n° 91 - aprile 2015

Transcript

n° 91 - aprile 2015
Sguardo sul Mondo …esce quando può… Per una quindicina di giorni non riuscirò a connettermi a internet, se non
saltuariamente… il prossimo n.92 sarà quindi più scarno….
Come al solito questa introduzione vuol essere una sorta di indice non completo per alcune tematiche, e consiglio di scorrere
con calma il tutto, per non ‘perdere informazioni relative a chi “voce non ha”.
Per le positività rammento che possono poi coesistere con negatività nello stesso Paese.
Per qs. uscita pochi Approfondimeniti (quasi tutti sul Corano e sull’islam)…
Il tutto è da leggere, come al solito, in”pillole”, Buona lettura!
- Ricordo sempre che i numeri dal n.40 (di circa 3 anni fa) cui sovente si rimanda SONO tutti DISPONIBILI SUL SITO
www.chiesedisandonato.it alla voce Archivio. Dallo stesso sito è possibile, tramite link, collegarsi con Misna [siti
amici-informazione].
ARMI – Egitto/Usa, Francia/India,Giappone, Pakistan/Usa, Tunisia/Usa-Italia.
CLIMA ed ECOLOGIA- AmericaLatina, Asia CentroSud, Cile (ncendi e alluv), Gabon (leone), India(Carbone Alluv),
Indonesia (forest), isole Pacifico(tifoni), Myanmar (dighe), .
DERIVE FONDAMENTALISTE (Religiose non solo islamiche) –Africa CeEst(BokoHaram), Bangladesh, India, Indonesia,
Irak, Libia, Kenia e Uganda (shabab), Malesia, Myanmar, Pakistan.
DIRITTI UMANI –Pena Morte, Africa, Bangladesh, Egitto, Libia. Lavoro: Cambogia, Vietnam.
DONNA – Afghanistan, Egitto, Messico, Namibia, Nepal.
ECONOMIA e SOCIALE- AfricaE Asia(ricchezza), AmericaLatina (violenze), Bangladesh, Ghana, Guinea e Mauritania
(sciop.), Perù (agricXminiere), Taiwan/Cina(sciop). Zambia, Zimbabwe. - LandGrabbing: (v SGsMondon90 e n82 approf n6)
India, Cambogia, Thailand. - Conflitti: Nigeria.
MALATTIE –Africa West, Africa, Filippine,
MINORI - Mondo Istruzione, Africa vaccinaz, Perù, Sud Sudan.
NARCOS –Guatemala, Indonesia, Messico.
POPOLI INDIGENIeNuclei Etnici, Minoranze –Afghanistan, Myanmar,
PROFUGHI e MIGRANTI– AmericaCentr, Egitto, Indonesia, Italia, Malesia, Rwanda/Israele, Siria, SudAfrica, SudSudan,
Tanzania, Thailand, Yemen.
REPRESSIONI Opposizione –Bangladesh, Cina (incl.relig.),Congo, Siria, Thailand, Turchia,
REPRESSIONI STAMPA e Media – Angola, Malesia, Messico, Sudan, Tanzania, Thailand, Tunisia.
SVILUPPI POLITICI PROBLEMATICI– Bangladesh, Burundi, Centrafrica, Egitto(Sinai) Israele-Palestina, Irak, Libia,
Myanmar, Nepal, Palestina (v. anche Israele-Palestina), Siria, SudSudan,Thailand, Yemen,
NOTIZIE POSITIVE- Bolivia, Colombia, Cuba-Usa, Egitto-Sudan-Etiopia, Iran-Usa, SriLanka,
APPROFONDIMENTI
1) La misericordia (rahma) di Allah nel Corano e nella tradizione islamica. (Credere Oggi 202-2014 n4-pgg111-122)
2) Quanto è vicino il Nord-Africa.(OasisNews 2015 n5)
3) Dopo Tunisi, tutti sotto attacco? (OasisNews 2015 n7)
4) Pechino nasconde per paura il corpo di mons. Cosma Shi Enxiang. (AsiaNews 278- mar2015 pg27-28)
5) EGITTO:
5a) CRONOLOGIA MINIMA (2011-2014) [da MissConsol 2015n3-E.C.]
5b) Sinai: il buco nero dell'Egitto (misssConsol.2015 n3) Intervista
6) Noi, indifferenti… [da Africa 2015n.2]
SGUARDO sul MONDO n.91 fonti:Misna,Fr24, TGvv, Africa, MissConsolata, Cred.Oggi,OasisNews,
AsiaNews,BlogsVV -150313-150412
MONDO Istruzione-10/04- IN CAMMINO PER IL DIRITTO ALLO STUDIO. “Nonostante i progressi enormi” degli ultimi
15 anni, gli Obiettivi del Millennio in materia di istruzione non sono stati raggiunti: lo denuncia l’Organizzazione dell’Onu per
l’educazione, la scienza e la cultura (Unesco), calcolando come siano ancora 58 milioni i bambini nel mondo che non hanno
accesso alla scuola elementare… sottolineata la mancanza di risorse per 22 miliardi di dollari, necessarie perché siano centrati
gli obiettivi di iscrizione e frequenza alle scuole elementari. Stando agli esperti, oggi l’istruzione primaria universale è
garantita solo nel 52% dei paesi, un dato che scende al 46% se si considera l’accesso ai cicli delle medie inferiori. La lotta per
dimezzare i tassi di analfabetismo è stata invece vinta solo da quattro paesi. Un’altra battaglia difficile è quella per la parità di
genere: è stata raggiunta solo dal 69% dei paesi a livello di elementari, e dal 48% a livello di medie inferiori. Sul piano
regionale spiccano le difficoltà dell’area sub-sahariana e i risultati ottenuti in Asia. I paesi dove la situazione resta più
complessa in assoluto sono Nigeria, Ciad e Niger. Giudicati insufficienti anche i progressi ottenuti dal Pakistan. A sorprendere
in positivo sono stati invece alcuni dei paesi più poveri del mondo: Nepal, Afghanistan e Sierra Leone. [VG]
AFRICA CentroW BokoHaram-[(v.SgsMondo nn90,89 cap2 (con riferim.precedenti)] -20/03-h23:15- Nigeria.Le forze
ciadiane rinvengono a Damasak una fossa comune con un centinaio di corpi vittime di BokoHaram.(Fr24) -25/03- BOKO
HARAM: ANCORA SEQUESTRI, LA CRISI CONTINUA
… A Damasak… stando alle testimonianze mancherebbero all’appello più di 400 donne, bambini e adolescenti. … violenze a
danno dei civili come quelle denunciate a Damasak sono anche una rappresaglia da parte di Boko Haram per la controffensiva
degli eserciti e la perdita del controllo di centri urbani e distretti. “Se le Forze armate di Nigeria, Ciad, Niger e Camerun
continueranno a cooperare come hanno fatto in queste ultime settimane Boko Haram non avrà più rifugi sicuri, nemmeno sui
Monti Mandara e a Gwoza, la capitale del ‘califfato’ proclamato ad agosto” … -27/03- PRESA ‘CAPITALE’ BOKO
HARAM, L’ ANNUNCIO A VIGILIA ELEZIONI… nell’assalto a Gwoza sono stati uccisi o catturati “molti” militanti del
gruppo islamista: “Stiamo ripulendo la città e l’area circostante completamente”. Situata nello Stato di Borno, nell’area dei
Monti Mandara, la città era stata occupata da Boko Haram nel giugno scorso …[VG] 29/03-… scontri tra governativi e
BokoHaram presso Bauchi (NordEst Nigeria).(Fr24)-07/04- BOKO HARAM: VIOLENZE IN NIGERIA E CAMERUNAlmeno 24 persone sono state uccise dagli islamisti di Boko Haram a Kwajafa, un villaggio del nord-est della Nigeria: lo
riferisce l’agenzia di stampa nazionale Nan, che cita testimoni dei fatti. Gli aggressori avrebbero aperto il fuoco sugli abitanti
dopo averli fatti riunire per ascoltare una predica religiosa. L’episodio è il secondo del genere segnalato dopo l’elezione alla
presidenza della Nigeria di Muhammadu Buhari, … incursioni degli islamisti sono state segnalate anche al di là del confine
con il Camerun. Il governatore della Regione dell’estremo nord, Midjiyawa Bakari, ha riferito di saccheggi di scorte alimentari
e razzie di capi di bestiame.[VG]-12/04-h00:47-CIAD: 71 i militari ciadiani uccisi dall’inizio delle operazioni.(Fr24)
AFRICA West Ebola-(vSGsMondo nn90 e prec) -21/03-h00:19-Sierra Leone: “Quarantena” dal 27 al 29 marzo-(Fr24) 27/03- AL VIA CAMPAGNA SANITARIA PORTA A PORTA. Per 3 giorni, a partire da oggi, la popolazione della Sierra
Leone è obbligata a restare a casa nel quadro di un’iniziativa del governo tesa a contrastare l’epidemia di ebola. Il divieto è
stato sospeso oggi per due ore per consentire ai musulmani di partecipare alle preghiere del venerdì e sarà sospeso ancora
domenica per cinque ore, in coincidenza con le celebrazioni liturgiche dei cristiani. L’ordinanza dovrà favorire una campagna
porta a porta da parte di migliaia di volontari incaricati di identificare nuovi casi di contagio. … La Sierra Leone, dove i
morti sono stati più di 3000, è il paese dove la situazione resta in assoluto più difficile. -23/03- FIDUCIA ONU e ACCUSE DI
MSF. L’epidemia di ebola sarà sconfitta entro agosto: lo ha sostenuto Ismail Ould Cheikh Ahmed, massimo responsabile della
missione delle Nazioni Unite per la lotta contro il virus. Un anno dopo l’inizio dell’epidemia le vittime accertate sono state più
di 10.000, perlopiù in Liberia, Sierra Leone e Guinea. Oggi l’ong Medici senza frontiere ha pubblicato un rapporto nel quale
denuncia che la diffusione del virus è stata anche la conseguenza di “una coalizione globale dell’inazione”, un riferimento
alla lentezza e inadeguatezza della risposta iniziale sia da parte dei governi nazionali che dell’Organizzazione mondiale della
sanità (Oms).Proprio ieri un nuovo caso di ebola è stato confermato in Liberia, infrangendo le speranze di questo paese di
essere presto dichiarato “libero dal virus”. [Era libero da ca. un mese(Fr24-h00:18)][VG]
AFRICA-02/04- SENEGAL. VACCINAZIONI INFANTILI DI MASSA CONTRO LA POLIOMIELITE. Circa 3 milioni di
bambini senegalesi saranno vaccinati contro il virus della poliomielite. Ad annunciare la campagna governativa è stato
Ousseynou Badiane, responsabile del programma di vaccinazioni del ministero della Salute. “L’eliminazione della poliomielite
è possibile – ha spiegato il medico – ma bisogna rinforzare l’immunizzazione dei bambini”: per questo motivo il Senegal e
altri 12 paesi lanceranno in maniera sincronizzata delle giornate nazionali di vaccinazione.L’obiettivo, ha concluso il dottor
Badiane “è rendere l’Africa la quarta regione a fermare la circolazione del poliovirus, considerato che dal 2012 c’è un solo
paese africano in cui la malattia è endemica”, cioè la Nigeria. [DM]-01/04- CONDANNE A MORTE, “MAGLIA NERA” A
EGITTO E NIGERIA. Aumentano le condanne a morte in Africa, nonostante l’impegno abolizionista di molti paesi del
continente: lo rivela un rapporto pubblicato oggi da Amnesty International, … nel 2014 nel primo di questi due paesi le
condanne alla pena capitale sono state almeno 509, a fronte delle 109 dell’anno precedente. Un incremento, sottolineano i
ricercatori di Amnesty, dovuto all’inasprirsi della repressione del movimento dei Fratelli musulmani e in generale dei gruppi
islamisti che si oppongono al governo dell’ex generale Abdel Fattah Al Sissi. Tra i casi più eclatanti è citata la condanna a
morte di ben 183 imputati in un processo di massa celebrato a giugno. In cima alla classifica dei paesi africani dove le
condanne a morte sono state più numerose c’è però la Nigeria. Nel 2014 i casi accertati sono stati 659, a fronte dei 141
dell’anno precedente. Anche in questo paese sono stati diversi i processi collettivi conclusi con numerose condanne a morte,
specialmente in relazione al conflitto tra l’esercito di Abuja e il gruppo islamista Boko Haram. In un solo caso 70 militari sono
stati condannati a morte con l’accusa di insubordinazione e ammutinamento. In calo nel continente nel suo complesso, invece,
le esecuzioni capitali. A sud del Sahara, in particolare, sono diminuite in un anno da 64 a 46. A livello globale, denuncia
Amnesty, nel 2014 le condanne a morte state almeno 2466, con un incremento annuo del 28%.[VG]
AFRICA e ASIA squilibri economici-17/03-I DIECI PIÙ RICCHI VALGONO METÀ CONTINENTE. Il reddito dei dieci
africani più ricchi è equivalente a quello della metà più povera della popolazione del continente messa insieme: il dato è frutto
di una rielaborazione di statistiche di recente o imminente pubblicazione, presentate e incrociate sul blog della Banca mondiale
da un consulente dell’organismo, Christoph Lakner… Insieme, i dieci africani più ricchi hanno a disposizione più di 62
miliardi di dollari, mentre il reddito complessivo della metà più povera della popolazione del continente non supera i 59
miliardi. In Africa lo squilibrio è più marcato rispetto a paesi come India o Cina. In Asia sono 22 i miliardari che insieme
hanno un reddito equivalente a quello della metà più povera della popolazione, e la ricchezza dei primi cinque Paperoni
equivale ai risparmi del 10% della popolazione; mentre in Africa la quota è del 40%.[VG]
AMERICA LATINA -18/03-INTERNET SOLO A METÀ. Metà della popolazione latinoamericana non ha accesso a
Internet, rivelando un ampio “digital divide” …“Questo 50% della popolazione senza Internet nasconde molte disuguaglianze
… “in America Latina c’è sempre più spazio per gli imprenditori dei mezzi di comunicazione digitali”, nonostante la
persistenza di molti ostacoli burocratici. -20/03- AMAZZONIA, DENUNCIA DEI VESCOVI ALLA COMMISSIONE
INTERAMERICANA DIRITTI UMANI. “Denunciamo il comportamento irresponsabile delle imprese multinazionali, che
nello sviluppo delle loro attività non rispettano gli accordi internazionali, mentre gli Stati restano passivi di fronte alle attività
estrattive”. Per la prima volta, leader religiosi cattolici dell’America Latina e del Canada si sono rivolti alla Commissione
interamericana dei diritti umani per denunciare gli abusi e le violazioni dei diritti dei ‘campesinos’ e dei popoli indigeni – “i
poveri fra i poveri” – per mano delle aziende internazionali dedite allo sfruttamento delle risorse naturali, soprattutto in
Amazzonia… La dottrina sociale della Chiesa impone all’uomo di non ridurre l’ambiente a “oggetto di sfruttamento” han detto
ancora, sottolineando che la responsabilità dello sfruttamento della Natura va ascritta agli Stati che lo consentono e a quelli da
cui provengono le multinazionali, in primis Stati Uniti e Canadà. “Siamo testimoni da vicino dell’aumento delle malattie gravi
delle popolazioni indigene a causa dei gas e della distruzione dell’ecosistema…sebbene il giusto ordine della società e dello
Stato sia un obiettivo principale della politica, la Chiesa non può né deve rimanere al margine della lotta per la giustizia…
-30/03- LA VIOLENZA DIVORA IL 6% DEL PIL. L’impatto della violenza prodotta dalla criminalità in America Latina è in
crescita e divora il 6% del suo Prodotto interno lordo (Pil): l’allarme arriva dal direttore di analisi economiche della Banca di
sviluppo regionale (Caf) … Secondo lo studio, la criminalità è la principale preoccupazione del 24% della popolazione … “Ci
sono indicatori che si basano sui costi a carico dei governi per reprimere e risarcire le vittime (…) Ma anche costi più indiretti,
come accade ad esempio in alcune località del Messico dove la criminalità fa sì che la gente non possa andare al lavoro o a
scuola. E questo è più difficile da misurare” … Negli ultimi 15 anni il tasso di omicidi in America Latina è aumentato rispetto
ad altre regioni del mondo, osserva ancora lo studio che affronta in 260 pagine i diversi fattori che originano il fenomeno. “In
media il tasso di omicidi è fra i 25-27 ogni 100.000 abitanti, un tasso molto molto elevato” … in Messico nel 2006 era di 12
omicidi per 100.000 abitanti, mentre oggi è salito a 26.[FB]
AMERICA CENTRALE -08/04- CENTINAIA MIGRANTI RIMPATRIATI FORZATI DAL MESSICO OGNI GIORNO Nei primi due mesi dell’anno, il Messico ha rimpatriato con la forza oltre 25.000 cittadini centroamericani che si trovavano sul
suo territorio in maniera ‘illegale’: il dato presuppone una media di 424 migranti centroamericani rimpatriati ogni giorno.
Il numero dei ‘deportados’ è più del doppio di quello registrato nello stesso periodo del 2014, quando le autorità migratorie
intercettarono 12.930 migranti provenienti dall’America Centrale. Secondo la rivista ‘Proceso’, a gennaio e febbraio scorsi
sono stati arrestati complessivamente 27.180 centroamericani, 25.069 dei quali rimpatriati: di questi, 3289 erano minori. Dei
rimpatriati, circa la metà 12.146, proveniva dal Guatemala, 8300 dall’Honduras; nel 2014 i centroamericani intercettati erano
stati prevalentemente honduregni. L’aumento degli arresti risponde al Programma Frontera Sur, il piano ‘anti-migranti’ in
vigore dalla scorsa estate per impedire il passaggio attraverso il Messico a migliaia di centroamericani in cerca di una vita
migliore negli Stati Uniti… costretto un gruppo di centroamericani a restare chiuso all’interno di un autobus senza cibo né
acqua per 48 ore prima di procedere al loro rimpatrio.[FB]
ASIA Centro SUD -31/03- EUROPA: NO A DEMOLIZIONE NAVI LUNGO LE SPIAGGE DELL’ASIA… Secondo i dati
della Shipbreaking Platform ( Sp), una ong che lotta per porre fine ai problemi legati a metodi di demolizioni pericolose, come
l’uso di fiamme ossidriche e la fuoriuscita di prodotti chimici, delle 1.026 navi d’alto mare riciclate nel 2014, 641 sono state
portate su spiagge dell’India, del Bangladesh e del Pakistan. Alto anche il costo delle vite umane… Ora l’Unione Europea
cerca di introdurre nuove regole per fermare quello che Karmenu Vella, commissario europeo per l’ambiente e gli affari
marittimi, ha definito “ la pratica vergognosa dello smantellamento delle navi europee lungo le spiagge dell’Asia meridionale”.
La nuova normativa prevede che le navi con registrazione di paesi dell’Unione europea possano essere riciclate solo in luoghi e
strutture adatte e sicure. “La lista europea farà distinzione tra mercati di demolizione sicuri e mercati scadenti” …L’incentivo
di portare una vecchia nave in un impianto di smantellamento nell’Asia meridionale è enorme. Norme in materia di smaltimento e riciclaggio di amianto, ad esempio, sono generalmente meno rigide e i profitti della demolizione di una nave sono
più elevati. A seconda dei prezzi delle materie prime, gli armatori possono ricavare fino a 500 dollari per tonnellata di acciaio
da un cantiere indiano, rispetto ai 300 in Cina e ai solo 150 in Europa… Allo stesso tempo, i proprietari dei cantiere indiani e
bangladeshi vedono le nuove regole come uno stratagemma per riempire i cantieri vuoti in Europa. Nel 2014, meno del 4% di
tutte le navi di mare mandate alla demolizione sono passate attraverso impianti europei … [PL]
ASIA SudEst-11/03- SULLE AREE MARITTIME CONTESE[v.anche a Asia SudEst in SGsMondo nn90, 83, 82 (qs ultimo
anche a Cina)- qui sotto a SriLanka Cina ].
AFGHANISTAN (v.anche SGsMondo nn90, 88, 87, 86 approf.2, nn.85, 84 e prec) -16/03- FORZE STRANIERE, IN
MIGLIAIA ANCORA NEL PAESE. Più di 13.195 soldati stranieri provenienti da 40 paesi stanno addestrando le forze di
sicurezza afgane, ... Tra i membri, 6839 sono americani, 885 georgiani, 850 tedeschi, 650 rumeni, 503 turchi, 500 italiani, 480
britannici, 400 australiani e 222 cechi. Inoltre, altri 3161 membri del servizio americano stanno conducendo operazioni antiterrorismo in diverse parti del Paese, ha detto oggi un funzionario governativo all’agenzia locale Pajhwok fghan News(Pan)…
-17/03-RAPIMENTI LUNGO LE STRADE, NUOVO CASO NELL’OVEST. 6 passeggeri appartenenti alla minoranza etnica
Hazara sono stati rapiti questa notte da uomini armati mascherati sull’autostrada Herat-Farah, nell’Afghanistan occidentale…
In quest’ultimo mese, questo è il terzo caso di rapimento da parte di uomini armati non identificati. Circa tre settimane fa, un
commando aveva rapito 31 Hazara sul tratto stradale Kabul-Kandahar. Alcuni giorni dopo erano stati sequestrati altri 10
Hazara nella provincia orientale di Ghazni. Mentre gli ultimi rapiti a Ghazni sono stati subito rilasciati, il destino del primo
gruppo è ancora sconosciuto e le trattative in corso non hanno ancora dato risultati… -23/03- INNOCENTE LA DONNA
ACCUSATA DI AVER BRUCIATO IL CORANO … Farkhunda, uccisa venerdì scorso nei pressi della moschea Shah Do
Shamshira, a Kabul, da un gruppo di uomini che hanno accusato la giovane ventisettenne di aver bruciato pagine del Corano, è
stata sepolta ieri. Rompendo ogni tradizione, la bara è stata portata a spalle da un gruppo di sole donne. Farkhunda, una
giovane che aveva appena completato un diploma in studi religiosi e stava per assumere un incarico di insegnamento, era
entrata in discussione con un gruppo di uomini che vende-vano amuleti presso la moschea e aveva detto alle donne di non
sprecare i loro soldi per amuleti, chiamando i venditori parassiti. Suo padre, Mohammed Nadir, ha detto ai giornalisti che gli
uomini in risposta hanno iniziato a gridare che Farkhunda avevano bruciato pagine del Corano e doveva essere picchiata a
morte. “Le autorità non hanno trovato alcuna prova (…) Lei è completamente innocente” ha dichiarato ai media locali
Mohammed Zahir, a capo delle indagini, spiegando che 13 persone, tra cui due uomini che vendevano amuleti, sono state
arrestati in connessione con l’uccisione. Il funerale di Farkhunda che ha visto la partecipazione di politici, funzionari e alti
funzionari di polizia, è stato trasmesso in diretta, mostrando centinaia di donne che hanno accompagnato la bara pregando e
chiedendo giustizia. “… [PL] -07/04- DIRITTI DELLE DONNE, SOTTO ATTACCO I DIFENSORI. “Mentre i talebani
sono responsabili per la maggior parte degli attacchi contro chi prende le difese delle donne, i funzionari governativi o i potenti
comandanti locali, con il sostegno delle autorità, sono sempre più implicati nella violenza e nelle minacce contro le donne”
afferma Amnesty International in un rapporto dal titolo “Le loro vite sulla linea: i difensori dei diritti delle donne sotto attacco
in Afghanistan” presentato oggi a Kabul. “Queste donne sono percepite come coloro che sfidano le esistenti strutture di potere
e le norme culturali, religiose e sociali riguardanti il ruolo delle donne nella società e, in quanto tali, sono deliberatamente
preso di mira, a prescindere dal fatto che siano medici, giornalisti, educatori, agenti di polizia di sesso femminile o rappresentanti eletti” si legge nel rapporto. Amnesty International dice … che di solito le autorità ignorano o si rifiutano di prendere
sul serio le minacce contro le donne. “I difensori dei diritti hanno subito attacchi con bombe lanciate contro le loro macchine o
le proprie abitazioni causando la morte di familiari e omicidi mirati. Nonostante il pericolo di attacchi, molti continuano il loro
lavoro anche se sanno che contro gli autori di tali attacchi non verrà presa alcuna azione. E’ scandaloso che le autorità afghane
li abbandonino a se stessi in situazioni sempre più pericolose” è scritto nel rapporto. …“L’Afghanistan si trova ad affrontare un
futuro incerto e sta vivendo il momento più critico della sua storia recente. Ora, non è il momento per i governi internazionali
di lasciare il paese”.-10/04-TROVATI I CORPI DEI CINQUE OPERATORI UMANITARI RAPITI. La polizia afghana ha
trovato i cadaveri dei cinque dipendenti locali dell’organizzazione non governativa internazionale Save The Children che erano
stati rapiti da oltre un mese. Lo scrive l’agenzia di stampa Pajhwok. Gul Agha, capo della polizia di Tarinkot, capoluogo della
provincia di Uruzgan, ha detto che i corpi delle vittime, sequestrate dai talebani, sono stati rinvenuti in due aree alla periferia
della città. Il rapimento era avvenuto mentre stavano viaggiando verso il centro di Surkab per monitorare l’avanzamento di un
progetto di fornitura di acqua potabile alla popolazione locale. La notizia del ritrovamento è arrivata a Kabul mentre sono in
corso manifestazioni di organizzazioni e membri delle famiglie di altri 31 civili, hazara, rapiti da oltre 50 giorni (v.SGsMondo
n90 al04/03) mentre su un autobus stavano viaggiando sulla strada Kabul-Kandahar, nel quartiere Shajoy della provincia
meridionale di Zabul. Per il loro rilascio i talebani hanno chiesto la liberazione anticipata di 12 loro compagni. nAbdullah
Abdullah, con Ashraf Ghani a capo del governo di unità nazionale, ha fatto sapere ai manifestanti che il governo prenderà tutte
le misure in modo che in futuro le vite di altri afgani non siano messe in pericolo. [PL]
ANGOLA -24/03- A PROCESSO DE MORAIS, GIORNALISTA ANTI-CORRUZIONE… accusato di diffamazione. Il
giornalista, che anima il portale anti-corruzione Maka Angola, rischia, secondo quanto riporta la stessa testata, di dover
scontare fino a nove anni di prigione e pagare 1,2 milioni di dollari di danni. A denunciare de Morais sono stati sette generali
angolani: questi, secondo un’inchiesta condotta dal giornalista, avrebbero commesso abusi dei diritti umani in connessione allo
sfruttamento dei giacimenti di diamanti della provincia di Lunda Norte … Nei giorni scorsi de Morais aveva ricevuto, tra
l’altro, il premio per la libertà d’espressione della ong, basata a Londra, Index on Censorship. Trentacinque organizzazioni,
comprese Amnesty International Usa e il Comitato per la protezione dei giornalisti (Cpj), hanno chiesto il ritiro delle accuse
contro di lui. [DM]
ARGENTINA UK -03/04- Malvinas Falklands. ANNIVERSARIO GUERRA, CRISTINA REPLICA A LONDRA. La Gran
Bretagna “non spenda una sterlina di più” nella militarizzazione delle isole Malvinas (Falklands) e si occupi, piuttosto, dei suoi
cittadini che versano in difficoltà economiche: questo il messaggio che Cristina Fernández de Kirchner ha inviato a Londra in
occasione delle commemorazioni per l’inizio della guerra che oppose in due paesi nel 1982 per la sovranità dell’arcipelago
australe argentino… Fernández ha fatto esplicito riferimento all’annuncio del segretario alla Difesa britannico, Michel Fallon,
che ha riferito in parlamento del progetto di spendere 180 milioni di sterline (circa 260 milioni di dollari) nell’arco degli ultimi
dieci anni per migliorare il sistema di difesa ed altre installazioni nelle isole delle Atlantico del Sud, occupate da Londra nel
1833 …Nel 1982 la giunta militare che allora governava l’Argentina decise di riprendere con la forza le isole scatenando la
reazione dell’allora primo ministro britannico Margaret Thatcher che inviò in risposta 27.000 soldati; cominciata il 2 aprile, la
guerra si concluse il 14 giugno successivo con la vittoria inglese e un bilancio di 900 morti.[FB] -10/04- TORNA A SALIRE
TENSIONE CON LONDRA. Fra 2006 e 2011 Londra ha spiato militari e politici argentini: un piano denominato “Operazione
Quito”, mirato a “sostenere gli obiettivi del ministero degli Esteri relazionati con l’Argentina e le isole Malvinas”… Per
questo, il governo di Cristina Fernández ha convocato l’ambasciatore britannico esigendo spiegazioni “di fronte al silenzio
dell’esecutivo inglese” …La cancelleria ha poi annunciato “una denuncia penale contro aziende che portano avanti attività di
esplorazione di idrocarburi nella piattaforma continentale argentina” che per Buenos Aires comprende le Malvinas… [FB]
BANGLADESH -13/03- OPPOSIZIONE, IL MOVIMENTO CONTINUERA’ FINO A NUOVE ELEZIONI “Con la
abolizione del sistema del governo tecnico che assicurava una transizione neutrale e con le elezioni farsa, tenutesi il 5 gennaio
2014, l’Awami League (il partito al potere guidato da Sheikh Hasina ) ha demolito la democrazia. Il movimento continuerà
fino al raggiungimento del suo obiettivo. (…) Il potere non è un grosso problema per me. Io sto lottando per garantire i diritti
democratici dei cittadini di votare liberamente” ha dichiarato Khaleda Zia, in una rara conferenza stampa per i media, data oggi
pomeriggio di fronte alla sua residenza in Dhaka. Khaleda Zia, leader del partito nazionalista del Bangladesh ( Bnp) e della
alleanza di opposizione, che dal 5 gennaio scorso ha chiamato un blocco nazionale dei trasporti e scioperi per far cadere il
governo e organizzare nuove elezioni, ha anche sottolineando come Hasina aveva promesso di tenere nuove elezioni a breve
termine. “ Questa promessa non è stata mantenuta e il Bnp ha commesso un errore credendo ad Hasina” ha aggiunto Khaleda.
Il leader dell’opposizionne ha inoltre chiesto l’immediato rilascio dei leader e dei militanti dell’alleanza di opposizione,
arrestati dall’inizio delle manifestazioni. Secondo Ain O Dalish Kendra, un organizzazione nazionale dei diritti, dal 5 gennaio
fino al 3 marzo, almeno 112 persone sono state uccise. Di queste, 72 sono morte in attacchi incendiari per lo più causati da
manifestanti dell’opposizione e le restanti 40 persone in scontri o in custodia delle forze dell’ordine. Allo stesso tempo, circa
10.000 sono state arrestate ed oltre 1.200 veicoli sono stati incendiati nel paese. -17/03- SCONTRI tra GOVERNO e OPPOSIZIONE, MOLTE LE VITTIME TRA I MINORI…Almeno cinque di loro sono morti in scontri a fuoco tra mani-festanti e
forze dell’ordine, 15 a causa del lancio di bombe molotov e altri due in altri incidenti causati dal blocco nazionale dei trasporti
e dagli scioperi in corso, secondo fonti delle organizzazioni per la difesa dei minori. I dati raccolti dal Bangladesh Shishu
Forum Adhikar (Bsaf), un totale di 105 minori sono stati vittime di disordini politici dal gennaio al marzo di questo anno. Di
loro, 22 sono stati uccisi e gli altri sono stati feriti nelle manifestazioni politiche o arrestati per essere sospettati di coinvolgimento in attentati criminali… -24/03- RIFUGIATI ROHINGYA, GOVERNO CERCA SOLUZIONE. Sono oltre 30.000 i
rifugiati Rohingya, ufficialmente registrati, ospiti nei due campi di Nayapara e di Kutupalong, nel distretto di Cox Bazar. La
loro sopravivenza dipende in larga misura dagli aiuti gestiti dall’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) e dal
governo del Bangladesh. Stando alle loro testimonianze, per molti, anche se squallida, la vita è comunque migliore di quella
trascorsa in Myanmar, dove spesso i membri della minoranza Rohingya erano costretti dalle autorità civili e militari a lavorare
senza essere pagati. Dal novembre dello scorso anno… Il piano di delocalizzazione non è ancora stato annunciato e i funzionari del ministero per la gestione dei disastri e dei soccorsi affermano che prima deve essere completata la registrazione dei
vari gruppi dispersi nel paese. L’Unhcr stima che in Bangladesh i Rohingya non registrati siano almeno dieci volte di più, circa
300.000 persone. Solo vicino ai due campi ufficiali ne sono accampati altri 15.000. Nel 2012, il governo aveva ordinato a tre
organizzazioni umanitarie internazionali, Medici Senza Frontiere (Msf), Azione contro la fame e Muslim Aid Uk , di smettere
di fornire aiuti ai Rohingya non registrati. La presenza delle ong internazionali, secondo il governo del Bangladesh, incoraggiava i Rohingya a oltrepassare il confine attraversando il fiume Naf che divide il Bangladesh dal Myanmar e cercare aiuto nel
distretto di Cox’s Bazar. Il 4 febbraio di quest’anno, i funzionari del distretto di Bazar di Cox hanno sgomberato con la forza
circa 35.000 rifugiati clandestini Rohingya da campi profughi improvvisati vicino a Shamlapur, un villaggio di pescatori a
circa 50 chilometri a sud dalla città di Cox Bazar, lasciandoli senza un luogo preciso di rifugio. Gruppi per i diritti dicono che
qualsiasi piano di delocalizzazione governativo che escluda i rifugiati non registrati non riuscirà. … è diventato evidente …
che Dhaka vuole sbarazzarsi di loro, ma non sa come fare… -30/03-ESTREMISTI UCCIDONO BLOGGER, IL SECONDO
IN UN MESE. Washiqur Rahman Mishu, un blogger del Bangladesh, conosciuto come Washiqur Babu , è stato ucciso questa
mattina nella zona industriale di Tejgaon, nella capitale, da un gruppo di tre persone tra i quali due studenti di madrassa (scuola
coranica) …Un canale televisivo privato ha riferito ai giornalisti che Mishu, 27 anni, era un blogger e lavorava per una Ong.
Sul suo sito di Facebook, Washiqur ha scritto più volte contro l’irrazionalità di molte credenze religiose. Salauddin,
funzionario della polizia di Tejgaon, ha detto che Mishu è stato assassinato nello stesso modo con cui fu ucciso il blogger
Rajeeb Haider, il 15 febbraio 2013, sempre alla capitale, nella zona Pallabi. In questi ultimi due anni, Mishu è il terzo blogger
ad essere ucciso a Dhaka da estremisti islamici e a solo un mese dall’uccisione di Avijit Roy, un blogger e scrittore bengalese
laico, con cittadinanza americana, assalito a Dhaka mentre usciva dalla Fiera nazionale del Libro…gli estremisti islamici
hanno ucciso Washiqur Rahman incoraggiati da una cultura dell’impunità. Nel paese, gli atei sono una minoranza e non hanno
alcun potere per chiedere giustizia da parte del governo …Se continua così altri blogger saranno uccisi per mano di radicali. a
meno che non ci sia una volontà politica di salvarli”.-07/04- PENA DI MORTE, APPELLO PER MORATORIA … Il rifiuto
della Corte Suprema del Bangladesh di prendere in considerazione la petizione contro la condanna a morte per Muhammed
Kamaruzzaman, acconsentirà la sua imminente esecuzione. Kamaruzzaman, un leader del Jamaat-e-Islami, è stato condannato
per crimini di guerra commessi durante la guerra di indipendenza del Bangladesh, nel 1971. La sua condanna a morte è stata
confermata in appello nel novembre 2014... Secondo Human Rights Watch, il processo presenta “ gravi carenze” e ha chiesto
alle autorità di fermare immediatamente la condanna a morte di Kamaruzzaman, in attesa di una verifica indipendente del suo
caso... durante il processo il tribunale, arbitrariamente, ha limitato la capacità della difesa di presentare prove, tra cui testimonianze e documenti che erano in contrasto con le prove e le testimonianze presentate per la sua condanna. [PL]
BOLIVIA USA-10/04-DA NEW YORK, TORNANO A CASA ANTICHI DIPINTI RELIGIOSI ANDINI- Rubate 13 anni fa
da una chiesa del sud della Bolivia, dove facevano parte di una serie dedicata alla vita di Maria, sono finalmente tornate a casa
due tele a tema religioso del XVII e XVII secolo. “Ne sentiremo la mancanza, dopo averle tenute con noi per tutto questo
tempo. Ma bisognava restituirle ai legittimi proprietari” ha detto Richard Huber, 78 anni, collezionista statunitense, che le ha
consegnate personalmente al presidente Evo Morales in una cerimonia a La Paz. “Queste pitture contengono molti simbolismi
propri della cultura andina. Sebbene siano a tema religioso di influenza europea, la tecnica è indigena. Pertanto è da considerarsi un’arte a parte, un’arte nuova, nata qui” ha spiegato Huber, insignito di un riconoscimento da parte del capo dello Stato.
Il collezionista e la moglie comprarono le opere in una galleria privata del Brasile ignorando che fossero state rubate e le
restaurarono per esibirle nella loro abitazione di New York. Il Museo d’Arte di Filadelfia, che le chiese in prestito nel 2013,
avvertì la coppia che le due tele figuravano in una lista dell’Interpol. La coppia decise allora di contattare le autorità boliviane.
“La Fuga in Egitto” e la “Vergine della Candelaria” furono rubate nel 2002 insieme ad altre 10 tele dalla chiesa di San Martín a
Potosí, 400 km a sud di La Paz. Le altre non sono state ritrovate. “È stato come se ci avessero rubato un pezzo della nostra
anima” ha ricordato il parroco, padre Omar Barrenechea. Secondo le autorità, oltre 400 opere di arte coloniale sono state
rubate dalle chiese cattoliche della Bolivia negli ultimi anni.[FB]
BRASILE-15/03-h23:45-scandalo Petrobras (v.anche SGsMondo nn 90 ,88 e87): circa 1milione di manifestanti contro Dilma
Roussef. (Fr24)
BURUNDI (v.SGsMondo nn90,88,85…) -13/03- L’ARCIVESCOVO: “PREGHIAMO PER ELEZIONI LIBERE E
PACIFICHE” “C’è bisogno di diminuire le tensioni” ..A lanciare l’appello, in una conversazione con la MISNA, è monsignor
Evariste Ngoyagoye, arcivescovo di Bujumbura, nel giorno in cui la Chiesa locale inizia nove giorni di preghiera per il paese…
Il prossimo 26 giugno i burundesi andranno alle urne per il primo turno delle elezioni presidenziali, un tema affrontato anche in
una recente dichiarazione della conferenza episcopale. “Qualsiasi persona eletta per dirigere il Burundi – vi si legge tra l’altro
– non può andare oltre due mandati di cinque anni ciascuno”. Benché non sia nominato, sembra evidente il riferimento al
presidente in carica Pierre Nkurunziza, al potere dal 2005 e rieletto nel 2010, intenzionato a ripresentarsi a giugno, eventualità
che ha suscitato anche le critiche di opposizione e società civile. -19/03- ATTACCATA MOGLIE DI UN OPPOSITORE,
PRESSIONI SUL GOVERNO…Presa di mira da un uomo armato e ferita con un’arma da fuoco domenica, mentre aspettava il
suo turno in un negozio di parrucchiere di Bujumbura … L’accaduto ha assunto una dimensione internazionale martedì,
quando il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon ha chiesto al Burundi di aprire un’inchiesta “approfondita e imparziale
sull’accaduto” e a tutte le forze politiche “di condannare tutte le forme di violenza politica e ogni incitamento alla violenza e
all’odio” …-24/03- DIRIGENTI DI PARTITO CONTRO RICANDIDATURA NKURUNZIZA. Anche dall’interno del partito
al potere in Burundi crescono le pressioni sul capo di Stato Pierre Nkurunziza perché non si candidi per un controverso terzo
mandato alle presidenziali del prossimo 26 giugno… -30/03- TERZO MANDATO PRESIDENZIALE, BAN KI-MOON
CHIAMA NKURUNZIZA... Dopo la Chiesa cattolica locale, gli Stati Uniti e persino alcuni quadri del partito di governo,
dunque, anche l’Onu interviene nella vicenda di una possibile candidatura dell’attuale presidente burundese nelle elezioni del
26 giugno prossimo. Se eletto, Nkurunziza inizierebbe il suo terzo mandato: un’eventualità che contraddice l’interpretazione
corrente della costituzione burundese e gli accordi di pace di Arusha, siglati nel 2000 per porre fine alla guerra civile nel paese.
…Infine ha chiesto a Nkurunziza di far sì che i servizi di sicurezza “restino imparziali nel caso di manifestazioni pubbliche”,
auspicando che le decisioni del presidente “mantengano il Burundi sulla strada della pace e della stabilità”. Già nelle scorse
settimane Ban Ki-moon era intervenuto su vicende politiche burundesi, chiedendo “un’inchiesta approfondita e imparziale”
sull’aggressione a mano armata della moglie dell’oppositore ed ex capo guerrigliero Agathon Rwasa (già dello stesso partito
del presidente).-07/04- VIA IL RAPPRESENTANTE UNIONE AFRICANA, MISTERO SU MOTIVI. Il rappresentante
dell’Unione africana a Bujumbura, Boubacar Diarra, ha lasciato la città. Secondo fonti diplomatiche citate dalla stampa
internazionale, Diarra sarebbe stato richiamato a seguito delle proteste della presidenza della repubblica burundese per le sue
prese di posizione contro un eventuale terzo mandato del presidente Pierre Nkurunziza. Il ministro degli esteri del Burundi,
Laurent Kavakure, ha confermato la partenza di Diarra – ufficialmente all’estero per un vertice sulla regione dei Grandi Laghi
– negando tuttavia che questo abbia a che fare con la questione delle elezioni presidenziali. In Burundi si voterà per il nuovo
capo di stato il 26 giugno. Nkurunziza ha già ricoperto la posizione per due mandati: contro un eventuale ricandidatura si sono
pronunciati gli Usa, la Chiesa cattolica locale e alcuni quadri del partito di governo. La questione è stata anche oggetto di un
colloquio telefonico tra il presidente e Ban Ki-moon, segretario generale dell’Onu. Nkurunziza sostiene tuttavia di potersi
ricandidare perché solo uno dei due mandati è il risultato d’un elezione diretta. -08/04-FUGHE VERSO IL RWANDA
PREOCCUPANO LE AUTORITÀ. Centinaia di burundesi stanno lasciando il paese per il vicino Rwanda, temendo violenze
legate alle elezioni. A loro ha rivolto un appello il presidente della repubblica Pierre Nkurunziza, perché rientrino “di qui a un
mese”. Lo stesso capo dello stato ha visitato di recente la provincia burundese di Kirundo, una di quelle interessate dal
fenomeno, dopo che era fallito anche il tentativo di due ministri – riferito dall’agenzia di stampa cinese Xinhua – di convincere
gli espatriati in Rwanda a fare ritorno. Secondo le stime della stampa, sono circa 800 i cittadini burundesi che nell’ultimo mese
hanno lasciato le province di Kirundo, Ngozi e Muyinga per rifugiarsi nell’est e nel sud del Rwanda. Per le stesse autorità
locali, a spingerli alla fuga sono state le “voci d’insicurezza” che circolavano in vista delle elezioni presidenziali del 26 giugno
prossimo e delle parlamentari di maggio.[DM]
CAMBOGIA (v.SGsMondo n90) -20/03- APPROVATE LEGGI ELETTORALI, CRITICHE LE ONG… per diversi aspetti
restrittivi … anche Human Rights Watch… ha sottolineato che “leggi del genere, che limitano la libertà d’espressione, di
associazione e di assemblea, renderanno meno democratiche le future elezioni”…[CO] CAMBOGIA VIETNAM -25/03RIFUGIATI MONTAGNARD, GOVERNI E UNHCR in CERCA di SOLUZIONE. Questa settimana, l’Agenzia per i rifugiati
delle Nazioni Unite ha avuto colloqui con i rappresentanti del governo cambogiano e vietnamita per cercare soluzioni sul
recente flusso di Montagnard che dal Vietnam cercano di entrare in Cambogia per chiedere asilo politico a causa della
persecuzione etnica-religiosa… in diretta violazione della Convenzione sui rifugiati del 1951, decine sono stati respinti in
Vietnam senza un giusto processo. Secondo le dichiarazioni dei Montagnard respinti, le deportazioni sono il risultato di azioni
coordinate da parte delle autorità vietnamite e cambogiane. Nel 2002, la Cambogia, il Vietnam e l’Unhcr hanno raggiunto un
accordo trilaterale per il rimpatrio volontario e tre anni più tardi, nel 2005, un protocollo di intesa tripartito è stato firmato per
rimpatriare i profughi in condizioni controllate. Un rapporto del 2006 di Human Rights Watch (Hrw) ha evidenziato il
problema dei rimpatriati che sarebbero nuovamente perseguitati per aver lasciato il paese e mette in seria discussione la
credibilità del monitoraggio dei rimpatriati da parte dell’Unhcr. “E’ da 9 anni che tutto questo sta succedendo e ancora oggi i
rifugiati e i richiedenti asilo parlano della stessa persecuzione religiosa” ha detto Suor Denise Coghlan del Jesuit Refugee
Service in Cambogia, spiegando che fino a quando non finirà la persecuzione, è improbabile che i rifugiati accettino di tornare.
