edouard manet - La 5 P 2011/2012
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edouard manet - La 5 P 2011/2012
Matteo Olivi 5^ P – 13 dicembre 2011- Appunti Manet-Degas - Pagina 1 di 7 EDOUARD MANET Edouard Manet nacque a Parigi nel 1832, morendovi nell' 83. Grandi cambiamenti investirono la capitale in questo periodo; ne cambia la conformazione, diventando teatro di profondi sconvolgimenti politici; ne cambia la società, sempre più legata al sorgere e all'affermarsi della borghesia come classe dominante. Conseguentemente ne derivò anche un cambiamento culturale. Il progresso e l'avanguardia diventano prerogative artistiche, ancor prima che tecnologiche. Le innovazioni culturali si susseguono e risultano profondamente permeate da queste scoperte tecniche: fotografia, cinema, radio. La società, cullandosi in questa atmosfera profondamente ottimista e positiva, ritrova il piacere della vita mondana. Sorgono i cabaret, i locali di cancan (allora più che mai scandalosi, seppur accattivanti) e si ripopolano i caffè. Proprio questi ultimi avranno un ruolo fondamentale, nell'ottica di una rivoluzione culturale. Essi fungeranno da veri e propri luoghi di scambio d'opinione, da ricettacolo di idee “pionieristiche”. Lo è stato il Caffè Michelangelo a Firenze; lo sarà quello sito in Rue des Batignolles numero 11. Il Café Guérbois sarà teatro degli incontri di Manet con gli altri sostenitori e seguaci di una delle più influenti correnti artistiche moderne: l'impressionismo. Vi si confronteranno Cézanne, Degas, Rénoir, Pissarro; ma anche scrittori del calibro di Zola; o il fotografo-giornalista Felix Nadar, nel cui studio si terrà la prima mostra impressionista, nel 1874. Il pittore nacque in una famiglia benestante. Il padre, magistrato, avrebbe desiderato la medesima carriera giovane Edouard. Egli, tuttavia, dopo una breve in marina, ottenne la possibilità di coltivare e approfondire la sua vera passione: l'arte. Cominciò a frequentare lo studio di Thomas Couture che ben abbandonò. Fin dagli inizi, e ancor prima di divenire Manet si contraddistinse per una vena profondamente verso un' educazione di stampo accademico. Edouard Manet, “Il balcone”. 1868-1869 170 cm x 124 cm Musée d’Orsay per il parentesi presto celebre, critica Matteo Olivi 5^ P – 13 dicembre 2011- Appunti Manet-Degas - Pagina 2 di 7 Pertanto dopo sei anni di viaggi in Europa, durante i quali ebbe modo di visitare Italia, Germania Olanda studiandone i grandi artisti, e di frequentazioni assidue del Louvre, abbandonò Couture. Oggetto dei suoi studi furono,in particolare, i coloristi veneti: Tiziano e Giorgione, e quelli iberici: Goya e Velazquez. Con grande prepotenza, quindi, il colore si impose. Per di più, si avvalse dell'accostamento di colori puri prospettato dal Delacroix ne “La barca di Dante”, di cui ci siamo occupati. Dal tonalismo, però egli arriverà all'elaborazione di soggetti ben poco idealizzati e facenti riferimento all'allora principale tendenza artistica: il realismo. Essi divennero veri e propri spaccati di quotidianità: ne è esempio il Bevitore d'Assenzio, una delle sue prime opere. Pian piano, però, la prassi di rappresentare la pura realtà, anche a costo di destare un incredibile scalpore, si radicalizzò. Nel 1863, difatti, dipinse sia “Colazione sull'erba” che “Olympia” (esposta solamente nel 1865). Il distacco dalla critica toccò in questo momento il massimo apice; di qui in poi ogni sua produzione verrà osteggiata e criticata. Le forme erano troppo semplificate, il disegno praticamente inesistente: come accettarlo? La rappresentazione realistica cancella il chiaroscuro, che viene sostituito dell'accostamento di tonalità contrastanti del medesimo colore; l'immediatezza, la sensazione di un attimo divengono l'ispirazione dell'opera d'arte. Non si persegue quindi più la pedissequa ed idealizzata raffigurazione della bellezza e dell'esteriorità (valore ricercato, inutile negarlo, anche