La vita e l`opera di Leonardo da Vinci

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La vita e l`opera di Leonardo da Vinci
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La vita e l’opera di Leonardo da Vinci
La sua gioventù
I sessantasette anni della turbolenta e passionale vita di Leonardo da Vinci sono lo
specchio del ribollimento rinascimentale, una delle più tumultuose fiammate della storia
umana.
Tuttavia, quelle case basse, in pietra rossa, del comune di Anchiano, vicino a Vinci, a
trenta chilometri da Firenze, sembrano proprio distanti da questo fermento creativo
quando Leonardo vi nacque il 15 aprile 1452. L'aura di mistero che circonderà tutta la sua
vita, la sua persona e il suo lavoro, è già presente dalla nascita. È figlio naturale di una
donna di cui non si sa niente, né il nome, né gli anni, né la personalità. La tradizione si
contenta di farne una serva da locanda di nome Caterina.
Suo padre, al contrario, se non celebre, è almeno conosciuto: notaio rispettato e
facoltoso, Ser Piero aveva venticinque anni quando Leonardo nacque. Di una vitalità
adulatrice, avrà quattro mogli legittime e dodici figli, l'ultimo a sessantacinque anni, due
prima di morire. Riconobbe Leonardo come figlio, ma lo affidò a una coppia di paesani di
Vinci dove trascorse la sua adolescenza.
Sarà causa la sterilità della prima moglie di Ser Piero che lo spinse a riprendere suo figlio
a casa dove lo abbandonerà presto per stabilirsi a Firenze chiamato per fruttuosi affari.
Non si può che immaginare il risveglio di Leonardo nella complicità ondulante delle verdi
colline toscane, nella ricorrente campagna punteggiata di ulivi e di cipressi abbarbicati ai
fianchi dei Monte Albano.
Si capisce percorrendola l'influenza che esercitò su Leonardo. È là che si impregnerà
completamente della sua passione naturalista, che avrà la rivelazione sensoriale dei
mondo meraviglioso delle piante, degli uccelli e delle rocce.
Tanto più che, lasciata da parte l'istruzione classica, la sua formazione iniziale sarà
esclusivamente empirica, istintiva e sensitiva.
Non imparerà mai il latino, che rimpiangerà sempre, poiché in questo universo
essenzialmente umanista non avrà accesso diretto alle tradizionali fonti della cultura
classica e dell'eredità degli antichi.
È quindi probabile che il suo spirito originale, la sua indipendenza di pensiero e la sua
tendenza a rimettere in discussione tutto ciò che non aveva controllato e sperimentato da
sé, provengano da questa infanzia solitaria e campestre dove i profumi dei fiori, il fruscio
del vento e i colori del cielo erano i suoi unici precettori.
Ma a 15 anni, avendo suo padre notato le sue doti artistiche, lo fece venire a Firenze, per
farlo entrare come apprendista in uno studio di pittura che prosperava nella città allora al
massimo del suo splendore.
A quei tempi era tradizione che i figli partecipassero al fermento artistico che faceva della
Città dei Medici, il crogiolo dei Rinascimento: pochi artisti di primo piano, ma una
moltitudine di meravigliosi artigiani.
Nel frattempo Leonardo è diventato un bel giovane, intelligente e dotato, pieno di fascino
e di prestanza.
Sotto un'apparenza molto mondana e futile, cantava e suonava il liuto, nascondeva un
animo già tormentato e solitario.
Viene ammesso nello studio di Andrea il Verrocchio, uno dei più celebri della città. Gli
allievi vi entravano a partire dai quattordici anni.
Lo studio dei Verrocchio era rimarcabile per la qualità e universalità: oltre alla pittura, si
imparava la scrittura, l'oreficeria, il lavorare il bronzo e l'arte della fonderia. Ci si poteva
anche iniziare alla creazione di costumi e all'organizzazione di fastose feste di cui il corso
dei Rinascimento era pieno.
