questa volta - Guia Soncini

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questa volta - Guia Soncini
ragazzi fortunati
Jovanotti
unplugged
Metti tre giorni a New York con Lorenzo, prima
del ritorno in Italia per il grande tour estivo negli stadi.
Tra chiacchiere e concerti nei parchi da raggiungere
in metrò. Ritratto intimo, come un disco solo voce
e chitarra, di una star “lontana da casa”.
Attraverso gli scatti di sua moglie Francesca
di Guia Soncini - foto di Francesca Valiani
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Lorenzo Cherubini, 46 anni.
Nelle foto di queste pagine,
scattate a New York, è ritratto
dalla moglie, Francesca Valiani.
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Lorenzo ha iniziato il 7 giugno il
Backup tour-Lorenzo negli stadi
2013. Grande attesa per il concerto
a San Siro, il 19 e 20 giugno.
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Poco prima di compiere cinquant’anni, un noto
sceneggiatore americano disse che era fortunato perché, nel suo mestiere, si diventa più bravi invecchiando:
«Siamo come i direttori d’orchestra, non come gli atleti». Lorenzo Cherubini, ai cui cinquant’anni mancano tre anni e tre mesi, lo sa e tende all’opera. Nel senso di lirica. Ma a questo arriviamo dopo: prima occupiamoci dell’atletica.
«Vorrei andare verso l’immobilità assoluta. Ci
arriverò. Il mio tema in questo momento è l’invecchiamento. Quando abbiamo pensato con Maurizio Cattelan alle copertine di Backup, gli ho detto che questo
era l’ultimo momento in cui potevo fermare un’immagine di me alla Moira Orfei. Che non è giovane: è senza tempo». Però l’allenamento permette concerti atletici anche a una certa età. Madonna, per esempio. «Ma io non riesco a guardarla: ho paura che si rompa.
E poi non mi interessa: porta in scena il racconto della
grande tenacia dei suoi tricipiti da anziana. È un racconto anche tenero, ma non mi appassiona. È
una questione legata alla riproduttività del corpo: il corpo dev’essere seduttivo finché può riprodursi, dopo no». Stiamo dicendo che le donne van buttate nell’umido verso i cinquant’anni?
«Ma no! Io parlo per me, mi sembra un incubo dover essere seduttivo pure quando sarò
nonno. La biologia ha una sua saggezza, no?».
In effetti ormai essere seduttivi è un problema
che si pongono quasi più gli uomini.
«L’uomo seduttivo in fondo è una donna. E la
donna popstar è un uomo. Pensa a certi camerini puzzolenti di certi club di Seattle, a certi festival rock: io mica lo so come faccia una ragazza
a star lì, coi bagni chimici, pensa se ha le mestruazioni. La mia mamma non avrebbe mai potuto». Siamo a New York, è la metà di maggio,
Lorenzo sta per tornare in Italia dopo il suo
primo anno di residenza americana, siamo al
terzo giorno di chiacchiere e l’invecchiamento
era venuto fuori al secondo. Quando, aspettando una macchina che non sarebbe arrivata
mai per andare a suonare al GoogaMooga, un
festival che si tiene a Brooklyn, la popstar aveva detto: «Questo è un momento storico» e
aveva tirato fuori dalla tasca dello zaino un
astuccio i suoi primi occhiali da presbite. «Li
ho presi con la montatura da vecchio apposta».
Quando ricordo alla donna che ha fotografato
il marito per queste pagine che nel 2014 saranno vent’anni che stanno insieme, Francesca ha
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una bambina paffuta «Dimmi che canzone
vuoi e te la faccio, anche una di Justin Bieber»;
ed è simpatico quando dice che Una tribù che
balla (1991) era «un disco incazzoso», poi si
mette a ridere e precisa: «Oddio, come può
essere incazzoso un disco mio: quello che per
me è un disco incazzoso, è un disco di samba
di Fossati».
