La nebbia agli irti colli, in
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La nebbia agli irti colli, in
R&C 23 EDITORIALE La nebbia agli irti colli… Di Mauro Andrea Di Salvo I colli, naturalmente, sono quelli di Roma: la densa foschia che li avvolge, in tutto diversa dalla regale nuvolaglia dell’Olimpo o del Sinai, per alcuni rimanda piuttosto al ribollir dei tini - e non solo per l’approssimarsi dell’autunno. Al posto di celesti baluginii, crepitii un po’ mosci di fuochi d’artificio nati stanchi e un vago odor d’acqua rafferma. Sarà il ministro Costa? Chiedo venia. Eppure il ministro ha il suo bel da fare, e gli si deve riconoscere, se non coraggio, almeno cipiglio nel perseguire i suoi obiettivi. Ma la seconda bocciatura europea, con 3 pareri motivati, dei provvedimenti emanati dal Governo in tema di appalti pubblici, per violazione delle norme che ne impongono l’attribuzione attraverso gara, appare particolarmente pesante in un momento che vede sul tavolo del ministro le controproposte “europeiste” del CNA al decreto Karrer, già bocciato da Monti, e il sudato sì della Camera agli emendamenti alla Merloni ter, che ora passa al Senato. Pesante sia perché il passo successivo della Commissione europea, salva la risposta che il Governo dovrà formulare entro due mesi (e quindi presumibilmente entro i primi di ottobre), potrebbe essere il rinvio alla Corte dell’Unione, sia perché il busillis dei concorsi di progettazione, già esploso con il Dpcm 116/97, è tuttora uno dei punti controversi di una legge che tuttavia, come ha ricordato il sottosegretario Bargone, “… non si tocca”. Ai posteri… Non sono il solo ad essere fiducioso che il problema possa essere risolto in sede definitiva entro quest’anno dalla nuova legge quadro e dal suo regolamento di attuazione. La nuova stagione dell’architettura in Italia ha bisogno di regole certe, di chiarezza, di semplificazione. Per quanto ondivago sul problema della gestione della rete stradale nazionale, ansiogeno sulla riforma delle categorie ANC, modesto nell’incentivazione alla prevenzione antisismica (solo il 10% dell’IVA, tranne nei comuni terremotati), questo governo sta cercando faticosamente di mettere un puntello alla spaventosa congerie di leggi, leggine, decreti, regolamenti e quant’altro legata al mondo delle costruzioni e degli interventi sul nostro patrimonio edificato. Non facile. Ma se Prodi è il Caronte di questo traghettamento (come si usa dire oggi), gli architetti non vogliono essere le anime in pena a mollo nello Stige: a forza di botte di remo in testa, stanno cominciando a capire che devono farsi sentire prima che il fragile legno tocchi Costa (richiedo venia). Un concetto importante sembra stia finalmente affermandosi: a tre anni dal sorpasso, in termini economici, delle opere di intervento sull’esistente rispetto alle opere di nuova costruzione, è necessario riordinare la materia tenendo finalmente conto delle peculiari caratteristiche di questo mercato, dei particolari magisteri richiesti in termini di progettualità, capacità tecnica e corpo normativo. Un esempio? Gli eventi sismici dell’84 in Italia centrale e quelli del ’97 hanno evidenziato la necessità di potenziare e raffinare la categoria di intervento del miglioramento piuttosto che dell’adeguamento, quest’ultimo più adatto alle nuove costruzioni, superando la carenza di verificabilità numeriche con un miglioramento sostanziale del progetto e delle opere. La strada è appena tracciata, anche perché è l’intero sistema che va modificato, dalle filiere decisionali alla formazione dei tecnici, dai riferimenti normativi al regime fiscale, dalla filosofia di intervento agli accordi sulle priorità di valore. E’ necessario puntualizzare e rendere cogenti al più presto le norme e i codici indispensabili in questo settore (che non è più il figlio bello del settore nuove costruzioni) e fin qui spesso solo indicativi, per passare dal livello volontaristico-elitario a quello di prassi, e bisogna identificare i capitoli di spesa relativi per incentivare le nuove responsabilità e i nuovi impegni. Del resto, se pure ancora timidamente nelle università, spesso “marchiate” dall’impronta di scuola di chi vi insegna, già negli ambienti professionali comincia ormai a farsi strada la consapevolezza della necessità di un superamento delle vecchie polemiche fra fautori del restauro (creativo, tipologico, preventivo, postumo, critico, critico-conservativo, …) e della conservazione (critica, passiva, integrata, …). L’urgenza delle cose da fare va temperata con la valutazione delle esperienze fatte, ma non basta: gli architetti devono riqualificarsi per potere tornare a rivestire quel ruolo di catalizzatori cui sembrano avere rinunciato da tempo. Le nuove esigenze di mercato richiedono oggi l’introduzione di professionalità nuove, in grado di gestire la complessità delle scelte finalizzate agli interventi sull’esistente. In fondo è la vecchia idea della centralità del progetto: non era morta, si sta trasformando ampliandosi in ogni direzione. Molte progettualità convergono a un centro che però non è ancora ben individuato, perché noi architetti, intendo la sterminata folla degli architetti, abbiamo perso sia la sapienza, la conoscenza profonda della realtà complessa di ogni edificio e dell’ambiente in cui viviamo, persino la curiosità, sia l’autorevolezza o il credito necessari a incidere concretamente nell’elaborazione delle scelte fondamentali. E ci arrabattiamo troppo spesso in dispute da accademia, respinti ai margini del processo di trasformazione del mondo, senza molta voce in capitolo. Vorrei che la nuova stagione dell’architettura non fosse fatta solo di norme, di codici, di incentivi fiscali, di raffinatezze tecnologiche, ma anche, semplicemente, di amore; e di rispetto. Il nostro, consentitemelo, non è un mestiere come tutti gli altri: la nostra professionalità è fatta anche di qualcosa che non può essere contabilizzato, quantificato in tabelle e percentuali, e che spesso non viene pagato. Ma in fondo chissà, dopo la nebbia a volte viene il sole.