Leonardo si integrò perfettamente a questa effervescenza creativa, partecipando
prestissimo all'esecuzione di commesse affidate allo studio.
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La tradizione vuole anche che il Verrocchio, infastidito dalle qualità del suo allievo, abbia
a poco a poco abbandonato la pittura tanto il discepolo sorpassò il maestro.
Tuttavia, Leonardo restò sempre in ottimi rapporti con il Verrocchio, che continuò a
frequentare dopo aver lasciato lo studio per stabilirsi in proprio. Ha vent'anni. È l'epoca in
cui si lega con Botticelli e frequenta tutti i centri artistici dì Firenze.
Questi contatti sono necessari, poiché in quel tempo la teoria e le ricette artistiche erano
trasmesse oralmente, i manuali non esistevano ancora, se si eccettua un "Trattato degli
Artigiani" scritto nel 1437 da Cennino Cennini e che era la bibbia degli apprendisti.
È dunque con il frequentare Donatello, Brunelleschi, Alberti, Benedetto dell'Abbaco e
tanti altri, che Leonardo giunse alla maturità artistica.
Tuttavia il suo studio, aperto nel 1466, non ha il successo che gli compete. Non
occupandosi di politica, è ignorato dai Medici, al punto di non essere considerato fra i
migliori artisti toscani chiamati a decorare il Vaticano.
Aggiunta a una accusa di omosessualità che l'aveva messo all'indice, questa indifferenza
dei Medici lo spinse a cercare un'altra protezione.
Parte per Milano
La trova nel 1482 a Milano presso il potente Ludovico Sforza, e lascia la sua cara Firenze
per la capitale lombarda. Ci resterà vent'anni riscontrandoci un successo e una gloria che
fino ad allora lo avevano amareggiato. Leonardo ha trent'anni. Questo sarà per lui il
periodo creativo più fecondo e più entusiastico.
Curiosamente nominato "ingegnere ed Esperto Militare" da Sforza, si occupa di tutto e
lascia esplodere la sua universalità: pittore, architetto, ingegnere meccanico di genio,
sarà il "Grande Maestro delle Feste" di corte.
Tuttavia non tarderà ad accorgersi che il suo protettore, nonostante l'ascoltasse con
compiacenza, non dà mai caso ai suoi progetti visionari, preferendogli confidare la
realizzazione di una sala da bagno per una delle sue favorite! Nonostante ciò Ludovico
gli comanda una gigantesca statua equestre destinata a glorificare il suo regno. A questo
progetto megalomane del "cavallo" Leonardo lavorerà per sedici anni, inventando delle
macchine di sollevamento e dei procedimenti di fonderia, ma non realizzando mai altre
cose che serie di schizzi, affascinanti ma inutili.
Nel 1490 si trova già del ruolo di Maestro di cerimonia senza commesse ufficiali, e per di
più mai pagato dal suo protettore che si rivela un meschino mecenate.
Si lega, in quel periodo, ad un personaggio equivoco, un bel giovane di nome Salaï, che
sostenterà e proteggerà per venticinque anni!
Nel 1499, quando Sforza, battuto dai Francesi, viene rovesciato, Leonardo disincantato e
pressoché povero, gli venivano due anni di salario, lascia Milano e si rifugia a Firenze.
Il ritorno a Firenze
Di questi diciassette anni passati presso il Duca, non riporta che molte delusioni e una
grande quantità di bozzetti, testimonianza dei suoi progetto interrotti.
Passando per Venezia e Mantova, arriva, nel 1500, nella capitale
accompagnato dal suo inseparabile Salaï, alla bisognia paggio e assistente.
toscana,
Come è cambiata la città di Leonardo! Una volta morto Lorenzo, i Medici furono cacciati.
Dopo una crisi di puritanesimo acuto, il monaco mistico Savonarola è stato bruciato già
da due anni (1498).
