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intr0285 - Giovanni Ipavec - Introduzione alla Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso Giovanni Ipavec Introduzione alla Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso 8. IL SISTEMA DEI PERSONAGGI 8.1 Concetti generali Mentre l’Ariosto si poneva in una dimensione esterna, ironica e distaccata rispetto ai suoi personaggi, quasi un regista che ne regolasse i ruoli e ne dirigesse le azioni, senza alcun coinvolgimento personale, il Tasso istituisce con i protagonisti del proprio poema un rapporto molto stretto, che si potrebbe definire, per riprendere la terminologia della psicanalisi, di proiezione-identificazione. Pertanto, se l’Orlando furioso va letto come l’espressione letteraria della sublime fantasia di Ludovico Ariosto, il capolavoro tassiano è innanzitutto un avvincente e complesso documento della personalità del suo autore. In esso tutti i personaggi principali, ed anche alcuni di quelli apparentemente meno rilevanti, presentano il riflesso di uno o più aspetti dell’animo travagliato dell’autore, mettendo a nudo le motivazioni profonde di azioni e scelte di vita, rivelando perfino aspirazioni segrete, a volte inconfessabili. È interessante notare che, a differenza del Furioso, nella Gerusalemme liberata non v’è ombra di ironia. Mentre nel poema ariostesco l’ironia è la forma stessa dell’arte ed il mezzo di cui si serve l’autore per distanziare da sé le proprie creature poetiche, essa non sarebbe concepibile in un temperamento patetico come quello del Tasso. Tutto è serio nella Liberata: le vicende non sono aleatorie né frutto di motivazioni arbitrarie, bensì appaiono governate da una necessità superiore, a cui è vano opporsi; ma non si tratta di un Fato inesorabile e indifferente, giacché esse rivelano, nel loro svolgimento e nei loro esiti, un carattere provvidenziale, attuando il disegno divino del trionfo del Bene sul Male. Il sistema in cui il Tasso inserisce i suoi personaggi è apparentemente semplice, di facile e immediata comprensione. Essi, infatti, con poche eccezioni, si ripartiscono in due gruppi antitetici, corrispondenti ai due campi o schieramenti militari, profondamente divisi da ragioni di ordine religioso (cristiani vs maomettani), culturale (la civiltà europea contro l’Oriente islamizzato) e morale. Quest’ultimo aspetto è forse quello più rilevante: dalla parte dei cristiani stanno il Bene, la Verità e la Giustizia; di conseguenza la lotta per l’affermazione di questi valori non può non essere sostenuta dalle potenze del Cielo (angeli e santi diretti da Dio stesso). Dalla parte dei musulmani stanno il Male e la Menzogna: la religione stessa di Maometto è presentata come emanazione dell’Inferno e la lotta contro la parte avversa non si avvale se non in parte delle virtù cavalleresche dell’onore, della lealtà e del coraggio; più spesso essa utilizza, come mezzi o strategie per il raggiungimento della vittoria, l’inganno, la falsità, la slealtà e le lusinghe dell’illusione. Né disdegna l’assistenza delle potenze infernali (Plutone, ovvero Satana, Aletto e le Furie) e il ricorso alla magia nera (Ismeno, Armida), mentre i cristiani confidano nella preghiera, nei sacramenti e nelle pratiche devote, accettano il ricorso alla magia bianca (mago d’Ascalona) solo per contrastare gli effetti devastanti dei sortilegi demoniaci; nei momenti particolarmente critici sono aiutati dal concreto intervento del Cielo, ma anche temprati da dure prove che li purificano, rendendoli degni del perdono e della Grazia divina. Letto in questa chiave interpretativa, il poema parrebbe non presentare difficoltà di sorta all’intelligenza del lettore, rientrando nel novero di quelle narrazioni di gusto popolare incentrate sul conflitto tra "buoni" e "cattivi", tra "eroi" valorosi e malvagi "antagonisti", con l’immancabile vittoria finale dei primi sui secondi. In realtà, come si è già cercato di dimostrare, il tema della crociata, ovvero della lotta dei campioni di Cristo contro gli infedeli, presenta uno svolgimento complesso e problematico, non in contrasto, ma in armonia con l’essenza stessa del cristianesimo: Cristo non promette la felicità su questa terra e, se garantisce il trionfo del Bene, propone al credente la via della Croce, che è irta di prove e di difficoltà, e la cui meta è la conquista della vita eterna. In quest’ottica il male e il dolore presenti nel mondo