Giuseppe Jappelli e Padova: la lunga preistoria di

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Giuseppe Jappelli e Padova: la lunga preistoria di
Jappellì
(Japelll, l a p p c i l i ) , Giuseppe
{1783-1852). Eminente arch, e paesaggista romantico, vero e proprio eclettico
quali pochi ne ha avuti l ' I t a l i a , capace d i
operare felicemente su un'ampia gamma
stilistica. Cominciò col Caffè Pedrocchi a
Padova (1816; i lavori proseguirono fino
al 1831 e vennero ripresi nel 1937-42), i n
un NEOCLASSICISMO d i estrema eleganza;
si volse p o i a u n linguaggio severo, derivante dai f r o n t i sul retro delle ville palladiane (per es. nei lavori i n villa Vigodarzere a Saonara, 1817), e ad u n ardito NfEOCKECO nel dorico mattatoio d i Padova
{1820-24, oggi I s t i t u t o d'arte). Dopo u n
viaggio in Francia e i n Inghilterra aggiunse al Pedrocchi una parte NEOGOTICA (« Pedrocchino», 1837); infine i l teatro Verdi
a Padova (1830, poi 1841-47) è i n ROCOCÒ, I suoi parchi paesistici rinettono fedelmente quelli ingi. La maggior parte d i
essi si trova nel Veneto (per cs. Saonara,
Ca' M i n o t i o , Rosa d i Bassano dei Grappa); uno dei più belli è però a Roma, i n
villa Torlonia (1838-40).
« Tous nos chagrins ont eu pour
origine une ésperance »
Dai quaderni di G. Jappclli
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GiuseppeJ^appeUi nasce a Venezia il 14 maggio 178}: è l'ultimo
dei nove figFl5Hsi~al mondo dà ElisaBetta Biondi e da Domenico, un
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bolognese trasferitosi a Venezia, a partire dal settimo decennio almeno
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del '700, per assolvere alle funzioni di Segretario del Priorato di Malta.
È appena adolescente quando, nel 1797, gli muore il padre, così che
passa sotto la tutela, affettuosa, dello zio Filippo, canonico di Treviso
e futuro vescovo eletto di quella città, che ne favorirà l'inclinazione alla professione artìstica, non inconsueta alle tradizioni familiari (un cui
gino. Luigi, decoratore teatrale e scenografo, lavorerà "per più di un
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^etteimio presso la corte di Spagna). Tra 1798 e 1799, Giuseppe frequenta i corsi di architettura e di figura dell'Accademia Clementina di
Bologna, tènuETHà maestri quah,'Trs-gli-altrirGaeran'S''GanHolSr7LS~
gelo Venturoli e Francesco Tadolini; rientrato tra le Lagune, si applica
allo studio delle matematiche e della topografia presso l'atelier di Gio- \ j ^ j U L l ^ V v ^
3jnnij/alle, l'autore della celebrarisstma pianta di Padovi~pubbIicàta"
r e i 1784r~Infine, nel dicembre 1803, ottiene con lode U^diploma di
<f pubblico perito agrimensore ». AI31'là della caduta della Serenissima,
il dima politIcò~e' ciUtuHlefdi Venezia conosce una stagione breve di
slanci fervidi della quale il giovane ingegnere è partecipe entusiasta:
\Jaffiliazione alla massoneria, che non mancEera"d'influire sulle fortune
della sua carrierFnel HasleTto della Restaiu-azione, è di quei giorni; e gli
consentirà di praticare personaggi dello stampo dello Strauco, cjie gli
donerà la sua stima, e di frequentare circoli colti come quello vivacetnente interessato agli studi botanici e alla problematica dèi giardino
pittoresco, raccolto ed animato da Elisabetta Treves nel suo palazzo di
Padoyaj___doTC lojappelli si trasferisce l'anno 1807, chiamato al ruolo
cii ingegnere HTacque e strI3éT~r''rIconos5mènti "eia parte Sei ~milTeux
eTeratI7putblicÌ TpnvaS7'3èrmondo patavino impersonati dalle frange
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i- A ' J E O £ < Ù H ÌfiJ°g'^'^°b'pg'^g^.'yjjlP'^^z'a e_della^rghesia ricca, al talento di G h
" s'eppe, son prontì, larghi, lusinghieri: ed'TTgióvane professionista m.