Lo splendore e l'effervescenza dei Quattrocento non sono altro che ricordi.
Verrocchio e i suoi contemporanei sono morti, l'esuberante vivacità delle città brulicanti di
idee e di fasti ha lasciato il posto a impellenti necessità.
E soprattutto, i venticinque anni raggianti di Michelangelo, nuovo idolo artistico della città,
eclissano i quarantotto anni sofferti di Leonardo. Tuttavia viene ricevuto e alloggiato al
"Convento dell'Annunciazione" dove lavora a un quadro comandato dai Religiosi.
Diventa ingegnere
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Ma presto ne parte per mettersi al servizio dei nuovo uomo forte d'Italia, Cesare Borgia,
di cui diventa per otto anni l'ingegnere Militare.
Durante una campagna a Urbino fa la conoscenza di Machiavelli, Cancelliere Fiorentino
con il quale lega amicizia.
Si è discusso su questa sottomissione ai Borgia. Senza dubbio Leonardo vedeva in
Cesare, che Machiavelli prese per modello nel "Principe", il solo capo capace di unificare
l'Italia, spezzettata e tiranneggiata in una moltitudine di micro-regni e di influenze
straniere. È un nuovo insuccesso e Leonardo rientra a Firenze (1504) dove Machiavelli
gli ha ottenuto l'incarico, unicamente a Michelangelo, della "Battaglia d'Anghiari",
celebrante la vittoria dei Fiorentini sui Milanesi nel 1440. Ma nel 1506, alla richiesta dei
Francesi che controllavano Milano, parte per questa città dove incontra Melzi, il suo più
fedele discepolo. E ormai sotto la protezione di Luigi XII che lo nomina "Pittore e
ingegnere dei Re" fino alla disfatta dei Francesi a Pavia.
Massimiliano Sforza è regnante ormai a Milano e Leonardo cerca una volta di più un
nuovo asilo e un nuovo ospite. Parte per Roma dove soggiorna dal 1513 al 1516; il nuovo
Papa Leone X, che è un Medici, lo accoglie con benevolenza. Gli comanda anche un
quadro. Ma prima di tratteggiare un minimo d’abbozzo, Leonardo si preoccupa
d'inventare una nuova vernice! Quest'uomo non finirà mai niente!, sentenziò il Papa che
così si disinteressò di lui in favore di Raffaello, nuovo ragazzo destinato alla gloria.
Lascia la pittura
Da allora Leonardo che non dipinse più, accumulò ancora schizzi e progetti, realizzando i
suoi famosi disegni dei "Diluvio", visione apocalittica dell'universo e della morte che arriva
a sfiorarlo con un primo attacco fugace ma devastante, lasciandogli una mano semi
paralizzata. L'appello di Francesco I, l'unico suo vero amico potente, reclamandolo ad
Amboise, lo salva da una fine miserabile.
Verso la Francia e la morte
Parte per la Francia nel 1516 con l'inossidabile Salaï e il fedele Melzi. Nei suoi bagagli,
l'impressionante accumularsi dei disegni e dei libretti che rappresentano il suo reale
testamento intellettuale.
"Architetto dei Re"; visse principalmente nel maniero di Cloux a un chilometro dal
Castello d'Amboise, al quale era collegato per mezzo di un sotterraneo che il focoso
Francesco I, suo più sincero ammiratore, chiedeva sovente in prestito per rendergli delle
visite rispettose e passionali. In un ultimo impeto vi progetta di rendere navigabile la Loira
e i suoi affluenti, regolamento le feste di Biois e quindi si spegne il 2 maggio 1519,
stroncato da un ictus cerebrale.
L’eredità di Leonardo
Melzi, suo legatario universale, eredita disegni e libretti dei Maestro, favolosa e temibile
eredità.