dal romanticismo). Conseguenze? Pennellate libere, brevi; soggetti rappresentati in divenire e nella reale dinamicità che li contraddistingue. Non tutti però gli furono ostili: egli riuscì a suscitare un'enorme ammirazione nei giovani avanguardisti, poi impressionisti. Anche Zola e Baudelaire tesseranno le lodi di Manet, prendendone le parti. Manet, stimolato dall'esclusione dall'Esposizione Universale del '67, riuscì però ad organizzare la prima esposizione impressionista solo pochi anni più tardi: nel '74, Nadar gli concesse il proprio studio per mostrare i suoi quadri, insieme a quelli degli altri Impressionisti. Ciò non toglie, e occorre rimarcarlo, che egli non si sia mai ufficialmente dichiarato come facente parte del movimento, seppur avesse stretto amicizie profonde con alcuni dei componenti. L'ultima fase della propria produzione sarà quindi legata alla ritrattistica e a dipinti aventi per tema dei notturni parigini. Morì, pochi anni dopo l'esposizione, di sifilide. Edouard Manet, “Il bevitore d’assenzio”; 1856; NY Carlsberk Glypotek, Copenaghen OLYMPIA Matteo Olivi 5^ P – 13 dicembre 2011- Appunti Manet-Degas - Pagina 3 di 7 La tela che raffigura Olympia venne dipinta nel 1863, lo stesso anno in cui realizzò “Déjeuner sur l'herbe”. Entrambe le opere non mancarono di destare un'enorme riprovazione. Nessuno aveva mai osato sfidare tanto apertamente, infatti, la morale artistica e sociale. Finora i nudi femminili avevano assunto sempre e soltanto un ruolo allegorico. In più, di solito, essi erano inseriti all'interno di raffigurazioni mitologiche assolutamente al di fuori della realtà contestuale. É facile, dunque, immaginarsi lo scandalo che suscitarono le due giovani a dialogo con i due ragazzi borghesi di “Déjeuner sur l'herbe” e “Olympia”. Quest’ultima, esposta presso il Salon nel 1865, sul finire della mostra venne collocata in una posizione che ne impedisse una facile e limpida lettura. Addirittura, alcuni critici si pronunciarono così: <<Devo asserire che il lato grottesco della sua esposizione si rifà a due elementi: innanzitutto a un'ignoranza pressoché infantile delle basi del disegno; inoltre, ad un'inconcepibile volgarità>> (Chesenau, 1865). Oppure: <<La folla è stipata come all'obitorio, di fronte alla corrotta Olympia! L'arte, scesa così in basso, non merita che il biasimo>> (Paul de Saint-Victor). Volgarità morale e formale, questi furono gli elementi che la resero un vero e proprio fenomeno artistico: grandi furono i dibattiti che vi si svilupparono attorno. Ma Manet non aveva che sollevato una problematica semplice, ma di vitale importanza, in un processo di cambiamento artistico in relazione al mutare della società: come perpetuare tali preconcetti attorno alla sessualità? Il pregiudizio dei critici, così come quello degli artisti neoclassici, aveva confinato l'arte in una sorta di stasi. Era necessario che qualcuno rompesse gli schemi e suscitasse una provocazione. Manet sceglie di farlo come meglio sapeva: dipingendo. Attraverso il richiamo a “La venere di Urbino” del Tiziano e della “Maya desnuda” di Goya ripercorre i secoli e la propria educazione. Il confronto diviene cioè funzionale a far capire l'abisso che divide Olympia dalla Venere del Vecellio. Il Goya ne è il raccordo. Il Tiziano, difatti, coerentemente con l'ideologia artistica del periodo, raffigura attraverso la dea un'allegoria della bellezza. Ecco l'elemento simbolico. Manet, invece, senza alcuna idealizzazione raffigura, avvalendosi di inequivocabili attributi iconografici, una prostituta. Si notino, perciò, il nastro nero al collo, gli orecchini, i tacchi e il mazzo di fiori, probabile omaggio di un cliente. Sin qui, tuttavia, un tale scalpore sembra quasi immotivato. Ciò che innesca il pregiudizio e l'imbarazzo è piuttosto l'atteggiamento della donna. Esso non ha nulla a che vedere con il candido pudore con cui Afrodite tenta di celare i propri attributi sessuali. Il