Nel frattempo, per chi è ancora in clandestinità, una soluzione non è ancora stata trovata. CAMBOGIA e DirittiLavoro-27/03‘Made in’… Trasparenza e Rispetto Diritti … l’organizzazione per i diritti Human Rights Watch (Hrw) ha documentato le
lacune dell’applicazione del governo cambogiano delle leggi sul lavoro e la necessità delle marche internazionali di abbigliamento di migliorare il monitoraggio e la conformità. Molte fabbriche in Cambogia usano contratti a breve termine, emessi
ripetutamente per evitare di pagare i lavoratori di maternità e di altri benefici, ma anche per intimidire e controllare. I lavoratori
con contratti a breve termine che cercano di formare sindacati o di far valere i propri diritti sono particolarmente a rischio di
non avere i loro contratti rinnovati. Molte marche di abbigliamento non hanno preso misure adeguate per porre fine a tale uso
illegale di contratti a breve termine nelle fabbriche dei loro fornitori cambogiani…Secondo Hrw, rivelando pubblicamente e
aggiornando i nomi dei fornitori, i marchi di abbigliamento consentono il controllo pubblico delle loro catene di approvvigionamento e allo stesso tempo li aiutano ad evitare fornitori con cattive condizioni di lavoro e altri problemi di diritti umani.
Questa trasparenza permette inoltre di mettere in luce le fabbriche, autorizzate o non autorizzate, a produrre abbigliamento per
una particolare marca. I fornitori, a volte, subappaltano il lavoro ad altre fabbriche, dove i lavoratori sono soggetti a
condizioni pericolose o abusive e senza l’autorizzazione di produrre per determinati marchi … Le linee guida Onu affermano
inoltre che dove le imprese identificano che hanno causato o contribuito a impatti negativi, dovrebbero prevedere o collaborare
al loro risanamento attraverso processi legittimi. Il problema della trasparenza è emerso fortemente a livello internazionale
dopo il crollo del complesso Rana Plaza, vicino a Dhaka, in Bangladesh, il 24 aprile 2013, che ospitava una serie di fabbriche
di abbigliamento e dove più di 1.100 operai, per lo più giovani donne, sono morte e altre centinaia sono rimaste ferite…[PL]
CENTRAFRICA (v.ancheSGsMondo n89 approf, nn90, 88,87, n.86 approf.8, n.85approf e precedenti) -16/03 – da
http://itakweflavio.altervista.org/blog/africa/ nemmeno i media che si occupano solitamente del Centrafrica ne hanno dato
notizia, ma tramite i missionari sul posto abbiamo …..tristemente condiviso altre otto uccisioni violente nella zona di
Ngaoungaye: …E' stato un missionario polacco a darne la notizia su face book… Notizia confermata dalla procura missioni.
Firmato:Silvana [<-OP]
[OP->] Ricevo poi, dal Centrafica, attraverso p.Valentino Vallarino, poi tramite p.Cirillo… e Giorgio suo portavoce.
‘Ngaoundaye, ville frontalière entre le Tchad et le Cameron continue de pleurer et d’enterrer ses fils.
Ce matin, vers 6hrs et demie, un groupe arme a encore tendu une embuscade a 7 kms de Ngaoundaye sur l’axe qui
mène vers Ndim. Ce qui est paradoxal c’est sur ce même endroit que le 1 er adjoint au maire de Ngaoundaye a été tue
par une bande armée il y a un mois passe. En fait, un camion d’un commerçant camerounais a quitte Paoua pour se
rendre a Mbaimboum. Chemin faisant, il se fait arrêter par un groupe arme non identifie. Le chauffeur et les cinq
autres passagers qui étaient a bord de ce camion sont descendus et ils se sont enfuis dans la nature car ils se sont
rendus que leur vie était en danger. Quelques minutes plutard, des commerçants ambulants a moto et a vélo sont
arrives et ils sont tombes dans les mains de ces bandits de grand chemin qui les ont dépouilles de leurs biens(argent,
telephone…) et ensuite ils les ont froidement abattus et les faisant coucher a même le sol. Les victimes sont au
nombre de huit. Elles sont toutes des hommes. Autre dommage enregistre, c’est l’incendie du camion avec toute sa
cargaison. Informes de la situation, trois frères prêtres de l’Eglise catholique de Ngaoundaye sont partis sur le lieu
accompagnes de quelques éléments de la Minusca pour ramener les corps a l’hôpital de Ngaoundaye.
L’insécurité persiste toujours et l’événement d’aujourd’hui vient corroborer cette triste réalité. Que l’événement
douloureux que Ngaoundaye vient de vivre de nouveau soit une interpellation.
-17/03- I SUPERIORI RELIGIOSI: LA VIOLENZA CONTINUA. “Fare delle nostre case e delle nostre comunità delle
scuole di accoglienza e di ospitalità”. È questo l’appello che arriva dai superiori e dalle superiore maggiori della Repubblica
Centrafricana, che hanno tenuto un’assemblea nei giorni scorsi a Bangui. Nel documento conclusivo i religiosi e le religiose
sottolineano innanzitutto “il contesto attuale del Centrafrica, segnato dalla miseria, la crisi sociopolitica, il vacillare dei
costumi”. In particolare, scrivono, “continuiamo a denunciare il fatto che le popolazioni, a Bangui come all’interno del paese,
sono sempre esposte alla violenza mortifera dei gruppi armati, a volte sotto lo sguardo passivo delle forze internazionali”…
-16/03- CONCLUSA LA MISSIONE MILITARE EUROPEA… le cui competenze passeranno alla forza Onu (Minusca) già
presente nel paese. [circa 700 uomini lasceranno il Paese (Fr24 -16/03 h22:20)]…il comandante di Eufor … tuttavia, ha
riconosciuto che le violenze in Bangui non sono affatto finite. Qualificando come “banditismo” le azioni dei responsabili di
scontri e rapimenti recenti, ha fatto appello alle autorità giudiziarie locali perché lottino contro l’impunità, le attività criminali e
la circolazione di armi in città. Anche la situazione degli sfollati è tutt’altro che risolta: secondo le ultime stime, a Bangui ne
restano 50.000 di cui 20.000 nel campo di M’Poko, nei pressi dell’aeroporto.-23/03- DOPO 2 ANNI RIAPRONO MOSCHEE
A BANGUI. 10 moschee di Bangui, dopo quasi 2 anni di inattività, hanno riaperto le loro porte al culto. È una conseguenza del
ritorno nella capitale centrafricana di circa 3.000 musulmani, in precedenza costretti a fuggire per le conseguenze del conflitto
che dura da dicembre 2012. Finora, molti fedeli di religione islamica, a causa della situazione ancora instabile nella capitale,
avevano preferito tenere le loro preghiere in casa o avevano dovuto cercare nuovi luoghi di culto, in aree più sicure della città.
La guerra ha tuttavia causato danni alla maggior parte degli edifici religiosi islamici del paese: su 436 moschee ufficialmente
censite, ben 417 sono state saccheggiate o distrutte, secondo quanto ha affermato l’ambasciatrice statunitense presso l’Onu,
Samantha Power. -31/03- RAPITI 23 CAMERUNENSI, IL GOVERNO: “ATTO IRRESPONSABILE”… da parte di un
gruppo armato centrafricano, avvenuto il 22 marzo scorso. “Un atto irresponsabile e terroristico che non si giustifica se non in
quanto banditismo, destinato a sconvolgere le buone relazioni che esistono tra i due paesi ma soprattutto a gettare discredito
sulla Repubblica Centrafricana”. Con queste parole il ministro ha definito l’azione – che ancora non è stata rivendicata –
effettuata contro un autobus nella località frontaliera camerunense di Maroua (?!).
Oswaldo, la ville de Maroua n’est pas frontalière. Elle est tout au nord du Cameroun, entre le Nigéria et le Tchad. Il
doit s’agir de la ville frontière de Garoua Boulaye, sur la route transafricaine Douala - Bangui, route par où passe
toutes les marchandises indispensables à la RCA et où, par conséquent, passent de nombreux cars de commerçants.
De mon temps déjà des bandits dévalisaient les passagers de ces cars et en prenaient en otages pour faire payer leur
famille. On en revient là ! Dr Ione, à Bangui, a bien du mal aussi à remettre en route les dépôts de pharmacie par
l’association interreligieuse ASSOMESCA. Elle dit “avaler des couleuvres” à longueur de journée.Il faut espérer
envers et malgré tout !
Chantal
Il portavoce del governo ha anche annunciato “azioni diplomatiche” e l’apertura di un’inchiesta per accertare le responsabilità
e individuare il covo in cui i rapitori tengono prigionieri gli ostaggi. Negli ultimi mesi, nell’area, i rapimenti si sono fatti più
frequenti. Normalmente sono effettuati a scopo di riscatto o di scambio di prigionieri, come nel caso del sacerdote polacco
Mateusz Dziedzic rapito dagli uomini del capo ribelle Abdoulaye Miskine, che volevano ottenere la liberazione del loro
comandante.-09/04- FIRMATO A NAIROBI CESSATE IL FUOCO TRA EX-SELEKA E ANTIBALAKA- Rappresentanti
dei due gruppi di milizie ex-Seleka e Antibalaka che si affrontano in Centrafrica hanno firmato a Nairobi un cessate il fuoco.
Un secondo documento prevede inoltre l’impegno dei due movimenti a sostenere la road map per la transizione del paese.
I negoziati, in corso da due mesi, sono stati condotti dal presidente keniano Uhuru Kenyatta, che ha messo in guardia le parti
da possibili tentativi di far saltare l’intesa. “Molti – ha sostenuto – tenteranno di portare divisioni tra voi per il loro beneficio
personale”. Un precedente accordo, firmato a fine gennaio sempre a Nairobi, era già fallito per l’opposizione del governo
transitorio di Bangui e lo stesso mediatore ufficiale, il presidente del Congo Brazzaville Denis Sassou Nguesso, aveva
sconfessato il documento. Naturalmente, diversi sono gli auspici di Kenyatta per il cessate il fuoco appena siglato. “Lo spirito
di fratellanza che avete sviluppato qui – è stata la sua esortazione alle fazioni coinvolte – dovrà durare anche nel forum di
Bangui”, che dovrebbe segnare un’altra tappa della pacificazione nazionale ed è in programma a fine mese. Sull’esito della
intesa resta comunque incertezza. Non è stata infatti formalmente firmata dagli ex presidenti François Bozizé (a lui, assente
alla cerimonia, erano in passato vicini alcuni leader anitibalaka) e Michel Djotodia (già leader di Seleka, a Nairobi solo in
veste di spettatore).[DM]-12/04-h00:45-Attacco al nord contro base Onu; ucciso un manifestante.(Fr24)
CILE-14/03-h00:13- Come lo scorso anno mega-incendi presso Valparaiso, quest’anno originati da discariche illegali; 16mila
gli sfollati.(Fr24). -18/03- IN FIAMME I PINI MILLENARI DELL’ARAUCANIA. Oltre 1200 ettari di boschi, fra cui quelli
delle millenarie Araucarie, sono già stati consumati dall’incendio scoppiato domenica scorsa nella regione da cui prendono il
nome, l’Araucania, nel centro-sud del Cile… La folta vegetazione e il terreno accidentato hanno ostacolato l’azione dei vigili
del fuoco per impedire la distruzione della foresta andino-patagonica… L’incendio nella riserva, che conta in totale 12.000
ettari, minaccia anche cipressi e faggi e una ricca fauna selvatica di cui fanno parte volpi, puma, picchi neri, scimmie Mount
(piccolo marsupiale nativo) e aquile. Le Araucarie sono una specie di pino nativo il cui frutto, il pinolo, e il legname che se ne
ricava sono alla base della vita e della sussistenza dei Pehuenches, la “gente del Pehuén”, ovvero il nome dell’albero in lingua
Mapudungun, l’idioma del popolo indigeno Mapuche. Le foreste di Araucarie sono una delle nove Riserve della Biosfera
cilene incluse nella lista dell’Unesco, l’ente dell’Onu per l’educazione, la scienza e la cultura. -30/03-INONDAZIONI NEL
NORD, “SCENARIO DESOLANTE”… inusuali e massicce precipitazioni hanno già causato 10 morti, 19 ‘desaparecidos’ e
oltre 10.000 disastrati in varia misura.… in totale potrebbe salire a 14.000, secondo le stime delle autorità locali, il numero
delle abitazioni danneggiate. Migliaia di persone sono da giorni senza elettricità e acqua potabile… -02/04- SCANDALI PER
CORRUZIONE, CROLLA POPOLARITÀ DI BACHELET. La popolarità della presidente cilena, Michelle Bachelet, è
crollata al 31% raggiungendo così un nuovo minimo storico per una leader abituata a godere di un gradimento anche oltre
l’80%…inoltre, al momento, ad apprezzare l’operato del governo è appena il 29% della popolazione, un record negativo
anch’esso per un indice che non era mai sceso sotto il 30%.[FB]
CINA -19/03- SI FERMA LA CAMPAGNA DEMOLIZIONE CHIESE E CROCI. “I dirigenti della Chiesa, in tutta la Cina,
si sono lamentati delle demolizioni di chiese e di croci avvenute nel corso dell’anno passato nella provincia di Zhejiang e
l‘ordine di porre fine alla campagna di demolizione doveva aver affetto fin dall’inizio di quest’anno” ha detto a ucanews il
vescovo Paul Meng Qinglu, vice-presidente della Associazione patriottica cinese cattolica, di ritorno da un recente incontro a
Pechino… Almeno 400 croci sono state rimosse e 35 chiese protestanti e cattoliche distrutte nel Zhejiang, dalla fine del 2013,
rendendo questa campagna una tra le più distruttive contro i cristiani nella regione in questi ultimi tempi. Il mese scorso,
Christian Solidarity Worldwide ha pubblicato un calendario dettagliato delle demolizioni dove appare che la campagna ha
rallentamento nel mese di dicembre, con solo quattro incidenti registrati nella provincia sud-orientale. Il vescovo Meng ha
detto che il gran numero di chiese ed di edifici non religiosi che hanno violato i codici di costruzione in Mongolia e nel resto
della Cina hanno raramente subito un destino simile …“Più di 100 persone sono state convocate dalla polizia per essere
interrogate. Alcuni sono stati anche arrestati “ha detto a ucanews Zheng Leguo, un predicatore protestante di Wenzhou,
provincia di Zhejiang, aggiungendo che ancora oggi tutti devono stare attenti e vigili, poiché la vita dei gruppi religiosi è
regolata da molte norme governative. [PL] -31/03- IL TEMPIO DI SHAOLIN VERSO UNA SEDE AUSTRALIANA
… una pericoloso frattura con una tradizione antica di 15 secoli (è centro della più nota scuola di kung fu)… in località
selvaggia, Jervis Bay, a 200 chilometri da Sydney … dovrebbe fornire uno spazio di crescita alle attività tradizionali di Shaolin
e insieme fornire benefici economici alla popolazione locale. Si stimano in un migliaio i posti di lavoro che saranno creati nella
contea di Shoalhaven Shire, già a vocazione turistica, e 90.000 i potenziali visitatori e ospiti annuali dell’istituzione. -01/04PECHINO E LA PERCEZIONE DELLA “MINACCIA” UIGHURA. La condanna a 6 anni di prigione di un musulmano della
regione autonoma dello Xinjiang per avere mostrato da alcuni anni una barba fluente in contrasto con la proibizione
governativa di mostrare segni “provocatori” dell’appartenenza religiosa, solleva interrogativi sulla gestione da parte delle
autorità dell’identità musulmana. Nei giorni scorsi, un tribunale di Kashgar ha condannato un 38enne alla pena carceraria e la
moglie – da tempo velata nelle sue apparizioni pubbliche – a due anni. Per il Quotidiano della Gioventù cinese, la coppia è
stata ritenuta colpevole di essere “attaccabrighe e provocatoria”, secondo le accuse vaghe abitualmente utilizzate nel sistema
legale cinese. Una condanna in linea però con l’impegno delle autorità negli ultimi due anni nel tentativo di scoraggiare l’uso
della barba associato a idee estremiste e di promuovere la campagna “Progetto bellezza” per l’abbandono del velo islamico
anche tra gli Uighuri, la minoranza musulmana e turcofona originaria dello Xinjiang. Iniziative, come le condanne severe che
rischiano però di incentivare l’identità islamica e di accendere nuove tensioni in una regione che teme l’invasione culturale e
economica dei cinesi maggioritari di etnia Han incentivata dal governo e tutelata dalle forze di sicurezza. Solo nel 2014 sono
stati almeno 200 i morti nelle esplosioni e violenze che Pechino ha attribuito a separatisti uighuri, ma numerosi sono state
anche mosse repressive di chiaro indirizzo ideologico che hanno stimolato la reazione della popolazione…A questa situazione
evidenziata dai gruppi per i diritti umani all’interno e all’esterno del paese, si associa la mancanza di una leadership
musulmana che possa attivamente mediare con il governo. Una carenza che rischia di far perdere al governo centrale la
battaglia ideologica contro l’estremismo … [CO]
COLOMBIA (vSgsMondo n90 e prec) -26/03- DIMINUISCONO I POVERI E GLI INDIGENTI. La povertà in Colombia è
scesa al 28,5% e la povertà estrema all’8,1% nel 2014, il tasso minore in oltre un decennio …Nel 2013, il tasso di povertà era
del 30,6%, quello di indigenza del 9,1%… La riduzione della povertà e la disuguaglianza è uno dei temi nell’agenda dei
colloqui di pace fra l’esecutivo e la guerriglia delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) a Cuba. -27/03RAPPORTO INEDITO SUL CONFLITTO, GLI ABUSI DEI SOLDATI USA in ripetute occasioni di oltre 50 minori colombiane fra il 2003 e il 2007: è quanto rivela l’inedito “Contributo alla comprensione del conflitto in Colombia”, il documento
stilato dalla Commissione Storica istituita dal governo e dalle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) nell’ambito
del processo di pace in corso a Cuba. Violenze, quelle dei militari statunitensi, rimaste impunite grazie agli accordi bilaterali e
all’immunità garantita ai funzionari nordamericani, si legge in un estratto del documento al quale ha avuto accesso il quotidiano El Espectador, pubblicandone alcuni stralci… Il comportamento dei soldati statunitensi viene definito in un passaggio del
testo “imperialismo sessuale…i cui effetti si riproducono in tutti i paesi in cui si trovano, come le Filippine, il Giappone o la
Corea del Sud”. Il docente dell’Università pedagogica nazionale di Bogotá Renan Vega, fra gli autori del documento, ha ricordato altri casi di violenza rimasti impuniti come quello dei tre ‘contractors’ statunitensi che lavoravano per AirScan Intl. Inc.,
al servizio della Petroleum Corporation, che coordinarono l’attacco aereo contro Santo Domingo Arauca il 16 dicembre 1998,
in cui rimasero uccise 18 persone, fra cui sei minori.-07/04- SANTOS: DAL PAPA SOSTEGNO AL PROCESSO DI PACE“Il Papa è cosciente delle difficoltà, ma vede che ci sono le possibilità di arrivare a una conclusione positiva…il Pontefice
auspica una sua visita in Colombia, nel 2016. Una missiva in cui il Papa augura pace al paese sudamericano, alle prese con uno
storico negoziato fra il governo e la guerriglia delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) che potrebbe archiviare
oltre 50anni di conflitto… -10/04- PROROGATA SOSPENSIONE BOMBARDAMENTI CONTRO FARC…[FB]
CONGO(v. SGsMondo nn90, 88, 87, 85 e prec.) -17/03- MILITANTI ARRESTATI, PROTESTE E NUOVI FERMI. Le
autorità congolesi hanno arrestato 12 militanti del movimento giovanile Lucha (Lutte pour le changement, lotta per il
cambiamento) che, a Goma, protestavano in favore degli attivisti ancora detenuti dopo il blitz della polizia avvenuto domenica
a Kinshasa… Secondo Lucha, le autorità erano state avvertite in precedenza della manifestazione. Denunciati alle autorità
anche due cittadini belgi, tra cui una ricer-catrice, che sarebbe anche stata ferita e poi trasportata in ospedale. Lo testimonia il
secondo europeo, Alexis Bouvy, fotografo. L’ambasciata belga ha confermato che sta seguendo la vicenda. Intanto anche dal
Burkina Faso è arrivato un appello al governo di Kinshasa perché liberi l’attivista del movimento Balai Citoyen, Sidro
Ouedraogo, arrestato durante il blitz nella capitale, assieme a esponenti di collettivi senegalesi e congolesi, giornalisti e un
funzionario statunitense, Kevin Sturr, che lavora per l’agenzia di cooperazione Usaid. A questo proposito l’ambasciata
statunitense nella Repubblica democratica del Congo ha difeso il diritto di Sturr di partecipare all’incontro, definito “un evento
della società civile” dove è avvenuto “uno scambio di idee”. Il portavoce del governo congolese Lambert Mende ha dichiarato
che quella riunione era da considerarsi illegale per la legge congolese e non era “il posto per un diplomatico”. Sturr, secondo
fonti dell’emittente britannica Bbc, sarà espulso dal paese. -18/03- RILASCIATI ATTIVISTI ARRESTATI A GOMA…
Contemporaneamente a Kinshasa è stato liberato Eric Izami, giornalista dell’emittente privata Antenne A, che era stato fermato
durante un blitz della polizia domenica nella capitale. In carcere restano tuttavia altri attivisti congolesi, compresi 3
componenti di Lucha, per la cui liberazione continueranno ad essere intraprese “azioni pacifiche”.Nel frattempo l’ong Human
Rights Watch ha condannato gli arresti di domenica, definendo “la detenzione di attivisti pro-democrazia l’ultimo segno
allarmante della repressione di manifestazioni pacifiche prima delle elezioni presidenziali del prossimo anno (…) -19/03ESPULSI ATTIVISTI SENEGALESI E BURKINABE’… arrestati domenica durante un blitz della polizia… Restano tuttavia
in carcere ancora 17 tra giornalisti e attivisti congolesi, su un totale di circa 40 persone arrestate durante una conferenza promossa dal movimento giovanile congolese Filimbi. -26/03- MISSIONE ONU: VIA DAL PAESE 2000 UOMINI… su un
totale vicino ai 20.000 …Recentemente, riguardo la missione erano sorte tensioni con il governo di Kinshasa, che reclamava
tra l’altro il ritiro di 6.000 effettivi. Un invito a “rafforzare” la missione e il suo mandato era invece arrivato martedì scorso
dalla Federazione internazionale dei diritti umani (FIDH) in vista delle elezioni del 2016. La richiesta era quella di “ridispiegare le unità militari e civili della Monusco per una miglior protezione dei civili”.-08/04-NORD KIVU, RIBELLI FDLR
UCCIDONO COMANDANTE LOCALE ESERCITO. 9 militari congolesi sono rimasti uccisi in un’imboscata… Secondo il
generale Mushale i guerriglieri “sono stati in grado di portare a termine quest’imboscata perché un certo numero di congolesi
continua a collaborare con loro”. Le Fdlr, ha ammesso l’alto ufficiale “non sono state sradicate” dal territorio, nonostante
l’offensiva contro di loro duri ormai da febbraio. -09/04- KINSHASA, ANCORA ARRESTATI ATTIVISTI OPPOSIZIONE.
Quattro componenti del gruppo congolese di attivisti d’opposizione Lucha (acronimo che sta per ‘lotta per il cambiamento’)
sono stati arrestati a Kinshasa durante le manifestazioni di piazza con cui chiedevano la liberazione di altri militanti... Secondo
le autorità, gli arrestati sarebbero responsabili di “disturbo dell’ordine pubblico”. [DM]
CONGO BRAZZA (v. SGsMondo nn90) -03/04- IL PRESIDENTE: “REFERENDUMperCAMBIARE OSTITUZIONE”…Il
capo di stato, il cui secondo mandato scadrà nel 2016, ha negato tuttavia che la richiesta di consulta-zione popolare sia legata
alla volontà di modificare la norma che gli impedirebbe di ripresentarsi, anche vista la sua età (71 anni), alle prossime elezioni
… Sassou-Nguesso, già presidente del paese tra 1979 e 1992, è tornato ad occupare la carica dopo un intervallo di cinque anni,
nel 1997. In base alla costituzione varata nel 2002 è stato poi rieletto nel 2002 e nel 2009. L’attuale testo però impedisce che si
svolgano più di due mandati e prescrive che il capo dello stato abbia meno di 70 anni.[DM]
COREA NORD -19/03- SFRUTTAMENTO LAVORATORI EMIGRATI, INDAGA L’ONU… potrebbero essere almeno
20.000 i nordcoreani coinvolti nel sistema di sfruttamento, anche se altre fonti – a partire dall’organizzazione NK Watch con
base nella capitale sudcoreana Seul – pone il numero a 150.000, impiegati in una quarantina di paesi. “Le informazioni
preliminari indicano che la maggior parte dei lavoratori oggetto di sfruttamento si troverebbe in Cina e Russia” … Immediatamente, Pyongyang ha accusato l’inviato Onu di agire con l’intenzione di minare il potere nordcoreano, tuttavia queste
informazioni sono in linea con una serie di abusi registrati e in parte ampiamente investigati operati del regime …Si calcola
che 3 miliardi di dollari beneficino il regime come risultato della gestione dei cittadini nordcoreani all’estero, costretti lavorare
in condizioni spesso di sostanziale schiavitù in base ad accordi con autorità e imprenditori locali. Il fatto che, come sottolinea
un rapporto di NK Watch, le condizioni di lavoro siano spesso addirittura migliori di quelle dei connazionali in patria non
rende meno incerta la loro sorte, aggravata dalla mancanza di benefici economici, dirottati verso la leadership di Pyongyang.
-30/03- PYONGYANG NEGA VALIDITÀ ALLA CONDANNA ONU … per la situazione dei diritti umani in Corea del
Nord ...Ultima in ordine di tempo di varie iniziative di condanna in base al rapporto presentato nel febbraio 2014 … con
particolare riferimento ai campi di lavoro e di prigionia che nel testo sono definiti al centro delle peggiori violazioni dei diritti
umani e della dignità della persona dalla Seconda guerra mondiale. Un rapporto in base al quale lo scorso novembre
l’Assemblea generale Onu aveva approvato una risoluzione che raccomandava al Consiglio di sicurezza di deferire la Corea
del Nord alla Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità…[CO]
COSTA AVORIO -19/03- VERSO IL VOTO, UNA COALIZIONE CONTRO IL PRESIDENTE A unirli, per ora, è
soprattutto il nome del loro avversario: Alassane Ouattara, presidente in carica della Costa d’Avorio. Rappresentanti di vari
partiti del paese hanno annunciato la nascita di una coalizione contro il capo di stato in carica, che nelle elezioni di ottobre
cercherà di ottenere un nuovo mandato… Obiettivo comune dei dissidenti è al momento quello di fare pressioni su Ouattara
perché cambi alcuni elementi del processo elettorale – come la composizione della Commissione elettorale nazionale
indipendente – visti dall’opposizione come troppo favorevoli al potere in carica. La presentazione di un candidato comune è un
altro obbiettivo, sul quale tuttavia non si è ancora avviata una discussione. -23/03-PRESIDENZIALI, OUATTARA
UFFICIALMENTE CANDIDATO… [DM]
CUBA USA-11/04-h23:52- Incontro odierno a Panama tra Raoul Castro e Obama molto promettente.(Fr24)
ECUADOR -13/03- “CHEVRON III”: VITTORIA PER LO STATO…Il 23 Settembre 2009, Chevron Texaco aveva
presentato una richiesta di arbitrato nei confronti dello Stato ecuadoriano, denunciando una presunta violazione del trattato
bilaterale di protezione degli investimenti (Bit), in un caso noto come Chevron III. Così facendo pretendeva che lo Stato
ecuadoriano fosse ritenuto responsabile per le conseguenze del processo sulla vicenda Lago Agrio, ovvero il contenzioso
avviate dalle comunità indigene contro la società statunitense per danni all’ambiente a causa delle operazioni in Amazzonia.
Questa sentenza declina ogni responsabilità dell’Ecuador in relazione al pagamento della sanzione imposta alla Chevron
Texaco.[FB]
EGITTO (v.SGsMondo vari nn prec.). -16/03- INVESTIMENTI E CONTRATTI, SI RIPARTE DA SHARM EL SHEIKH.
Contratti per un totale di 36,2 miliardi di dollari: è l’obiettivo centrato dal governo egiziano nel corso della conferenza di
Sharm el Sheikh, organizzata proprio con l’intento di attirare capitali stranieri e rilanciare l’economia del paese, già stagnante
da anni e in profonda crisi dopo le rivolte del 2011. A margine dei contratti firmati con diversi paesi occidentali e della
regione, le monarchie del Golfo hanno promesso lo stanziamento di 12 miliardi di dollari mentre gli istituiti internazionali
hanno annunciato 5,2 miliardi sotto forma di prestiti e aiuti… Tra gli accordi più rilevanti raggiunti nell’ambito del consesso,
quello con il gigante del petrolio britannico BP per investimenti di 12 miliardi in un giacimento di gas nell’ovest del Delta del
Nilo, il cui sfruttamento – una partnership con la russa Dea – potrebbe assicurare una produzione pari a un quarto del volume
attuale. Altre intese importanti sono quelle con l’italiana Eni ( 5 miliardi di euro) e la tedesca Siemens (4 miliardi di euro). ..
Sottoposta ad una massiccia rete di sicurezza, la conferenza si è svolta senza incidenti nonostante il Sinai sia considerata una
delle zone più instabili dell’Egitto per la presenza di gruppi jihadisti che spesso colpiscono commissariati e edifici di polizia. 17/03- CONDANNATO A MORTE MOHAMED BADIE… la guida suprema dei Fratelli Musulmani e altri 13 membri
dell’organizzazione, dichiarata terroristica dalle autorità del Cairo… Oltre a Badie, molti leader dei Fratelli Musulmani sono
dietro le sbarre e in attesa di giudizio, tra cui il suo vice Khairat el-Shater e l’ex presidente del parlamento Saad al-Katatni. Da
quando l’ex capo dell’esercito e attuale presidente Abdel Fattah al-Sissi ha destituito il suo predecessore, l’islamista
Mohamed Morsi, il 3 luglio 2013, le autorità hanno lanciato una sanguinosa repressione contro i suoi sostenitori,causando
almeno 1400 morti.L’attuale governo è accusato di manipolare la giustizia e finora centinaia di esponenti della Fratellanza
sono stati condannati a morte in processi di massa, mentre altri 15.000 sono stati arrestati … Lo stesso Morsi, detenuto e sotto
processo, rischia la pena capitale in almeno quattro casi. La Fratellanza, che ha vinto le elezioni tra il 2011 e il 2013, nega di
aver fatto ricorso alla violenza. -02/04- ASSALTATI POSTI DI BLOCCO NEL SINAI (v.ancheApprof.) … almeno 14 morti,
7 poliziotti e 7 miliziani, il bilancio di tre attacchi avvenuti questa mattina nel nord della penisola del Sinai… Da quando il
gruppo Ansar Al Beit Maqdis ha giurato fedeltà al sedicente Stato Islamico gli attacchi contro l’esercito e la polizia nel nord
del paese islamico si sono moltiplicati. -09/04- ATTACCHI IN DIVERSE LOCALITÀ DEL SINAI, VITTIME CIVILI È di
11 civili e 2 soldati uccisi il bilancio di una serie di attacchi in rapida successione messi a segno ieri nel nord del Sinai. Lo
rendono noto fonti mediche al quotidiano egiziano Al Ahram precisando che 6 delle vittime sono bambini …Dal Cairo,
intanto, la magistratura egiziana ha annunciato il rinvio a giudizio di altri 379 presunti membri dei Fratelli Musulmani accusati
di aver causato la morte di due poliziotti in piazza al Nahda, a Giza, uno dei due sit-in in cui i sostenitori di Morsi si sono
riuniti nelle settimane dopo la sua rimozione da parte dei militari. Sono accusati di omicidio e atti di vandalismo. [AdL]-10/04h12:20-Migranti vs Europa. Affonda a est di Alessandria un barcone con 200 persone; pochissimi i superstiti.(Tg3)-EGITTO
ETIOPIA SUDAN -23/03- A KHARTOUM FIRMATO L’ACCORDO per DIGA RINASCIMENTO (v.SGsMondo n82 a
ETIOPIA EGITTO)… in costruzione sul Nilo Azzurro all’origine di tensioni soprattutto tra i governi del Cairo e di Addis
Abeba. L’intesa è stata sottoscritta dall’ospite Omar Hassan Al Bashir, dal suo omologo egiziano Abdel Fattah al Sisi e dal
primo ministro etiopico Hailemarian Desalegn …La Diga, in costruzione in territorio etiopico, dovrebbe essere in grado di
erogare 6000 megawatt di energia. Il contenzioso internazionale riguarda i diritti di utilizzo delle acque del Nilo sanciti da un
trattato di epoca coloniale, risalente al 1929.[VG]. EGITTO USA-01/04- WASHINGTON SBLOCCA GLI AIUTI
MILITARI. L’amministrazione americana ha deciso di sbloccare gli aiuti militari all’Egitto congelati dopo il colpo di stato
dell’agosto 2013. … gli Stati Uniti riforniranno aerei da combattimento F-16, missili e fino a 125 kit per carri armati
Abrams…Le forze egiziane sono impegnate nell’operazione ‘Decisive storm’ in Yemen, dove l’Arabia Saudita sta conducendo
un’offensiva per combattere contro i ribelli Houthi, ritenuti vicini agli iraniani. Il Cairo è in prima linea anche nel contrastare le
sacche jihadiste nel Sinai, legate al sedicente Stato islamico, e in Libia. Dal 1979, anno in cui l’allora presidente Anwar Sadat
firmò gli accordi di Camp David con Israele, l’Egitto è il secondo paese per aiuti ricevuti dagli Stati Uniti. Washington versa
annualmente al Cairo circa un 1,3 miliardi di dollari di aiuti militari. [AdL] EGITTO-UNA STORICA CONDANNA. Il dottor
Raslan Fadi è stato condannato a due anni di prigione e ai lavori forzati per una ragazzina di Mansoura, in Egitto, morta dopo
essere stata sottoposta a un intervento di mutilazione genitale. E' la prima condanna emessa da un tribunale egiziano a carico di
un medico che ha praticato l'infibulazione e segna una svolta importante in questo settore. Le mutilazioni genitali, ufficialmente proibite nel 2008, sono ancora molto diffuse: più del 90% delle donne è infibulata; la pratica viene eseguita sulle
bambine dai sette anni in su. (Africa2015n2)
FILIPPINE -03/04- ALLARME ONU PER LA DIFFUSIONE DELL’AIDS… mentre a livello globale la diffusione si è
praticamente dimezzata tra il 2001 e il 2011, nelle Filippine è cresciuta del 25%. Portando a livello ufficiale il numero di casi
da 250 nel 2008 a 3.330 nel 2012. Dati per Unaids ampiamente sottostimati con probabili decine di migliaia di casi non
registrati. Le ragioni sarebbero soprattutto, per le autorità sanitarie locali, nella mancanza di consapevolezza del fenomeno e
per il rifiuto di carattere culturale verso i test che accertano la sieropositività, in un contesto di costante negazione del problema
e di emarginazione per chi ne è affetto. Altri fattori, come la mancanza di educazione sessuale, sono per gli esperti locali
corresponsabili per la diffusione del virus dell’Hiv… [CO]
FRANCIA INDIA -12/04-h00:49-Armi: Modi firma acquisto di 36 aerei da caccia Raphale. (Fr24).(vSGsMondo n90 a
Francia)
GABON -16/03- TORNA IL LEONE, DOPO 20 ANNI… Era dal 1996 che un leone non veniva segnalato nel paese e gli
esperti erano arrivati a temere che la specie fosse ormai estinta in Gabon… più volte la sagoma inconfondibile del felino
ripresa dalle telecamere nascoste sistemate nell’area ai confini con la Repubblica Democratica del Congo per uno studio sugli
scimpanzé. … potrebbe essere arrivato proprio dallo stato confinante, attraversando a nuoto il fiume Congo,uno dei più ampi
del mondo... Uno studio comparso lo scorso anno sulla rivista scientifica online Plos-One sostiene che ormai non ci siano più
di 35.000 leoni, che occupano circa un quarto della superficie storicamente abitata dalla specie. .. in Africa occidentale: i leoni
superstiti sarebbero ca. 400, di cui 250 maschi adulti, sparsi su un territorio che è circa l’1% del loro habitat originario…[DM]
GHANA -16/03- PETROLIO A PICCO, ANCHE ACCRA RIVEDE I CONTI… Il Ghana è divenuto un paese produttore di
petrolio nel 2010. Nonostante le nuove entrate, in conseguenza di una crescita della spesa il governo di Accra ha di recente
contratto con l’Fmi un prestito da 940 milioni di dollari.[VG]
GIAPPONE -18/03- RIFORMA della COSTITUZIONE PACIFISTA, TOKYO VA AVANTI… Di fatto, quanto approvato è
un’estensione della risoluzione che lo scorso luglio ha aperto la via alla dottrina dell’autodifesa collettiva, che implica il
sostegno diretto delle Forze di autodifesa giapponesi … (vedi in proposito SGsMondo nn88,87,84,83,82,80 a Armi…).
Proposte di legge che rispecchino le nuove decisioni, duramente contrattate tra il nazionalista Partito liberal-democratico e il
neo-buddhista New Komeito, saranno presentate al parlamento con ogni probabilità già a maggio. Si prevede che i nuovi
rapporti di difesa con gli Stati Uniti, che nell’arcipelago mantengono importanti basi aeronavali, saranno discussi nell’incontro
tra i ministri degli Esteri che aprirà la strada alla visita del premier Shinzo Abe a Washington.[CO]
GUATEMALA -17/03- NARCOTRAFFICO DIETRO OMICIDI 2 GIORNALISTI NEL SUD. Una rappresaglia per la
pubblicazione di articoli e inchieste sulla corruzione e le reti del crimine organizzato: ... in affari con il cartello della droga
messicano di Sinaloa.[FB]
GUINEA -27/03- L’OPPOSIZIONE CONFERMA: NO A DIALOGO COL GOVERNO. “Non si può fare del dialogo un
gioco politico permanente, abbiamo già tenuto dialoghi che non sono approdati a nulla”… l’annunciato dialogo “serve a
divertire gli spettatori, si dirà all’ultimo minuto che bisogna andare alle presidenziali. Noi rifiutiamo di entrare in questa
logica”, …-02/04- PROTESTE ANTIGOVERNATIVE, PROCLAMATO SCIOPERO A CONAKRY …Inizialmente i
dirigenti d’opposizione avrebbero voluto organizzare anche una marcia in coincidenza con lo sciopero: il governo tuttavia ha
dichiarato un’emergenza sanitaria a Conakry e in altre località del paese, dove è in corso un’epidemia di ebola, proibendo in
questo modo qualsiasi tipo di raduno.[DM]
INDIA -18/03- PROPOSTA DI LEGGE SU ACQUISTO TERRENI, OPPOSIZIONE UNITA. Tutti i partiti di opposizione,
tra cui il Congresso di Sonia Gandhi, si trovano uniti per opporsi agli emendamenti contenuti nella nuova proposta di legge
sull’acquisto dei terreni in discussione in parlamento. La nuova normativa proposta dal primo ministro Narendra Modi mira a
eliminare i numerosi e lunghi conflitti tra gli agricoltori e le aziende che cercano di ottenere terreni per progetti industriali e
che finora hanno ostacolato i piani del paese per espandere la propria rete di autostrade, aprire miniere, costruire infrastrutture
per circa circa 300 miliardi di dollari di investimenti... Le modifiche proposte alla legge permetterebbero a progetti di difesa, di
elettrificazione, di costruzioni di centri abitati e di corridoi industriali di poter essere realizzati senza il consenso dell’80% dei
proprietari terrieri interessati, come richiesto dalla legge in vigore. Questi progetti saranno inoltre esenti dall’obbligo di
condurre uno studio di sostenibilità sociale che richiede procedure ed udienze pubbliche che – secondo i dirigenti del settore –
possono far protrarre il processo di acquisizione per anni. La compensazione per i proprietari rimarrà a quattro volte il prezzo
di mercato. Mentre finora il governo ha avuto successo nel trovare miliardi di dollari attraverso vendite nel settore minerario e
delle telecomunicazioni, Modi sta trovando difficoltà a far approvare questa nuova legge alla Camera alta del parlamento, dove
il suo partito è in minoranza e ha bisogno del sostegno dei partiti rivali.-26/03- MONSIGNOR GRACIAS : “NON È VERO
INDÙ CHI ATTACCA I CRISTIANI”. “Il governo non agisce rapidamente e non è abbastanza forte. Non voglio dire che il
Bharathiya Janata Party (Bjp) ha un ordine del giorno anti-cristiano ma non si può chiudere gli occhi al fatto che questi attacchi
si sono moltiplicati dopo che è salito al potere”, ha detto ai media locali il cardinale Oswald Gracias, arcivescovo della diocesi
Mumbai, reagendo al fatto che la polizia, dopo quasi una settimana dall’attacco ad una chiesa a Mumbai, da parte di un gruppo
di vandali, non abbia ancora trovato i colpevoli. “Se il primo ministro Narendra Modi vuole essere un leader efficace allora
dovrebbe fare in modo che le sue garanzie promesse alle minoranze siano efficaci. (…) Questi attacchi a chiese e a istituzioni
cristiane stanno accadendo troppo spesso e bisognerebbe essere ciechi per non vedereli. Non credo che il governo del Bjp
vuole questo, ma io li incolpo di atti di omissione” ha affermato monsignor Gracias, spiegando che chi commetti questi
attacchi non sono né veri indiani né, sicuramente, veri indù. Secondo il cardinale la grande maggioranza degli indù sono
tolleranti, comprensivi e gentili. Negli ultimi mesi, le chiese, le scuole e gli edifici conventuali cristiani sono stati vandalizzati
a Delhi, a Karnataka e in altre parti del paese. All’inizio di questo mese, una suora di 71 anni, è stata violentata in un convento
nel Bengala Occidentale e solo oggi la polizia, dopo aver promesso una ricompensa di 100.000 rupie ( 1.600 Euro circa) per
chi avrebbe dato informazioni, è riuscita a rintracciare due dei sei attentatori entrati nella scuola cristiana gestita dalle suore.