Uno dei paradossi più inaspettati dell'opera di Leonardo è che la popolare notorietà
dipende dalla sua fama di pittore. Infatti, non ha eseguito in tutta la sua vita che una
trentina di quadri, di cui solo una dozzina sicuramente suoi, senza dubbi di autenticità.
Ancora molte di queste tele non furono mai terminate e una buona parte non sono giunte
a noi, perse nelle traversie della sua instabile esistenza o vittime delle sue audaci e
spesso catastrofiche sperimentali invenzioni tecniche.
La sua opera essenziale non è dunque quella del pittore, ma del pensatore umanista e
dell'ingegnere universale che osservava tutto per spiegare tutto.
Alla sua morte lasciò un'enorme quantità di note e disegni, riguardanti tutti i campi della
percezione e della conoscenza.
I suoi appunti di un "Trattato di Pittura", di un libro sulle ombre e la luce, di un manuale di
fonderia, di opere di matematica; anche loro, come tanti altri progetti, restarono
incompiuti.
Ma soprattutto una quantità impressionante di schizzi sparsi, redatti disordinatamente
sulle pagine di innumerevoli libretti o anche su vari tipi di fogli volanti, di vari colori e
dimensioni.
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Erano sempre accompagnati da abbondanti note, tracciate a penna nella strabiliante
scrittura rovesciata utilizzata da Leonardo in tutti i suoi scritti personali e leggibile
rovesciandola con uno specchio.
Non avendo mai imparato il latino, veicolo del pensiero dell'epoca, redigeva i suoi
commentari in italiano popolare.
Fu forse per una forma di ermetismo o di sicurezza che aveva adottato questa procedura
originale di trascrizione che impediva di comprendere il testo a una lettura normale? A
meno che non fosse per il gusto del mistero e del fantastico che coltivò per tutta la vita.
Sempre i libretti e i disegni sono di una rimarchevole precisione e di un estetismo
assoluto, unione della necessità matematica alla ricerca inconscia di una bellezza
plastica facente parte del suo essere profondo.
Per Leonardo il grafismo è un mezzo d'espressione, una scrittura, un linguaggio più
preciso delle parole. Il miglior mezzo e il più fedele per trasmettere idee e sensazioni.
Nonostante il carattere apparentemente disordinato dei suoi libretti, si rivela uno
specialista di impaginazione, ripartendo nello stesso foglio note e disegni in modo da
mettere in evidenza la plasticità e la dinamica dei tratti che quasi si animano sotto gli
occhi.
È nel periodo milanese, che sarà il più creativo e nel quale ammucchierà un'incredibile
quantità di idee, in cui il disegno diventa testimone e depositario.
Ma lungo il corso della sua vita, e fino agli ultimi giorni, non cesserà mai di disegnare né
di scrivere.
Schiacciato dalla mole delle responsabilità e dall'eccesso di lavoro, Melzi impiegò
cinquant'anni a tentare di gestire la favolosa eredità, in Lombardia, nel castello familiare
di Vaprio.
Ci si può stupire che non sia riuscito a trarre una sintesi efficace, dato che aveva vissuto
in intimità con Leonardo per tanti anni, lavorando con lui ai suoi progetti e conoscendo i
suoi obiettivi e le sue profonde motivazioni.
Ci sono due possibili spiegazioni a questa impotenza: sia che la gigantesca disordinata
massa di documenti che doveva mettere a posto e ordinare abbia scoraggiato e
surclassato Melzi, sia che il sospetto di eresia e di sovversione, che da tempo circondava
gli scritti filosofico-scientifici, abbia impedito la loro pubblicazione.
Quanto al figlio di Melzi, si disinteressò totalmente dell'eredità e cosi le preziose raccolte
andarono perdute, rubate o vendute: in ogni caso disperse.
Il Codice Atlantico
Un certo Pompeo Leoni, tuttavia, ritrovò dieci volumi e li trattò in Spagna. Fu lui che mise
insieme - tagliando e incollando - la raccolta di Windsor, raggruppando i disegni
anatomici e il "Codice Atlantico" dedicato alle macchine. Ma tutto ciò alla rinfusa e senza
ordine cronologico.
