`Fino alle radici e ritorno: l`ʹEncyclopédie portatile di Primo Levi`.

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`Fino alle radici e ritorno: l`ʹEncyclopédie portatile di Primo Levi`.
CONTI, Eleonora. ‘Fino alle radici e ritorno: l'ʹEncyclopédie portatile di Primo Levi’. Ricercare le radici. Primo Levi lettore-­‐‑Lettori di Primo Levi. Nuovi studi su Primo Levi, a cura di Raniero Speelman, Elisabetta Tonello & Silvia Gaiga. ITALIANISTICA ULTRAIECTINA 8. Utrecht: Igitur Publishing, 2014. ISBN 978-­‐‑90-­‐‑6701-­‐‑038-­‐‑2 RIASSUNTO Dalla Ricerca delle radici di Primo Levi trapela un'ʹidea illuministica del sapere, una concezione morale e concreta della lettura che spinge ad approfondire la celebre definizione calviniana di ‘enciclopedia’. Se è vero che l'ʹantologia personale di Levi contiene una serie di autori nascosti, colpisce particolarmente l'ʹassenza del Voltaire dei contes philosophiques. Il gusto arguto per i rovesciamenti e i cambi di prospettiva sembra infatti un fil rouge del libro (Rabelais, Swift, Brown), tanto che Belpoliti nell'ʹIntroduzione parla di “radici rovesciate”. È poi profondamente letterario il gusto di Levi per lo straniamento come strumento per rimettere in prospettiva, vedere con occhi nuovi e comprendere: procedimento letterario che offre un importante insegnamento morale. Unito alla sensibilità fantastica e fantascientifica di Levi, al suo gusto per le situazioni distopiche, vien proprio da chiedersi se tra i libri sotterranei e nascosti non figuri, per esempio Micromégas. Ma, se la definizione delle proprie radici rilancia anche una sfida opposta e complementare, ossia la definizione dell'ʹeredità del lettore e intellettuale Levi, merita anche constatare quanto sia vitale questa lezione illuminista – pratica e morale – per i lettori, anche giovanissimi, di oggi: in effetti l'ʹantologia era nata come proposta per la scuola. PAROLE CHIAVE Primo Levi, ricerca delle radici, Encyclopédie, Voltaire, retorica morale, sense of wonder © Gli autori Gli atti del convegno Ricercare le radici. Primo Levi lettore-­‐‑Lettori di Primo Levi. Nuovi studi su Primo Levi (Ferrara 4-­‐‑5 aprile 2013), sono il volume 8 della collana ITALIANISTICA ULTRAIECTINA. STUDIES IN ITALIAN LANGUAGE AND CULTURE, pubblicata da Igitur Publishing, ISSN 1874-­‐‑9577 (http://www.italianisticaultraiectina.org). 39 FINO ALLE RADICI E RITORNO: L'ʹENCYCLOPÉDIE PORTATILE DI PRIMO LEVI Eleonora Conti Università di Bologna RADICI MOBILI: UNA DUPLICE SFIDA “Quanto delle nostre radici – scrive Primo Levi nella Prefazione a La ricerca delle radici (1981) – viene dai libri che abbiamo letti? Tutto, molto poco o niente: a seconda dell'ʹambiente in cui siamo nati, della temperatura del nostro sangue, del labirinto che la sorte ci ha assegnato. Non c'ʹè regola”.1 La risposta aperta di Levi è coerente con la cautela tipica dell'ʹuomo di scienza che non può trascurare nessuna variabile, anche se la precisione dei parametri da valutare sconfina in campi non facilmente misurabili e suscettibili di una lettura quasi borgesiana della realtà (“il labirinto che la sorte ci ha assegnato”). E ancora: “La scelta delle proprie radici è [...] opera notturna, viscerale e in gran parte inconscia”. In effetti, poche righe sopra, Levi parla, fondendo di nuovo un'ʹefficace metafora scientifica con un elemento psicologico che allude a un mondo inesplorato e inesplorabile, di “ecosistema che alberga insospettato nelle mie viscere”.2 In quest'ʹultima confessione, in cui l'ʹindagine scientifica e misurabile è costretta a confrontarsi con concetti-­‐‑chiave della psicoanalisi, risiede una delle sfide lanciate dall'ʹautore al lettore dell'ʹAntologia personale. Egli sembra dirci, per esempio: io non so perché sono fedele a Rabelais da quarant'ʹanni, sta a te scoprirlo. Ti affido questo compito, se vuoi leggere in modo attivo questo libro. Però, fai attenzione (comincia qui la serie di avvertimenti che Levi intende dare al lettore): la vera difficoltà nell'ʹindividuare i debiti contratti con i libri consiste nella tendenza dello scrittore ad assorbire, in modo quasi parassitario, gli input derivanti dalle letture, tanto che poi esse si trasformano in elementi “sfuggenti a ogni osservazione razionale, a ogni analisi successiva”.3 Infine, avverte ancora Levi, ogni redazione di un catalogo va assunta con cautela perché le radici sono mobili, il sistema è in fieri e precario, passibile di modificazioni e integrazioni, come è naturale, finché si è in vita ed esposti ad ulteriori input ed