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I SEGRETI DI WARREN BUFFETT
Scopri come Warren Buffett è diventato l'uomo più ricco del mondo
investendo in borsa
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TITOLO
I SEGRETI DI WARREN BUFFETT
Scopri come Warren Buffett è diventato l'uomo più ricco del mondo
investendo in borsa
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rendimenti passati non sono garanzia di uguali rendimenti in
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SOMMARIO
PASSO 1. W. B.: la sua filosofia di investimento ...
PASSO 2. ... e la sua strategia di investimento
PASSO 3. Investire conoscendo il ROE
PASSO 4. Valore intrinseco di un titolo
PASSO 5. Distribuzione dei dividendi
PASSO 6. Crescita degli utili per azione e aumenti gratuiti
PASSO 7. Riacquisto di azioni proprie
PASSO 8. Come trattare con Mr. Market
PASSO 9. Perché W. B. non ama gli alti volumi di scambio
Conclusione
Aforismi
Bibliografia
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Introduzione
Secondo la rivista americana Forbes, Warren Buffett è
attualmente (2008) l'uomo più ricco al mondo, con un patrimonio
stimato intorno ai 62 miliardi di dollari. Non male, vero?
Buffett è anche l'azionista di maggioranza, nonché amministratore
delegato, della Berkshire Hathaway, un'azienda tessile che
acquistò nel 1965 pagandola poco meno di 15 dollari per azione.
Con questa acquisizione, Buffett diede inizio alla propria
partecipazione azionaria nelle principali società americane,
citiamo, tra le più note, Coca-Cola Company e American Express.
Grazie a questi investimenti, Buffett ha trasformato una piccola
azienda tessile in una delle holding (cioè una società finanziaria
che possiede la maggioranza delle azioni, e quindi il controllo, di
diverse imprese) più grandi del mondo, con un fatturato
complessivo di circa 100 miliardi di dollari e un valore di mercato
di 40 miliardi di dollari.
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Pensate che per diventare azionisti della Berkshire dovreste essere
in grado di spendere 70.000 dollari. Infatti questa è la cifra da
sborsare se si vuole entrare in possesso di una azione di 'tipo A'
della holding di Buffett.
Può sembrare curioso, ma Buffett, ovvero uno tra i più
formidabili investitori di tutti i tempi, una leggenda vivente
nell'ambiente della finanza internazionale, si tiene a debita
distanza da Wall Street (vive a Omaha, Nebraska, nella stessa casa
che acquistò agli inizi della carriera) e dai suoi indici ballerini.
Warren Buffett, infatti, non è un giocatore di borsa, uno yuppie
stile Michael Douglas nel film 'Wall Street' (appunto), ma deve la
sua fortuna alla propria abilità di investitore, che è cosa
completamente diversa dallo speculatore o, per dirla con un
termine molto in voga, dal trader.
La strategia dell'investitore Buffett è basata essenzialmente
sull'acquisto di azioni (o, come nel suo caso, del pacchetto di
maggioranza, se non addirittura dell'intera azienda) di alcune
selezionatissime società.
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Poiché Warren Buffett è un investitore razionale, le azioni che
acquista sono destinate a rimanere nel portafoglio della sua
società per un lungo periodo (a volte per tutta la vita, vedi, ad
esempio, le azioni Coca-Cola).
In altre parole, Buffett acquista le azioni per mantenerle nel
portafoglio il più a lungo possibile, ovvero fino a quando
permangono le condizioni che lo hanno indotto all'acquisto.
Partendo da questo presupposto, seleziona accuratamente le
aziende più solide seguendo pochi criteri (che vedremo in seguito)
e vi investe il proprio denaro (e quello degli azionisti della
Berkshire) ottenendo dei rendimenti fantascientifici: date un po'
un'occhiata
al
portafoglio
della
Berkshire
Hathaway
31/12/2001.
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Portafoglio della Berkshire Hathaway al 31/12/2001 (in milioni di $) Fonte:
www.saperinvestire.it
Società
Azioni
Prezzo di acquisto
Prezzo di mercato
al 31/12/2001
American Express
151.610.700
1.470
5.359
200.000.000
1.299
8.768
Gillette Co.
96.000.000
600
2.915
H&R Block, Inc
15.999.200
255
643
6.708.760
103
532
24.000.000
499
991
1.727.765
11
1.275
53.265.080
306
2.497
4.621
5.383
9.164
28.363
Coca-Cola Co.
M&T Bank
Moody's Corp.
Washington Post Co.
Wells Fargo & Co.
Altre
Se guardiamo alla cifra totale del capitale investito per acquisire i
vari pacchetti azionari e la confrontiamo con il valore di mercato
delle quote detenute al 31 dicembre 2001, vediamo che il valore
totale delle azioni è passato da 9.164 milioni di dollari a 28.363
milioni di dollari, ossia, è più che triplicato.
Ho attirato la vostra attenzione?
Bene. Allora continuate a leggere e scoprirete come investire i
vostri soldi seguendo l'esempio di un uomo che è diventato
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plurimilionario investendo in Borsa: Warren Edward Buffett,
anche detto l'Oracolo di Omaha.
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INDICE
PASSO 1
W.B e la sua filosofia di investimento
1.1 - Investimento razionale e diversificazione
La parola d'ordine degli investitori non professionali, ossia dei
comuni mortali che investono i propri risparmi in Borsa, è
'diversificare gli investimenti', ossia acquistare e tenere nel
proprio portafoglio titoli di diverse società in modo da poter
compensare le perdite di alcune di esse con i guadagni ottenuti
dalle altre.
Questo approccio è ben sintetizzato dall'espressione anglosassone
don't put all your eggs in one basket (non mettere tutte le uova in
un solo paniere).
Si tratta di una corrente di pensiero piuttosto diffusa e che può
anche produrre dei buoni risultati, ma la diversificazione degli
investimenti è una strategia che Warren Buffett non ha mai
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seguito.
La sua storia di investitore di successo e le sue parole al riguardo
sono molto chiare: Buffett investe i suoi soldi e quelli degli
azionisti della Berkshire in settori che conosce e comprende e in
aziende che hanno dimostrato di ottenere degli ottimi risultati.
Per Buffett, quindi, la migliore assicurazione contro la volatilità
del mercato borsistico (la tendenza dei titoli a subire bruschi rialzi
e altrettanto bruschi ribassi) è data, non dalla diversificazione
degli investimenti, bensì dalla scelta di investire nei titoli di poche
aziende solide selezionate in base ad analisi indipendenti
dall'andamento dei mercati.
1.2 - Diversificazione 'industriale'
Questa convinzione scaturisce dall'osservazione degli scarsi
risultati ottenuti da quelle aziende che durante gli anni '80 e '90
hanno abbracciato la strategia della diversificazione: molte
aziende americane, in seguito imitate dalle aziende della vecchia
Europa,
si
sono
trasformate
in
società
conglomerate
(conglomerates), ossia in holding finanziarie alle quali facevano
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capo diverse società operanti in molti e diversi settori industriali.
Una conglomerata è composta da aziende che operano in settori
anche
molto
diversi
tra
loro:
assicurazioni,
industria
manifatturiera, ristorazione, ecc..
La filosofia che ha ispirato questo tipo di operazioni è la stessa su
cui si basa l'investimento diversificato: ridurre le perdite delle
aziende operanti in un certo settore (poniamo, il tessile e
abbigliamento), grazie ai guadagni ottenuti da quelle operanti in
altri settori (ad esempio, nel comparto petrolifero).
Sfortunatamente, ma anche prevedibilmente secondo Buffett,
questi esperimenti di 'genetica finanziaria' invece di produrre delle
'supersocietà', hanno generato autentici mostri con tante teste ma
senza un 'cuore'.
Il cuore di una società è l'attività principale dell'azienda, il suo
core business, cioè ciò che l'azienda sapeva fare bene prima di
gettarsi a capofitto in settori dei quali non conosce pressoché
nulla.
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Questa ignoranza dei settori e dei meccanismi che li regolano ha
portato le società conglomerate a registrare forti perdite
nell'attività di quelle aziende che, in teoria, erano state acquisite
per tamponare le perdite dell'impresa principale che alla fine,
essendo l'unica in attivo, ha finito per essere sacrificata per
tappare i 'buchi' prodotti da tutte le altre.
Quale lezione ha ricavato Warren Buffett da questa esperienza?
La diversificazione degli investimenti non funziona né nel campo
industriale né in quello finanziario: non è possibile che lo stesso
management sia capace di gestire una catena di ristoranti,
un'azienda che produce cosmetici e una che si occupa di editoria,
così come l'investitore medio non ha le conoscenze sufficienti per
investire con cognizione di causa in modo diversificato i propri
risparmi.
Per farlo, infatti, dovrebbe conoscere perfettamente tutte le
dinamiche dei diversi comparti del listino azionario, cosa che non
si verifica praticamente mai.
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Lo stesso Buffett, che investe da tutta la vita e che è considerato
un investitore leggendario, evita accuratamente i titoli di società
che operano in mercati che non comprende.
La diversificazione, quindi, sostiene Warren Buffett, invece di
ridurre il rischio di perdite, aumenta in modo esponenziale la
possibilità di investire i propri soldi in titoli 'spazzatura'.
1.3 - Remuneratività dell'investimento
Inoltre, secondo Buffett, la supposta garanzia contro la volatilità
del mercato azionario offerta dall'investimento differenziato,
sarebbe una garanzia inutile.
Per Buffett, infatti, la volatilità non è un problema ma
un'occasione: quando prezzi dei titoli precipitano, invece di
vendere, lui acquista le azioni che vuole a prezzi stracciati;
quando invece si verifica un improvviso rialzo, ne approfitta per
'fare cassa' vendendo a caro prezzo quei titoli che non si sono
dimostrati all'altezza delle sue aspettative, ma che gli investitori
sprovveduti o gli speculatori a caccia di affari, vogliono comprare
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a tutti i costi.
Il rischio per l'investitore non è il deprezzamento dei titoli che ha
nel suo portafoglio, ma l'insufficiente remuneratività del suo
investimento, ossia il fatto che il valore dei proventi derivanti dal
suo investimento, al netto del prelievo fiscale e scontato per il
rendimento delle obbligazioni a tasso fisso (titoli di stato) sia
inferiore rispetto a quanto aveva pagato per acquistare le azioni.
In altre parole: quando acquisto un titolo, il mio investimento sarà
stato 'azzeccato' se la remunerazione prodotta dal titolo eccede il
totale delle imposte più la remunerazione che avrei ottenuto se
avessi impiegato la stessa somma per comprare dei titoli di stato a
tasso fisso... troppo complicato? Esemplifichiamo con i numeri:
Rendimento netto di due titoli azionari scontato per il rendimento
di un
investimento alternativo in titoli di stato a tasso fisso
titolo
prezzo di
acquisto
rendimento
lordo
imposte
25%
rendimento
titoli di stato
guadagno/
perdita
A
10
3
0,75
2,50
- 0,25
B
10
3,80
0,95
2,50
+ 0,35
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Adesso dovrebbe essere evidente: se guardassimo soltanto alle
prime due colonne (prezzo di acquisto e rendimento lordo)
vedremmo che la performance del titolo B è stata di poco
superiore rispetto a quella del titolo A (per 80 centesimi di euro).
Se poi paragonassimo il rendimento di entrambi rispetto a quello
dei titoli di stato, vedremmo che sia il titolo A che il titolo B
hanno prodotto un valore maggiore rispetto all'obbligazione (50
centesimi per A e 130 centesimi per B).
La musica cambia quando andiamo a detrarre le imposte, in
percentuale: 0,75 centesimi per il titolo A e 0,95 per il titolo B.
Una volta sottratto l'ammontare del prelievo fiscale, infatti,
vediamo che soltanto il titolo B ha guadagnato (+0,35 centesimi),
mentre il titolo A è in perdita (-0,25 centesimi) anche se a prima
vista sembrerebbe aver prodotto un rendimento del 30%.
In sintesi, Buffett valuta le azioni come se fossero delle
obbligazioni a tasso variabile: il capitale investito deve essere
garantito, ossia il valore del titolo non deve scendere al disotto di
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una soglia minima rappresentata dal prezzo pagato per acquistarlo
e deve inoltre offrire delle buone prospettive di guadagno, ossia
deve essere potenzialmente in grado di produrre un rendimento
netto superiore rispetto a quello che si otterrebbe investendo la
stessa somma in obbligazioni a tasso fisso.
1.4 - Scegliere i titoli su cui investire
A questo punto, potreste domandarvi come si faccia a prevedere
che l'andamento del prezzo di un determinato titolo sarà in grado
di assicurare una remunerazione che ecceda la somma delle
imposte e del rendimento delle obbligazioni a tasso fisso,
producendo così un reale guadagno per il suo possessore.
