Vela all`italiana

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Vela all`italiana
protagonisti
Federico Minoli
Vela
all’italiana
Il manager di riferimento per
ISB, che controlla Dufour
e Grand Soleil, ci spiega
come uscirà dalla crisi.
Nell’immediato debiti congelati
e aumento di capitale. Poi
nuove barche e gamme più
vicine ai mercati di riferimento.
di Antonio Vettese
F
ederico Minoli è il manager cui tocca gestire la crisi del
gruppo International Sailing Boats, ISB che controlla i
Cantieri Del Pardo e Dufour, insieme nella sorte da qualche tempo. Dietro questo gruppo ci sono Banca Intesa e The
Rhone Group, più in minoranza i vecchi investitori Giuliani
Ricci e Rasero, con una convivenza non sempre facile. Minoli,
e sono le sue risposte a svelarlo, è arrivato con una missione
ben diversa da quella che sta svolgendo adesso, che doveva
essere di spingere i due cantieri verso una nuova immagine e produttività. La crisi ha trasformato il suo lavoro in una
operazione che, senza troppi mezzi termini, si può definire
di salvataggio da una condizione indotta dalla crisi e da una
operazione di leverage buyout da giudicare troppo ardita e
con un piano industriale iniziale che non può evidentemente
essere rispettato. Minoli ha lavorato a lungo nel settore della
moda e nelle moto, gestendo la rinascita del marchio Ducati
con un marketing creativo, arma necessaria contro i colossi
giapponesi. Lo abbiamo intervistato a Forlì in un momento
di produzione ferma, perché ci sono anche troppe barche da
vendere già pronte.
In questo momento quali prospettive ci sono? Il cantiere
Del Pardo sarà ancora forte? Ci si riuscirà?
«Penso che al momento Del Pardo all’interno del sistema cantieristico italiano sia quello che ha meno problemi degli altri.
Lo dico perché abbiamo fatto una serie di mosse finanziarie
che ci permettono di essere ragionevolmente tranquilli e di
superare la crisi, che è a mio avviso quello che cantieri di medie
dimensioni, come i nostri, si devono porre come obiettivo. Non
è il momento di pensare a grandi numeri e a grandi profitti, ma
l’idea giusta è invece di superare questo momento per poter
ripartire appena il mercato riapre».
Si aspettava un momentaccio del genere?
«Quando sono arrivato, in luglio, era ancora prima del disastro Lehman. La missione che avevo era di gestire un’azienda
Sopra, il Dufour 485, modello per la
crociera pura, è lungo 14,73 metri e
offre due versioni a 3 o 4 cabine. A
destra, Federico Minoli, l’uomo del
salvataggio dei due marchi Cantieri
del Pardo e Dufour, controllati da
International Sailing Boats. In alto,
il Grand Soleil 54, disegnato
dallo Studio Brenta, è stato premiato
dalla nostra rivista ‘Barca dell’Anno
2007’. Linee filanti, tuga leggera, è
l’ideale per la crociera veloce, interni
con tre cabine e tre bagni.
protagonisti
Federico Minoli
Il Grand Soleil 46 presentato al salone di Cannes 2008. In 14,50
metri ha tre cabine e due bagni con interni personalizzabili.
che andava bene e di lavorare su immagine e cose di questo
genere. All’inizio c’era un indebitamento importante, ma con
le proiezioni di vendita che avevamo non sembrava preoccupante. Però quando mi son messo a guardare i numeri un po’
più attentamente sono tornato dagli azionisti e ho dovuto
raccontare che le cose non erano del tutto andate come previsto. C’erano problemi di inventario e di calo di vendite. Era
un’azienda con una struttura patrimoniale che non le consentiva di assorbire un calo di profitti, comprata con un’operazione
che presupponeva una continua crescita del fatturato».
Che strada avete scelto?
