Res publica. Da Cicerone a Er Monnezza

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Res publica. Da Cicerone a Er Monnezza
Res publica. Da Cicerone a Er Monnezza
Venerdì 12 Dicembre 2014 10:41
“La res publica è cosa del popolo; e il popolo non è un qualsiasi aggregato di gente, ma un
insieme di persone associatosi intorno alla condivisione del diritto e per la tutela del proprio
interesse”. Res publica. Cosa del popolo. Possedimenti. Diritti. Interessi. Del popolo Romano.
Er Monnezza? No, Marco Tullio Cicerone. Per il popolo. Per lo Stato.
Come sia stato possibile arrivare da res publica a Mafia Capitale ce lo insegna la storia della
nostra straordinaria e sconquassata Italia. Nell’idea che quello che è di tutti non è di nessuno.
Nell’idea che ci sia sempre una scorciatoia. Italiani popolo di santi, poeti e navigatori. Italiani
popolo di furbi, corrotti e corruttori.
“Con questa operazione – ha detto il procuratore generale Giuseppe Pignatone – abbiamo
risposto alla domanda se la mafia a Roma c’è. Nella capitale non controlla la città un’unica
organizzazione mafiosa, ma diverse. Oggi abbiamo individuato quella che abbiamo chiamato
‘Mafia Capitale’, romana e originale, senza legami con altre organizzazioni meridionali, di cui
però usa il metodo. Nello specifico alcuni uomini vicini all’ex sindaco Alemanno sono
componenti a pieno titolo dell’organizzazione mafiosa e protagonisti di episodi di corruzione.
Con la nuova amministrazione il rapporto è cambiato ma Massimo Carminati e Salvatore Buzzi
(presidente della cooperativa 29 giugno, tra gli arrestati) prima del voto si dicevano tranquilli
chiunque vincesse le elezioni”.
Alberto, ogni giorno leggiamo il giornale e pensiamo di aver toccato il fondo, ma la
discesa sembra senza fine… “Michele, arrivo a dirti che è tutto normale. Nel senso che è
normale che vada a finire così. L’Italia è il Paese dell’impunità totale. Lo ha scritto anche Renzi,
ieri, su Twitter.”
Ti riferisci alla sua frase: “Su 50mila carcerati, solo 257 per corruzione. Non è serio. Non
basta lo sdegno: regole più dure domani in consiglio ministri”? “Sì, ha ragione lui. Non è
serio. ‘Domani’ avremo regole più dure, però le regole più dure servivano decenni fa e con ogni
probabilità non le riusciremo ad avere nemmeno tra un anno. Scoperti questi ne arriveranno
degli altri. Tra fame e miseria, imprenditori senza idee e impunità, abbiamo ridotto il Paese
senza speranze per il futuro. In Italia è meglio fare il ladro che l’imprenditore e Massimo
Carminati è da nominare cavaliere del lavoro.”
In effetti, con l’impunità, il rischio di impresa dei ladri è più basso… “Certo. Massima
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resa, minima spesa. Da noi funziona così. Questi signori per tre giorni sono sui giornali, poi
fanno due giorni ai domiciliari, patteggiano e tornano a casa. Ma il problema è a monte.
Centrano i valori. Per questa classe dirigente contano solo i soldi e i favori. Con certi
personaggi che trovano terreno fertile e riescono a mescolarsi con la politica e con la società
civile. Perché non c’è più il senso del bene e del male.”
Dici che la disaffezione dei cittadini per le recenti elezioni regionali è dettata da questa
percezione di atmosfera indistinta e del “tanto ormai non cambia niente”? “Il Pd e il
neo-governatore Bonaccini sono riusciti nell’impresa epocale di portare l’affluenza in
Emilia-Romagna al 37,7%. È una discesa agli inferi. Ormai assomigliamo al Nebraska. Alla
gente non gliene frega più niente. Nessuno ha più il coraggio di pensare che ci sia qualcuno
meglio dell’altro e nel totale disgusto se ne stanno a casa perché, effettivamente, sanno che
con il voto non cambia nulla.”
Qualcos’altro, da sempre, è uguale a se stesso. Vorrei sapere la tua opinione sul recente
commento di Luisa Todini, consigliere dimissionario della Rai, sulla tv pubblica che deve
diventare “un’azienda che risponda alla politica ma non ai partiti”; sui consiglieri che
“hanno poteri di veto enormi” e sui giornalisti che “amano stare seduti sulla propria
sedia a esercitare potere”. E ancora: “In Rai ho trovato il peggio e il meglio dell’Italia: le
luci e i mali del mio Paese. Qui c’è l’Italia che lavora e che produce. C’è genialità.
Creatività. Ci sono archivi pieni di storia e di cultura. E ci sono i giovani – magari precari
– pieni di passione, idee, entusiasmo. Poi c’è quell’altra Italia che non sopporto più:
quella seduta, che aspetta, che non prende mai l’iniziativa, che non fa mai una proposta
costruttiva. L’Italia dei privilegiati, dei raccomandati, dei garantiti, di quelli che non
hanno mai provato il gusto di mettersi in discussione…”. Alberto, cosa dici? “Luisa Todini
ha ragione, anche se di ‘luci’ in Rai io ne vedo ben poche. Purtroppo però non è più importante
la denuncia della Todini perché ormai siamo andati oltre. La Rai è messa così da decenni ma
oggi il suo vero problema è che non ha soldi e fa tg di cronaca e politica perché costano meno.
La qualità è scaduta e i suoi programmi sono inguardabili. Il paragone con Sky è imbarazzante.
Come è imbarazzante il paragone tra Sky e tutte le altre tv non a pagamento…”
Con la cronaca nera la politicizzazione non serve più? “Vanno a Crevalcore a riprendere un
furgone nel fosso, chissenefrega dei partiti, del veto dei consiglieri e del potere dei giornalisti in
poltrona. È un mondo finito, seppellito dall’indifferenza degli ex spettatori e degli ex elettori.
Sono questioni che non toccano neanche più gli italiani.”
È un quadro spettrale… “Di spettrale ci sono le sedi Rai periferiche con mobili retrò e
pochissimi che passano nei corridoi. Per non parlare della sede Rai di Milano. Quando ci vado
per essere intervistato metto le Nike perché mi perdo tutte le volte, camminando nei corridoi per
2 chilometri senza incontrare nessuno. E ancora è come dice la Todini. Parli sempre con i
sostituti. Chi deve fare quello specifico lavoro non c’è mai. E al suo posto c’è sempre un
precario. E in questo la Rai è lo specchio della nazione. L’Italia funziona per caso.”
Res publica. L’Italia funziona per caso. Fine delle trasmissioni.
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