ricevono una spiegazione e persino una giustificazione: i disegni degli uomini non vanno mai a buon fine se non si inseriscono nella logica di un progetto divino e se non si fondano sui valori dell’umiltà, della generosità, della piena sottomissione a Dio, le cui vie restano imperscrutabili. Dio non persegue la file:///D|/biblio/intro/intr0285.htm (1 di 10) [18/09/2001 13.00.58] intr0285 - Giovanni Ipavec - Introduzione alla Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso salvezza dell’uomo senza la sua collaborazione. Sta all’uomo, che dispone liberamente della propria volontà, aderire o meno al progetto salvifico di Dio, assumendo la responsabilità delle proprie scelte. Così l’esercito crociato comincia a riportare vittorie nel momento in cui i suoi campioni, messi da parte egoismi, passioni e meschini interessi personali, raggiungono al piena consapevolezza del significato della loro missione in Terrasanta. Analogamente l’incantesimo della selva di Saron non viene vanificato da Tancredi, il quale, seppur valoroso guerriero, è ancora prigioniero della passione per una donna, ma da Rinaldo, che da tale passione ha saputo purificarsi ed è in grado di scorgere, di là dai limitati orizzonti umani, i segni dell’amore infinito di Dio. E l’altèra pagana Clorinda non trova la pace a cui tanto anela se non nel battesimo ricevuto in punto di morte, che le schiude le porte della vita eterna. Le vicende dei personaggi, dunque, rispondono in primo luogo a un preciso intento educativo e ammaestrativo in senso cristiano, frutto di un’esperienza e di una disciplina che l’autore ha imposto in primo luogo a se stesso. Tale intento può essere criticato quanto si vuole (tra le accuse più frequenti rivolte al Tasso dai suoi detrattori vi è quella di essere un portavoce della Controriforma, o quella di aver contaminato la poesia con l’oratoria, perdendo di vista la luminosa serenità del Rinascimento), ma non si può negare che esso rifletta un sincero sforzo di interpretare il mondo e la storia alla luce della fede, superando le tentazioni dello scetticismo e dell’agnosticismo. Ne derivano una maggior attenzione alla psicologia umana e, com’è ovvio, la creazione di personaggi più problematici e complessi. Un fascino particolare emanano le protagoniste femminili del poema, i personaggi più riusciti a giudizio unanime della critica. Esse sembrano costituire tutte quante delle felici eccezioni al principio della fedeltà alla scelta di campo e dell’indefettibile coerenza col proprio modello etico-religioso. Armida, Erminia e Clorinda sono pagane, eppure "tradiscono" la causa per cui lottano: la prima, inviata a portare lo scompiglio nel campo cristiano, finisce con l’abbracciare, per un atto d’amore, il mondo di valori del vincitore; la seconda, principessa musulmana, è in perenne trepidazione per l’incolumità di un cristiano, del quale è disposta a farsi serva, qualora il destino non le conceda di ottenerne l’amore; la terza, infine, educata nella religione di Maometto e divenuta una feroce massacratrice di cristiani, chiede ed ottiene in punto di morte il battesimo e solo dopo averlo ricevuto, conosce per la prima volta la vera gioia e la vera pace. Nelle pagine seguenti la presentazione e la descrizione di ciascuno dei personaggi principali è articolata in due sezioni, di cui la prima è costituita da un profilo critico e la seconda da un’esposizione ragionata della particolare vicenda del personaggio nel poema. A chi non abbia una chiara conoscenza dell’intreccio consigliamo di leggere per prima la seconda sezione: essa servirà non solo a comprendere correttamente il profilo critico, ma aiuterà anche a capire quanto sia complessa la rappresentazione tassiana dell’animo umano. Né è esagerato affermare che in ognuno dei personaggi il lettore può riconoscere qualche aspetto della propria personalità (un’inclinazione affettiva, un modo di ragionare o di agire, un ideale o una semplice aspirazione) o qualche dato della propria esperienza. Per comodità del lettore schematizziamo il sistema dei personaggi nella seguente tabella. IL SISTEMA DEI PERSONAGGI Ruolo Protagonisti Campo cristiano Goffredo di Buglione Rinaldo Tancredi d’Altavilla file:///D|/biblio/intro/intr0285.htm (2 di 10) [18/09/2001 13.00.58] Campo musulmano Aladino Argante Solimano ← Armida ← Clorinda ← Erminia intr0285 - Giovanni Ipavec - Introduzione alla Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso Personaggi secondari (con più di due occorrenze; il simbolo ↔ indica le coppie) Forze soprannaturali Baldovino di Buglione Boemondo Carlo di Danimarca (↔ Ubaldo) Dudone di Consa Eustazio di Buglione Gernando Gildippe (↔ Odoardo) Guelfo d’Este Guglielmo di Britannia Odoardo (↔ Gildippe) Olindo (↔ Sofronia) Ottone Visconti Pietro l’Eremita Raimondo di Tolosa Roberto fiammingo Roberto normanno Ruggiero di Balnavilla Sofronia (↔ Olindo) Sveno di Danimarca Ubaldo (↔ Carlo) Ugone di Francia Vafrino Adrasto Emireno (già Clemente e cristiano) Ormondo Rambaldo (già cristiano, rinnegato) Tisaferno Dio Forze celesti – Magia bianca Gabriele, arcangelo Michele, arcangelo Mago d’Ascalona Plutone (Satana) Forze infernali – Magia nera Aletto Armida Idraote Mago Ismeno Milizie celesti: angeli Milizie infernali: Arpie, Centauri, Sfingi, Gorgoni, Scille, Idre, Pitoni, Chimere, Polifemi, Gerioni, Cerbero 8.2 ARMIDA Personaggio complesso e solo in parte accostabile all’Alcina dell’Ariosto, della quale pure condivide alcuni tratti, Armida rappresenta il fascino e la potenza dell’amore sensuale, senza tuttavia rimanere imprigionata in un unico e medesimo ruolo per tutto il poema. La sua personalità subisce profondi cambiamenti in senso spiritualmente positivo secondo le esigenze della finalità morale che presiede alla costruzione del poema, perdendo progressivamente le caratteristiche di maga e la funzione di agente al servizio del male per umanizzarsi e perfino convertirsi. Nelle successive metamorfosi di Armida, da seduttrice ad amante trepida e appassionata, da novella Medea assetata di vendetta a donna innamorata e sottomessa, si riflette la concezione tassiana dell’amore, secondo la quale tale sentimento, se non è guidato dalla ragione e non è disciplinato da una norma morale superiore, si riduce fatalmente alla dimensione della lussuria, vizio che scatena nell’uomo i peggiori impulsi. E’ Armida che con le sue arti di maliarda trascina Rinaldo nel vortice della passione; per causa sua l’eroe inizia la sua discesa agli inferi, percorrendo, una dopo l’altra, tutte le tappe dell’abiezione e del degrado morale, non escluso l’omicidio: è infatti a causa dello sconvolgimento provocato da Armida nel campo cristiano che si scatena nell’animo di Rinaldo quell’ira incontrollabile che lo induce ad uccidere il commilitone Gernando e a venir meno ai suoi doveri di combattente per la fede, abbandonando ad un tempo l’accampamento e la crociata. file:///D|/biblio/intro/intr0285.htm (3 di 10) [18/09/2001 13.00.58] intr0285 - Giovanni Ipavec - Introduzione alla Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso Come Calipso o Circe nell’Odissea e Alcina nell’Orlando furioso, anche Armida tiene prigioniere le sue vittime in un’isola meravigliosa, specie di Eden rovesciato, paradiso terreno dove trionfano i piaceri della carne, nella cornice di una natura lussureggiante, illuminata da un’eterna primavera. Ma la somiglianza con le altre donne fatali della letteratura si ferma qui: Armida non ha previsto l’eventualità di cadere essa stessa preda di Eros, si innamora di Rinaldo e perde la capacità di padroneggiare uomini ed eventi, essendo ella stessa in balia di un potere superiore. Sotto questo aspetto è paragonabile alla superba Angelica dell’Ariosto, che dispone a suo piacimento degli uomini, illudendoli e sfruttando le loro debolezze, finché non incontra Medoro e se ne innamora, trasformandosi così da fredda dominatrice degli eventi in una donna tenera e appassionata, pronta perfino, quando sente il pericolo di soccombere alla piaga d’amore, ad umiliarsi davanti all’oggetto del suo desiderio, confessandogli per prima il proprio amore e dichiarandosi bisognosa di essere da lui ricambiata. Ma per Armida il Tasso ha disegnato una parabola più spiritualmente complessa. Quando ella scopre i propositi di Rinaldo, che intende abbandonarla e far ritorno al campo cristiano, mette in atto, per dissuaderlo, tutte le risorse a cui ricorre l’animo femminile per piegare la volontà di un uomo: prega, piange, scongiura, insegue, minaccia. Ricorda per molti aspetti Didone abbandonata da Enea e quando, come l’eroina virgiliana, scopre vano ogni tentativo, converte tutto il suo amore in un odio implacabile. Ma invece di sopprimersi rivolge, come la mitica Medea, ogni sua energia alla vendetta, nel perseguire la quale non disdegna neppure di offrire se stessa come premio a quello, tra