lingue, quando i parlanti non ne hanno la volontà. Bisogna anche
ricordare che, al contrario, alcune lingue africane sono in espansione: tra le altre, il
swahili, il mandingo, il peul, il wolof e l’hausa.
D’altronde, non bisognerebbe parlare solo d’estinzione, ma piuttosto di
rinnovamento o d’apparizione di nuovi dinamismi linguistici. Se, infatti, i contatti
delle lingue, in particolare con le lingue internazionali, sono fattori di sparizione
delle lingue, essi sono anche all’origine di nuovi dinamismi linguistici e dunque
creatori di nuovi modi di parlare
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Appropriazione di una lingua esogena e alternanza di codici (code switching)
Questi ultimi decenni sono stati segnati dal massiccio utilizzo d’alternanze di
codici tra dialetti, lingue veicolari africane e lingue esogene. Talvolta, uno stesso
parlante alterna frequentemente l’uso di tre o quattro lingue. La struttura di base
può variare: a Dakar passa dal francese al wolof nei discorsi (franlof, francolof).
L’alternanza si compie tra il francese ed il kinyarwanda in Rwanda, tra il francese
ed il moore a Ouagadougou, tra il francese ed il peul a Ngaoundere, tra il francese
ed il lingala a Kinshasa e tra l’arabo e l’inglese a Juba.
Un altro fenomeno importante è l’appropriazione delle lingue esogene, come il
francese in Costa d’Avorio, dove il francese è stato completamente trasformato
per rispondere alle realtà locali. Questa appropriazione è presente soprattutto nei
paesi che non possiedono una lingua veicolare unificante e in cui il numero delle
lingue è considerevole, come nel caso della Costa d’Avorio. In questi paesi ci si
appropria del francese, forgiando delle parole che funzionano come l’argot: non ci
si accontenta solo di cambiare il senso delle parole francesi, ma si traducono
anche alla lettera delle espressioni locali in francese. Le trasformazioni possono
avvenire sia a livello fonetico, sia a livello morfo-sintattico e lessicale.
Creazione linguistica nell’ambito urbano: apparizione del parlare ibrido
(creolo)
È nelle grandi città dell’Africa che le lingue africane evolvono più
rapidamente. Nei grandi centri urbani, infatti, le lingue s’affrontano, s’impongono
o sono dominate, dando origine a degli sconvolgimenti da un punto di vista
linguistico che sono tanto più importanti e rapidi, quanto più l’urbanizzazione è
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“esplosiva”. In più, essendo il multilinguismo presente nella maggior parte dei
paesi africani, ciò ha per effetto, con l’accrescimento della scolarizzazione in
lingua europea e la concentrazione dell’elite intellettuale nelle città, un contatto
linguistico non trascurabile tra la lingua ufficiale europea e le lingue locali.
D’altronde,
la
colonizzazione,
che
ha
avuto
come
conseguenza
uno
sconvolgimento profondo nelle società tradizionali africane, soprattutto in città, ha
avuto delle ripercussioni a livello linguistico.
Così, si ritrovano, in situazioni parzialmente simili, delle lingue miste, come lo
sheng a Nairobi, il nouchi ad Abidjan o ancora l’hindoubill a Kinshasa. Molti
elementi sono simili: un’urbanizzazione esplosiva, che mischia persone di tutte le
età, di tutte le culture, di tutte le lingue, che non hanno in comune che le difficili
condizioni d’adattamento ai problemi del loro nuovo ambiente. In questo quadro,
la rottura tra le generazioni s’intensifica, poiché l’adattamento dei più giovani
passa attraverso il rafforzamento dei legami con quelli della loro età, di cui
condividono il modo di vivere e le inquietudini, a discapito delle radici culturali,
morali o religiose. Queste società complesse hanno in comune il fatto d’essere
implicate in un processo d’integrazione urbana, d’elaborazione di una nuova
cultura meticcia.
La maggior parte delle parlate urbane apparve negli anni 70, ad eccezione
dell’hindoubill, che sembra sia apparso fin dagli anni 50. Secondo gli studi fatti
sull’argomento, la loro apparizione è sempre associata alle giovani generazioni.
Due situazioni ben distinte, tuttavia, sembrano delinearsi. Da un lato, sembra che
alcune parlate (lo sheng, il nouchi, l’hindoubill ed il camfranglese) siano nate dal
bisogno criptico dei giovani delinquenti urbani e dal bisogno d’identità dei
giovani dei quartieri poveri vicini alla delinquenza. Dall’altro, alcune parlate
sembra siano nate nell’ambito degli intellettuali urbani (per alcuni, gli studenti
universitari ne sarebbero l’origine). Queste parlate si sarebbero in seguito diffuse
nelle altre classi sociali.
