Terrorismo e migrazioni: la lezione di Zygmunt Bauman

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Terrorismo e migrazioni: la lezione di Zygmunt Bauman
Terrorismo e migrazioni: la lezione di Zygmunt Bauman
LECCO – Non capita spesso di poter ascoltare uno dei più importanti intellettuali viventi,
soprattutto in un periodo nel quale abbiamo un urgente bisogno di voci forti e intelligenti che
contrastino quelle dei grandi semplificatori che sembrano avanzare in Europa. Oggi più che mai,
anche alla luce degli ultimi avvenimenti di Bruxelles, l’Europa ha bisogno di guide che permettano
di non farsi risucchiare dal vortice della paura cieca e irrazionale che il terrorismo e la modernità
liquida hanno risvegliato in un continente che appare alla deriva.Zygmunt Bauman è
indubbiamente una di queste guide e i lecchesi che hanno affollato il Teatro della Società nel
soleggiato pomeriggio di una domenica di marzo lo hanno indubbiamente capito. Per molti è stata una
sorpresa vedere il pubblico lariano rinunciare alle sue tanto decantate bellezze naturali in quella che
forse è stata la prima domenica di primavera. Non lo è stato per noi de Il Flâneur, che sulla cultura
abbiamo scommesso, lanciando il nostro progetto senza dare ascolto a chi ci consigliava di lasciare
perdere e di abbandonare l’idea, perché a Lecco la cultura non interessa e soprattutto di cultura non si
può vivere. L’incontro con il grande sociologo, parte del festivalLeggermente, è stata la conferma che,
se riconosce la qualità delle iniziative, la città è in grado di rispondere positivamente.
Zygmunt Bauman e Carlo Bondoni al Teatro della Società di Lecco
Un pomeriggio sicuramente utile, quello di domenica.Utile non a livello materiale, ma spirituale, in
quanto in grado di fornire nuovi paradigmi di comprensione della realtà. La conferma è purtroppo
arrivata alcuni giorni dopo, nella mattinata di martedì 22 marzo, quando tutti noi leggevamo preoccupati
le drammatiche notizie provenienti dalla nostra capitale europea, Bruxelles. Chi, di coloro che hanno
partecipato alla conferenza di domenica, non ha a quel punto ripensato alle parole di Bauman e di Carlo
Bordoni, che lucidamente hanno spiegato il ritorno della paura intesa come phobos, quella che sembrava
sconfitta e abbandonata nei secoli della modernità? È stato infatti il sociologo Bordoni a descrivere,
nella sua introduzione e con ottime capacità di sintesi, il cambiamento avvenuto negli ultimi decenni del
XX secolo: la fine dei pilastri che reggevano la società precedente basata sulla fiducia nel progresso
scientifico, sulla razionalità, sulle ideologie e sugli stati nazionali. Società, questa, che è andata verso
una mutazione che proprio Bauman ha saputo cogliere per primo e che ha definito, con un termine
ormai entrato nella storia, come liquida.
E il sociologo polacco ha trattato con particolare attenzione l’altro tema che sta permettendo il ritorno in
Europa di paure non spiegabili con la razionalità, ossia il grande dramma dei profughi. Come sempre
Bauman è riuscito con poche e fulminee parole a descrivere le reazioni che tutti noi proviamo quando ci
confrontiamo con questa umanità proveniente da mondi diversi e che conosciamo ancora veramente
troppo poco. Un fenomeno, questo, non del tutto sconosciuto nella storia d’Europa, anch’essa grande
luogo di emigrazione tra Ottocento e Novecento e poi di immigrazione negli ultimi decenni del XX
secolo. Allora perché questa paura? Perché questa drammatica goffaggine nell’affrontare una
simile sfida? Secondo il sociologo le motivazioni stanno, oltre che nella totale impreparazione degli
stati europei a cogliere i segnali che giungevano ad esempio da Lampedusa, nelle dimensione e nella
rapidità con cui si è verificato questo spostamento di massa. Altro e forse ancor più grave problema
denunciato da Bauman il fatto che i richiedenti asilo vogliano inserirsi in società dominate dalla
precarietà, la quale fa sì che sempre più persone vivano nella totale impossibilità di programmare il
proprio futuro. Da qui, quindi, le possibili vie di uscita e le reazioni al fenomeno, che sono, secondo lo
studioso, di diverso tipo e che vanno dalla paura alla reazione violenta. Accade quindi che si
costruiscano muri per impedire ai profughi di arrivare, che si soffi sulla fiamma delle paure delle
persone, facendo passare equazioni palesemente false ma convincenti, come quella tra profugo e
terrorista.
Reazioni
che,
tornando ai fatti degli ultimi giorni, non sono tardate ad arrivare anche oggi: quante dichiarazioni di
guerra agli stranieri, irrazionali e dettate da timori ciechi, abbiamo sentito anche dopo quest’ultimo
attentato? Sta qui, quindi, l’utilità, l’importanza di sentire voci che segnalino la possibilità di un’altra
via: quella, secondo Bauman, della cooperazione e della solidarietà. Una via che faccia rispondere al
fenomeno migratorio mettendoci in gioco, cercando di incontrare l’altro, colui che percepiamo, a un
primo impatto, come diverso, e che modifichi anche il nostro modo di rapportarci alla realtà, prendendo
quello che sta succedendo come un’occasione di crescita per migliorare. Bauman, durante l’incontro,
non ha dato soluzioni ma ha descritto le varie possibilità di reazione che i cittadini d’Europa hanno di
fronte per superare la crisi, anzi le crisi. Spetta a noi, quindi, decidere se reagire come l’Ungheria di
Orbán (o di altri stati che ne hanno seguito l’esempio), oppure in un altro modo: quello solidale, forse
più difficile e complesso, perché va contro alcune caratteristiche peculiari della società liquida e
precaria. Questa nuova modernità ha infatti, secondo il sociologo, rinchiuso le persone in se stesse, in
una sorta di bolla da cui niente può smuoverci, neanche le immagini drammatiche dei campi profughi o
dei morti annegati.
Insomma, aver ascoltato che si può guardare la realtà con occhi diversi e che esiste un altro modo di
reagire alla paura (forse l’unico veramente utile e credibile), può, almeno si spera, permettere di
affrontare in maniera diversa anche gli attentati di Bruxelles, evitando facili e semplicistiche conclusioni
e cercando di combattere quella che Bauman ha chiamato, in un modo decisamente azzeccato, la
globalizzazione dell’indifferenza.