i guerrieri del califfo d’Egitto, che le porti la testa di Rinaldo. Nel descrivere la metamorfosi di Armida il Tasso rivela un’acuta conoscenza dei più segreti meandri della psiche femminile: sarebbe spiegazione superficiale dell’ira e della ferocia disumana, che si sono impossessate dell’animo della donna, la delusione per essere stata abbandonata da Rinaldo o il dispetto per l’improvviso venir meno della corrispondenza d’amore. In realtà Armida mostra di avere dell’amore una concezione distorta: ella si è sempre creduta in grado di signoreggiare il regno di Eros da padrona incontrastata, orgogliosa di essere amata, ma sdegnosa verso i suoi amanti (XVI, 38,6); ha sempre riposto un’assoluta fiducia nella propria bellezza, compiacendosi solo di se stessa e accettando dagli uomini solo atti di servitù amorosa (XVI, 38, 7-8). Il rapporto stretto con Rinaldo non si è mai fondato sull’amore vero, che per il cristiano Tasso si sostanzia innanzitutto di virtù quali la dedizione al bene dell’amato, il rispetto dei valori da lui professati, la generosità, l’umiltà, e la pazienza. Il sentimento provato da Armida si configura invece come una sfrenata passione dei sensi, unita ad una volontà di dominio e di possesso, che non ammette di non essere assecondata: una donna tanto orgogliosa e compiaciuta di sé non può tollerare di essere "negletta e schernita". Né d’altra parte va dimenticata l’adesione di Armida ai piani delle forze del Male e il ruolo che le è stato assegnato nella vicenda. Eppure c’è evidentemente, al fondo dell’animo della maga, un reale e sincero attaccamento a Rinaldo, la convinzione che solo lui possa essere l’uomo della sua vita; non si spiegherebbe altrimenti l’umiliazione a cui la donna si abbassa nel tentativo di dissuadere l’eroe dall’abbandonarla (XVI, 48-50): pur di restargli accanto è disposta a fargli da serva e ad accettare perfino il suo disprezzo; promette di seguirlo e di vegliare sulla sua incolumità, per difendere la quale è pronta al sacrificio stesso della vita (XVI, 50, 2-4). Si scorge in queste dichiarazioni il germe di nobili sentimenti, che tuttavia attendono di essere purificati dall'inquinamento del male, che nell'animo della donna ha messo profonde radici. L’ambiguità del personaggio è ravvisabile particolarmente nell’epilogo del poema. Durante l’infuriare del’ultima battaglia Armida tenta personalmente di uccidere l’odiato nemico, scagliandogli ripetutamente frecce. E tuttavia in lei la passione non si è spenta: più volte esita a scoccare la prima freccia contro Rinaldo e quando finalmente lascia partire il dardo, subito prega che il colpo non vada a segno. Furore e sdegno combattono nel suo animo contro l’amore e il desiderio, ma è l’orgoglio ad avere il sopravvento: quando tutti i suoi tentativi di vendicarsi sono falliti, Armida abbraccia l’idea del suicidio, con una determinazione che ricorda quella, folle e feroce, di Didone, essendo incapace, come l’infelice regina di Cartagine, di sopravvivere alla delusione della sconfitta. Solo Rinaldo in persona potrebbe dissuaderla dal suo proposito, ma un Rinaldo non più sdegnoso e fiero, bensì di nuovo ai suoi piedi, supplice e devoto. E così avviene: l’eroe giunge appena in tempo a fermare il braccio armato di Armida e si offre alla donna come suo campione e suo servo, pregando il Cielo che la faccia uscire dalle tenebre del paganesimo alla luce della Fede. La risposta di Armida, che consuona con la risposta della Vergine Maria all’arcangelo Gabriele (XX, 136, 7-8: "Ecco l’ancilla tua; d’essa a tuo senno / dispon, - gli disse – e le fia legge il cenno"), non lascia dubbi sull’esito della vicenda d’amore. Si prospettano dunque conversione e nozze al termine dell’unica tra le grandi storie d’amore del poema alla quale il Tasso volle assegnare un "lieto fine". È lecito chiedersi quanto peso abbia avuto sull’esito della storia di Rinaldo e Armida l’impegno morale e religioso dell’autore, ma non riesce persuasivo chi voglia ravvisare in esso "una soluzione di comodo, in chiave controriformistica". file:///D|/biblio/intro/intr0285.htm (4 di 10) [18/09/2001 13.00.58] intr0285 - Giovanni Ipavec - Introduzione alla Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso Anche la vicenda di Clorinda si conclude con una conversione "in extremis", ma se in quell’episodio l’inserimento del motivo religioso può apparire forzato e oratorio, qui esso rappresenta l’esito logico e