“Sono molto imbarazzato - ha detto Gracias - per quello che sta succedendo in India. L’immagine dell’India in tutto il mondo è
continuamente danneggiata da questi e da altri gravi episodi”. -07/04- PIOGGE TORRENZIALI, DISTRUTTI RACCOLTI:
AGRICOLTORI SUICIDI… Secondo fonti della polizia, la maggior parte delle morti di agricoltori che sono state segnalate
nelle ultime 48 ore sono state causate da infarto o da suicidio legati alla perdita del 100% dei raccolti e all’impossibilità di
pagare i debiti. Radha Mohan Singh, ministro dell’agricoltura, ha dichiarato oggi che la recente ondata di piogge fuori stagione
ha danneggiato le colture in 14 stati e potrà portare alla perdita del 4-5% del raccolto del grano…La distruzione di migliaia di
ettari di colture pronte per il raccolto avviene in un momento in cui il governo Modi deve affrontare una forte reazione da parte
degli agricoltori, … per le modifiche proposte nella nuova legge sull’acquisizione di terreni a favore dell’industria e del
commercio. [PL] -07/04- SVILUPPO INFORMATICO TRA IMPEGNO E LIMITI. Le ambizioni governative di rendere
l’India un paese informatizzato con un investimento equivalente a 17 miliardi di euro stanno raccogliendo plauso ma anche
diverse critiche. La volontà o le velleità ufficiali, infatti, dovranno fare i conti con limiti endemici, come scarsità di energia
elettrica, pessima pianificazione urbanistica e, alcuni sottolineano, anche la presenza di una fauna urbana, come scimmie,
bovini e cani, problematica per cablaggi e centraline. Pressoché impossibile, se non per alcune città di recente sviluppo,
rendere inaccessibili cavi, antenne e altre strutture utili ad esempio all’introduzione diffusa di reti wi-fi… l’iniziativa prevede
il cablaggio e l’uso gratuito di Internet in 2500 città. Modi si è impegnato a stendere sull’intero paese una rete di 700.000
chilometri di cavi di fibre ottiche per connettere tra loro i 250.000 raggruppamenti di villaggi …Obiettivo primo di questo
impegno, consentire l’accesso alla popolazione urbana, che è previsto passerà dai 380 milioni attuali a 600 milioni entro il
2031, infrastrutture indispensabili a garantire qualità della vita, occupazione e comunicazioni.[CO]
ARTICOLO: PRIMA O POI VERRA' ALLA LUCE IL GRANDE BLUFF DI NARENDRA MODI
"Presto o tardi il bluff di Narendra Modi verrà smascherato". Ne è convinto p. Cedric Prakash sj, direttore del centro per i
diritti umani, la giustizia e la pace Prashant in Gujarat, ancora di più dopo le dichiarazioni a difesa della libertà religiosa
rilasciate dal Primo ministro dell'India il 17 febbraio scorso.
Affermazioni "belle sulla carta", suggerisce ad AsiaNews il gesuita, "ma che ci fanno chiedere se dalle parole si passerà mai ai
fatti". Intervenuto a un raduno della Chiesa siro-malabarese a Delhi, il premier indiano ha affermato che il suo "sarà un
governo che darà uguale rispetto a tutte le religioni' .
Un'assemblea era stata convocata per celebrare la canonizzazione di Kuriakose Elias Chavara ed Euphresia. Una volta presa la
parola, Modi ha affermato: "Il mio governo assicurerà che ci sia completa libertà di fede, che ciascuno abbia il diritto
incontrovertibile di mantenere o adottare la religione di sua scelta senza coercizione o influenza non dovuta. Il mio governo
non permetterà ad alcun gruppo religioso, appartenente alla maggioranza o alle minoranze, di incitare all'odio contro altri, in
modo aperto o di nascosto. Il mio sarà un governo che darà uguale rispetto a tutte le religioni".
Subito dopo l'intervento, molti in India e nel mondo si sono affrettati a lodare le dichiarazioni di Modi. Nelle settimane
precedenti, il Primo ministro - leader del partito della destra nazionalista indù (Bharatiya Janata Party, Bjp) - era stato criticato
per non aver mai commentato gli attacchi alle chiese di Delhi: cinque in appena tre mesi, sei contando anche l'aggressione alla
scuola Holy Child Auxilium. Ulteriori critiche erano piovute sul premier per non aver risposto alle "preoccupazioni"
manifestate dal presidente Usa Barack Obama circa "1a crescente intolleranza religiosa in India".
Una posizione manifestata durante il suo viaggio in India (25-27 gennaio), e rinnovata in occasione dell'annuale National
Prayer Breakfast di Washington (8 febbraio). Parlando con AsiaNews, p. Prakash ricorda che Modi "è stato educato ed è
cresciuto negli, ambienti dei gruppi ultranazionalisti indù del Sangh Parivar. Egli è parte integrante di essi, condivide la loro
ideologia e la loro visione del mondo. Sono loro che lo hanno catapultato al potere".
Il Sangh Parivar rappresenta il movimento nazionalista indù, di cui il Bjp è il "braccio" politico. Nell'alveo del Sangh si
trovano gruppi e organizzazioni radicali di varia entità, ciascuno indipendente tra loro. Il più importante (anche perché artefice
della nascita del movimento negli anni '60) è la Rashtriya Swayamsevak Sangh (Rss), associazione volontaria paramilitare
basata sull'hindutva, termine coniato da Vinayak Damodar Savarkar per indicare un'ideologia che considera l'induismo
un'identica etnica, culturale e politica. In nome di uno Stato "totalmente indù", questi gruppi ultranazionalisti perpetrano atti di
violenza e discriminazione nei confronti delle minoranze etniche e religiose dell'India, in particolare contro i cristiani e i
musulmani. Sin da ragazzo Modi ha militato nella Rss.
Analizzando le parole del premier, il gesuita sottolinea che "in nessun punto del suo discorso egli ha condannato o ha preso una
posizione contro i regolari attacchi ai cristiani e alle altre minoranze dell'India. Se fosse serio avrebbe anzitutto revocato la
draconiana e anticostituzionale Freedom of Religion Law[legge anticonversione] che egli ha introdotto in Gujarat [quando era
chief minister, ndr] nel 2003".
In un'intervista al Times of India -quotidiano in lingua inglese tra i più importanti in India - Surendra Jain, segretario generale
congiunto del Vishwa Hindu Parishad [altro membro del Sangh Parivar, ndr], conferma indirettamente quanto sostenuto da p.
Prakash: "Il Primo ministro non ha menzionato alcuna religione in particolare. 1 venditori di notizie stanno piegando il suo
messaggio ai loro scopi. Se non ci sono nomi, bisogna vedere in che contesto egli ha fatto le sue dichiarazioni. 1 presunti
attacchi alle chiese vanno avanti da un po' ormai, eppure il Primo ministro non si è mai espresso. Egli ha parlato solo dopo che
la polizia di Delhi ha riferito che 206 templi indù sono stati attaccati. E nel giorno in cui un tempio è stato vandalizzato negli
Stati Uniti".
"Narendra Modi - sottolinea il gesuita - è chiamato anche feku, 'il bugiardo', perché è solito fare ogni tipo di promessa o di
dichiarazione, solo per ottenere consensi. Sono in molti a non credere più in lui".
Nirmala Carvalho (AsiaNews 278- mar2015 pg8)
INDIA -09/04- GREENPEACE INDIA, GOVERNO BLOCCA FONDI STRANIERI. Il Ministero degli Interni ha sospeso
oggi la registrazione che Greenpeace India aveva ottenuto per ricevere fondi stranieri secondo la Regulation Act Foreign
Contribution (Fcra) e di conseguenza tutti i sette conti bancari dell’organizzazione sono stati congelati con effetto immediato...
L’anno scorso – secondo fonti dei media locali – funzionari dei servizi segreti hanno detto che Greenpeace e altri gruppi di
pressione stavano impedendo la crescita economica a causa di una loro campagna contro progetti di energia, miniere e alimenti
geneticamente modificati. Il governo ha poi chiesto alla Banca centrale dell’India (Rbi) di stringere i controlli sul movimento
dei fondi dall’estero nei conti indiani di Greenpeace… Nel 2012, cinque attivisti di Greenpeace India hanno partecipato ad una
conferenza sui cambiamenti climatici a Instambul. Durante la conferenza, organizzata da Opere Foundation Climate (Cwf) e
World Resources Institute (Rri), sono state individuate 999 centrali elettriche termiche, a carbone, di cui circa il 50% in India
…la Coal India Limited (Cil), una società di estrazione del carbone controllata dallo Stato indiano con sede a Kolkata. Cil è la
più grande azienda produttrice di carbone nel mondo e contribuisce per circa il 81% della produzione di carbone in India.
Greenpeace India ha 30 giorni per presentare un ricorso. [PL]
INDONESIA-19/03- RINVIO PER L’ESECUZIONE DEI CONDANNATI AUSTRALIANI…condannati nel 2005 per avere
cercato di esportare fuori dal paese un ingente quantitativo di droga... I due… sono stati da tempo trasferiti dalla prigione di
Bali a quella del’isola di Nusakambangan, luogo dell’esecuzione prevista insieme a altri condannati di cittadinanza francese,
brasiliana, filippina, ghanese e nigeriana, oltre che indonesiana, di cui la metà è però in attesa del risultato delle residue mosse
legali per arrivare alla sospensione dell’esecuzione… L’avvocato generale dello stato ha già segnalato che non sarà deciso la
data dell’esecuzione fino a quando i giudici avranno deciso di dare il via libera per tutti i condannati. Una serie di iniziative e
di ritardi che hanno fatto parlare il vice-presidente Yusuf Kakka di una prospettiva per la fucilazione distante settimane se non
mesi. Un tempo non inopportuno data la delicatezza della situazione. Il presidente, infatti, che basa la sua popolarità
contemporaneamente sulle attitudini liberali e sulla volontà di ascoltare la sua gente, si trova pressato tra le necessità della
diplomazia (e del sostegno allo sviluppo del paese) e la forte spinta a appoggiare pene esemplari verso i responsabili di una
diffusione di stupefacenti che provoca – secondo le statistiche locali – la morte di 50 individui ogni giorno e pone una pesante
ipoteca sui giovani, soprattutto delle classi medie urbane. -17/03- DIFFICILE LA SEPOLTURA DEI CRISTIANI A
SUMATRA OCCIDENTALE. La percezione di una crescente discriminazione verso le minoranze, almeno in alcune aree del
paese, si estende dalla difficoltà di vedersi concedere terreni e permessi per nuovi luoghi di culto, alle sepolture. In misura
crescente i non musulmani dei distretti di Padang e Bukittinggi, nella provincia di Sumatra occidentale lamentano la difficoltà
di trovare spazio per le proprie tombe. I cattolici tra questi. Come rilevato dal portavoce della diocesi di Padang, Windi
Subakto, il cimitero pubblico dove ora sono abitualmente indirizzati i cristiani si trova a una trentina di chilometri dal centro di
Padang, capoluogo della provincia. Un’alternativa lontana e costosa rispetto al cimitero centrale della città, riservato da tempo
ai soli musulmani…La parrocchia cattolica di Bukittinggi dispone solo di un minuscolo cimitero confessionale e ottenere un
nuovo appezzamento di terreno è assai difficile, anche per la resistenza dei musulmani locali. Come per la concessione di
terreni per nuovi luoghi di culto, anche per le sepolture l’uso del terreno pubblico dovrebbe essere diversificato su base
religiosa e etnica, ma alla fine, a definire l’uso reale sono le amministrazioni locali. -31/03- MIGLIAIA DI PESCATORI
STRANIERI SEGREGATI AI MARGINI DELL’ARCIPELAGO… soprattutto thailandesi e birmani oggetto di tratta …
condannati da lungo tempo all’oblio dopo essere sfuggiti alla schiavitù... Si stimano in almeno 4000 i pescatori stranieri di
fatto esiliati.. In molti casi, detenuti in condizione di schiavitù sulle navi dopo che il governo di Jakarta aveva dichiarato guerra
agli operatori illegali in acque indonesiane … un gran numero di birmani (e in misura minore di thailandesi, cambogiani e
vietnamiti) che alimentano di manodopera schiavizzata e spesso poco o nulla retribuita la lucroso industria ittica thailandese,
una tra le maggiori al mondo. Le prove crescenti che questo lavoro contribuisce a rifornire il mercato di prodotto esportato
anche in Unione Europea e Stati Uniti sta però diventando un boomerang per il paese, che rischia di vedersi sospesi i permessi
all’esportazione in mercati vitali.-24/03- FORESTE A RISCHIO, CRESCONO LE EMISSIONI DI CARBONIO…per il
dissodamento stagionale con il fuoco. Secondo la Fao, Organizzazione Onu per il cibo e per l’agricoltura, il tasso di
deforestazione si situa ormai attorno ai 680.000 ettari all’anno, con un’elevata perdita di biodiversità in una delle aree – in
particolare le grandi foreste equatoriali del Borneo – che abitualmente ospitano tra la maggiore varietà di specie animali e
vegetali del pianeta. Dati che collidono con l’impegno governativo preso nel 2009 di abbattere entro il 2020 i gas effetto-serra
del 26% o del 41% rispettivamente se con le sue sole risorse o con l’attivo sostegno internazionale. Le foreste che fino al
decennio scorso ricoprivano la metà della superficie dell’arcipelago sono state finora essenziali nel risparmiare al paese parte
dei danni dovuti ai cambiamenti climatici…[CO]
IRAK -17/03- IN STALLO L’OFFENSIVA SU TIKRIT. Sarebbe ferma alle porte di Tikrit l’offensiva lanciata dalle forze
armate irachene per riprendere la città, roccaforte dei guerriglieri del cosiddetto Stato Islamico (Is). Fonti concordanti
riferiscono che i soldati iracheni e le milizie sciite che li supportano sono stati arrestati dai campi minati nei dintorni della città
e dall’ostinata resistenza dei combattenti del Califfato. In un articolo, il Washington Post riferisce di una media di 60 caduti al
giorno ma non figurano stime ufficiali al riguardo. Il governo di Baghdad ha impiegato nella battaglia oltre 20 mila uomini,
perlopiù miliziani sciiti, affiancati da reparti speciali dell’esercito e da alcuni clan sunniti della zona. Un’azione coordinata dai
consiglieri iraniani diretti dal generale Qasem Suleimani, il capo delle operazioni speciali dei pasdaran. Nei primi giorni la
offensiva è andata spedita ed ha permesso di circondare buona parte di Tikrit. Poi quando i governativi si sono avvicinati alla
zona centrale la resistenza è cresciuta. [in realtà 1700 i militari Irakeni passati per le armi dall’ Isisi e sepolti in fosse comuni
o gettati nel fiume(vvTG 8-9/04)] “La battaglia per riprendere Tikrit sarà difficile a causa dei preparativi dell’Is” ha detto
Jawwad al-Etlebawi, portavoce della milizia sciita Asaib Ahl al-Haq.”Hanno piazzato bombe sulle strade, gli edifici, i ponti,
tutto. Per questo motivo e per entrare in città, abbiamo bisogno di forze addestrate nei contesti di guerriglia urbana”.La
operazione per la riconquista della capitale della provincia di Salaheddin, città natale dell’ex dittatore Saddam Hussein, la cui
tomba è stata distrutta in questi giorni a seguito dei combattimenti, è iniziata il 2 marzo scorso. -26/03- BOMBARDAMENTI
USA PER SOSTENERE OFFENSIVA SU TIKRIT… [AdL] - -COMANDO USA: “MILIZIE SCIITE RITIRATE DA
OFFENSIVA SU TIKRIT”. Le milizie sciite irachene “si sono ritirate” dall’offensiva in corso su Tikrit… A condurre l’attacco
contro la città controllata dai combattenti del cosiddetto Stato Islamico (Is) sono ora 4.000 uomini delle forze speciali e della
polizia irachena…[DM] -31/03-ESERCITO AVANZA, VERSO RIPRESA DI TIKRIT. Le forze irachene hanno ripreso il
controllo della sede centrale del governatorato di Salaheddin a Tikrit, in mano ai militanti del cosiddetto Stato Islamico (Is),
mettendo a segno un colpo decisivo nella riconquista della città… Le milizie sciite che sostengono l’offensiva avevano
annunciato la sospensione dei combattimenti e dell’avanzata dopo che la coalizione internazionale a guida statunitense, su
richiesta del governo di Baghdad, aveva cominciato i bombardamenti sulla zona. I miliziani avevano accusato Washington di
volersi appropriare del merito della liberazione della città, luogo di nascita di Saddam Hussein. Da allora, di fatto, con la
ripresa dei combattimenti di terra e la prosecuzione dei bombardamenti, entrambe le parti stanno prendendo parte all’offensiva
pur negando qualsiasi forma di coordinamento e collaborazione.[AdL]
IRAN USA-16/03-h 23:18- Nucleare. Colloqui ripresi ieri a Losanna; si prevede una durata fino a fine marzo.- 17/03-h22:5090% di problemi tecnici risolti, ma Obama resta prudente e parla di un 50% di probabilità di conclusione positiva.(Fr24).
- 29/03-h22:20- Possibile accordo secondo USA e UK. Francia prolunga sua presenza a colloqui. Intanto, dall’esterno. il
premier israeliano Netanyahu lancia ‘anatemi’ contro l’eventuale accordo.(Fr24) -31/03- Ministro degli esteri Russo Lavrov,
rientrato oggi a Losanna si dichiara moderatamente ottimista(Fr24)-01/04 -h12- dopo una notte di collaqui Lavrov rientra a
Mosca.(Tg3)- 02/04-h23:25- Trovato l’accordo (da ratificare entro il 30/06): gli stock di uranio arricchito verranno ridotti del
98% in 15 anni. USA e Unione Europea toglieranno gradualmente le sanzioni in funzione del calo degli stocks di uranio e
dell’accesso ai siti per i controlli.(Fr24)- IRAN USA ISRAELE- 03/04- h23:40- Netanyahu, dopo aver riunito il gabinetto di
sicurezza, chiede al congresso Usa di non ratificare l’accordo, e di porre ulteriori condizioni quali il pieno riconoscimento dello
stato di Israele, includendo territori occupati. (Fr24).
ISOLEdPACIFICO -16/03- VANUATU: CICLONE PAM, ARRIVANO I PRIMI AIUTI… In particolare, la Croce Rossa
locale segnala che mancano rifugi d’emergenza, cibo e acqua potabile per molti dei 253.000 abitanti. [Per lo più ancora isolati
–Misna 17/03]. Ufficialmente il bilancio dei morti resta fermo a otto [saliti a 40 –Misna 17/03], ma le comunicazioni stentano
ancora a essere ripristinate e molte delle isole[63 abitate su 85<-op] sono ancora irraggiungibili. Questo fa temere che il
numero delle vittime in intere comunità azzerate dalla forza del vento e delle onde, possa crescere ulteriormente…-03/04PESANTE BILANCIO del CICLONE MAYSAK, CHE SI AVVICINA A FILIPPINE. Con l’arrivo dei soccorritori in aree
prima isolate, della Federazione delle Micronesia, si delineano anche le dimensioni del disastro che ha colpito questo gruppo di
600 isole del Pacifico. La devastazione portata tra il 28 marzo e il 2 aprile dal super-tifone Maysak è costata la vita a almeno
nove persone e i costi economici rischiano di essere bene al di sopra delle possibilità del piccolo e sparso stato isolano, dove
piantagioni e coltivazioni sono state azzerate, le fonti d’acqua sono contaminate in buona parte; case, scuole e edifici pubblici,
sono in molti casi inagibili o distrutti, come pure molte imbarcazioni…In queste ore, le organizzazioni presenti a Pohnpei sono
pronte a intervenire nelle Filippine, dove Maysak transiterà nel fine settimana, con velocità ridotta ma sempre temibile.[CO]
ISRAELE -18/03-NETANYAHU VINCITORE A SORPRESA, HERZOG RICONOSCE LA SCONFITTA. È, a sorpresa, il
premier uscente Benjamin Netanyahu il vincitore delle elezioni in Israele. Con oltre il 99% dei voti scrutinati, il partito Likud
di Netanyahu si avvia a conquistare 30 seggi su 120 in parlamento, contro i 24 del suo principale avversario, l’Unione Sionista
di Isaac Herzog e dell’ex ministro Tzipi Livni. Terza forza, con 14 seggi, la Lista araba unita, coalizione di partiti araboisraeliani che si presentavano per la prima volta insieme…A causa del sistema elettorale proporzionale puro in vigore nel
paese, infatti, i risultati di ieri porteranno inevitabilmente alla formazione di una coalizione, o a un governo di unità nazionale.
Per quest’ultimo, subito dopo i primi exit poll, aveva espresso la sua preferenza il presidente della repubblica israeliano,
Reuven Rivlin, anch’egli del Likud.Il premier uscente, che ha auspicato la formazione di “un governo forte e stabile che si
occupi della sicurezza e del benessere di tutti” sembra tuttavia avere i numeri per costituire una maggioranza con i partiti della
destra e le formazioni di orientamento ultraortodosso.[DM]
-ELEZIONI, HA VINTO LA ‘POLITICA DELLA PAURA’ (Intervista)
Con l’attribuzione di 29 seggi sui 120 della Knesset, il Likud di Benjamin Netanyahu si è assicurato a sorpresa la vittoria nelle
elezioni parlamentari in Israele. All’indomani del voto, si apre ufficialmente il ‘ballo’ delle consultazioni per la formazione di
un governo di coalizione: La MISNA ne ha parlato con Nicola Pedde, direttore del Institute of Global Studies (Igs) e della
rivista Geopolitics of the Middle East.
Cosa ha determinato,a suo avviso, questa vittoria per molti versi inattesa rispetto ai pronostici?
In realtà Netanyahu ha sempre dominato la campagna elettorale. Solo nelle ultime settimane la crescita di Isaac Herzog e
dell’Unione Sionista ha creato l’impressione che la competizione si sarebbe trasformata in un testa a testa. A far vincere il
leader del Likud è stata la retorica della paura, la strategia dell’allarme continuo, dell’emergenza e della minaccia esistenziale.
Il primo ministro ha alimentato una psicosi nazionale e una percezione della paura simile a quella degli anni ‘60. Con la
differenza che allora la minaccia era reale, da parte di paesi arabi pronti a entrare in conflitto con lo stato ebraico, mentre oggi
non lo è a meno che non si voglia pensare che un futuro stato palestinese – semmai vedrà giorno – potrebbe mettere in serio
pericolo uno dei paesi più militarizzati al mondo. Quanto alla minaccia iraniana, altro cardine della campagna di ‘Bibi’, il
negoziato con gli Stati Uniti dimostra che non è fondata. In questo momento Israele sembra vittima di quella che alcuni
definiscono la ‘Sindrome di Masada’, dall’assedio della fortezza nella Giudea sud-orientale: il premier ha favorito la sua
vittoria riunendo gli elettori attorno alla percezione di una minaccia per la loro stessa sopravvivenza.
Che conseguenze avrà questa ‘politica della paura’?
Non solo avrà conseguenze sul piano politico e diplomatico, ma contribuirà ad approfondire una spaccatura – già in atto – tra
Netanyahu e l’apparato militare e di Intelligence. Da mesi ormai i vertici di questi settori hanno fatto capire di non condividere
le scelte e le posizioni del primo ministro. Gli ex generali fuoriusciti lo hanno detto chiaramente in una serie di interviste alla
stampa israeliana. Temo che non potendo tollerare un atteggiamento così ostile nei suoi confronti, il premier opererà per
cambiare i vertici della sicurezza, innescando tensioni anche più forti di quelle osservate finora.
Passata l’ebbrezza dei risultati bisognerà mettersi al lavoro per formare un nuovo esecutivo, come si muoverà ora
Netanyahu?
Ora il suo problema prinicpale sarà quello di trovare e soprattutto mantenere alleati in una coalizione. È probabile che in questa
ricerca Netanyahu guardi ai partiti ultraortodossi e dell’estrema destra di Avidgor Lieberman (Israel Beytenu) e Naftali Bennett
(Bayit Yehudi) , ma corre il rischio di rimanere intrappolato in dinamiche di ingovernabilità simili a quelle che lo hanno
portato alle elezioni anticipate. Apparentemente Netanyahu desidera includere nel nuovo esecutivo anche Moshe Kahlon, il
leader del partito Kulanu che si batte per l’emancipazione delle masse popolari e ha ottenuto 10 seggi. Col suo sostegno il
premier potrebbe formare una coalizione di 67-68 deputati con cui affronterebbe la nuova legislatura con pieno controllo del
parlamento. Se anche l’accordo di governo con questi partiti dovesse reggere, tuttavia, il rischio è quello di alimentare nuove e
profonde divisioni all’interno della società.
A cosa si riferisce di preciso?
Nella sua campagna elettorale, Netanyahu ha taciuto completamente sui temi sociali, che pure sono molto sentiti dai giovani e
dalla classe media. Al contempo ha promesso ampie concessioni ai settori ultraortodossi della popolazione, in tema di sussidi e
aiuti, che ora dovrà mantenere, soprattutto se si alleerà con partiti che sono espressione di quest’elettorato. Questo, a mio
avviso, rischia di creare nuove spaccature nel composito tessuto sociale israeliano.
La coalizione Lista Araba Unita, una delle novità di queste elezioni, ha ottenuto 14 seggi, diventando la terza forza in
Parlamento. È un segnale positivo per gli arabi-israeliani?
È indubbiamente un fattore di novità, ma bisognerà attendere per capirne la portata. Tutto dipende dall’abilità di Ayman Odeh
e degli altri dirigenti di maturare un progetto politico solido e una visione di lungo periodo. E soprattutto dalla capacità di
restare uniti e esercitare un ruolo di opposizione credibile e costruttivo.[AdL]
ISRAELE PALESTINA -18/03- ELEZIONI: PAX CHRISTI, NON ABBANDONARE SOLUZIONE DUE STATI
“Attorno all’assedio della Striscia di Gaza c’è un silenzio assordante della comunità internazionale. E ora le cose con un
governo di destra rafforzato dai risultati delle urne potrebbero persino peggiorare. Bisogna fare qualcosa”: è l’accorato appello
di monsignor Giovanni Ricchiuti, presidente di Pax Christi Italia, nel giorno della vittoria del Likud di Benjamin Netanyahu
alle elezioni parlamentari in Israele.
…: “Le prospettive di pace e riconciliazione nei Territori palestinesi sono ai minimi storici, c’è il rischio di una nuova Intifada.
E le dichiarazioni di Netanyahu alla vigilia del voto non fanno che calpestare anche l’ultimo barlume di speranza, mentre
l’unica soluzione possibile al conflitto è quella dei due Stati ”. Il riferimento è a quel “se vinco le elezioni non ci sarà uno Stato
palestinese” pronunciato dal premier in occasione di un’intervista alla radio israeliana.
Il tema del conflitto, degli insediamenti in Cisgiordania e della ripresa dei negoziati con l’Autorità nazionale palestinese, tenuti
sotto traccia per l’intera campagna elettorale, sono destinati a riesplodere ad aprile, quando l’Anp solleverà alla Corte penale
internazionale dell’Aja la questione dei crimini di guerra che imputa ad Israele.
“In realtà, se pensiamo alla questione palestinese, qualunque esito di queste elezioni avrebbe cambiato poco” osserva don
Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi. “È difficile, se non impossibile, che una soluzione al conflitto che da 60
anni incancrenisce il Medio Oriente, possa venire dal di dentro”.
Al contrario, questa vittoria inattesa del Likud, e la probabile alleanza con partiti religiosi di destra per la formazione di un
nuovo esecutivo, secondo don Sacco, mettono la Comunità Internazionale davanti alle sue responsabilità. “Per trovare una via
d’uscita – sostiene – bisogna che cessi il sostegno politico, economico e militare a Israele. Non dimentichiamo, ad esempio, che
proprio l’Italia è il primo esportatore di armi leggere in Israele. È così che favoriamo la soluzione al conflitto in Medio
Oriente?”.[AdL]
ISRAELE PALESTINA USA -20/03- OBAMA CHIAMA NETANYAHU MA PENSA A UN ‘CAMBIO DI ROTTA’
Parziale, ma significativo dietrofront del primo ministro Benjamin Netanyahu, vincitore delle elezioni parlamentari di martedì
in Israele, sulla questione palestinese. Non è vero, ha detto il premier, che “voglio una soluzione con uno Stato. Io voglio una
soluzione con due Stati pacifica e sostenibile, ma per questo le circostanze devono cambiare”. Dichiarazioni che hanno portato
ad una schiarita con il presidente americano Barack Obama che ieri sera, a distanza di giorni, lo ha chiamato per congratularsi
della vittoria elettorale. La telefonata giunge mentre sulla stampa statunitense continuano a moltiplicarsi le notizie, sulla base
di indiscrezioni lasciate trapelare dall’amministrazione Usa, secondo cui la Casa Bianca sta considerando di consentire il
passaggio di una risoluzione al Consiglio di Sicurezza Onu che porti alla nascita di uno Stato palestinese, evitando di esercitare
il suo diritto di veto… [AdL] -20/03-h23:10- Di fronte alle dichiarazioni contraddittorie (v.sopra) di Netanyahu sullo Stato
Palestinese (riconosciuto da alcune agenzie dell’Onu), BanKiMoon, segretario Generale dell’Onu chiede a Netanyahu una
conferma ufficiale della sua posizione.(Fr24)
ISRAELE PALESTINA -27/03- MAI COSÌ TANTE VITTIME CIVILI DAL 1967… nel 2014 sono morte 2314 persone
(contro le 39 del 2013), i feriti sono stati 17.125 (3964 nel 2014) mentre 500.000 persone sono state sfollate, di cui 100.000
solo nella Striscia di Gaza. Proprio a Gaza, tra luglio e agosto dell’anno scorso, sono morti 1500 civili (di cui 550 bambini). I
feriti sono stati 11.000. Da parte israeliana invece, sono cinque i civili, incluso un bambino e delle guardie di sicurezza, che
sono stati uccisi.… E la ricostruzione di Gaza è ostacolata dal continuo blocco e dalla mancanza di fondi”.-01/04GERUSALEMME, APPROVATA COSTRUZIONE 2500 ALLOGGI PER PALESTINESI… ma, avvertono le organizzazioni
per i diritti umani, potrebbe non tradursi mai in realtà. … “devono presentare dei piani che potrebbero richiedere anni per
l’approvazione” … un piano … che giace bloccato dal 2009, a causa delle obiezioni dei partiti di destra.I palestinesi e le
organizzazioni non governative accusano le autorità israeliane di rilasciare i permessi di costruzione “col contagocce”
costringendoli a costruire illegalmente. Israele, da parte sua, procede a demolire con regolarità le case edificate senza permessi.[AdL] -02/04- DEPUTATA ARRESTATA DA MILITARI ISRAELIANI… esponente di spicco del Fronte popolare per
la liberazione della Palestina … arrestata perché costituirebbe “un rischio sostanziale per la sicurezza nella regione”... a oggi
sono in manette ben 16 deputati palestinesi su 130. A Jarrar lo scorso anno le autorità israeliane avevano notificato una
ordinanza con la quale le chiedevano di spostarsi da Ramallah a Gerico, sempre in Cisgiordania. Unica parlamentare dell’Fplp,
Khalida si batteva per i diritti dei palestinesi nelle carceri israeliane.[VG]-03/04- STOP AL MURO DI CREMISAN, “HA
VINTO LA SPERANZA”.“È una vittoria di tutti. Dei Palestinesi e della comunità cristiana certo, che vedono salvi i loro olivi
e vigneti, ma è anche una vittoria della parte democratica di Israele che, se la sentenza avesse autorizzato la costruzione,
sarebbe sprofondata in una deriva difficile da contrastare. E infine ha vinto la speranza, perché quello che è accaduto ieri
dimostra che non è morta del tutto ”: commenta così alla MISNA padre Mario Cornioli, sacerdote fidei donum a Beit Jala, la
setenza della Corte suprema israeliana che ieri ha decretato lo stop al muro di separazione che Israele intende costruire nella
valle di Cremisan, nell’area di Betlemme.La Corte suprema ha imposto all’esercito di studiare un percorso “alternativo”
rispetto a quello proposto che avrebbe causato l’espropriazione dei terreni agricoli di 58 famiglie palestinesi e diviso in due il
monastero dei Salesiani produttori del vino di Cremisan e lo stesso complesso delle Suore salesiane, separando la scuola dal
frequentata da 450 ragazzi palestinesi. La sentenza scrive la parola ‘fine’ su una lunga battaglia legale, condotta anche dalla
Chiesa cattolica locale per la quale questo pezzo di muro aveva il solo scopo di collegare gli insediamenti israeliani di Gilo e
Har Gilo…-10/04- SCONTRI AL CORTEO FUNEBRE, UCCISO UN PALESTINESE- Un palestinese è stato ucciso e altri
due sono sono rimasti feriti quando soldati israeliani hanno aperto il fuoco durante un corteo funebre vicino Hebron, nel sud
della Cisgiordania. La vittima, Zyad Awad, aveva 30 anni. Il corteo funebre di un familiare di Awad, un giovane palestinese di
23 anni morto poco tempo dopo essere uscito dal carcere israeliano – si era mutato in manifestazione di protesta con lancio di
sassi in direzione dei militari. Questi ultimi, secondo i primi resoconti, hanno reagito con lacrimogeni, proiettili di caucciù e
pallottole vere sui contestatori. I parenti del giovane, deceduto dopo aver passato 15 mesi in un carcere israeliano, accusano i
medici di avergli iniettato “qualcosa” che lo ha fatto ammalare, fino a fargli perdere 30 chili in pochi mesi. L’autorità
palestinese sta valutando di presentare alla Corte Penale Internazionale (Cpi), di cui la Palestina è da poco entrata a far
parte, un dossier sui prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane.[AdL]
ITALIA-06/04-Migranti: 250 salvati venerdì 3, 1800 sabato 4, ad alcuni Km dalle coste libiche. Nei primi 3 mesi, le vittime
(ca4000) decuplicate rispetto al medesimo periodo del 2014.(Tg2 h13).-11/04- Un altro migliaio soccorso fra ieri e oggi.(Tg3
h12).
KENYA-30/03-DENUNCE CORRUZIONE, LASCIANO CINQUE MINISTRI… [VG] -DENUNCE CORRUZIONE,
KENYATTA CONTESTATO DAI GOVERNATORI. Il presidente del Kenya non ha alcun potere di chiedere a un
funzionario eletto, come un governatore di contea, di rassegnare le dimissioni. Lo sostiene proprio il consiglio dei governatori
keniani: pochi giorni fa il capo dello stato aveva chiesto che tutti i funzionari nominati in un dossier su casi di corruzione
rassegnassero le dimissioni… Tra i governatori coinvolti, stando agli otto nomi finora resi pubblici, predominano quelli legati
allo schieramento che alle ultime presidenziali aveva sostenuto il candidato sconfitto, Raila Odinga …[DM] -18/03- NORDEST, NUOVO ATTACCO DI AL SHABAAB (v.anche SGsMondo n90,88,87…) A WAJIR. Miliziani somali hanno ucciso
almeno 4 persone in un attacco armato nel nord del Kenya, lungo il confine con la Somalia. Lo riferiscono fonti della polizia
keniana precisando che l’attacco, contro un negozio di Wajir, a circa 100 chilometri dalla frontiera, è stato condotto con
esplosivi e armi pesanti… Gli insorti Al Shabaab, in armi contro il governo di Mogadiscio e contro quello di Nairobi, che nel
2011 ha inviato contingenti militari nella vicina Somalia per fermare l’insurrezione, hanno rivendicato l’azione. La zona nordorientale del paese, e in particolare quella tra Wajir e Mandera, è stata di recente teatro di numerose incursioni da parte dei
miliziani somali …Nel dicembre scorso, un attacco dei fondamentalisti nella località di Mandera aveva causato la morte di 36
persone.-02/04- UNIVERSITÀ DI GARISSA SOTTO ATTACCO, STUDENTI IN OSTAGGIO…Lo stesso gruppo ha
rivendicato la responsabilità dell’attacco contro il centro commerciale Westgate di Nairobi che ha causato 67 morti nel mese di
settembre 2013.[AdL]- AUMENTANO LE VITTIME, POPOLAZIONE CHIUSA IN CASA… Circa 500 degli oltre 800
studenti – comunicano a questo proposito le autorità keniane – sono stati messi in salvo. Cresce, però, il bilancio delle vittime:
secondo le fonti ufficiali sono “oltre 70”, tra cui quattro assalitori, e 79 feriti. La ‘mente’ dell’attacco sarebbe secondo il
governo Mohamed Kuno, conosciuto anche con vari soprannomi. Ex insegnante di una scuola coranica proprio a Garissa,
attualmente è un capo di al Shabaab nella regione somala di Juba. Il governo ha promesso una taglia di 20 milioni di scellini
(circa 200.000 euro) a chi fornirà informazioni utili alla sua cattura. Non è comunque chiaro, precisa mons. Alessandro, perché
sia stata attaccata l’università. ..“molti studenti non sono originari del luogo” e i miliziani potrebbero averli presi per obiettivo,
in maniera simile a quel che era accaduto lo scorso anno nei due attacchi nei pressi di Mandera, compiuti sempre da alShabaab… [DM] -03/04-GARISSA: OLTRE CENTO STUDENTI UCCISI, BUFERA SULLA SICUREZZA. È pesantissimo
il bilancio dell’attacco sferrato ieri da un commando armato nell’università di Garissa: 147 morti e 79 feriti. Tutte le vittime o
quasi erano studenti, su cui gli assalitori hanno aperto il fuoco indiscriminatamente.[Alcuni decapitati (Tg3 h19)]. A riferire il
bilancio ufficiale dell’assalto – una delle pagine più nere della storia recente del Kenya – è stato nella serata di ieri il
responsabile della Sicurezza interna Joseph Nkiaissery, anche se all’indomani della tragedia risultano ancora numerosi [150200 (Tg7 -h 3:30)rapiti?]dispersi… Come mai, è una delle domande più ricorrenti sui quotidiani keniani di oggi, le guardie
addette alla sicurezza di un campus con oltre 800 studenti erano solo due? E perché – nonostante timori avanzati nelle ultime
settimane – non è stato fatto nulla per rafforzare l’apparto di sicurezza dell’università? Mancanze riconosciute anche dal
presidente della repubblica Uhuru Kenyatta …[AdL]- DOPO IL DOLORE, RABBIA E INTERROGATIVI. “Al di là del
dolore per quanto accaduto, il sentimento più diffuso tra i keniani in questo momento è la rabbia. Rabbia per qualcosa che
avrebbe potuto essere evitato, rabbia per non ricevere risposte adeguate da parte di chi ci governa”: a descrivere alla MISNA la
reazione del Kenya il giorno dopo l’attacco di un commando di miliziani somali al Shabaab nell’Università di Garissa, costato
la vita a circa 150 studenti, è Robert Alai, blogger tra i più seguiti su Twitter e noto cyber-attivista keniano.
Come ha reagito il paese all’indomani dell’attacco? Quali sono le reazioni più diffuse tra i keniani?
“La domanda che tutti si fanno è: come è stato possibile? Come è potuto succedere che la sicurezza abbia fallito in modo così
macroscopico da consentire l’uccisione di 150 persone e forse di più, in una delle città a più alto rischio terrorismo nel paese?
Tenga conto che negli attentati contro l’ambasciata statunitense di Nairobi nel 1998, le vittime furono 212. Il paragone è
inquietante, se si pensa inoltre che nelle ultime settimane l’intelligence americana e quella britannica avevano allertato le
autorità keniane per possibili attentati in concomitanza con il periodo di Pasqua a Garissa, Mombasa e Eastleigh, quartiere a
maggioranza somala di Nairobi.
Sull’attacco, a distanza di tante ore, circolano ancora dati e cifre contrastanti. Come è possibile?
Temo che non sapremo mai il numero preciso delle vittime, come quello degli assalitori. Alcune fonti dicono tre, altre quattro.
D’altra parte, a distanza di anni dall’attacco a Westgate, nel settembre 2013, ancora non sappiamo esattamente cosa è successo
e quanti attentatori hanno partecipato all’assalto contro il centro commerciale…
La politica che risposte può dare?
Potrebbe darne molte, e di fatto non ne dà nessuna. In Kenya la gente assiste a cose che non può più tollerare. Un singolo
deputato – e ne abbiamo più di trecento – guadagna quasi 500 volte più di un poliziotto semplice. Ognuno di loro, inoltre, ha a
disposizione cinque guardie private per la sicurezza. E i nostri ragazzi continuano a morire per mano degli attentatori.
La gente ritiene che l’attacco sia frutto del dispiegamento militare keniano in Somalia?
Molti keniani pensano che ci dovremmo ritirare dalla Somalia, perché l’ingresso delle nostre truppe nel paese, nell’ottobre
2011, ci ha esposto ad altissimi rischi e ci ha fatti entrare nel mirino di Al Shabaab. Io tuttavia penso che ritirarsi adesso
sarebbe un errore fatale. Il governo somalo sta attraversando, con il nostro sostegno, una transizione delicata e complessa che
rischierebbe di fallire se ci ritirassimo. Inoltre non è detto che questo ci metterebbe al riparo da nuovi attacchi.
Di recente il governo ha avviato la costruzione di un muro lungo la frontiera somala e misure stringenti sui profughi
presenti nel paese. Pensa che sia la strada giusta da seguire?
Questa gente ha soldi, mezzi e collegamenti, non sarà di certo un muro a fermarli. Tenga conto inoltre che non tutti i somali
che attraversano la frontiera sono potenziali terroristi. La maggior parte sono civili che fuggono da violenze e povertà. La
risposta che il governo ha adottato negli ultimi mesi – raid nei campi profughi, restrizioni e arresti preventivi nella comunità
somala/keniana – non fa altro che alimentare il loro risentimento nei confronti di quella che un tempo consideravano una
seconda patria. Le autorità dovrebbero cercare di coinvolgere la comunità somala nella lotta all’estremismo invece di braccarla
e ghettizzarla. [AdL]
GARISSA: CRISTIANI E MUSULMANI UNITI NELLA CONDANNA…A condannare la strage è stato anche Sheikh
Khalifa, segretario del Consiglio degli imam e dei predicatori del Kenya. Il responsabile dell’organizzazione ha del resto
denunciato l’irresponsabilità di alcuni keniani che attraverso i social media “diffondono immagini disgustanti e messaggi che
istigano all’odio”. Sui fatti di Garissa aveva fatto sentire oggi la propria voce Papa Francesco, in un messaggio consegnato
all’arcivescovo di Nairobi, monsignor John Njue. “Un atto di brutalità insensata” aveva sottolineato il Pontefice, esprimendo
profondo dolore per questa “immensa e tragica perdita di vite” e pregando “per una conversione del cuore” degli attentatori.
-07/04- IN CORTEO DOPO GARISSA, PER CHIEDERE SICUREZZA “Nel mirino rischiano di finire anche tanti somali
che non c’entrano nulla” dice alla MISNA padre Paolo Latorre, missionario comboniano a Nairobi, mentre nella capitale
keniana si sta svolgendo un corteo per chiedere più sicurezza dopo la strage dell’università di Garissa. Insieme con la veglia in
programma questa sera la manifestazione è il momento culminante dell’ultimo dei tre giorni di lutto nazionale proclamati dopo
l’attentato, nel quale hanno perso la vita quasi 150 persone, 142 delle quali studenti… Secondo padre Latorre, a Nairobi c’è
preoccupazione che lo sgomento e la rabbia di questi giorni possano alimentare accuse o violenze contro la comunità somala,
molto numerosa nella capitale keniana sin dalla caduta del presidente Siad Barre e dall’inizio della guerra civile a Mogadiscio.
Pesa il ricordo dei provvedimenti controversi adottati dalle autorità keniane dopo l’attentato del 2013 al centro commerciale
Westgate di Nairobi, pure rivendicato da Al Shabaab. “Molti somali – ricorda padre Latorre – furono fatti rimpatriare anche
perché nella Somalia centrale e settentrionale le cose andavano meglio; oggi c’è chi chiede la chiusura del campo profughi di
Dadaab, sostenendo che possa ospitare sostenitori di Al Shabaab”. [VG]
LIBIA -26/03- DIFENSORI DEI DIRITTI UMANI NEL MINIRO DEI GRUPPI ARMATI… A corredo della relazione
congiunta, prodotta dall’ufficio Onu per i diritti umani (Ohchr) e dalla Missione in Libia (Unsmil), numerosi documenti e
testimonianze di uccisioni, rapimenti, torture e altri maltrattamenti da maggio 2014 ad oggi. Tra i casi riportati, quello
dell’uccisione di un’importante attivista della società civile, Entissar al-Hassaeri, a Tripoli. Il suo corpo e quello di sua zia sono
stati trovati nel bagagliaio della sua auto il 23 febbraio scorso. Inoltre – denuncia l’Onu – due membri della Commissione
nazionale per i diritti umani, una organizzazione non governativa, sono stati rapiti il 13 e il 14 febbraio, nel centro di Tripoli. ..