tentativo di Olympia è ironico; la posa sprezzante e accattivante, anzi, fa riferimento alle prime immagini pornografiche sviluppate su lastra fotografica. Anche lo sguardo rimanda ad una profonda antitesi con Tiziano. In questo risiede l'analogia con il dipinto del Goya: esso è lascivo, sensuale, quasi ella volesse attirare magneticamente verso di sé l'osservatore. Subentra l'elemento malizioso di cui non c'è traccia nell'opera rinascimentale. Edouard Manet, “Olympia” 1863 130 x 190 cm Matteo Olivi 5^ P – 13 dicembre 2011- Appunti Manet-Degas - Pagina 4 di 7 Francisco Goya, “Maya desnuda” 1800 95 x 190 cm Mudeo del Prado, Madrid Anche il valore simbolico dell'animale domestico ricopre un ruolo essenziale. La donna, la cui fedeltà era celebrata dal Vecellio attraverso l'immagine di un cagnolino, diviene qui più indipendente. Ecco, perciò, che al cane va sostituendosi il gatto, emblematico della sempre maggiore libertà a livello non soltanto sessuale, ma anche sociale, della donna. Tiziano Vecellio “Venere di Urbino” 1538 119 x 165 cm Il resto della composizione presenta sullo sfondo una donna di colore che omaggia Olympia di un mazzo di fiori: formalmente, le pennellate piccole e rapide con cui è esso dipinto ne faranno un'ottima esemplificazione formale di cosa si intenda per pittura impressionista. Infine, tutta la composizione gioca sul contrasto tra colori chiari e colori a tinta scura: si noti il contrasto tra il colore della pelle e il quello del vestito della serva; oppure quello tra l'avorio della pelle della prostituta e lo sfondo scuro. “Olympia”, così come “Déjeuner sur l'herbe”, venne profondamente criticata, tuttavia segnò l'inizio di una nuova esperienza culturale. Essa, infatti, suscitò l'attenzione di un gruppo di giovani e ambiziosi pittori che cominciarono ad assumerne il linguaggio di rottura e allontanamento dall'accademismo. Il naturalismo diviene sempre più preponderante, seppur inaccettabile dai più, e la formalità lascia spazio all'impressione che un certo soggetto desta nel cuore dell'artista. Logicamente, però, l'Impressionismo non potrà accedere ai canali espositivi principali. Il fascino che il movimento impressionista aveva destato in Nadar lo spinse a cedere il proprio studio fotografico per la primissima esposizione del movimento, nel '74. Vi furono mostrate all'incirca 165 opere e l'aneddoto attorno ad una di queste fu alla base dell'origine del nome del movimento. Matteo Olivi 5^ P – 13 dicembre 2011- Appunti Manet-Degas - Pagina 5 di 7 Una delle opere di Monet, infatti, non aveva titolo. Uno dei critici che visitò la mostra, vedendola, la definì, spregiativamente, una semplice impressione. Monet le darà titolo “Impressioni del sol nascente”; l'intero gruppo decise di assumerlo come nome identificativo della nuova corrente. Di essa abbiamo parlato superficialmente trattando dell'arte di Manet, a cui si ispirarono. Nello specifico, non vi furono manifesti ufficiali che ne delinearono le peculiarità. Perciò, non vi furono particolari limiti o veti all'estro dei singoli artisti. Ognuno arrivò a creare un proprio originale “prodotto”. L'unico denominatore comune fu la rappresentazione dal vero, en plein air. Il soggetto diviene la vita quotidiana francese, quella di Parigi, non più però con l'intenzione di muovere una critica a un certo sistema economico-sociale che creò storicamente disuguaglianza e divisioni; se ne vogliono cogliere gli aspetti più affascinanti, più spensierati, sempre attenendosi al vero. La volontà di “catturare l'impressione” e la pittura en plein air si legano a due elementi formali ben precisi: il primo fu quello della semplificazione delle tecniche realizzative; il secondo fu quello della luce. La tecnica deve divenire, per necessità, più immediata: l'Illuminismo eliminò lo schizzo preparatorio, il disegno. Inoltre le pennellate divennero brevi, a volte sostituite addirittura da punti. Il problema della