Anche in questo caso, le idee di Warren Buffett sono molto chiare:
bisogna prendere in esame alcuni parametri da cui si può
ragionevolmente dedurre la buona performance futura dell'azienda
di cui si intendono acquistare le azioni:
 prospettive di crescita degli utili nel medio e lungo termine;
 prospettive di lungo termine del mercato di riferimento;
 competenza del management, intesa come capacità di
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impiegare le risorse finanziare per produrre ricchezza sfruttando
le potenzialità dell'azienda e del mercato in cui opera;
 management shareholder oriented, ossia che privilegi gli
interessi degli azionisti rispetto al proprio tornaconto;
 livelli di inflazione e imposizione fiscale correnti e stimati per
i prossimi anni;
 prezzo di acquisto dei titoli.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, queste valutazioni
non sono appannaggio degli esperti del settore, ma sono alla
portata di chiunque possieda del buon senso e un po' di logica.
Prendiamo il primo parametro (prospettive di crescita degli utili):
gli esempi classici utilizzati da Buffett per evidenziare questo
concetto sono due ben note società americane: Coca-Cola
Company e Gillette Company (delle quali, non a caso, la
Berkshire detiene un cospicuo numero di azioni).
Entrambe detengono quote del mercato di riferimento che si
aggirano intorno al 50% (rispettivamente, mercato mondiale delle
bibite e delle lame da barba).
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Inoltre, sono società in continua espansione che hanno dimostrato
di saper conquistare sempre nuove fette di mercato grazie al
proprio nome e/o al marchio, alla qualità eccellente dei propri
prodotti e all'efficienza della catena distributiva.
C'è di più: sia il mercato delle bibite che quello delle lamette da
barba sono al riparo dalle turbolenze che ciclicamente interessano
i vari comparti economici: sia in tempi di benessere che in tempi
di crisi, dice Buffett, la gente continua a bere e a farsi la barba,
cosicché chi decide di acquistare le azioni di queste aziende può
ragionevolmente attendersi una crescita del valore del proprio
investimento basandosi sulla ragionevole previsione che le
vendite e gli utili di queste società cresceranno in modo costante
nel tempo.
1.5 - Valutare l'operato del management
Dopo aver individuato le società che sono in grado di garantire
una crescita futura costante degli utili, entra in gioco un'altra
regola secondo la quale ogni dollaro di utile non pagato agli
azionisti sotto forma di dividendo, e quindi trattenuto dall'azienda
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per effettuare degli investimenti, deve produrre un dollaro di
capitalizzazione di borsa.
In termini più semplici: gli utili trattenuti dall'azienda devono
essere utilizzati in modo proficuo per gli azionisti, ossia devono
essere impiegati per effettuare degli investimenti che aumentino la
competitività dell'azienda e quindi il suo valore intrinseco e quello
del titolo.
Tale aumento di valore viene riconosciuto dal mercato attraverso
il relativo incremento del prezzo dei titoli di quella società,
generando così per gli azionisti un guadagno uguale o superiore a
quello che avrebbero percepito se tutti gli utili fossero stati
distribuiti.
Questa regola è particolarmente importante se si pensa che,
generalmente, la pay-out ratio, ossia la percentuale degli utili netti
distribuiti sotto forma di dividendo, non eccede il 50% del totale.
Se l'azienda di cui siete azionisti trattenesse la metà della vostra
partecipazione agli utili, vorreste avere la certezza che quei soldi
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venissero impiegati per aumentare il valore del vostro
investimento?
Se la risposta è sì, non è necessario soffermarsi ulteriormente su
questo punto.
Vediamo ora come è possibile stabilire se gli utili non distribuiti di
una società quotata in borsa sono stati investiti in maniera
proficua, cioè hanno generato un dollaro di capitalizzazione di
borsa per ogni dollaro di utili netti non distribuiti (one dollar for
one-dollar premise).
Procediamo nel modo seguente: dati alla mano, sottraiamo al
totale degli utili netti dell'azienda XY il totale dei dividendi pagati
agli azionisti. Otterremo così il totale degli utili netti non
distribuiti.
Calcolo degli utili netti non distribuiti dell'azienda XY nell'anno 2008 (in milioni di
euro)
totale utili netti
totale dividendi pagati agli
azionisti
totale utili netti non distribuiti
1.500
720
780
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Procediamo nello stesso modo con gli utili netti degli anni
precedenti (almeno 5) e infine sommiamo i risultati ottenuti per
ogni anno ottenendo così il totale degli utili netti non distribuiti
per il periodo considerato.
Totale utili netti non distribuiti dell'azienda XY nel periodo 2004-2008 (in milioni di
euro)
2008
2007
2006
2005
2004
totale
780
730
690
610
580
3.390
utili netti non
distribuiti
Andiamo poi a verificare la differenza della capitalizzazione di
borsa (valutazione globale della società che si ottiene
moltiplicando la quotazione del titolo per il numero delle azioni
in cui è diviso il capitale sociale) della società XY per lo stesso
periodo e confrontiamola con il totale degli utili trattenuti:
Differenza della capitalizzazione di borsa dell'azienda XY per il periodo 2004-2008
(in milioni di euro)
capitalizzazione di borsa
2004
capitalizzazione di borsa
2008
differenza
5.900
9.400
3.500
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Se i nostri soldi sono stati spesi bene, la differenza della
capitalizzazione di borsa sarà uguale o superiore al totale degli
utili netti non distribuiti:
Differenza tra la capitalizzazione di borsa e il totale degli utili netti non distribuiti
dell'azienda XY nel periodo 2004-2008 (in milioni di euro)
diff. capitalizzazione
di borsa
2004-2008
totale utili netti
non distribuiti
2004-2008
differenza
3.500
3.390
110
Nel nostro caso, il management ha operato saggiamente: tenendo
conto dell'interesse degli azionisti, ha impiegato gli utili non
distribuiti per effettuare degli investimenti che hanno aumentato il
valore intrinseco della società e, conseguentemente, il prezzo di
mercato delle sue azioni, producendo per gli azionisti un
guadagno maggiore di
quello che avrebbero ottenuto dalla
distribuzione di tutti gli utili sotto forma di dividendi.
Appare chiaro che ci troviamo difronte ad una società molto
appetibile: buone prospettive di crescita e capacità di aumentare
la capitalizzazione di borsa reimpiegando proficuamente gli utili
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non distribuiti, non si potrebbe chiedere di meglio... o forse sì.
1.6 - Prezzo di acquisto dei titoli
Dobbiamo ancora parlare del prezzo di acquisto, già perché
Warren Buffett non compra se non a prezzi ragionevoli: sceglie a
quale prezzo conviene entrare nell'investimento e attende il
momento propizio, ossia un ribasso che gli consenta di acquistare
le azioni ad un prezzo inferiore rispetto al valore intrinseco del
titolo, generalmente tra il 25% e il 30% in meno (vedremo in
seguito come fare per determinare questo prezzo).
Non si tratta di 'spendere il meno possibile'. Acquistare quando la
quotazione del titolo è sensibilmente inferiore al suo valore
intrinseco costituisce una sorta di assicurazione contro eventuali
errori di valutazione.
In parole povere, se la stima fatta da Buffett si rivela sbagliata per
eccesso (ossia il valore del titolo è stato sovrastimato), aver
acquistato ad un prezzo inferiore lo mette al riparo da perdite
eccessive.
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Un esempio? Ammettiamo che vogliate investire i vostri soldi
acquistando un titolo X perché, dopo un'attenta valutazione, avete
stabilito che il giro di affari della società in questione presenta
buone prospettive di crescita.
Grazie ad una formula matematica (che vedremo in seguito),
avete stimato il suo valore intrinseco: un'azione X vale 50 euro.
A questo punto, seguendo il consiglio di Buffett, attendete che la
quotazione del titolo arrivi almeno al 25% in meno rispetto alla
vostra stima. Poiché il 25% di 50 è 12,5, acquisterete il titolo X
quando avrà raggiunto la quotazione di 37,5 euro (o una
quotazione inferiore).
In questo modo, anche se la vostra stima dovesse rivelarsi errata
per eccesso, poniamo del 10%, avrete comunque fatto un affare.
Infatti: 50 - 10% = 45, che tradotto vuol dire che anche se il
valore intrinseco reale è di 45 e non di 50, avendolo acquistato a
37,50 ci avrete comunque guadagnato anche se un po' meno
rispetto alle previsioni.
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Se poi a causa di crisi economiche e/o finanziarie i listini cadono
in picchiata travolgendo tutti i titoli, tanto meglio: potete
acquistare le azioni che avete selezionato
beneficiando di
un'ulteriore sconto.
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RIEPILOGO 1
REGOLA 1: put all your eggs in one basket
Warren Buffett non diversifica gli investimenti, ma investe i suoi
soldi e quelli degli azionisti della Berkshire in aziende che hanno
dimostrato di ottenere ottimi risultati e che operano in settori che
conosce e comprende.
REGOLA 2: la volatilità dei titoli è un'occasione
Quando i prezzi dei titoli precipitano, Buffett fa shopping sul
mercato azionario portandosi a casa azioni di qualità a prezzi
stracciati; quando si verifica un improvviso rialzo ne approfitta
per vendere a caro prezzo quei titoli che non si sono dimostrati
all'altezza delle sue aspettative.
REGOLA 3: basta il buon senso
Il saggio Buffett investe in aziende che dominano una buona
fetta del mercato di riferimento, che sono in costante crescita e
che producono beni o servizi che sfuggono alla mannaia delle crisi
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economiche (tipo Coca-Cola e Gillette)
REGOLA 4: un dollaro di capitalizzazione di borsa per ogni
dollaro di utili netti non distribuiti
Buffett decide di investire in una società solo se il management ha
saputo reinvestire gli utili netti non distribuiti generando un
aumento
del
valore
dei
titoli maggiore
o
uguale
alla
remunerazione che gli azionisti avrebbero ottenuto se tutti gli utili
fossero stati distribuiti.
REGOLA 5: comprare ottime azioni a prezzi ragionevoli
Warren Buffett compra quando il prezzo delle azioni è inferiore al
valore intrinseco del titolo di almeno il 25%. Questo margine
costituisce
un'efficace
assicurazione
contro
il
rischio
sopravvalutazione del titolo.
34
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INDICE
PASSO 2
… e la sua strategia di investimento
2.1 - Società commodity based e consumer monopoly
Abbiamo visto che Buffett analizza attentamente l'andamento e le
prospettive future dei titoli allo scopo di identificare il migliore
investimento possibile.
Per comprendere il suo metodo di scelta delle azioni, partiamo da
una distinzione fondamentale delle aziende quotate in due grandi
gruppi:

le
aziende
di
prodotti
massificati,
le
cosiddette
commodity-based firms e

le consumer monopoly, cioè quelle aziende che producono
e vendono dei prodotti per i quali non esiste una vera
concorrenza, poiché sono identificati da un marchio
registrato (vedi Coca-Cola) o da qualsiasi altra caratteristica
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per cui il mercato li percepisce come unici e non replicabili.
Warren Buffett non compra mai azioni di aziende che producono
prodotti massificati, in quanto il mercato di questi prodotti è
molto competitivo ed è condizionato dall'idea di produrre al
minor costo possibile.
Le aziende la cui produzione è rivolta al mercato dei prodotti
massificati impiegano tutte le proprie risorse finanziarie per
migliorare la produzione (produrre di più ad un costo più basso)
investendo poco o niente nell'innovazione del prodotto.
Il risultato di questa politica è che i profitti di queste aziende sono
bassi in quanto i loro prodotti vengono assorbiti dal mercato in
misura proporzionale al prezzo (minore è il prezzo, maggiore è la
richiesta) e non alla qualità del prodotto stesso, poiché questo non
si differenzia in modo sostanziale da quello delle aziende
concorrenti.
Da quanto detto, risulta evidente che questo tipo di aziende,
essendo fortemente esposte alla concorrenza, non possono
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garantire una crescita degli utili costante nel tempo e quindi non
costituiscono un buon investimento.
Per identificare le società commodity based si può fare riferimento
alla tipologia dei prodotti: sono aziende di prodotti massificati
quelle che operano sul mercato automobilistico, quelle che
producono materie prime per l'alimentazione (cereali), quelle che
lavorano il legno, ecc..
Tuttavia, non è sempre così semplice distinguere una azienda
commodity-based da una consumer monopoly.
Per non sbagliare, Buffett si affida ad una serie indicatori:
 basso margine di utili (ricavi netti / ricavi)
 basso rendimento del capitale netto (ricavi netti / capitale netto)
 fidelizzazione scarsa o assente
 alto numero di aziende concorrenti
 il settore nel complesso produce più di quanto il mercato possa
assorbire
 i profitti sono irregolari.
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2.2 - Caratteristiche delle Consumer Monopoly
L'interesse di Buffett si concentra su quelle aziende che
producono prodotti o servizi che difficilmente possono essere
copiati poiché sono 'protetti' da un'alta fidelizzazione del marchio
e/o operano in una sorta di monopolio grazie allo sfruttamento di
un brevetto.
Queste società hanno il vantaggio di poter imporre al mercato il
proprio prezzo e di adeguarlo all'aumento dell'inflazione perché
non esiste una vera concorrenza, di conseguenza, i loro utili sono
in costante aumento.
Secondo Buffett, il valore di questi 'monopoli' è dato dalle loro
'caratteristiche non tangibili' come appunto la fidelizzazione della
marca e la copertura offerta da licenze e brevetti.