influssi. La consapevolezza che nessuna operazione è semplice, tanto meno la definizione delle proprie radici, della propria origine, le ragioni per cui si è proprio quel tipo di intellettuale e scrittore, lo spinge a lasciare scoperto un margine di incertezza, a confessare un limite. Ma la definizione delle proprie origini non è operazione volta solo al passato – come potrebbe sembrare a prima vista – perché implica uno dei primi rovesciamenti contenuti in questo libro ricchissimo. Essa rilancia immediatamente una sfida diversa 40 o opposta perché, essendo in fondo un bilancio – per quanto provvisorio – apre alla definizione della propria eredità. Individuando, infatti, un punto d'ʹorigine, e tracciando una sorta di ritratto intellettuale di sé a partire da letture significative, viene anche da chiedersi in cosa consista l’eredità intellettuale dello scrittore. La sfida lanciata da Levi ai suoi lettori dell'ʹAntologia personale non è dunque né semplice né immediata. Probabilmente ognuno dei lettori di Levi sente di volerla raccogliere, per quanto riguarda le due direzioni, le ragioni/radici dell'ʹautore e la sua eredità. Infine, tale sfida solletica il nostro desiderio di un ulteriore ruolo attivo nell'ʹapproccio a questo libro. Infatti, Levi ci induce a riflettere anche sulle scelte che chi legge a sua volta compie riguardo alle proprie letture: quali sono i libri che ci hanno formato? E perché quelli e non altri? Lo sappiamo veramente? Vogliamo a nostra volta redigere un catalogo delle letture che ci hanno permesso di essere chi siamo? E in tal senso, il fatto che un brano della Prefazione del libro sia stato proposto nel 2010 per l'ʹanalisi del testo alla prima prova degli esami di maturità, chiedendo agli studenti – giovani lettori di oggi – di tracciare una propria antologia personale, riconduce il volume di Levi alla sua natura originaria. Si tratta infatti della tessera superstite di un progetto di Giulio Bollati rimasto incompiuto: ottenere una collana scolastica di antologie personali di scrittori contemporanei. UN SAPERE DI STAMPO ILLUMINISTA E L'ʹOMBRA DI VOLTAIRE Letta come ‘enciclopedia’ da Calvino, come ‘sferoide’ o sistema di tensioni non facilmente razionalizzabili da Pellizzi, come ‘ipertesto’ da Cossu (che si riallaccia all'ʹidea del ‘termitaio’ formulata da Alberto Cavaglion per Se questo è un uomo),4 La ricerca delle radici lascia trapelare un fitto intreccio di collegamenti con la restante produzione narrativa, saggistica e poetica di Levi. La scelta dei trenta brani antologizzati e presentati da un breve cappello giustificativo risponde a criteri così sotterranei e complessi che le suggestioni interpretative si moltiplicano a ogni nuova lettura. L'ʹidea di ‘enciclopedia’ suggerita da Calvino e ripresa anche da altri commentatori,5 merita di essere discussa. Innanzitutto, la cultura illuminista e settecentesca da cui il concetto moderno di enciclopedia deriva (una cultura empirica, di osservazione e sperimentazione) è direttamente rappresentata nell'ʹAntologia personale da due autori: il Giuseppe Parini del Giorno (“onesto, arguto e preciso, responsabile di ogni parola che abbia mai scritto”6) e il Jonathan Swift dei Gulliver'ʹs Travels, con il suo relativismo e le sue utopie negative “che non si lasciano facilmente esorcizzare’.7 In filigrana però in tutta l'ʹAntologia trapela un'ʹidea non dogmatica e morale della conoscenza. Ciò vale per tutti i filoni esplorati da Levi. Vale per la scienza, in un lungo percorso storico che da Lucrezio (incarnazione dell'ʹassociazione, molto cara a Levi, di scienza e poesia), attraverso il “demolitore di dogmi” Darwin, si spinge fino al mistero dei buchi neri. Vale per il filone carnevalesco del ‘riso’ (da Rabelais a Porta, a Belli a Schalòm Alechèm). Vale infine 41 per il più eclatante dei rovesciamenti di prospettiva presenti nel volume, Sentinella di Fredric Brown, esemplare apologo su quanto miope possa essere l'ʹuomo riguardo a se stesso.8 In questo senso, pur se non direttamente antologizzati, si avverte la presenza forte degli enciclopedisti Diderot e D'ʹAlembert e del lucido Voltaire attraversare non solo l'ʹAntologia personale, ma tutta l'ʹopera di Levi. Basterà ricordare alcuni degli assunti di partenza dell'ʹEncyclopédie per constatarlo. Scrive Denis Diderot nel Prospectus: Ci siamo rivolti ai più abili [artigiani] di Parigi e del regno. Ci siamo presi la briga di andare nei loro opifici, interrogarli, scrivere sotto loro dettatura, sviluppare i loro pensieri, trovare termini adatti ai loro