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In alcuni paesi, la nuova realtà linguistica sarebbe diventata molto complessa,
come in Camerun dove, secondo J. Gerbault, il CFA (camfrancese), il CPF
(pidgin francese), il franglese ed il francese da un lato, ed il CFA, il CPE (pidgin
inglese), il franglese e l’inglese dall’altro, costituirebbero dei continuum.
Alcuni linguisti come Manessy affermano che esiste una certa somiglianza tra
queste parlate, osservando una certa regolarità nel loro processo evolutivo, benché
le parlate analizzate appartengano a dei tipi linguistici molto diversi (wolof, sango,
swahili o dioula).
Le parlate urbane basate su una lingua locale o su una lingua europea
procedono prima di tutto ad una prima tappa di “devernacolarizzazione”: ne risulta
che le referenze normative della lingua nel suo impiego “etnico” o culturale
cessano d’essere pertinenti. Questa prima tappa è seguita da un secondo processo
di “rivernacolarizzazione”, quando questa varietà urbana diventa la prima lingua
delle popolazioni urbane. Questa “rivernacolarizzazione” non è un ritorno ad una
situazione anteriore, perché le norme sono diverse ed anche la parlata.
La mancanza d’interesse che suscitano queste lingue, considerate spesso come
lingue di giovani, come lingue veicolari o come gergo, è un freno non trascurabile
all’espansione ed alla standardizzazione di queste parlate. Gli anni passano,
tuttavia, e queste lingue sono usate sempre di più nelle città, si stabiliscono in vari
strati sociali e diventano lingua vernacolare (materna) in alcune famiglie, in
particolare in quelle nate da matrimoni interetnici o in quartieri popolari, come le
bidonvilles di Nairobi.
Le descrizioni di queste lingue sembrano essere primordiali per la comprensione
delle società urbane e, in modo più generale, per la comprensione della nascita
delle lingue. In più, queste nuove parlate urbane ibride permettono di superare le
divisioni etniche, che sono caratteristiche delle società africane e che sono spesso
fattori di conflitti e di guerre.
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Le lingue africane “s’attrezzano”
Per rispondere ai bisogni della modernità, alcune lingue africane in piena
espansione, spesso di tradizione scritta, s’arricchiscono di opere pedagogiche e di
una terminologia e di un sistema ortografico moderni.
Esse ricorrono ai neologismi ed ai prestiti, sia in modo naturale (i parlanti stessi
sono attori in materia di creazione lessicale), sia attraverso l’intermediazione
d’istituzioni specializzate.
Nel 2005 a Dar es-Salam, durante il congresso del Tuki (Istituto di ricerca sul
swahili) che celebrava i 75 anni di questo organismo, è stato evocato il problema
del non utilizzo dei termini creati dalle istituzioni da parte degli utenti. Quelli che
parlano swahili, infatti, preferiscono spesso introdurre dei morfemi lessicali
inglesi oppure inventare essi stessi dei nuovi morfemi lessicali, perché questi
ultimi sono più facilmente utilizzabili di quelli scelti in modo istituzionale. Un
bisogno di uniformare e di regolarizzare tutto, pur tenendo conto della creazione
lessicale spontanea, si rivela necessario. Il laboratorio francese LLACAN del
CNRS ha elaborato una teoria culturale della terminologia, che passa attraverso
l’identificazione dei futuri utilizzatori, al fine d’associarli il più possibile
all’elaborazione di una terminologia specifica. D’altronde, le lingue veicolari non
cessano d’attrezzarsi dal punto di vista informatico, per esempio con la creazione
di jambo open office, la versione swahili di open office, il dizionario Swahili online o ancora il programma di traduzione salama software.