Le aziende che operano in una situazione di 'monopolio di fatto'
(in quanto non si tratta di veri e propri monopoli, cioè di aziende
che hanno ottenuto dallo Stato la concessione per produrre e
commercializzare in esclusiva un particolare bene o servizio) non
devono preoccuparsi della concorrenza, che è marginale o
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completamente assente, e quindi non necessitano di grandi
investimenti per aumentare la produttività (nuovi impianti,
fabbricati, ecc.).
Inoltre, i prodotti o servizi offerti sono di bassa tecnologia e non
richiedono pertanto processi produttivi complicati e dispendiosi.
Questi fattori determinano notevoli flussi di capitale in entrata e
assenza o contenimento dei debiti.
Esempi classici di società che operano in situazione di monopolio
sono:

Coca-Cola, che oltre a poter contare sulla forza del
marchio e su una formidabile rete di distribuzione
(supermercati, ristoranti, fast food, distributori automatici),
commercializza un prodotto di consumo, che quindi viene
acquistato frequentemente;

McDonald's che come Coca-Cola è presente e conosciuto
in tutto il mondo;

aziende farmaceutiche che possiedono il brevetto di
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medicinali con nomi e marchi molto conosciuti (pensiamo,
ad esempio, all'Aspirina della Bayer);

società che offrono servizi al consumatore, come ad
esempio le carte di credito (American Express) che non
richiedono grandi investimenti in strumentazioni e forza
lavoro.
2.3 - Importanza del mercato di riferimento
Altra caratteristica essenziale che distingue un buon investimento
da uno che sembra buono, ma che potrebbe riservare brutte
sorprese, è il mercato di riferimento: Buffett preferisce le società
che operano in settori semplici da analizzare e comprendere, tali
non sono, ad esempio, il mercato dei titoli tecnologici (pensiamo
al tonfo dei titoli legati alle nuove tecnologie a causa della loro
sopravvalutazione), o i prodotti finanziari complessi come i
famigerati 'derivati'.
La ragione di ciò sta nell'accentuata 'volatilità' di questi mercati,
ossia nel fatto che sono soggetti a forti variazioni di prezzo
imprevedibili e ingiustificate.
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A questo proposito, giova ricordare come lo stesso Buffett, in una
delle sue annuali lettere agli azionisti, abbia definito i derivati
come 'armi finanziarie di distruzione di massa' (financial weapons
of mass destruction), sottolineando come la diffusione di
strumenti
finanziari
tanto
complessi
avrebbe
finito
col
danneggiare non solo chi li aveva incautamente acquistati, ma
anche l'intero sistema finanziario mondiale con ricadute
pesantissime sull'economia globale.
Purtroppo anche questa volta Buffett ha indovinato.
Chi volesse comprendere il meccanismo (perverso) che ha portato
il mondo sull'orlo della catastrofe economica più rilevante dal
1929, troverà nelle parole di Buffett la spiegazione più chiara e
precisa di questo sciagurato fenomeno: i derivati non sono altro
che dei contratti con i quali le parti si accordano per scambiarsi
delle somme di denaro ad una determinata data futura.
L'ammontare di queste somme non viene stabilito in anticipo, ma
verrà determinato alla scadenza in base ad uno o più parametri di
riferimento: tassi di interesse, prezzi di azioni, quotazioni di
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valute, ecc.. In realtà non c'è limite alle possibilità offerte da
questo tipo di contratti.
Il problema posto dai derivati è che l'assenza di un mercato reale
sottostante e il fatto che le scadenze possono essere molto lunghe
(anche 20 anni) determinano un alto rischio di insolvenza da parte
dei contraenti (come è successo con i mutui subprime) generando
così un pericoloso effetto domino su larga scala.
In tempi non sospetti, quindi (già dieci anni fa), Buffett aveva
previsto che lo scoppio della bolla speculativa generata dal
mercato dei prodotti finanziari complessi, avrebbe finito col
danneggiare non solo gli investitori, ma anche l'intero sistema
economico mondiale.
Immagino sia per questo che lo chiamano l'Oracolo di Omaha.
Gli altri fattori da tenere in considerazione per valutare
l'appetibilità di un titolo sono:
 indebitamento contenuto
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 alto rendimento del capitale netto
 alto livello di utili non distribuiti
 basso livello di spesa per le operazioni correnti
 reinvestimento proficuo degli utili non distribuiti
2.4
-
Scegliere
il
momento
giusto
per
entrare
nell'investimento
Dopo aver verificato che un determinato titolo ha le caratteristiche
giuste per essere un buon investimento, Warren Buffett aspetta
che il titolo raggiunga il prezzo giusto per poterlo acquistare.
Buffett, seguendo la teoria del suo amico e maestro Ben Graham,
non acquista mai le azioni al collocamento (ossia l'immissione sul
mercato di nuove azioni) per due ragioni:
 innanzitutto perché al collocamento non è il mercato che
stabilisce il prezzo, ma il venditore (la società che emette i
titoli);
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 in secondo luogo, perché una volta sul mercato, le azioni, prima
o poi, raggiungono prezzi ridicoli dai quali l'investitore accorto
può trarre grande profitto.
Una volta che le azioni sono disponibili sul mercato, Buffett le
acquista quando raggiungono un certo prezzo, che stabilisce
calcolando il valore dell'indice di rendimento iniziale, ossia
scontando il rendimento annuale del titolo per il tasso di interesse
dei titoli di stato a lungo termine. Vediamo un esempio:
Calcolo del valore dell'indice di rendimento iniziale
utili per azione
(rendimento iniziale)
2008
tasso interesse
titoli di stato
2008
valore dell'indice di
rendimento iniziale
3,00
7%
42,85
In altre parole, se il titolo considerato venisse pagato 42,85 euro
per azione, il rendimento iniziale del titolo sarebbe uguale a
quello dei titoli di stato (7% per entrambi).
Se invece le azioni venissero acquistate ad un prezzo superiore,
poniamo 46 euro, si otterrebbe un rendimento iniziale inferiore a
quello dei titoli di stato, e precisamente €3/€46 = 6,5%. In questo
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caso, l'investimento migliore è rappresentato dall'obbligazione
(rendimento del 7% contro il 6,5% del titolo azionario).
A parità di rendimento iniziale, invece, converrebbe acquistare il
titolo considerato pagando 42,85 euro per azione, sapendo che il
suo rendimento è comunque destinato a salire, mentre il
rendimento dei titoli di stato è fisso.
Ancora meglio se il prezzo del nostro titolo fosse inferiore ai
42,85 euro: infatti, posto che il prezzo per azione fosse di 41 euro,
l'indice di rendimento iniziale sarebbe del 7,3%.
Ovviamente, Buffett ha affinato altri metodi per determinare
quando il prezzo di un'azione è 'ragionevole', questo metodo,
però, è di gran lunga il meno complicato e richiede il possesso di
un numero limitato di informazioni e la conoscenza di un po' di
matematica.
Una volta acquistate le azioni della società XY, Buffett le
mantiene nel portafoglio fino a che la suddetta società mantiene le
proprie potenzialità di crescita o finché il rendimento delle azioni
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acquistate è superiore a quello che otterrebbe impiegando lo
stesso capitale in investimenti alternativi.
2.5 - Investire nel lungo periodo
Abbiamo visto in che modo Buffett seleziona e analizza i titoli
che intende acquistare: prima di entrare nel portafoglio della
Berkshire Hataway, le azioni di una data società devono
soddisfare numerosi parametri che ne garantiscono il rendimento
futuro.
In tal modo, una volta acquistati, Buffett può 'dimenticarsi' di
averli nel portafoglio: avendo verificato la solidità delle società e
la competenza del suo management, come pure le prospettive dei
rendimenti futuri, può permettersi di non seguirne le quotazioni
giorno per giorno, come invece è costretto a fare chi effettua
investimenti rischiosi (i cosiddetti traders).
In conseguenza di tutto ciò che abbiamo detto, Buffett può essere
considerato un investitore di lungo periodo, che invece di
preoccuparsi del mercato delle azioni, si dedica a seguire
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l'andamento del business delle aziende di cui è diventato
azionista, perché, come abbiamo già visto, il valore di un'azienda
è dato dal suo core business e non dall'umore delle borse.
Anzi, alcuni titoli, come le cosiddette permanent holdings (Coca
Cola, Geico Co. e The Washington Post Co.), vengono acquistati
per rimanere 'per sempre' nel portafoglio della Berkshire: non ci si
pone il problema di riconsiderare questi investimenti neanche in
un futuro remoto.
È evidente che Buffett considera questi titoli come una sorta di
'botte di ferro', una assicurazione contro i rischi del mercato.
A tal proposito, se è vero che gli scenari futuri prospettati dalla
crisi finanziaria in atto non lasciano prevedere nulla di buono per
le borse mondiali e l'economia reale almeno per i prossimi dodici
mesi (e forse anche oltre), è anche vero che le società che hanno
più probabilità di uscire dalla crisi limitando i danni sono proprio
le permanent holdings di Buffett.
L'idea che sta dietro alla scelta di investire nel lungo periodo è
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uno dei cardini del 'pensiero buffettiano' (ripreso dal suo amico e
maestro Benjamin Graham): la quotazione delle azioni nel breve
periodo è soggetta a variabili che hanno poco a che vedere con la
solidità dell'azienda e del suo business e molto a che vedere con
gli umori ballerini di Mr. Market (ne parleremo più avanti).
Nel lungo periodo, invece, la valutazione dei titoli tende ad
allinearsi al cosiddetto fair value (giusto valore) ossia al reale
valore delle azioni stesse.
Se ne deduce che, acquistando ad un prezzo conveniente le azioni
di una società il cui business presenta buone prospettive di
guadagno,
si
diminuisce
notevolmente
il
rischio
legato
all'investimento.
Inoltre, se dopo aver acquistato dei titoli, la loro quotazione
scende e tutti si precipitano a vendere per limitare i danni, Warren
Buffett ne approfitta per comprare a prezzi scontati.
Buffett ha più volte ribadito di preferire i momenti di 'panico
borsistico' perché gli consentono di incrementare le sue
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partecipazioni
azionarie,
mentre
l'euforia
dei
mercati
è
controproducente in quanto una tendenza al rialzo indiscriminata
gli impedisce di acquistare i titoli a cui è interessato in quanto le
azioni sono 'troppo care'.
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RIEPILOGO 2
REGOLA 1: comprare azioni delle consumer monopoly
Buffett acquista le azioni di società che operano in regime di
'monopolio di fatto', cioè che commercializzano prodotti e offrono
servizi che non temono la concorrenza perché 'protetti' dalla
fidelizzazione della marca o da brevetti e licenze: Coca-Cola,
McDonald's, società farmaceutiche che posseggono brevetti di
medicinali molto conosciuti; società che producono servizi per i
consumatori
che
non
richiedono
grandi
investimenti
in
strumentazioni e forza lavoro (American Express).
REGOLA 2: scegliere le azioni di aziende che operano in mercati
semplici da analizzare e comprendere
Warren Buffett non investe in mercati soggetti a 'volatilità', come
quelli dei titoli tecnologici e quelli dei prodotti finanziari avanzati
(vedi subprime e 'derivati') caratterizzati dalla tendenza a subire
forti rialzi e forti ribassi improvvisi e imprevedibili.
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REGOLA 3: attendere il prezzo giusto
Buffett non acquista mai le azioni al momento del collocamento,
ma attende che il mercato 'faccia il prezzo giusto'. Per
determinarlo, utilizza l'indice di rendimento iniziale, ossia il
rapporto tra l'utile per azione generato dal titolo nell'anno
precedente e il tasso di interesse offerto dai titoli di stato: a parità
di rendimento iniziale, l'azione è più conveniente in quanto il suo
rendimento è destinato ad aumentare mentre il rendimento delle
obbligazioni è fisso.
REGOLA 4: investire nel lungo periodo
Dopo aver acquistato ad un prezzo favorevole (inferiore al prezzo
di collocamento e al valore intrinseco), Warren Buffett si
disinteressa delle quotazioni dei titoli poiché sa che prima o poi il
mercato riconoscerà la qualità del titolo attribuendogli il giusto
valore e facendo guadagnare i suoi possessori.
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INDICE
PASSO 3
Investire conoscendo il ROE
3.1 - Rendimento del capitale investito
Nel rapporto annuale della Berkshire Hataway datato 1979,
Buffett affermava che la prova della qualità dell'operato del
management di un'azienda, (e quindi l'appetibilità del relativo
titolo), fosse un elevato rendimento del capitale investito, e non
(come si potrebbe pensare) un elevato utile per azione.
Ne consegue che, sempre secondo Warren Buffett, la crescita
dell'utile non rappresenta un indicatore attendibile per la scelta dei
titoli su cui investire.
Su cosa si deve basare, quindi, l'investitore che voglia valutare la
qualità di un'azione?
Secondo Buffett, la chiave per interpretare le potenzialità di un
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titolo azionario sta in un indicatore chiamato ROE (acronimo
dell'inglese Return On Equity) o Rendimento sui mezzi propri.
Il ROE (dato dal rapporto tra l'utile netto del periodo considerato
e il patrimonio netto del periodo precedente) esprime la redditività
del capitale investito da una azienda in termini di utile netto.