mestieri, tracciare le relative tavole e definirle, parlare con coloro dai quali avevamo ottenuto memorie scritte e (precauzione quasi indispensabile) rettificare in lunghi e ripetuti colloqui con alcuni, ciò che altri avevano spiegato insufficientemente, oscuramente, talvolta non fedelmente.9 Diderot, che si rifiutava di descrivere nell'ʹEncyclopédie procedimenti che non avesse sperimentato personalmente, confessa un limite che Levi avrebbe sottoscritto: essersi illuso di possedere un ricco vocabolario e di dover invece imparare dagli artigiani una quantità di termini fino ad allora a lui ignoti. La descrizione dei mestieri e delle arti assume da questo momento storico una rilevanza sociale e una dimensione totalmente nuova. Dirà Levi a Tullio Regge: “La mano è un organo nobile, ma la scuola, tutta presa a occuparsi del cervello, l'ʹaveva trascurata”;10 e la pratica del mestiere di chimico ha avuto conseguenze fondamentali sull'ʹatteggiamento dello scrittore e sull'ʹuso della lingua: devo dire che la chimica ‘bassa’, quasi una cucina, mi ha fornito in primo luogo un vasto assortimento di metafore. Mi ritrovo più ricco di altri colleghi scrittori perché per me termini come ‘chiaro’, ‘scuro’, ‘pesante’, ‘azzurro’ hanno una gamma di significati più estesa e più concreta. Per me l'ʹazzurro non è soltanto quello del cielo, ho cinque o sei azzurri a disposizione... [...] In più ho sviluppato l'ʹabitudine a scrivere compatto, a evitare il superfluo. La precisione e la concisione [...] mi sono venute dal mestiere di chimico. Come l'ʹabitudine all'ʹobiettività, a non lasciarsi ingannare facilmente dalle apparenze.11 Il ‘Discorso preliminare’ all'ʹEncyclopédie riportava il discorso sui fatti: “in buona filosofia ogni deduzione che parta dai fatti o verità ben note è preferibile a un discorso che si basi su mere ipotesi, anche se geniali”.12 Una concretezza che imponeva di superare la tradizionale distinzione tra arti meccaniche e liberali, la quale, come scrive Diderot alla voce ‘Arte’, ha rafforzato un nefasto pregiudizio, riempiendo “le città di ragionatori orgogliosi e di contemplativi superflui, e le campagne di tirannelli oziosi, pigri e altezzosi”.13 L'ʹidea di sapere che regge l'ʹEncyclopédie è quella di Newton e di Locke, un sapere che si opponga al sistema delle idee innate. Le scienze diventano così il frutto migliore della ricerca dell'ʹuomo e il matematico D'ʹAlembert, ricordando che tutte le idee dell'ʹuomo nascono dalle 42 sensazioni e che la filosofia deve essere scienza dei fatti, conclude: “Perciò appunto il gusto dei sistemi, più atto a lusingare l'ʹimmaginazione che ad illuminare la ragione, è oggi quasi del tutto bandito dalle buone opere”.14 Coerentemente con tale posizione, Diderot, lo scettico per eccellenza, colui che ha dubitato di tutto ciò in cui crede, se crede nella ragione non ne esalta l'ʹonnipotenza e vede nel dubbio il primo passo verso la verità. Per tutto questo, la definizione di ‘enciclopedia’ allude senz'ʹaltro a una precisa idea di sapere, che emerge da questa scelta antologica: un sapere di stampo illuminista, non solo intellettuale, umanistico e astratto, ma anche concreto, pratico, scientifico, utile alla vita. Un sapere non ottimisticamente fiducioso nella ragione, dunque non positivista, ma cauto e concreto, alla Voltaire. Se pensiamo ai pilastri su cui si fondava il pensiero di Voltaire, nella definizione di André Maurois15 – la filosofia di Locke, il modello di Swift, la scienza di Newton, l'ʹesperienza drammatica della reclusione alla Bastiglia col conseguente desiderio di una società rinnovata che pareva realizzata proprio in quell'ʹInghilterra visitata in prima persona – non può non risuonare in noi qualcosa di familiare, pensando a Primo Levi: il sensismo, l'ʹattenzione costante che egli rivolge all'ʹintelligenza della mano – da cui nascono le idee – all'ʹimportanza conoscitiva del naso; il modello di Swift con i suoi mondi rovesciati e la sua ironica denuncia; la fisica di Newton; possiamo probabilmente anche pensare alla reclusione alla Bastiglia come a un'ʹesperienza che produce in Voltaire un bisogno di interrogarsi sulla giustizia che – fatte le debite proporzioni – ha qualcosa in comune con le domande che si pone Levi nel lager. Maurois sottolinea poi quanto lo spirito del Candido di Voltaire abbia influenzato gli intellettuali e gli scrittori di tutta Europa, tra cui quell'ʹAnatole France, “maestro di vita e amabile compagno di strada”16 che Levi cita, non a caso, nella Prefazione all'ʹAntologia