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L’avvenire delle lingue africane nella diaspora
La forte immigrazione delle popolazioni africane, in particolare in Europa o
negli Stati Uniti, porta a riflettere sulla trasmissione delle lingue africane nella
diaspora e sulla sua evoluzione all’estero. Per esempio, nelle periferie parigine si
nota, presso gli immigrati maliani, una trasmissione del bambara attraverso
diverse generazioni, ma il bambara attualmente parlato in questi quartieri è certo
molto diverso da quello parlato per esempio a Bamako. La mancanza di studi su
questo argomento, tuttavia, non permette ad oggi di dare delle risposte precise
riguardo all’avvenire delle lingue africane nella diaspora. (Aurélia Ferrari)
Swahili : la più conosciuta
Tra le lingue africane, il swahili è senz’altro la più conosciuta al di fuori del
continente. Viene spesso usata, anche se in modo improprio, nei film
Hollywoodiani; è la più studiata tra la diaspora africana; alcuni suoi termini –
Jambo!, Bwana, Hakuna matata – sono diventati molto comuni anche in
occidente. Il swahili appartiene al gruppo di lingue bantu. Si tratta di lingue
distinguibili per la matematica precisione della struttura. Ogni parola appartiene
ad una classe. L’uso di prefissi, infissi e suffissi permette di modulare verbi e
aggettivi con una precisione rara nelle lingue occidentali. Non è infrequente
incontrare una sola parola che richiede una intera frase per essere tradotta:
nimeshakuambia – io già te lo dissi! Chi si avvicina a questa lingua può rimanere
confuso dalle decine di possibilità che essa offre. Allo stesso tempo, questa è una
lingua che può essere imparata in modo elementare in pochi mesi, e cioè in modo
sufficiente per parlare con la gente, ma non per leggere un quotidiano. La scrittura
fonetica, basata sull’alfabeto latino, rende facile la lettura e l’apprendimento. Ci
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sono solo cinque eccezioni grammaticali, molto meno di quelle in qualsiasi altra
lingua europea.
Per molto tempo si è creduto il swahili un idioma costruito ad arte dai mercanti
arabi e persiani che visitavano la costa orientale dell’Africa sin da tempi remoti (il
termine stesso swahili deriva dall’arabo sawahil, le coste). È noto che buona parte
del vocabolario swahili è di origine araba. In realtà, questa è una lingua africana
antica che si è arricchita nei secoli di vocaboli presi dalle lingue con cui è entrata
in contatto. Nessuno sa dire con precisione quando il swahili sia diventato
distinguibile da altre lingue bantu, ma si può pensare che già nel XII secolo si
parlasse lungo la costa di quello che oggi è il Kenya. Esistono testi swahili scritti
con la grafia araba risalenti al XV-XVI secolo, ma la datazione è approssimativa.
Un esempio avvicinabile da molti sono le iscrizioni intagliate nella pietra di
una delle mosche di Jumba la Mtwana, poco a nord di Mombasa. Certamente
databili sono alcune lettere scritte a Kilwa nel 1711, oggi conservate in un
archivio di Goa, India, e un manoscritto del 1728 contenente l’Utendi wa
Tambuka (L’epopea di Tambuka), un poema swahili scritto con grafia araba. La
maggioranza degli studiosi concorda che il ceppo originale della lingua si sia
evoluto nell’area dell’arcipelago di Lamu, e che da qui si sia poi espanso lungo
tutta la fascia costiera a nord e a sud. Oggi si distinguono molti dialetti, i più
importanti sono l’amu, parlato a Lamu, il mvita, parlato a Mombasa, il pemba,
parlato sull’isola di Pemba, l’unguja, parlato a Zanzibar, shimasiwa, parlato nelle
isole Comorre. Il swahili standard è stato scelto a partire dall’unguja di Zanzibar,
allora centro politico della regione.
La caratteristica principale delle lingue bantu è la suddivisione in classi. La
struttura originaria aveva 22 classi. Oggi, nessuna lingua bantu ha tutte le classi, e
si va da un minimo di 10 ad un massimo di 18. Il swahili ha sei classi per nomi
singolari, cinque classi per nomi plurali (occorre sottolineare che la classe n è sia
plurale che singolare, per questo non viene contata due volte), una classe per nomi
astratti, una classe per i verbi nella forma infinita usata come nome, e tre classi
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indicanti lo spazio. I nomi delle classi sono derivati dal prefisso che generalmente
viene affisso alle parole.
La classe m (al plurale wa) si riferisce normalmente all’essere umano (m-tu
essere umano, wa-tu esseri umani), alle professioni dell’uomo, ai popoli. I nomi
che si riferisco all’essere umano appartenenti ad altre classi, vengono concordati
con questa classe. La classe ki (wi) raccoglie molti artefatti, i diminutivi (ad
esempio mtoto significa bambino, kitoto bambinello, un infante) e molte parole
derivate (uvuli [ombra nel suo senso astratto], kivuli l’ombra [quella disegnata da
un albero]). Vengono normalmente poste qui le parole acquisite da lingue
straniere. Ciò che è vivo, ma non è animale, ciò che ha a che fare con la vita, è
raggruppato nella classe m (mi). Qui si trovano i vegetali (mto albero), e i fiumi
(mito); ma anche la luna (mwezi) e parti del corpo (mkono braccio). La classe n
raccoglie termini di rispetto, ma anche professioni rispettate (kadhi giudice),
alcuni animali e nomi da loro derivati, e molte parole straniere. Infine la classe ji
(ma) contiene nomi di realtà aggregate, grandi, (ziwa lago, taifa nazione). La
classe u è solitamente usata per masse (ugali polenta) o realtà fisiche con forma
propria, ma variabile (ukuta muro). Il plurale di questa classe assume le forme
della classe n.