In altre parole, il ROE fornisce la risposta alla seguente domanda:
quanto utile riesce a produrre un'impresa investendo una
determinata quantità di capitale?
Facciamo un esempio: poniamo che la società XY nel 2008 abbia
registrato un utile netto di 10 milioni di euro. Ammettiamo che
per generare tale utile abbia investito 30 milioni di euro. Quindi:
se ROE = utile netto / patrimonio netto,
ROE di XY = 10 milioni / 30 milioni = 0,33.
In questo caso, la società XY vanterebbe un ROE pari al 33%.
Un ROE così elevato indica che il management dell'azienda ha
utilizzato in modo saggio il capitale fornito dagli azionisti
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riuscendo a produrre un veloce incremento degli utili e, di
conseguenza, un notevole aumento del patrimonio netto.
L'aumento del patrimonio dell'azienda, a sua volta, fa lievitare il
prezzo delle azioni, con evidente vantaggio per gli azionisti.
È chiaro che quanto più utile l'azienda riesce a produrre a parità di
capitale investito, tanto più alto sarà il ROE e quindi, tanto
maggiore sarà la qualità delle azioni di quella data azienda.
Confronto del ROE a parità di capitale investito
impresa XK
(anno 2008)
utile netto:
euro
5 milioni
impresa XY
(anno 2008)
utile netto:
euro
patrimonio netto: euro 30 milioni
patrimonio netto:
euro 30 milioni
ROE:
ROE:
16%
9 milioni
30%
A parità di capitale investito (30 milioni di euro) l'impresa XY è
riuscita a generare un utile superiore rispetto all'azienda XK (9
milioni contro 5 milioni), segno che il management della prima ha
saputo impiegare meglio il capitale fornito dagli azionisti.
Da notare inoltre, che il ROE di XY è quasi doppio rispetto a
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quello di XK (30% contro 16%).
3.2 - Rapporto tra ROE e crescita degli utili
Le società che producono e riescono a sostenere un ROE elevato,
dice Buffett, devono essere tenute in grande considerazione dagli
investitori poiché sono molto rare.
Per poter sostenere un ROE elevato, infatti, una ipotetica società
dovrebbe mantenere un incremento annuale degli utili molto
elevato e superiore al ROE stesso.
Previsione di crescita degli utili mantenendo un ROE del 30%
Periodo
utile netto
patrimonio netto ROE % incremento annuale utili %
(milioni di euro) (milioni di euro)
2000
2.825
9.412
30
/
2001
3.825
12.737
30
35,4
2002
5.179
17.239
30
35,4
2003
7.012
23.335
30
35,4
2004
9.491
31.586
30
35,4
2005
12.847
42.755
30
35,4
2006
17.390
57.874
30
35,4
2007
23.540
78.339
30
35,4
2008
31.865
106.041
30
35,4
55
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Periodo
*
patrimonio netto ROE % incremento annuale utili %
utile netto
(milioni di euro) (milioni di euro)
2009
43.130
143.539
30
35,4
2010
58.380
194.294
30
35,4
tabella tratta e riadattata da www.saperinvestire.it
Ammettendo che la società XY voglia mantenere un ROE del
30% fino al 2010: partendo da un patrimonio netto di 9.412
milioni
di
euro
nel
2002,
avrebbe
dovuto
aumentare
progressivamente il proprio utile netto in ragione del 35,4%
l'anno, fino a raggiungere un patrimonio netto di 194.294 milioni
di euro entro il 2010.
Per ottenere questo risultato, il management dell'azienda dovrebbe
essere capace di sfruttare al massimo le risorse finanziarie fornite
dagli investitori.
Infatti, nota Warren Buffett, qualsiasi società può produrre utili
sempre più elevati semplicemente depositando il capitale in
banca, poniamo al tasso del 5%, e incassando i relativi interessi.
Così facendo, però, il ROE diminuirebbe di anno in anno fino
raggiungere livelli che renderebbero il titolo poco appetibile per
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gli investitori.
Previsione di diminuzione del ROE mantenendo una crescita degli utili del 5%
*
Periodo
utile netto
(milioni di
euro)
patrimonio netto
(milioni di euro)
ROE %
incremento annuale
utili %
2000
2.825
9.412
30
5
2001
2.966
12.358
24,1
5
2002
3.115
15.348
20,3
5
2003
3.270
18.541
17,6
5
2004
3.434
21.893
15,7
5
2005
3.605
25.412
14,2
5
2006
3.786
29.108
13
5
2007
3.975
32.988
12
5
2008
4.174
37.063
11,3
5
2009
4.383
41.341
10,6
5
2010
4.602
45.833
10
5
tabella tratta e riadattata da www.saperinvestire.it
Come si evince dalla tabella, ad un incremento costante degli utili
(5% annuo) corrisponde una costante e sostanziosa diminuzione
del ROE (dal 30% al 10% in dieci anni).
Ciò indica che il management dell'azienda non ha massimizzato
l'uso dei mezzi propri, ossia non ha saputo investire i soldi forniti
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degli azionisti.
Come nota Buffett, le società e gli amministratori delegati
tendono ad enfatizzare il fatto di aver ottenuto un nuovo massimo
di utile per azione vantandosi di aver generato un incremento
dell'utile del 5%.
In realtà, però, non c'è niente di eccezionale in una azienda che
riesce a produrre un aumento di utile del 5% annuo quando il
capitale netto aumenta del 10% l'anno: anche un libretto di
risparmio produce interessi crescenti grazie agli interessi
composti.
Il ROE, quindi, è un indicatore fondamentale per analizzare le
società e i relativi titoli.
La maggior parte degli investitori e degli analisti concentra la
propria attenzione sull'incremento storico e prospettico degli utili.
Tuttavia, fa notare Buffett, è abbastanza facile manipolare i dati di
bilancio e presentare delle previsioni di crescita degli utili
'gonfiate'.
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Il fatto che i mercati abbiano spesso risposto a tali previsioni
sballate facendo schizzare i prezzi dei titoli verso nuovi record ha
contribuito a gonfiare bolle speculative come quella dei titoli
tecnologi scoppiata alla fine degli anni '90.
Grazie al prezioso ROE, Warren Buffett aveva previsto tutto e si è
tenuto a debita distanza dai titoli della cosiddetta New Economy.
Ricordate che lo chiamano l'Oracolo di Omaha.
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RIEPILOGO 3
REGOLA 1: valutare i titoli in base all'operato del management
La redditività di un titolo è legata alla capacità del management
dell'azienda di sfruttare al meglio le risorse finanziarie fornite
dagli azionisti.
REGOLA 2: non fidarsi della crescita dell'utile per azione
Un notevole incremento dell'utile per azione, sia storico che
prospettico, non significa che il management stia massimizzando
il capitale fornito dagli azionisti: anche un libretto di risparmio
più generare interessi del 5% grazie agli interessi composti e le
previsioni di crescita possono essere gonfiate manipolando i dati
di bilancio.
REGOLA 3: tenere d'occhio il ROE
Il ROE esprime la redditività del capitale investito in termini di
utile netto, cioè indica quanto utile riesce a generare un'azienda
impiegando il capitale messo a disposizione dagli azionisti. Una
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società che vanta un ROE elevato è interessante per gli investitori
poiché garantisce una crescita consistente del prezzo dei titoli in
un periodo relativamente breve.
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INDICE
PASSO 4
Valore intrinseco di un titolo
4.1 - Che cos'è il valore intrinseco?
Secondo W. Buffett, il valore intrinseco di un titolo (o di una
società) è la sola informazione di cui l'investitore ha bisogno per
valutare razionalmente un investimento.
Il valore intrinseco indica la capacità di una società, e quindi delle
sue azioni, di generare reddito nel tempo.
Esso può anche essere definito come l'eccedenza di risorse
finanziarie di una società rispetto alle sue necessità di
investimento in un dato periodo.
Queste risorse sono 'eccedenti' poiché non sono vincolate ad una
destinazione specifica (investimenti correnti) e possono essere
utilizzate (ma non è sempre così) per pagare i dividendi agli
azionisti.
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Ovviamente, maggiori sono queste eccedenze, maggiori saranno i
dividendi.
Dal punto di vista dell'investitore, quindi, il titolo migliore, ossia
quello che garantisce un ritorno più alto, è quello che ha il
maggiore valore intrinseco.
Fin qui tutto chiaro. Il problema sorge quando si voglia conoscere
il valore intrinseco di un determinato titolo per valutarne
l'eventuale acquisto.
Poiché il valore intrinseco non coincide con il valore di mercato
del titolo, esso non è un dato noto, ma deve essere calcolato in
base ad alcune variabili note oppure stimate.
L'impresa non è delle più semplici. Inoltre, trattandosi di una
stima, ossia di un calcolo effettuato in base a dati non certi, il
risultato è necessariamente approssimativo.
Tuttavia, considerati i risultati ottenuti da Buffett utilizzando
questo metodo, vale la pena cimentarsi.
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4.2 - Calcolo del valore intrinseco
Prima di addentrarci nella selva delle formule matematiche,
dobbiamo introdurre un'altra espressione nel nostro vocabolario:
il valore di libro (book value).
Questo dato non è altro che il valore con cui l'azione di una
società viene iscritta nel bilancio della stessa come attività e come
tale è un dato noto.
Sebbene esso non coincida mai con il valore intrinseco, tuttavia
sappiamo che ad una certa variazione percentuale del valore di
libro corrisponde una variazione simile del valore intrinseco.
Ossia, se il valore di libro del titolo X registra un incremento (o
una diminuzione) del 10%, il valore intrinseco dello stesso
registrerà all'incirca la medesima variazione.
A questo punto, entra in gioco la matematica: mediante una
formula possiamo determinare il valore intrinseco del titolo in
questione:
Pr = D / (I - g)
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In questa formula, Pr è il prezzo che vogliamo calcolare, ossia il
valore intrinseco, D è l'ultimo dividendo pagato dalla società, I è
il
tasso
di
interesse
che
l'investitore
vuole
ottenere
dall'investimento e g è la crescita media annua dei dividendi
futuri (dall'inglese growth, crescita).
I valori noti della formula sono D e I, il valore di g, invece, può
essere soltanto stimato.
Poiché si è detto che la variazione che il valore di libro di un
titolo subisce di anno in anno è simile a quella registrata dal
valore intrinseco dello stesso titolo nello stesso periodo,
assegnando a g un valore pari alla variazione media annua del
valore di libro, si può determinare con buona approssimazione il
valore di Pr.
Ammettiamo che il dividendo pagato dalla società XY per
ciascuna azione nell'anno 2008 fosse stato di 15 euro.
Se l'investitore volesse ottenere dal suo investimento un interesse
del 10% e ammettendo che la variazione del valore di libro fosse
stata +5% rispetto all'anno precedente avremmo che:
Pr = 15 / 10 - 5 = 3
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dove 3 è appunto il valore intrinseco del titolo considerato.
Volendo confrontare due investimenti alternativi, l'investitore
potrebbe fare riferimento proprio al valore intrinseco per
effettuare la sua scelta:
Confronto di due investimenti azionari alternativi in base al loro valore intrinseco
titolo A
titolo B
D (euro)
13
16
I (%)
10
10
g (%)
8
5
Applicando la formula avremo che
PrA = 13 / 10 - 8 = 13 / 2 = 6,5
PrB = 16 / 10 - 5 = 16 / 5 = 3,2
A prima vista, si potrebbe pensare che il titolo B sia
l'investimento migliore in quanto offre un dividendo maggiore
rispetto ad A (16 euro contro i 13 euro di A).
Se invece inseriamo nel ragionamento la crescita media annua
degli utili futuri (supponendo che sia uguale alla variazione del
valore di libro rispetto all'anno precedente) vediamo che
l'investimento più conveniente è decisamente A (valore intrinseco
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di 6,5 contro 3,2 di B).
4.3 - Rapporto tra valore intrinseco e dividendo
Inoltre, grazie alla formula suddetta si può anche dedurre che,
supponendo che il valore di I - g sia costante nel tempo (ossia che
rimanga
costante
la
differenza
tra
l'interesse
richiesto
dall'investitore e la crescita degli utili futuri), Pr è funzione di D,
ossia che ad una data variazione percentuale del dividendo
corrisponderà la stessa variazione percentuale del valore
intrinseco del titolo e viceversa.
In altre parole, supponendo che l'investitore richieda sempre lo
stesso tasso interesse e che la crescita degli utili futuri sia
costante nel tempo, il valore intrinseco subirà di anno in anno la
stessa variazione percentuale del dividendo.
Variazione del valore intrinseco (Pr) al variare del dividendo (D) supponendo
costante la differenza tra l'interesse richiesto dall'investitore e la crescita degli utili
futuri (I-g)
Periodo
D (euro)
variaz. D
I - g (%) Pr (euro) variaz. Pr
(rispetto anno
(rispetto
prec.)
anno prec.)
2005
12
-
3
4
-
2006
13,2
+ 10 %
3
4,4
+ 10 %
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Periodo
D (euro)
variaz. D
I - g (%) Pr (euro) variaz. Pr
(rispetto anno
(rispetto
prec.)
anno prec.)