È simpatico quando parla dell’infanzia da
figlio di un funzionario in Vaticano: «Tutti
i capi scout in chiesa leggevano Lotta continua. Quella testata col pugno era bellissima, ci facevo caso perché il mio babbo leggeva Il Tempo, che graficamente era orrendo»; ed è simpatico quando non fa nulla per
dissimulare la consapevolezza d’essere simpatico: «Quello lì è un cretino: ma come si
fa a odiarmi?», ride di un detrattore, di quelli che si trovano su Twitter.
L’italiano che a New York prende la metropolitana per andare a suonare, e se suggerisci che Mick Jagger non l’avrebbe mai
fatto risponde «Ma forse sì, a vent’anni: io
qui ho vent’anni», è lo stesso che un mese
dopo (ora, per voi che leggete) riempirà gli
stadi italiani. «Questo è un Paese che ti costringe a confrontarti continuamente con le
tue motivazioni: chi me lo fa fare, di prendere la metropolitana per andare a suonare davanti a qualche centinaio di persone quando
tra poco parte un tour che non in Italia, ma
qui, possono permettersi forse in due?». La
domanda resta appesa, perché (citando Bella) risposta non c’è nelle parole. Però c’è nelle azioni, nel mettere l’abito di scena nello
zaino e poi, una volta a Brooklyn, scoprire
d’avere preso due scarpe destre e affrontare
la tragedia ridendo e andare sul palco vestiti come si era in metrò. Nel non menarsela mai, nel non
farsi incastrare in un cliché, neanche in quello della
popstar da stadi, per quanto piacevole sia.
“Una tribù
che balla era
un disco
incazzoso.
Ma un disco
incazzoso
mio è un
disco di
samba
di Fossati”
l’aria di chi si renda conto solo in quel momento che è una vita. Dice: «Mi è ancora
molto simpatico», che è una dichiarazione
d’amore di perfetta concretezza, ideale per
bilanciare quel «sostanza dei sogni miei» con
cui il marito la definì nella A te che scrisse
per chiederla in moglie (e per fare di lei un
caso d’invidia nazionale). Io ho l’impressione che a essere “la loro canzone” sia più Bella: la prima che scrisse per
lei, quella cantando la quale la cerca con lo
sguardo in qualunque parte del mondo si trovi quel palco. A Brooklyn si ferma ai primi
versi, «E gira il mondo e giro te», dicendo «C’è
lì mia moglie», e tutti si voltano verso di lei che si vorrebbe sotterrare. Lorenzo riprende il filo dicendo «Scusate,
lo so che qui non fate così, siete molto professionali. Io
non tanto, ma in compenso ho un gran cuore». Frase
d’impeccabile paraculaggine, non si può che applaudire. Lo sguardo da fotografa di sua moglie ha colto un punto particolarmente esatto: Lorenzo è molto
simpatico. Dev’essere per questo che lo scambiano per
buono. O perché ha la magnifica ferocia delle persone
cortesi, quelle che non hanno bisogno di piccole malignità per dimostrare carisma. È simpatico quando, sotto la
tenda che fa da camerino nel parco di Brooklyn, dice a
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Qualche mese fa un fan l’ha abbracciato piangendo, Lorenzo si è fermato a parlarci e quello gli ha
detto che lo segue «dallo spot di Pop 84», che lui neanche si ricordava di aver girato. C’era lui con la visiera
all’indietro, «vestito da me, io già prima d’essere famoso mi vestivo così», che diceva «Chi sono io? Non lo
so, ogni definizione mi sta stretta». Erano gli anni Ottanta che, dice Lorenzo, «sono stati un’invenzione: l’invenzione di qualcuno che ha cominciato a mettersi le
ragazzi fortunati
“Mio padre mi ha detto “Mi
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giacche con le spalline, a pettinarsi con la lacca. Gli
anni Ottanta sono stati la più gran cosa che abbiamo
inventato negli anni Ottanta».