Cosi che bisogna attendere la fine dei XIX secolo per vedere riunite e studiate le note e i
disegni di Leonardo che sono sopravvissuti a queste vicissitudini. Non rappresentano che
un terzo del totale del suo lavoro.
Considerandoli ai nostri giorni, possono suggerire due sentimenti opposti: un'impressione
di insuccesso, di incompiuto, di inutilità davanti a tanti sforzi geniali ma disordinati che
giungono a una moltitudine di progetti quasi mai realizzati. Ma anche una grande
ammirazione verso questi superbi riflessi, testimonianti una eccezionale facoltà di
comprensione universale.
Leonardo si avvicina ad Aristotele per questa vastità di interessi, ma si rivela un
discepolo di Platone per la sua concezione unitaria del mondo. Tentò la sintesi della
vecchia teoria degli elementi (acqua, aria, terra, fuoco) e la sovrapposizione platonica tra
il macrocosmo dell'Universo e il microcosmo dell'Uomo.
La sua scienza
Per lui la natura è un gigante vivente; così come l'uomo, ella ha la sua respirazione (i
venti), la sua circolazione (i mari degli oceani), i suoi movimenti (sismi, cataclismi).
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L'origine delle sue due grandi passioni; conoscere l'anatomia dell'Essere Umano e le
forze regolanti le leggi dell'Universo.
Per Leonardo, l'essenza di tutta la conoscenza è la matematica. È la base di ogni
comprensione, di ogni spiegazione dei fenomeni visibili e dei profondi meccanismi degli
esseri e delle cose. È anche l'origine di tutte le costruzioni e creazioni umane. Ma questa
concezione arida è subito temperata dalla necessità della rappresentazione visuale di
tutto il sapere. Poiché la scienza di Leonardo è una scienza "visualizzata". La pittura e il
disegno sono attrezzi grafici che permettono la materializzazione visibile, la
rappresentazione pragmatica e concreta delle astratte teorie.
Tutto questo porta a una strana sovrapposizione del reale con l'astratto, del pensiero con
la vista, dell'arte con la scienza di cui, finalmente, tentò la sintesi.
Ciò che potremmo chiamare la "ricerca scientifica" di Leonardo si esercitò in due direzioni
molto differenti:
1)
da un lato lo studio dei fenomeni fisici e delle forze segrete (peso, trazione, ecc.)
condizionanti la statica e la dinamica dei corpi. Il segreto dei mondo delle forze
invisibili e astratte;
2)
dall'altro, l'osservazione della natura (botanica, geologia, anatomia) costituenti il
nostro mondo reale e tangibile.
Non c'è perciò, in queste apparenti divergenze, che la stessa ricerca: le forze delle leggi
fisiche astratte condizionano anche la nostra universalità.
Lungo i suoi disegni di precorritore o di visionario, si vedono sfilare tutte le basi del
mestiere di "ingegnere" venerabile tra tutti, dato che per lui la mano crea e prolunga ciò
che ha scoperto lo Spirito.
Non c'è campo dell'industria e della meccanica dove non abbia manifestato il suo
profetico genio. Che importa se tutto questo non furono che progetti incompiuti o non
realizzati! In seguito gli ingegneri italiani hanno potuto, partendo da questi disegni,
costruire dei modelli funzionanti perfettamente, apportando cinque secoli più tardi, una
eccitante conferma postuma.
I progetti idrici
E giungendo a Milano che Leonardo ebbe la rivelazione dei grandi lavori d’idraulica. Nella
natia Toscana l'Arno aveva sempre "saltellato" tra le colline, mentre il Po era da più di
due secoli regolato da dighe che ne controllavano il letto e irroravano la pianura.