2007
14,8
+ 12 %
3
4,9
+ 12 %
2008
17
+ 15 %
3
5,6
+ 15 %
4.4 - Usare il valore intrinseco per determinare il 'prezzo
giusto'
Riprendendo il discorso del prezzo al quale conviene entrare in un
dato investimento, abbiamo visto che Warren Buffett non compra
mai le azioni al collocamento, ma attende che il titolo sia quotato
ad un prezzo di almeno il 25% inferiore al suo valore intrinseco.
Chi vuole seguire il suo esempio, quindi, non deve fare altro che
utilizzare la preziosa formula.
Ipotizzando che il valore intrinseco di un titolo Y fosse 15 euro,
poiché 15 - 25% = 11,25 non converrebbe acquistarlo prima che
abbia raggiunto gli 11,25 euro.
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RIEPILOGO 4
REGOLA 1: il valore intrinseco di un titolo è l'alleato
dell'investitore razionale
Esso determina la quantità di risorse 'in eccesso' rispetto alle
necessità di investimento della società in un dato momento, ossia
l'ammontare degli utili che possono essere distribuiti agli azionisti
sotto forma di dividendi.
REGOLA 2: il valore intrinseco non è un dato noto, ma può
essere stimato
Conoscendo il dividendo pagato nell'anno precedente, il tasso di
interesse richiesto dall'investitore e la variazione media annua del
valore di libro si può ottenere una stima abbastanza attendibile del
valore intrinseco.
REGOLA 3: la formula Pr = D / I - g ci dice qual'è l'investimento
azionario più conveniente
Per valutare il ritorno di due (o più) investimenti in titoli
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possiamo confrontare il loro valore intrinseco: l'investimento più
conveniente è quello che fornisce il valore intrinseco (Pr) più alto.
REGOLA 4: la variazione del valore intrinseco è legata a quella
del dividendo
Se I (interesse richiesto) e g (crescita degli utili futuri) rimangono
costanti, il valore intrinseco aumenta o diminuisce come il
dividendo e viceversa.
REGOLA 5: grazie al valore intrinseco possiamo sapere quando è
più conveniente entrare nell'investimento
Secondo Buffett conviene acquistare un titolo solo quando la sua
quotazione sia inferiore di almeno il 25% rispetto al suo valore
intrinseco.
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INDICE
PASSO 5
Dividendi e utili non distribuiti
5.1 - Impiego degli utili e interesse dell'azionista
Parlando del valore intrinseco di un titolo, abbiamo visto che
esso può essere definito come l'ammontare delle risorse
eccedenti rispetto alle necessità di investimento di una società in
un dato momento.
Si è anche detto che, in teoria, queste risorse potrebbero essere
destinate al pagamento dei dividendi agli azionisti, ma si è anche
accennato al fatto che non sempre ciò avviene.
Ogni società in attivo, ossia che produce degli utili, dopo avere
destinato una parte dei profitti agli investimenti necessari per
mantenere la propria posizione competitiva, deve decidere come
impiegare gli utili restanti. Le opzioni possibili sono 3:
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1. utilizzarli per migliorare la propria competitività e quindi
investirli per innovare il prodotto o il processo produttivo,
rinnovare gli impianti, acquistarne di nuovi, ecc.;
2. impiegarli per ridurre l'esposizione debitoria nei confronti di
banche e istituti di credito;
3. distribuirli agli azionisti sotto forma di dividendi.
Dal punto di vista dell'azionista, l'opzione più conveniente
nell'immediato è la numero 3 poiché gli consente di 'incassare' il
guadagno derivante dalla buona gestione della società nella
quale ha investito.
Se però l'azionista non è uno 'scommettitore' (ovvero un trader),
ma un investitore razionale, come lo è Warren Buffet, dovrebbe
valutare positivamente anche l'eventuale reimpiego degli utili in
investimenti il cui fine sia quello di assicurare alla società una
migliore posizione sul mercato, oppure l'utilizzo di queste risorse
extra per ridurre l'indebitamento della società.
Entrambe queste operazioni, infatti, producono dei vantaggi
anche per l'azionista. Vediamo perché: quando una società
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investe gli utili ottenuti con la gestione precedente, lo fa per
ottenere un vantaggio competitivo.
Un'azienda XY, ad esempio, potrebbe trattenere gli utili e
impiegarli per allargare il proprio mercato. Come? Ad esempio
puntando tutto sul marketing, oppure sul miglioramento della
rete distributiva o ancora ampliando la gamma dei prodotti.
Si tratta di operazioni che richiedono l'impiego di ingenti
quantità di denaro che la società può ottenere in due modi:
chiedendo un prestito o un finanziamento, oppure impiegando
gli utili non distribuiti.
Ammettendo che la società opti per il prestito o altro contratto
similare, essa si accollerà l'onere del debito che ne deriva,
compresi gli interessi che rappresentano per la società
un'ulteriore voce di spesa.
Inoltre, la maggiore esposizione verso le banche aumenta il
rischio dell'investimento riducendo il valore azionario del titolo.
In sostanza, il nuovo debito ricade anche sulle tasche
dell'azionista che vede ridursi il tasso di rendimento del proprio
investimento.
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Se invece la società decidesse di reinvestire gli utili non
distribuiti, da una parte priverebbe gli azionisti dei loro
dividendi,
dall'altra
però
farebbe
aumentare
il
valore
dell'investimento azionario cioè produrrebbe per gli investitori
un ritorno maggiore o uguale a quello che avrebbero ottenuto se
la società avesse distribuito gli utili anziché reinvestirli.
5.2 - Mancata distribuzione degli utili e danno per gli
azionisti
Tuttavia, secondo Buffett esiste una soglia al di sotto della quale
la mancata distribuzione degli utili al fine di finanziare gli
investimenti comporta una perdita per l'azionista, la famosa
regola che recita: 'un dollaro di capitalizzazione di borsa per
ogni dollaro di utili netti non distribuiti' (one dollar for onedollar premise).
Warren Buffett spiega che affinché il reinvestimento degli utili
sia vantaggioso per l'azionista, questo deve produrre un ritorno
pari o superiore a quello che avrebbe ottenuto 'monetizzando' il
dividendo e investendolo in altro modo.
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Vediamolo con un esempio: ammettiamo che l'azionista di una
società XY non abbia percepito i dividendi relativi alla propria
partecipazione azionaria
poiché la società ha deciso di
reinvestire gli utili per rafforzare la propria posizione di mercato.
Supponendo che il tasso di interesse che l'investitore si aspettava
dall'investimento fosse del 6% e che se avesse percepito il
dividendo lo avrebbe investito in titoli di stato al tasso del 4%
annuo, perché il reinvestimento degli utili risulti vantaggioso per
il suddetto azionista, esso dovrà produrre un ritorno uguale o
superiore al 10% (risultante dalla somma di 4% + 6%).
In caso contrario, e cioè se l'operazione ha comportato per
l'azionista un ritorno inferiore al 10%, l'azionista sarà stato
penalizzato da una gestione il cui scopo non è evidentemente
quello di massimizzare il ritorno sull'investimento azionario.
5.3 - Effetti positivi della riduzione dell'indebitamento
Ritornando alla questione dell'indebitamento, bisogna precisare
che la mancata distribuzione degli utili e il loro impiego per
ridurre i debiti comporta due vantaggi:ù
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 risparmio degli interessi dovuti alle banche come contropartita
del prestito concesso;
 aumento del valore azionario in seguito alla riduzione del
rischio dell'investimento.
È evidente, quindi, che questi vantaggi per la società si
traducono in vantaggi per gli azionisti, tuttavia, sempre secondo
Buffett, se la società non è eccessivamente indebitata, impiegare
gli utili per ridurre ulteriormente l'indebitamento è una scelta che
penalizza ingiustamente gli azionisti poiché li priva della
possibilità di impiegare i propri soldi in investimenti alternativi
più remunerativi.
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RIEPILOGO 5
REGOLA 1: gli utili di una azienda possono essere impiegati per
il perseguimento di diversi scopi
Una parte di essi è destinata a finanziare gli investimenti
necessari affinché la società mantenga la propria posizione
competitiva. La parte residua può essere distribuita agli azionisti,
utilizzata per ridurre l'indebitamento oppure reinvestita per
finanziare un piano di espansione.
REGOLA 2: la distribuzione degli utili sotto forma di dividendi
non è sempre la soluzione più vantaggiosa per l'azionista
A determinate condizioni, il reimpiego degli utili per conquistare
nuove fette di mercato o ridurre l'esposizione debitoria produce
un vantaggio anche per l'azionista in quanto fa aumentare il
valore delle azioni in suo possesso.
REGOLA 3: one dollar for one-dollar premise
Il mancato pagamento del dividendo è comunque vantaggioso
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per l'azionista quando il reinvestimento degli utili produce un
rendimento uguale o superiore a quello che l'azionista avrebbe
ottenuto investendo una somma pari al dividendo in modo
alternativo.
REGOLA 4: la riduzione dell'indebitamento è positiva per
l'azionista quando non penalizza il suo interesse
Anche l'impiego degli utili per ridurre l'esposizione debitoria
produce un vantaggio per l'azionista sotto forma di aumento del
valore azionario (in seguito alla riduzione del rischio), tuttavia
gli utili devono essere destinati a questo scopo solo se
l'esposizione è eccessiva e produce un rischio troppo alto, in
caso contrario si sacrifica ingiustificatamente l'interesse degli
azionisti.
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INDICE
PASSO 6
Crescita degli utili per azione
e aumenti gratuiti
6.1 - L'illusione della crescita degli utili per azione
Parlando del ROE, abbiamo visto che la crescita di utili per
azione o EPS (Earnings Per Share) non è un buon parametro per
'misurare' la qualità di un investimento azionario.
Si è detto, infatti, che qualsiasi gestione è in grado di ottenere
l'aumento degli utili per azione semplicemente depositando il
capitale in banca, grazie al meccanismo degli interessi composti.
Inoltre, esiste il rischio che gli utili vengano gonfiati utilizzando
dei 'trucchetti contabili'.
Warren Buffett, però, insiste anche sul fatto che una corretta
gestione deve garantire un tasso di crescita degli utili per azione
superiore al tasso di interesse che si otterrebbe investendo la
stessa somma in titoli di stato poiché questi, a differenza
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dell'azionario, presentano un rischio pari a zero.
Il ragionamento non fa una piega, tuttavia, non è infrequente che
gli amministratori delegati di molte società si vantino di aver
ottenuto un aumento degli utili per azione del 6% rispetto
all'esercizio precedente, facendosi passare per grandi strateghi
della finanza, quando in realtà hanno reinvestito gli utili
trattenuti (privando gli azionisti dei loro dividendi) ottenendo un
risultato più che modesto.
Supponete di essere gli azionisti della società XY. Nell'anno
2007 la società ha ottenuto un utile netto di 5 milioni di euro.
Poiché le azioni in cui è frazionato il capitale sono 1 milione,
l'utile per azione è di 5 euro (5 milioni / 1 milione).
Ammettiamo ora che la società abbia deciso di trattenere gli utili
per reinvestirli. Alla fine del 2008 il suddetto investimento ha
fruttato ben, si fa per dire, il 6%.
Ciò significa che i 5 milioni di euro sono diventati 5.300.000
euro che diviso per il numero delle azioni fa 'addirittura' 5 euro e
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30 centesimi per azione. In altre parole, se siete proprietari di 1
azione, il reinvestimento dei vostri 5 euro al tasso del 6% ha
fruttato 0,30 euro.
A posteriori, vi rendereste conto che se la società avesse
distribuito i dividendi anziché trattenerli, voi avreste potuto
investire i famosi 5 euro in modo alternativo, ad esempio in Bot
annuali al tasso del 6%.
Alla fine dell'anno, pensate un po', avreste ottenuto esattamente
la stessa remunerazione: poiché il 6% di 5 euro sono 0,30 euro,
vi sareste ritrovati con 30 centesimi in più, ma con una
differenza: l'investimento in Bot è per definizione sicuro poiché
il tasso di interesse è noto e resta fermo qualunque cosa accada,
mentre il tasso di ritorno di un investimento azionario non è mai
garantito: può essere superiore al tasso fisso dei titoli di stato,
ma anche inferiore o addirittura negativo (in questo caso
verrebbe eroso il vostro capitale, ossia vi ritrovereste con meno
dei 5 euro iniziali).
In conclusione, chi investe nell'azionario e non percepisce i
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dividendi, si aspetta, giustamente, che i suoi soldi vengano
reinvestiti ad un tasso superiore a quello che avrebbe ottenuto
con un investimento a rischio zero e gli amministratori delegati
dovrebbero evitare di compiacersi dei risultati ottenuti quando la
loro gestione ha permesso alla società di realizzare un aumento
degli utili per azione che non supera i tassi di interesse garantiti
dai titoli del debito pubblico.
6.2 - Aumenti gratuiti: un gioco di prestigio
Un'altra pratica poco gradita a Buffett sono gli aumenti gratuiti
(stock-splits) ovvero azioni gratuite 'regalate' dalla società ai suoi
azionisti.
Un esempio classico è lo stock-split a metà ossia un'azione
gratuita per ogni azione posseduta.