-31/03- “NOI COME LO YEMEN”, GOVERNO CHIEDE INTERVENTO MILITARE… Eletto dal parlamento di Tobruk,
unica istituzione allo Stato attuale riconosciuta dalla comunità internazionale, al Thinni ha chiesto come possa “la comunità
araba intervenire in Yemen e non in Libia dove si è verificata la stessa situazione di attentato all’ordine democratico”...[AdL]
MALDIVE-13/03-h23:35-Ex presidente Nasheed condannato a 13anni ‘per terrorismo’.(Fr24).(vSGsMondo n90)
MALESIA -16/03- CRESCENTE RICHIESTA AL PREMIER DI CHIARIRE LA RICCHEZZA DI FAMIGLIA
Nonostante le mosse per silenziare gli oppositori e i critici del suo potere, il primo ministro malese Najib Razak si trova
davanti a una crescente richiesta di chiarezza sulla ricchezza di cui gode la sua famiglia, e in particolare alcuni membri, ben
superiore a quanto carica, fortuna e nascita giustificherebbero… -19/03-INASPRITE LE PENE SECONDO LA LEGGE
ISLAMICA NELLO STATO DI KELANTAN. Con una mossa che potrebbe mettere in crisi la coalizione di partiti
dell’opposizione all’attuale governo malese, lo stato settentrionale di Kelantan, al confine con la Thailandia, ha approvato oggi
una legge che inasprisce le pene in senso islamico. L’assemblea locale dominata dal Partito islamico pan-malese (Pas) ha
approvato all’unanimità l’applicazione di pene come l’amputazione per i ladri e la lapidazione per l’adulterio in base al codice
penale islamico, hudud.Difficile al momento valutare fino a che punto il provvedimento – comunque legalmente destinato ai
soli musulmani – potrà essere attuato, dato che la costituzione federale al momento non riconosce legalità al codice penale di
ispirazione religiosa. Per renderlo efficace, infatti, il Pas dovrebbe proporre una modifica costituzionale difficile da
promuovere in un paese musulmano per quasi i due terzi ma con una tradizione di moderazione che non impedisce si
verifichino frequenti …-31/03- PRONTE NORME “ANTI-TERRORISMO”, ARRESTATI GIORNALISTI... Gli arresti
sarebbero in relazione a un articolo in cui si sosteneva che la Confederazione dei regnanti (la monarchia della Malesia) avrebbe
respinto la proposta di emendare una legge federale che potrebbe consentire l’utilizzo delle pene previste nella legge coranica
…Per il governo, arresti e nuovi provvedimenti allo studio, tra cui la Legge sulla prevenzione del terrorismo e quella per le
misure speciali contro attività terroristiche in paesi stranieri (in discussione parlamentare da lunedì prossimo) servirebbero a
meglio tutelare il paese dalla minaccia che il terrorismo internazionale e soprattutto le vicende siriana e irachena proiettano sul
paese.-01/04- LEADER OPPOSIZIONE ANWAR IBRAHIM ESPULSO DAL PARLAMENTO. Ultimo passo per escludere
dalla vita politica e sociale il leader storico dell’opposizione malese Anwar Ibrahim, incarcerato per cinque anni a febbraio per
sodomia dopo una lunga battaglia legale, oggi il presidente del parlamento ne ha decretata l’espulsione dall’assemblea,
comunicandola alla Commissione elettorale… La sfida politica lanciata da Anwar e dall’alleanza di tre partiti diversi per
ideologia e composizione etnico-religiosa, ma uniti contro il dominio pressoché incontrastato da un sessantennio dell’Umno
(United Malays National Organization), lo ha portato a sfiorare la vittoria nelle elezioni del 2013. Un rischio per la
maggioranza e per il premier Najib Razak, che hanno contrattaccato utilizzando ancora una volta la carta legale, portando alle
estreme conseguenze una nuova accusa di sodomia dopo quella che aveva portato inizialmente in carcere Anwar nel 2000 e
alla successiva revisione da parte della Corte suprema e alla scarcerazione nel 2004. -02/04-L’EX PREMIER MAHATHIR
ATTACCA IL CAPO DEL GOVERNO SULLA CORRUZIONE. Mahathir Mohamad, dal 1981 al 2003 alla guida del
governo e ancora punto di riferimento per molti nel partito di maggioranza Umno, ha lanciato un attacco senza precedenti
contro l’attuale primo ministro e esponente dello stesso partito, Najib Razak... Nei giorno scorsi, Mahathir aveva criticato
Najib per l’accanimento contro il leader dell’opposizione Anwar …Mahathir Mohamad ha posto seri quesiti riguardo il prezzo
pagato dalla Malesia per l’acquisto di sottomarini francesi nel 2002, quando Najib era responsabile della Difesa, e la morte
violenta di una modella mongola che nelle trattative aveva avuto un ruolo di interprete. Oggetto dell’attenzione dell’89enne
statista anche la compagnia di investimenti statale Malaysia Development Berhad, avviata da Najib e indebitata per 11 miliardi
di dollari con il rischio che un suo crollo possa travolgere una economia già in contrazione... Mahathir:“Nonostante sia difficile
per me parlare di queste cose, per il bene dei malesi e del paese devo portarle allo scoperto”, ha proseguito.-03/04- NOVE
CAPI D’IMPUTAZIONE PER CARTOONIST CRITICO DEL POTERE… Un record, anche nella storia di rapporti
contrastati tra governo malese (e il partito di maggioranza Umno) e i suoi critici. Il 10 febbraio Zulkiflee SM Anwar Ulhaque,
conosciuto con il nome d’arte Zunar, aveva diffuso alcuni tweet criticando la condanna a cinque anni di carcere per Anwar
Ibrahim e mettendo in dubbio l’indipendenza della corte. Questo gli è costata un’incriminazione per ciascuno dei messaggi
brevi, considerati eversivi. In questa situazione Zunar rischia oltre 40 anni di carcere e l’elevato livello della cauzione (circa
5600 euro) lo ha costretto a chiedere aiuto attraverso i social media. Alle critiche crescenti di utilizzare la legge nel modo più
severo verso chi dissente con le politiche governative e con la svolta repressiva, le autorità hanno risposto che il loro impegno
è contro opinioni che possono creare divisione nel paese…[CO] MALESIA MYANMAR -26/03- CONTINUA IL
RIMPATRIO DEGLI EMIGRATI IRREGOLARI DALLA MALESIA. Il governo birmano continua a negare la nazionalità
all’etnia musulmana rohingya, nonostante le pressioni internazionali e la situazione di persecuzione che la riguarda e che ha
portato a un’ondata di profughi diretti soprattutto verso la musulmana Malesia …Una nave da guerra birmana che la scorsa
settimana ha partecipato a una manifestazione internazionale aerospaziale e marittima sull’isola malese di Langkawi è sulla via
del ritorno con a bordo 102 irregolari consegnati dalle autorità Malesi.Ultima iniziativa di rimpatrio che dal settembre 2014 ha
consentito il rientro di 7,827 individui rinchiusi in campi di raccolta dopo il loro fermo. Si stima che dei 400.000 immigrati di
origine birmana presenti in Malesia, 300.000 siano in condizione di legalità e altri 40.000 vi restino illegalmente. Per altri
60.000, in parte accolti in campi, sono in corso le verifiche per accertarne la condizione di profughi… MALESIA -07/04AMPIA PREOCCUPAZIONE PER L’APPROVAZIONE DELLA LEGGE ANTI-TERRORISMO. Il passaggio in parlamento
oggi, dopo 15 ore di dibattito, in buona parte notturno, della legge che per il governo sarebbe indispensabile a bloccare la
presenza e e l’estensione del terrorismo islamista nel paese è stata salutata da un coro di dissenso… il suo ruolo andrebbe al d
là di quello previsto per diventare uno strumento di repressione politica e sociale. La Legge per la prevenzione del terrorismo,
infatti, prevede la detenzione di un sospetto senza alcuna incriminazione formale , oltre che a pene severe comminate in un
contesto legale di emergenza che consente poco controllo... la legge appena approvata, come quella contro la destabilizzazione
in discussione appaiono più come strumenti di controllo dell’opposizione che funzionali al contenimento di rischi reali per il
paese …[CO]-09/04- SI ALLA SHARIA, MA CON UNA NUOVA COSTITUZIONE. Numerosi gruppi della società civile e
un’associazione di leader cristiani di Sabah e Sarawak hanno detto che la Costituzione federale della Malesia dovrà essere
riscritta se il parlamento approva la legge “ Hudud” (Sharia) nello stato del Kelantan. “Qualsiasi cambiamento fondamentale
cambia la base su cui i cristiani in Sarawak si sono accordati per formare la Malesia. L’approvazione di tale legge richiede una
profonda rinegoziazione della Costituzione federale… L’Assemblea dello stato Kelantan ha approvato l’introduzione del
codice penale Hudud (Sharia) il mese scorso, tuttavia, per diventare operativa, la nuova legge ha bisogno dell’approvazione del
Parlamento federale. [PL] -10/04-APPROVATA LA LEGGE ANTI-EVERSIONE, TRA LE CRITICHE. Alla fine di una
seduta-fiume, la Camera dei deputati del parlamento malese ha approvato all’alba di oggi gli emendamenti più controversi alla
Legge anti-eversione. Come e forse più della legge contro il terrorismo licenziata giorni fa, e che integra le già pesanti regole
del precedente provvedimento, tra cui la carcerazione senza giudizio, la nuova legge viene interpretata dai gruppi per i diritti
umani e dall’opposizione politica come uno strumento di limitazione delle libertà civili e democratiche in un paese che vede
tentazioni autoritarie da parte di un governo in difficoltà davanti alla crescita dei partiti che si oppongono a esso e al partito
di maggioranza, e in cui l’islamismo politico cerca di affermare i propri principi, a partire dall’introduzione generalizzata
dalla sharia.Per la maggioranza di governo, invece, i provvedimenti sarebbero necessari per le minacce crescenti di tipo
religioso radicale, ma anche dal rischio di instabilità in un paese multietnico e pluri-religioso sempre più insofferente verso una
conduzione politica immutata dall’indipendenza …[CO]
MALI [v.anche pregressi in SGsMondo nn90,.88, 87, 85 e prec.] -16/03- MOVIMENTI DELL’AZAWAD RESPINGONO
ACCORDI DI PACE… Resta tuttavia aperta… la possibilità di “proseguire le discussioni con Bamako per trovare un
documento accettabile e realistico”. Una risposta più dettagliata con le motivazioni del dissenso, ha proseguito l’esponente
della ribellione, sarà consegnata ai diplomatici il cui arrivo è previsto a Kidal – dove si sono svolte le consultazioni del Cma –
nella giornata di domani.-19/03- ACCORDO DI PACE, GOVERNO E MOVIMENTI AZAWAD ANCORA
LONTANI…Mediatori internazionali e governo maliano, tuttavia, hanno rifiutato discussioni sul contenuto dell’accordo,
sottolineando che quest’ultimo “non ha l’ambizione di risolvere immediatamente tutti i problemi”. Alcune osservazioni,
sostengono, potranno essere prese in considerazione al momento dell’applicazione concreta del documento. Quest’ultimo, non
prevede non prevede né l’indipendenza né l’autonomia dell’Azawad, tradizionali obiettivi dei ribelli, ma solo l’istituzione di
singole assemblee regionali.[DM] -31/03- GAO, AGGUATO AL CONVOGLIO DELLA CROCE ROSSA. Un dipendente
della Croce Rossa del Mali è stato ucciso e un altro ferito in un agguato che si è verificato sulla strada che collega le città di
Gao e Ansango, nel nord del paese …In una nota diffusa oggi la Croce Rossa ha denunciato “un aumento delle violenze contro
gli operatori umanitari, che impedisce loro di prestare aiuto a persone e comunità forte-mente bisognose”. Nel nord del Mali,
già stato teatro di un conflitto armato tra il 2012 e il 2013, restano attivi gruppi di matrice tuareg e islamista.[VG]-03/03- GAO,
L’ONU AMMETTE: CASCHI BLU SPARARONO SU MANIFESTANTI… lo scorso 27 gennaio. Il documento parla di “uso
eccessivo e non autorizzato della forza” contro i dimostranti che avevano lanciato pietre e bottiglie molotov contro la sede
della missione. Secondo quanto riporta la testata locale Maliactu, sotto accusa sono in particolare truppe provenienti dal
Rwanda, paese che sta iniziando a sua volta un’inchiesta interna sui fatti. Il comandante dell’unità in questione sarebbe già
stato fatto rientrare a Kigali e lo stesso avverrà con 35 dei suoi uomini, che sono stati disarmati…[DM]-06/04-h23:35-Truppe
francesi liberano ostaggio Olandese: vittime tra i carcerieri.(Fr24)
MAROCCO -27/03- TAFFERUGLI A RABAT TRA POLIZIA E OPPOSITORI ISLAMICI. Migliaia di aderenti al
principale partito di opposizione hanno partecipato ieri a Rabat ai funerali della vedova del loro fondatore dopo alcuni
tafferugli con la polizia che aveva cercato di impedire le esequie. I sostenitori di Al Adld wa al Ihsan (giustizia e spiritualità)
accusano le forze dell’ordine di averli aggrediti mentre partecipavano ai funerali di Khadija al Maliki, vedova di Abdessalam
Yassine, fondatore del movimento, morto nel 2013…Il partito Giustizia e spiritualità si distingue dall’altro principale partito
islamico, Giustizia e sviluppo (Pdj), vincitore delle elezioni indette nel 2011 dal re Mohammed VI per placare i movimenti di
protesta sorti sulla scia delle Primavere arabe. …Con un numero limitato di riforme, investimenti nella spesa pubblica e ingenti
misure di sicurezza, il Marocco è riuscito a evitare rivolte maggiori, ma il re mantiene stretto il controllo sulla sicurezza,
l’esercito e la religione.[AdL]-02/04-h23:45-Calcio. Il tribunale del ricorso ha cancellato le pesanti sanzioni comminate al
Marocco (4 anni di sospensione dalle coppe internazionali!) per il rifiuto di far disputare sul proprio territorio la coppa
d’Africa, per il rischio ‘Ebola’.(Fr24).(vSGsMondo n87- a AfricaWest Ebola)
MAURITANIA -03/04- LAVORATORI DEL FERRO, FINITO LO SCIOPERO DOPO 2 MESI. È finito lo sciopero dei
lavoratori del ferro di Zouerate, il più lungo della storia del paese… circa 5000 dipendenti della Snim (società che è il secondo
datore di lavoro nazionale dopo lo Stato) avevano iniziato la protesta chiedendo l’applicazione di un accordo dello scorso
maggio. Il documento prevedeva aumenti di paga, in aggiunta ai quali i lavoratori chiedevano altri benefit.
Ora i gestori della miniera di ferro – che rappresenta circa un quarto del prodotto interno lordo mauritano – hanno concesso il
reintegro di quanti erano stati licenziati durante lo stato di agitazione, la garanzia che nessun lavoratore sarà chiamato in
giudizio, il versamento di tre mesi di stipendio e 48 ore per un negoziato globale…[DM]
MESSICO-25/03- STUDENTI ‘DESAPARECIDOS’, “NIENTE ELEZIONI A GUERRERO”. Familiari e compagni dei 43
‘normalistas’ – studenti della Escuela Normal Rural di Ayotzinapa, scomparsi il 26 settembre scorso – boicotteranno le
elezioni del 7 giugno a Guerrero, nel sud del Messico.“Votare a Guerrero è votare per i narco-politici” denunciano parenti e
amici dei ragazzi... I parenti dei giovani ‘desaparecidos’ hanno ribadito che consentiranno lo svolgimento delle elezioni solo se
i loro figli torneranno a casa vivi e se i politici di Guerrero faranno pubblica ammenda impegnandosi formalmente a rompere
ogni legame con la criminalità organizzata. “I responsabili dei fatti erano funzionari pubblici, membri della Polizia Municipale,
l’ex sindaco di Iguala e di sua moglie. Servitori pubblici che sono stati eletti dai cittadini. (…). Nello stato di Guerrero parlano
di elezioni, ma avallarle è votare per i criminali” …-30/03- CARCERI FEMMINILI: COMMISSIONE DIRITTI UMANI
DENUNCIA ABUSI E VIOLENZE… studiate le condizioni di vita di 77 dei 102 istituti di pena del paese, capaci di contenere
fino a 12.692 donne… Maltrattamenti e abusi sessuali sono all’ordine del giorno, così come “mazzette” estorte dalle guardie
coinvolte in reti di attività criminali guidate dai detenuti ospitati nella sezione maschile dello stesso istituto di pena. Così,
mentre in 51 centri le recluse dormono ammassate sul suolo fra insetti e topi, in altri 20 sono costrette a prostituirsi, altre,
benchè all’interno degli stessi impianti, beneficiano di celle private con tv al plasma, forno a microonde, frigo e telefono
cellulare, sottolinea la Commissione. I penitenziari dove gli abusi sono più massicci sono quelli dello stato meridionale di
Guerrero – che la tragedia dei 43 studenti di Aytzinapa ha fatto conoscere al mondo per la violenza – seguiti da quelli degli
stati di México, Puebla, Sinaloa, Michoacán e Oaxaca. I problemi, tuttavia, non si limitano ad aree circoscritte, ma si
riscontrano dal nord al sud del territorio nazionale. -08/04- JALISCO: DILAGANO I ‘NARCOS’, FEROCE IMBOSCATA
ALLA POLIZIA. Sono 15 i poliziotti uccisi e cinque quelli rimasti feriti in un’imboscata tesa da narcotrafficanti nell’ovest del
Messico, in uno dei più gravi attacchi subiti dalle forze di sicurezza negli ultimi anni.… il cartello ha dichiarato “guerra” alle
autorità locali. Nel settembre scorso, un deputato federale del Pri era stato sequestrato lungo l’autostrada per l’aeroporto di
Guadalajara; il suo cadavere era stato ritrovato poco dopo in una regione confinante.[FB]-09/04- MICHOACÁN: UCCISO UN
SACERDOTE, IL CORDOGLIO DELL’ARCIVESCOVO. “Con profondo dolore comunico la morte di padre Francisco
Javier Gutiérrez Díaz, della Confraternità degli Operai del Regno di Cristo. Tristemente, dopo essere uscito dalla sua
parrocchia lunedì 6 aprile è stato assassinato e il suo corpo rinvenuto nella periferia di Salvatierra”: …[FB]
MYANMAR (vSGsMondo n 90, 88…) -20/03-SCONTRI CONFINE CINESE, APPELLO PER SOLUZIONE PACIFICA…
nella regione Kokang, che in questi ultimi giorni ha causato la morte di circa 100 soldati, la maggioranza militari governativi,
secondo fonti dei media locali … Il settimo round di colloqui di cessate il fuoco a livello nazionale tra la Commissione di
lavoro per la pacificazione dell’unione e la Ncct sono ripresi martedì, presso il Centro per la pace in Yangon. La discussione in
corso riguarda i punti rimasti in sospeso, come l’ accordo su un codice di etica militare, lo spiegamento di truppe, il reclutamento e l’istituzione di un organo di controllo del cessate il fuoco. -27/03- “SALVARE IL SALWEEN”, NO A DIGHE E A
MINIERE… Con i suoi 2800 chilometri, il fiume Salween è tra i fiumi più lunghi del mondo e sostiene le condizioni di vita di
oltre 10 milioni di persone. Nasce nel Tibet, attraversa l’area orientale del Myanmar dirigendosi a sud verso il confine con la
Thailandia prima di fuoriuscire nel mare delle Andamane... Tutti i progetti sono previsti in remote regioni etniche e saranno
realizzati da una joint-venture tra il governo birmano e compagnie cinesi e thailandesi. Altre 13 dighe sono state pianificate,
più a monte, nel territorio della Cina…Attualmente, tra i progetti di dighe, quella prevista più a nord, nella regione Kokang,
presso il confine cinese, dove dallo scorso febbraio sono in corso scontri tra forze governative birmane e i separatisti etnici
della zona, resta quella più discussa. -30/03- SCONTRI NELL’ARAKAN, COLLOQUI DI PACE A YANGON… vicino al
confine con il Bangladesh, nello stato Rakhine, secondo fonti governative e dei media locali …Durante i colloqui per il cessate
il fuoco in corso a Yangon, combattimenti con le forze governative sono scoppiati anche in altre zone: nello stato Kachin, con
il Kachin Independence Army (Kia) e a Ta’ang, area Palaung, con le truppe di liberazione nazionale del Ta ‘(Tnla). Nel
frattempo, i militari del Myanmar hanno sostenuto di avere ottenuto il controllo totale della regione di Kokang, nel nord-est
dello stato Shan, dopo una serie di pesanti combattimenti... -31/03-DA GOVERNO E GRUPPI ETNICI VIA LIBERA A
INTESA TREGUA… Una copia del documento proposto per la tregua non è ancora disponibile. Secondo fonti dei media di
Yangon, le questioni del disarmo dei gruppi armati etnici, della creazione di un esercito federale e dell’autonomia federale
sono state lasciate fuori dall’accordo; questi nodi dovranno essere sciolti grazie a un dialogo a livello nazionale, dopo la firma
dell’accordo. I colloqui di cessate il fuoco a livello nazionale erano iniziati a metà del 2013 e sembravano progredire bene fino
al settembre dello scorso anno, quando i negoziati si erano venuti a trovare in una situazione di stallo a causa di differenze
fondamentali. Da allora, combattimenti sempre più intensi si sono verificati tra le forze governative e i gruppi armati Kachin e
Palaung. A metà febbraio un conflitto su vasta scala è scoppiato nel nord dello Stato di Shan tra l’esercito e il gruppo armato
Kokang. Gli scontri hanno causato decine di morti e la fuga di migliaia di civili nella vicina regione cinese. Il gruppo Kokang
aderisce all’Ncct, ma il governo finora si è rifiutato di riconoscerlo ufficialmente come soggetto autonomo. Allo stesso tempo,
il gruppo armato di liberazione nazionale Ta’ang, attivo sempre dello Stato di Shan, si è rifiutato di firmare l’accordo. La data
per l’eventuale firma definitiva dell’accordo proposto non è stata ancora comunicata.[PL]-10/04- SUU KYI MINACCIA
BOICOTTAGGIO DELLE ELEZIONI. Le elezioni del prossimo novembre, le prime che potrebbero consentire una possibilità
di sorpasso all’opposizione democratica rispetto alla maggioranza erede della dittatura militare, potrebbero essere boicottate
dalla Lega nazionale per la democrazia, che ha nel Premio Nobel per la Pace, Aung San Suu Kyi, l’esponente più carismatico.
L’eroina della democrazia birmana non ha escluso alcuna opzione, se le previste modifiche costituzionali che dovrebbero
essere proposte presto a un referendum non consentiranno reali cambiamenti, tra cui la possibilità per lei di partecipare
all’elezione presidenziale da parte del parlamento successivamente alle elezioni generali di novembre. L’attuale carta
costituzionale, che impedisce a chiunque abbia congiunti di nazionalità straniera di candidarsi alla presidenza, blocca la strada
a una candidatura di Suu Kyi, vedova di un accademico inglese e madre di due cittadini britannici. Inoltre, il 25% di seggi
parlamentari garantiti ai militari impedisce di fatto ogni vera riforma che richiederebbe la maggioranza del 76% dei voti, come
finora previsto nel caso di emendamenti costituzionali. Un’occasione importante, quella del voto autunnale, il primo a cui la
Lega nazionale per la democrazia potrà partecipare dopo 25 anni, dopo la vittoria schiacciante non riconosciuta dal regime nel
1990 e dopo essersi astenuta nel voto precedente del novembre 2010. “Non precludiamo a nessuna opzione. Nessun può sapere
che cosa succederà, per cui dobbiamo prevedere ogni possibilità”, ha detto la “signora della democrazia”, anticipando
l’incontro di oggi con il presidente del parlamento, l’ex generale Shwe Mann, il capo delle Forze armate e altre personalità che
partecipano al colloquio a sei sulla spinosa questione delle modifiche alla carta fondamentale dello Stato approvata sotto il
regime militare nel 2008. [CO]
NAMIBIA-13/03- UNA DONNA ALLA GUIDA DEL GOVERNO, È LA PRIMA VOLTA.Quarantotto anni, studi negli
Stati Uniti, economista e militante di lungo corso della Swapo, l’ex formazione guerrigliera che governa dal 1990: è l’identikit
di Saara Kuugongelwa, divenuta questa settimana la prima donna a essere nominata capo del governo della Namibia… La
nomina è stata annunciata nel corso di una conferenza stampa dal neo-eletto presidente Hage Geingob, che entrerà in carica il
21 marzo. Anche lui è un dirigente che ha vissuto negli Stati Uniti ed è tornato nel suo paese alla vigilia dell’indipendenza, nel
1989. Dopo aver guidato il governo per due anni, a novembre è stato in grado di consolidare il dominio politico della Swapo,
conquistando l’87% dei consensi.[VG]
NEPAL -17/03-SCUOLA, RAGAZZE PIU’ NUMEROSE DEI RAGAZZI… segno che l’accesso all’istruzione è enormemente aumentato negli ultimi anni e le campagne di informazione sui pericoli e i limiti dei matrimoni precoci, portate avanti da
più organizzazioni locali e internazionali, stanno dando i primi risultati… Secondo gli esperti, il Nepal ha fatto un notevole
progresso nella parità di genere a scuola grazie anche ad iniziative governative, come le borse di studio del 50% per tutte le
ragazze, l’aumento del numero di insegnanti donne, la creazione di servizi igienici separati per le ragazze oltre ad altri incentivi
e campagne di sensibilizzazione. “Ora la sfida sta nel tasso di successo. Le ragazze detengono ancora il tasso più alto tra gli
studenti bocciati… dove le ragazze costituiscono il 60% del totale degli esaminandi che si ripresentano alla prova. -19/03COSTITUZIONE, IL CONSENSO CHE NON C’E’. Il presidente dell’Assemblea costituente, Subas Chandra Nembang, ha
convocato oggi una riunione dei principali leader delle maggiori forze politiche e li ha esortati a raggiungere un consenso
prima del 25 marzo, sia sul contenuto della nuova costituzione come sul processo da seguire per l’approvazione… Il Nepal sta
cercando di scrivere una costituzione per la seconda volta, dopo il fallimento della prima Assemblea Costituente (Ca) di
quattro anni fa. L’intero sistema politico ed economico del paese ha subito uno stato di sospensione dal 2006, quando il
movimento popolare ha messo fine al decennale conflitto interno promettendo la pace e prosperità. Le questioni di rilievo che
impediscono il raggiungimento di un accordo tra partiti al governo e opposizione sono almeno tre, gli stessi che fecero fallire la
prima assemblea : laicità, processo elettorale e federalismo… La mancanza di consenso potrebbe portare ad un crollo della
seconda Assemblea costituente togliendo ancora una volta ai leader politici la possibilità di consegnare al Nepal la costituzione
e il federalismo promesso nell’accordo che ha portato la pace nel paese. -27/03- MALGOVERNO E CORRUZIONE
FRENANO AIUTI INTERNAZIONALI… Secondo la Commissione, la società del Nepal è talmente incline alla corruzione
che anche lavorare con le organizzazioni non governative non è una soluzione. Lo scorso anno, nell’indice della percezione
globale della corruzione stilato da Transparency International il Nepal è risultato al 126° posto su 175, in netto peggioramento
rispetto al 2013… Secondo i dati del Dipartimento il Nepal ha fatto enormi progressi nei settori della sanità, dell’acqua e dei
servizi igienico-sanitari, ma secondo la Commissione parlamentare il governo di Kathmandu dovrebbe anche affrontare le
esigenze delle donne e delle ragazze che sono a rischio di tratta, di matrimoni precoci, di abusi domestici e di disoccupazione …-07/04- SCIOPERI,SCONTRI E ARRESTI, IN ATTESA DELLA COSTITUZIONE. “ Dal momento che c’è il
rischio di perdere i risultati ottenuti attraverso decenni di lotta, esorto i partiti di opposizione di ritirare tutti i programmi di
protesta e di creare consenso attraverso colloqui, coordinamento e unità”, ha detto il primo ministro Sushil Koirala, dopo aver
saputo che i colloqui dell’Assemblea costituente, previsti per oggi, sono stati nuovamente rimandati di una settimana a causa
della forte protesta organizzata dai 19 partiti dell’opposizione. Questa mattina, la polizia ha arrestato dozzine di manifestanti
che hanno cercato di imporre uno sciopero nazionale e costretto fabbriche, scuole e trasporti pubblici a chiudere. … “I partiti di
governo ci hanno costretto a chiamare questo sciopero. La nuova costituzione deve essere redatta sulla base del consenso,
come previsto dall’accordo di pace. I partiti al governo non possono sfruttare il loro stato di maggioranza per fare quello che
vogliono” ha detto ai media locali Prem Bahadur Singh, portavoce dell’opposizione... [PL]
NIGERIA -16/03- CONFLITTO PER LA TERRA, ASSALTATO VILLAGGIO NELL’EST. Sono almeno 45, secondo
alcune fonti più di 80, le vittime causate dall’incursione di uomini armati in un villaggio nell’est della Nigeria: lo hanno riferito
funzionari della polizia locale, accreditando l’ipotesi di un conflitto tra comunità legato alla terra e ai diritti di pascolo. A
essere presi di mira sono stati ieri mattina gli abitanti di Egba, un villaggio dello Stato del Benue coinvolto in un contenzioso
con una comunità di pastori di etnia Fulani. “Hanno aperto il fuoco mentre la gente dormiva, uccidendo anche donne e
bambini” ha detto Audu Sule, un responsabile della polizia. I conflitti tra comunità di contadini e pastori sono particolarmente
frequenti nella fascia centrale della Nigeria (v.SGsMondo n79). Nel 2014 nell’assalto a un villaggio dello Stato di Kaduna
erano state uccise più di cento persone.[VG]
-24/03- ELEZIONI: JONATHAN TUTTO PER TUTTO (Intervista). “Il rinvio del voto ha alterato il gioco; bisogna capire
fino a che punto”: comincia da qui Tolu Ogunlesi, giornalista e blogger nigeriano, corrispondente della rivista Africa Report,
opinionista per Al Jazeera, il Guardian e il Financial Times, due volte vincitore dei Multichoice African Journalism Awards
messi in palio dalla Cnn. Con la MISNA parla da Lagos, la metropoli sub-sahariana più popolosa, motore economico di un
paese al bivio. Sabato ci sono le elezioni presidenziali e chi scommette rischia di sbagliare.
Domanda secca: a maggio chi giurerà da presidente?
“Cinque mesi fa avrei puntato sull’All Progressives Congress (Apc) e sul suo candidato, l’ex presidente Muhammadu Buhari.
Ma il rinvio delle elezioni, che si dovevano tenere il 14 febbraio, ha alterato il gioco. Bisogna capire fino a che punto”.
Il presidente Goodluck Jonathan sarebbe in recupero?
“In Nigeria non c’è una cultura dei sondaggi come da voi in Europa. Sono state pubblicate alcune rilevazioni, una ad esempio
relativa allo Stato di Lagos. Ma in genere non ci sono sondaggi dettagliati, accurati e indipendenti. Detto questo, l’impressione
è che nelle ultime settimane siano state rimescolate le carte. E i sostenitori di Buhari non sono più tanto sicuri di vincere”.
Chi ha speso più soldi durante la campagna elettorale?
“Nel complesso ne sono stati spesi molti, nonostante il crollo del prezzo del petrolio e le conseguenti difficoltà finanziarie per
un paese come la Nigeria, l’ottavo produttore mondiale. Tra i partiti, chi ha avuto a disposizione più risorse è stato senz’altro il
People’s Democratic Party (Pdp) di Jonathan. In una sola occasione, a dicembre, esponenti del mondo delle imprese e degli
affari si sono impegnati a sostenerlo con donazioni per 100 milioni di dollari. Il divario tra i partiti è apparso in modo ancora
più evidente nell’ultimo mese, dopo il rinvio del voto. Il prolungamento della campagna elettorale ha messo in grave difficoltà
finanziaria l’Apc: sembra che non abbiano più soldi”.
Si è detto di fondi sauditi per l’elezione di Buhari. L’ex presidente è un musulmano originario del nord della Nigeria, a
differenza di Jonathan, cristiano, nato e cresciuto politicamente nel sud ricco di petrolio…
“L’Arabia Saudita finanzia attività religiose in tutto il mondo musulmano, dunque anche in Nigeria. Ma su fondi a Buhari,
almeno per ora, non c’è alcuna prova”.
In che modo Boko Haram può condizionare l’esito delle elezioni?
“Le elezioni sono già state condizionate. La motivazione del rinvio è stata proprio la mancanza di sicurezza nelle regioni del
nord-est, nel bacino del Lago Ciad in parte occupato dal gruppo islamista. Molte città dell’area sono state abbandonate e
adesso gli abitanti si trovano nei campi per sfollati o in centri meno insicuri. Ma la crisi legata a Boko Haram, come dici,
influenzerà anche le scelte degli elettori. Molti credono che Buhari, un generale in pensione con molta esperienza in questioni
militari e di sicurezza, sia in una posizione migliore per contrastare Boko Haram. In questo senso la crisi ha tolto voti a
Jonathan. Ma è anche vero che in diverse zone del paese continueranno a prevalere scelte di appartenenza: nel Delta, ad
esempio, è improbabile che l’affinità etnica o religiosa non faccia pendere la bilancia a favore del presidente uscente”.
Quali sono le caratteristiche decisive dei due candidati principali? Cominciamo da Buhari, lo sfidante…
“Al di là della competenza nelle questioni militari e di sicurezza, il suo punto di forza è la fama di nemico inflessibile della
corruzione. Ma del periodo nel quale guidò il paese, tra il 1983 e il 1985, si ricorda anche la cosiddetta ‘guerra all’indisciplina’.
Nel tentativo di portare ordine nella vita pubblica furono licenziati funzionari e imposti divieti sulle importazioni di beni di
consumo: sul piano economico i risultati furono negativi”.
E Jonathan? Perché i nigeriani dovrebbero votarlo? Boko Haram si è preso un pezzo del paese e le ragazze di Chibok
sono scomparse nel nulla…
“I punti in suo sfavore non sono solo questi. Per quattro dei cinque anni durante i quali è stato presidente i prezzi del petrolio
sono stati alti ma il suo governo non è riuscito a mettere da parte quasi nulla. Nel Delta del Niger si continua a rubare il
greggio mentre i sussidi per il carburante si mangiano un pezzo di Pil. Insomma anche Jonathan, nonostante le circostanze
fossero favorevoli, in economia non ha fatto bene”.[VG]
-25/03-CORRUZIONE, ALLE URNE PER CAMBIARE (Intervista). “L’amministrazione di Goodluck Jonathan è stata la
più corrotta di sempre” dice alla MISNA il giornalista investigativo e attivista anti-corruzione Dotun Oloko. Un nome che
conoscono anche molti lettori italiani. È lui infatti il protagonista di “Soldi sporchi” (sottotitolo “Corruzione, riciclaggio e
abuso di potere tra Europa e Delta del Niger”), la “graphic novel” pubblicata quest’anno da Round Robin Editrice con il
racconto dell’ong Re:Common e i disegni di Claudia Giuliani. È la storia di miliardi di dollari sottratti ai cittadini e riciclati
con la complicità di fondi privati, istituzioni europee e faccendieri senza scrupoli. Okolo, che vive a Londra e collabora con
diverse ong, tra le quali Global Witness e Corner House, ha contribuito in particolare a far luce sulle malversazioni di James
Ibori: governatore dello Stato del Delta dal 1999 al 2007, compagno di partito di Jonathan, condannato da un tribunale inglese
a 13 anni di carcere.
Quale è il suo giudizio sui cinque anni di Jonathan alla guida della Nigeria?
“La sua è stata l’amministrazione più corrotta di sempre. Non ha fatto nulla per promuovere la trasparenza e la responsabilità.
Al contrario, ha fatto tornare la Nigeria indietro. Solo un esempio, che voi italiani dovreste conoscere: l’acquisizione da parte
di Eni del blocco petrolifero Opl 245. È stata una violazione fragrante della Costituzione della Nigeria. Il governo di Jonathan
ha agito come broker tra una società locale che deteneva una licenza di sfruttamento illegalmente ed Eni e Shell, che non
hanno rispettato regole e procedure. L’affare ora è al centro di un’inchiesta della magistratura italiana. Mentre in Nigeria anche
l’attorney general ha accusato il governo di aver agito come un middleman, un intermediario”.
Quando guidava la Banca centrale della Nigeria, Sanusi Lamido Sanusi aveva denunciato un buco da 13 miliardi di
dollari nei conti della compagnia petrolifera di Stato. L’ex presidente Muhammadu Buhari, principale candidato
dell’opposizione, garantirebbe una gestione più trasparente?
“Senz’altro. Buhari è noto per il suo impegno contro la corruzione. E la corruzione è l’ostacolo principale allo sviluppo della
Nigeria. Se prevalesse la volontà democratica dei nigeriani le cose andrebbero molto meglio. La maggioranza della
popolazione desidera un cambiamento e che Jonathan lasci il potere. Il presidente lo sa e ha cercato di impedire in ogni modo
che questa volontà si esprima. Ha fatto rinviare le elezioni e adottato una serie di decisioni incostituzionali, come il
dispiegamento dei militari nei seggi il giorno dello scrutinio. E tralasciamo pure i tentativi, tra il grottesco e il ridicolo, di
rilevare presunte irregolarità nel curriculum degli studi e nella candidatura di Buhari; come se non fosse già preso parte ad altre
elezioni e non avesse già guidato il paese”.
E Boko Haram? Come condizionerà le elezioni?
“L’aumento esponenziale delle minacce alla vita civile da parte di questo gruppo mette Jonathan direttamente sotto accusa. È
la dimostrazione della sua incapacità e del suo fallimento. Sono in tanti a credere che contro Boko Haram il presidente abbia
fatto poco o nulla. E questo non è vero soltanto al nord, dove le conseguenze della crisi e le devastazioni sono state più gravi,
ma anche al sud. E lo dice uno che è nato e cresciuto a Lagos, in riva all’Oceano. È per impedire questa presa di coscienza che
Jonathan ha cercato in tutti i modi di alimentare spaccature su base regionale o religiosa”.
-27/03- JONATHAN-BUHARI ALL’ULTIMO VOTO. “È stato un grande momento; ringraziamo Dio, anche per le tante
espressioni di vicinanza e solidarietà, da parte di Papa Francesco e di tutti coloro che sperano domani in Nigeria vada nel modo
migliore”. Monsignor Matthew Hassan Kukah, vescovo di Sokoto, parla con la MISNA dopo aver letto di fronte al presidente
uscente Goodluck Jonathan e al suo sfidante Muhammadu Buhari il testo di un accordo che impegna entrambi i candidati a
favorire un voto “libero, trasparente e pacifico”. Il documento è il punto d’arrivo di settimane d’incontri del Comitato
nazionale per la pace, un organismo presieduto dall’ex capo di Stato Abdulsalami Abubakar nel quale sono rappresentati
esponenti delle religioni più diffuse nel paese: oltre a monsignor Kukah, vescovo di una diocesi ai confini con il Sahel, Sa’ad
Abubakar, il sultano di Sokoto, massima autorità dell’islam nigeriano. Con la firma apposta giovedì all’Hotel Sheraton di
Abuja i principali dei 14 candidati alla presidenza chiedono ai loro sostenitori di “astenersi da qualsiasi violenza e rispettare
l’esito del voto” e a tutti gli organismi preposti alla sicurezza di “attenersi in modo rigoroso ai ruoli prescritti dalla Costituzione” … nodo irrisolto è la corruzione. “L’amministrazione di Jonathan non ha fatto nulla per promuovere la trasparenza e la
responsabilità” denuncia Dotun Oloko, un giornalista che ha indagato su molti casi di appropriazione indebita di fondi pubblici
nel comparto petrolifero, settore chiave nell’economia nazionale. Il caso dell’acquisizione del blocco Opl 245, con il sospetto
di tangenti versate anche per conto del gruppo italiano Eni, è solo uno degli esempi portati da Oloko. Convinto come molti che
proprio la fama di nemico inflessibile della corruzione sia il punto di forza di Buhari… A questi ricordi sono legati anche i
punti deboli del generale. “Meglio un ex dittatore che un presidente fallito” ha sentenziato il settimanale britannico Economist,
… A favore di Jonathan sembra aver giocato la maggior disponibilità di risorse finanziarie. Il presidente può contare sulla
capacità di mobilitazione e influenza del People’s Democratic Party (Pdp), il partito che governa il paese dalla fine dei regimi
militari nel 1999. In una sola serata, il 23 dicembre scorso, industriali e banchieri hanno messo sul piatto per la rielezione di
Jonathan l’equivalente di cento milioni di dollari. E il prolungamento della campagna elettorale ha ulteriormente alterato gli
equilibri a svantaggio dell’All Progressive Congress (Apc), il partito di Buhari nato nel 2013 da una nuova, più ampia alleanza
tra forze di opposizione… -CARTE BIOMETRICHE, REGOLE, CANDIDATI: SI VOTA COSÌ . Si chiamano “Permanent
Voter Card” (Pvc) e sono carte biometriche che identificano gli elettori attraverso impronte digitali e fotografie. Ne sono state
distribuite alla gran parte degli oltre 68 milioni di votanti… Ingente il dispiegamento di forze dell’ordine, che dovranno per
altro monitorare il rispetto di un divieto alla circolazione di veicoli a motore. La paura, anche domani, è che possano esserci
attentati di Boko Haram. [VG] -29/03-h 22:40- Opposizione denuncia frodi in stato Rivers.(Fr24). -30/03-ELEZIONI: VOTO
PACIFICO, IL PAESE COL FIATO SOSPESO…In molti stati del paese – principale economia africana e produttore di
petrolio – le votazioni sono state protratte anche nella giornata di domenica in seguito a problemi causati dalle carte
biometriche che non hanno funzionato, impedendo a molti elettori di votare. Un inconveniente che ha toccato lo stesso
presidente Jonathan e che ha costretto la commissione elettorale a diffondere un comunicato urgente con il quale chiedeva ai
funzionari di procedere con il controllo manuale dei votanti … lodato lo svolgimento del voto pacifico e l’alta affluenza degli
elettori. “Un dato – ha osservato – che indica chiaramente come la sensibilità democratica stia pian piano arrivando alla
maturità nel nostro paese”… [AdL] -31/03- ELEZIONI: PRIMI RISULTATI, ATTESA PER STATI CHIAVE. Il generale
Muhammadu Buhari è in vantaggio di due milioni di voti sul presidente uscente Goodluck Jonathan dopo lo spoglio delle
schede di 19 dei 37 Stati della Nigeria … È eletto presidente il candidato che ottiene la maggioranza dei voti e almeno il 25%
dei consensi in due terzi degli Stati.[VG] -BUHARI VINCE PRESIDENZIALI, RISULTATO STORICO DELLA
OPPOSIZIONE. Muhammadu Buhari è stato dichiarato vincitore delle elezioni presidenziali in Nigeria: l’annuncio ufficiale è
arrivato dalla commissione elettorale nazionale. È la prima volta dalla fine del regime militare nel 1999 che l’opposizione
nigeriana riesce a sconfiggere il governo in carica. La differenza tra i due schieramenti è di oltre due milioni di voti.
Buhari (generale a riposo ed ex dittatore militare negli anni ’80) e il suo Congresso di tutti i progressisti (Apc) hanno sconfitto
il presidente in carica Goodluck Jonathan e il Partito democratico del popolo (Pdp) in molti stati chiave…[DM]
-01/04- CARDINALE ONAIYEKAN: “UN VOTO PER LA DEMOCRAZIA”. “Possiamo camminare a testa alta, consapevoli
che la Nigeria è l’unico paese che può guidare l’Africa”: il cardinale John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja, parla
con la MISNA poco dopo il primo discorso da presidente di Muhammadu Buhari. Che mentre migliaia di nigeriani
festeggiavano nelle strade l’elezione di un candidato di opposizione alla massima carica della Federazione, un fatto senza
precedenti, ha detto: “Abbiamo dimostrato al mondo di aver abbracciato la democrazia e lasciato alle spalle il sistema del
partito unico”.
Eminenza, questa mattina i giornali di tutto il mondo celebrano quasi con sorpresa un’elezione democratica e nel
complesso pacifica. È andata davvero così?
“Queste elezioni sono state molto importanti per la crescita democratica del nostro paese. Sono state organizzate bene e per la
prima volta i risultati sono stati accettati sia dal vincitore che dal perdente. Che il nostro presidente abbia riconosciuto la
sconfitta e si sia congratulato con il suo rivale prima ancora dell’annuncio ufficiale dei dati definitivi è stata una grazia di Dio.
Ora la Nigeria può andare avanti. È cambiata l’atmosfera”.
Buhari ha già guidato il paese tra il 1983 e il 1985, dopo aver preso il potere con un golpe. Cosa ricorda di quella
esperienza di governo? E cosa si aspetta oggi dal nuovo presidente?