Se l’età è il tema portante di tre giorni di conversazioni,
gli argomenti tangenziali non possono che essere da grandi. I soldi, per esempio, con la scusa del Grande Gatsby.
«La ricchezza è un’invenzione degli ultimi anni, ed è
un’invenzione dell’America: i nostri nonni mica parlavano mai di soldi. Quello è un film sul diventare ricchi,
che è il sogno americano: ma nascere ricchi, quello è un
problema. È come avere un handicap». Uno svantaggio
che non ha avuto, un’altra ragione per considerarsi un
ragazzo fortunato: «Mio padre un po’ di tempo fa mi
ha detto “A me dispiace perché non vi lascio niente”, gli
ho risposto: “È il più bel regalo che potessi farmi”».
La questione iniziale, quella dei direttori d’orchestra e degli atleti, mi viene in mente la seconda sera,
a cena, dopo una conversazione tra Lorenzo e il sommelier. «Prima non mi interessava il vino. È una delle cose
che ho scoperto compiendo quarant’anni. Il vino, l’opera lirica... Mi chiedo continuamente: ma io perché non
ho fatto l’opera?». Ma come cantante o come compositore? «Tutt’e due. Verdi mica cantava. Sarei stato il primo. Il primo singer-songwriter di opera lirica». In italiano si tradurrebbe cantautore, una parola con cui
toccherà fare pace.
«L’ho un po’ rivalutata quando ho sentito Guccini spie-
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gare che era una parola mista, come la giraffa.
Il nome scientifico della giraffa è camelopardalis, perché è un cammello con le macchie da leopardo, e mi era sempre piaciuta per quello, perché è un animale che lo guardi e dici: ma che
cazzo è? Siamo tutti un po’ camelopardalis». Tutti un po’ cantautori. «Il problema è che in Italia ha un’accezione ideologica: anche Alberto Camerini scriveva le
canzoni che cantava, anche i Righeira, ma nessuno li ha mai chiamati cantautori».
Non è mica un timore politico: è che
Lorenzo è claustrofobico. Lo annoia moltissimo l’idea di farsi incastrare in un cliché, tanto
più se è quello del venerato maestro, in Italia
inevitabile deriva del cantautore. Mi racconta
che Fazio vorrebbe che collaborassero per il Sanremo
2014, «me lo sta chiedendo, vorrebbe pensarlo insieme»,
e io non riesco a non ricordarmi che, un paio di mesi fa,
è andato a trovarlo su RaiTre e gli ha fatto crudelmente
presente che Che tempo che fa non è un programma
molto rock: «Di solito qui c’è della gente con dei liuti».
Gli chiedo se pensa di accettare l’offerta sanremese, lui
svicola diplomaticamente. Tempo fa gli avevo chiesto
cosa odiasse, e mi aveva risposto «Quelli che si fanno
fotografare scalzi». Lo sto immaginando a Sanremo scalzo, a suonare il liuto. Non glielo dico.
È la sera del terzo giorno, sta parlando della sua
infanzia, non così diversa da quella d’una figlia di popstar: «Quando c’era il conclave andavo in piazza, e c’erano tre o quattrocentomila persone: quanti bambini
attraversano la strada e vedono lo spettacolo più grande che ci sia? Mi ha allenato alla meraviglia e alla possibilità infinita. Anche se poi questa possibilità non l’ho
realizzata. La verità è che mi piacerebbe essere un po’
più bravo. Devo applicarmici». Il primo giorno avevamo parlato di quanto sia più brillante nella vita che nelle interviste, e io avevo detto che dovrebbe farsi intervistare da quelli più bravi di lui, e lui aveva risposto:
«Eh, ma quelli più bravi di me non esistono». Non gli
chiedo conto della contraddizione, il senso è ovvio: non
esiste un atleta migliore di lui, ora deve solo applicarsi
a diventare il più grande direttore d’orchestra.