Laudatio Mario Rasetti - PoliTOcomunica

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Laudatio Mario Rasetti - PoliTOcomunica
Laudatio
Mario Rasetti
Politecnico di Torino – Inaugurazione dell’Anno Accademico 2005-2006
Laudatio
Conferimento della Laurea Specialistica ad
Honorem
in Ingegneria dei Materiali
a Sir Harold W. Kroto
LAUDATIO
31 marzo 2006
Quando, il 9 Ottobre 1996 le agenzie di stampa diedero la notizia che la
Royal Swedish Academy of Sciences aveva deciso di assegnare il Premio
Nobel per la Chimica per il 1996 ai professori Robert F. Curl, Jr., della
Rice University, Houston, USA, Harold W. Kroto, della University of
Sussex, Brighton, U.K. e Richard E. Smalley (la cui recente morte, il 31
ottobre 2005, ha lasciato un grande vuoto nel mondo scientifico), della Rice
University, Houston, USA, per la loro scoperta dei fullereni, ci fu un forte
interesse nel mondo accademico, e ci fu una grande gioia a Torino, la cui
comunità scientifica esultava per aver saputo riconoscere sin dal 1992 il
genio ed il valore di uno dei tre vincitori, Harold W. Kroto, dal 1996 Sir
Harold, assegnandogli l’Italgas Prize for Innovation in Chemistry.
Inoltre, fin dal 1981 due torinesi, Tullio Regge ed io, allora all’Institute for
Advanced Study di Princeton, avevano previsto e studiato – su basi
puramente teoriche e formali – l’esistenza di molecole a simmetria
icosaedra, e la loro gioia per il Nobel di Kroto era resa ancora maggiore da
questo filo rosso che li legava a lui. Potete dunque capire come io sia
onorato e lieto di avere oggi l’incarico di pronunciare la "Laudatio" per il
conferimento a Sir Harold della laurea honoris causa in Ingegneria dei
Materiali del Politecnico di Torino.
Tuttavia, per quanto entusiastica, la accoglienza di quel premio Nobel per
la Chimica, lo stupore per quella molecola di 60 atomi di carbonio simile –
nella sua versione più simmetrica – ad un pallone da calcio, che dimostrava
l’esistenza di una inattesa molteplicità di altre forme cristalline
del
carbonio, dopo quelle note della grafite, del diamante, della chaoite e del
carbonio VI, in realtà non riflettevano se non in minima parte, perché non
coglievano la vera essenza, la determinante rilevanza di quel passo
straordinario della scienza. I fullereni, queste nuove strutture in cui gli
atomi, in numeri piccoli rispetto ad un solido ma grandi rispetto alle
ordinarie molecole, sono disposti in gusci chiusi, oggetti mesoscopici a
metà strada fra strutture cristalline e molecolari, di fatto – senza che a quei
tempi nessuno riuscisse ad immaginarlo – segnavano il primo passo sulla
strada della nanoscienza e della nanotecnologia, che oggi sono la grande
sfida al cuore stesso del progresso tecnologico.
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Laudatio
La nanoscienza è una sorta di rivoluzione silenziosa nella scienza e nelle
tecnologia, basata sulla capacità ormai ben sviluppata di misurare,
manipolare e organizzare la materia sulla scala dei nano-metri; i
miliardesimi di metro. A tale scala, fisica, chimica, scienza dei materiali ed
ingegneria convergono verso gli stessi strumenti e principi ed è proprio
questo che fa prevedere come il progresso nella nanoscienza possa avere
un impatto senza precedenti.
Infatti, il primo, forse più importante prodotto di spin-off della ricerca sui
fullereni avviata da Curl, Kroto e Smalley sono i nanotubi, fogli di grafite
avvolti e richiusi su se stessi – ma senza cuciture!!! – in tubicini di pochi
nanometri di diametro e lunghi qualche millimetro (sin’ora, ma ci si
aspettano progressi di ordini di grandezza), con un rapporto fra lunghezza
e diametro dell’ordine dei milioni. Questi oggetti senza precedenti nella
tecnologia, di natura effettivamente molecolare, di cui sono certo Sir
Harold ci parlerà nella sua "Lectio", sono veri e propri dispositivi su scala
microscopica, con nuove, spesso stupefacenti, proprietà elettroniche,
termiche, meccaniche, che prospettano nuove impensate applicazioni: i
primi veri prodotti della neonata nanotecnologia.
Il crescere delle conoscenze nella nanoscienza è destinato a produrre
cambiamenti drammatici nel modo in cui materiali, dispositivi e sistemi
vengono compresi e creati. Potranno essere ottenute sempre nuove
proprietà e funzioni migliorando il controllo della materia nei suoi elementi
costituenti microscopici: atomo per atomo, molecola per molecola,
nanostruttura per nanostruttura. Le nanotecnologie poi permetteranno la
integrazione di tali microstrutture in componenti più grandi, siano essi
materiali, sistemi, architetture, ma anche in questi sistemi in scala
maggiore il controllo e la costruzione rimarranno su scala nanometrica.
La nanotecnologia ha ormai catturato l’immaginazione e condizionato la
visione di scienziati, ingegneri ed economisti, non solo per la esplosione
delle scoperte a scale nanometriche cui si è assistito negli ultimi anni, ma
per le sue inattese ed enormi potenziali implicazioni sociali. Un recente
studio della National Science Foundation degli Stati Uniti prevede che gli
attuali investimenti industriali – che su scala mondiale sono valutabili oggi
in 45.5 miliardi di $ all’anno – siano destinati a raggiungere entro il 2008 i
700 miliardi di $/anno, con un incremento del 1500%, per stabilizzarsi nel
2015 su di 1 triliardo di $/anno.