I nomi astratti sono raggruppati nella classe u, che è particolarmente ricca di
vocaboli. Questo è un altro pregio del swahili. La maggioranza delle lingue bantu
ha parole astratte, ma solitamente queste sono poche. Il swahili è invece ricco di
nomi astratti e accoglie velocemente una nuova idea creando il termine astratto
che la descrive. Particolare importanza ha il senso del luogo. La classe pa ha una
sola parola mahali, luogo. Questa classe ha a sua volta tre diversi modalità (ko po
mo) e quindi si può parlare di tre classi diverse. Queste modalità si riferiscono al
luogo dentro (yuko c’è, intendendo è dentro), nell’immediata vicinanza (yupo, c’è,
è qui vicino, nel giardino, appena fuori dalla porta) oppure l’area attorno, dai
confini imprecisati (yumo, è qui, in città). I verbi concordano con il soggetto,
mentre aggettivi, preposizioni, e dimostrativi concordano con i nomi a cui si
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riferiscono. Questo sistema è molto complicato per chi si avvicina al swahili da
una lingua non bantu, ma risulta molto semplice una volta che il meccanismo
diventa automatico, aggiungendo forza all’espressività della frase.
Una delle caratteristiche dello swahili è la capacità di assumere con facilità
vocaboli di lingue straniere. Questo ha permesso al swahili di ingrandire il proprio
vocabolario e di non soccombere sotto la pressione delle lingue coloniali, l’arabo
prima, inglese e tedesco poi. Inoltre, il swahili si è così dotato di vocabolari
specializzati. Mentre altre lingue bantu spesso non hanno un vocabolario
perfezionato per le forme geometriche o per i corpi celesti, il swahili ha attinto a
piene mani dall’arabo e dal persiano e ha una lunga serie di vocaboli matematici,
geometrici, astronomici. La complessa arte di costruire navi in grado di solcare
l’oceano Indiano è accompagnata da una minuziosa descrizione di ogni singola
parte del battello, anche la più minuta, e delle vele. In swahili si trovano parole
provenienti anche dal portoghese, che controllarono la costa dal XVI al XVIII
secolo. Così che leso (fazzoletto), meza (tavolo), pesa (soldi) sono parole
utilizzate ogni giorno. Dall’inglese deriva gari (car – automobile), dal tedesco
shule (scuola) e bruda (fratello, inteso come fratello di un istituto missionario, e
quindi un religioso).
Questa duttilità ha permesso a Julius Nyerere – primo presidente della
Tanzania - di tradurre alcune opere di Shakespeare in swahili, e ai programmatori
di computer di preparare una versione di Open Office. Oggi, vari programmi di
computer sono disponibili in swahili o accettano la lingua swahili nei loro
programmi di scrittura e di traduzione. Non è quindi una sorpresa che il swahili
continui a guadagnare terreno in Africa. È la lingua ufficiale in Tanzania e
nazionale Kenya (dove la lingua ufficiale rimane l’inglese), sempre più parlata in
Uganda, Burundi e Ruanda. È la lingua franca nell’est della Repubblica
Democratica del Congo, nel sud della Somalia e nel nord del Mozambico. È facile
incontrare persone che parlano swahili nei mercati di Malawi e Zambia. È parlato
a Mayotte e nelle isole Comorre, ed è capito nei porti dell’Oman e del Mar Rosso.
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Non a caso è stata scelta come lingua ufficiale dell’Unione Africana. In totale 150
milioni di persone parlano questa lingua che è in piena espansione.
Va da sé che una lingua parlata in un’area più vasta dell’Europa abbia la
tendenza a diversificarsi, creando nuovi dialetti. In Congo, la grammatica è stata
notevolmente semplificata e il vocabolario arricchito da parole di origine francese,
non comprese dagli altri swahilofoni. In Somalia persistono forme arcaiche, oggi
sparite in Kenya e Tanzania. In Mozambico, vocaboli macua e di altre lingue
locali hanno trovato il modo di entrare nel vocabolario. Per esperienza diretta,
posso dire che la comprensione rimane possibile in tutta questa vasta area e che
dando preferenza a parole di origine bantu non si trovano difficoltà a comunicare.