È giusto ricordare che negli anni ’80 Buhari fu un dittatore militare ma ora lo scenario è cambiato, abbiamo un sistema di
governo civile e democratico. Come si comporterà ora il nuovo presidente è presto per dirlo, lo vedremo. La mia preghiera è
che sappia affrontare i gravi problemi della Nigeria, impegnandosi per la pace, l’unità e l’armonia del paese. Quella
dell’armonia religiosa, in particolare, sarà una grande sfida per Buhari. Il fatto che sia un musulmano devoto non è un
problema. Meglio trattare con un musulmano devoto che con un falso musulmano! Il presidente dovrà mantenere la promessa
di riconoscere l’importanza per la Nigeria di tanti cristiani devoti e di lavorare insieme con loro”.
Molti osservatori sostengono che Buhari abbia vinto per la sua fama di nemico inflessibile della corruzione e la
speranza che, anche grazie alla sua esperienza in questioni militari e di sicurezza, sappia risolvere la crisi legata a Boko
Haram. È d’accordo?
“Credo che la maggioranza dei nigeriani abbia scelto Buhari perché era insoddisfatta dello status quo e, dopo 16 anni, voleva
un cambiamento. Ora si aspetta decisioni in tempi brevi e un nuovo stile di governo. A partire dalle questioni che menzionava,
la corruzione e la sicurezza. Anzi metterei al primo posto la sicurezza perché se non c’è sicurezza non si possono ottenere
risultati in nessun altro campo. Spero che con Boko Haram il nuovo presidente adotti una strategia differente, non solo sul
piano militare ma anche tentando di coinvolgere chi è dentro e dietro questo gruppo. Quanto alla corruzione, è vero che Buhari
tentò di combatterla. Quando era alla guida del paese lanciò la ‘guerra all’indisciplina’ ma i risultati ottenuti furono
controversi. Per imporre le sue politiche usò l’esercito ma questo oggi, in un sistema democratico, non si può fare. Vedremo
insomma se Buhari affronterà i casi di corruzione sui quali Jonathan non è intervenuto. Ma toccherà anche ai nigeriani”.
I risultati delle elezioni riproducono il quadro di un paese politicamente diviso tra un nord favorevole al nuovo
presidente e un sud perlopiù dalla parte di Jonathan?
“Non è una sorpresa che i candidati ottengano più voti nei loro bacini elettorali tradizionali. Anche in Nigeria è andata così,
con Jonathan forte nel profondo Sud e nel Sud-est e Buhari vincitore nel Nord a maggioranza musulmana. Credo che però il
dato più importante sia l’accettazione dei risultati da parte del presidente uscente. Che è andato anche oltre: ha rivolto un
appello ai suoi sostenitori, chiedendo loro di riconoscere l’esito del voto ed eventualmente di presentare ricorsi nel rigoroso
rispetto della legge. Sono sicuro che se ci dovessero essere disordini in alcune zone del paese, la posizione dei due candidati
aiuterebbe la pace e consentirebbe di affrontare meglio qualsiasi tipo di violenza”.
Le elezioni nigeriane possono essere un modello per tutta l’Africa?
“Da oggi possiamo camminare a testa alta, consapevoli che la Nigeria è l’unico paese che può guidare l’Africa. E che il gigante
africano si sta risvegliando”.[VG]
-L’ATTIVISTA ELETTO SENATORE: I MIEI CONSIGLI A BUHARI
“Per tagliare l’erba sotto i piedi a Boko Haram bisogna salvare il Lago Ciad” dice alla MISNA Shehu Sani, attivista nigeriano
impegnato nella difesa dei diritti umani, appena eletto senatore nel nord del paese che a stragrande maggioranza ha scelto
Muhammadu Buhari come presidente.
Di Sani molti ricordano la campagna del 2010 contro la visita in Nigeria del presidente americano George W. Bush e del primo
ministro inglese Tony Blair o e quelle contro le offensive militari di Israele nella Striscia di Gaza. L’intervista comincia però
inevitabilmente dall’elezione alla presidenza di un candidato di opposizione, una prima assoluta in Nigeria. Affrontando poi le
questioni per le quali Sani si batte da anni con la coalizione di ong Civil Rights Congress, i diritti umani e quindi Boko Haram
e la lotta alla povertà. Con l’impegno, assicura l’attivista divenuto senatore, che l’elezione nella circoscrizione di Kaduna con
l’All Progressive Congress (Apc) di Buhari sia solo uno strumento in più.
Onorevole, come si sono risvegliati oggi i nigeriani?
“Con tanta speranza. E decisi a chiedere a Buhari di guidare il loro paese fuori dalla crisi economica, sociale e politica nella
quale è sprofondato. Vogliono che il presidente dia una direzione alla Nigeria, quella direzione che negli ultimi anni è
mancata”.
Quali dovrebbero essere le priorità del nuovo presidente?
“Le questioni da affrontare, già nel primo anno, sono quattro. Buhari dovrà favorire la riconciliazione nazionale, impegnandosi
a sanare le ferite e le spaccature tra le diverse comunità regionali e religiose del paese. Poi dovrà affrontare la ribellione nel
Nord-est e porre fine alle violenze. In terzo luogo, dovrà combattere la corruzione. L’impegno forse più urgente è però quello
per la ripresa dell’economia. Bisogna costituire subito un gruppo di lavoro che elabori una strategia per superare la crisi legata
al crollo dei prezzi del petrolio, ormai sotto i 50 dollari al barile. È una questione decisiva perché la Nigeria dipende quasi
completamente dalle esportazioni di greggio”.
Le 37 ong del Civil Rights Congress si occupano da anni di violazioni dei diritti umani legate anche al conflitto tra
l’esercito e Boko Haram. Qual è la strategia giusta per risolvere la crisi?
“Ci sono piani e tempi differenti. Nel breve periodo, Buhari dovrà insistere con la risposta militare, rafforzando la
cooperazione avviata nei mesi scorsi con gli eserciti dei paesi vicini. Nel medio periodo, sarà invece necessario stabilire un
canale di dialogo con Boko Haram. Solo così potranno tornare a casa le oltre 200 ragazze sequestrate a Chibok un anno fa. C’è
infine una dimensione sociale ed economica, cruciale. Il Nord-est della Nigeria sta pagando l’emergenza ambientale del Lago
Ciad, la cui superficie si è ridotta in mezzo secolo da 25.000 ad appena 2500 chilometri quadrati. I contadini e pescatori di
questa grande regione si sono impoveriti e sono ormai spesso facili reclute per Boko Haram. Bisogna aiutarli, dandogli la
possibilità di stare in piedi sulle proprie gambe. L’estremismo si combatte così”.
Buhari è un ex dittatore militare. Può avere questa lungimiranza?
“Lo vedremo, ma diciamo che alle spalle ha alcune esperienze che possono essergli utili. Nella seconda parte degli anni ’70,
prima di assumere la guida della Nigeria, fu governatore del Borno, lo Stato dove Boko Haram è nato ed è più forte. In seguito,
nella stessa zona, coordinò le operazioni dell’esercito. Quanto all’economia, non bisogna dimenticare che negli anni ’90 il
nuovo presidente era già stato ministro del Petrolio”.[VG]
-BUHARI, “LIBEREREMO IL PAESE DAI TERRORISTI”. Il neo-eletto Presidente della Nigeria, Muhammadu Buhari, ha
dichiarato la sua ferma volontà di lottare efficacemente contro il gruppo estremista Boko Haram, che ha devastato il nord-est
del paese negli ultimi sei anni… Buhari ha quindi passato in rassegna le priorità del suo mandato, che inizierà ufficialmente il
29 maggio, data del suo insediamento, sottolineando la necessità di mettere da parte le rivalità politiche, dopo una campagna
particolarmente accesa e promettendo di formare un governo “di tutti i nigeriani”. Ribadendo la necessità di combattere la
corruzione uno dei cavalli di battaglia della sua campagna – Buhari ha aggiunto che “nessuno sarà considerato al di sopra della
legge”.“Voi siete il mio popolo – ha concluso – e io saprò trattare ciascuno di voi come uno dei miei”. [AdL]
PAKISTAN [vedi pregressi inSGsMondo nn90, 88 87 85,84,83 e.preced.] -16/03- ATTACCHI ALLE CHIESE,
CONDANNE E VOGLIA DI GIUSTIZIA. “Noi come nazione dobbiamo stare con le famiglie delle vittime e fermare
l’estremismo in comune. Questo cattivo uso della religione come pretesto per uccidere minoranze deve essere interrotto.
Chiediamo che il governo provinciale e federale prenda misure serie ed efficaci per proteggere le minoranze del Pakistan”: lo
ha detto Padre Emmanuel Yousaf Mani, direttore del Centro nazionale di pace e giustizia, dopo gli attacchi di ieri a due chiese
di Lahore [una cattolica ed una protestante] che hanno causato la morte di 15 persone e circa 80 feriti.Allo stesso tempo, in un
messaggio alla comunità cristiana, il primo ministro Nawaz Sharif ha detto che gli attentati [kamikaze], rivendicati da un
gruppo talebano, costituiscono un attacco contro lo stato del Pakistan…. È una sfida per tutti noi ad alzare la voce contro
questo tipo di attacchi” ha dichiarato ai giornalisti monsignor Sebastian Shah, vescovo di Lahore, rendendo onore ai giovani
martiri che hanno impedito ai militanti talebani di entrare nelle chiese dove erano in corso le celebrazioni domenicali. Il
vescovo ha anche chiesto che le indagini vengano affidate alla giustizia militare, poiché la magistratura, in genere, ha timore ad
affrontare simili casi… i terroristi hanno approfittato del fatto che le forze di polizia del Punjiab erano occupate a vedere la
partita di cricket, trasmessa in diretta Tv, durante le ore di ufficio. I militanti sono stati fermati dalla sicurezza privata delle
comunità cristiane, che hanno sacrificato la loro vita, impedendo agli attentatori di causare un maggior numero di vittime. [PL]
-h10:30-due presunti fiancheggiatori degli attentatori linciati a sassate dalla folla inferocita, che ne ha bruciato i corpi.(radio
Marconi). -24/03- A SCUOLA IL DISCORSO DI JINNAH (1947), CONTRO L’INTOLLERANZA “Siete liberi, siete liberi
di andare ai vostri templi, siete liberi di andare alle vostre moschee o in qualsiasi altro luogo di culto in questo Stato del
Pakistan. Potete appartenere a qualsiasi religione o casta o credo. Ciò non ha nulla a che fare con il business dello Stato”, aveva
detto Mohammad Ali Jinnah, il padre della nazione, nel suo storico discorso davanti all’Assemblea costituente del paese, l’11
agosto 1947. Nella speranza che ancora oggi le parole di Jinnah possano ispirare le generazioni future verso ideali di libertà
religiosa, di armonia e di uguaglianza per tutti, il governo della provincia del Sindh, secondo fonti del ministero della
Istruzione, ha deciso di introdurre il discorso nel curriculum educativo… “Dato il crescente numero di attacchi contro le
minoranze, è incoraggiante che nel paese si stia gradualmente realizzando l’importanza dell’istruzione senza odio per tutti” ha
detto Salim Michael, un consulente legale per la Ncjp, che ha accolto con favore la decisione del Sindh. -31/03- LAHORE,
DOPO ATTENTATI A CHIESE , PRESSIONI SULLA COMUNITA’ CRISTIANA “In seguito agli attentati alle due chiese
di Lahore che hanno causato la morte di 16 persone, lo scorso 15 marzo, la polizia ha arrestato più di 100 giovani cristiani, in
collegamento con i disordini e l’uccisione di due uomini musulmani sospetti di essere stati complici degli attacchi” …
“Abbiamo presentato una petizione presso l’Alta Corte di Lahore, chiedendo il rilascio dei cristiani perchè detenuti
illegalmente dalla polizia del Punjab” … ci sono timori che questi uomini possano essere torturati, nonostante il Pakistan abbia
ratificato la Convenzione per i diritti umani delle Nazioni Unite contro la tortura. Inoltre la polizia sta dicendo alle famiglie
che devono pagare una tassa per il ritorno dei loro giovani. “ Una richiesta totalmente illegittima” ha commentato Francis. La
Commissione indipendente dei diritti umani del Pakistan ha espresso seria preoccupazione per gli arresti di massa e per il
“clima di paura” che da allora prevale all’interno della comunità cristiana di Lahore. ..esprimendo sorpresa per i sistemi e i
comportamenti usati dalle forze di polizia nel fare incursione nelle case dei cristiani, anche dopo la mezzanotte.
PAKISTAN USA-08/04- IN ARRIVO NUOVI ARMAMENTI “MADE IN USA”. Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti
ha approvato la richiesta del Pakistan per una possibile vendita di hardware militare che include elicotteri d’attacco, missili e
apparecchiature di comunicazione per un costo stimato di 952 milioni di dollari, …il quotidiano americano Wall Street
Journal fa notare che “le aziende Usa della difesa sono impegnate in una lotta a tre, con la Russia e la Cina, per vendere armi al
Pakistan, complicata dalla necessità di evitare di infastidire la vicina India”. La scorsa settimana, il governo pakistano ha anche
confermato l’acquisto di otto nuovi sottomarini dalla Cina, per un costo stimato tra i 4-5 miliardi di dollari. Dal 2010 al 2014,
Pechino ha fornito il 51% delle armi importate da Islamabad e, secondo lo Stockholm International Peace Research Institute
(Sipri), il Pakistan è stato uno dei primi cinque importatori di attrezzature militari in tutto il mondo. Nonostante l’approvazione
del Dipartimento di Stato, sarà il Congresso degli Stati Uniti a dire l’ultima parola per questa nuova spedizione di armi verso
l’Asia meridionale. PAKISTAN -10/04- I TALEBANI DI BAJAUR SI UNISCONO ALLO STATO ISLAMICO…Gli altri
gruppi talebani pakistani che in questi mesi hanno perso il controllo del Nord Waziristan e di Tirah Valley, nell’area tribale
Khyber al confine con l’Afghanistan, a causa della persistente offensiva militare che ha causato la morte di oltre
mille militanti, non hanno ancora commentato la dichiarazione.[PL]-12/04-h00:50-Balucistan: 20 le vittime di un agguato. –
h00:51-Liberazione del terrorista ‘mente’ degli attentati di Bombay di qualche anno fa. Proteste indiane e Usa. –h00:53-A
sorpresa il Parlamento rifiuta di schierarsi con la coalizione antisciita in Yemen ed opta per la neutralità.(Fr24).
PALESTINA -01/04- ENTRA A FAR PARTE DELLA CORTE PENALE INTERNAZIONALE. La Palestina è diventata
ufficialmente [il 123mo Stato(Fr24)]parte della Corte Penale internazionale (Cpi -Icc). L’adesione è stata ufficializzata oggi …
La possibilità di aderirvi si era aperta nel 2012 con il riconoscimento della Palestina come ‘stato osservatore non membro’
dell’assemblea generale dell’Onu. Chiedendo l’adesione alla Cpi, Abbas aveva anche inviato alla corte un documento con cui
autorizzava la procuratrice Fatou Bensouda ad indagare su presunti crimini avvenuti nei territori palestinesi dopo il 13 giugno
2014. [DM]
PERÙ -19/03- DIMEZZATA LA MALNUTRIZIONE CRONICA INFANTILE. La malnutrizione cronica infantile si è
dimezzata tra il 2006 e il 2013 in Perù, grazie al miglioramento dell’attività economica e il maggiore accesso ai programmi
sociali… È emerso che la malnutrizione infantile è scesa dal 42% al 21%. .. Tuttavia in regioni molto degradate, come ad
esempio quella andina di Huancavelica, arriva fino al 51%. Le zone rurali peruviane mantengono standard nettamente inferiori
a quelle urbane per condizioni di vita e servizi alla popolazione. -25/03- AREQUIPA: POLIZIA DISPERDE ‘CAMPESINOS’
CONTRARI A PROGETTO MINERARIO… nel sud del Perù, …I contadini manifestano contro un progetto per l’estrazione
di rame della compagnia Southern Copper, del valore di 10,4 miliardi di dollari, che dovrebbe entrare a regime a partire dal
2016 nel giacimento denominato ‘Tia Maria’…Se le attività minerarie sono vitali per l’economia nazionale peruviana –
rappresentano il 60% delle esportazioni per il terzo produttore mondiale di rame – sono costantemente fonte di aspri conflitti
sociali... [FB]
RWANDA ISRAELE-03/04- ACCORDO PER RICEVERE I MIGRANTI eritrei e sudanesi ESPULSI da ISRAELE
…e temono di soffrire abusi dei diritti umani se rimpatriati… I migranti eritrei e sudanesi che Israele intende espellere
sarebbero circa 50.000, ma la politica – definita da Tel Aviv di ‘rimpatri volontari’ – è stata criticata dalle organizzazioni
internazionali per i diritti umani, anche perché il futuro di quanti vengono inviati in paesi diversi da quello d’origine non
sarebbe garantito. Un primo gruppo arrivato lo scorso anno a Kigali – ha riferito in effetti il quotidiano israeliano Haaretz – si
è visto concedere solo un visto turistico della durata di 10 giorni e non asilo politico o un permesso di lavoro, come erano stati
indotti a credere.[DM]
SENEGAL -23/03-KARIM WADE CONDANNATO A SEI ANNI DI CARCERE …E a pagare una multa da 138 miliardi di
franchi Cfa, circa 228 milioni di dollari. Karim Wade, figlio dell’ex presidente Abdoulaye Wade, era stato eletto candidato del
Partito democratico del Senegal con i voti di 257 delegati su 268. [VG] (vSGsMondo nn90, 88).
SIERRA LEONE -19/03- VICE-PRESIDENTE DESTITUITO, RICORRE IN TRIBUNALE -Il vice-presidente della Sierra
Leone, Samuel Sam-Sumana, ha annunciato oggi la decisione di far ricorso presso la Corte suprema contro la decisione del
capo di Stato Ernest Bai Koroma di destituirlo dall’incarico… Il 6 marzo Sam-Sumana era stato sanzionato dall’All Peoples
Congress (Apc) per il presunto perseguimento di “obiettivi contrari al partito”. Pochi giorni dopo aveva denunciato un
tentativo di arresto e chiesto asilo all’ambasciata USA a Freetown. Koroma è al suo secondo e ultimo mandato.[VG]
SIRIA [vedi pregressi inSGsMondo nn90, 88, 87 .85-83 e.precedenti] -13/03- QUATTRO ANNI DI GUERRA, IL NUNZIO:
NON PERDIAMO ALTRO TEMPO. “Se guardo indietro a questi quattro anni vedo la mancanza di buona volontà da parte di
chi avrebbe potuto porre fine al conflitto e tante, troppe, occasioni sprecate”: è un quadro amaro quello che il nunzio apostolico
in Siria, msg. Mario Zenari, traccia alla MISNA nel quarto anniversario dall’inizio degli scontri che hanno causato oltre 220
mila morti e quattro milioni di sfollati e rifugiati.
Il conflitto nel paese sta per entrare nel quinto anno. In che condizioni versa la popolazione siriana?
La situazione in Siria è più disperata che mai. Ricordo che all’inizio del conflitto, quando le proteste di piazza del venerdì
venivano represse dalle forze dell’ordine, le vittime si contavano di settimana in settimana., Aspettavamo, col fiato sospeso che
le moscheee finissero la preghiera rituale chiedendoci cosa sarebbe accaduto e se ci sarebbero state vittime. Da allora sono
passati quattro anni, quasi 1500 giorni e adesso i morti si contano a centinaia ogni giorno. Nel 2014, Annus Horribilis di questo
conflitto insensato, ne abbiamo contati una media di 200 al giorno.
Una ricerca condotta dalla coalizione di ong With Syria ha rivelato che il conflitto ha spento l’83% delle luci del paese.
Praticamente un ritorno al Medioevo…
I blackout sono un grosso problema che si aggiunge a quelli già quotidianamente sopportati dagli abitanti di questa terra
martoriata. In certe zone nei dintorni di Aleppo la luce c’è solo per poche ore al giorno. Ma quello che mi preme di sottolineare
è che la Siria non è al buio solo per la mancanza di corrente elettrica. All’oscurità nelle case corrisponde un’oscurità nei
notiziari e nella visibilità mondiale. Di Siria non si parla più o comunque non abbastanza, per cercare di trovare una via
d’uscita a questa guerra. Troppo spesso si parla del conflitto solo in relazione alle efferatezze del cosiddetto Stato Islamico in
Iraq e Siria (Isis) ma si dimentica che qui la guerra causa vittime tutti i giorni. E quei morti stanno davvero diventando
‘invisibili’.
A quasi cinque anni dall’inizio degli scontri, quanto siamo lontani da una possibile soluzione?
Se guardo indietro a questi quattro anni vedo la mancanza di buona volontà da parte di chi avrebbe potuto porre fine al
conflitto e tante, troppe, occasioni sprecate. La principale ha una data precisa: 30 giugno 2013, quella posta in calce alla
Dichiarazione di Ginevra, quando si riuscì a portare i vari attori del conflitto ad un tavolo dei negoziati per la creazione di un
governo di unità. La soluzione era a portata di mano ma non si è voluta cogliere.
Non c’è nessun appiglio per continuare a sperare?
Un risultato positivo in questi anni è stato raggiunto: l’accordo per lo smantellamento dell’arsenale chimico dell’esercito nel
settembre 2013. Nonostante le tenui aspettative si è riusciti a portare quegli ordigni micidiali fuori dal paese, grazie alla
pressione delle superpotenze. Pensi se ciò non fosse accaduto e quelle armi fossero cadute nelle mani dei gruppi estremisti….
Ritiene che quella stessa determinazione da parte della comunità internazionale e quelle pressioni per un accordo sulle
armi chimiche siano mancati per convincere le parti a porre fine alle ostilità?
Le divisioni in seno al Consiglio di sicurezza non sono un segreto per nessuno. E anche gli interessi contrapposti delle potenze
regionali non hanno fatto che alimentare la violenza e le divisioni settarie. Ma arrivati a questo punto a chi interessa attribuire
colpe? Quello che serve è l’immediata fine dei combattimenti e un programma di aiuti per contrastare una crisi umanitaria che
ha ridotto in ginocchio il paese. Che almeno non si perda altro tempo![AdL]
-13/03-h23:28-Dal 2011 oltre 13000 uccisi sotto tortura nelle carceri del regime di Assad. 215mila i morti., Più di 2.700.000
i profughi e gli sfollati.(Fr24)
-16/03- RAID AEREI E VITTIME CIVILI, KERRY: NEGOZIARE CON ASSAD.Almeno 26 civili – tra cui sette bambini –
sono rimasti uccisi e un centinaio feriti nei raid messi a segno dall’aviazione sulla cittadina di Douma, bastione della
insurrezione contro il presidente Bashar al Assad, a est di Damasco. Lo riferisce l’ong Osservatorio siriano per i diritti umani
secondo cui il bilancio è destinato a crescere a causa del gran numero di feriti. I bombardamenti si verificano nel quarto
anniversario dall’inizio delle violenze, cominciate con manifestazioni pacifiche represse con violenza dal governo e poi
sfociate in una drammatica guerra civile, che hanno causato A proposito del conflitto che insanguina il paese, ieri il Segretario
di Stato americano John Kerry ha dichiarato che “alla fine gli Stati Uniti dovranno negoziare con Assad” per trovare una
soluzione che ponga fine ai combattimenti…er la prima volta infatti, Kerry non ha ripetuto che Assad ha perso legittimità e che
il percorso di pace è legato al suo abbandono del potere …[AdL] -17/03-h22:55- Forze aeree di Assad Abbattono un drone
Usa e scaricano su Idleb 8 barili di esplosivo uccidendo anche 6 civili.- l’85% del paese è praticamente senza energia
elettrica. -20/03-h23:20-Oltre 20 le vittime di un attentato durante una festa curda.(Fr24) SIRIA GIORDANIA-16/03-
h22:28- Amman necessita di ca. 2,5miliardi di dollari Usa per l’assistenza ai profughi siriani (oltre 1,5milioni) presenti sul suo
territorio.(Fr24) SIRIA-23/03-h22:40-Organizzazione Onu per i rifugiati denuncia che ribelli e jihadisti attaccano indiscriminatamente anche i civili.(Fr24) -30/03-h21:35-Onu denuncia aggravarsi della ‘catastrofe umanitaria’ – i contributi dei paesi
‘donatori’ sono ad ora limitati al 10% delle promesse.(Fr24). -31/03- ISTRUZIONE, UNA “GENERAZIONE PERDUTA”.
Sono 3 milioni i bambini che in Siria non hanno la possibilità di andare a scuola. In oltre quattro anni di conflitto i tassi di
iscrizione alle scuole dell’obbligo sono crollati del 50% e nelle zone più colpite dagli scontri, come quella di Aleppo, sono solo
il 6% i bambini che hanno accesso all’istruzione. Lasciano senza parole i dati contenuti nell’ultimo rapporto di Save the
Childen, pubblicato oggi, secondo cui il conflitto nel paese mediorientale ha causato un collasso nel sistema educativo di base
– uno dei migliori della regione prima della guerra – e dato alla luce una “generazione perduta” in termini di istruzione…
“Senza ingenti investimenti da parte della comunità internazionale e un supporto all’istruzione – ha lamentato Hearn – le
prospettive di una generazione di bambini siriani e la possibilità dell’intera Siria di guardare a un futuro prospero e pacifico
sono sconfortanti”.[AdL] -01/04- SCONTRI AL CONFINE CON GIORDANIA, ISIS PENETRA A YARMOUK
Violenti combattimenti si sono verificati oggi tra ribelli islamisti e truppe governative al valico di frontiera di Nasib, provincia
meridionale di Daraa. ... In conseguenza dei combattimenti, la Giordania ha chiuso le frontiere con la Siria. Nelle ultime
settimane i gruppi ribelli in armi contro il regime di Damasco hanno guadagnato ampie porzioni di territorio nella provincia,
culla dei movimenti di protesta contro il presidente Bashar al Assad nel 2011. La scorsa settimana i combattenti – tra cui
elementi del Fronte al Nusra, affiliato ad Al Qaida – hanno preso il controllo sulla città di Bosra, costringendo i militari al ritiro
dopo due giorni di combattimenti. Da Damasco, intanto, è giunta la notizia che il cosiddetto Stato Islamico in Iraq e nel
Levante (Isis – Daesh) ha preso il controllo di gran parte del campo profughi palestinese di Yarmouk. A denunciarlo è Anwar
Abdel Hadi, direttore per gli affari politici dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp) nella capitale siriana:
“Combattenti Daesh hanno lanciato un attacco su Yarmouk questa mattina prendendo il controllo di maggior parte del campo”,
ha detto Hadi. Il campo di Yarmouk è sotto assedio delle forze del regime siriano da oltre un anno. Ad oggi, dei 150.000
rifugiati palestinesi che ospitava prima del conflitto ne sono rimasti circa 18.000. [AdL] -07/04- APPELLI ONU PER
YARMUK, “SALVATE I CIVILI PALESTINESI”…Sono 18.000 [3500 bambini Tg7-h20:02], secondo fonti dell’Onu, i
palestinesi intrappolati nel campo presi fra due fuochi, le truppe siriane e i miliziani del sedicente Stato Islamico (Is). …Con
una nota, l’Olp ha chiesto “a tutti i movimenti di mettersi immediatamente d’accordo per proteggere il campo dal tentativo di
farne un teatro di battaglia”. L’Olp è riuscita a organizzare nei giorni scorsi l’evacuazione di 2000 persone da Yarmuk, campo
assediato da oltre un anno dall’esercito siriano dove mancano cibo, acqua, medicine. Situato a sette chilometri dalla capitale, è
ritenuto di importanza “strategica” per l’Isis che ha lanciato mercoledì scorso un’offensiva per occuparlo insieme al Fronte Al
Nustra e ne controllerebbe ormai un’ampia parte. Nel frattempo nel nord della Siria sono stati rilasciati i circa 300 lavoratori
curdi rapiti domenica nella provincia di Ibleb da un gruppo islamico, Jeich al-Islam, mentre si recavano ad Aleppo per percepire il loro salario: lo ha annunciato Nawaf Khalil, portavoce del Partito dell’Unione Democratica curda in Europa. “Sono stati
liberati in cambio di tre islamici che erano stati arrestati poco prima dalle forze curde ad Afrine” ha spiegato Khalil.[FB]
-09/04- YARMOUK, UN ASSEDIO NELL’ASSEDIO. “Gli abitanti di Yarmouk non hanno accesso all’acqua potabile,
l’elettricità – quando c’è – è solo per poche ore ad giorno. Mancano medici, materiali per l’assistenza sanitaria e generi di
prima necessità. È una situazione davvero drammatica”: così Umar Phiri, portavoce del Comitato internazionale della Croce
Rossa (Icrc) in Siria descrive alla MISNA la situazione nel campo profughi di Yarmouk, periferia sud di Damasco, infiltrato
nei giorni scorsi dai combattenti del sedicente ‘Stato Islamico’. “Abbiamo chiesto alle parti coinvolte un accesso sicuro al
campo, dei corridoi umanitari che ci consentano di portare assistenza alla popolazione, ma finora non abbiamo ottenuto nulla”
continua il responsabile, ammettendo che “quello che sta succedendo lì dentro lo apprendiamo dai media, e dai contatti nel
campo a cui però non riusciamo ad accedere”.Di sicuro, a Yarmouk – creato per accogliere i palestinesi nel 1948 e diventato la
‘capitale’ della diaspora palestinese nel mondo – sono in corso violenti combattimenti e la situazione dei civili, sotto assedio
dal 2012 e oggi in balia dell’Is è estremamente preoccupante. Dei 150.000 abitanti che ospitava prima dell’inizio del conflitto,
ad oggi ne sono rimasti appena 18.000. Secondo gli attivisti, l’aviazione siriana sgancia ogni notte sul centro barili-bomba che
colpiscono indiscriminatamente le abitazioni civili provocando vittime e distruzioni. Intanto, secondo i resoconti che
provengono dalle fonti – perlopiù anonime – all’interno del campo, ad opporsi ai combattenti di Is e della branca locale di Al
Qaida, Jabhat al Nusra, sono soprattutto i palestinesi di Aknaf beit el Maqdes, una milizia vicina ad Hamas in cui sono
confluiti i palestinesi di ogni credo politico che vogliono difendere Yarmouk. In definitiva quello in corso nel campo profughi
è “un assedio nell’assedio” ha riferito oggi un attivista anonimo, contattato dall’emittente britannica Bbc, descrivendo il campo
come “una città fantasma, con gli abitanti chiusi in casa e troppo spaventati per andare a cercare anche solo cibo o acqua”.
Da Damasco intanto, si riconcorrono le voci di un possibile attacco da parte delle forze armate siriane. “La priorità è di
espellere i terroristi dal campo. Nelle attuali circostanze, una soluzione militare si impone” ha detto il ministro per la
Riconciliazione nazionale Ali Haidar dopo aver incontrato il rappresentante dell’Olp Ahmad Majdalani. Haidar ha lasciato
intendere che Is avrebbe attaccato il campo poiché il governo e le fazioni palestinesi ostili al presidente Bashar al Assad erano
sul punto di raggiungere un accordo per la fine dell’assedio in corso da oltre due anni. “Appena qualche giorno fa dicevamo
che la riconciliazione era prossima – ha aggiunto il ministro – Coloro che hanno confuso le acque, ora, si devono assumere la
responsabilità delle violenze”.[AdL] SIRIA IRAK -03/04-AUMENTANO I “FOREIGN FIGHTERS”, ALLARME
ONU.Sono più di 25.000 nel mondo i “foreign fighters”, combattenti stranieri che si sono uniti a gruppi come Al Qaeda o lo
Stato islamico in Iraq e in Siria: lo calcolano gli autori di un rapporto commissionato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni
Unite, diffuso questa settimana. Secondo gli esperti, il numero dei “foreign fighters” nel mondo è cresciuto del 71% tra la metà
del 2014 e il marzo 2015 …[VG]
SOMALIA (v.SGsMondo n90) -27/03- MOGADISCIO: AL SHABAAB ASSALTA HOTEL, almeno 10 VITTIME… [VG]
SRI LANKA [v.SGsMondo nn90, 88, 87] -13/02-VISITA DI MODI, PRIME PROPOSTE PER PESCATORI E TAMIL
Narendra Modi è arrivato oggi a Colombo per una visita ufficiale di tre giorni, la prima di un primo ministro indiano, dopo 28
anni, in una nazione storicamente legata al subcontinente indiano... Sul complesso problema dei pescatori e della demarcazione
del confine marittimo che da sempre ha lacerato i rapporti tra l’India e la vicina isola, Modi ha detto che nei prossimi due
giorni saranno fatte nuove proposte, ma le stesse associazioni dei pescatori di entrambi i paesi devono collaborare per una
soluzione a lungo termine. “Il problema dei pescatori ha una dimensione sia di sostentamento che umanitaria. Ci vorrà del
tempo per risolvere ” ha detto Modi rispondendo ai giornalisti. Come gesto di buona volontà per la visita del primo ministro
indiano il governo di Colombo ha promesso di rilasciare 86 pescatori indiani arrestati con l’accusa di bracconaggio. Circa la
devoluzione dei poteri alla provincia settentrionale a maggioranza Tamil, il primo ministro ha detto che una “piena e rapida
attuazione del 13 ° emendamento” contribuirà al processo di creazione di uno Sri Lanka unito, assicurando uguaglianza,
giustizia e dignità… Modi … consegnerà a famiglie Tamil case costruite con l’aiuto dell’assistenza indiana. Oltre 20.000 di
tali case sono già state costruite in Jaffna come parte di un progetto di cooperazione tra i due paesi. Modi incontrerà anche i
leader della Tamil National Alliance e di altri partiti politici. -18/03- RICONCILIAZIONE, PERMESSO L’INNO
NAZIONALE potrà essere cantato anche in lingua TAMIL… -23/03-RIFORME, FORMATO GOVERNO DI UNITA’
NAZIONALE. In una svolta storica della politica del paese, lo Sri Lanka Freedom Party (Slfp), il principale partito di
opposizione, è entrato nel governo di coalizione accettando diversi portafogli ministeriali, in un rinnovato governo di unità
nazionale …[PL]-31/03- VERITÀ E GIUSTIZIA, PRIMA VISITA RAPPRESENTANTE ONU.Pablo de Greiff, funzionario
delle Nazioni Unite, è arrivato in Sri Lanka per consultazioni e per una visita esplorativa di sei giorni. Durante la sua visita, de
Greiff incontrerà esponenti del governo e leader di organizzazioni della società civile. Il funzionario si aspetta anche di poter
visitare l’area del nord, devastata da decenni di guerra civile, per incontrare leader e gruppi di Tamil. La sua visita precede
quella del gruppo di lavoro delle Nazioni Unite per le sparizioni forzate e del team dei diritti umani per le indagini su presunti
crimini di guerra nel paese. Entrambi i gruppi sono stati invitati dal governo di Colombo insieme all’Alto commissariato delle
Nazioni Unite per i diritti umani, in segno di piena collaborazione. Diversamente dal precedente governo di Mahinda
Rajapaksa, l’esecutivo del presidente Maithripala Sirisena ha mantenuto stretti rapporti con alti funzionari delle Nazioni Unite,
con l’obiettivo di istituire una commissione locale sulle accuse di crimini di guerra commessi durante le fasi finali della guerra
civile del paese, che terminò nel maggio 2009. Sirisena ha assicurato alle Nazioni Unite che l’indagine locale sarà all’altezza
degli standard internazionali e tutti i responsabili delle violazioni dei diritti saranno trattati secondo il sistema giudiziario dello
Sri Lanka. [PL]. -07/04- LA COMPAGNIA DI BANDIERA COINVOLTA NELLA CORRUZIONE. La corruzione avrebbe
assorbito “miliardi di dollari” dalla compagna di bandiera Sri Lankan Airlines, con altri 2,3 miliardi dirottati verso conti
bancari compiacenti dai responsabili dell’accordo che nel 2013 portò all’acquisto di dieci velivoli dalla Airbus Industries…
al momento escluse responsabilità dell’azienda, mentre sarebbero chiare quelle di Nishantha Wickremasinghe, ex presidente
della compagnia aerea e cognato dell’ex capo di stato Mahinda Rajapaksa, dimessosi anch’egli a gennaio. La compagnia
avrebbe volutamente ignorato i conflitti d’interesse tra ruoli di aziende e individui da essa arruolati e subito le pressioni
politiche per rendere possibile acquisto degli aerei della società europea senza prendere in considerazione alternative...
SRI LANKA CINA-26/03- SIRISENA A PECHINO PER CERCARE UN NUOVO CORSO NEI RAPPORTI. Si acuiscono
le tensioni tra Colombo e Pechino e insieme si intensificano le mosse diplomatiche per risolvere i recenti contenziosi
economici nei rapporti tra i due paesi... Il timore, infatti, al di là dei risvolti finanziari – come condizioni eccessive per la
concessione dei finanziamenti – è che il paese si ritrovi in un rapporto troppo vincolante con la maggiore potenza asiatica con
pesanti ripercussioni in termini di autonomia e anche strategici, dati gli interessi indiani sulle aree circostanti.
Pechino non fa mistero, infatti, della volontà di collezionare “una collana di perle”, ovvero di arrivare a controllare con
rapporti privilegiati con paesi come Myanmar, Sri Lanka, Maldive, Seychelles le rotte dell’Oceano indiano che in parte New
Delhi ritiene di proprio interesse strategico...[CO]
SUDAFRICA -24/03- “VIA GLI STRANIERI”: FA SCANDALO IL DISCORSO DEL RE ZULU. Fanno scalpore in
Sudafrica le parole del re degli zulu, Goodwill Zwelithini, contro gli stranieri. “Chi viene dall’estero, per cortesia, torni nel suo
paese”, ha detto il capo tradizionale durante un discorso pubblico... Cè preoccupazione, in particolare, nella comunità degli
espatriati dallo Zimbabwe, uno dei cui rappresentanti, Gabriel Shumba, si è detto convinto che le parole del re possano solo
“provocare nuovi attacchi”. Condanne simili sono arrivate dalle associazioni che raggruppano i migranti originari della
Somalia e della Repubblica Democratica del Congo. I capi tradizionali come il re degli zulu sono riconosciuti dalla costituzione sudafricana, che dà loro limitate competenze su questioni locali. Non è la prima volta che Goodwill Zwelithini, 66 anni,
si trova coinvolto in polemiche negli ultimi mesi. A dicembre il principale partito d’opposizione nazionale, la Democratic
alliance, aveva chiesto un’indagine sulle spese del re, definite “avventate”. Per finanziare la casa reale il governo ha recentemente stanziato altri 2 milioni di rand, circa 150.000 euro, portando le stime annuali di spesa a 63 milioni di rand, 4,8 milioni
di euro.[DM]-10/04- VESCOVO DI DURBAN: FERMARE VIOLENZE XENOFOBE (vSGsMondo n90). “Ci sono già stati
dei morti e abbiamo paura possa finire come nel 2008” dice alla MISNA monsignor Barry Wood, vescovo ausiliario di
Durban, delle nuove violenze che sono tornate a colpire migranti e lavoratori stranieri sette anni dopo la crisi più drammatica.
Secondo il vescovo, sono circa 3000 i congolesi, i somali e gli eritrei fuggiti dalle proprie abitazioni e trasferiti dal Comune in
una tendopoli a sud della città. “La crisi – sottolinea monsignor Wood – è cominciata nel sobborgo di Isipingo, una delle aree
più povere della diocesi, dove sia i migranti che i locali vivono in baracche o case fatiscenti; per giorni sono state date alle
fiamme sia le abitazioni che i negozi”. Questa settimana, dopo l’uccisione di almeno 3 migranti, molti lavoratori stranieri
hanno bussato alle porte della cattedrale cattolica in cerca di aiuto. Poi, mercoledì, hanno organizzato una manifestazione nel
centro di Durban. “La polizia – riferisce il vescovo – ha disperso il corteo usando idranti e gas lacrimogeni, impedendo ai
dimostranti di raggiungere la sede del Comune”. A protestare sotto la sede del primo cittadino sono stati invece i rappresentanti
delle Chiese, tra i quali l’arcivescovo di Durban, il cardinale Wilfrid Fox Napier. “Siamo molto preoccupati” dice ora
monsignor Barry: “Dal 2008 in poi, quando le vittime furono più di 60, le violenze xenofobe sono un incubo che ritorna”.
Secondo il vescovo, anche a Isipingo agguati e saccheggi sono cominciati con le accuse ai migranti di rubare lavoro. “Le
comunità congolesi, somale ed eritree sono molto industriose – sottolinea monsignor Barry – e anche per questo diventano
vittime della rabbia e della frustrazione degli abitanti del posto”. Come evidenzia la stampa sudafricana, è possibile che alla
crisi abbiano contribuito dichiarazioni quantomeno controverse rilasciate da personaggi di spicco della vita pubblica. Tra
questi il figlio del presidente Jacob Zuma e Goodwill Zwelithini, re degli zulu: “Che se ne tornino a casa” aveva detto il
sovrano il 31 marzo, poco prima che cominciassero i disordini.- CITTÀ DEL CAPO, RIMOSSA LA STATUA DI CECIL
RHODES. Tra canti e balli di studenti è stata rimossa la statua all’ingresso dell’Università di Città del Capo che raffigura il
magnate delle miniere e politico britannico Cecil Rhodes. Le gru sono entrate in azione all’indomani del voto favorevole del
senato accademico, dopo una campagna studentesca che ha preso forza il mese scorso. Secondo gli attivisti, la statua di Rhodes
ha “un grande potere simbolico” perché esalta una figura che “sfruttò il lavoro dei neri e rubò la terra dei popoli indigeni”. Il
senato accademico ha riferito di aver votato per la rimozione dopo una consultazione con studenti e professori. Ventuno anni
dopo la fine del regime di apartheid, all’Università di Città del Capo i docenti di ruolo bianchi sono appena cinque. [VG]
SUDAN -30/03- DARFUR: KHARTOUM HA UN PIANO PETROLIO. In Darfur si scavano pozzi di petrolio, nonostante in
questa regione occidentale del Sudan continuino gli scontri tra ribelli e forze governative: lo ha detto in parlamento il ministro
Makawi Mohamed Awad, annunciando un piano che prevede 253 perforazioni solo quest’anno... Il contesto è quello della crisi
produttiva seguita alla secessione del Sud Sudan, che custodisce all’incirca tre quarti dei giacimenti nazionali. Secondo le
stime del Fondo monetario internazionale, nel 2014 Khartoum ha incassato circa due miliardi e 400 milioni di dollari
dall’esportazione di greggio, perlopiù pompato nei suoi oleodotti dai giacimenti del Sud Sudan. Stando alle dichiarazioni di
Awad, rilasciate all’agenzia di stampa Suna, l’obiettivo del governo è accrescere la produzione di greggio dai 120.000 barili al
giorno del 2014 a circa 140.000. Un ostacolo potrebbe però rivelarsi il conflitto in Darfur, in corso con intensità variabile da
oltre dieci anni. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento dell’assistenza umanitaria (Ocha), solo nel 2014 i
profughi provocati dai combattimenti sono stati 470.000. Nella regione l’esistenza di giacimenti petroliferi era stata confermata
nel 2005 dalle prospezioni della società sudanese Advanced Petroleum Company (Apco). -07/04- ELEZIONI: AGGUATO
RIBELLE, KHARTOUM RAFFORZA SICUREZZA… per garantire la sicurezza in vista delle elezioni legislative e
presidenziali in programma a partire da domenica… -08/04- C’È LA GUERRA, SUI MONTI NUBA IL VOTO È
“RINVIATO”…in parte dello Stato frontaliero del Sud Kordofan, in particolare nella regione dei Monti Nuba: lo ha
annunciato la Commissione elettorale, sottolineando che il rinvio è dovuto a “ragioni di sicurezza”… Dal Darfur, un’altra area
di crisi situata all’estremità occidentale del paese, sono giunte questa settimana notizie di nuove violenze. A denunciarle la
locale missione di pace dell’Onu e dell’Unione Africana (Unamid): nella località di Rowata, il 1° aprile, bombardamenti dei
caccia sudanesi nei pressi di postazioni ribelli hanno provocato la morte di 14 civili e il ferimento di altri 18.[VG]-10/04ELEZIONI, “UN VOTO DALL’ESITO SCONTATO”. Non si prevedono risultati inattesi alle elezioni generali in agenda la
prossima settimana in Sudan per rinnovare la presidenza e il parlamento. Al presidente Omar Hassan al Bashir, al potere dal
1989, candidato del partito del Congresso nazionale (Ncp) di maggioranza, si oppongono 15 sfidanti poco noti all’elettorato,
mentre i principali partiti di opposizione invitano al boicottaggio. “Nella capitale ci sono pochi manifesti che rimandano al
voto e ricordano che lunedì si apriranno le urne” riferiscono fonti della MISNA contattate sul posto, aggiungendo che anche la
campagna elettorale è stata “poco sentita”. Le associazioni per i diritti umani accusano il presidente – ricercato dalla corte
penale internazionale per crimini di guerra e genocidio in Darfur – di usare il pugno di ferro contro i dissidenti e la società
civile. “La verità è che non ci si aspettano sorprese anche perché non c’è nessuna figura, all’opposizione, che possa ambire a
sostituirsi al presidente allo stato attuale” confermano gli interlocutori, chiedendo l’anonimato per ragioni di sicurezza. I partiti
di opposizione hanno deciso di boicottare le urne dopo che il governo ha rifiutato la loro richiesta di posporre il voto al termine
delle sessioni di Dialogo nazionale che – sulla carta – avrebbero dovuto introdurre riforme costituzionali e politiche nel paese.