luce si lega, piuttosto alla resa della sua naturalezza. Nasce la prassi di dipingere ciclicamente, in vari momenti della giornata, un medesimo soggetto; in questo modo il pittore riusciva a cogliere le sfaccettature cromatiche e della realtà in divenire, esattamente come se essa fosse stata composta di successivi fotogrammi. Altro personaggio di spicco dell'Illuminismo fu sicuramente Degas. EDGAR DEGAS Edgar Degas nacque come Manet a Parigi, nel 1834. Cominciò a studiare diritto, ma ben presto di iscrisse alla Scuola superiore delle Belle Arti. Qui, studiò sotto la guida di Lamothe, che fu allievo di Ingres. Dopo aver compiuto un viaggio in Italia, contraddistinse la prima parte della sua produzione con quadri sui generis di “Semiramide che fonda una città”. In essi si coniugavano gli elementi storici e tratti riferentisi alla contemporaneità. Dopo i conflitti del 1870, venne introdotto negli ambienti intellettuali dal capitano Rouart. Grazie a lui conobbe Morisot, Mallarmé, Manet, entrando nella sfera culturale emergente. Partecipò quindi alle prime esposizioni del'74, del '76, del '78 e del '79, ciò nonostante, egli ne rimase piuttosto estraneo. Egli non arrivò mai a disdegnare il disegno e alla pittura dal vero preferì la rielaborazione nel proprio atelier. In più, il novero delle sue opere evidenzia un particolare interesse per lo studio della figura umana, abbastanza inusuale. Si concentrò perciò su ritratti e scene di genere, che in ogni caso gli permisero di guadagnare una grande fama per le capacità che dimostrò di catturare l' immediatezza della vita. La frequentazione dell'Opéra, di altri teatri, dell'ippodromo e altri ambienti mondani fu per lui essenziale elemento di ispirazione. Egli, attraverso schizzi preparatori, riprendeva un determinato momento che veniva sapientemente rielaborato, a posteriori, nel proprio studio. Invecchiando la vista di Degas si indebolì. Costretto a rinunciare alla pittura, rivolse la propria attenzione verso la tecnica del pastello, ma anche verso la poesia, la fotografia e verso la modellazione scultorea di danzatrici. Morì nel 1917, all'età di 83 anni. LA LEZIONE DI BALLO Matteo Olivi 5^ P – 13 dicembre 2011- Appunti Manet-Degas - Pagina 6 di 7 Edgar Degas “La lezione di Ballo” 1871-1874 85 x 75 cm Musée Parigi La Le danzatrici risultano come uno dei temi piùd’Orsay, cari al pittore. “Lezione di ballo” venne realizzata da Degas tra il 1871 e il 1874. Questo fu il primo di una serie di dipinti aventi questo tema: al '74 risale “Prove di balletto in scena”; al '76 “Balletto-La stella”; oppure al '77 “Ballerina con bouquet”. La scena descrive la più classica delle prove prima dello spettacolo. La classe è disposta a semicerchio e il maestro, l'uomo canuto che si appoggia al bastone, valuta i passi di una delle giovani ballerine. Tale momento diviene propedeutico per chi non deve provare per compiere gesti del tutto spontanei. Alcune di esse osservano attentamente la prova per carpire eventuali correzioni; altre, invece, se ne disinteressano, preferendo rilassarsi. L'artista coglie un occasione d'oro: egli può tratteggiare una vasta gamma di pose, che passano dalle ragazze visibilmente distratte sullo sfondo, colte nel loro naturalissimo parlottare, alla ragazza in primo piano, che si gratta la schiena, alla ragazza che si fa aria con un ventaglio. La particolarità di Degas sta proprio in questo: riuscire a rendere dignitoso, anche in un contesto affollato (di persone e di gesti), ogni singola particolarità. Per di più, attraverso una tecnica innovativa e accattivante. Egli sembra assistere alla scena attraverso il buco di una serratura. Il taglio diverrà fotografico, obliquo (si noti per esempio, che parte della sala e fuori dalla tela) e la vista “di scorcio” conferirà grande spazialità e profondità al contesto ambientale. Si osservino le tavole del parquet: queste furono la traduzione formale di tale innovazione. Lo scrittore