turerà un sentimento d'amore profondo per la città euganea, che ne
diverrà la terra d'elezione. La catastrofe del Regno d'Italia, tuttavia,
lo costringe a riparare nel 1814 a Cremona; e sarà un breve esilio inquieto, a dispetto del favore dimostratogli dai Sommi Picenardi, che gli
offrono la possibilità di realizzare il suo primo giardino, e dei viaggi
frequenti per la regione lombarda, e a Milano in ispecie. Sulfinirdel
1815, JappeUi già può tornare a Padova: i trascorsi politici, massonici
e filonapoleonici, non sembrano, sulle prime, revocare in dubbio la
stima e la fiducia dei nuovi governanti, giacché sarà proprio lui ad allestire,, nella notte del 20 dicembre, il sontuoso apparato di feste, nella
sala della Ragione, in onore degli imperatori Francesco I e Maria Ludovica d'Austria. Ostilità piuttosto segrete che esplicite, ma non per questo
meno insidiose, si manifesteranno negli anni avvenire e sovrattutto incideranno sull'esito concreto dei piìi ambiziosi progetti di pubblica edilizia da Jappelli elaborati e affidati agli Anuninistraton. Se il MacTillo
còmimale, fra il 1819 e 1821, sarà eretto, delusi resteranno i piani, via via _
rimessi, pe'r le'Carceri (1822), per la nuoya_UnIvrrsrta sìTTràto della
Valle (1824), peTUncostruenda Loggia Amulea come pubblico Ridotto
.(1822-1874), per il Cimitero (1826): erp"?e7"s'~"attava delie ernéfgtnze di un disegno organico e ferreo^^di^^riprogem
della
città, coltivato e cresciuto nHirpranM^ondlanr^éliraira dènèTSade,
dènr vie d'acqua, dei ponti, e nella consapevolezza dell'efficienza del
territorio non tanto dimostrata nella definizione d'episodi d'attrezzatura
è31IIz!a~di rappresentanza nei minori centri urbani (Municipio di Piove
di Sacco, 1820-1821) quanto tradotta nella regolazione dei fiumi e
nell'elaborazione di programmi, d'ampio respiro, di bonifica e di sistemazione termale. A lenir l'amarezza di tante pubbliche sconfitte, restano a jappelli il consenso dei privati — i vecchi amid che avevano
vissuto con lui la passione delle speranze napoleoniche; e nuovi armd:
i Treves; i Qttadella, i Trieste, i Giacomini — e la fedeltà, dunque, '
"di una committenza che lóTmpegnsTad àllesure, nel riparo dei giardini
e dei par^iji i percorsi, insieme liberatori ed aUusivircEuniversr ma- ,
gia"ea~insoliti: e non esi-:a, ad affidargli, col geniale caffettiere Antonio
Pedrocchi, il progetto di quello stabilimento di « comodi e piaceri » ma
pure di mcontro e di dialogo civili (anzi, borghesi), che si segnala come
il monumento jappelliano più singolare e celebrato. Frattanto, dagli
elogi del Cicognara alle recensioni del Selvatico, la stima critica si mantiene d'alta temperatura; e l'invito da parte dei maggiori consorzi accademia italiani ed europei ne raccoglie e suggella la risonanza. L'opera
del maestro è richiesta a Milano, a Parma, a Roma — dai Torlonia — ; .
financo in Inghilterra: dove, soggiornando nel transito a Parigi, Jappelli •
approderà nel 1836 (ma già del 1827 erano i suoi rapporti, attraverso
Lord Hamilton, con quell'universo ctJturale), curiosissimo d'ogni progresso compiuto dalle'jtecnologie industriali più avanzate ed ansioso di
confrontare ad i.ssè gli esiti dello studio"pèr macchine, per sistemi d'illuminazione, per locomotive e per strade ferrate, che prendeva parte
cospicua dei suoi interessi.