«Abbiamo discusso a lungo fino a quando siamo arrivati
all’idea che era necessario metter mano alla situazione patrimoniale. La discussione è durata tutta l’estate e siamo
arrivati a metà settembre con la soluzione, che è di aver congelato il debito, in pratica non si accumulano interessi. E’ un
aspetto molto importante, perché il fatto che il debito non
si accumuli e che gli interessi vengano dimenticati, significa
in concreto che il debito reale è molto più basso di quello
che abbiamo a libro. Inoltre, siccome ritengo che abbiamo
davanti due anni durissimi, ho anche pensato di chiedere al
nostro azionista un aumento di capitale che ci dà più sicurezza nei rapporti con i fornitori. Alla fine è stato deliberato
in 20 milioni di euro, che sono stati già versati. Insomma, se
il mercato riprende noi ci siamo, se non riprende… allora il
problema non è solo dei Cantieri del Pardo e ho idea che
andremo tutti a coltivare carciofi».
Il mercato come ha reagito alla vostra crisi?
«Si è sparsa velocemente la notizia che i Cantieri Del Pardo
non vanno bene, ma non quella delle soluzioni che abbiamo
preso. Manca il messaggio positivo, cioè che adesso i cantieri
hanno i mezzi finanziari per superare la crisi».
Abbiamo fermato la
“
produzione mettendo tutti
in cassa integrazione: non è
un capriccio, ma un piano.
Riprendiamo a produrre solo
le barche vendute
”
Si ha la percezione che tutti stiano facendo grossi sconti,
chi ha i soldi pronti può fare grossi affari...
«Gestendo un’azienda per cassa si portano sempre turbative
nel mercato. Il piano di produzione a luglio non poteva prevedere l’arrivo della crisi e il programma era di continuare a
produrre senza sosta e senza fermare la produzione. Il mercato
invece era già in contrazione e la conseguenza diretta è che
abbiamo iniziato l’anno con 27 barche pronte sul piazzale: significa che tutti i soldi che servono per far girare le cose sono
fermi lì sotto la pioggia. Abbiamo quasi dieci milioni di euro di
capitale fermi. Adesso devo estrarre cassa da quello che ho,
cercando di vendere con lo sconto anche se talvolta significa
aggirare l’ostacolo cercando di proteggere il listino, supervalutando l’usato su cui poi ci rimettiamo. Alla fine tutti sanno
che qui si fanno buoni affari. Purtroppo non a tutti è chiaro
che vendiamo con lo sconto quello che è già costruito e senza
modifiche; qualcuno pretende sconti su barche ancora da produrre come il 54, che è un modello di successo di cui siamo al
trentesimo scafo e che invece esce da queste logiche».
Molti cantieri hanno usato la cassa integrazione, anche voi?
«Sì, al momento abbiamo fermato la produzione mettendo
tutti in cassa integrazione: non è un capriccio, ma è un piano.
Riprendiamo a produrre solo le barche vendute. Vorrei arrivare
alla fine del 2009 con un massimo di 7, 8 barche sul piazzale,
numero che diventa fisiologico. Abbiamo previsto di vendere
circa 70 barche nel 2009, una ventina meno del 2008. I sindacati, che su queste cose sono attenti, si sono accorti che
qualcosa non andava ed è stata una buona trattativa. Per me
protagonisti
Federico Minoli
che sono appena arrivato è stato un grande vantaggio. L’anno
prossimo produrremo una cinquantina di barche, contando
quello che ci resta da vendere arriviamo alla settantina di
barche previste».
Quali mercati vi sostengono?
«I mercati che tirano sono l’Italia per Del Pardo e la Francia per
Dufour, l’estero è sparito. Dove hai la rete più debole perdi
subito acqua...»
Avete anche programmi di sviluppo?
«Al momento abbiamo tagliato qualunque spesa con l’eccezione della ricerca e sviluppo perché cerchiamo di arrivare alla fine
della crisi con modelli che ci consentano di vendere meglio.
Per Del Pardo stiamo preparando un 50 che sarà pronto per
fine anno, forse lo porteremo a Genova, ma preferirei arrivare
sul mercato con una barca effettivamente pronta. Adesso
usiamo tutta l’energia dell’ufficio tecnico per mettere a posto
tutti i piccoli difetti della gamma che hanno in questi anni
purtroppo fatto una cattiva impressione al mercato. La qualità
deve essere perfezionata, non ci possono essere difetti».
Quindi un lavoro sulla qualità.
«Questo non mi sembra un mercato drammaticamente diverso
da quello della moto: l’acquisto della barca come quello della
moto è un atto d’amore e non un gesto razionale. Non si può
rifilare una fregatura a chi compra una moto o una barca, è
un mercato in cui l’acquisto ripetuto tiene in piedi la baracca.