… [AdL]
SUD SUDAN -19/03- BENTIU, COLPI DI MORTAIO SU UN CAMPO PROFUGHI ONU… che ospita circa 53.000 sfollati.
… Scontri a fuoco si sono verificati questa settimana anche presso Renk, più a est, dove l’Onu ha riferito di un’offensiva
dell’esercito.-20/03- UNICEF: IN UN MESE RECLUTATI CENTINAIA DI BAMBINI… da esercito e da forze ribelli ...
[VG]-24/03-PROROGATO MANDATO DEL PRESIDENTE KIIR FINO AL 2018 Con un plebiscito di ‘si’ alla proposta, il
parlamento di Juba ha prorogato di tre anni il mandato del presidente Salva Kiir Mayardit, dal 9 luglio 2015 al 9 luglio 2018 …
Dal canto suo, Dengtiel Kuur, presidente della commissione per gli affari legali, ha osservato che il paese “sta attraversando
una guerra civile che rende impraticabile la possibilità do condurre elezioni ed un trasferimento pacifico del potere, in
conformità con gli standard e le tempistiche previste dalla Costituzione”.[AdL]-30/03- I VESCOVI: DIRIGENTI INCAPACI
DI IMMAGINARE LA PACE… “È inconcepibile – si legge nel documento – trattare su incarichi, responsabilità, percentuali,
sistemi di governo, distribuzione delle risorse e altri temi mentre ogni giorno ci sono nuove vittime; i combattimenti si devono
fermare, immediatamente, e solo allora questi problemi politici potranno essere affrontati”. Il riferimento è a un accordo
sottoscritto a febbraio che prevede l’entrata in carica di un esecutivo di unità nazionale in coincidenza con il quarto
anniversario dell’indipendenza del Sud Sudan, il 9 luglio 2015. Le parti avevano ribadito l’impegno a garantire il rispetto di
un’intesa di cessate il fuoco già sottoscritta all’inizio del 2014, ma mai rispettata. Secondo le Nazioni Unite, dall’inizio del
conflitto le vittime delle violenze sono già state decine di migliaia, mentre le persone costrette a lasciare le proprie case sono
circa un milione e 900.000. -02/04-UCCISO COMANDANTE MILIZIA, TENSIONE A MALAKAL … alleato all’esercito
fedele al presidente Salva Kiir…Secondo il giornale, il generale Bwogo Olieu è stato ucciso insieme con 12 commilitoni. A
tendere l’agguato sarebbero stati militari di etnia Dinka (la stessa del presidente…), gruppo maggioritario in Sud Sudan. Olieu
era il vice di Johnson Olony, comandante in capo di una milizia composta perlopiù da combattenti di etnia Shilluk.
Malakal è la capitale dello Stato di Upper Nile, una delle regioni dove gli scontri cominciati nel 2013 tra le forze fedeli a Kiir e
i ribelli legati al suo ex vice Riek Machar (di etnia Nuer) sono stati più intensi.[VG]
TAIWAN CINA -13/03- SCIOPERI BLOCCANO AZIENDA TAIWANESE IN CINA, OPERAI ASSEDIATI. Gli
stabilimenti di Dongguan, centrali nelle attività dell’azienda taiwanese Stella Shoe Co. nella Repubblica popolare cinese,
vanno verso il blocco totale. Sono oltre 5000 al momento gli operai (su un totale di 10.000) che hanno incrociato le braccia,
associandosi allo sciopero dichiarato il 9 marzo dopo la sospensione dei contributi per l’abitazione previsti dal contratto
nazionale di lavoro. L’azienda, che rifornisce brand globali come Adidas, Nike, Prada e Timberland, occupa soprattutto
immigrati dalle aree rurali, anche lontani, attirati nel centro industriale dalla possibilità di un lavoro e di benefici che attenuino
rischi e distanza dalle famiglie. Stella Shoe ha invece comunicato di volare pagare le integrazioni per l’alloggio ai soli
lavoratori residenti a Dongguan. Integrazioni che mediamente incidono per il 20% su un salario medio di poco superiore
all’equivalente di 200 dollari mensili… L’organizzazione China Labor Watch con sede negli Usa ha confermato la repressione
in corso, con operai attaccati da cani-poliziotto o investiti da autoveicoli, con costi ospedalieri fino a 270 dollari per alcuni
lavoratori, costretti a ricorrere a cure mediche e, in diversi casi, anche alla vaccinazione antirabbica.[CO]
TANZANIA -19/03-PARLAMENTO APPROVA LEGGE CONTRO I LAVORATORI IMMIGRATI. Il parlamento della
Tanzania ha approvato una legge che, di fatto, limita l’utilizzo di forza-lavoro straniera nel paese …“Non ha senso vedere un
cinese che guida un autobus di lavoratori pendolari” ha dichiarato il deputato del partito di maggioranza Esther Bulaya alla
stampa locale. Negli ultimi anni la Tanzania ha visto un enorme afflusso di cittadini cinesi, ma il nuovo ‘Regolamento sui
lavoratori stranieri’ rischia di colpire anche impiegati provenienti da altri stati africani, tra cui numerosi dal vicino Kenya e
dallo Zambia. Il governo spera che il disegno di legge, che il presidente Jakaya Kikwete deve ancora ratificare, entri in vigore
già dal prossimo 1 luglio. [AdL]-09/04- INTERNET, ALLARME PER UNA NUOVA LEGGE. È allarme in Tanzania tra le
ong e le associazioni impegnate in difesa delle libertà civili dopo l’approvazione in parlamento di leggi restrittive sulla
comunicazione online e la diffusione di statistiche “non ufficiali”.L’alleanza Human Rights Defender Coalition ha già
annunciato che presenterà ricorso in tribunale se le norme saranno promulgate dal capo dello Stato Jakaya Kikwete.
Il primo dei testi approvati dai deputati prevede fino a un anno di carcere e 6000 dollari di multa per chi divulghi dati non
approvati dall’Ufficio nazionale di statistiche. Il secondo rende perseguibile penalmente chiunque riceva o diffonda online
informazioni “illegali”, anche via e-mail, o pubblichi documenti riservati del governo.[VG]
THAILANDIA (in generale vSGsMondo nn90, 88, 87, 85, 84…) -13/03- SI STRINGE IL CERCHIO SUGLI INTERESSI
DEGLI SHINAWATRA. Con la decisione di ieri della Commissione nazionale anti-corruzione di chiedere al parlamento
provvisorio di avviare la procedura di impeachment per 250 parlamentari del governo precedente al colpo di stato del maggio
2014, guidato dalla signora Yingluck Shinawatra, è più vicina la prospettiva di un colpo definitivo alle velleità politiche della
famiglia che per un ventennio ha avuto un ruolo essenziale nel paese… Anche la possibilità di un impeachment retroattivo,
come già applicato su Yingluck Shinawatra per il ruolo nella fallimentare politica risicola nazionale (vSGsMondo prec.), con il
rischio di una lunga pena detentiva, non sembra essere un problema per la giunta militare che, in parallelo con istituzioni
provvisorie da essa controllate, sta portando il paese verso il pieno controllo dei poteri tradizionali dopo una parentesi
democratica dai troppi limiti…[CO] -19/03- RINVIATA A GIUDIZIO L’EX PREMIER YINGLUCK SHINAWATRA… per
la gravità delle conseguenze per il paese della sua presunta negligenza nella gestione della politica risicola nazionale
nell’ultimo triennio costata la paese finora 20 miliardi di euro. Per i suoi sostenitori e per molti osservatori, al di là delle
indubbie responsabilità di Yingluck, prima donna in Thailandia a ricoprire la carica di capo di governo, il processo che
potrebbe costarle oltre dieci anni di carcere rappresenta un altro e determinante atto contro di lei e il potere della sua famiglia
che fa leva sulle necessità dei poveri rurali e di un’ampia rete di interessi e connivenza … Due mesi fa, il parlamento provvisorio controllato dai militari aveva deliberato l’impeachment retroattivo per Yingluck Shinawatra, con la prescrizione per
cinque anni da ogni attività politica. La prima udienza, a cui l’ex capo di governo avrà l’obbligo di partecipare, è stata fissata
per il 19 aprile. THAILANDIA CINA TURCHIA -26/03- PROSEGUE L’ODISSEA DEGLI UIGHURI. Nonostante le
dichiarazioni d’impegno del governo di Bangkok a risolvere la loro vicenda e la richiesta di rimpatrio da parte cinese e di
accoglienza da parte turca, il gruppo di profughi identificato come cinesi di etnia ughura in fuga dalla provincia dello Xinjiang
resta in un limbo legale. Il gruppo, 17 individui dello stesso nucleo familiare, sono rinchiusi dal marzo 2014 in un centro di
detenzione della capitale dopo essere entrati in territorio thailandese dal confine cambogiano. Dei 13 bambini che ne fanno
parte, due sono nati in Thailandia nell’ultimo anno. Avendo rivendicato la nazionalità turca e potendo comunque – come i loro
connazionali – rivendicare radici culturali e linguistiche, oltre che la fede islamica, comuni alla popolazione turca, da tempo
sono stati loro garantiti passaporti emessi da Ankara e un permesso per viaggiare in Turchia…A bloccare una soluzione della
loro vicenda, tuttavia, è la richiesta cinese di rimpatrio, che su questo ha avviato procedure legali di estradizione in un contesto
di riavvicinamento di Bangkok a Pechino che complica le prospettive per gli uighuri in fuga in Thailandia...[CO]
THAILANDIA -27/03- APPROPRIAZIONE DI TERRENI, PIAGA DELLA POLITICA. Uno studio dell’organizzazione
non-profit thailandese Local Action Links (LocalAct) ha portato alla luce le dimensioni di un malcostume politico esteso e
radicato. Che spiegherebbe anche l’opposizione manifestata di recente a ogni proposta di legge per la tassazione di terreni e
edifici. Totalizzerebbe 690 milioni di euro, infatti, il valore di terreni e proprietà abitative dichiarato da 530 parlamentari e
politici. Dati pubblici raccolti tra il 2011 e il 2014 dall’Ufficio nazionale anti-corruzione. Per l’organizzazione, impegnata a
difendere i diritti degli agricoltori, spesso indifesi davanti alle pressioni per la cessione dei loro terreni, quando non addirittura
soggetti a esproprio anche senza compensazione, il tentativo dell’attuale governo controllato dai militari di recuperare nuovi
fondi da destinare al sostegno dei gruppi meno avvantaggiati di popolazione difficilmente potrà superare la dura opposizione di
politici ai margini dopo il colpo di Stato del 22 maggio 2014 o in parte ancora in posizione di potere. Per essi, infatti, una
tassazione equa dei loro beni porterebbe il doppio rischio di pagamento di cifre consistenti e di una maggiore sensibilizzazione
su quanto da essi posseduto e sulle modalità di acquisizione. Per LocalAct è urgente che il parlamento intervenga per garantire
una più equa distribuzione dei terreni. Una tassazione specifica che penalizzi acquisizioni e proprietà di vaste estensioni
sarebbe uno strumento di giustizia sociale. In alternativa, l’organizzazione propone la detassazione totale per piccoli proprietari
che utilizzino i terreni per il loro sostentamento e non a scopo speculativo. -26/03- APPROVATE PENE PIÙ SEVERE
CONTRO IL TRAFFICO DI PERSONE… -03/04-PIENI POTERI AL PRIMO MINISTRO, CHE MINACCIA I MEDIA.
Anche l’Unione Europea si è unita alle critiche internazionali verso la nuova mossa del regime militare che ha messo fine alla
legge marziale in vigore dal maggio 2014 per sostituirla con l’uso dell’articolo 44 della Costituzione provvisoria che gli stessi
militari al potere con un colpo di stato hanno dettato.La mossa di chiudere il lungo periodo di legge marziale è stata motivata
dall’aperta opposizione internazionale come pure dalle conseguenze economiche, a partire da un turismo in calo anche perché
tenuto a distanza dalla sensazione di insicurezza nel paese e dalla difficoltà ad avere un’assicurazione per il periodo del
viaggio. Infatti il modo imprenditoriale sembra avere ac-colto con favore questa mossa cosmetica, ma social media e media
tradizionali, come pure organizzazioni per i diritti umani e, appunto diplomazia internazionale e anche le Nazioni Unite hanno
sottolineato come si tratti di un’ulteriore svolta autoritaria. L’articolo 44 dà infatti pieni poteri al primo ministro – che è anche
a capo della giunta militare che cogestisce il paese – Prayut Chanocha, ex generale ed ex comandante dell’esercito. Un potere
assoluto esteso ai vertici militari che non deve tenere conto di parlamento, governo o sistema giudiziario e che libera di ogni
responsabilità penale tutti i sottoposti che saranno chiamati a interventi contro i civili. Le prime critiche sono state alla base
della dura presa di posizione di oggi di Prayut, che ha minacciato di chiudere i mass media critici verso la situazione e verso i
militari, ordinando in sostanza di adeguarsi alla situazione o di affrontarne le conseguenze …[CO] -31/03-Giunta chiede a
Monarchia di abrogarte legge marziale in vigore da maggio. (Fr24)-01/04- NUOVA CONDANNA MULTIPLA PER LESA
MAESTÀ.Con una delle pene più severe comminate finora per l’accusa di lesa maestà, un tribunale militare ha condannato ieri
a 25 anni di carcere un imprenditore 58enne… giudicato a porte chiuse per avere diffuso contenuto ritenuto diffamatorio della
monarchia. Nessuno ammesso nell’aula per il giudizio, a parte il suo avvocato. Cinque fotografie con didascalia postate in
tempi diversi e che per questo gli sono costate cinque diverse condanne a complessivi 50anni di detenzione, ridotti della metà
come d’abitudine nel sistema legale trailandese ammettendo le proprie responsabilità. Una dimostrazione della durezza della
legge che dovrebbe tutelare la dignità della monarchia ma che, in particolare da quanto i militari filomonarchici hanno ripreso
in mano il potere dal maggio scorso, è diventato uno strumento di repressione di dissidenza o semplice libertà di espressione…
Si tratta dell’ultimo della ventina di casi di ampia risonanza giudicati sotto il regime militare. Il precedente, a inizio marzo,
quello di un anziano condannato a un anno e mezzo di carcere come responsabile di scritte considerate ingiuriose ritrovate nel
gabinetto di un grande magazzino. In parte, la situazione risente dell’età avanzata del sovrano (87 anni) e delle sue condizioni
di salute che sollevano insieme preoccupazione nella popolazione e nervosismo tra le élite sostenute dalle forze armate.[CO]
-12/04-h00:56-Esplode autobomba in isola turistica.(Fr24)
TUNISIA-13/03-Due famose vedettes dello spettacolo, un animatore ed un umorista arrestati per ‘offese al presidente’. La
Presidenza si dichiara estranea al provvedimento.(Fr24)
-18/03-Attacco terrorista a Parlamento, poi a museo del Bardo. 21 vittime + 4 ‘dispersi’ (=non identificati) oltre a 2 terroristi;
ca 50 i feriti.(Tg2–h13:20; Tg3-h14:30). (VEDI anche Approfondimenti).
Alcune osservazioni dopo i commenti ‘a caldo’ dei media. Mi sembra di cogliere un mix di verità, ma anche di “luoghi
comuni”.
1. -la Tunisia è l’unico Paese della ‘primavera araba’ che ha attuato un processo democratico, a fatica, ma trasparente,
sfociato in una coalizione fra forze laiche ed islamiche moderate.
2. -gli scontri con elementi jahdisti, alla frontiera algerina e a quella libica sono stati relativamente frequenti,
coinvolgendo esercito e forze di sicurezza.
3. -sono state recentemente attuate misure di “pulizia” nei confronti di forze dell’ordine e organismi ufficiali dal
comportamento non proprio ‘corretto’.
4. -colpendo il turismo gli attentatori (ed i mandanti) mirano a colpire uno dei settori chiave dell’economia, creando
difficoltà ad una formula di governo (punto 1) contraria ai loro assiomi.
Molti commenti (del 18-19/03) sembrano invece sottolineare come prioritario un attacco all’Europa e, data la vicinanza
geografica, all’Italia, e non il punto 4.
Un esame degli eventi raccolti in qs ultimi 2-3 anni di SGsMondo può aiutare ad approfondire questa lettura dei fatti
[OP]
-19/03-h21:45-Isis rivendica l’attacco.(Fr24) [solo questa sera?-OP] -20/03- IN AVENUE BOURGUIBA, PRESA DI
COSCIENZA E UNITÀ “I cortei in Avenue Bourguiba e tutte le manifestazioni di condanna della violenza di questi giorni
sono importanti perché sono presa di coscienza dalla quale sarà impossibile tornare indietro”: lo dice alla MISNA una
missionaria a Tunisi, città sotto shock per l’attentato al Museo del Bardo ma che non perde speranza e determinazione.
“La grande maggioranza dei tunisini vuole la pace – sottolinea la religiosa – e gli estremisti, nonostante quello che è accaduto,
non riusciranno a distruggere questa verità”.…, è significativa la condanna espressa dal partito islamista Ennahda, pure
sconfitto alle elezioni dello scorso anno. Rashid Ghannouchi, dirigente storico, dopo l’attentato al Museo del Bardo si è detto
convinto che “la civiltà vincerà sulla barbarie” e che “la resistenza tunisina ha radici solide”. Parole che, nelle sue
dichiarazioni, si sono intrecciate con l’orgoglio per aver dato il via alla Primavera araba e con la determinazione a difendere la
“rivoluzione”.[VG]. -07/04- IMBOSCATA NELL’AREA DI KASSERINE, MORTI SOLDATI. Tre soldati tunisini sono
rimasti uccisi e altri sei feriti in un’imboscata nel centro-ovest del paese... Nell’area è attivo il gruppo Okba Ibn Nafaa, di
matrice qaedista e che le autorità considerano coinvolto anche nell’attacco del mese scorso al museo del Bardo a Tunisi. A fine
marzo era stata annunciata la morte del leader del gruppo, l’algerino Abu Sakhr. Le imboscate contro le forze di sicurezza nella
regione di Kasserine sono state frequenti negli ultimi mesi: il 18 febbraio un commando di venti persone aveva attaccato un
checkpoint nella zona, uccidendo quattro agenti. [DM]TUNISIA USA ITALIA–Armi: Usa vendono 12 elicotteri; Italia 12
pattugliatori marittimi per contrastare flussi migratori e penetrazione del terrorismo nel mediterraneo. (rivAfrica-ppBianchin94-mar/apr_pg3)
TURCHIA-31/03-Attacco di estremisti di sinistra a tribunale si conclude con l’uccisione del procuratore che seguiva in caso
del 14enne ucciso (per errore?) da un lacrimogeno durante una manifestazione di qualche mese fa.(Fr24).-01/04-h12- altra
serie di azioni di protesta, alcune con spargimento di sangue… De Facto rafforzando la posizione del leader Erdogan.(Tg3).
UGANDA-31/03- ASSASSINATA PROCURATRICE, INDAGAVA SU AL SHABAAB… rappresentava l’accusa in un
processo a carico di 13 presunti militanti del gruppo somalo Al Shabaab, sospettati per un attentato che nel 2010 aveva causato
76 vittime tra gli avventori di un bar della capitale ugandese… da due uomini che si sono avvicinati a Kagezi a bordo di una
motocicletta e le hanno sparato. L’Uganda è nel mirino di Al Shabaab perché partecipa a una missione militare dell’Unione
Africana in Somalia a sostegno del governo di Mogadiscio.[VG]
UKRAINA-13/03-h23.25- Riceve da FondoMonetaroInternazionale la 1a tranche del prestito di 5miliardi di dollari
Usa.(Fr24).
UZBEKISTAN-30/03-h21:35- Presidente uscente rieletto con il 90% dei consensi [ma elezioni ‘addomesticate’(v.flashes
precedenti)](Fr24)
VENEZUELA USA (vSGsMondo n90) -13/03- CARDINALE UROSA INTERVIENE SU POSIZIONE STATUNITENSE.
“Inaccettabile”: così l’arcivescovo di Caracas, il cardinale Jorge Urosa Savino, ha definito la decisione degli Stati Uniti di
considerare il Venezuela una “minaccia inusuale e straordinaria”, come annunciato lunedì da Barack Obama. Il porporato ha
invitato le parti al “buon senso”. “Appare un’esagerazione del governo nordamericano affermare che il Venezuela sia una
minaccia per la sicurezza interna degli Usa. Questa affermazione è inaccettabile per le conseguenze che può comportare per
tutti i venezuelani, non solo per il governo” ha detto il cardinale in una nota diffusa dall’arcidiocesi di Caracas e ripresa da
diversi organi di stampa americani. Urosa ha lanciato un appello a Caracas e Washington affinché “relazioni normali fra i
governi prevalgano sulla conflittualità” e si intraprenda “un dialogo che chiarisce la situazione e dissipi il rischio di una
escalation del conflitto”...-18/05- GOVERNO CONTESTA COMMISSIONE INTERAMERICANA DIRITTI UMANI.
“Illegale e immorale”: così il governo del Venezuela ha definito una richiesta formale della Commissione interamericana dei
diritti umani (Cidh) per visitare il paese e documentare la situazione dei diritti fondamentali… se il governo avesse accettato di
accogliere una delegazione, il Venezuela sarebbe stato cancellato dal Capitolo 4 del rapporto annuale della Cidh, ovvero la
“lista nera” dei paesi del continente che non rispettano a sufficienza i diritti umani; un elenco in cui il Venezuela appare ogni
anno dal 2005…[FB]
VIETNAM -02/04-MASSICCE PROTESTE IN FABBRICHE CALZATURIERE. È entrata nel settimo giorno la protesta
clamorosa delle maestranze di una grande fabbrica di calzature; una sfida, quasi inedita per intensità e durata, alle autorità. Al
centro dell’iniziativa portata avanti da una parte degli 80.000 dipendenti della Pou Yuen Vietnam, non solo l’inadeguatezza dei
salari a fronte di un’inflazione galoppante, ma anche la nuova legge sulla previdenza che prevede un compenso mensile
successivo al pensionamento anziché la consegna dei contributi maturati in un’unica soluzione anche in caso di dimissioni,
come finora…Da venerdì scorso, un altro grande impianto produttivo calzaturiero, Kingmaker, nella provincia meridionale di
Binh Duong, vede la protesta di 5000 dipendenti, in questo caso con al centro la richiesta di un adeguamento dei salari
all’inflazione cresciuta in un anno – da luglio 2013 a luglio 2014 – del 27%. I lavoratori dell’impianto di proprietà di una
compagnia di Hong Kong, chiedono un aumento del salario attuale equivalente a 60 euro mensili e un miglioramento della
mensa aziendale. Infine, sempre da una settimana, un migliaio di lavoratori è in sciopero in una fabbrica di proprietà
nordcoreana nella provincia di Long An, anche in questo caso per un migliore livello salariale davanti ai costi crescenti di
abitazioni, cibo e sanità. Lo scorso gennaio il governo ha portato il salario minimo garantito degli impiegati statali
all’equivalente di circa 35 dollari, quello degli operai in aziende pubbliche a 40 e tra 45 e 60 dollari quello degli assunti in
imprese frutto di investimenti stranieri.[CO]
YEMEN (v.anche SGsMondo nn90, 88, 87, 85, 84 e 83…) -20/03-ADEN: BOMBE SUL PALAZZO PRESIDENZIALE,
HADI LASCIA LA CITTÀ…-ATTENTATI IN DUE MOSCHEE A SANA’A …frequentate soprattutto da sciiti e esponenti
del movimento Houthi che dalla metà di febbraio controllano la capitale… L’agenzia di stampa nazionale ‘Saba’ riferisce di 24
morti e quattro feriti, ma fonti locali parlano di almeno 55 vittime tra i fedeli riuniti per la preghiera rituale del venerdì, nelle
moschee Badr e al Hashoosh.[e oltre100feriti (Tg2 h13:50)]… L’attacco si produce a meno di ventiquattro ore di distanza dalla
sparatoria che ha visto opposti, nella città meridionale di Aden, i miliziani fedeli all’ex presidente Ali Abdullah Saleh e
l’attuale capo di Stato Abd-Rabbu Mansour Hadi. Un conflitto che ha lasciato sul terreno 13 morti.[AdL]-h23:22- Oltre 150 le
vittime e più di 400 i feriti. Non convince la rivendicazione dell’Isis.(Fr24)-23/03- DALL’ONU SOSTEGNO A GOVERNO
E INTEGRITÀ TERRITORIALE… Continuano tuttavia le ostilità: i miliziani Houti, secondo fonti di stampa, si sono
impadroniti dell’aeroporto militare di Taiz (o Taez) e sono già in controllo di alcuni edifici della città, che stanno cercando di
conquistare.[DM]
-POTERE E INTERESSI ECONOMICI, I NODI DEL CONFLITTO (Intervista)
“Il nostro timore, il timore della popolazione yemenita, è che questo conflitto si protragga a lungo e che trascini a fondo tutti”:
così Mohammed Ismail, analista del Centro studi economici di Sana’a (Semc) intervistato dalla MISNA, mentre il paese –
teatro di una guerra di potere tra milizie Houthi ed esercito regolare fedele al presidente Abd al Rabbo Mansour Hadi – rischia
di precipitare nel caos e nella guerra civile.
Come si vive oggi a Sana’a, occupata da circa un mese dalle milizie della ribellione Houthi?
“Per le strade non si combatte più ma è un ritorno alla normalità solo apparente. I ribelli hanno occupato posizioni strategiche e
nei ministeri ma la presenza di uomini armati per le strade è cospicua. L’attentato di venerdì si è consumato in una strada del
centro, molto frequentata e sempre piena di gente. La paura che attacchi simili possano verificarsi di nuovo è alta tra gli
abitanti”.
Si troverà una soluzione al conflitto, o si rischia – come ha ammonito oggi l’inviato speciale Onu Jamal Benomar – che
la guerra” si protragga come in Iraq, Siria e Libia”?
“Credo e spero che il paragone con questi paesi non sia indovinato, perché aprirebbe davanti a noi uno scenario difficile e
altamente drammatico. Temo tuttavia che la decisione dei miliziani Houthi di marciare verso Taiz, la terza città del paese e
oltre, minacciando di arrivare a Aden, dove si trova il presidente Hadi, segni un passo in avanti verso una radicalizzazione del
conflitto”.
Quali sono gli interessi in gioco in questo momento?
“A differenza di quanto si legge sui media, l’origine di questa guerra non è settaria. Come spesso accade gli interessi politici ed
economici sono nascosti sotto la superficie. Nonostante si sia ritirato dalla politica, il vecchio presidente Ali Abdallah Saleh
non è affatto scomparso dalla scena. Oggi è diventato uno dei principali sostenitori dei ribelli Houthi ed è in lotta aperta contro
Hadi. Dal punto di vista strategico ed economico poi, chi prende il controllo su Aden, controlla anche lo stretto di Bab elMandab, la porta di accesso al Mar Rosso, uno snodo fondamentale nel trasporto di petrolio mondiale. Questo fa si che
l’interesse nei confronti di questa città sia così alto”.
Ci sono ingerenze di altri attori regionali nel conflitto?
“Sullo sfondo della crisi si proiettano le ombre di Iran e Arabia Saudita. In molti ritengono che Teheran supporti attivamente
gli Houthi, mentre Riad – il principale rivale della Repubblica Islamica – che condivide con lo Yemen una lunga frontiera
comune, sostiene il presidente Hadi. Se si troverà una soluzione a questa guerra sarà anche grazie ad accordi che travalicano i
nostri confini nazionali”.
È stato scritto che quella che si consuma in Yemen è anche una guerra per la leadership dell’universo estremista tra Al
Qaida nella Penisola araba (Aqap) e il cosiddetto Stato Islamico di Abu Bakr al Baghdadi…
“Ma in fondo, per noi, sono due facce di una stessa medaglia: sono tutti fanatici in lotta tra loro. In questa situazione il futuro
non può che portare altra guerra, e altre vittime innocenti”. [AdL]
-23/03-h22:25- Ministro Affari Esteri chiede intervento militare dei Paesi del Golfo, contro i ribelli Sciiti, che nel frattempo
stanno puntando il mirino sempre più versoi giornalisti.(Fr24)
-26/03-ARABIA SAUDITA LANCIA OPERAZIONE MILITARE CONTRO RIBELLI HOUTHI. Rispondendo a breve
distanza all’appello del presidente Abd Rabbo Mansour Hadi, l’Arabia Saudita ha lanciato nella notte un’operazione militare in
Yemen riunendo una coalizione di dieci paesi. “L’operazione mira a difendere il governo legittimo” dall’avanzata dei ribelli
sciiti Houthi, sostenuti dall’Iran, ha annunciato l’ambasciatore saudita negli Stati Uniti, Adel Al Jubeir, in una conferenza
stampa a Washington. L’operazione è cominciata con raid aerei su diversi obiettivi, ma – ha avvertito l’ambasciatore – altre
forze militari sono già mobilitate e la coalizione “farà tutto ciò che sarà necessario”. Per il momento, si ha notizia di
bombardamenti sulla capitale Sanaa, controllata dai ribelli sciiti: secondo fonti locali, almeno 13 civili sarebbero morti in un
raid su un quartiere residenziale.Con l’Arabia Saudita si sono schierati Qatar, Kuwait, Bahrein, Emirati Arabi Uniti – escluso
solo l’Oman – con il sostegno della Casa Bianca, sebbene – ha precisato Al Jubeir – non ci sia un coinvolgimento diretto dei
militari statunitensi nella missione. Sono intenzionati ad unirsi alla coalizione anche Egitto, Giordania, Marocco, Sudan e
Pakistan. “Abbiamo una situazione in cui c’è una milizia che controlla o potrebbe controllare dei missili, delle armi pesanti,
una forza aerea” ha detto ancora il diplomatico saudita, definendo l’avanzata degli Houthi “intollerabile”.“Obama ha
autorizzato la fornitura di un sostegno logistico alle operazioni militari del Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg)” ha
confermato Bernadette Meehan, portavoce del Consiglio nazionale di sicurezza della presidenza statunitense. “Facciamo
appello con forza agli Houthi affinché cessino immediatamente le loro azioni militari de stabilizzatrici e tornino ai negoziati”
ha aggiunto. Sul terreno, le forze leali a Hadi avrebbero nel frattempo ripreso il controllo dell’aeroporto internazionale di
Aden, la grande città portuale del sud ‘feudo’ del presidente; uno sviluppo favorito proprio dai raid aerei sauditi. I militari della
39esima Brigata blindata, che si erano uniti agli Houthi, si sarebbero ritirati dallo scalo, consentendo ai ‘comitati popolari’
schierati al fianco di Hadi di riconquistarlo. [FB]. YEMEN TURCHIA-26/03-h23:50- Anche il premier Erdogan si dichiara
disponibile ad un sostegno alla coalizione dei Paesi Arabi (in campo logistico), se la situazione lo richiederà. [intervista].(F24).
YEMEN-26/03- ‘DECISIVE STORM’: USA ‘COMPRENSIVI’, UE CRITICA. La “comprensione” degli Stati Uniti, una
nuova condanna dall’Iran. Mentre l’operazione ‘Decisive Storm’, lanciata contro i ribelli sciiti Houti dello Yemen da una
coalizione a guida saudita effettua nuovi bombardamenti, il dipartimento di Stato Usa ha reso noto che “comprende le
preoccupazioni” di Riad. Anche se, come ha precisato Jeff Rathke, portavoce del segretario di Stato John Kerry, Washington
“vede con favore una soluzione negoziata” alla crisi yemenita, potrebbe fornire a Riad aerei radar. Il presidente iraniano
Hassan Rouhani, il cui paese aveva già condannato i bombardamenti, si è espresso contro “ogni intervento negli affari interni
di nazioni indipendenti”. “L’azione militare non è una soluzione”, ha dichiarato anche Federica Mogherini, alto rappresentante
dell’Unione Europea per la politica estera. Preoccupazione per le notizie riguardo civili colpiti dai raid è stata infine espressa
dal Comitato Internazionale della Croce Rossa. Si è chiarito, intanto, dove si trovi il presidente yemenita in carica, Abd Rabbo
Mansour Hadi: è infatti arrivato proprio a Riad, dove è stato accolto dal ministro della Difesa saudita, Mohamed bin Salman
bin Abdelaziz, in attesa di partecipare al vertice internazionale di sabato a Sharm el-Sheik, in Egitto. Al vertice sarà presentato
il progetto di una forza militare congiunta approvato oggi dai capi delle diplomazie coinvolte. E mentre l’aviazione dei dieci
paesi coalizzati contro gli Houti prosegue i bombardamenti, prendendo come obiettivo la base militare di al Tarik, nei pressi di
Taez (o Taiz), l’Arabia Saudita annuncia provvedimenti anche sul fronte interno. Le autorità hanno infatti ordinato un
“rafforzamento della sicurezza” alle frontiere e intorno a edifici pubblici e impianti petroliferi. [DM]
-27/03-DA RIAD AL CAIRO, GUERRA DI PRESTIGIO E VISIBILITÀ (Analisi)
“Più che una guerra per procura, quella in corso in Yemen – a mio avviso – è una guerra per ili prestigio e la visibilità”:
intervistato dalla MISNA, Massimo Campanini storico del Medio Oriente e docente di Storia dei paesi islamici all’Università
di Trento, dà una prospettiva diversa sui recenti sviluppi nella penisola araba.
“Premesso che non credo che l’Iran si faccia trascinare in una guerra regionale per sostenere i ribelli Houthi, ritengo possibile
la prospettiva di un conflitto di non brevissima durata, soprattutto considerando la complessità della situazione nel paese”
osserva l’esperto.
Mentre l’Arabia Saudita e i paesi alleati proseguono i bombardamenti sulla capitale Sana’a e sulle postazioni militari in mano
agli insorti, i ministri della Lega Araba si apprestano ad approvare, il prossimo fine settimana a Sharm el Sheikh, la creazione
di una forza di intervento congiunta per far fronte alle crisi regionali.
“La proposta è partita dall’Egitto, il cui presidente Abdel Fattah al Sissi ha scorto nella crisi yemenita una possibile ‘vetrina’ da
sfruttare nel tentativo di recuperare spazio e visibilità nel consesso dei paesi arabi” aggiunge Campanini, per cui Il Cairo “non
è in alcun modo minacciato dalla situazione in Yemen, ma ha bisogno di riconquistare lo status di ‘potenza regionale’ che
aveva perduto durante i lunghi anni della presidenza Mubarak”.
Ma il protagonista indiscusso degli ultimi eventi, appare indubbiamente l’Arabia Saudita, capofila di una ‘coalizione di
volenterosi’ che, su richiesta del presidente Abd al Rabbo Mansur Hadi, ha sferrato l’offensiva ‘Decisive Storm’ sul paese.
“Decisiva e tempestiva – osserva Campanini – poiché coincide proprio con le ultime, delicate fasi negoziali sul nucleare
iraniano”.
La contrapposizione tra Iran e Arabia Saudita, che ha trovato in Yemen un nuovo terreno di scontro, sembra esacerbata dal
timore che Teheran esca fortemente consolidata dal prossimo accordo sul nucleare che porterebbe a una alleggerimento delle
sanzioni internazionali.
“In questo quadro d’insieme non si deve dimenticare il ruolo svolto dagli Stati Uniti: nel secondo mandato il presidente
americano Barack Obama sta giocando una partita completamente diversa da quella a cui abbiamo assistito nel primo. Non
dovendo ricandidarsi alle prossime elezioni Obama si sta smarcando dalle tradizionali alleanze con Israele e i sauditi, che
finora hanno alimentato estremismo e confusione in tutta la regione” aggiunge Campanini “alimentando in Riad il timore di
perdere peso e uno status privilegiato di fronte al nemico sciita”.
La guerra in Yemen risponde, dunque, a queste spinte che poco hanno a che fare con la situazione politica interna del paese e
molto dipendono dalle ‘sensibilità’ dei singoli attori. “Ci sono tanti giocatori coinvolti nel conflitto – chiosa l’interlocutore di
MISNA – ma ognuno impegnato nella sua personale battaglia”.[AdL]
-30/03- RAID AEREI COLPISCONO CAMPO PROFUGHI, DECINE DI VITTIME. Almeno 45 persone sono state uccise in
un raid aereo che ha colpito oggi un campo profughi nella provincia di Hajja, nel nord-ovest dello Yemen: a riferirlo,
l’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Iom/Oim), che ha contato anche 65 feriti. Un portavoce dell’organizzazione,
basata a Ginevra, ha precisato che 75 membri dell’Iom/Oim sono sul posto per soccorrere le vittime. In precedenza, Medici
senza frontiere (Msf) aveva confermato che almeno 15 morti e 30 feriti erano stati trasportati nel vicino ospedale di Haradh.
“Si è trattato di un raid” ha confermato anche Pablo Marco, capo del programma di Msf per il Medio Oriente, che ha centrato il
campo di Al Mazrak. Testimonianze diffuse da fonti di agenzia internazionali hanno riferito che ambulanze e mezzi di
soccorso hanno incontrato difficoltà ad accedere al luogo della strage a causa dei bombardamenti della coalizione a guida
araba sulla strada che conduce al campo. Al Mazrak si troverebbe a a circa una decina di chilometri da una base militare e
ospita dal 2009 un numero imprecisato di yemeniti in fuga dal conflitto fra i ribelli sciiti Houthi e il governo centrale. Secondo
Marco, 500 nuove famiglie sono arrivate nel campo negli ultimi giorni... [FB] -31/03- Onu denuncia che sono 62 i bimbi
vittime nell’ultima settimana. –Medici Senza Frontiere lamentano problemi per far giungere gli aiuti ove necessari.- Arabia
critica il sostegno iraniano ai ribelli e minaccia interventi sul negoziato per il blocco del nucleare.(FR24) -02/04- CARRI
ARMATI HOUTHI NEL CENTRO DI ADEN… L’unità ha incontrato una forte resistenza da parte delle milizie locali e
residenti hanno detto di aver visto otto corpi di combattenti Houthi in strada. Molte persone sono fuggite e altre starebbero
cercando di salire su una nave per lasciare il porto. “Se Aden cadesse sarebbe un disastro per la città e per la sua gente”, ha
ammesso il ministro degli Esteri yemenita, Riad Yassin, in una dichiarazione all’emittente araba Al JAzeera. Intanto, nel sudest del paese, Al Qaida nella Penisola Araba (Aqpa) ha assaltato la prigione di Moukalla, liberando circa 300 detenuti tra cui
Khaled Batarfi, uno dei suoi comandanti, approfittando del caos provocato dal conflitto in corso. A Makalla, oltre al carcere, i
combattenti estremisti hanno attaccato il complesso dell’autorità provinciale, la sede della banca centrale e dei commissariati di
polizia. [AdL] -ADEN, RIBELLI NEL PALAZZO PRESIDENZIALE I ribelli yemeniti Houti sono entrati nel palazzo
presidenziale di Aden, proseguendo la loro avanzata nel centro della città portuale, dove continuano i combattimenti con le
milizie fedeli al capo dello stato Abd Rabbo Mansour Hadi. Finora le vittime sono state 44 tra cui, secondo fonti di stampa, 18
civili.È stata smentita da funzionari yemeniti, invece, la notizia che truppe della coalizione guidata dall’Arabia Saudita
sarebbero sbarcate nel porto della città…[DM] -03/04-ADEN, RIBELLI SI RITIRANO DAL PALAZZO PRESIDENZIALE
…In due settimane, con l’avanzata dei ribelli verso Aden, i combattimenti in Yemen hanno causato 519 morti e quasi 1.700
feriti, ha detto il capo delle operazioni umanitarie delle Nazioni Unite Valerie Amos, dicendosi “estremamente preoccupata”
per la sicurezza dei civili. [AdL] -07/04- ADEN: INFURIANO I COMBATTIMENTI, MANCANO GLI AIUTI… In uno
scenario drammatico in cui la situazione umanitaria peggiora di ora in ora e negli ospedali mancano i farmaci per curare
centinaia di feriti, il Comitato internazionale della Croce Rossa (Cicr) fatica a distribuire gli aiuti. “Abbiamo l’autorizzazione a
inviare un aereo cargo carico di medicinali, ma ci sono problemi riguardo l’aeroporto di Sanaa dove sempre meno velivoli
riescono ad atterrare” ha fatto sapere un portavoce. I soccorsi sono dunque bloccati, nonostante gli intensi sforzi diplomatici
profusi nei giorni scorsi con le parti in conflitto affinché ne garantissero il flusso; circa 48 tonnellate di medicinali e kit
chirurgici in attesa del via libera per raggiungere le aree colpite via aria e acqua, mentre una squadra di chirurghi attende a
Gibuti il via libera per partire.Intanto gli Stati Uniti hanno ammesso di non essere in grado di evacuare i loro cittadini a causa
della chiusura degli aeroporti: li hanno quindi esortati a lasciare il paese via mare approfittando della presenza di navi di altri
paesi, fra cui la Francia.[FB] -AIUTI MEDICI, PRIMO AEREO CROCE ROSSA ATTERRA A SANAA Il primo aereo con a
bordo personale della Croce rossa internazionale è atterrato oggi a Sanaa, ha annunciato il direttore operativo della
organizzazione, Dominik Stillhart. Secondo quanto pubblicato da Stillhart tramite il suo account twitter, altri mezzi seguiranno
una volta ricevuta l’autorizzazione.[altri 2 il 10 o l’11aprile (vvTG)]. In particolare, ha specificato la portavoce della organizzazione in Yemen, Marie Claire Feghali, si attende il via libera all’approdo di una nave ad Aden, mentre un secondo aereo
cargo, con il materiale necessario a curare 1500 feriti, dovrebbe decollare domani da Amman, in Giordania. Un altro allarme
umanitario è stato lanciato dall’Unicef: secondo il fondo per l’infanzia delle Nazioni Unite sono oltre 100.000 le persone che
hanno dovuto abbandonare le loro case dal 26 marzo scorso. L’Unicef ha chiesto “rispetto e protezione speciali” in particolare
per i bambini coinvolti loro malgrado nel conflitto: sono 74 quelli che hanno perso la vita dopo l’inizio dei raid.[DM]
-08/04- CAOS YEMEN: LE INCOGNITE DEL CONFLITTO (intervista)
“Il collasso dello Yemen è il risultato di un processo lungo e costante cominciato nei primi anni ’90 quando l’Arabia Saudita
(e in parte gli Stati Uniti) ha scorto nello Yemen unificato una minaccia all’egemonia saudita nella regione. Questo processo –
che include il fallito tentativo secessionista del 1994, la diffusione nel paese di gruppi armati salafiti e wahabiti e almeno sei
campagne militari nelle regioni settentrionali associate agli Houthi – sono il frutto di manovre più o meno celate da parte dei
più ‘paranoici’ tra i vicini della Penisola Araba”: a sostenerlo, in un’intervista alla MISNA è Isa Blumi, esperto di paesi del
Golfo e autore del saggio ‘Chaos in Yemen, Societal collapse and the new authoritarianism’.
Come si spiega la rapida espansione degli Houthi nel centro-sud del paese?
“L’ascesa del clan Houthi – o ‘Ansar Allah’ (Partigiani di Dio) – ha fatto leva sulla frustrazione condivisa delle popolazioni
che vivono su entrambi i lati del confine della zona di Asir/Saada. La loro rivolta ha catturato con successo l’immaginazione e
il sostegno di cittadini yemeniti al di fuori delle tradizionali regioni sciite-zaydite del paese, il che spiega, oggi, la loro
espansione, in poche settimane, fino alla periferia di Aden. Ma suggerisce anche che le fallite strategie saudite per annientare la
minaccia dello Yemen come rivale a lungo termine abbiano portato a rafforzare una rivolta che non solo può garantire il
controllo su gran parte del territorio yemenita ma che ora rischia addirittura di portare la guerra fin dentro il territorio del
Regno”.