La scoperta del fullerene è stata altresì una importante lezione di metodo
scientifico, uno straordinario esercizio sulla pluralità delle strade della
conoscenza. Harold Kroto a quel tempo lavorava nella spettroscopia a
microonde, una disciplina che aveva avuto un impulso fortissimo in quegli
anni grazie alla crescita tumultuosa della radioastronomia, in quanto
permetteva di analizzare i gas presenti nello spazio, vuoi nelle atmosfere
stellari, vuoi nelle nubi gassose interstellari. Egli era dunque ben lontano
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sia dalla chimica convenzionale, sia dalle sue applicazioni tecnologiche:
quello che gli interessava in quel momento erano le stelle giganti, ricche di
carbonio. E poiché aveva investigato le linee spettrali della loro atmosfera,
sapeva che dovevano trovarsi in quelle stelle complessi composti
molecolari con moltissimi atomi di carbonio e voleva studiarne il processo
di formazione: per questo aveva contattato Richard Smalley, un chimico
esperto di aggregati molecolari, che aveva costruito una apparecchiatura
laser particolare, detta "laser-supersonic cluster beam apparatus", capace
di vaporizzare in forma di plasma praticamente qualsiasi materiale noto per
studiarne la distribuzione in cluster. I due si aggregarono un esperto di
microscopia nell’ infrarosso e nelle microonde, Robert Curl, ed il gioco fu
fatto.
Vorrei poter avere il tempo per potervi raccontare io stesso gli sviluppi di
questa "ordinaria storia di grandissima scienza", ma il tempo è tiranno e
devo – e voglio – parlarvi di Sir Harold. I suoi genitori, originari di Berlino,
si trasferirono in Gran Bretagna come rifugiati alla fine degli anni ’30 e
cambiarono il loro nome da Krotoschiner in Kroto. Harold nacque nel 1939
a Wisbech, nel Cambridgeshire e crebbe a Bolton, nel Lancashire. I suoi
studi graduate si svolsero alla Università di Sheffield, dove completò il suo
PhD in Chimica nel 1964. Dopo alcuni anni di ricerca postdoc ad Ottawa, in
Canada ed ai Bell Laboratories in New Jersey, iniziò la sua carriera
accademica nel 1967 all’Università del Sussex (Brighton), dove divenne
professore nel 1985 e fu fatto Royal Society Research Professor nel 1991.
Dal 2000 al 2002 fu presidente della Royal Society of Chemistry.
Una caratteristica della attività di ricerca di Sir Harold è sempre stata la
grande interdisciplinarità: una delle sue aree di lavoro più produttive ed
importanti fu quella della creazione e della caratterizzazione spettroscopica
di nuove molecole, in particolare di specie instabili e di prodotti intermedi
di reazioni chimiche contenenti legami multipli labili. Come ho già
accennato, furono queste metodologie, la spettroscopia e la produzione e
sintesi di nuove molecole, insieme con il suo interesse per la chimica delle
molecole degli spazi interstellari, che lo portarono, nel corso di un progetto
che esplorava appunto la possibile formazione di lunghe catene di carbonio
nello spazio, a scoprire l’esistenza del C60. Dunque grande scienza, come
sempre accompagnata da "serendipity": i suoi esperimenti di fatto
miravano a simulare in laboratorio le reazioni chimiche negli strati esterni
di stelle giganti rosse, la sua intuizione gli consentì di afferrare e fare suo –
nostro – un altro pezzo di sapere inatteso e prezioso per l’umanità.
In una sua bella nota autobiografica, Sir Harold parla del suo gioco
preferito, cui pare attribuire le radici stesse della sua vita di scienziato: il
Meccano, che segnò la sua adolescenza. Sir Harold sostiene che quando
questo (io l’ho giocato molto, ma dubito che i più giovani fra il pubblico lo
conoscano), fu spodestato dal più moderno ma assai meno stimolante
Lego, i ragazzi persero una vera scuola di vocazioni all’ingegneria. Questa
testimonianza ci fa comprendere anche l’origine di un’altra sua affascinante
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passione che discende direttamente da quella per la scienza: quella di
riuscire a creare un ponte di comunicazione con insegnati, persone comuni,
ma soprattutto bambini per trasmettere loro il fascino della scienza, della
conoscenza delle maniere profonde con cui la natura opera ed il valore
culturale che è insito in questa comprensione. Nel 1995 proprio a questo
scopo inaugurò il Vega Science Trust per produrre film scientifici che
convogliassero l’eccitazione della scoperta scientifica, ma soprattutto – al
contempo – i profondi e importanti concetti e principi senza i quali tale
processo di comprensione fondamentale è impossibile. Vederlo giocare con
i bambini con i suoi modelli di fullereni, guardare le facce rapite di questi
bimbi cui lui mostra architetture che appartengono al mondo microscopico
dove le cose si misurano in nanometri, ma possono essere trasformate in
meravigliosi giocattoli che ne insegnano le forme eleganti, è una
esperienza bellissima. E ci ricorda altresì che la prima molecola di fullerene
C60 fu denominata in realtà Buckministerfullerene dal nome dell’architetto
americano R. Buckminister Fuller, che disegnò i "geodesic dome", strutture
reticolari su scala ancora e tanto più grande di quelle palle giocattolo, ma
caratterizzate dalla stessa affascinante simmetria fondamentale.
Il Politecnico di Torino da oggi annovererà Sir Harold fra i suoi laureati: ne
siamo orgogliosi e gli siamo grati. Questo legame arricchirà l’Ateneo di
tante cose, ma la più preziosa fra queste sarà la sua amicizia e – ci
auguriamo – la sua presenza fra noi, il più spesso possibile.
Mario Rasetti
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