Nel 1817 Giuseppe aveva sposato Eloisa Petrobelli, che gli regalerà
di 11 a poco una figliola, Luigia, portata via dalla morte a due anni; s'era
trasferito ad abitare, in via della Gigantessa, una casa che, '^.H'avvio del
quarto decennio, grazie al crescere dei proventi propiziato dal consolidarsi della reputazione professionale (ma non attingerà mai, veramente,
la ricchezza;, é lo ^ìorprenderemo spesso affondato nei debiti), aveva restaurato, dispiegando nell'arredamento la propria sapienza di designer,
già sperimentata a Saonara; ed esaltata nello stabilimento Pedrocchi da
una serie incredibile di oggetti, ormai distrutti o rapinati dall'incuria
pubblica 0 dalla più ottusa privata avidità. Amava trascorrere i mesi
dell'estate, in ispecie negh ultimi tempi, in una sua villetta a Pianiga, ma
godeva a visitare, presso le residenze di campagna, i vecchi amici e,
con particolare gusto, l'Andrea Cittadella Vigodarzere a Saonara, nel .
teatro del suo giardino più bello. Lavorò sino all'ultimo; e ancora s'affaticava ad un impressionante ed ambizioso progetto per il nuovo scalo
commerciale di Venezia, quando — proprio nella città dov'era nato, in
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calle dei Pignoli a S. Zulian — perdeva la vita, l'S maggio 18?2. |^jf: y»»,^:,,»^
Giuseppe Jappelli morì l’8 maggio 1852 a Venezia, che gli aveva dato i natali ed
era divenuta l’approdo di una sorta di volontario esilio da Padova.
Il veneziano Jappelli si era trasferito a Padova sin dal 1807 per svolgervi i
compiti di ingegnere di seconda classe nel Corpo d’Acqua e Strade e la città
aveva costituito lo spazio urbano del suo lungimirante progetto di riassetto e di
sviluppo moderni.
Il progetto, nella sua complessiva e articolata organicità, era fallito, lasciando
testimonianze in alcuni luminosi frammenti (il Macello, lo Stabilimento
Pedrocchi, il Teatro, le case e i giardini per i Treves e i Giacomini) e nelle
straordinarie dimostrazioni grafiche del suo cartolaio.
Nel suo necrologio, diffuso all’indomani della morte, appaiono figure femminili
che reggono gli attributi delle discipline che Jappelli aveva praticato non come
competenze distinte e separate, ma come momenti dialettici dell’esercizio di
una nuova professionalità (“l’architetto sia l’ingegnero che discorre”):
 il mazzo di fiori, a designare l’arte dei giardini
 la vite d’Archimede e la ruota dentata, l’ingegneria e la meccanica
 compasso e squadra, l’architettura
 pennello e carta, la pittura e il disegno.
Jappelli impersonò, nel modo più compiuto e fulgido, l'esito di un complesso
processo storico riformistico che ebbe tra i suoi obiettivi la creazione di un
funzionario capace di gestire in modo coerente l’universo architettonico,
urbano e territoriale, rivedendo e reimpostando i rapporti tra città e campagne,
tra la produzione e i mercati.
Tale processo trovò principalmente in Padova, città dello Studio universitario, il
campo fertile di dialogo tra gli esponenti della borghesia cittadina, consapevoli
dell’identità culturale della città, legati alle logge massoniche e più tardi
simpatizzanti della Rivoluzione francese, e i rappresentanti dell’ala illuminata
minoritaria dell’aristocrazia lagunare.
In questo processo il ruolo di Andrea Memmo, Provveditore della Serenissima
nel biennio 1775-1776, fu, insieme, rivoluzionario e foriero di un avvenire
autenticamente moderno: “Vi fu un uomo – esclamava Melchiorre Cesarotti –
che, posto al governo di una città per brevissimo spazio di tempo, con autorità
circoscritta diede un saggio assai luminoso di quel che a pro' degli uomini
potrebbe operare il Genio collegato con la Virtù […], fecondo di idee solide non
meno che splendide, e pieno di quell’equabile e saldato entusiasmo ch’è il
figlio della riflessione, concepì egli un piano vasto e magnifico, ma ben digerito
e connesso in ogni sua parte, per cui le arti del gusto divenivano strumenti di
civile economia, e gli ornamenti e il diletto fonti della massima utilità
nazionale: piano atto a ravvivare l’industria, a svegliare le arti, ad accrescer
l’unione e la pulitezza socievole, e a render la città opportuna, deliziosa,
mirabile ai forestieri e, attraendone numeroso concorso, a farle piover nel seno
una rugiada ristoratrice e benefica”.