necessario delle vicissitudini di Rinaldo e Armida, in piena consonanza con la conclusione del poema stesso: la riconciliazione tra i due protagonisti non può prescindere da un profondo rinnovamento spirituale. Esso è già avvenuto nell’eroe e rappresenta anche per la donna la condizione per iniziare la vita coniugale sotto i migliori auspici. D’altra parte, la conversione di Armida non deve parere l’effetto di una forzatura in nome delle esigenze connesse al motivo encomiastico, né comporta di fatto un innaturale cambiamento di indole e di sentimenti. La metamorfosi della donna è tutta spirituale ed è dettata dalla necessità del trionfo del Bene sul Male, dal momento che il conflitto coinvolge non solo gli uomini, ma Cielo e Terra, Paradiso e Inferno. Non mette conto, insomma, chiedersi in quale misura la battaglia della Controriforma abbia suggerito all’autore la conversione del personaggio: essa rappresenta l’esempio perfetto di una santificazione dell’amore, che rientra negli scopi edificanti del poema. Il Tasso, cioè, persegue con sincerità l’intento di dimostrare che solo all’interno di un progetto cristiano può darsi un rapporto d’amore pienamente e spiritualmente appagante. Nelle vicende e nelle metamorfosi di Armida va letta la storia di un amore che si sublima, elevandosi dalla dimensione puramente erotica e terrena alla sfera spirituale cristiana; e il tramite attraverso il quale si realizza tale sublimazione è, in chiave naturalmente cristiana, il dolore. Sconfitta e umiliata, Armida è costretta dalla sua stessa impotenza a riconoscere la natura profonda, non superficialmente capricciosa o passeggera, del suo sentimento e del suo desiderio. 8.2.1 La vicenda di Armida Armida compare per la prima volta nel canto IV, dedicato per la maggior parte agli interventi delle potenze infernali nelle vicende della crociata. Nipote del mago Idraote, re di Damasco, è presentata come una donna bellissima e perversa, maga ella stessa e orditrice di inganni: "Donna a cui di beltà le prime lodi concedea l’Oriente, è sua nepote: gli accorgimenti e le più occulte frodi ch’usi o femina o maga a lei son note." (IV, 23, 3-6) Istruita dallo zio, viene inviata al campo cristiano con il compito di sedurre i più valorosi campioni e di sottrarli agli impegni della guerra. L’arrivo di Armida all’accampamento e il conseguente accendersi della passione nei cuori degli stupefatti guerrieri sono descritti in celebri ottave, nelle quali si effonde maliziosamente la sensualità del Tasso: "Dolce color di rose in quel bel volto fra l’avorio si sparge e si confonde, ma ne la bocca, onde esce aura amorosa, sola rosseggia e semplice la rosa. Mostra il bel petto le sue nevi ignude, onde il foco d’Amor si nutre e desta. Parte appar de le mamme acerbe e crude, parte altrui ne ricopre invida vesta: invida, ma s’a gli occhi il varco chiude, l’amoroso pensier già non arresta, ché non ben pago di bellezza esterna ne gli occulti secreti anco s’interna. [………] Ivi si spazia, ivi contempla il vero di tante meraviglie a parte a parte; poscia al desio le narra e le descrive, e ne fa le sue fiamme in lui più vive." (IV, 30,5-8; 31; 32,5-8) file:///D|/biblio/intro/intr0285.htm (5 di 10) [18/09/2001 13.00.58] intr0285 - Giovanni Ipavec - Introduzione alla Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso La donna, che si finge perseguitata, affermando di essere stata spodestata dallo zio e minacciata di morte, implora l’aiuto dei cristiani e chiede che le sia concessa una scorta di dieci eroi che la riaccompagnino in patria e l’aiutino a riconquistare il trono. Per riuscire persuasiva mette in atto tutte le astuzie della psiche femminile: pronuncia un discorso che è un capolavoro di eloquenza (IV, 69-74 + 70-73) e studia scrupolosamente espressioni e modulazioni della voce, mentre fa appello a tutte le risorse della sua astuzia, in un variegato susseguirsi di mosse, gesti, atteggiamenti. Nel rivolgere le preghiere sa alternare e dosare abilmente toni umili e cortesi, adulatori e lusinghieri, rivelandosi maestra nell’arte della captatio benevolentiae. Con queste parole, ad esempio, chiede ad Eustazio di essere ammessa alla presenza di Goffredo: "Tu l’adito m’impetra al capitano, s’hai, come pare, alma cortese e pia." (IV, 37, 1-2) E così si rivolge al sommo duce: "- Principe invitto, - disse – il cui gran nome se ‘n vola adorno di sì ricchi fregi che l’esser da te vinte e in guerra dome