personale. Come Italo Calvino ed Enzo Melandri, Levi appartiene alla generazione post-­‐‑fenomenologica “che, nonostante tutto, non abbandona la fiducia nella razionalità […]. Ciò che li distingue nettamente dai neopositivisti è proprio l’aderenza alle cose, la consapevolezza del corpo, della materialità e della praticità della vita e delle situazioni”.17 ROVESCIAMENTI E STRANIAMENTO: PER UNA RETORICA MORALE È in particolare la presenza costante di una figura retorica di forte valenza morale, come lo straniamento, che dà una fisionomia ben riconoscibile alla proposta antologica di Levi e a una parte importante della sua produzione. Lo straniamento attraversa come un Leitmotiv molti testi presenti nell'ʹAntologia personale e la produzione stessa di Levi e si rivela come un formidabile strumento per rimettere in prospettiva il mondo e l'ʹuomo. Non è un caso che abbondi nei racconti delle Storie naturali (1966)18 che, per ammissione dello stesso autore, mettono l'ʹaccento su un “vizio di forma”, su una smagliatura del mondo; lasciano intravvedere, dietro la lente dell'ʹironia e della satira, la tendenza dell'ʹuomo a smontare l'ʹordine naturale del 43 mondo, a produrre caos morale a partire da un uso distorto della tecnologia, a sprofondare in inquietanti distopie. Si accorge forse l'ʹuomo del baratro che incombe o il progresso lo rassicura col suo ordine solo apparente? Come scuotere il suo senso morale assopito? “Science sans conscience n'ʹest que ruine de l'ʹâme”, afferma il Pantagruel di Rabelais19. Il gusto per una letteratura capace di risvegliare le coscienze attraversa tutta l'ʹAntologia personale, come abbiamo accennato, ed è uno dei capisaldi della produzione leviana. Strumento principe ne sono proprio la figura del rovesciamento e il procedimento dello straniamento. Nel saggio L'ʹarte come procedimento, Viktor Sklovskij definisce il procedimento dello straniamento come fondamentale strumento per sottrarre all'ʹautomatismo della percezione gli oggetti (che passano vicini a noi come ‘imballati’20) e gli eventi della nostra realtà quotidiana. Ed ecco che, per restituire il senso della vita, per ‘sentire’ gli oggetti, per far sì che la pietra sia di pietra, esiste ciò che si chiama ‘arte’. Scopo dell'ʹarte è trasmettere l'ʹimpressione dell'ʹoggetto, come ‘visione’ e non come ‘riconoscimento’; procedimento dell'ʹarte è il procedimento dello ‘straniamento’ degli oggetti.21 Si tratta dunque, come precisa Slovskij in un passo molto noto, di descrivere un oggetto come se lo si vedesse per la prima volta e un evento come se accadesse per la prima volta. Egli produce numerosi esempi da Tolstoj, ma anche dalla poesia e da indovinelli tradizionali, sostenendo che dietro ogni immagine poetica c'ʹè lo straniamento, come anche dietro ogni indovinello (ed è nota la passione di Levi per i rebus e i giochi di parole).22 Almeno un esempio tratto da Storie naturali chiarirà l'ʹuso che Levi fa dello straniamento. Nel secondo racconto, ‘Censura in Bitinia’, con linguaggio tecnico da weekly report, la forma testuale che Levi identificava con il suo ideale,23 il narratore riporta l'ʹanalisi di un problema incorso circa la pratica della censura in Bitinia. Poiché tale mestiere procurava una serie di disturbi psico-­‐‑fisici ai funzionari, lo Stato aveva dapprima sperimentato un sistema automatizzato ma scadente sul piano della qualità censoria, finché la scoperta scientifica di un fisiologo aveva aperto uno spiraglio sulla spinosa questione. Il lavoro censoriale, così nocivo per il cervello umano e che le macchine sbrigavano in modo troppo rigido, poteva essere affidato con profitto ad animali opportunamente educati. L'ʹanimale più adatto a tale compito si era rivelato il pollo domestico. Ecco dunque impiegare con profitto “équipes di galline”: Le galline [...] sono capaci di scelte rapide e sicure, si attengono scrupolosamente agli schemi mentali che vengono loro imposti, e, dato il loro carattere freddo e tranquillo e la loro memoria evanescente, non vanno soggette a perturbazioni.24 Fa sorridere il ricorso al termine tecnico équipes, per di più nobilitato dall'ʹuso del francese (come poco sopra era accaduto per l'ʹespressione esprit de finesse, in contesto fortemente straniante); allo stesso modo, quell'ʹavverbio ‘scrupolosamente’ e quel ‘rapide e sicure’, lungi dal sottolineare veramente qualità ed efficienza, sottolineano 44 con crudeltà la totale mancanza di discernimento critico dei polli domestici, la loro ottusità e mancanza di passione e sensibilità (“carattere freddo