Paul Valéry ne disse: “Degas è uno dei pochi pittori che hanno riconosciuto al suolo l'importanza che esso merita. Alcuni pavimenti da lui raffigurati, rivestono grande importanza nella composizione”. L'elemento del parquet non è quindi solamente essenziale per mettere in luce tale espediente formale; le assi divengono fattore imprescindibile per la realizzazione dello spettacolo, perché le danzatrici riescano a valorizzare al momento della prima il lavoro e la fatica di ferree esercitazioni. Torna l'accostamento cromatico di colori puri. Essi quindi, rifratti dalla luce, garantiscono grande Matteo Olivi 5^ P – 13 dicembre 2011- Appunti Manet-Degas - Pagina 7 di 7 delicatezza all'opera. L'ASSENZIO L'assenzio risale al biennio '75-'76. Come già detto, Degas fu attratto maggiormente dagli interni, che dai paesaggi. Ritroviamo, quindi, nuovamente, uno spazio limitato, all'interno del quale egli condensa il messaggio celato nell'opera. Nella fattispecie, il caffè è quello del”Nouvelle Athènes”, ritrovo prediletto degli artisti impressionisti. Gli amici del pittore Ellen Andrée e Marcellin Desboutin, rigorosamente astemi come chiarirà lo stesso Degas, si prestarono come soggetti di questo episodio cittadino. L'artista ritrae i due nella veste di due reietti: una prostituta e un barbone dall'aria trasandata, intento a fumare la pipa. La donna ha davanti a sé un bicchiere mezzo pieno di assenzio. Si tratta di una bevanda ad alta gradazione alcolica, allora molto diffusa. L'uomo,invece, siede di fronte ad un bicchiere di vino, l'unica bevanda a cui potesse accedere. L'apparente semplicità della composizione e del significato intrinseco ad esso, sottendono, in realtà, una critica profonda al nuovo tipo di società. Seppure l'aspetto sociale, da un punto di vista critico, nell'Illuminismo non fosse particolarmente rilevante, qui ha un ruolo essenziale. Siamo nella società capitalistico-borghese: la società dell'egoismo, dell'arrivismo, della realizzazione di sé, della concorrenza. Gli uomini seppur fisicamente vicini, sono tra loro distantissimi. Seppur affiancate le une alle altre, le persone sono confinate in universi lontani, non-comunicanti: essi vivono vite parallele che non si incrociano mai nel loro sviluppo. L'uomo nuovo, l'uomo moderno è solo. Relegato nella sua realtà particolare, è triste, assolutamente alienato ed estraneo alla vita. Tale logoramento nervoso determinò il ricorso sempre più ricorrente, e per vari strati della società all'abuso di alcoolici e al conforto della divagazione distruttiva. L'opera sintetizza tutti questi elementi: alcool, alienazione, rapporto dialettico vicinanza fisica-distanza spirituale. È interessante vedere la capacità di proporre una critica attraverso il ricorso ad elementi meno diretti di quelli utilizzati da Courbet. La raffigurazione è meno schietta, meno cruda o diretta, ma egualmente terribile e perentoria nello scagliarsi contro la società. Courbet raffigurò gli effetti del cambiamento sui ceti meno abbienti: nella loro quotidianità e nel loro lavoro (si vedano “Gli spaccapietre”). Degas, invece rivolse la propria attenzione sui risvolti psicologici. Non si tratta di un quadro che fa risaltare visivamente la violenza del XIX secolo, ma l'assenza dei loro sguardi è altrettanto preoccupante e inquietante, stimolando la riflessione dell'osservatore. Da un punto di vista formale, ritroviamo la prospettiva di scorcio. È la prospettiva di un ipotetico osservatore che osserva da un piano leggermente rialzato e decentrato. I due soggetti vengono così relegati in una posizione marginale, emblematica del loro anonimato. Inoltre il gioco di luci, assommato alla visione di “straforo” riflette le figure sullo specchio ai due retrostante. Potremmo rilevare che vi ritorna nuovamente il leit motiv dell'opera: i contorni sono evanescenti, sintomatici di un uomo che nemmeno dello specchio può trovare un'immagine definita di sé stesso.