recansi a gloria le provincie e i regi, noto per tutto è il tuo valor […] Tu, cui concesse il Cielo e dielti in fato voler il giusto e poter ciò che vuoi…" (IV, 39,1-5; 63,1-2) Alterna le parole a pudichi silenzi, per non temere di apparire troppo audace e sfrontata, come quando giunge al cospetto del pio Buglione: "Essa inchinollo riverente, e poi vergognosetta non facea parola. Ma quei rossor, ma quei timori suoi rassecura il guerriero e riconsola, sì che i pensati inganni al fine spiega in suon che di dolcezza i sensi lega." (IV, 38, 3-8) Abile simulatrice, mira ad accreditare di sé l’immagine di una donna ingenua e innocente, "quasi in amor rozza e inesperta" (93, 6); dà forza alle sue richieste col pianto, ben sapendo come esso, quando sgorga dagli occhi di una bella donna, acquisti uno speciale potere di seduzione: "Il pianto si spargea senza ritegno, com’ira suol produrlo a’ dolor mista, e le nascenti lagrime a vederle erano a i rai del sol cristallo e perle." [……] "Ma il chiaro umor, che di sì spesse stille le belle gote e ‘l seno adorno rende, opra effetto di foco, il qual in mille petti serpe celato e vi s’apprende." (IV, 74, 5-8; 76,1-4) Esperta conoscitrice dell’animo maschile, sa variare le sue arti (87, 4: "cangia a tempo atti e sembiante") secondo l’indole e il temperamento di chi le sta dinanzi: con i più audaci si mostra ora vergognosa e pudica, ora altera e sdegnosa, ma non a tal punto da scoraggiarne le speranze (89); nei timidi e nei diffidenti sa accendere con benevoli sorrisi e sguardi penetranti le amorose voglie (88). Il suo trionfo è totale (IV, 96, 1-2: "mill’alme e mille / prender furtivamente ella poteo") ed ella se ne file:///D|/biblio/intro/intr0285.htm (6 di 10) [18/09/2001 13.00.58] intr0285 - Giovanni Ipavec - Introduzione alla Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso compiace intimamente. Solo Goffredo e Tancredi resistono al suo fascino: il primo in virtù della sua saggezza di capo illuminato da Dio, il secondo perché ogni suo pensiero è rivolto a Clorinda. Nel canto V Armida continua instancabilmente, con l’aiuto di un demonio, a seminare zizzania nel campo crociato: attizza odi e rivalità tra i cavalieri e determina indirettamente l’aggressione di Rinaldo a Gernando, che si conclude con l’uccisione di quest’ultimo. La maga infine parte dal campo con la scorta richiesta e con molti altri crociati, i quali, pur non essendo stati prescelti, hanno deciso di seguirla furtivamente, perché stregati dal suo fascino. Tutti costoro vengono catturati e rinchiusi nel castello della maga, che li costringe ad una prigionia senza speranza oppure ad abiurare la propria fede e ad allearsi con i pagani contro i cristiani, come rivela Rambaldo di Guascogna a Tancredi (VII, 32-33). Rambaldo è appunto uno dei cavalieri che hanno seguito Armida, e ne ha subìto a tal punto il fascino da convertirsi al credo dei pagani (VII, 33, 5-8). Dal momento in cui Rinaldo libera i prigionieri e li rimanda sani e salvi al campo crociato (l’episodio è narrato in X, 71-72), la vicenda di Armida si intreccia strettamente con quella del giovane eroe cristiano. Desiderosa di vendicarsi, dapprima fa sì che i suoi lo credano morto (XIV, 53 e sgg.), poi gli invia una sirena, che lo riduca all’impotenza addormentandolo con la dolcezza del suo canto (XIV, 60 e sgg.), quindi entra in azione di persona per consumare la sua vendetta (XIV, 65). A questo punto del poema si colloca la prima metamorfosi di Armida da infida seduttrice e implacabile nemica ad amante appassionata: "e di nemica ella divenne amante". (XIV, 67, 8) Colei che tanti uomini ha stregato con la sua bellezza, s’innamora della bellezza del più prestante tra tutti i cavalieri, che ella può contemplare a suo agio mentre dorme; decide pertanto di rapirlo e di farne il proprio amante (XIV, 68-71). In amore Armida si mostra gelosa e possessiva (XIV, 69,3-4): per il timore che il suo diletto le venga sottratto o che il suo legame divenga di pubblico dominio, si ritira con Rinaldo in una delle Isole Fortunate, che sorgono in mezzo all’immensità dell’oceano, dove nessuna nave può giungere. Lì, in una sorta di paradiso terrestre, posto sulla cima di una montagna inaccessibile e allietato dalla mitezza di un clima perennemente primaverile, Rinaldo e Armida celebrano i riti dell'amore. Questi consistono nel libero disfrenarsi della passione in giochi amorosi che mirano unicamente al