A sostenere lo sviluppo e l’unità linguistica di questa lingua c’è l’Institute of
Kiswahili Studies di Dar es Salaam. Questo istituto è stato fondato nel 1930 come
comitato inter-territoriale delle Dipendenze dell’Africa Orientale. Da allora,
l’Istituto ha fatto un lavoro enorme di ricerca linguistica, pubblicato dizionari e
grammatiche, sostenuto la produzione di letteratura swahili. Ancora oggi, questo
Istituto lavora per la salvaguardia della lingua e dei vari aspetti culturali ad essa
legati. Nel panorama delle lingue africane – duemila lingue, di cui il 60% in via di
estinzione – il swahili gode di ottima salute e si candida a guadagnare ulteriore
terreno, sia in Africa che tra i membri della diaspora. (Giuseppe Caramazza)
Haussa: la più parlata
Se il Swahili è la lingua più diffusa e conseguentemente la più internazionale;
l’Hausa è la lingua più parlata a sud del Sahara grazie alla maggior densità di
popolazione concentrata nell’Africa occidentale. È capita dall '80% della
popolazione del Niger e dal 45% dei nigeriani. È un'importante lingua anche in
Ghana, Benin, Camerun e Togo e in altre zone dell'Africa occidentale. Sono 28
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milioni le persone che parlano hausa come prima lingua e circa 20 milioni la
usano come seconda lingua.
E’ importante notare però che Hausa è storicamente in primo luogo il nome di
una lingua piuttosto di un popolo. Per estensione, è venuta per essere utilizzata per
descrivere un gruppo di maggioranza dei Nigeriani del nord legati ad un senso di
unità su base di un linguaggio comune, di storia e di commercio.
Inizialmente la gente Hausa proveniva dalla Bakwài Hausa, i sette stati storici di
Kano, Katsina, Daura, Zaria, Biram, Gobir e Rano che formavano il nucleo del
Kano, Centro Nord e gli Stati del Nord-ovest della Nigeria e dalla parte contigua
del Niger. Questi stati fiorirono circa 400 anni fa; anche se la città di Kano è nota
per essere stata fondata approssimativamente nel Novecento. All'inizio del 19 °
secolo, l'impero Fulani di Sokoto, incorporò i governi locali dell’ Hausa Bakwai
nell’impero di Sokoto, un’entità politica riconosciuta fino al 1966 come la regione
Nord della Nigeria. Il regno di Borno, insieme con il resto dell’ attuale nordorientale, Benue-Plateau e stati Kwara, rimasero al di fuori della corrente
principale della Hausa e più tardi dall'influenza Fulani.
Secondo i linguisti Hausa è classificato come un membro del gruppo Chadic
della famiglia afro-asiatica di lingue. E ' quindi, più strettamente legata
geneticamente all’arabo, all’ebraico, al berbero e ad altri membri della famiglia
afro-asiatica che sono la maggior parte del resto delle lingue dell'Africa subsahariana. Secondo questo punto di vista la lingua Hausa non è “tipica” Africana.
Però in un quattro concettuale dei popoli che parlano Hausa, attraverso la lingua è
decisamente africana attraverso relazioni strette “tipiche” delle lingue Africane
del Niger-Kordofanian. L'influenza culturale del Medio Oriente sul popolo Hausa
è molto evidente e si riflette nel linguaggio. L'influenza musulmana attraverso la
cultura ha permeato molti aspetti della vita Hausa e del linguaggio. I concetti (in
particolare religiosi e filosofici) e il vocabolario sono riconoscibili nel mondo
hausa.
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Uno dei risultati di questa prima influenza musulmana, fu tutta una tradizione
letteraria hausa che si è estesa per diversi secoli prima del contatto dell’Hausa con
le culture occidentali. Hausa fu prima scritto in alfabeto arabo, noto come ajami. II
cambio dal tradizionale ajami alla scrittura latina (boko) e la sua adozione nelle
scuole diede inizio alla moderna letteratura hausa: l'ortografia fu standardizzata
attraverso una speciale commissione. Nel 1945 comparvero
le prime
pubblicazioni in hausa. Il pezzo più famoso della letteratura hausa fu senza dubbio
il romanzo Gandoki apparso originariamente nel 1934 per la penna di Mohammed
Bello. Quest’opera ha visto ben dieci ristampe ed è tuttora molto popolare. Un
altro breve romanzo Ruwan Bagaja scritto dal prof. Abubakar Iman ha avuto otto
ristampe. Le opere dei più famosi uomini politici della Nigeria del nord meritano
un particolare ricordo. Il primo ministro nigeriano Abubakar Tafawa Balewa
pubblicò nel 1955 Shaihu limar che fu poi adattato a teatro nel 1972. My life,
l'autobiografia di Ahmadu Bello, il potente primo ministro proveniente dalla
regione settentrionale (1959-66), fu pubblicata sia in inglese che in hausa. Shehu
Shagari, presidente della Nigeria dal 1979 al 1984, scrisse Wakar Nijeriya quando
era giovane maestro di scuola.