e tranquillo”), al contrario di uomini e mammiferi. Infine, la memoria essendo parola-­‐‑chiave in Levi, suona sinistra la sottolineatura della “memoria evanescente” come qualità-­‐‑schermo da perturbazioni dell'ʹanimo di fronte al lavoro compiuto. Il rovesciamento si completa con il tocco finale di un “verificato per censura” firmato dall'ʹimpronta di una zampa di gallina, anziché da un funzionario umano: il punto di vista che rovescia le evidenti mancanze dei polli in qualità che li rendono perfetti per esercitare un compito tanto bieco è dunque quello dei polli stessi (come avviene per il cavallo nel racconto di Tolstoj esemplificato da Slovskij). In generale, diversi racconti di questa raccolta (‘L'ʹamico dell'ʹuomo’, ‘Le ultime applicazioni del Mimete’, ‘Versamina’) offrono un mondo rovesciato, in cui l'ʹuomo ha perso la bussola o si comporta in modo distopico. Una modalità che la cultura settecentesca ha ben presente e che Levi non manca di documentare nella sua Antologia personale, proponendo il già citato Swift o Parini, che mette in atto una sorta di “epica rovesciata” quando descrive, nel Giorno, le futili attività del “giovin signore” come vere e proprie res gestae o le chiacchiere serrate delle dame sul sofà come duelli fra paladini. Date queste premesse, sembra di leggere in filigrana nell'ʹAntologia Personale almeno due contes philosophiques di Voltaire, Micromega e Candido.25 Oltre alle profonde affinità con la morale finale del Candido (il ruolo dell'ʹesperienza per crearsi un'ʹidea veritiera del mondo, la negazione di un ottuso ottimismo, il mito del lavoro come salvezza per l'ʹuomo), di Micromega colpisce in particolare il fatto che sia un divertissement paradossale, alla Swift, giocato sulla sproporzione fra i personaggi, per mostrare concretamente la relatività dei punti di vista e il ridicolo di ogni visione geocentrica e antropocentrica. L'ʹambientazione è fantascientifica, dato che i due personaggi protagonisti – il gigante Micromega, un extraterrestre cacciato da un'ʹAccademia del suo pianeta Sirio, e il suo compagno proveniente da Saturno, intraprendono un viaggio interplanetario e approdano anche sulla Terra. Qui incontrano “un branco di filosofi”26 naufragati nel Mar Baltico di ritorno da una spedizione al Polo e gli uomini, esseri piccolissimi al loro confronto, li stupiscono sia per la loro smisurata arroganza sia per l'ʹaltezza del loro ingegno, entrambe sproporzionate alle loro dimensioni. Tutto è stravolto, ogni sistema teorico è impossibile e alla fine, quando il Siriano deciderà di mettere le proprie esperienze e riflessioni per iscritto, consegnerà ai terrestri un libro dalle pagine bianche. SISTEMI NON SISTEMATICI E ‘SENSE OF WONDER’ Si può dunque definire ‘enciclopedia’ La ricerca delle radici, come proponeva Calvino, che insisteva sulla ‘coerenza’ e ‘ostinazione’ di Levi a voler organizzare “un vortice di frammenti e di frantumi”?27 Ed è vero, come suggeriva Giorgio Bertone, che l'ʹapertura di Levi è ‘relativa’ perché “improvvisamente può condizionare una 45 chiusura, una dominante perentoria, un ‘scegli-­‐‑ora’, un ‘fai’”?28 Ha senso chiamare in causa, come suggeriscono Bertone e Belpoliti le Summae medievali o l'ʹEnciclopedia Einaudi con le sue strutture binarie e oppositive?29 Se abbiamo cercato di dimostrare che il sapere propugnato da Levi è di stampo illuminista e lo sono anche i procedimenti narrativi che egli privilegia, centrati sul gusto del rovesciamento e dello straniamento, com'ʹera tipico del gusto settecentesco, è di nuovo nel nome di Voltaire che possiamo discutere dell'ʹatteggiamento enciclopedico di Levi. È vero infatti che proprio Voltaire ha rappresentato un intellettuale-­‐‑mito per quegli scrittori del Novecento che hanno cercato lucidamente le ragioni di un secolo attraversato da dinamiche tragiche e spesso ingovernabili: vien da pensare subito ad Alberto Savinio e a Leonardo Sciascia, che ne hanno fatto una sorta di ‘antenato’ e allo stesso tempo si sono misurati con l'ʹidea di enciclopedia e dizionario.30 Di certo la sistematicità che Summae ed enciclopedie portano con sé è estranea alla visione di Levi, Sciascia e Savinio. Levi è consapevole della necessità dell'ʹimperfezione del reale e resta convinto che l'ʹordine consista in una tensione di forze e non nell'ʹimmobilità. Un principio che, come si è visto e come ha rimarcato Cesare Cases, si riverbera anche sulla personale concezione della lingua dell'ʹautore, che tende alla classicità pur assorbendo elementi concreti, spuri, provenienti