L’offensiva ‘Decisive Storm’ ha cambiato gli equilibri sul terreno? A suo avviso i raid favoriranno una soluzione
negoziata o, al contrario, contribuiranno a polarizzare la situazione?
“Per il momento gli Houthi e i loro alleati hanno conquistato con successo gran parte delle zone più popolate dello Yemen e,
soprattutto, hanno stanato i cosiddetti Al Qaida della penisola arabica (Aqap) dalle loro roccaforti a Zinjibar e Badyda. Questo,
a mio avviso, è un fatto particolarmente interessante tenuto conto che gli Stati Uniti si sono impegnati per anni, nel paese, in
una guerra contro gruppi ‘estremisti islamici’. Ebbene, dopo anni di raid con i droni – ed un enorme dispendio in termini
economici e di vite civili – pochi progressi sono stati fatti, mentre in qualche mese gruppi di uomini mal equipaggiati sono
riusciti ad imporsi e ad attraversare queste aree. Questo deve far riflettere…”
C’è il rischio concreto che la guerra in Yemen possa tradursi in un più ampio conflitto regionale?
“Questo dipende, in ultima analisi, dalla decisione di inviare o meno ‘truppe di terra’ da parte della ‘coalizione’ impegnata
nella guerra. Una scelta che potrebbe rivelarsi disastrosa per chiunque. Riguardo all’Arabia Saudita, in particolare, si potrebbe
optare per l’invio di soldati qualora vi fosse la sensazione che il conflitto stia creando maggiori minacce interne. L’elite al
potere a Riad – in fase di consolidamento dopo la contestata transizione seguita alla morte di re Abdallah – non poggia ancora
su un terreno solido. Se questa possibile campagna di terra si dimostrasse fallimentare e costosa come quella contro gli Houthi
nel 2009, le conseguenze potrebbero portare a una lotta di potere violenta nei corridoi di palazzo”.
È corretto parlare di ‘guerra per procura’ in Yemen tra Arabia Saudita e Iran, sospettato di sostenere gli Houthi?
“Fino a quando non riusciremo ad adottare un nuovo prisma attraverso cui leggere gli eventi in Yemen e nel grande Medio
Oriente per quanto riguarda il discorso di ‘settarismo’ e ‘guerre per procura’ continueremo a non cogliere le motivazioni
profonde di persone che muoiono per quello in cui credono. Anche se la mia tesi di fondo, da quando ho pubblicato Chaos in
Yemen, è che molte politiche siano orientate a fomentare il caos nella regione, piuttosto che trovare soluzioni di lungo termine
a conflitti che sono risolvibili, questo non dà il diritto a coloro che traggono profitto dalla diffusione del caos nella regione di
modificare il modo in cui si parla di tali conflitti. La chiave, a mio avviso, sta nel cambiare le categorie di analisi e leggere le
politiche di Arabia Saudita/Stati Uniti nella regione in un modo nuovo.-10/04- ONU CHIEDE PAUSA ‘UMANITARIA’ NEI
COMBATTIMENTI. L’Onu ha chiesto una pausa umanitaria immediata di qualche ora al giorno per distribuire aiuti e
accedere alla popolazione in stato di necessità nel paese, dove la situazione umanitaria si sta rapidamente deteriorando.
“Abbiamo bisogno di qualche ora almeno al giorno” ha chiesto alle parti in lotta il coordinatore per gli affari umanitari Onu
(Ocha) nel paese, Johannes Van Der Klaauw, durante una conferenza stampa oggi a Ginevra.
Il responsabile ha ammonito i giornalisti che ad Aden, in preda a “combattimenti incontrollati tra le milizie” la situazione è
“particolarmente preoccupante, anzi catastrofica”. Secondo le nazioni Unite circa 650 persone sono morte e più di 2000 sono
rimaste ferite dall’inizio dell’offensiva della coalizione a guida saudita nel paese. Inoltre circa 100.000 sfollati si sono
aggiunti ai 330.000 che il paese contava prima dell’inizio dell’escalation militare.Da Islamabad intanto, è arrivata la notizia
che il parlamento ha stabilito che il Pakistan non intervenga militarmente in Yemen “mantenendo un ruolo neutrale e di
mediazione” nell’attuale crisi. Il paese, abitato da una maggioranza sunnita e una minoranza sciita, cerca di salvaguardare i
buoni rapporti con l’alleato saudita senza compromettere le relazioni con Teheran, considerato vicino alla ribellione Houthi
contro il governo di Sana’a.[AdL]
ZAMBIA -07/04- RIFORMA MINERARIA (vSGsMondo nn90, 87,85): LUSAKA FA MARCIA INDIETRO.Ridurre aliquote
e “royalties”, per tutelare posti di lavoro e attività estrattive: sarebbe questo il senso della revisione del sistema di tassazione
delle multinazionali del comparto minierario avviata dal presidente Edgar Lungu, eletto a gennaio… L’aumento della
pressione fiscale aveva messo il governo di Lusaka contro le multinazionali del rame, anzitutto Barrick Gold e Glencore, che
hanno minacciato chiusure e licenziamenti.ZAMBIA CINA -31/03- DATE LAVORO AGLI AFRICANI L’APPELLO DI
LUNGU IN CINA… dove sta svolgendo una visita ufficiale di ben otto giorni… “La costruzione di strade, scuole, ospedali e
acquedotti di cui stiamo parlando sono opportunità per le vostre imprese – ha detto Lungu – ma la nostra gente a casa vuole
lavoro e vuole partecipare ai progetti”… I rapporti della Cina sono di particolare rilevanza per lo Zambia. In Asia il paese
africano esporta buona parte della sua produzione di rame, tesoro nazionale.[VG]
ZIMBABWE -16/03- DIAMANTI, HARARE VUOLE IL MONOPOLIOPortare tutto il settore dell’estrazione dei diamanti
sotto il controllo di un’unica compagnia, proprietà dello Stato al 50%: il progetto è stato presentato da Walter Chidhakwa,
ministro per le Miniere, sulla base di una legge che prevede una revisione degli assetti dei settori strategici dell’economia
nazionale… In un processo di riorganizzazione del comparto minerario va collocato anche l’annuncio del novembre scorso
della creazione di un fondo sovrano gestito dalla Banca centrale. Nelle intenzioni del governo del presidente Robert Mugabe,
l’organismo dovrà finanziare la realizzazione di infrastrutture. Cruciali, in questo progetto, i diamanti: con una crescita del
35% l’anno il comparto è in assoluto il più dinamico.[VG]
APPROFONDIMENTI
1) La misericordia (rahma) di Allah nel Corano e nella tradizione islamica. (Credere Oggi 202-2014 n4-pgg111-122)
2) Quanto è vicino il Nord-Africa.(OasisNews 2015 n5)
3) Dopo Tunisi, tutti sotto attacco? (OasisNews 2015 n7)
4) Pechino nasconde per paura il corpo di mons. Cosma Shi Enxiang. (AsiaNews 278- mar2015 pg27-28)
5) EGITTO:
5a) CRONOLOGIA MINIMA (2011-2014) [da MissConsol 2015n3-E.C.]
5b) Sinai: il buco nero dell'Egitto (misssConsol.2015 n3) Intervista
6) Noi, indifferenti… [da Africa 2015n.2]
&&&-§§§§§§§§§§-&&&
1) La misericordia (rahma) di Allah nel Corano e nella tradizione islamica. (Credere Oggi 202-2014 n4-pgg111-122)
Per certo, l'uomo è ingrato...(XV11, 66).
In questo contributo parleremo della misericordia di Allah attraverso una breve disamina di alcuni testi offerti dal Corano e
dalla tradizione, ma prima dovremo necessariamente fare un breve excursus sull'antropologia coranica.
a) La natura umana è inaffidabile
Spira nel Corano e in generale nelle sacre scritture dell'islam - che comprendono anche i detti del profeta o hadith e, per quanto
riguarda gli sciiti, almeno alcuni scritti degli imam - un grande pessimismo circa la natura dell'uomo, che è via via presentato
come l'essere più abietto, immemore di Dio. prepotente e prevaricatore, e fondamentalmente ingrato. L'islam non ammette
l'idea di incarnazione, che di per sé nobilita e riscatta la forma umana. L'immagine dell'uomo che emerge dall'antropologia
coranica risulta insomma fortemente negatíva: l'uomo lasciato a se stesso non farebbe che operare secondo il vecchio adagio
homo homini lupus, come anche si evince da un noto hadith in cui il profeta dell'islam dichiara che,
Se a ogni uomo fosse dato secondo le sue pretese, gli uomini reclamerebbero i beni e la vita altrui.(1)
come a dire: se non vi fosse la legge di origine divina o shari'a a frenare gli istinti belluini e l'atteggiamento prevaricatore di
ognuno, nessuna società ordinata e tantomeno una umma nel senso islamico sarebbe concepibile.
Basterà qui richiamare pochi passi coranici che confermano questa antropologia fortemente pessimistica che, in modo del tutto
consequenziale, rimette a Dio e alla sua «misericordia» (rahma) non solo la questione della costituzione di una società umana
ordinata, ma anche la questione della salvezza individuale e persino della stessa giustificazione. «Dio guida chi vuole e travia
chi vuole», si legge nel Corano più volte, qualcosa che vagamente ci ricorda, se si vuole, quel problematico « ... e non ci
indurre in tentazione» del Pater Noster, che da sempre ha stimolato e conturbato gli studiosi di teodicea. Anche sulle qualità
intellettuali e in particolare l'attitudine della ragione umana a trovare valori fondativi il Corano manifesta tutto il suo radicale
scetticismo:
E' Dio che guida al vero! […] ma i più di loro non seguono che una congettura (zann), ma a nulla serve la congettura di fronte alla
Verità (haqq) (X, 35-36).
Ma avete cognizioni precise? [ ... ] voi non seguite altro che congetture e non fate che mentire. Dì [ai tuoi, o Maometto]: «ma è Dio
che possiede l'argomento efficace e, se avesse voluto, vi avrebbe tutti guidati al vero» (VI, 148~149)(2).
La ragione umana non fonda nulla: secondo il Corano pone al più congetture... Le verità, insomma. vengono da tutt'altra parte.
Non possiamo soffermarci a commentare questi versetti o anche solo accennare alle immense questioni implicate'. Ma vediamo
cosa dice il Corano delle qualità morali dell'uomo, indubbiamente l'oggetto privilegiato (anche se non esclusivo) della
misericordia divina. L'uomo è descritto senza mezzi termini come un essere abbietto e miserabile:
In verità noi creammo l'uomo in armonia di forme, e poi lo riducemmo degli abbietti il più abbietto (salvo coloro che credono e
operano il bene, che avranno compenso non rinfacciato) (XCV, 4-5).
In verità Noi creammo l'uomo nella miseria: s'illude egli forse che nessuno abbia potere su di lui? (XC, 4-5).
E’ profondamente e irrimediabilmente ingiusto con il prossimo suo:
E se Dio riprendesse gli uomini per la loro ingiustizia, non avrebbe lasciato sulla terra anima viva... (XVI, 61).
Se le cose gli vanno bene, ecco che subito: «L'uomo prevarica, appena crede d'esser ricco ... » (XCV1, 6). Ancora più
inappellabile suona il giudizio divino in questo passo, che sembrerebbe quasi un'ammisione di Allah circa la non perfetta
riuscita della sua creazione:
Certo, l'uomo fu creato avido, nell'avversità impaziente, nella prosperità ingeneroso (LXX, 19-21).
Ma soprattutto la cifra dell'umano è la sua, si direbbe, strutturale e congenita ingratitudine verso Dio, quasi un ritornello nel
Corano:
Quando l'uomo è dalla sventura colpito, egli Ci invoca ovunque si trovi, sdraiato, in piedi o seduto, ma quando Noi dalla sventura
l'abbiamo salvato, egli passa oltre come se non Ci avesse mai invocato, come se nulla gli fosse occorso di male. Così, agli occhi
dei gaudenti, sembran belle le proprie azioni... (X, 12).
Questa immagine dell'uomo che furbescamente si appella alla misericordia di Dio nel momento del bisogno estremo, per poi
scordarsene subito dopo avere ottenuto l'aiuto sperato, viene ribadita nella medesima sura con un esempio concreto:
Egli (Allah) è colui che vi fa andare sulla terra ferma e sul mare, e quando siete sulle navi ... e le coglie un uragano e l'onde da
tutte le parti l'assalgono e voi già vi pensate d'esserne avvolti, allora invocate Dio con fede sincera: «Se ci salvi da questo disastro,
Te ne saremo grati per sempre! ». E quando li ha salvati, ecco che vanno tracotanti per la terra iniquamente. 0 uomini! La vostra
tracotanza si volgerà contro voi stessi. Godrete per un po' la vita della terra, poi a Noi tornerete e Noi vi informeremo di quel che
facevate laggiù! (X, 22-24).
La medesima immagine tratta dalla vita di mare si ripete in XVII, 66 dove la divina reprimenda si conclude con un lapidario:
«Per certo, l'uomo è ingrato! », ma si veda anche XXIX, 65-66 dove il Dio coranico lamenta che gli uomini da lui salvati nel
pericolo tornino subito e invariabilmente ai loro «idoli», per un'inemendabile «ingratitudine verso i Nostri doni e per goder
meglio la vita».
Il ragionamento coranico - si sara osservato - pone spesso la misericordia di Dio a fronte dell'atteggiamento «furbesco» e
insidioso dell'uomo, come ben si vede anche in questo passo:
E allorché facciam gustare agli uomini un segno della Nostra misericordia dopo un'angustia che lì abbia colpiti, ecco che essi
tramano insidie contro i Nostri segni. Dì loro [o Maometto]: «Ma più rapida della vostra è l'insidia di Dio! 1 Nostri angeli scrivono
tutte le vostre insidie!» (X, 21).
Dove, come si vede, il Dio coranico non esita a scendere, se necessario, sullo stesso piano del male e delle «insidie» umane.
«Essi tramano astuzie? E anch'Io tramerò astuzie!» (LXXXVI, 15). Allah è un «signore del bene e del male», può «insidiare» e
persino «essere vendicativo» (V, 95) coi recidivi; anzi, come certifica Iblis/Satana dalle stesse pagine del Corano:
Io vedo quel che voi non vedete. Io ho paura di Dio. Dio è, quando castiga, crudele! (VIII, 48).
b) La misericordia di Allah nel linguaggio del Corano
In questo quadro, segnato dall'« ingratitudine insidiosa» dell'uomo, come si colloca la misericordia di Allah?
Può riuscire un po' strano - apriamo una breve parentesi - o quasi stonato oggi, con la fanfara dei media che ci ripropone
continuamente l'immagine di una mondo islamico dilaniato da fondamentalismi e violenze quotidiane intersettarie e non (in
particolare tra i vari gruppi sunniti e sciiti come, per esempio, accade oggi in Siria, Irak o Pakistan; oppure tra musulmani e
indù in India, o musulmani e cristiani in Nigeria), parlare del tema della «misericordia di Allah». Eppure un noto hadith(detto o
sentenza del profeta Maometto) a questo proposito recita:
La diversità di opinioni nella mia comunità è una [dimostrazione di] misericordia (rahma) di Dio.
Questo testo è un buon punto di partenza per una breve presentazione del tema in questione, perché ci consente subito di
intendere il senso e i limiti semantici della parola rahma, che è il termine arabo che viene reso comunemente con
«misericordia».
Il concetto di rahma non ha quasi mai a che fare con l'idea di perdono, che normalmente si associa al concetto cristiano di
«misericordia», ma piuttosto si associa a quello di «dono», atto di bontà o di beneficenza che Dio compie gratuitamente a
favore degli uomini o in generale del creato, e come tale è spesso sinonimo di fadl o 'inaya, altri due termini coranici. Nel
Corano in questo senso si usa rahma innumerevoli volte: per esempio, lo stesso Corano rivelato al Profeta Maometto è una
«misericordia» di Dio. oltre che una «guida» (hudà) per gli uomini. Questa coppia rahma wa hudà (misericordia e guida) è
anzi adoperata per qualificare non solo il Corano (XXVII, 77, e passim), ma anche il «Libro dato a Mosè» (VI, 154; VII, 154).
E qui si intuisce un aspetto essenziale della «misericordia» di Allah: essa è spesso strettamente legata a una sorta di pedagogia
divina, quale si manifesta attraverso i libri consegnati ai profeti e non solo. Non meraviglia che, in quest'ottica, lo stesso
profeta Muhammad sia definito «misericordia» inviata agli uomini (XXI, 107) e che il medesimo termine venga usato anche a
proposito di Gesù, il «profeta» dei cristiani. li passo relativo a Gesù è particolarmente suggestivo. Si colloca nell'ambito
dell'episodio dell'annunciazione, ripreso con qualche variazione sul tema nel Corano, in cui a una Maria incredula, di fronte
all'idea di poter divenire madre senza intervento umano, l'angelo Gabriele risponde rassicurante:
Così sarà. Perché il tuo Signore ha detto: «Cosa facile è questa per Me, e Noi per certo faremo di lui (Gesù) un Segno (ayat) per
gli uomini, un atto di misericordia (rahma) Nostra: questa è cosa decretata». Ed essa lo concepì e si appartò in un luogo lontano...
(XIX, 21-22).
Si osservi en passant che qui rahma (misericordia) si associa a «segno» (ayat) di Dio, il che ulteriormente conferma l'aspetto
pedagogico della rahma divina. Nel Corano si insiste a iosa sui «segni di Dio», sopra i quali è invitato a riflettere ogni «uomo
che sano ragiona» (XLV, 3-6 e passim)'(4). Altre «misericordie» di Dio indicate nel Corano sono la pioggia (VII, 57 e passim),
l'alternarsi del giorno e della notte (XXV111, 73), il «pane quotidiano», agi e successi umani, ecc.; e sempre «misericordia di
Dio» (in arabo: rahmat allah, che è fra l'altro uno dei nomi più diffusi nell'onomastica dei paesi musulmani) sono qualificati
altri doni o aiuti che Allah concede a suo arbitrio in una miriade di occasioni alle sue ingrate, immemori creature.
Per tornare al testo del hadith che abbiamo citato all'inizio di questo paragrafo - che va considerato nel contesto delle tante
controversie politico-religiose sorte già nell'islam nascente - vi si coglie ancora una volta nettamente l'intento «pedagogico»: la
divergenza delle opinioni - è l'invito che trapela chiaramente dal testo - non deve condurre a fratture e opposizioni interne alla
comunità, ma essere bensì guardata come una benedizione, un «atto di misericordia» appunto, di Allah. La storia si incaricherà
ben presto di smentire l'ottimismo che spira da questo antico testo, e nondimeno esso resta ancor un punto di riferimento
scritturale fondamentale per tutti coloro che nell'islam, dal medioevo a oggigiorno, si sono sforzati di mantenere la pace
intra-comunitaria e di tentare la via della conciliazione tra opposte fazioni, in primis tra sunniti e sciiti.
Abbiamo detto che la «misericordia» (rahma) non implica mai necessariamente l'indulgenza verso i peccatori, benché i due
concetti siamo talora associati nel Corano come, ad esempio, in XVIII, 58: «E il tuo Signore è l'Indulgente, il Misericorde»(5).
In realtà, l'etimologia ci offre forse il modo migliore di penetrare il concetto di rahma che, tra l'altro, con la forma degli
aggettivi derivati rahman e rahim, ricorre all'inizio di ogni sura del Corano nella formula ben nota: b-ism Allah, al-rahman
al-rahim (di solito resa con: «Nel nome di Dio, il Clemente, il Misericordioso»). La parola ha una radice trilittera araba
-*r-h-m che la riconnette anche al termine che in arabo indica la parentela a livello di clan o tribù e, infine - particolare per noi
interessantissimo -, allo stesso utero materno (rahim). Ecco, dunque, che questo etimo ci apre una direzione semantica del tutto
inaspettata: un Dio apparentemente così arcigno e «maschio» come quello coranico è qualificato agli inizi di ogni sura del
Corano con due aggettivi che rimandano a un orizzonte di senso in qualche modo femminile, tipicamente materno. Sembra
quasi che Allah provi per le sue creature un sentimento «viscerale» di amore e compassione, che di per sé andrebbe ben oltre
la disponibilità all'indulgenza e al perdono, quale solo una madre può provare per i suoi figli.
Ma qui abbordiamo un altro aspetto del vasto spettro semantico di rahma, che rimanda non solo al concreti atti di bontà o di
misericordia di Dio verso le creature, di cui s'è detto, ma anche a un preciso atteggiamento/sentimento di «bontà», di
«benevolenza» o di «tenerezza» persino, che - potremmo dire, proprio a partire dall'etimo or ora esaminato - appare
maternamente connotato (6). Il grande poeta e sufi persiano Rumi (XIII sec.) in un celebre brano ci parla di un Iblis, il Satana
coranico, che nostalgicamente rievoca Dio e lo stato di vicinanza a lui precedente alla disobbedienza e alla caduta: Dio si rivela
essere il suo grande antico e mai sopito amore, viene paragonato da questo inedito Iblis addirittura a una mamma che va a
cercare il latte per il suo bimb (7)! Ora, proprio questo aspetto di «tenerezza», qualcosa che implicitamente comportava una
sorta di fragilità sentimentale-emotiva di Dio, doveva avere messo in un certo imbarazzo i teologi e gli esegeti del Corano, che
da sempre amano sottolineare l'assoluta imperturbabilità. di Allah: un Dio al quale, dall'azione umana, «non derivano danni né
vantaggi».
Secondo i lessicografi arabi rahma implica proprio una «tenerezza del cuore» (riqqat al-qalb) o «sensibilità» in senso affettivo
che mal si concilierebbe con la presunta «imperturbabilità» di Allah di fronte a fatti e misfatti umani. Un teologo e grande
eresiografo medievale, al-Shahrastani (m. 1153), così traccia le semantica di rahma:
In arabo rahma indica la sensibilità del cuore (riqqat al-qalb), la compassione (shafaqa), la dolcezza (lin), la gentilezza (rifq);
questo termine ha per contrari la durezza (fazaza), la rudezza del cuore (ghilzat al-qalb).
Secondo Daniel Gimaret qui «la question qui se pose pour un théologien est de savoir si, ainsi compris, rahma peut vraiment se
dire de Dieu» (8), per quanto tale nozione implica vulnerabilità e fragilità, dal momento che - e qui, si sarà intuito, tocchiamo
un'altra delle differenze capitali con la teologia cristiana - Allah non può soffrire o patire alcunché.
Una soluzione è offerta da quei teologi (al-Ghazali, al-Zamakhshari) che affermano, in buona sostanza, che la rahma di Dio è
da intendersi esclusivamente nel senso già esaminato all'inizio di gratuito, concreto «atto di bontà» o di benevolenza, non
nell'altro senso -problematico come s'è visto se riferito a Dio - di «tenerezza e sensibilità» così strettamente legati come
abbiamo visto a connotazioni materne.
c) Dio clemente e misericordioso
Più sopra abbiamo accennato alla formula della basmala che include due aggettivi, rahman e rahim, che sono direttamente
connessi all'etimo di rahma. Tecnicamente, nel gergo degli esegeti e dei teologi musulmani, i due termini sono classificati
come due dei «99 bei nomi di Dio»(9), e data la loro frequenza e la particolare collocazione all'inizio di ogni sura, assumono
intuibilmente un'importanza ben maggiore degli altri 97. Dal punto di vista lessicale e semantico sono praticamente dei
sinonimi, ma vi è una lunga storia di speculazione sulle possibili differenze di significato tra i due termini, cui faremo solo
qualche cenno. Per esempio, c'è accordo sul fatto che il primo, rahman. possa dirsi solo di Dio (tra l'altro nell'Arabia
preislamica c'è traccia di una divinità sud-arabica che portava questo nome); mentre il secondo, rahim, si può dire di chiunque.
Insomma rahman ha un valore più sacrale e esclusivo, e nelle lingue occidentali è spesso reso con «clemente», qualcosa che
rinvia alla regalità di Allah, capace di punire ma anche di risparmiare il reo; là dove rahim viene reso piuttosto con
«misericordioso», «compassionevole» et similia.
Qualche teologo, ulteriormente sottilizzando, afferma che Allah sarebbe rahman verso la totalità delle creature, musulmani e
non musulmani, dando a tutti i mezzi per ottenere la propria salvezza; mentre sarebbe rahim solo con i credenti nel verbo
predicato da Maometto, ai quali concederebbe la finale ricompensa senza essere troppo fiscale nel «fare il conto».
Più interessante è un'altra distinzione, sempre riferita a rahman e rahim che in teologia diventano i «nomi di Dio» che per
antonomasia individuano due classi distinte: i nomi di maestà e i nomi di bellezza. I teologi musulmani hanno, in effetti,
distinto nella personalità divina aspetti di maestà (jalal) e aspetti di bellezza (jamal), in questo largamente anticipando le note
categorie di Rudolf Otto che distingue un deus fascinans da un deus tremendus(10). Esisterebbero, dunque, due serie distinte di
nomi divini: quelli di bellezza, riconducibili a rahim come, per esempio: buono, amorevole, munifico, caritatevole, patrono,
ecc.; e quelli di maestà riconducibili a rahman come il giusto, il punitore, l'eccelso, il forte, il giudice, ecc. Uno dei più
interessanti trattati della mistica araba medievale, Gli schiudimenti della bellezza e i profumi della maestà di Najrri al-din
Kubrà (m. 1221) fa riferimento, come si vede sin dal titolo, proprio a queste due serie di aspetti della personalità divina,
compendiati in rahman e rahim (11). In un certo senso, quindi, si potrebbe dire che tutta la teologia islamica discende
dall'analisi della «misericordia» di Allah, in quanto in «clemente» (rahman) e in «misericordioso» (rahim) si riassumono tutti i
suoi vari aspetti di maestà e di bellezza.
d) Come ottenere la misericordia di Allah
Come s'è detto più sopra la «misericordia» (rahma) non include stricto sensu l'idea di perdono. Allah, peraltro, ci tiene a
mostrare la propria indulgenza verso i peccatori, ma si direbbe a certe condizioni. Infatti, si sottolinea nella tradizione (hadith)
che l'indulgenza di Dio verso la creatura è in qualche modo proporzionale all'indulgenza che essa avrà con il suo prossimo,
come si evince, per esempio, dalla conclusione di questo passo:
Non invidiatevi l'un l'altro, non odiatevi l'un l'altro; non voltate le spalle l'uno all'altro, ma siate fratelli, o servi di Allah. Il credente è
fratello del credente: non lo opprime né lo abbandona, non lo inganna né lo disprezza. Chi è indulgente verso un credente, Dio
sarà indulgente con lui in questo mondo e in quell'altro. Dio viene in aiuto del suo servo nella misura in cui questi viene in aiuto del
fratello (12).
E ancora, questa volta dal Corano:
O credenti, nelle mogli e nel figli vostri c'è per voi [talvolta] un nemico, statene in guardia: ma se avrete indulgenza e perdono,
Iddio vi perdonerà e avrà pietà di voi (LXIV, 14).
La stessa idea è ribadita in altro contesto in cui il perdono appare come nient'affatto scontato, ma quasi un «premio» di non
facile ottenimento:
E gareggiate verso il perdono del vostro Signore e un giardino [il paradiso] ampio come i cieli e la terra, apparecchiato al timorati di
Dio, i quali... reprimono l'ira e perdonano agli offensori (111, 133-34).
Allah si attende, dunque, per poter più agevolmente perdonare, che le sue stesse creature esercitino il perdono, anche a
preferenza della vendetta (lecita entro i limiti della «legge del taglione») come si evince da quest'altro passo:
Quando i musulmani ricevono un'ingiuria si vendicano, se il contraccambio di un danno deve essere un danno pari; tuttavia chi
perdona e si riconcilia, il suo premio sarà a carico di Dio che non ama gli oppressori (XLII, 39-40).
Passo importante, osserviamo en passant, perché vi è nettamente affermata la superiorità dell'etica del perdono su quella del
taglione, pur ammessa; ma il Corano si spinge anche più in là, si direbbe nella direzione dell'etica cristiana del «porgere l'altra
guancia»:
Non sono cosa uguale il bene e il male, ma tu respingi [o ricambia] il male con un bene più grande e vedrai che colui che era a te
nemico ti sarà caldo amico (XLI, 34; cf. anche XXIII, 96).
Allah ha naturalmente tra i suoi 99 bei nomi anche: «11 perdonatore» (al-Ghaffar), «il Paziente» (al-Sabur), il Mite (al-Halim)
e «Colui che riceve il pentimento» (al-Tawwab). Peraltro, la letteratura religiosa e mistica musulmana abbonda di aneddoti e
storie tese a illustrare l'infinita disponibilità di Allah a pazientare di fronte alla pervicacia dei peccatori e a perdonare colui che
gli si rivolga pentito. Eccone un esempio significativo, che ci parla del difficile pentimento di un peccatore incallito, tratto dal
poema Il verbo degli uccelli del mistico 'Attar (m. 1230 ca.):
Un tale che s'era macchiato di ogni colpa, pieno di vergogna fece atto di contrizione e ritornò sulla via. Ma di lì a poco la sua carne
riprese vigore e costui, dimentico del pentimento, nuovamente divenne schiavo dei sensi. Così ancora una volta uscì dalla via e si
macchiò di ogni colpa. I1 suo cuore infine fu preso dal rimorso, ma egli era talmente vergognoso di sé che la faccenda per lui si
fece assai difficile. Non riuscendo a sfuggire alla propria inconcludenza, provò nuovamente il desiderio di pentirsi e tuttavia gli
mancava il coraggio: giorno e notte, come grano sulla padella, il suo cuore bruciava e i suoi occhi lacrimavano sangue. E tanto
pianse che le sue lacrime avrebbero potuto lavare la polvere che si posava sul suo cammino. Un giorno all'alba una voce
dall'Invisibile lo chiamò per aiutarlo ad agire con maggiore determinazione: «Il Signore del mondo ti dice questo: quando ti pentisti
la prima volta, lo ti perdonai e accolsi il tuo pentimento. Avrei potuto punirti, ma non volli farlo. E quando nuovamente rinnegasti il
tuo pentimento, fui indulgente con te, non m'adirai. Se ora desideri bussare ancora una volta alla mia porta, ebbene fallo, o ignaro:
è già aperta! Ti sei emendato e io sono qui ad aspettarti»(13).
Quest'ultima citazione ci porge l'occasione per comprendere meglio ciò che motiva la «misericordia» di Allah per l'uomo: il
suo essere creatura tendenzialmente immemore di Dio, ragione prima della sua stessa ingratitudine, portata a dimenticare
rapidamente il messaggio dei profeti e le prescrizioni della legge. Il Dio coranico, tra le tante «misericordie» di cui gratifica
l'uomo, gli manda periodicamente profeti a rinnovare il messaggio del «Libro archetipo» o «Madre del libro» (Umm al-Kitab),
da cui discenderebbero tutte le rivelazioni: dalla Torà ai Salmi, dal Vangelo al Corano(14). Non a caso il Corano medesimo è
definito spesso un dhikr: «monito» in primis, ma etimologicamente un «ricordo», un messaggio che vuole ricordare e
ammonire insieme gli «smemorati» sulla totale dipendenza dell'uomo da Dio. Ed è significativo che questo medesimo termine
possa designare anche la preghiera, come forma privilegiata di «ricordo di Dio». Quella canonica com'è noto è compiuta in
cinque distinti momenti della giornata, ma nel sufismo vi sono particolari tecniche di «dhikr mistico» che gradualmente
portano l'adepto a una forma di preghiera perpetua (cf. la «preghiera di Gesù» degli esicasti) che realizza appieno il senso della
preghiera come «ricordo» di Dio.
Come abbiamo visto più sopra, il Corano è la prima «misericordia» che Allah concede agli uomini immemori di lui e
pervicacemente ingrati, e la preghiera - formata per lo più da formule tratte proprio dal Corano - diventa lo strumento principe
di salvezza e di ricerca della propria giustificazione attraverso i larghi sentieri della misericordia del Dio coranico.
CARLO SACCONE docente di Storia e cultura dei paesi islamici presso l'Università di Padova
Sommario
Il Corano è la prima «misericordia» che Dio concede agli uomini, di per sé esseri ingrati e immemori di Dio. L'articolo esamina in un primo
momento questa visione pessimistica dell'uomo contenuta nella rivelazione coranica. In un secondo punto viene analizzata la terminologia e
le differenti denominazioni che caratterizzano l'atteggiamento divino verso l'uomo. In particolare il termine rahma mostra affinità con la
misericordia e la tenerezza «viscerale», quasi materna di Allah verso le sue creature. Infine, si citano e commentano i passi del Corano in
cui l'uomo è invitato a perdonare le offese ricevute, per rendersi così degno a sua volta dei perdono divino.
Note
(1) AL NAWAWI, Il giardino dei devoti Detti efatti del Profeta, a cura di A. S CARABEL, Siti, Trieste 1982, 116.
(2) Qui e di seguito le citazioni sono tratta da Il Corano, a cura di A. BAUSANI, Rizzoli - BUR, Milano 1988: a tutt'oggi da ritenersi per l'eleganza
e precisione della traduzione, per la ricchezza e profondità degli apparati critici, la migliore edizione disponibile per il pubblico italiano.
(3) Sinteticamente cf. C. SACCONE, I percorsi dell'islam. Dall'esilio di Ismaele alla rivolta dei nostri giorni, EMP, Padova 2003', 219-272: Il volto
di Allah nelle scritture e nella riflessione teologica e mistica e relativa bibliografia.
(4) Cf. A. SCHIMMEL, Die Zeichen Gottes. Die religióse Welt des Islams, C.H. Beck, Muenchen 1995.
(5)Cf. anche XXXIX, 53 e XL, 7.
(6)Sulla teologia coranica, per un primo orientamento rimando a C. SACCONE, Allah, il Dio del Terzo Testamento. Letture coraniche II,
Medusa, Milano 2006.
(7) Cf. C. SACCONE, Iblis, il Satana del Terzo Testamento. Santità e perdizione nell’Islam. Letture coraniche II, Centro Essad Bey, Padova
2012 (ebook per AmazonKindle Edition).
(8)R D. GIMARET, rahma, in Encyclopédie de l'islam, Brill Online, Leiden 2014
(http://lreferenceworks.brillonline.com/entries/encyclopedie-de-l-islam/rahma-SIM 6195 [23.7.2014]) da cui abbiamo attinto anche per la
semantica di rahma-rahman-rahìm.
(9)Cf. A. SCARABEL, Preghiera sui nomi più belli. I novantanove nomi di Dio nella tradizione islamica, Marietti, Genova 1996.
(10) R. OTTO, Il sacro, a cura di A.N. TERRIN, Morcelliana, Brescia 2011
(11) NAJM AL-DIN KUBRA', Gli schiudimenti della bellezza e i profumi della maestà («Fawatih al-Jamal wa Fawa'ih al-Jalal»), a cura di N.
NOROZI, Mimesis, Milano 2011
(12)AL- NAWAWI, Il giardino dei devoti. Detti e fatti del Profeta, a cura di A. SCARABEL, Siti, Trieste 1982, 120-22.
(13) In FARID AL-DIN 'ATTAR, Il verbo degli uccelli (Mantiq al-Tayr), a cura di C. SACCONE, Centro Essad Bey, Padova 20131 (ebook per
Amazon-Kindle Edition).
(14)Cf. SACCONE, Ipercorsi dell'islam, 77-142: Il Corano e relativa ampia bibliografia.
2) Quanto è vicino il Nord-Africa
Cosa accade al gigante egiziano? Forze statali e non statali ne minacciano i confini a ovest e il Sinai, mentre all’interno i
Fratelli, nemici giurati di chi ora governa, non si arrendono alla sconfitta. E monta il dibattito sull’urgenza di una riforma
educativa, religiosa e non solo, sollecitato anche dallo shaykh di al-Azhar. Nonostante la violenza e le gravi tensioni, i
vescovi di Marocco, Tunisia, Algeria e Libia rilanciano il senso della presenza dei cristiani in queste terre come “servitori di
speranza”.
2a) L’Egitto schiacciato trai jihadisti del Sinai e della Libia
Forze statali e non statali minacciano i confini e la regione del Sinai, un fatto inedito nella storia del Paese. Il governo
propende per una soluzione “securitaria” prima che politica, sempre più remota. Ma le misure anche più dure non risolvono
la minaccia di Isis e il ruolo della Fratellanza continua ad allarmare.
(Tewfik Aclimandos - giovedì 12 marzo 2015)
L’Egitto si trova ad affrontare molte sfide “securitarie”, anche a voler utilizzare questo termine nella sua accezione più
ristretta.
Per la prima volta nella storia del Paese, forze statali e non statali minacciano i confini e la periferia (il Sinai), per non
parlare della specificità della sfida lanciata dall’Etiopia con la questione delle risorse idriche, vitali per il Paese. Pur essendo
migliorata, la situazione sulle rive del Nilo continua a essere pericolosa per la presenza di una forza politica minoritaria, i
Fratelli Musulmani, che contano qualche centinaio di migliaio di membri, e che non perdonano a parti cospicue della
popolazione egiziana di aver «delegato all’esercito i poteri per lottare contro il terrorismo» e, così facendo, di aver
preparato/avallato la sanguinosa repressione di Rab’a (14 agosto 2013, con centinaia di morti). Pur di far cadere il nuovo
regime, la Fratellanza è disposta a ricorrere a qualunque mezzo, violenza terroristica e atti di sabotaggio compresi.
Nonostante sia sempre più minoritaria nel Paese, questa forza dispone di roccaforti e bastioni, alcuni dei quali nella
periferia della capitale. Al momento non si intravvede ancora una soluzione politica e la soluzione securitaria, nonostante
un’efficacia crescente e a tratti impressionante, mostra i suoi limiti. Tuttavia per il momento si può affermare che il regime ha
vinto la battaglia nella valle e che le manovre dei Fratelli non fanno che accrescere il rifiuto di cui sono oggetto.
I jihadisti minacciano il Sinai e il confine libico. In Sinai erano frazionati in diverse formazioni, divise sulle questioni
dottrinali e sulla tattica politica, ma i duri colpi subiti li hanno spinti a raggrupparsi sotto l’egida di Ansar Bayt al-Maqdis,
formazione affiliata ad al-Qaida e poi unitasi a Isis. Questa formazione occupa solo la zona est della costa settentrionale,
ovvero il tratto Arish/Rafah, più una piccola parte del territorio nord-orientale, in particolare la regione della montagna alHallal e del villaggio di Shaykh Zuwayd. Questo gruppo, un misto di combattenti stranieri, jihadisti della valle e figli di alcune
tribù del Sinai, conta diverse migliaia di combattenti: le stime oscillano tra 5000 e 22000. Ha subito perdite pesanti, più di un
migliaio di morti, i suoi canali di comunicazione e di approvvigionamento vengono regolarmente interrotti, ma fino a oggi è
sempre riuscito a rinascere periodicamente e a “proiettare” le sue forze nell’organizzazione puntuale di operazioni omicide
dalle sue roccaforti.
Ciò che è certo è che può contare su appoggi a Gaza e quanto meno sulla neutralità “positiva” delle brigate al-Qassam.
È certo anche che questo gruppo è riuscito a ottenere il “silenzio”, consenziente o meno (a seconda dei casi), delle tribù,
giustiziando brutalmente le persone accusate di “collaborazionismo”. Nella regione la questione securitaria è resa più
complessa dalla difficoltà di reclutare informatori, a causa di una certa chiusura degli ambienti tribali. La mancanza
d’informazioni spesso spinge le autorità a ricorrere alla repressione brutale o alle sanzioni collettive, che sono
controproducenti. Tuttavia non bisogna pensare che tutte le tribù del Sinai abbiano aderito alla causa jihadista (non è questo il
caso) e occorre riconoscere che l’esercito ha ottenuto qualche importante successo e ha fatto progressi notevoli, anche se la
strada è lunga per non dire interminabile.
La sfida libica è diversa. La Libia è diventata un gigantesco mercato d’armi e approvvigiona sia l’Africa sub-sahariana, sia
Gaza e il Sinai. Isis si è installata a Derna e a Sirte. Tra i suoi ranghi si contano 5000 combattenti, dei quali alcuni sono libici,
ma la maggioranza è yemenita. La soluzione “intervento militare esterno” è rischiosa e in Egitto nessuno la auspica, ma non si
può escluderla definitivamente. L’ideale sarebbe una soluzione politica che consenta di formare una burocrazia, ricostruire un
esercito libico e disarmare le milizie. Su questo punto, per quanto difficile sia, tutti i Paesi limitrofi sono d’accordo, anche se
l’Egitto a volte dà l’impressione di rifiutare questa idea ed essere tentato dalla soluzione di una zona tampone. Il problema
delle autorità cairote sembra piuttosto il ruolo da attribuire ai Fratelli Musulmani libici in un’eventuale coalizione nazionale al
potere.
Questi ultimi infatti reclamano uno status che probabilmente è coerente con il loro potere militare, ma che è di gran
lunga superiore al loro peso elettorale, quale è emerso alle ultime elezioni. Incognite irritanti sono anche la capacità dei Fratelli
di mantenere aperti canali di trasmissione con le milizie jihadiste e i rapporti con l’organizzazione internazionale della galassia
islamista. La mancanza di fiducia si traduce in molti modi: per esempio, i colpi sferrati dall’Egitto contro Isis sono stati
coordinati con il potere legittimo (ma minoritario), e non con i Fratelli libici, che non ne sono stati informati. Questi ultimi
hanno reagito diffondendo menzogne spregevoli, attribuendo la decapitazione dei copti ai servizi egiziani e sostenendo che
questo crimine non era stato commesso in Libia.
È troppo presto per sapere se le congetture contrastanti, le ambizioni rivali e l’assenza di organi statali reali saranno
ostacoli insormontabili. Le milizie islamiste inoltre sfruttano i dissensi tra Paesi limitrofi; la Tunisia non possiede un esercito,
cosa che la rende più incline a cercare un accordo con gli islamisti.
2b) Una svolta per l’Islam dal recupero del senso della storia
Il discorso dello Shaykh al-Azhar, Ahmad at-Tayyeb, il 22 febbraio 2015 alla Mecca, rimette al centro della discussione nel
mondo islamico il problema educativo e del takfîr.
(Martino Diez - giovedì 12 marzo 2015)
In un recente discorso alla Mecca, lo Shaykh al-Azhar ha riaperto il dibattito all’interno del mondo musulmano a
proposito del takfîr, la dichiarazione di miscredenza. Per risolvere il problema, occorre però una riorganizzazione radicale del
sistema educativo (non solo quello religioso) e, a livello più profondo, un recupero del valore del senso della storia.
Nel mondo islamico attuale «ognuno pensa di essere il vero musulmano e che tutti gli altri siano fuori dalla comunità».
Questa in sintesi la diagnosi che lo shaykh di al-Azhar, Ahmad at-Tayyeb, ha ribadito alla conferenza islamica sulla lotta al
terrorismo tenutasi alla Mecca dal 22 al 24 febbraio. È tecnicamente il problema del takfîr, cioè della “dichiarazione di
miscredenza” con cui i gruppi terroristici giustificano i loro crimini; un termine che rimanda al dibattito teologico, antico
quanto l’Islam, sullo statuto del “grande peccatore”: rimane credente oppure è escluso dalla comunità musulmana alla stregua
di un pagano? Per i moderni jihadisti, emuli in questo dell’antica setta dei kharijiti, la risposta è la seconda: chiunque non si
unisca alla loro causa è musulmano solo di nome e dunque può essere lecitamente ucciso.
La diagnosi è accompagnata nel discorso dello shaykh da un moto di disgusto e da un’accusa: il disgusto per i jihadisti
che hanno «cuori più duri della pietra», l’accusa invece per le «forze neo-colonialiste alleate al sionismo mondiale» che
avrebbero teso ai musulmani la trappola del takfîr, in applicazione del principio del divide et impera. I musulmani dal canto
loro vi sarebbero caduti in massa con il risultato che «l’Iraq è perduto, la Siria in fiamme, lo Yemen lacerato, la Libia
distrutta». Fotografia sintetica ma accurata del disastro che «ha offuscato l’autentica immagine dell’Islam in Oriente e in
Occidente, ma quasi direi agli occhi stessi della nuova generazione musulmana».