Le categorie della letteratura hausa sono state descritte dal prof. Neil Skinner
nella sua Antologia della letteratura hausa (1980).
La predilezione dell'hausa per la poesia è riflessa nelle numerose pubblicazioni
poetiche, chiamate Wakoki. La maggior parte delle pubblicazioni sono della
Northern Nigeria Publishing Company (NNPC) di Zaria. La standardizzazione
dell'ortografia, grammatica e parole mutuate (dall'arabo o inglese) è ancora opera
della commissione della lingua hausa e del Centro per gli studi delle lingue
nigeriane. Questo centro che ha già pubblicato diverse edizioni del Dizionario
Moderno Hausa-Inglese come anche tutta una letteratura di racconti tradizionali
haussa.
Esiste oggi una vasta letteratura in hausa, che comprende romanzi, poesie,
opere teatrali, istruzioni in pratica islamica, libri sui temi dello sviluppo, giornali,
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riviste e opere accademiche, anche tecnica. Trasmissioni radiofoniche e televisive
in hausa sono presenti nel nord della Nigeria e del Niger. Stazioni radio in Ghana
e Camerun hanno regolari trasmissioni Hausa, come fanno le emittenti
internazionali come la BBC, Voice of America, Deutsche Welle, Radio Mosca,
Radio Pechino, e altri. Hausa è usato come lingua di insegnamento a livello
elementare nelle scuole, nel nord della Nigeria, e nelle università del nord della
Nigeria ci sono importanti cattedre di letteratura hausa. (Nabilah F. Yelwa)
L’Arabo in Africa
L’Arabo appartiene al ramo semitico delle lingue afro-asiatiche. Assieme alle
altre lingue semitiche, l’Arabo condivide varie proprietà strutturali, in particolare
la tendenza a organizzare il suo lessico sulla base di radici tri-letterali con una
base semantica comune e l’assegnazione di funzioni morfologiche a queste radici
per mezzo di una riorganizzazione interna di schemi differenti.
In sintassi l’Arabo classico ha mantenuto la declinazione originale protosemitica dei nomi, e una distinzione tra prefisso e suffisso nella coniugazione del
verbo. In fonologia, l’Arabo ha un inventario di vocali relativamente povero,
come la maggioranza delle lingue semitiche, e un inventario di consonanti molto
ricco, includendo consonanti uvulari e faringee, più una serie di cosiddette
consonanti enfatiche.
Non esiste un consenso circa l’esatta classificazione dell’Arabo tra le lingue
semitiche. La lingua ha legami importanti con le lingue semitiche del sud, come
l’Arabo del Sud e l’Etiopico, ma é anche connessa per via di varie isoglosse con
lingue semitiche del nord-ovest, come l’Ebraico e l’Aramaico. Beduini che
parlavano Arabo potrebbero essere stati presenti nella penisola del Sinai sin dal
primo secolo dC, ma la prevalenza della lingua in Africa ebbe luogo solo duranti
le conquiste arabe del settimo secolo AD. Durante la prima fase delle conquiste,
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tra il 640 quando l’Egitto fu conquistato, e il 711 quando gli eserciti arabi
attraversarono lo Stretto di Gibilterra per conquistare la Spagna, sorsero città
militari come Al-Fustat in Egitto e Kairouan in Tunisia. In queste zone
urbanizzate, la popolazione indigena venne in contatto diretto con gli invasori
arabi e la maggioranza ne assunse la lingua araba e la religione. Le zone rurali
invece rimasero fuori della sfera di influenza dell’Arabo e dell’Islam fino a
quando gruppi di Beduini come i Banu Sulaym e i Banu Hilal incominciarono a
emigrare in gran numero dalla Penisola dell’Arabia nel nono secolo, prima verso
l’Egitto e poi verso l’Africa del Nord, dove raggiunsero la Mauritania nel
dodicesimo secolo. Durante questa seconda invasione, si completò il processo di
arabizzazione delle zone rurali dell’Egitto Superiore e di tutta l’Africa
Settentrionale. Con il tempo, l’Arabo divenne la lingua della maggioranza della
popolazione. Quei dialetti che sorsero durante questa seconda fase rappresentano
un tipo di dialetto più Beduino la cui caratteristica é una realizzazione orale del
phoneme /q/ “s/g/, contro un muto /q/ o /’/ nei dialetti sedentari.