da linguaggi tecnici e settoriali.31 Ora, l'ʹidea che la Ricerca delle radici possa rappresentare una sorta di encyclopédie portative32 dev'ʹessere intesa nello spirito che tale sistema di organizzazione del sapere ha assunto nel Novecento, un sistema che non può non associare ordine e asimmetria. Pur nel loro amore per l'ʹenciclopedia, infatti, né Savinio né Sciascia né Levi possono dirsi “costruttori di sistemi”, anzi, hanno messo la loro intelligenza al servizio della distruzione dei dogmi e l'ʹhanno usata per far luce negli abissi della ragione, nelle pieghe oscure dell'ʹuomo. Nuova Enciclopedia (1977) di Savinio, i lemmari sciasciani – da Occhio di capra (1984) ad Alfabeto pirandelliano (1986) – dimostrano un tentativo di sistemare il mondo, il reale, il linguaggio, adottando il criterio più democratico, oggettivo e meno ideologico: l'ʹordine alfabetico. A questi patti possono convivere pacificamente, all'ʹinterno della ‘nuova enciclopedia’ novecentesca, i saperi e le idee più ‘disparate’ e ‘disperate’ – per dirla alla Savinio – in una nuova forma democraticamente eterogenea, non in un sistema chiuso e dogmatico (è nota l'ʹidiosincrasia di Savinio per la figura geometrica del cerchio). Gli strumenti dell'ʹironia e del paradosso, l'ʹamore per la filologia e l'ʹetimologia diventano ‘grimaldelli’ (per usare un termine leviano) per smontare pregiudizi e preconcetti e dare una seria lezione di moralità civile. Ricapitola in modo essenziale lo spirito novecentesco della ‘nuova enciclopedia’ la voce eponima redatta da Savinio: Oggi non c'ʹè possibilità di enciclopedia. Oggi non c'ʹè possibilità di saper tutto. Oggi non c'ʹè 46 possibilità di una scienza circolare, di una scienza conchiusa. Oggi non c'ʹè omogeneità di cognizioni. Oggi non c'ʹè affinità spirituale tra le cognizioni. Oggi non c'ʹè comune tendenza delle conoscenze. Oggi c'ʹè profondo squilibrio tra le conoscenze. Questa la ragione di quella 'ʹcrisi della civiltà'ʹ denunciata prima da Spengler e poi da Huizinga. [...] Rinunciamo dunque a un ritorno alla omogeneità delle idee, ossia a un tipo passato di civiltà, e adoperiamoci a far convivere nella maniera meno cruenta le idee più disparate, ivi comprese le idee più disperate.33 Va anche detto che l'ʹatto di partenza che ha ispirato la Ricerca delle radici di Levi non è stata tanto l'ʹidea di raccogliere e catalogare l'ʹesistente, dandogli una forma unitaria (dunque un'ʹenciclopedia tradizionalmente intesa), quanto la volontà di raccogliere reperti (in questo caso le letture) in cui l'ʹautore si è imbattuto nella sua vita, spesso casualmente, e che hanno stimolato la sua immaginazione (“li ho incontrati per opera di fortuna”, p. XXI; “A Giobbe ho riservato d'ʹistinto la primogenitura cercando poi di trovare buone ragioni per questa scelta”, p. XXIV; “Mi sto accorgendo che in queste pagine si sono accumulati molti esempi di capovolgimento. Sinceramente: non era un assunto programmatico, è invece un risultato che non avevo previsto”, p. 179).34 Sembrerebbe dunque più un ‘repertorio’ che un'ʹenciclopedia. Nel repertorio l'ʹattività tassonomica può diventare un'ʹesigenza a posteriori, per dare un ordine all'ʹaffastellarsi dei reperti (come nel caso del ‘grafo’ disegnato da Levi, caratterizzato dalle quattro linee di forza), ma non è l'ʹesigenza iniziale. La raccolta è casuale, l'ʹatto di isolare un elemento dal contesto, dal mare magnum delle cose indifferenziate e farlo diventare un ‘reperto’ è causato dalla ‘curiosità’ che il reperto suscita in noi, dal fatto che ci colpisce per qualche motivo, non sempre chiaro (le ragioni ‘oscure’ di cui parla Levi nella ‘Prefazione’, la curiosità di lettore). Il tassonomico enciclopedico invece (come gli scienziati naturali del Settecento Linneo, Buffon) vuole catalogare tutto quello che esiste: non ha senso per lui se una cosa è interessante o meno, basta la sua esistenza a renderla interessante. A leggere La ricerca delle radici come un repertorio nato da curiositas (una delle qualità principali dello scienziato, come dimostrava Galileo nel Saggiatore (1623), che la associava alla meraviglia di fronte alla scoperta), trova ragion d'ʹessere profonda la presenza di numerosi testi di scienza, nell'ʹAntologia personale: nel caso del testo di Arthur Clarke Levi premette come la pratica della scienza non sia in contraddizione con l'ʹessere scrittore di fantascienza. Infine, un testo di fantascienza esemplare è costituito, come abbiamo visto, dal brevissimo racconto di Fredric Brown sulla sentinella aliena, un