conseguimento del piacere, come maliziosamente suggerisce l’esortazione di un pappagallo: "Cogliam la rosa in su ‘l mattino adorno di questo dì, che tosto il seren perde; cogliam d’amor la rosa: amiamo or quando esser si puote riamato amando." (XVI, 15,5-8) Le ottave che descrivono l’intensità della passione sono tra le più famose del poema: in esse si dispiega tutta la sensualità dell’autore, la quale si traduce in variazioni di un tòpos collaudato: ora si esprime nella contemplazione del corpo della donna, mollemente sdraiata sull’erbetta, ora indugia sul rapimento estatico di Rinaldo, che poggia il capo sul grembo di lei, beandosi di tanta bellezza: Ella dinanzi al petto ha il vel diviso, e ‘l crin sparge incomposto al vento estivo; langue per vezzo, e ‘l suo infiammato viso fan biancheggiando i bei sudor più vivo: qual raggio in onda, le scintilla un riso ne gli umidi occhi tremulo e lascivo. Sovra lui pende; ed ei nel grembo molle le posa il capo, e ‘l volto al volto attolle, e i famelici sguardi avidamente in lei pascendo si consuma e strugge. S’inchina, e i dolci baci ella sovente liba or da gli occhi e da le labbra or sugge, file:///D|/biblio/intro/intr0285.htm (7 di 10) [18/09/2001 13.00.58] intr0285 - Giovanni Ipavec - Introduzione alla Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso ed in quel punto ei sospirar si sente profondo sì che pensi: "Or l’alma fugge e ‘n lei trapassa peregrina". (XVI, 18-19,1-7) Ma il canto XVI segna anche l’inizio dell’ostilità di Armida verso Rinaldo. Altro piccolo capolavoro descrittivo la rappresentazione del capovolgimento dell’amore in odio attraverso le tappe successive della preghiera (37-42), dell’umiliazione di sé (44-51), dello sdegno e dell’ira, che si esprimono in aperta minaccia e in maledizioni, a somiglianza dell’ultimo discorso di Didone ad Enea (57-60). Seguono le recriminazioni, il rimpianto dell’occasione perduta per non aver infierito su Rinaldo come su tutti gli altri amanti (65); infine il desiderio di vendetta, essendo la speranza di vendicarsi l’unico stimolo che la trattiene in vita: " … sol fa la speme de la dolce vendetta ancor ch’io viva." (XVI, 67,3-4) Nella sua sete di vendetta Armida attinge i limiti estremi della ferocia e dell’accanimento: recatasi al campo egiziano, promette se stessa e tutti i suoi beni come compenso a chi troncherà il "capo odioso" di Rinaldo e glielo presenterà (XVI, 66; XVII, 47-48). Maledice la propria bellezza, perché non le è servita per conservare l’amore di Rinaldo, anzi è stata per lei fonte di infelicità (XVI, 66-67). Le forze demoniache tentano di impedire la redenzione di Rinaldo servendosi dell'immagine di lei, allorché nella selva stregata di Saron rinnovano davanti agli occhi del guerriero rinsavito l' illusorio spettacolo di un giardino di delizie e suscitano l’apparizione di una donna (XVIII, 30) che ha le fattezze di Armida.. Questa si rivolge all’eroe con le parole e i toni di un’amante che, seppure abbandonata, non rinuncia a giocare tutte le carte della seduzione: "Togli questo elmo omai, scopri la fronte e gli occhi a gli occhi miei, s’arrivi amico; giungi i labri a le labra, il seno al seno, porgi la destra a la mia destra almeno." (XVIII, 32, 5-8) E pone il guerriero davanti ad una drammatica alternativa: "Deponi il ferro, o dispietato, o il caccia pria ne le vene a l’infelice Armida." (XVIII, 34, 5-6) Solo il pensiero della vendetta, a lungo pregustato nel cuore, anima Armida: "Già ‘l giungo, e ‘l prendo, e ‘l cor gli svello, e sparte le membra appendo, a i dispietati esempio." (XVI, 69-70) "E dolce è l’ira in aspettar vendetta." (XIX, 70, 8) La maga si muta in una furia persecutrice, a somiglianza delle mitiche Erinni, che non concedevano tregua a chi si era macchiato di gravi colpe nei confronti degli dei; e delle Erinni Armida assume anche l’aspetto esteriore: "sparsa il crin, bieca gli occhi, accesa il volto" (XVI, 67, 8) Nel canto XX, costituito per la maggior parte dalla descrizione della battaglia decisiva, Tasso dedica alle vicende di Armida prima un fuggevole accenno nell’ottava 22 (v.8), soltanto per informare che Armida non solo è presente, ma file:///D|/biblio/intro/intr0285.htm (8 di 10) [18/09/2001 13.00.58] intr0285 - Giovanni Ipavec - Introduzione alla Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso partecipa allo scontro, poi due ampi squarci (ottave 61-70 e 116-136). Il primo ci presenta un’imponente (ma non insolita: cfr. c. XVII) immagine di Armida regina e guerriera, troneggiante su un carro dorato "in militar sembianti", più esattamente in armatura di arciere, come si evince dall’ottava 62 (v.6), circondata dallo stuolo dei suoi campioni, costituito dai baroni, che l’hanno seguita fino al campo egiziano, e dai guerrieri che si sono offerti di vendicarla. Quando scorge Rinaldo, che è deciso ad evitare lo scontro con lei, incocca la freccia sull’arco, ma due sentimenti opposti, amore e sdegno, le lacerano il cuore, generando propositi e azioni contraddittori: tre volte è sul punto di scoccare il dardo e altrettante volte rinuncia (63, 3-4); quando finalmente scaglia la freccia, prega che essa fallisca il bersaglio (63, 7-8); si augura, anzi, che torni indietro a colpire lei stessa al cuore (64, 1-2). Quando è lo sdegno a prevalere, nessun colpo va a vuoto, ma gli strali non riescono a trapassare la dura corazza di Rinaldo (65, 1-4). E intanto, "mentre ella saetta, Amor lei piega" (65, 8): l’antica fiamma della passione, che Armida ha cercato di spegnere con tutte le sue forze, è tuttora accesa. Ben presto la donna è ridotta all’impotenza: la sua scorta è sbaragliata, i suoi campioni giacciono abbattuti e vinti, per la prima volta Armida conosce la paura, simile ad un cigno che tenta invano di rannicchiarsi a terra per evitare l’imminente assalto dell’aquila (68, 5-8). Unico tra gli amanti ad accorrere in suo aiuto è il principe Altamoro, il quale, pur di assicurarle la salvezza , trascura i propri doveri di soldato e di re, lasciando che la propria schiera, rimasta senza ordini, venga travolta e sconfitta: "pur che costei si salvi, il mondo pèra." (69, 8) Messa al sicuro da Altamoro, Armida è costretta ad assistere all’annientamento dell’esercito musulmano e alla morte di tutti i suoi campioni, ultimo Tisaferno, impegnato da Rinaldo in un duello all’ultimo sangue proprio sotto i suoi occhi (113 e sgg.). La donna non attende la fine dello scontro e fugge, simile a Cleopatra che, giudicata inevitabile la sconfitta, abbandonò il suo Antonio nel bel mezzo della battaglia (118); Tisaferno intanto è trapassato dalla spada di Rinaldo (120). La vicenda volge all’epilogo. Armida conclude la fuga in una valletta ombrosa e solitaria, dove è risoluta a darsi la morte: "sani piaga di stral piaga d’amore, e sia la morte medicina al core." (125, 7-8) Dopo aver scagliato un’ultima maledizione contro Rinaldo, al quale augura notti d’incubo (126), punta l’arma contro il petto "in atto atroce e fero, / già tinta in viso di pallor di morte" (127, 5-6); ma proprio nel momento in cui sta per affondare la lama, il braccio le è trattenuto dalla mano di Rinaldo, sopraggiuntole alle spalle, senza che ella se ne accorgesse, ad impedirle l’insano gesto (127). Armida lancia un urlo e sviene tra le braccia del guerriero, che la sostengono amorevolmente. Fanno rinvenire la bella donna le lacrime dell’amato, che le bagnano il volto e il seno (129). Armida è nelle braccia di Rinaldo: vorrebbe liberarsi e respingerlo, ma quanto più cerca di svincolarsi, tanto più fortemente l’uomo la cinge con il suo abbraccio (130). Senza mai guardarlo in volto rinnova, piangendo dirottamente, il suo proposito di togliersi la vita (131-133), ma Rinaldo con dolcissime parole la rasserena, dichiarandosi suo "campione e servo"; giura di riportarla sul trono dei suoi avi ed esprime il desiderio che Dio la converta alla retta fede (134-135). Armida, come rinata a nuova vita, gli risponde con parole simili a quelle con cui la Vergine Maria aderì alla volontà di Dio dopo l’Annunciazione, come si legge nel 1° capitolo di Luca: "- Ecco l’ancilla tua; d’essa a tuo senno dispon, - gli disse – e le fia legge il cenno. – " (136, 7-8) Così si chiude la vicenda di Armida, solo nove ottave prima della conclusione del poema: una sorta di "lieto fine", nel quale tuttavia il motivo religioso si sovrappone, non senza qualche scompenso, a quello amoroso-sentimentale. file:///D|/biblio/intro/intr0285.htm (9 di 10) [18/09/2001 13.00.58] intr0285 - Giovanni Ipavec - Introduzione alla Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso Biblioteca Progetto Cinquecento Indice introduzione © 1998 - by prof. Giuseppe Bonghi E-mail: Giuseppe Bonghi Ultimo aggiornamento: 18 settembre, 2001 file:///D|/biblio/intro/intr0285.htm (10 di 10) [18/09/2001 13.00.58]
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