Nelle aree conquistate, le lingue indigene non scomparvero completamente. In
Egitto l’Arabo gradualmente rimpiazzò il Copto nel corso di pochi secoli. Ma
nell’Africa Settentrionale, una minoranza consistente mantenne le lingue Berbere
originali. Tuttavia, l’Arabo Standard Moderno é diventato la lingua ufficiale in
tutti i campi politici, culturali, letterari e religiosi nelle nazioni nordafricane. In
nazioni come il Marocco e l’Egitto, é emersa una koine urbana che puo essere
considerata una specie di lingua nazionale.
Dall’Egitto al Maghreb, immigrati e commercianti arabi portarono l’Arabo e
l’Islam alle regioni a sud del Sahara. Dall’Egitto, si spinsero al sud e portarono il
Sudan e altre regioni Africane a sud del Sahara nella sfera di influenza del mondo
Arabofono. Da lì, tribù nomadi si spinsero a ovest lungo la cosiddetta fascia
Bagara fermandosi nel nord del Chad, Niger e eventualmente nel nord della
Nigeria, dove la provincia di Bornu é tutt’oggi abitata da gruppi consistenti di
gente di lingua Araba. Dal Maghreb, commercianti si spinsero a sud lungo la costa
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e, seguendo le piste delle carovane nel Sahara, giunsero fino al Mali e al Senegal
nel nono secolo. Queste nazioni non diventarono mai Arabofone, ma si
convertirono sll’Islam e usarono l’Arabo, prima come linguaggio commerciale e
poi come la lingua degli accademici e dela religione in centri di cultura come
Timbuktu. I vari regni incominciarono poi a usare l’Arabo nella loro
corrispondenza.
Sulla
Costa
Orientale,
navigatori
istaurarono
relazioni
commerciali prima con Shiraz, e poi dall’Arabia Saudita a Omar.
La lingua dei commercianti non rimpiazzò l’esistente lingua franca, lo Swahili,
ma i contatti portarono a un influsso di parole arabe in questa lingua, e possono
aver contribuito alla formazione di versioni semplificate dello Swahili stesso.
Al presente, in Africa sono più di 140 milioni coloro che usano l’Arabo come
prima lingua. Quasi tutti gli abitanti della Mauritania (2,5 milioni), Tunisia (9
milioni), Libia (5,6 milioni), e Egitto (72,7 milioni) parlano Arabo. In Marocco
(29 milioni parlano Arabo) e Algeria (20,5 milioni parlano Arabo), l’Arabo é la
sola lingua ufficiale, ma ci sono sostanziali minoranze di Berberi (quelli che
parlano Tamazight sarebbero tra il 25 e il 40% della popolazione – secondo alcune
stime). Alcuni possono essere considerati monolingui, eccetto per una seconda
lingua che usano fuori casa.
In Nord Sudan (18 milioni di abitanti) l’Arabo é la lingua ufficiale. In Sud
Sudan gli abitanti parlano una varietà di lingue Nilo-Sahariane e Afro-Asiatiche.
Nel Ciad, 800 mila abitanti del nord del paese hanno l’Arabo Chadiano come
madre lingua. Mentre si parlano più di 100 lingue locali, solo l’Arabo e il
Francese sono stati riconosciuti come lingue ufficiali. Piccoli gruppi di lingua
araba vivono come minoranze in Nigeria (120.000), Cameroon (54.000), e nella
Repubblica Centroafricana (63.000). La variante dell’Arabo parlato in Mali
(106.000), Senegal (6.000), e Niger (30.000) ´viene dalla Mauritania
(Hassaniyya). Indigeni di lingua araba nell’Africa Orientale, come in Tanzania
(195.000), sono di solito immigrati dalla penisola dell’Arabia e da Oman.
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L’Arabo é anche diventato la lingua ufficiale diGibuti e dell’Eritrea dove
alcuni gruppi indigeni usano varianti di Arabo dell’Arabia Saudita e dello Yemen
(In Gibuti circa 52.000). In Somalia, l’Arabo rimane la lingua dell’istruzione e
della politica. In altri posti, l’Arabo é la lingua del commercio, usualmente in una
corrotta forma popolare.
In Sud Sudan questa forma é usata come lingua franca da circa 20 mila
persone. Con alcuni elementi di creolo (Arabo di Juba) questa forma di Arabo
nacque nella scia delle campagne Anglo-Egiziane del 19° secolo. Alla fine del 19°
secolo fu esportata in Uganda e in Kenya dove divenne la lingua “creolizzata”
Kinubi, parlata approssimativamente da 10.000 persone in Kenya e 15.000 in
Uganda.