testo che non cessa di destare meraviglia ad ogni nuova lettura per la profonda lezione morale che contiene. “Uno scienziato moderno deve avere fantasia”35 – scrive Levi – e una formazione scientifica non può che arricchirla. Il ‘senso del meraviglioso’ è in effetti uno degli argomenti principali su cui dibattevano negli anni Sessanta-­‐‑Settanta gli scrittori di Science Fiction, come Samuel R. Delany, che affermava: 47 Tutti sappiamo che la fantascienza garantisce azione e avventura, oltre a offrire la visione di pianeti differenti, culture differenti, valori differenti. Tale molteplicità di mondi [...] potrebbe essere la più sottile, la più pervasiva e infine la più importante caratteristica della fantascienza. Questa esperienza di costante de-­‐‑centralizzazione, ogni decentralizzazione realizzata su una scala sempre più grande, ha un nome venerabile tra le persone che discutono di fantascienza: ‘il senso del meraviglioso'ʹ.36 Non è esente da questo ‘sense of wonder’ il passo antologizzato come ultimo nell'ʹAntologia personale di Levi, un articolo di Kip Thorne sui buchi neri. Levi commenta: “non soltanto l'ʹuomo non è il centro dell'ʹuniverso, ma l'ʹuniverso non è fatto per l'ʹuomo, è ostile, violente, strano”. Poi però aggiunge: “il cielo non è semplice, ma neppure impermeabile alla nostra mente, ed attende di essere decifrato”.37 Una conclusione meno amara del libro di pagine bianche, solo risultato possibile ottenuto dall'ʹesperienza dei viaggi interplanetari di Micromega. L'ʹamaro pessimismo di Voltaire qui lascia spazio a una possibilità per la conoscenza e per l'ʹesperienza. NOTE 1 P. Levi. Prefazione a La ricerca delle radici, Antologia personale, 1981 (e 1997), XIX. 2 Ivi, XXI. Denso e ricco di suggestioni il saggio di Domenico Scarpa su Chiaro/Oscuro in Belpoliti 1997, 230-­‐‑253. 3 Bianchini: 2000, 133. 4 I. Calvino, ‘Le quattro strade di Primo Levi’, in Levi. La ricerca delle radici 1981, 1997, 237-­‐‑241; Cossu 2009, 57-­‐‑72; Pellizzi 2009,, 203-­‐‑218; A. Cavaglion, ‘Il termitaio’, in Ferrero 1997, 76-­‐‑79. 5 Si veda la presentazione di Giorgio Bertone: ‘Antologia’, in Belpoliti 1997, 210-­‐‑221. 6 P. Levi, ‘Gli hobbies’ in La ricerca delle radici, 43. 7 Id., ‘Le utopie negative’, ivi, 61. 8 Non a caso il titolo della piccola introduzione di Levi si intitola ‘Gli alieni siamo noi’ (179). 9 D. Diderot, ‘Prospectus’, in Paolo Casini 1966, 152. Ricordiamo che l'ʹEncyclopédie (il cui titolo completo è Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, par une société de gens de lettres) consta di dieci volumi di testo pubblicati fra 1751 e 1766, con undici volumi di tavole illustrate, pubblicate nel 1772. 10 Levi & Regge 1984, 17-­‐‑18. 11 Ivi, 48-­‐‑49. 12 Jean Le Rond D'ʹAlembert, ‘Discorso preliminare’, in Casini 1966, 46. 13 D. Diderot, ‘Arte’, in Casini 1966, 163. 14 J. Le Rond D'ʹAlembert, ‘Discorso preliminare’, in Casini 1966, 126. 15 Il volume di riferimento è André Maurois, Voltaire (Éditions Grasset Fasquelle 1935; ora 2005). 16 P. Levi, Prefazione a La ricerca delle radici, XIX. 17 FPellizzi 2009, 206. 18 P. Levi, Storie naturali (1966), ora in Opere. III, 1990, 3-­‐‑183. 19 Daniela Amsallem, che ricorda opportunamente questo passo tratto dall'ʹottavo capitolo del Gargantua et Pantagruel, afferma che Levi tratta Rabelais come un illuminista ante litteram (Cfr. la voce ‘Illuminista’ in Belpoliti 1997, 361-­‐‑371): che sia questa una delle ragioni della lunga fedeltà che Levi gli 48 dichiara nella Prefazione all'ʹAntologia personale? (XXII). Da ricordare poi che le Storie Naturali si aprono con un lungo passo tratto dal Gargantua (I-­‐‑VI) in cui Rabelais invita alla lettura del terzo capitolo delle Storie Naturali di Plinio. 20 Šklovskij 1968, 81. 21 Ivi, 82. 22 Cfr. A. Cavaglion, ‘Asimmetrie’ e S. Bartezzaghi ‘Cosmichimiche’, in Belpoliti 1997, rispettivamente alle pagine 222-­‐‑229 e 267-­‐‑314. 23 Come confessa nell'ʹintervista rilasciata a Philip Roth per La Stampa del 26 e 27 novembre 1986, ora in ‘Appendice’ a P. Levi, Il sistema periodico 1975, 241-­‐‑251. 24 P. Levi, ‘Censura in Bitinia’, in Storie naturali (1966), ora in Opere, III, 17. 25 Voltaire 2006. 26 Voltaire 2006, 180. 27 I. Calvino, ‘Le quattro strade di Primo Levi’, in La ricerca delle radici, 241. 28 G. Bertone, ‘Antologia’, in Belpoliti 1997, 215.