Questa pratica, che apparentemente favorisce gli azionisti, è in
realtà un giochetto di prestigio che rasenta la truffa: se le azioni
in circolazione sono, poniamo, 100 e ciascuna vale 1000 euro,
l'emissione di altre 100 azioni non fa che dimezzare il valore di
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quelle in circolazione che dopo l'aumento gratuito varranno 500
euro.
Un ipotetico azionista della società XY che possedeva 1 azione
prima dell'aumento, dopo ne possiederà 2, ma il valore totale
delle sue quote sarà sempre di 1000 euro.
Quindi, il vantaggio per gli azionisti è semplicemente nullo, con
l'aggravante, non trascurabile, che l'aumento gratuito è
un'operazione che ha un suo costo che ricadrà sugli azionisti, in
quanto soci.
Coloro che sostengono la validità di questa operazione fanno
notare che l'aumento delle azioni in circolazione e il conseguente
dimezzamento del valore delle stesse attirerà un maggior numero
di investitori: se il quantitativo minimo per la compravendita di
azioni in Borsa è di 100 azioni e l'azione della società XY viene
scambiata a 1000 euro, per investire nella suddetta società sarà
necessario disporre di almeno 100.000 euro.
Dopo che la società avrà portato a termine l'operazione di
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aumento gratuito, invece, sarà possibile entrare nell'investimento
con la metà dell'importo suddetto, ossia 50.000 euro.
Questa possibilità dovrebbe, e sottolineo dovrebbe attrarre
l'interesse dei traders, i quali si affretterebbero ad acquistare il
titolo in questione facendo salire la sua quotazione e creando
così un beneficio per per gli azionisti che già possiedono quel
titolo.
Lungi dal rimanere senza argomenti, Warren Buffett ribatte a
questa osservazione facendo notare che gli speculatori usciranno
dall'investimento non appena avranno realizzato il profitto
sperato, azzerando così l'iniziale effetto positivo.
Inoltre, non bisogna trascurare il fatto che il management della
società, realizzando un'operazione di questo tipo, ha finito con
l'attrarre l'interesse di un'azionaria tutt'altro che 'desiderabile'.
I traders non sono certo il genere di investitori che una società
seria, guidata da persone altrettanto serie, dovrebbe volere tra i
suoi azionisti, per ben due ragioni:
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1. poiché il loro scopo è realizzare un guadagno dalla
compravendita di azioni, essi spingeranno per ottenere dei
risultati nel brevissimo termine a scapito di una gestione
razionale e perciò interessata alle prospettive di lungo
periodo;
2. subito dopo aver realizzato il loro guadagno, usciranno
dall'investimento vendendo tutte le azioni che avevano
acquistato generando così un'accentuata volatilità del titolo
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RIEPILOGO 6
REGOLA 1: diffidare degli amministratori delegati che si
vantano di aver aumentato gli EPS
Perché un investimento azionario sia considerato un 'affare' non
è sufficiente che il management abbia ottenuto un generico
aumento degli utili per azione.
REGOLA 2: l'investimento degli utili non distribuiti deve
generare un ritorno superiore a quello garantito dai titoli di stato
L'investitore che rinuncia ai dividendi deve essere ripagato con
un tasso di interesse maggiore di quello che avrebbe ottenuto se
avesse potuto investire i suddetti dividendi ad un tasso fisso e
garantito.
REGOLA 3: gli aumenti gratuiti sono uno 'specchietto per le
allodole'
I cosiddetti stock-split a metà dimezzano il valore delle azioni in
circolazione e quindi non producono vantaggi per gli azionisti
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che si ritrovano con il doppio delle azioni, ma con lo stesso
controvalore.
REGOLA 4: il costo degli aumenti gratuiti è a carico degli
azionisti
In quanto comproprietari della società che emette le azioni
gratuite, gli azionisti pagano il costo di una operazione che non
produce alcun vantaggio per loro.
REGOLA 5: gli aumenti gratuiti attirano l'interesse dei traders
deteriorando la qualità dell'azionariato
Gli speculatori sono cacciatori di opportunità, una volta
realizzato il loro guadagno, escono dall'investimento facendo
scendere la quotazione del titolo ai livelli precedenti l'operazione
di aumento gratuito. Inoltre, spingono per ottenere dei risultati
nel breve periodo compromettendo i risultati di medio e lungo
periodo che sono quelli che più interessano agli investitori
razionali.
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INDICE
PASSO 7
Riacquisto di azioni proprie
7.1- Buy-back e vantaggi per l'azionista
Come abbiamo visto, Warren Buffett ritiene che il mancato
pagamento dei dividendi sia giustificato solo quando gli utili non
distribuiti vengono investiti in modo tale da generare una
remunerazione maggiore di quella che gli azionisti avrebbero
ottenuto impiegando i dividendi in investimenti alternativi.
Ricapitolando, quindi, possiamo dire che le società che secondo
Buffett meritano l'interesse degli investitori sono quelle che,
quando non distribuiscono i dividendi, li utilizzano per
finanziare investimenti produttivi o per ridurre l'indebitamento
consentendo (secondo i meccanismi che abbiamo visto) alla
società stessa di aumentare il proprio valore intrinseco (e quindi
il valore intrinseco delle sue azioni) a vantaggio degli azionisti.
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Sempre secondo Bufett, esiste ancora un'operazione che
giustifica il mancato pagamento dei dividendi: il cosiddetto buyback o riacquisto di azioni proprie.
Con questa operazione, la società impiega tutte le risorse
finanziarie disponibili (cioè quelle eccedenti rispetto alle
necessità di investimento correnti) per ricomprare sul mercato le
proprie azioni.
Buffett considera questa pratica 'virtuosa' per due ragioni:
1. l'acquisto di ingenti quantità di azioni di una data società
sul mercato azionario fa automaticamente salire la loro
quotazione, generando un vantaggio per coloro che già le
possedevano;
2. riacquistando le proprie azioni quando la loro quotazione è
scesa notevolmente al di sotto del loro valore intrinseco, il
management dimostra di agire nell'interesse degli azionisti
piuttosto che per accrescere il proprio prestigio ad esempio
con l'acquisizione di altre aziende.
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7.2 - Distribuzione dei dividendi e buy-back
Vediamo di chiarire il concetto con un esempio: la società XY ha
un valore di 100 milioni di euro. Poiché il capitale societario è
suddiviso in 1 milione di azioni, ciascuna azione vale 100 euro
(100 milioni / 1 milione).
La nostra società è solida, ha pochi debiti, opera in un settore
stabile e redditizio ed è ben gestita. Di conseguenza, ogni anno
genera 10 milioni di euro di risorse finanziarie eccedenti rispetto
alle proprie necessità di investimento.
Dal momento che l'esposizione debitoria non è eccessiva, il
management può scegliere di destinare queste risorse 'in più' al
pagamento dei dividendi oppure impiegarle per tornare in
possesso di una parte delle proprie azioni acquistandole sul
mercato.
Se optasse per la prima soluzione, i possessori di azioni XY
percepirebbero un dividendo di 10 euro per azione (10 milioni / 1
milione).
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Se invece la società volesse tornare in possesso di una parte delle
proprie azioni, invece di distribuire i 10 milioni agli azionisti li
impiegherebbe per riacquistare il 10% delle azioni, ossia 100.000
azioni in totale (10% di 1 milione = 100.000).
In conseguenza di questa operazione, il valore delle azioni
salirebbe considerevolmente, più precisamente passerebbe da 100
euro a 111 euro.
Questa somma si ottiene dividendo il valore della società (100
milioni) per il numero delle azioni rimaste in circolazione dopo
l'operazione di buy-back (900.000).
Gli azionisti, quindi, vedrebbero un ritorno di 11 euro sul loro
investimento, ossia 1 euro in più rispetto a quello che avrebbero
guadagnato dalla distribuzione dei dividendi.
La differenza non è molta, è vero, ma nel nostro ragionamento
siamo partiti dal presupposto che la quotazione di mercato delle
azioni XY fosse identica al loro valore intrinseco (100 euro),
mentre sappiamo che nella realtà, a causa delle cicliche fasi
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depressive dei mercati, le azioni possono subire dei ribassi
notevoli.
7.3 - Buy-back di azioni quotate al disotto del loro valore
intrinseco
Supponiamo ora che la quotazione delle azioni XY sia scesa al
50% del valore intrinseco delle stesse: un'azione costa 50 euro
invece degli iniziali 100 euro.
Tuttavia, la società è sempre quella che abbiamo descritto: solida,
con pochi debiti e ben gestita. Le ragioni del deprezzamento del
titolo, infatti non hanno niente a che fare con il valore intrinseco
della società, ma sono legate alle logiche (ma sarebbe meglio dire
illogiche) del mercato azionario (vedi Mr. Market).
A questo punto, il management decide (saggiamente) di utilizzare
le risorse finanziarie eccedenti (10 milioni) per ricomprare
200.000 azioni proprie (20% del totale, il doppio rispetto
all'esempio precedente poiché le azioni costano la metà: 50 euro
invece che 100).
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Ora, poiché le azioni ancora in circolazione dopo il buy-back sono
800.000, il valore intrinseco di un'azione sale a 125 euro (100
milioni / 800.000). Questo significa che con l'operazione di
riacquisto di azioni proprie il management ha ottenuto un ritorno
sull'investimento del 150% (poiché il valore di una azione è
passato da 50 euro a 125 euro).
7.4 - Distribuzione dei dividendi in caso di perdita di
valore del titolo
Vediamo ora cosa sarebbe successo se la società, nonostante il
dimezzamento del valore del titolo, avesse deciso comunque di
distribuire i dividendi rinunciando a ricomprare una parte delle
azioni proprie.
Un ipotetico azionista K, preoccupato dallo spaventoso calo del
valore delle proprie azioni XY e/o da una disastrosa crisi
finanziaria, potrebbe decidere di vendere il suo pacchetto e
impiegare i soldi ricavati dalla vendita più i dividendi in un
investimento più sicuro anche se meno remunerativo: i soliti titoli
di stato.
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Ammettiamo che il nostro azionista K sia in possesso di un
pacchetto di 100 azioni XY e che decida di venderle in blocco:
poiché le ha acquistate quando valevano 100 euro e le ha
rivendute quando quotavano 50 euro, ci ha rimesso giusto la metà
del capitale (10.000 - 5.000 = 5.000).
Con i 5.000 euro ricavati dalla vendita delle azioni XY e i
dividendi percepiti, ossia 1000 euro (100 x 10 = 1000) che in
totale fanno 6.000 euro, decide di acquistare buoni ordinari del
tesoro.
Se il rendimento dei Bot a 1 anno è del 6% e il nostro investitore
acquista Bot a 1 anno per 6.000 euro, alla scadenza incasserà
6.360 euro.
La differenza tra il ritorno che ha ottenuto liquidando la propria
posizione, incassando i dividendi e investendo tutto in buoni
ordinari del tesoro e quello che avrebbe guadagnato in ragione
della mancata distribuzione degli utili per il finanziamento
dell'operazione di buy-back è di 8.640 euro, che si ottiene
sottraendo ai 9.000 euro che avrebbe guadagnato grazie al buy-
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back (poiché 6.000 x 150% = 9.000) i 360 euro incassati alla
scadenza dei Bot a 1 anno. Direi che queste cifre non hanno
bisogno di commento.
7.5 - Investimento dei dividendi in obbligazioni
Sempre partendo dal presupposto che la società abbia distribuito i
dividendi, ipotizziamo che un secondo azionista di XY,
chiamiamolo Z, abbia deciso di rimanere nell'investimento nella
speranza che il titolo recuperi il valore perduto, ma, avendo
percepito i dividendi, li abbia investiti in modo alternativo.
Il nostro amico Z, che possiede anche lui 100 azioni, percepisce
1000 euro in dividendi e li investe, anche lui come K, in Bot a 1
anno con un tasso di ritorno del 6%. Ciò significa che alla
scadenza incasserà 1.060 euro.
Se la società non avesse distribuito i dividendi e avesse impiegato
i suoi 1000 euro per ricomprare azioni proprie, come abbiamo già
visto, lo avrebbe fatto con un ritorno del 150% sull'investimento,
ossia gli avrebbe fatto guadagnare, solo sui dividendi non
percepiti, 1.500 euro (1000 x 150% = 1.500).
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La differenza in termini di ritorno tra i due investimenti è di 1.440
euro (1.500 - 60). Anche in questo caso, i numeri parlano da soli.
In definitiva, quindi, il riacquisto di azioni proprie è
un'operazione che privilegia gli interessi degli azionisti,
soprattutto quando le azioni, per motivi che non hanno a che fare
con il valore intrinseco della società, raggiungono quotazioni
penalizzanti per questi ultimi.
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RIEPILOGO 7
REGOLA 1: la mancata distribuzione degli utili per finanziare
un'operazione di buy-back avvantaggia gli azionisti
Il fatto di utilizzare gli utili netti eccedenti le necessità di
investimento correnti per riacquistare le proprie azioni sul
mercato azionario ha come conseguenza l'aumento del valore del
titolo (dovuto alla riduzione del numero di azioni in
circolazione) e dimostra che il management privilegia l'interesse
degli azionisti.