Partendo da questa considerazione cerchiamo di far uscire
dal cantiere delle barche perfette, piuttosto che cercare di
prendere clienti nuovi. Adesso il nostro mercato sono i grand
soleisti. Il tema della soddisfazione del cliente è poco sviluppato in questo mercato. C’è una lamentela generalizzata anche
tra i nostri clienti».
Come sistemerete la gamme?
«Dufour deve avere una gamma che inizia prima e finisce
prima. Per Del Pardo invece bisogna crescere. Io vorrei come
barca di partenza un 43 e arrivare, come ammiraglia, appena
oltre i 60 piedi. Ci serve il 50 nuovo e un 60 o poco più. Pardo
sarà un po’ più sportivo e punterei all’italianità degli interni,
qualcosa che si riconosca come gusto senza esagerare nel
design. Un poco di eleganza in più. Nel design l’armatore non
è mai rappresentato e nell’ideazione della barca in qualche
modo deve entrare di più e così stiamo cercando di coinvolgere i nostri clienti».
Altre politiche?
«L’altra cosa che mi ha sorpreso molto è l’assoluta non trasparenza dei prezzi. Il cliente non capisce che cosa sta spendendo,
tagliato qualunque
“Abbiamo
spesa con l’eccezione
della ricerca e sviluppo perché
cerchiamo di arrivare alla
fine della crisi con modelli
che ci consentano
di vendere meglio
”
non c’è un catalogo credibile. Questo non è accettabile in un
mercato sofisticato, fatto da professionisti che spendono molto. Quello della nautica non mi sembra un panorama da ricerca
di mercato tradizionale. Quella la fai per un detersivo che deve
soddisfare otto milioni di persone. Qui invece mi sembra che
gli strumenti tradizionali non siano molto utili».
Quanto crede all’innovazione?
«Ho una mia teoria, di solito diversa da quella degli altri.
Tipicamente si parla di innovazione tecnologica rivolta solo
all’aumento delle prestazioni. Nel ‘96 la moto che ha vinto
il mondiale pesava 190 chili e aveva 160 cavalli di potenza.
Oggi una moto così è il minimo per una superbike da strada. Adesso si arriva a 220 cavalli per andare a 320 kmh. Gli
sforzi degli ingegneri sono rivolti tutti in questa direzione,
ma questo non basta più a vendere. Non ci deve essere
solo tecnologia, ma un pacchetto più complicato in cui la
tecnologia è una condizione necessaria, ma non sufficiente.
Offro la partecipazione a un mondo diverso che ha dentro
la tecnologia, ma anche altri valori, il bello, l’italianità e altre
cose che definiscano una personalità. Vorrei trovare qualcosa
che definisce i Grand Soleil, che ne qualifichi l’appartenenza.
A questo si dovrebbero aggiungere una serie di servizi post
vendita importanti, bisogna dare di più».
Altro da fare?
«Quando sono arrivato alla Ducati si diceva: Ducati soldi buttati. Se non si rompeva bene, se si rompeva meglio: passavi il
sabato ad aggiustare, che in fondo era quello che ti piaceva.
Dopo abbiamo costruito un sistema attorno all’idea di quella
moto e della sua personalità.
Adesso mi sarebbe piaciuto poter lavorare su queste cose, agli
aspetti di marketing e sviluppo e invece mi trovo a inseguire la
lira. Questo è un peccato, cerchiamo di scollinare per arrivare a
un momento in cui potremo fare delle altre cose. Per la parte
di sviluppo prodotto ho lasciato tutto in mano a Gian Guido
Girotti: molto bravo e molto giovane. La complicazione adesso
è interpretare il mercato. Avere il fiuto di capire cosa si vorrà
usare. Per chi fa moda gioca una sensibilità personale, forse.
Oppure si cavalca con velocità il trend. Nel mercato auto e
moto i tempi di sviluppo sono ben diversi, lenti e bisogna traguardare il futuro con strumenti concreti. Qui mi sembra che si
debbano inserire degli elementi di discontinuità che ci facciano
fare un salto in avanti, qualcosa che faccia riconoscere un
Grand Soleil a mezzo miglio».