29 M. Belpoliti, Primo Levi 1998. È interessante notare che gli scrittori che amano enciclopedie e dizionari spingano anche i loro critici a concepire saggi in forma di dizionari ed enciclopedie, come avviene per questo volumetto di Belpoliti, per il numero monografico di Riga 13, per l'ʹIntroduzione di W. Pedullà a Alberto Savinio (Milano: Bompiani 1991) e per M. Collura, Alfabeto eretico (Milano: Longanesi&C. 2002), dedicato a Sciascia. 30 Sciascia è anche autore di una riscrittura del Candido: Candido ovvero un sogno fatto in Sicilia, 1977 (poi 1990). 31 Cases 1997, 7-­‐‑8. 32 L'ʹimmagine dell'ʹencyclopédie portative cui si allude nel titolo vuole essere sia un omaggio al Dictionnaire philosophique portatif di Voltaire – antenato nascosto fra le pagine − sia parafrasare il titolo del singolare poema di Raymond Queneau, Petite cosmogonie portative, 1950 (Piccola cosmogonia portatile, 2003). Nella Prefazione all'ʹedizione italiana, Solmi indica come unico precedente a lui noto dell'ʹopera di Queneau il De rerum natura di Lucrezio (modello ‘involontario’). Il Dictionnaire philosophique portatif, pubblicato anonimo in francese nel 1764, segue l'ʹordine alfabetico, come l'ʹEncyclopédie (ora rieditato con testo francese a fronte: Voltaire 2003).
33 A. Savinio, ‘Enciclopedia’, in Nuova Enciclopedia, 1977, 2002, 133. 34 I corsivi in citazione sono miei. 35 P. Levi, ‘La TV secondo Leonardo’, in La ricerca delle radici, 199. 36 S. R. Delany Introduction a Empire: a visual novel, 1978 (con illustrazioni di H. Chaykin). Testo originale: “We all know science fiction provides action and adventure, as well as a look at visions of different worlds, different cultures, different values. But it is just that multiplicity of worlds [...] which may be the subtlest, most pervasive, and finally the most valuable thing in s-­‐‑f. This experience of constant de-­‐‑centered de-­‐‑
centeredness, each decentering on a vaster and vaster scale, has a venerable name among people who talk about science fiction: ‘the sense of wonder’”. 37 P. Levi, ‘Siamo soli’, in La ricerca delle radici, 229. BIBLIOGRAFIA Amsallem, Daniela. ‘Illuminista’. Belpoliti 1997, 361-­‐‑371. Bartezzaghi, Stefano. ‘Cosmichimiche’. Belpoliti 1997, 267-­‐‑314 Belpoliti, Marco (a cura di). ‘Primo Levi’, Riga 13. Milano: Marcos y Marcos 1997. -­‐‑-­‐‑-­‐‑. Primo Levi, Milano: Bruno Mondadori 1998. Bertone, Giorgio. ‘Antologia’. Belpoliti 1997, 210-­‐‑221. 49 Bianchini, Edoardo. Invito alla lettura di Primo Levi. Milano: Mursia 2000. Calvino, Italo. ‘Le quattro strade di Primo Levi’. La ricerca delle radici 1981, 237-­‐‑241. Cases, Cesare. ‘L'ʹordine delle cose e l'ʹordine delle parole’. Ferrero 1997. Casini, Paolo (a cura di). La filosofia dell'ʹEncyclopédie. Bari: Laterza 1966. Cavaglion, Alberto. ‘Asimmetrie’. Belpoliti 1997, 222-­‐‑229. -­‐‑-­‐‑-­‐‑. ‘Il termitaio’. Ferrero 1997, 76-­‐‑79. Cossu, Maria Grazia. ‘La ricerca delle radici: viaggio nell'ʹimmaginario letterario di Primo Levi’, Mémoire oblige. Riflessioni sull'ʹopera di Primo Levi, a cura di Ada Neiger, Labirinti, 120, Trento: Università degli Studi di Trento 2009, 57-­‐‑72. Delany, Samuel Robert. Empire: a visual novel. New York: Berkley Windhover 1978. Ferrero, Ernesto (a cura di). Primo Levi: un'ʹantologia della critica. Torino: Einaudi 1997. Levi, Primo. La ricerca delle radici. Antologia personale. Torino: Einaudi 1981, 1997. -­‐‑-­‐‑-­‐‑. Il sistema periodico. Torino: Einaudi 1975. -­‐‑-­‐‑-­‐‑. Storie naturali (1966). Opere. Volume III. Racconti e saggi, Introduzione di P. V. Mengaldo. Torino: Einaudi 1990, 3-­‐‑183. -­‐‑-­‐‑-­‐‑. Regge, Tullio. Dialogo. Milano: Edizioni di Comunità 1984. [ripubblicato nel 2005]. Maurois, André. Voltaire. Éditions Grasset Fasquelle 1935. [ripubblicato nel 2005]. Pellizzi, Federico, ‘Asimmetria e preclusione’. Ada Neiger 2009, 203-­‐‑218. Queneau, Raymond. Petite cosmogonie portative. Paris: Gallimard 1950 (Piccola cosmogonia portatile, trad. it. di Sergio Solmi. Torino: Einaudi 2003). Savinio, Alberto. Nuova Enciclopedia. Milano: Adelphi 1977, 2002. Scarpa, Domenico. ‘Chiaro/Oscuro’, Belpoliti 1997, 230-­‐‑253. Sciascia, Leonardo. Candido: Candido ovvero un sogno fatto in Sicilia. Torino: Einaudi 1977 [poi: Milano: Adelphi, 1990]. Šklovskij, Viktor. ‘L'ʹarte come procedimento’. Tzvetan Todorov (a cura di), I formalisti russi. Torino: Einaudi 1968, 73-­‐‑94. Voltaire (Arouet, François-­‐‑Marie). Candido – Zadig – Micromega – L'ʹingenuo, Introduzione e traduzione di Maria Moneti. Milano: Garzanti 2006. Voltaire (Arouet, François-­‐‑Marie). Dizionario filosofico. Tutte le voci del "ʺDizionario filosofico"ʺ e delle "ʺDomande sull'ʹEnciclopedia"ʺ, a cura di Domenico Felice e Riccardo Campi. Milano: Garzanti 2003. 50