Si trattò, in corrispondenza con gli interventi di igiene su strade e corsi d’acqua
di un nucleo storico appassito, del recupero del grande invaso marginale ed
inerte del Prato della Valle e della sua trasformazione in un'area efficiente di
mercato e di svago, attraverso la mediazione di una nuova professionalità
specifica d’architetto interpretata da Domenico Cerato.
La ristrutturazione del Prato, con la contemporanea dislocazione dell’Ospedale
nel luogo dell’ex Convento dei Gesuiti, doveva spostare il baricentro, il perno
propulsivo di crescita possibile della città in direzione meridionale.
Con la partenza di Andrea Memmo da Padova tanto fervore propositivo si
spense, a dispetto dei suoi tentativi, da lontano, di completarlo e perfezionarlo.
Il gran cantiere, allorché la Repubblica Serenissima s’estinse, si presentava
vuoto e abbandonato.
Dopo la convulsa parentesi della Municipalità democratica e gli anni della
prima dominazione austriaca, che videro Padova ridotta ad assolvere il compito
deprimente di “città-guarnigione”, con l’unione del Veneto al napoleonico
Regno d’Italia le élites intellettuali che s’erano disperse all’avvento degli
Austriaci si ricompattarono.
Il disegno che il Memmo aveva abbozzato riprese forma. L’entusiasmo e
l'impegno del ceto dirigente di spirito giacobino e di fede massonica affrontò
prima di tutto la realtà disastrata dei tessuti viari e poi impostò la
programmazione degli interventi strutturali destinati a far di Padova
un’efficiente macchina urbana moderna ed europea.
Tali interventi, affidati alla progettazione di Jappelli, prevedevano la
dislocazione delle carceri, del cimitero e del pubblico macello, l'unico progetto
realizzato, dal centro ai margini nordorientali della città. Da notare che la
realizzazione di tali progetti avrebbe provocato il blocco dell’espansione urbana
in quella direzione, a vantaggio della zona meridionale a sud di Prato della
Valle.
Dopo il ritorno degli Austriaci Jappelli dovette fare i conti sia con l’avvento di un
ceto dirigente d’estrazione fondiaria e parassitario, ostile all'ammodernamento
della città e alla pianificazione del suo sviluppo anche in rapporto con la
redifinizione del territorio, sia con il funzionamento aggrovigliato e tortuoso
della macchina burocratica dell’amministrazione asburgica.
Il governo della cosa pubblica, dopo aver accolto l’idea del Macello, bloccò o
vanificò tutte le proposte più perspicaci e lungimiranti dell’ingegnere: le
carceri, la sede unitaria dell’Ateneo in Prato della Valle, collegata ai laboratori
universitari del Giardino botanico e dell’Ospedale, e, al posto del vecchio
Collegio Amuleo distrutto da un incendio, il Ridotto per i servizi sociali ricreativi.
Tutto ciò avrebbe fatto di Prato della Valle il polo direzionale – proiettato verso
l’area termale euganea (sulla quale, frattanto, Jappelli era intervenuto) – di un
destino urbano moderno il cui progetto, pertanto, restò affidato all’utopia.
Solo l’iniziativa di committenti privati a lui vicini per segrete complicità
massoniche consentì a Jappelli d’esprimere gesti di originale e superba qualità
spaziale nel cuore e ai bordi della città, come i giardini Treves e Giacomini, il
Teatro e, soprattutto, grazie all’amicizia del “caffettiere” di origine bergamasca
Antonio Pedrocchi, lo Stabilimento Pedrocchi.
Da: Giuseppe Jappelli e Padova: la lunga preistoria di un’utopia, di
Lionello Puppi.
Progetti di Giuseppe Jappelli per la sede dell’Università di Padova 8in alto) e di
Francesco Maria Preti per la facciata di Santa Giustina (in basso) in Prato della Valle