Emergenza educativa
Anche se queste riflessioni possono suonare inedite al pubblico occidentale, si tratta in realtà di considerazioni che lo
shaykh ripropone da mesi nelle sue uscite pubbliche. La novità sta piuttosto nel tentativo di individuare le cause del
jihadismo: non bastano a suo avviso a spiegarlo la povertà o gli abusi nelle carceri. Il vero problema è l’educazione. Non vi
sarà soluzione «finché non controlleremo l’istruzione e l’educazione, nelle nostre scuole e università».
Difficile non convenire con questa affermazione di principio. Eppure qualche precisazione può aiutare a situare meglio la
proposta e i suoi limiti. Detto in breve, at-Tayyeb, e con lui numerose autorità religiose, sembrano ritenere possibile una
ristrutturazione parziale dell’edificio del sapere islamico, che si limiti a isolare e risanare la crepa introdotta dal takfîr, senza
porre mano alle strutture portanti. Alcune considerazioni suggeriscono però la necessità di un intervento ben più radicale, che
dovrà probabilmente arrivare a investire le fondamenta stesse di tale edificio.
In primo luogo, non va sottovalutata l’ampiezza della crisi che investe oggi il sistema educativo in gran parte del mondo
islamico. Storicamente, i poteri coloniali avevano lasciato in eredità al Medio Oriente una rete di scuole all’europea, pensate
però solo per l’élite. Conseguita l’indipendenza, alcuni Stati percorsero la via dell’arabizzazione dell’istruzione, che tuttavia si
risolse in un sostanziale fallimento. Ancora oggi in quasi tutti i Paesi arabi le materie scientifiche, oltre il livello elementare,
sono insegnate direttamente in inglese o francese, fatto che certo non aiuta a risolvere il dualismo tra scienze moderne e cultura
tradizionale. Ma soprattutto gli Stati post-coloniali, a eccezione delle monarchie petrolifere, hanno assistito impotenti al
tracollo del proprio sistema educativo a causa dell’esplosione demografica, accompagnata talvolta da politiche economiche
dissennate. In Egitto oggi gli insegnanti statali ricevono uno stipendio irrisorio. Di conseguenza molti di loro semplicemente
non insegnano e vivono impartendo lezioni private a quelli tra i loro studenti che possono permetterselo.
Un problema specifico affligge poi l’educazione religiosa. Nella maggior parte dei casi l’insegnamento è impartito su
manuali statali dai contenuti talvolta discutibili. Per la verità qualche miglioramento in questi anni è stato realizzato, ad
esempio in Tunisia, Libano o Giordania, ma il cammino è ancora lungo. Del resto, anche la formazione stessa degli esperti di
scienze religiose non va esente da difficoltà. Non sono solo gli antichi kharijiti ad aver utilizzato l’arma del takfîr, ma anche,
ben più recentemente, il movimento wahhabita, pilastro ideologico della moderna Arabia Saudita. Potrà ora la monarchia
saudita segare il ramo sul quale siede? La domanda non è da poco per valutare le probabilità di successo di una mobilitazione
anti-takfîr.
Cambiare il paradigma
A livello più profondo, non va comunque dimenticato che la maggior parte dei jihadisti non si radicalizza a scuola, nelle
ore di educazione islamica, né nelle moschee espressioni dell’Islam tradizionale, ma su Internet. Non è quindi questione di
cambiare alcuni libri di testo, e forse neppure di intervenire nel discorso religioso degli ulema, ma di un clima generale che
chiede di essere mutato.
In questa operazione di ripensamento un aiuto fondamentale potrebbe probabilmente venire da un elemento
apparentemente secondario: il recupero del senso della storia. Nella versione oggi dominante, essa si apre infatti per la
penisola arabica con un’età dell’ignoranza (in arabo jâhiliyya), corrispondente all’epoca preislamica, a cui segue, in completa
rottura, l’avvento dell’Islam. È una visione storicamente infondata e soprattutto teologicamente pericolosa, perché tende ad
accreditare l’idea di una fede pura che si sarebbe instaurata in un contesto a-culturale. Non a caso, l’idea della jâhiliyya è
ripresa dai grandi ideologi jihadisti del Novecento, Sayyid Qutb in testa, per qualificare le società musulmane dell’epoca e
rendere lecita l’azione armata contro i governi, cioè ancora una volta il takfîr. E sempre da qui origina quel moto di ripulsa
verso il passato che, in un crescendo di radicalizzazione, arriva tragicamente ai manoscritti bruciati e alle statue prese a
martellate che in questi giorni ISIS esibisce sul web. A fronte di tutto ciò, scriveva provocatoriamente l’intellettuale libanese
Samir Kassir, «possiamo ben immaginare quale rivoluzione copernicana comporterebbe l’ammettere l’esistenza di un’età
dell’oro anteriore all’età dell’oro!».
Per altro verso invece si perpetua nel mondo islamico una visione idealizzata dei primi decenni dopo la morte di
Muhammad, la cosiddetta epoca dei Compagni, considerata come espressione di una perfezione ormai irraggiungibile.
Anche in questo caso, fare i conti con il fatto che l’epoca dei Compagni fu anche un periodo di intense lotte intestine, di
tradimenti, di uccisioni, di sfruttamento della religione a fini politici, potrebbe aiutare a liberarsi dal complesso per cui “il
meglio è già alle nostre spalle”.
Così, anche senza arrivare a toccare lo spinoso problema della storicità dei testi fondativi dell’Islam, che per il
momento rimane appannaggio di pochi pensatori isolati, sarebbe possibile introdurre uno sguardo critico sul proprio
passato che consenta di guardare in maniera più creativa alle sfide attuali, liberandosi dall’illusione che la soluzione sia già
stata formulata da altri. Se poi a questo si alleasse, a livello di metodo, una maggiore attenzione alla dimensione sapienziale,
oggi del tutto svalutata a favore di una visione positivista in campo scientifico e legalista-letteralista in campo religioso, si
potrebbe sperare in una reale svolta nel campo educativo, che approdi naturalmente anche all’abbandono della pratica del
takfîr.
In caso contrario il discorso ufficiale islamico resterà sempre al traino delle mode e richieste del momento. Dopo aver
santificato il nazionalismo arabo, dopo aver provato la natura socialista dell’Islam, dopo aver virato verso il liberismo, questo
stesso discorso si accinge oggi a condannare il takfirismo. Domani chissà.
2c) Chiese del Nord-Africa: periferiche ma cittadine
S’intitola Servitori della speranza e fa i conti con le sfide di oggi la nuova lettera pastorale della Cerna, la Conferenza
episcopale della regione del Nord-Africa, che abbraccia Marocco, Tunisia, Algeria e Libia. Paesi protagonisti di grandi
trasformazioni e vittime di violenza.
(p. Nicolas Lhernould, Vicario generale di Tunisi -giovedì 12 marzo 2015)
«La nostra regione sta subendo profondi cambiamenti, la Chiesa universale conosce trasformazioni importanti e le nostre
Chiese locali sono in evoluzione: sentiamo un rinnovato appello del Signore a essere più che mai per l’Africa settentrionale dei
‘servitori di speranza’». Questo è il titolo e il progetto dell’ultima Lettera pastorale della CERNA, la Conferenza Episcopale
della Regione Nord dell’Africa, datata 1° dicembre 2014 (festa del beato Charles de Foucauld), e che è stata consegnata a
Roma a Papa Francesco in occasione della visita ad limina della regione.
Un documento che è maturato nell’arco di due anni, in risposta a un appello forte, percepito nella preghiera e
attraverso gli eventi che segnano i nostri Paesi, il Marocco, l’Algeria, la Tunisia e la Libia: «A seguito delle Primavere arabe
e delle “novità dello Spirito” che contrassegnano le nostre comunità e tutta la Chiesa, ci è parso necessario redigere questo
documento che dice l’attualità, le gioie e le sfide della nostra presenza e della nostra missione in Maghreb oggi», e che
risveglierà, se Dio lo vuole, nei cuori di quelli e quella che vi sono preparati il desiderio di vivere la nostra vocazione di
cristiani in Maghreb».
Servire la speranza: una realtà e una prospettiva che risuonano come un appello e una sfida in un contesto regionale in piena
evoluzione, nel cuore delle Primavere arabe e delle importanti evoluzioni sociali e religiose che ne derivano, alla luce poi dei
contrasti tra Paesi, delle questioni securitarie e di una nuova ondata di migrazioni dall’Africa subsahariana soprattutto. La
prima parte della Lettera accoglie questa novità con uno sguardo di fede ancorato nella speranza, e legge i “passaggi e le sfide”
in una “dinamica pasquale” rievocando la Parola di Dio, in particolare l’Esodo e il Vangelo.
La seconda parte descrive il volto odierno delle Chiese dell’Africa del Nord, la cui posizione è originale e abbastanza
unica nell’ambito della Chiesa universale. Esse sono chiamate a vivere la vocazione all’incontro e al dialogo con i
musulmani, “una vocazione alla fratellanza con tutti”. Una Chiesa dai mille volti, prodotto dei cinque continenti, arricchita
dalla presenza sempre più numerosa di studenti e migranti sub-sahariani. Una Chiesa che accoglie anche come “un fatto, una
grazia e una speranza” i “nuovi discepoli” a cui il Signore tocca il cuore. Si tratta di una realtà non priva di difficoltà, che le
nostre Chiese, rifiutando con fermezza di praticare un proselitismo da sempre ritenuto contrario al Vangelo, accolgono con
gioia “come dono di Dio”.
“Chiese d’incontro” attraverso il dialogo e l’ospitalità reciproca con i musulmani, le comunità dell’Africa settentrionale
trovano la loro ragion d’essere nella testimonianza evangelica e nel servizio. Queste Chiese sentono di essere state inviate
principalmente verso le “periferie” e sono fiere di essere viste anch’esse come “periferiche”, povere, per vivere in prima linea
la gioia della Buona Novella annunciata ai poveri. Camminando insieme ai popoli con cui condividono la Storia Santa da circa
1800 anni e celebrando “la gloria di Dio tra le nazioni”, le nostre Chiese si vogliono anche “cittadine”, ovvero membri di
diritto delle società maghrebine con cui condividono il destino. Desiderano contribuire alla vita e all’edificazione della società,
senza cercare né desiderare alcuna militanza politica, ma attraverso la famiglia, l’educazione, le iniziative sociali, l’impegno
economico…
È dall’esperienza spirituale dei monaci di Tibhirine che la CERNA ha tratto ispirazione profonda per l’ultima parte
[del testo], una meditazione sul senso della missione vissuta come una “Visitazione”. «Elisabetta ha liberato il Magnificat
di Maria». Allo stesso modo, tutti gli incontri veri consentono una comunione in cui si manifestano i tesori portati da chi
s’incontra. L’evangelizzazione perciò non è per nulla proselitismo ma un cammino d’incarnazione vissuto fino all’estremo, un
consenso tanto più esigente essendo chiamati a vivere nella privazione, e a volte nelle avversità. Seguendo Maria noi
impariamo a passare dall’efficacia alla fecondità, attraverso il cammino dell’incontro che è «il nostro cammino missionario».
Un documento forte e profondo che è anche un’esortazione pastorale a continuare a servire la speranza. Una speranza che
conduce «a una pace attinta dal Cuore stesso di Cristo, che raggiunge le aspirazioni dei popoli con i quali camminiamo, che ci
invita a tener fede, con gioia e speranza, al nostro dovere di preghiera e servizio, là dove lo Spirito ha voluto condurre i nostri
passi, e che rinnova ogni giorno il nostro desiderio di operare per il Regno, adattando i nostri mezzi all’oggi di Dio».
3) Dopo Tunisi, tutti sotto attacco? (da OasisNews n07 150324)
Siamo tutti sotto attacco, si sente ripetere dopo la strage di Tunisi. Estremismo e terrorismo vanno combattuti. Ma come? Da
questo punto di vista il caso tunisino solleva più di un interrogativo ma, se considerato in tutti i suoi aspetti, fa luce su quale
strategia Isis stia mettendo in atto, quale paradosso caratterizzi la sua azione impregnata di retorica antioccidentale e a quale
obiettivo finale punti. E quindi aiuta a capire come contrastarla.
3a) Dentro il paradosso jihadista, tra espansione e nichilismo
Gli attentati del Bardo sollevano diversi interrogativi sulla natura e sugli obiettivi dell'estremismo jihadista, allo stesso tempo
così evanescenti e così drammaticamente reali. Rispondere è difficile, ma è anche dalle risposte che dipende l’efficacia della
lotta al terrorismo.
(Michele Brignone- martedì 24 marzo 2015 )
L’estremismo e il terrorismo vanno combattuti. Su questo sono tutti apparentemente d’accordo. Ma in che cosa debba
consistere questa lotta e come il terrorismo possa essere veramente contrastato è al momento tutt’altro che chiaro. Da questo
punto di vista il caso tunisino solleva più di un interrogativo.
Vi è innanzitutto una questione che interpella non solo la Tunisia ma tutti gli attori che devono gestire la minaccia
jihadista. Essa riguarda il modo in cui vengono lette e decodificate le operazioni terroristiche come quella del Bardo. Si tratta
di una vendetta contro l’unico caso riuscito di transizione post-rivoluzionaria? O di un attacco diretto principalmente contro
l’Occidente, colpito nella figura dei suoi turisti? E chi sono i suoi veri mandanti? Rispondere è difficile, ma è anche dalle
risposte che vengono date a queste domande che dipende l’efficacia della lotta al terrorismo. Attualmente il terrorismo
jihadista, in particolare quello legato all’Isis, agisce principalmente su due piani che, anche se interconnessi, è bene tenere
distinti.
Da un lato c’è il consolidamento e l’espansione territoriale del sedicente califfato. In questo caso le mosse dello Stato
islamico dipendono da obiettivi dotati di un’utilità concreta (postazioni strategiche, pozzi di petrolio, corridoi stradali,
aeroporti, ecc.). Dall’altro opera invece una sorta di “strategia della tensione”, o, come ha detto il leader islamista Rachid
Ghannouchi citando uno dei testi di riferimento della galassia jihadista, “la gestione della barbarie”, che lo Stato islamico
genera o di cui semplicemente si appropria, come potrebbe essere accaduto in Tunisia. Qui le azioni non hanno un significato
strategico immediato, ma dipendono dalla valenza simbolica degli obiettivi colpiti, la cui funzione è soltanto metaforica o
metonimica (come dimostra il comunicato con cui lo Stato islamico ha rivendicato gli attentati): il pensionato europeo in
vacanza diventa un crociato, la guida turistica locale un apostata, la città libica di Derna la periferia sud di Roma, così come la
redazione di un giornale rappresentava l’empietà blasfema dell’Occidente e un supermercato kosher l’intero mondo ebraico.
Da quando si è imposto lo Stato islamico, queste due logiche operano simultaneamente, creando un micidiale gioco di
specchi in cui è difficile misurare le proporzioni esatte del singolo fenomeno e del singolo evento. A ciò si aggiunge un
paradosso che Olivier Roy rilevava già all’inizio degli anni ’90 e che le rivendicazioni statuali dell’Isis non rendono meno
vero. È il fatto che nella militanza jihadista la “razionalità” della costruzione istituzionale si consuma nell’irrazionalità
nichilistica del gesto individuale di chi è pronto a distruggere se stesso pur di annullare l’intollerabile esistenza dell’altro. Per
capire il primo livello servono la geopolitica e la politologia. Per penetrare il secondo potrebbe essere più utile rileggere quanto
Camus scriveva nel 1951 sull’omicidio nichilista: «il nichilismo confonde nello stesso furore creatore e creature. Sopprimendo
ogni principio di speranza, rifiuta ogni limite e, nell’accecamento di un’indignazione che non percepisce neanche più le sue
ragioni, finisce per giudicare che è indifferente uccidere ciò che è già votato alla morte». Proprio perché non «percepisce più
neanche le sue ragioni», il terrorismo colpisce indiscriminatamente e la molteplicità dei suoi bersagli - l’occidente, i
musulmani “apostati”, i cristiani, gli sciiti, la democrazia, il turismo, etc. - si dissolve nell’indistinzione dell’atto omicida.
Nel contesto tunisino, questo meccanismo infernale ha delle ripercussioni molto concrete, perché rischia di
destabilizzare la giovane e ancora instabile democrazia e di colpire duramente l’economia. In realtà la società tunisina ha
già dimostrato di possedere l’energia necessaria a respingere i tentativi di sabotaggio della sua personale primavera. Ma ciò
non toglie che i suoi politici si trovino ora all’esame di maturità e debbano fare i conti con alcuni nodi molto complessi.
Il primo è legato alla sicurezza del Paese. Gli attentati della settimana scorsa non sono stati un fulmine a ciel sereno, ma
hanno portato alla luce il pericolo di una consistente presenza jihadista, aggravato dal ritorno dei combattenti partiti per la Siria
e l’Iraq e dalle infiltrazioni che il caos libico e la porosità dei confini con l’Algeria rendono possibili.
Un altro punto, di natura più politica, è il dilemma libertà-sicurezza. Negli ultimi giorni si sono moltiplicati gli appelli
rivolti al governo affinché non si serva della minaccia terroristica per limitare le libertà faticosamente conquistate con la
Rivoluzione del 2010-2011. Ma il problema non è di facile soluzione. Prendiamo per esempio il caso dei salafiti, moltiplicatisi
esponenzialmente (sono decine di migliaia di persone) dopo la Rivoluzione. I salafiti hanno una visione rigorista dell’Islam
incompatibile con i diritti e le libertà su cui si fonda la democrazia. Tuttavia molti salafiti ritengono che la loro missione si
limiti alla predicazione pacifica (da‘wa), e non implichi alcun ricorso al jihad armato, anche se i passaggi dal puritanesimo
quietista alla pratica violenta sono tutt’altro che infrequenti. Inoltre la loro presenza costituisce allo stesso tempo un’utile zona
di interlocuzione tra il governo e le frange islamiste più radicali e un terreno di coltura privilegiato della militanza jihadista.
Come dovranno comportarsi le autorità pubbliche nei loro confronti? Dovranno mantenere un atteggiamento conciliante
in nome delle garanzie liberal-democratiche, colpendoli solo nel caso in cui le loro attività diventassero effettivamente
pericolose o passare subito al pugno di ferro, anche a scapito del pieno rispetto dello stato di diritto?
È una questione spinosa, su cui tra l’altro si è già giocata in Tunisia un’importante partita politica. Rachid Ghannouchi,
capo del partito islamico an-Nahda, aveva sempre sostenuto che l’estremismo e il terrorismo erano un prodotto della tirannide.
In base a questo assunto, nei due anni in cui in Tunisia an-Nahda è stata a capo dell’esecutivo, ai gruppi salafiti è stata lasciata
grande libertà d’azione. L’idea di fondo era che la loro integrazione nella sfera pubblica tunisina li avrebbe
addomesticati, conducendoli a un’assunzione di responsabilità. Ma così non è stato. Più spazio veniva concesso ai salafiti, più
nel Paese aumentavano l’insicurezza, le intimidazioni, le violenze. Dalle manifestazioni contro la proiezione di film e mostre
d’arte ritenuti blasfemi agli assassini politici di Chokri Belaid e Mohamed Brahmi, passando per l’occupazione dell’università
Manouba, il 2012-2013 è stato un biennio catastrofico, costato tra l’altro ad an-Nahda la rinuncia al governo del Paese e la
sconfitta alle ultime elezioni.
Nell’ultimo anno la situazione era migliorata: l’apertura di un “dialogo nazionale”, la formazione di un governo tecnico e
l’approvazione della nuova Costituzione avevano restituito al Paese una certa stabilità politica. Intanto Ghannouchi ha
probabilmente meditato sugli errori del suo partito e dalla retorica dell’identità islamica è passato a invocare la costruzione di
una democrazia consensuale e la lotta al terrorismo. Il cambio di registro è stato evidente la sera del 18 marzo, quando il leader
islamista ha accusato gli attentatori del Bardo di aver sfruttato lo stato di libertà che dal 2011 vige in Tunisia. Le mosse di anNahda e la decisione di Nidaa Tunis di accettare un’alleanza con gli islamisti hanno avuto l’importante effetto di ricucire la
pericolosa frattura che si stava creando nel Paese tra “laici” e “islamisti”, impedendo la saldatura di questi ultimi con le frange
più estreme. Oggi, in Tunisia, la parola d’ordine è “unità nazionale”. Non sarà tutto ora quel che luccica, ma non scommettere
su questo processo proprio mentre parte del Medio Oriente rischia semplicemente di collassare sarebbe un grave errore.
3b) Apostati tunisini: non avrete sicurezza né pace»
Impregnato di retorica anti-occidentale e carico di riferimenti ai testi sacri, il comunicato di Isis dopo l’attacco terroristico al
Bardo permette di entrare nella logica dei terroristi, comprendere il movente e il loro obiettivo finale.
(Chiara Pellegrino - martedì 24 marzo 2015 )
A poche ore dall’attentato di Tunisi Isis ne ha rivendicato la paternità in un testo, diffuso su tutti i maggiori siti jihadisti,
dalla forte valenza simbolica e che vale la pena analizzare nel dettaglio. Saturo di retorica anti-occidentale e disprezzo per il
modello islamico tunisino, il documento rivendica con fierezza il colpo messo a segno il 18 marzo al museo del Bardo,
un’azione contro «gli infedeli e gli apostati» commessa «nel nome di Dio, il Clemente, il Misericordioso».
A garanzia della santità e liceità dell’attentato – poiché nell’ottica jihadista il successo dei militanti è sempre riconducibile a
Dio – segue nella rivendicazione la citazione di un versetto coranico emblematico tratto dalla sura del Bando: «Ed essi
pensavano che le loro fortezze li avrebbero protetti da Dio; ma Dio li ha afferrati da dove meno si aspettavano, ha gettato nei
loro cuori lo spavento» (59,2). Il passo fa riferimento a una vicenda accaduta ai tempi del Profeta dell’Islam, quando
Muhammad sconfisse e mise al bando la tribù ebraica medinese dei Banû Nadîr, rea di essere passata al nemico dopo aver
inizialmente stretto un patto di alleanza col Profeta. I Banû Nadîr, dopo essersi rifugiati nelle loro fortezze, furono assediati e
sconfitti dopo sei mesi.
Ma letto alla luce dell’attualità e nel contesto della rivendicazione, questo versetto suona come un monito, come a voler
ricordare che anche questa volta Dio avrebbe mantenuto la sua promessa, aiutando i “veri musulmani”, vale a dire gli
attentatori, a espugnare i miscredenti, cioè i turisti in visita al museo, certi di trovarsi in luoghi sicuri – in «fortezze» protette
dalla sicurezza – e ignari di quello che stava per accadere.
Un’abitudine diffusa in tutti gli ambienti islamisti e jihadisti quella di estrapolare dal Corano versetti per l’uso e consumo del
momento, una manovra utile ai fini della propaganda, per giustificare e santificare i progetti del Califfato, il lancio di accuse di
apostasia e miscredenza o, come in questo caso, vili atti terroristici.
Nel loro comunicato l’attentato «benedetto da Dio, signore dei mondi» viene presentato come opera di due «cavalieri dello
Stato islamico», indicati con i loro nomi di battaglia, contro i «sudditi degli Stati crociati», cioè i turisti, e gli apostati, cioè i
tunisini – nella fattispecie le guide turistiche accusate di offrire un’immagine distorta della Tunisia come Stato dissoluto e
immorale, in cui attecchiscono facilmente «l’empietà e l’immoralità» occidentali: «Dio si rallegra per l’attacco benedetto
diretto a uno dei covi della miscredenza e del vizio nella Tunisia musulmana. I due cavalieri dello stato del califfato, Abû
Zakariyâ al-Tûnisî e Abû Anas al-Tûnisî, sono partiti armati di tutto punto, di mitragliatrice e bombe a mano e si sono diretti al
museo (Bardo), situato nel quadrato di sicurezza del Parlamento tunisino. Allora Dio ha suscitato il terrore nei cuori dei
miscredenti e i fratelli sono riusciti a prendere sotto assedio un gruppo malvagio di sudditi degli Stati crociati, che gli apostati
hanno indotto in errore dipingendo loro la terra tunisina come fertile terreno per la loro empietà e immoralità».
L’obiettivo, prosegue gelidamente il comunicato, è stato raggiunto, e gli autori invocano Dio, perché spalanchi le porte
del paradiso ai due «eroi» suicidi e conceda loro di abitarvi nei livelli più alti che, secondo la tradizione isla-mica, sono
destinati a coloro che nella vita terrena hanno raggiunto i più alti livelli di perfezione e la morte in battaglia: «L’operazione
suicida benedetta ha portato all’uccisione e al ferimento di decine di crociati e apostati, e le forze di sicurezza fallimentari non
hanno osato avvicinarsi se non dopo che i due eroi avevano esaurito le munizioni. Noi chiediamo a Dio di accogliere i due eroi
tra i martiri, donare loro il paradiso più alto del Giardino e unire noi a loro».
È evidente dunque che la retorica jihadista non solo non prevede il rimorso, ma di fatto glorifica la violenza trasformandola nel
tramite per la santificazione dei “martiri”.
La retorica dello Stato islamico opera inoltre una distinzione tra i puri e gli impuri. Puro è chi aderisce fedelmente
all’“ortodossia” imposta dal califfato, impuro è chi sostiene altri modelli politici e culturali. Impuri sono, per esempio, i
cittadini tunisini che vivono in uno Stato governato dai laici di Nida’ Tunis e boicottano il progetto del califfato. Ed è a questi
«apostati» a cui è rivolto l’ultimo agghiacciante avvertimento della rivendicazione: «Agli apostati nascosti nel cuore della
Tunisia musulmana noi diciamo: o gente impura, rallegratevi per ciò che vi affligge. Se Dio vuole, ciò che avete visto oggi è
solo la prima goccia della pioggia. Non avrete sicurezza né pace. Nello Stato islamico ci sono [molti] uomini come quelli, che
non dimenticano le offese. Dio è il più grande».
Mitomani e visionari, i don Chisciotte dello Stato islamico sono rimasti prigionieri del mito dell’età dell’Oro di cui fanno
l’apologia, e del disprezzo per l’Occidente. Ma se i nemici a cui faceva la guerra don Chisciotte erano mulini a vento, le
vittime in carne e ossa del delirio jihadista sono turisti scambiati per crociati e cittadini tunisini la cui apostasia consiste
nell’accompagnare dei pensionati nella visita di un museo.
4) Pechino nasconde per paura il corpo di mons. Cosma Shi Enxiang
Troppo "pericoloso". Troppo "preoccupante". Cosi diversi cattolici dell'Hebei commentano l'atteggiamento delle autorità di
Pechino riguardo alla morte di mons. Cosma Shi Enxiang, data per certa il 30 gennaio 2015, ma ritrattata alcuni giorni dopo,
mentre i familiari aspettano che venga loro consegnato il cadavere o almeno le ceneri del prelato, scomparso nelle mani della
polizia dall'aprile 2001. Nel momento in cui andiamo in stampa, non si sa ancora nulla di questo eroico presule. Mons. Shi, 93
anni, vescovo sotterraneo di Yixian (Hebei) era stato arrestato il 13 aprile 2001, un Venerdì Santo, nella casa di sua nipote a
Pechino e tenuto in luogo sconosciuto senza alcun processo o accusa. In tutti questi anni ogni tanto i familiari hanno chiesto
alle autorità di poter avere notizie del loro parente, ma non hanno mai ottenuto alcuna risposta. Il 30 gennaio 2015 un
impiegato del comune di Baoding, il capo-villaggio di Shizhuang, interrogato ancora una volta dai familiari, si è lasciato
sfuggire che il vescovo era morto. Interrogata dall'agenzia Ucanews, la nipote del vescovo, Shi Chunyan, ha detto: "Ora stiamo
aspettando che il suo corpo o le sue ceneri vengano riportate a Shizhuang, la nostra patria natale, prima di poter decidere cosa
fare". Il cadavere del vescovo, fino al 24 febbraio 2015, non è stato consegnato e di lui o dei suoi resti mortali il governo non
ha ancora parlato. Intanto, in tutta la Cina si è diffusa la notizia della morte di mons. Shi Enxiang, da tutti compianto come "un
martire" e come "un santo", che ha passato più di metà della sua vita in prigione a causa della sua fedeltà alla fede cattolica e al
legame con il Papa. I cattolici di Yixian stavano già discutendo di come organizzare i funerali a cui avrebbero partecipato
migliaia di persone da tutto il Paese. Il colpo di scena è avvenuto ai primi di febbraio 2015. Visto che la riconsegna del
cadavere (o delle ceneri) del vescovo tardava, i familiari del defunto sono andati a domandare notizie alla personalità più in
alto del comune di Baoding, il quale ha risposto di non sapere nulla riguardo alla morte di mons. Shi e che "il capo-villaggio
[che ha dato la notizia della morte] doveva essere ubriaco, o ha sbagliato a sentire o a capire".
Vescovi, morti e torture
La morte "negata" di mons. Shi, insieme alla requisizione del cadavere, spingono i cattolici a una ridda di ipotesi. La più
accreditata è che il governo abbia paura della reazione dei fedeli di fronte alla morte di un vescovo avvenuta durante una
detenzione lunga 14 anni e immotivata, non essendoci stato né processo, né sentenza. Negli anni passati, altri vescovi
sotterranei - non riconosciuti dal governo - hanno subito la stessa sorte di mons. Shi. Nel 2005, mons. Giovanni Gao Kexian,
vescovo di Yantai (Shandong) è morto dopo cinque anni di detenzione nelle mani della polizia (1).
I familiari non hanno potuto compiere alcuna autopsia sul cadavere, per conoscere le cause della morte perché il vescovo è
stato cremato e seppellito subito, senza la partecipazione dei familiari o dei fedeli. Anche in questo caso, le voci sulla morte del
vescovo si sono rincorse per mesi fino alla conferma. Nel 2007, mons. Giovanni Han Dingxian, vescovo di Yongnian (Hebei),
è morto dopo due anni di isolamento nelle mani della polizia (2).
Anche in questo caso i familiari non hanno potuto compiere l'autopsia perché poche ore dopo la morte annunciata, il vescovo è
stato cremato e le ceneri interrate in un cimitero pubblico, senza alcuna cerimonia religiosa. 1 fedeli temono che mons. Shi,
ormai molto anziano, sia morto
di stenti o di torture, come si sospetta per le morti di tutti questi vescovi sotterranei. Un caso ricordato dai fedeli è quello di mons. Liu Difen, vescovo sotterraneo di Anguo (Hebei), morto nel 1992, dopo un periodo passato in prigione. La
polizia aveva avvertito i parenti di andare a visitarlo all'ospedale perché il vescovo era "molto malato". Subito dopo la visita, il
vescovo è morto. La salma è stata riconsegnata ai parenti e questi, preparando il cadavere per il funera[e si sono accorti che il
corpo del vescovo presentava "due buchi alla schiena, in cui si poteva infilare il dito: un segno che egli era stato torturato". Ma
il caso più vicino a quello di mons. Cosma Shi Enxiang è quello di mons. Giuseppe Fan Xueyan, vescovo di Baoding (Hebei).
Arrestato per pochi mesi nel 1992, il suo cadavere è stato riconsegnato ai familiari, lasciandolo sulla soglia di casa sua, avvolto
in un sacco di plastica. Il cadavere del prelato ottantenne presentava segni di tortura al collo (forse un filo di ferro che lo
strozzava) e diversi larghi ematomi al petto, sulla fronte e sulle gambe. Mons. Fan aveva passato quasi 30 anni in prigione per
il suo cocciuto rifiuto ad aderire all'Associazione patriottica rompendo il legame con il pontefice. Al suo funerale hanno
partecipato migliaia di fedeli. Nonostante il dispiego di molti soldati per mantenere l'ordine e il controllo, i fedeli hanno
manifestato pubblicamente perché venisse aperta un'inchiesta sulla morte di mons. Fan e si perseguissero i colpevoli della
tortura e della sua morte.
Le paure della Cina
Per i fedeli di Baoding, la reticenza delle autorità a confessare la morte di mons. Shi nasconde la loro paura che possa
succedere qualcosa di simile a quanto avvenuto coi funerali di mons. Fan. A confermare la preoccupazione delle autorità per
possibili minacce all'ordine e alla sicurezza, vi è un altro fatto. Proprio un giomo prima della diffusione della notizia della
morte di mons. Shi, è giunto a Baoding Yu Zhengsheng, "numero quattro" del Politburo e presidente della Conferenza politica
consultìva del popolo cinese (Cpcpc). Secondo informazioni della Xinhua, egli ha compiuto un'ispezione sulla "situazione delle
religioni". In realtà egli ha incontrato solo membri dell'Amministrazione statale per gli affari religiosi, insieme a personalità e
vescovi cattolici dell'Hebei. Un cattolico locale fa notare che "è la prima volta che un personaggio cosi in alto nella scala del
potere visita un posto cosi piccolo come Baoding". Con ogni probabilità - egli continua - "i vertici sono preoccupati per la
stabilità politica e la sicurezza" che potrebbe essere scossa dalla notizia della morte del vescovo. E soprattutto si teme la cattiva
pubblicità che viene alla Cina per la morte di un rappresentante della Chiesa cattolica nelle mani della polizia, proprio mentre
l'Impero di Mezzo si sta mostrando così "rnorale" nella lotta contro la corruzione e le malefatte dei membri del Partito D'altra
parte, fanno notare alcuni fedeli di Yixian, consegnare il corpo o le ceneri del prelato defunto significa che per la prima volta
da 14 anni la Cina ammetterebbe di aver sequestrato mons. Shi, dopo aver negato per anni di conoscere il suo destino.
Chi è mons. Cosma Shi Enxiang
Mons. Shi è nato il 17 aprile 1922 a Shizhuang (Hebei). Il 14 agosto 1947 viene ordinato sacerdote nella prefettura apostolica
di Yixian. Due anni dopo Mao Zedong prende il potere e comincia ad attuare una politica di controllo della Chiesa, esaltando
l'urgenza per tutti i cattolici di manifestare il loro patriottismo, diventando indipendenti dal resto della Chiesa e rompendo. il
legame con il pontefice. P. Shi, nella sua caparbia fedeltà al Papa, viene arrestato per la prima volta nel 1954. Nel 1957 è
condannato ai lavori forzati dapprima nella gelida regione dell'Heilonjiang, poi nelle miniere di carbone dello Shanxi.
Rilasciato nel 1980, si dedica ancora all'evangelizzazione e al sostegno dei fedeli nell'Hebei. Il 24 giugno del 1982, mons.
Zhou Fangji lo consacra vescovo in modo segreto e comincia il suo ministero episcopale clandestino. Nell'87 viene di nuovo
arrestato e posto a domicilio coatto per due anni. Nel 1989, nella società e nella Chiesa cinese si sperava una nuova apertura. E
invece il massacro di Tiananmen, in giugno, raffredda tutte le previsioni. 1 vescovi clandestini, che il 21 novembre di
quell'anno avevano formato una conferenza episcopale, vengono tutti arrestati insieme a molti sacerdoti. Fra essi vi è anche
mons. Cosma Shi. Nel giro di poche settimane sono scomparsi nelle carceri del regime cinque vescovi e 14 sacerdoti, liberati
solo nel 1993, grazie a una campagna internazionale di pressione. Il 13 aprile 2001 il vescovo viene arrestato di nuovo e di lui
si perdono le tracce. Fino a questi giorni in cui la notizia della morte viene prima diffusa, poi negata. Dove egli sia morto,
come e quando rimangono un mistero che solo il Partito comunista cinese conosce. Un fedele di Yixian dice ad AsiaNews:
"Noi vogliamo soltanto il suo corpo o le sue ceneri e vogliamo dare una degna sepoltura a questo martire della fede", che ha
passato 54 anni (più della metà della sua vita) in prigione. Ma in Cina i morti fanno paura come i vivi, se non di più.
Bernardo Cervellera (AsiaNews 278- mar2015 pg27-28)
-------------------------------------------------(1) V.
(2) V.
AsiaNews.it del 31/01/2005, "Confermata la morte di mons. Gao, vescovo sotterraneo di Yantai".
AsiaNews.it del 11/09/2007, "Muore vescovo sotterraneo di Yongnian. Era in isolamento da 2 anni".
5) EGITTO:
5a) CRONOLOGIA MINIMA (2011-2014) [da MissConsol 2015n3-E.C.]
25 gennaio 2011 - Opposizioni e società civile proclamano la «giornata della collera» contro la carenza di lavoro e le misure
repressive del governo. le manifestazioni si protraggono per giorni.
11 febbraio 2011 - Sotto la pressione della piazza, Mubarak si dimette. Il potere passa a una giunta militare presieduta dal
feldmaresciallo Mohamed Hussein Tantawi.
23-24 maggio e 16-17 giugno 2012 - Elezioni presidenziali Mohamed Morsi viene eletto presidente.
12 agosto 2012 - Mohammed Hoseyn Tantavvi viene rimosso dalla carica di ministro della Difesa e della Produzione militare.
Gli subentra il generale Abdel Fattah al-Sisi. Il presidente Morsi annuncia che la nuova Costituzione favorirà l'adozione di
norme ispirate alla legge islamica. [annuncio scatena la reazione delle opposizioni, esasperate anche dalle crescenti difficoltà
economiche.
18 novembre 2012 - Si insedia Tawadros L il nuovo patriarca della Chiesa copra. Alla cerimonia non prende parte Morsi
30 giugno 2013 - A un anno dall'elezione di Morsi, Tamarrude che è un movimento di opposizione, annuncia di aver raccolto
oltre ventidue milioni di firme per chiedere la destituzione dei presidente e per ottenere elezioni anticipate.
3 luglio 2013 - Morsi viene rimosso dalla carica da un golpe messo in atto daAbdel Fattah al-Sisi. la sua destituzione da parte
delle forze armate è sancita con il parere favorevole dei leader dell'oppposizione laica Mohamed el Baradei dall'imam di
al-Azhar, Ahmad al-Ayyib e dal papa copto Tavvadros li. le proteste dei Fratelli musulmani vengono duramente represse.
28 maggio 2014 - AI-Sisi viene eletto presidente della Repubblica ed entra in carica l'8 giugno.
5b) Sinai: il buco nero dell'Egitto (misssConsol.2015 n3) Intervista all'esperto di terrorismo e fondamentalismo islamico
Per l'Egitto il Sinai è una ferita aperta. Nella regione, terra di traffici illegali e di basi di fondamentalisti islamici, il governo
del Cairo fatica a riportare l'ordine. Quando e perché la penisola è sfuggita al controllo? Ne abbiamo parlato con Lorenzo
Vidino, esperto di terrorismo e fondamentalismo islamico. «Il Sinai è una zona ad alta concentrazione tribale. Rispetto al
resto dell 'Egitto l'importanza dei clan è molto forte. A ciò va aggiunto che la Penisola è, da sempre stata maltrattata e
marginalizzata dalle istituzioni egiziane. Il risultato è che il Sinai è molto povero e vive di commerci e traffici clandestini. Nel
tempo si è creato quindi un humus di disagio e un sentimento di avversione nei confronti delle forze armate egiziane e dello
stato centrale. Negli ultimi anni, è il fondamentalismo islamico a essersi fatto interprete di questo astio. Ansar Beit al Maqdis
(«Partigiani di Gerusalemme»), il gruppo più forte e più conosciuto del fondamentalismo islamico nel Sinai, professa un
jihadismo globale ma, allo stesso tempo, si caratterizza per un forte legame con il territorio e porta quindi avanti istanze
locali di contrapposizione al Cairo».
Il governo come ha contrastato questo fenomeno?
«Durante il periodo in cui l'Egitto è stato in preda al caos post Mubarak, il Sinai è stato abbandonato a uno stato di anarchia
quasi totale. In seguito 1 Mohamed Morsi, un po' per incompetenza, un po' per una certa simpatia ideologica, ha tollerato
molto la crescita del movimento islamista. Quando è caduto Morsi, la situazione, che era già critica, è degenerata con attacchi
sanguinosi a stazioni di polizia, caserme, posti di blocco, colonne delle forze armate. L'attuale presidente Abd al-Fattah al-Sisi
ha dichiarato guerra al fondamentalismo, imponendo il coprifuoco per settimane e lanciando operazioni militari. A questo il
governo ha associato annunci di politiche di sviluppo della regione per migliorare le condizioni di vita della popolazione locale
e per ridurre il bacino di malcontento dal quale pesca il fondamentalismo. Anche se lo stato, avendo pochi fondi, difficilmente
darà seguito agli annunci».
Nel Sinai, oltre allo Stato islamico, opera anche al Qaida? «La componente egiziana di al Qaida è sempre stata molto forte
e si è rafforzata ulteriormente dopo che l'egiziano Ayman al Zawahiri ne ha preso il controllo. Alcuni esponenti di Ansar Beit
al Maqdis sono storicamente vicini al movimento fondato da Osama bin Laden. Anche il governo egiziano ha sempre cercato
di associare il fondamentalismo del Sinai all'estremismo di al Qaida(benché non sia sempre possibile verificare quanto pesi la
propaganda politica). In questi ultimi mesi, però, Ansar Beit al Maqdis ha scelto di aderire allo Stato islamico».
Chi sostiene questi gruppi terroristici?
«Si sostengono da soli con proprie attività illegali. In particolare con il racket (taglieggiando la popolazione locale), il traffico
di immigrati che provengono dall'Africa, il contrabbando verso la striscia di Gaza, ecc.».
Oltre al Sinai, i gruppi jihadisti potrebbero prendere il controllo anche delle regioni occidentali? «Attualmente le regioni
libiche al confine con l'Egitto sono controllate dal governo laico di Tobruk e quindi sono relativamente sicure. L'esecutivo è
però molto debole e, nel breve periodo, può correre il rischio di essere abbattuto. In questa eventualità il Cairo potrebbe
trovarsi a fronteggiare milizie islamiche lungo un confine di migliaia di chilometri dai quali possono facilmente infiltrarsi
miliziani e armi. Già ora armi, munizioni e uomini passano la frontiera, ma il pericolo è che la situazione degeneri».E.C.
6) Noi, indifferenti… [da Africa 2015n.2]
«Non ho paura delle parole dei violenti, ma dei silenzio degli onesti»
Martin Luther King
Cinquant'anni fa, i portuali di Genova si rifiutarono di caricare le navi dirette in Sudafrica: contestavano il regime
dell'apartheid. Negli anni Settanta, gli studenti universitari di Milano e Roma si mobilitarono a sostegno dei loro coetanei in
Angola e Mozambico che combattevano contro l'occupazione coloniale. Vent'anni più tardi, migliaia di attivisti - da Torino a
Palermo -boicottarono i distributori di benzina della Shell, accusata di inquinare il Delta del Niger con l'appoggio di dittatori
compiacenti.
Un tempo ritenevamo doveroso batterci affinché gli ideali di giustizia sociale e i diritti civili trovassero pieno riconoscimento:
non solo a casa nostra ma ovunque nel mondo. Eravamo spinti da motivazioni ideologiche, filantropiche, politiche o religiose.
Ma c'era dell'altro: sentivamo di non essere capaci di gioire pienamente dei nostri successi, sapendo che altre persone stavano
soffrendo. Oggi abbiamo imparato a fregarcene. Perlomeno cosi pare.
Fa impressione il disinteresse con cui abbiamo accolto, poche settimane fa, la notizia della condanna all'ergastolo comminata a
duecentotrenta giovani egiziani, protagonisti della Primavera araba che nel 2011 fece crollare il regime di Hosni Mubarak: è il
colpo di grazia a una rivoluzione che aveva suscitato grandi speranze. La repressione della democrazia e della libertà in Egitto
non ci ha turbato. Né ci scuotono più le quotidiane stragi di civili in Nigeria, in Rd Congo, in Ucraina, in Siria, o dei migranti
nel Mediterraneo. Sembriamo anestetizzati dalla sofferenza altrui. Non é colpa della tivù o dei nostri politici: tutti siamo in
qualche modo responsabili dell'indifferenza dilagante. Non siamo più capaci di indignarci e di mobilitarci per gli altri? Siamo
diventati cosi miopi ed egoisti da non accorgerci che l'umanità calpestata, in qualsiasi parte del mondo, è un affare che ci
riguarda da vicino?
Non illudiamoci che basti condividere un tweet o un post con il nostro smartphone per ripulirci la coscienza. Né mi
illudo di potermi assolvere scrivendo queste poche righe. Ammoniva Albert Einstein: «Il mondo non è minacciato dalle
persone che fanno il male, ma da quelle che lo tollerano».
Marco Trovato