castello di torrechiara - Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e

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castello di torrechiara - Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e
IL CASTELLO DI TORRECHIARA
(testo di Chiara Burgio)
(foto Mauro Davoli)
“le due cinta di mura, le cortine piantate sopra un esatto quadrato, e le quattro torri disegnano insieme
come una piramide ciclopica graditissima all’occhio e, di fatto, elegantissima”.
Così nel 1894 Corrado Ricci descriveva il castello di Torrechiara, frazione del Comune di Langhirano, in
provincia di Parma, cogliendo quel senso di armonico equilibrio che il visitatore avverte alla sua vista.
Posto nelle prime propaggini dell’Appennino, a sud della città di Parma, in una zona collinare da secoli
coltivata a vigneti, in posizione strategica su di un’altura che domina la sottostante vallata percorsa dal
torrente Parma, il castello gode di un panorama di grande fascino, sia verso lo sbocco della valle sia verso la
città ed è senza dubbio uno dei più notevoli esempi di architettura fortificata non solo dell’Emilia Romagna,
ma di tutta Italia.
Fu fatto costruire tra il 1448 e il 1460 da Pier Maria Rossi, conte di San Secondo, grande condottiero al
servizio dei Visconti, perché, da un lato, controllasse lo sbocco del torrente Parma nella pianura e
rafforzasse quello scacchiere fortificato, che garantiva gli accessi dalla Liguria e dalla Toscana, in mano alla
sua famiglia, e, dall’altro , per farne la sua dimora con l’amata Bianca Pellegrini da Arluno.
La rocca, che mostra l’influenza dei castelli sforzeschi-viscontei, nasce dunque non solo come strumento di
difesa, ma anche come dimora signorile, fondendo strutture difensive e residenziali.
Il castello di Torrechiara, composto dal maniero e dall’antico borgo alto, è costruito su una piattaforma
murata posta al sommo di un colle terrazzato (a m.278 s.l.m.): i lati orientale e meridionale della
piattaforma sono stati costruiti artificialmente, come rivelano i numerosi locali sotterranei ricavati
all’interno dei bastioni delimitati dal primo giro di mura, oggi visitabili, dopo un attento lavoro di recupero,
conclusosi nel 2006.
Il castello è delimitato da un doppio fossato con ponti
levatoi e, pur soggetto a vari ingrandimenti e restauri,
conserva la sua mole di epoca tardomedievale, con
quattro torri angolari a forma quadrata : a nord il
mastio, detto torre del leone, stemma nobiliare dei
Rossi, di altezza doppia rispetto agli altri; a nord est di
S.Nicomede, sopra l’omonimo Oratorio; ad ovest del
Giglio; ad est della Camera d’oro. Le torri sono
collegate da una doppia cortina muraria a merlature
ghibelline, che definiscono un cortile rettangolare, detto
Cortile d’onore (lato lungo m.26,55). Il cortile ha un
lato porticato con volte a crociera e colonne in laterizio,
nel primo ordine, e arenaria nel secondo, con
soprastante loggiato. Vi si accede attraverso un lungo
passaggio coperto. Verso la fine del XVI secolo furono
sul fronte orientali innestati, sulle torri angolari della
seconda cinta , due corpi di fabbrica con soprastanti
terrazze coperte, creando un belvedere che domina su
un amplissimo panorama.
Dal cortile, che conserva quasi intatta l’impronta
stilistica quattrocentesca, si accede all’oratorio di
S.Nicomede (torre nord-est), con portone originale
costellato di borchie coi monogrammi di Bianca e Pier
Maria e affreschi di Cesare Baglione: qui i due amanti
si sarebbero fatti seppellire, come sembrano
testimoniare due lapidi.
L’interno del castello è ricchissimo di sale affrescate, principalmente a temi naturalistici, fantastici e a
grottesche.
Al piano terreno, le decorazioni delle sale di Giove, del Pergolato, della Vittoria, del Velario sono da
ascriversi a Cesare Baglione, mentre la sala degli Angeli, con richiami alla cupola del Correggio nel Duomo
di Parma, ad anonimo parmense dei primi decenni del ‘600, e la sala degli Stemmi è di epoca sicuramente
posteriore.
Al piano superiore è il grande salone degli Acrobati, con affreschi sempre di Baglione e di Giovan Antonio
Paganino
(ultimi
decenni del ‘500) e la
più famosa Camera
d’oro (torre di nord-est),
la stanza nuziale che
deve il suo nome alle
foglie d’oro zecchino
che
un
tempo
rivestivano le formelle
alle pareti, affrescate tra
il 1460 e il 1462 da
Benedetto
Bembo
(1420-25-1493?) , o,
secondo recenti ipotesi
attributive, dal meno
noto fratello Gerolamo,
con scene, nelle lunette
della volta, del rituale
dell’amore cavalleresco
e, nelle vele, del
pellegrinaggio d’amore di Bianca che va cercando, di castello in castello, l’amato, a celebrazione della
potenza dell’amore e della vastità dei sui domini, restituiti con grande cura di particolari in vedute molto
importanti dal punto di vista iconografico.
Gli stucchi in bassorilievo e le splendide formelle in
terracotta con gli stemmi dei due amanti fanno di
questo ambiente un esempio unico delle raffinatezze
tardogotiche che caratterizzarono la corte di
Francesco Sforza.
Sullo stesso loggiato, su cui si affaccia la Camera
d’oro, si snodano altre tre stanze dipinte dal
Baglione, recentemente restaurate, dette dell’Aurora,
del Meriggio e del Vespro, decorate con una serie di
spettacolari panorami.
La Camera d’oro fu, nel suo arredo, completamente
ricostruita su progetto dell’architetto Lamberto
Cusani, dai pittori Amedeo Bocchi e Daniele De
Strobel, dall’ebanista Ferdinando dell’Argine, dagli
scultori Renato Brozzi ed Emilio Trombara, per
rappresentare l’Emilia Romagna all’esposizione
etnografica di Roma del 1911, nell’ambito delle celebrazioni dell’Unità d’Italia (1861-1911).
Nel 2004 la Soprintendenza BAP dell’Emilia, che in consegna il castello, ne ha curato un nuovo
allestimento, con la ricollocazione filologica degli arredi superstiti (tra cui il letto con alzata con coperta
nuziale, il tavolino, il banco da preghiera, la cassapanca) e la variazione del percorso di visita, che da qui ha
inizio, quale antefatto introduttivo alle sale quattro-cinquecentesche e alla Camera d’oro originale e
testimonianza del clima culturale parmense di inizio Novecento.
Il castello è sede di numerosi spettacoli estivi, tra i quali il Festival di Torrechiara “Renata Tebaldi” ed è
stato spesso usato, proprio perché molto ben conservato e ricco d’atmosfera, quale set cinematografico di
film come Ladyhawke di Richard Donner.
(impostazione grafica: M.Margherita Ghini)