REGOLA 2: il riacquisto di azioni proprie è particolarmente
utile quando il titolo è quotato molto al disotto del suo valore
Quando la quotazione del titolo scende notevolmente per ragioni
non collegate al valore intrinseco della società, l'operazione di
buy-back è l'unico modo per preservare il valore del titolo e
quindi tutelare l'interesse degli azionisti.
REGOLA 3: distribuire i dividendi nonostante la notevole
perdita di valore del titolo penalizza fortemente gli azionisti
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Trovandosi in una situazione di forte perdita, una volta percepiti
i dividendi, gli azionisti potrebbero decidere di impiegarli in
investimenti a rischio zero (Bot) ottenendo un ritorno
decisamente minore rispetto a quello che avrebbero ottenuto
dall'operazione di riacquisto di azioni proprie o potrebbero
addirittura decidere di uscire dall'investimento perdendo gran
parte del capitale investito oltre alla possibilità di ottenere un
ottimo tasso di ritorno sull'investimento grazie al buy-back.
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PASSO 8
Come trattare con Mr. Market
8.1 - 'Comportamento' dei mercati azionari
Si sa che i mercati azionari si 'comportano' spesso in maniera
irrazionale: le quotazioni di titoli vanno su e giù come se fossero
su un'altalena facendo segnare aumenti e deprezzamenti
vertiginosi nel volgere di poche ore.
Ciò accade soprattutto nel breve periodo. Nel lungo periodo,
invece, come abbiamo già visto, il prezzo delle azioni tende a
coincidere con il valore intrinseco, ossia con una valutazione
corrispondente al reale valore del titolo.
Tuttavia, si sa che le variazioni improvvise e accentuate delle
quotazioni di borsa, seppur non giustificate (ad esempio perché
generate da movimenti speculativi), sono in grado di creare
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euforia (a causa delle variazioni al rialzo) o panico (a causa
delle variazioni al ribasso) e di indurre gli investitori a comprare
o vendere determinati titoli anche quando ciò comporta delle
perdite notevoli.
8.2 - Mr. Market e l'investitore razionale
Nella sua lettera agli azionisti della Berkshire Hataway del 1994,
Warren Buffett afferma che un investitore consapevole non si
lascia influenzare dalle fluttuazioni (positive o negative) dei
mercati.
All'opposto, egli mantiene un atteggiamento distaccato e
razionale: non corre a comprare un titolo perché ha raggiunto
quotazioni ridicole e non si affretta a vendere quelli che ha in
portafoglio perché valgono poco più della carta straccia.
Per spiegare l'importanza di questo atteggiamento, Buffett
utilizza l'allegoria di Mr. Market: questo signore ha la facoltà di
attribuire arbitrariamente le quotazioni dei titoli scambiati sulle
borse mondiali.
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Se sei un investitore, Mr. Market ogni giorno ti offre di
acquistare i sui titoli o ti chiede di vendergli i tuoi, ma è sempre
lui che decide a quale prezzo puoi comprare o vendere.
Disgraziatamente, il poverino è affetto da incontrollabili turbe
emotive: quando è euforico si convince di avere i titoli migliori e
siccome prevede che in futuro varranno molto di più, alza il loro
prezzo per paura che tu voglia comprarglieli. Quando subentra la
fase depressiva, invece, si convince che i tuoi titoli non valgono
nulla e che in futuro varranno ancora meno e per paura che tu
glieli venda, fa scendere la loro quotazione a livelli ridicoli.
Mr. Market però non ti può obbligare a comprare o vendere, sei
tu a decidere se e quando farlo.
Se sei un investitore accorto, puoi servirti di Mr. Market per
incrementare i tuoi utili, ad esempio comprando quelli che tu sai
essere titoli di qualità acquistandoli a prezzi stracciati, oppure
liberandoti di titoli che non hanno soddisfatto le tue previsioni e
incassando una differenza di prezzo che potrai utilizzare per
acquistare i titoli che ti interessano.
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Potresti anche decidere semplicemente di ignorarlo perché ritieni
che i titoli che possiedi, checché ne dica Mr. Market, sono di
ottima qualità e/o che quelli che lui ti propone di acquistare a
prezzi scontatissimi valgono ancora meno di quello che costano.
In conclusione, puoi decidere di trarre vantaggio dal suo
comportamento 'maniaco-depressivo' oppure di ignorarlo, ma
attenzione a non farti 'abbindolare' da Mr. Market, perché in
questo caso sarà lui ad usare te: se decidi di acquistare un titolo
semplicemente perché costa poco o di vendere quelli che
possiedi per guadagnarci molto, rischi di fare dei cattivi affari.
Il segreto per trarre vantaggio da questo 'rapporto' è quello di
saper valutare un titolo azionario meglio di Mr. Market: se in
base alla tua esperienza e ai criteri di scelta delle azioni che
abbiamo visto in precedenza, sei sicuro di aver fatto un buon
investimento, tientelo stretto qualunque sia l'offerta di Mr.
Market; allo stesso modo, se hai scartato l'idea di acquistare un
certo titolo perché ritenevi che non offrisse sufficienti garanzie,
non comprarlo, nemmeno se costa meno di un caffè.
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Buffett conclude la lettera affermando che, sebbene questa
spiegazione del funzionamento del mercato azionario possa
sembrare non più rispondente all'odierno mondo della finanza, i
cui professionisti si affidano a complicati sistemi di calcolo per
prevedere le performance dei titoli, tuttavia non esiste un metodo
più sicuro di quello illustrato in quanto l'andamento dei mercati,
come abbiamo visto, è sostanzialmente irrazionale e in quanto
tale non può essere previsto utilizzando degli strumenti di
calcolo matematico che, per quanto sofisticati sono, appunto,
razionali.
L'unico appiglio per l'investitore è avere una buona capacità di
giudizio nello scegliere le azioni e l'abilità di isolare il proprio
pensiero e il proprio comportamento rispetto all'emotività che
imperversa nei mercati.
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RIEPILOGO 8
REGOLA 1: l'irrazionalità domina i mercati azionari
I titoli quotati sui mercati azionari, soprattutto nel breve periodo,
sono soggetti a forti variazioni (al rialzo o al ribasso)
ingiustificate poiché sono causate da speculazioni e/o da fattori
emotivi.
REGOLA 2: gran parte degli investitori si fa influenzare
dall'umore delle borse
L'irrazionalità dei mercati influenza il comportamento degli
investitori che acquistano titoli azionari perché costano poco e/o
vendono i propri attratti dalla possibilità di incassare una
sostanziosa differenza.
REGOLA 3: l'investitore razionale sfrutta l'irrazionalità dei
mercati a proprio vantaggio
Un investitore capace decide di comprare quando vuole acquistare
dei titoli di qualità e di vendere quando vuole liberarsi di titoli che
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non ritiene all'altezza delle sue aspettative. Se poi il mercato, sotto
la spinta dell'emotività, gli offre prezzi di acquisto e vendita che
gli consentono un ulteriore guadagno, tanto meglio.
REGOLA 4: caratteristiche dell'investitore razionale
L'investitore razionale sceglie i titoli sulla base di un'accurata
analisi e sa isolare il proprio giudizio e le proprie decisioni
rispetto all'euforia e al pessimismo dei mercati.
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INDICE
PASSO 9
Perchè Warrren Buffett non ama
gli alti volumi di scambio
9.1 - Economia reale e mercato azionario
I giornali e le televisioni ci hanno abituati a pensare che una
fervente attività di compravendita di titoli azionari sia un
indicatore della 'salute' dei mercati borsistici e quindi delle
aziende che da questo particolare mercato traggono i mezzi per
gestire e finanziare le proprie attività.
A questo proposito, giova ricordare che il mercato azionario è
nato proprio come risposta alla necessità delle aziende di grandi
dimensioni di trovare mezzi che consentissero loro di sostenere
il costo degli investimenti poiché (in ragione delle accresciute
dimensioni) non potevano più contare esclusivamente sul
patrimonio delle grandi famiglie che le avevano fondate (vedi,
ad esempio, FIAT) e/o sui prestiti bancari.
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In sostanza, il prezzo che l'azionista della società XY paga per
entrare in possesso di un'azione della suddetta società, verrà
utilizzato dalla stessa per finanziare gli investimenti che il
management ritiene necessari per aumentare gli utili.
Se ciò avviene, secondo il meccanismo che abbiamo visto in
precedenza (vedi 3), l'azionista verrà ripagato con un aumento
del valore della propria azione.
9.2 - Investimento razionale = investimento di lungo
periodo
Abbiamo anche visto che un risparmiatore che voglia investire il
proprio risparmio, o parte di esso, in titoli azionari, lo fa (o
meglio, lo dovrebbe fare) quando l'investimento azionario gli
offre un rendimento maggiore rispetto ai titoli di stato.
Ipotizziamo che nel 2004 il risparmiatore A abbia investito 1.000
euro in titoli di stato al tasso fisso del 10%; il risparmiatore B,
invece, investe la stessa somma in titoli azionari con un
rendimento iniziale del 10% in crescita.
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Al 21 dicembre 2008 il risparmiatore A avrà ottenuto un
guadagno di 610 euro, mentre il risparmiatore B avrà
guadagnato 873 euro, ossia 263 euro in più del suo collega.
Confronto del rendimento di due investimenti alternativi: titoli di stato (A) e
azionario (B).
Periodo
Risparmiatore A:
Titoli di stato
(rendimento fisso
annuo 10%)
Risparmiatore B:
investimento azionario:
Azionario (rendimento
tassi di rendimento
iniziale 10% in
annuale
crescita)
2004
1.100
1.100
10 %
2005
1.210
1.232
12%
2006
1.331
1.398
13,5%
2007
1.464
1.608
15%
2008
1.610
1.873
16,5%
Va da sé che il maggior rendimento dell'investimento azionario è
compensato dal maggiore rischio sostenuto dall'investitore B
rispetto al rischio praticamente nullo dell'investimento in titoli di
stato, tuttavia, se il risparmiatore B ha investito seguendo le
regole di Buffett, ossia solo dopo un'attenta analisi della società,
del suo management, del cosiddetto core business dell'azienda e
delle performance del titolo, difficilmente otterrà un rendimento
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minore rispetto a quello dei titoli di stato.
Ammettendo che coloro che investono in titoli azionari adottino
la stessa strategia, non c'è motivo per cui, dopo aver vagliato e
analizzato tutte le possibili variabili che determinano la qualità di
un titolo e averlo acquistato, lo stesso investitore decida di
venderlo perché la quotazione è salita; anzi, il fatto che il prezzo
di un titolo salga è la prova che l'investimento è stato 'azzeccato',
ragione di più per tenerlo nel portafoglio.
9.3 - Speculazione di borsa e volatilità dei mercati
In un mondo ideale di investitori razionali, quindi, i grandi volumi
di scambio verrebbero valutati negativamente in quanto
denoterebbero una marcata incertezza rispetto al valore effettivo
dei titoli (infatti, se è vero che molti comprano un dato titolo
perché sono convinti di fare un 'affare', è altrettanto vero che
molti decidono di vendere lo stesso titolo per la stessa ragione).
Nel mondo reale, invece, non tutti coloro che investono in Borsa
sono degli investitori razionali, anzi, la maggior parte di coloro
che 'muovono' il mercato azionario sono classificabili come
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'speculatori'.
Gli speculatori (o traders) sono coloro che ottengono un
guadagno dall'attività di compravendita dei titoli. La decisione di
acquistare un certo titolo, per questi signori, non si basa
sull'analisi dei bilanci o del ROE o delle performance pregresse
del titolo.
Il loro obiettivo è realizzare una plusvalenza, ossia un differenza
positiva tra il prezzo di acquisto di un titolo e il prezzo di vendita.
La loro attività, infatti, consiste nell'acquistare i titoli quando il
loro prezzo scende e rivenderli quando il prezzo sale.
Ne deriva che per gli speculatori un titolo è interessante quando
può essere acquistato ad un prezzo relativamente basso.
Come nota Buffett, siccome queste persone non acquistano spinte
da ragioni fondate sul valore, probabilmente non venderanno per
ragioni fondate sul valore.
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Di conseguenza, l'attività di compravendita di titoli (trading) è
assimilabile più al gioco d'azzardo che non all'attività di
investimento: gli speculatori scommettono che la quotazione di un
dato titolo non scenderà o non salirà oltre un certo limite e in base
a queste previsioni (non basate su elementi certi, ma su
'sensazioni' o informazioni privilegiate, ossia non di dominio
pubblico) decidono di acquistare o vendere un titolo.
Il fatto che gli speculatori siano la maggioranza dei soggetti che
operano sul mercato, fa sì che il loro comportamento influenzi le
decisioni degli investitori più sprovveduti che si precipiteranno a
vendere o a comprare quando gli speculatori vendono o
comprano.
Questi movimenti irrazionali, ossia dettati da calcolo (speculatori)
o da ignoranza (sprovveduti) determinano le accentuate
oscillazioni del prezzo dei titoli: quando gli speculatori decidono
di liberarsi di un titolo, la quotazione di quel titolo crolla, quando
decidono di acquistarlo, ne fanno aumentare notevolmente il
prezzo determinando grandi volumi di scambio.