Persino in quelle nazioni islamiche dove l’Arabo non é usato come madre lingua o
come veicolo commerciale, ha sempre avuto un ruolo importante come lingua del
Qur’an.
La
stragrande
maggioranza
delle
popolazioni
islamiche
ricevono
un’infarinatura della lingua nelle scuole coraniche. In tempi moderni, movimenti
riformisti islamici hanno fondato “madrasas” (scuole coraniche) che sono molto
popolari.
Nel processo di islamizzazione, l’Arabo é diventato la lingua del sapere e della
letteratura. Inoltre, ad un tempo alcune lingue africane furono scritte con caratteri
arabi, e lingue come il Fulfulde, il Kanuri, il Songhay, e il Wolof hanno acquisito
molte parole arabe, specialmente nel campo della religione e del sapere.
L’Hausa ha una lunga storia di contatti con l’Arabo, che ha contribuito al
passaggio di moltissime parole imprestate nel Sudan orientale. Coloro che parlano
Hausa sono di solito bilingui (Hausa e Arabo), il che favorisce un copioso
scambio di codici.
Nell’Africa Orientale il contributo dell’Arabo allo Swahili é evidente: più del
40% delle parole nel lessico pare siano di origine araba. (Ghali Habib Malik)
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Il Lingala
un lingua sonora
Il Lingala, lingua bantu, chiamato anche mangala, era in origine una lingua
utilizzata dalle popolazioni rivierasche e dai trafficanti del fiume Congo,
soprattutto lungo il fiume tra Mankanza e Mobeka e il triangolo formato dal fiume
Congo e Oubangi, abitato dai gruppi Banunu-Bobangi, Lomongo, Mangala,
Libinza, Lokonda, Lingombe, Motembo, Limbuza, Lokele e molti altri. Questa
varietà di parlanti spiega il grande numero di sinonimi presenti nella lingua.
I contatti tra le popolazioni del nord e sud iniziarono a partire dal 19esimo
secolo, moltiplicando e arricchendo così la lingua con nuove impronte fonetiche e
lessicali, comprese quelle trasmesse dagli Europei che per primi s’installarono
nella regione. “Il Lingala si impoveriva e si arricchiva. Ma, ad ogni modo,
affermava la sua identità” (Isidore Ndaywel, Histoire du Zaire, 1997).
Per essersi diffuso in una regione così vasta, il lingala presenta poche
differenze rispetto all’origine, dal punto di vista lessicale, sintattico e fonetico.
Naturalmente
alcuni vocaboli utilizzati in una determinata area non sono
necessariamente usati anche nelle altre zone.
Il missionario Renè Van Everbroeck, Cicm, nel suo Dizionario LingalaFrancese e Francese- Lingala pubblicato a Kinshasa nel 1985, scriveva: “Il lingala
è una lingua viva, in costante evoluzione. Questo non significa che un dizionario
sarà aggiornato in qualsiasi momento, ma deve essere adattato continuamente.
Ci sono delle parole che sono di uso frequente, altre sono utilizzate in occasioni
speciali e altre solo da un gruppo ristretto. Si rischia di perdere queste parole se
non sono riprese in un dizionario. Saranno certamente utili a coloro che si
dedicano alla letteratura. È soprattutto la scuola che deve contribuire a
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salvaguardare la ricchezza di una lingua. Per questo, abbiamo cercato di creare un
dizionario il più completo possibile in modo tale da mantenere sano e salvo il
patrimonio linguistico. Come tutte le lingue, il lingala si presenta su due livelli: la
lingua letterale e la lingua parlata”.
Lingua veicolare, poco a poco il lingala è diventato una lingua madre per
numerosi gruppi di popolazioni e oggi lo è in Congo-Kinshasa (Rdc), in CongoBrazzaville e in misura minore anche in Repubblica Centrafricana. Sono più di 40
milioni i parlanti che la utilizzano come prima lingua o seconda. In Rd Congo è
diventata una lingua regionale, molto usata dai mass media e l’esercito, nei
discorsi ufficiali ma anche nelle canzoni popolari. Numerosi artisti nati o vissuti a
Kinshasa cantano in questa lingua, esportando la loro musica in tutta l’Africa
come Papa Wemba, Koffi Olomide o JB Mpiana.
Essendo molto popolare in Africa centrale, la musica congolese popolare ha
diffuso termini in lingala nelle coste del continente, dal Kenya al Camerun. Oltre
al francese, è una delle quattro lingue nazionali della Rd Congo, a fianco del
kikongo, swahili e tchiluba. Il lingala progressivamente ha sostituito il kikongo a
Kinshasa, dove era la lingua veicolare originaria. (Neno Contran)
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