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9.4 La bolla speculativa e i suoi effetti
Per esemplificare il concetto, vediamo che cosa succede sul
mercato azionario in presenza di movimenti speculativi: K decide
di acquistare un discreto numero di azioni della società XY perché
il loro prezzo è interessante, poniamo, 23 euro l'una. Ne acquista
100 sborsando complessivamente 2.300 euro. Se le azioni della
società disponibili sul mercato sono in tutto 1.000, K diverrà
detentore di 1/10 delle azioni della società stessa.
L'acquisto di una ingente quantità del titolo XY determinerà un
aumento del prezzo di quel titolo e altri si decideranno a comprare
seguendo l'esempio di K.
Ovviamente, secondo la legge delle domanda e dell'offerta,
maggiori saranno le richieste di acquisto delle azioni XY, più il
loro prezzo salirà.
Ad un certo punto, però, K decide che il titolo ha raggiunto un
prezzo tale che gli consente di realizzare un guadagno interessante
e decide di vendere quando il prezzo per azione è arrivato a 87
euro.
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Facendo un rapido calcolo, vediamo che K ha realizzato un
guadagno di 6.400 euro (prezzo di vendita: 8.700 - prezzo di
acquisto: 2.300 = guadagno: 6.400).
In seguito alla vendita di 1/10 delle azioni XY, il loro prezzo
scenderà e tutti si affretteranno a vendere per realizzare un
guadagno o quantomeno per evitare una perdita.
Infatti, più tardi si esce dall'investimento minore sarà il guadagno
e più alto sarà il rischio di rimetterci. Quasi sempre, gli ultimi a
vendere e quindi quelli che ci rimetto di più, sono gli investitori
sprovveduti (indicati collettivamente con il nome 'parco buoi').
La conseguenza di queste attività speculative di compravendita
sono una notevole perdita per gli investitori che hanno seguito i
trend speculativi al rialzo e al ribasso entrando nell'investimento o
uscendone nel momento sbagliato e un alto volume di scambio di
quel dato titolo il cui prezzo subirà forti oscillazioni senza che
queste siano minimamente legate al valore intrinseco del titolo
stesso.
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9.5 - Le contromisure di Warren Buffett
Per evitare che le azioni della sua Berkshire Hataway siano
oggetto di movimenti speculativi, Buffett le ha messe sul mercato
ad un prezzo non proprio abbordabile: circa 70.000 $ l'una.
Da più parti gli è stato chiesto di aumentare il numero di azioni
trattabili riducendone il prezzo. L'unica concessione di Buffett a
questa richiesta del mercato è stata la creazione delle cosiddette
azioni di 'tipo B', ossia azioni del valore nominale di 1/30 di
quelle denominate di 'tipo A' (1/30 di 70.000 $ = circa 2.333 $) .
Le ragioni di questo rifiuto sono insite nel suo stile di
investimento: Buffett vuole tenere gli speculatori lontani dalle sue
azioni in modo che il valore di mercato di queste ultime rispecchi
il valore intrinseco della società: se le azioni della Berkshire
costassero, poniamo, 100 $ l'una, attirerebbero l'interesse degli
speculatori aumentando la volatilità del titolo.
Warren Buffett invece desidera che gli investitori della Berkshire
siano degli investitori razionali interessati a mantenere le azioni
nel portafoglio per un lungo periodo.
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9.6 - I costi esorbitanti delle operazioni di borsa
Un altro motivo che giustifica l'avversione di Buffett per gli alti
volumi di scambio è l'alto costo delle commissioni per la
compravendita delle azioni.
I costi sostenuti dagli investitori per comprare i titoli sul mercato
o vendere le proprie azioni può sembrare poco rilevante se lo si
considera su piccola scala.
Tuttavia, Buffett ha calcolato che il costo totale delle operazioni
di compravendita di azioni effettuate durante l'anno 1982
ammontava ad una cifra comparabile con gli utili netti delle prime
4 società dell'elenco della rivista finanziaria Fortune.
Per darvi un'idea dell'enormità della spesa in commissioni, tenete
presente che la somma del patrimonio netto di queste 4 società al
31 dicembre 1982 rappresentava complessivamente il 12%
dell'intera lista di Fortune costituita da 500 società.
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RIEPILOGO 9
REGOLA 1: il mercato azionario favorisce l'incontro di un
particolare tipo di domanda e offerta
La funzione della Borsa è quella di offrire l'opportunità alle
aziende di reperire parte dei mezzi finanziari necessari per
effettuare gli investimenti direttamente dai risparmiatori. Questi, a
loro volta, hanno la possibilità di investire i propri soldi in titoli
che offrono un rendimento più alto rispetto all'investimento in
titoli del debito pubblico o al semplice deposito bancario.
REGOLA 2: l'investitore razionale acquista titoli azionari solo
dopo un'attenta analisi dell'investimento
Un investitore attento, a differenza dello speculatore, acquista un
titolo solo dopo averlo valutato attentamente e con l'intenzione di
mantenerlo nel suo portafoglio per un lungo periodo.
REGOLA 3: la compravendita dei titoli da parte degli speculatori
non è legata al valore del titolo
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Gli speculatori comprano e vendono titoli con lo scopo di
realizzare un guadagno determinato dalla differenza positiva tra il
prezzo di acquisto e quello di vendita.
REGOLA 4: l'attività degli speculatori determina le oscillazioni
dei prezzi delle azioni
I movimenti speculativi fanno sì che il prezzo dei titoli non sia
legato al valore intrinseco della società e subisca forti oscillazioni
a seconda del trend speculativo del momento.
REGOLA 5: alti volumi di scambio comportano notevoli costi
sotto forma di commissioni
L'alto numero di operazioni di compravendita di titoli determina
un notevole costo per le commissioni che finisce per erodere
significativamente gli utili realizzati grazie all'investimento
azionario.
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Conclusione
Volendo riassumere tutto ciò che abbiamo detto su Warren
Buffett e sul suo stile di investimento, potremmo condensare la
sua saggezza nel modo seguente:
l'investitore razionale
 valuta i titoli indipendentemente dai prezzi stabiliti da Mr.
Market servendosi di una serie di indicatori oggettivi che
vanno al di là della crescita degli utili per azione, degli
indici di Borsa e delle operazioni di marketing il cui unico
scopo è attirare l'interesse degli sprovveduti (ad es., aumenti
gratuiti):
◦ potenzialità del core business dell'azienda,
◦ potenzialità del mercato di riferimento,
◦ tipologia di prodotto (consumer monopoly),
◦ remuneratività dell'investimento rispetto ad investimenti
alternativi (obbligazioni);
◦ ROE,
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◦ valore intrinseco,
◦ capacità del management di accrescere il ritorno
sull'investimento azionario (reinvestimento degli utili,
riacquisto
di
azioni
proprie,
riduzione
dell'indebitamento),
◦ contenimento dei debiti,
◦ prezzo di acquisto (inferiore al valore intrinseco di
almeno il 25%);
 quando decide di investire in un titolo, sa che quel titolo
rimarrà nel suo portafoglio fintanto che le condizioni che lo
hanno indotto a comprare non muteranno e quindi può
disinteressarsi delle sue quotazioni.
Ovviamente, si tratta di un metodo che richiede una certa
applicazione e del tempo a disposizione e so perfettamente che
non tutti ce l'hanno o che pur avendolo possano non aver voglia
di mettersi lì a valutare, studiare e calcolare.
Inoltre, l'attuale congiuntura economica e finanziaria non
invoglia certo ad investire, me ne rendo conto.
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D'altra parte però, sappiamo che prima o poi questa fase
recessiva finirà e chi avrà approfittato dei tonfi delle borse
mondiali per acquistare seguendo i criteri del saggio Warren
Buffett 'rischierà' seriamente di aver fatto un affare.
Con ciò non intendo dire che dovete investire i vostri risparmi in
titoli azionari perché otterrete sicuramente dei ricavi all'altezza
delle vostre aspettative. Lo scopo di questo e-book non è
incoraggiarvi ad investire i vostri soldi in azioni.
No, l'idea da cui siamo partiti è quella di mostrare che esiste un
modo
alternativo
di
investire. Alternativo
rispetto
alle
obbligazioni e rispetto all'investimento differenziato.
L'anno appena trascorso (2008) ha portato la crisi economicofinanziaria più grave dal 1929 e le conseguenze di questo
tracollo su Buffett possono essere sintetizzate nel seguente
modo: da una parte, grazie alla crisi finanziaria, Buffett ha
scavalcato Bill Gates nella classifica degli uomini più ricchi del
modo, diventando il numero 1; dall'altra, i profitti della
Berkshire sono per la prima volta in calo rispetto all'anno
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precedente.
È evidente che il crollo generalizzato delle Borse mondiali ha
trascinato nella sua discesa vertiginosa anche i titoli più solidi
(le famose permanent holdings) penalizzando anche chi, come
Buffett, aveva investito in modo saggio e oculato.
Inoltre, la situazione è talmente incerta che in questo momento
nessuno può prevedere come andranno le cose. Non possiamo
fare altro che aspettare e sperare per il meglio.
La mia speranza, invece, è che la lettura di questo e-book sia
stata proficua, se non altro perché, ora che siete arrivati in fondo,
avete imparato che, oltre alla differenziazione degli investimenti
e al trading, esiste una terza via per entrare nel modo della
finanza, vogliamo chiamarlo "Buffett way"?
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AFORISMI
Credo di fare cosa gradita riportando alcune massime che
condensano efficacemente il 'Buffett pensiero'.
"Much success can be attributed to
inactivity.
Most investors cannot resist the temptation
to constantly buy and sell."
Il successo può essere attribuito in gran parte all'inattività. La
maggior parte degli investitori non sa resistere alla tentazione di
comprare e vendere in continuazione.
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"I will tell you how to become rich.
Close the doors.
Be fearful when others are greedy.
Be greedy when others are fearful."
Warren Buffett lecturing to a group of students at Columbia U
Vi dirò come diventare ricchi. Chiudete le porte. Abbiate paura
quando gli altri sono avidi. Siate avidi quando gli altri hanno
paura.
Warren Buffet agli studenti della Columbia University
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"Success in investing doesn't correlate with I.Q.
once you're above the level of 25.
Once you have ordinary intelligence, what you
need is the temperament to control the urges
that get other people into trouble in investing."
BusinessWeek Interview June 25 1999
Il successo negli investimenti non è legato al Q.I. (quoziente
intellettivo) se il vostro è superiore a 25. Se siete dotati di
un'intelligenza media, ciò di cui avete bisogno è la forza di
carattere per resistere alle tentazioni che mettono nei guai gli altri
investitori.
Intervista alla rivista Business Week (Giugno 1999)
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"Price is what you pay.
Value is what you get."
Il prezzo è ciò che pagate. Il Valore è ciò che comprate.
"I would rather be certain of a good result
than hopeful of a great one."
1996 Letter to Berkshire Hathaway shareholders
Preferisco essere certo di un buon risultato che sperare in un
risultato eccezionale.
Lettera agli azionisti della Berkshire per l'anno 1996.
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Bibliografia
Questo e-book si basa sulla rielaborazione del materiale tratto
dai seguenti libri e articoli:
Migliorino, Giuseppe. (1998). I segreti di Warren Buffett per
investire in Borsa. Borsari Sas, Desenzano d/G.
Marzoli, Gianluca. (2008). La filosofia di investimento di Warren
Buffett. www.saperinvestire.it
Tagliani, Manuela. (2008). La strategia di Warren Buffett in pillole.
www.saperinvestire.it
Tagliani, Manuela. (2008). Criteri di scelta dell'azione. www.saperinvestire.it
Marzoli, Gianluca. (2008). Investire nel lungo periodo. www.saperinvestire.it
Marzoli, Gianluca. (2008). Le 7 regole d'oro di Warren Buffett.
www.saperinvestire.it
Marzoli, Gianluca. (2008). L'ironia dei volumi. www.saperinvestire.it
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Tagliani, Manuela. (2008). Mr. Market. www.saperinvestire.it
Tagliani, Manuela. (2008). Valutare un'azione, monitorarla e venderla. www.saperinvestire.it
Marzoli, Gianluca. (2008). Warren Buffet, consigli pratici per gli investitori.
www.saperinvestire.it
Tagliani, Manuela. (2008). Scegliere le azioni usando il ROE, parola di Warren Buffett.
www.saperinvestire.it
Tagliani, Manuela. (2008). Calcolare il ROE. www.saperinvestire.it
Marzoli, Gianluca. (2008). Warren Buffett e la bolla speculative TMT. www.saperinvestire.it
Marzoli, Gianluca. (2008).Warren Buffett: lettera agli azionisti. www.saperinvestire.it
Marzoli, Gianluca (2008). Lettera agli azionisti, seconda parte. www.saperinvestire.it
Marzoli, Gianluca, (2008). La continua lezione di Buffett. Lettera agli azionisti della
Berkshire Hataway per il 2004.
www.saperinvestire.it
AA. VV. (2008). Buffett warns on investment 'time bomb'. http://news.bbc.co.uk
AA. VV. (2008) Warren Buffett quotes. www.vinvesting.com
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