Con la sua abituale appetenza verso i nuovi problemi che eccitavano la sua curiosità,
Leonardo non tardò a proporre le sue soluzioni, spesso sorprendenti per la loro
grandezza, sempre originali e realistiche. Certamente, per tutto quello che concerne
l'architettura idraulica, aveva sotto gli occhi le antiche opere costruite empiricamente dagli
antichi romani: ponti, dighe e acquedotti, per lo più in eccellente stato, disseminati nelle
campagne italiane.
Ma il suo apporto personale fu, come al solito, la ricerca per la migliore comprensione
delle leggi reggenti la statica e la dinamica dei fluidi.
Era una straordinaria evoluzione, poiché fino ad allora i sapienti Greci e Antichi,
senz'altro turbati dallo sconcertante elemento fluido, non avevano potuto formulare
regole, neppure i principi dei suo scorrere.
A parte la nozione, evidente e verificabile empiricamente, dei vasi comunicanti, la scienza
matematica classica, ferma su geometrie fisse e entità misurabili, era irrimediabilmente
inciampata nello studio del comportamento dell'acqua, questo inafferrabile elemento!
Leonardo lavorò in due direzioni molto differenti, ma complementari: da una parte le
ricerche idrauliche e idrodinamiche, miranti a trarre qualche legge generale elementare,
ma indispensabile; dall'altra, i grandi progetti idraulici, applicanti praticamente questi
principi.
Per comprendere, inizia con l'osservare, poi a sperimentare per verificare le ipotesi
teoriche alle quali era giunto con la sua intuizione e le sue constatazioni. Riprendendo il
disegno delle prime macchine idrauliche immaginate da Erone di Alessandria nel I secolo
d.C. ne trae di colpo due leggi fondamentali sulla statica dei fluidi:
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un liquido non esercita la stessa pressione su tutti i punti dei recipiente che lo
contiene;
2)
più la profondità dell'acqua è grande, più la pressione è forte. E quindi, a pari
profondità, è dall'orifizio più stretto che l'acqua sprizza più forte. Lasciando uscire
acqua da orifizi di diametri differenti e da altezze diverse, studia la traiettoria dei
getto e la suppone deformata dalla pressione atmosferica, come formulerà più tardi
Torricelli.
Studia le cascate d'acqua e scopre la loro immensa potenza: l'acqua cade perché pesa e
questo "impulso" si traduce in forza d'impatto, utilizzata nelle ruote a pale - antenate delle
turbine -, che muovevano ogni tipo di mulino. Si applica alla misurazione delle forze che
si esercitano sul fondo dei recipienti, su dighe e sbarramenti. In seguito creò una serie di
strumenti di misura che permettono di valutare all'incirca la velocità, la potenza e la
portata dei fluidi.
Concepì dei tubi internamente spiratati, che si mettevano a girare quando si riempivano
dall'alto: se ne serviva anche per misurare la potenza della caduta d'acqua: più giravano
veloci e più la caduta era potente.
In realtà era affascinato dai fiumi, dalle onde e soprattutto dal movimento delle maree di
cui comprese l'immensa riserva di energia. Le pulsazioni del mare gli ricordavano quelle
del cuore umano e della circolazione sanguigna.
La sua reputazione di idraulico era tale che da tutte le parti lo pregavano di studiare dei
progetti di irrigazione o di regolazione dei fiumi. Il suo progetto più grandioso fu la
regolazione dell'Arno per renderlo navigabile da Firenze al mare, e deviarlo da Pisa, città
rivale.
Per questa occasione realizzerà notevoli studi, soprattutto una rappresentazione del
bacino dell'Arno che prefigura la moderna cardiologia. Chiuse, cascate di cui utilizzava
l'energia, sponde regolabili, laghi artificiali di regolazione, tutto era previsto. Altra idea
grandiosa, il piano di un canale collegante Milano con il lago di Corno, comprendente una
chiusa gigantesca alta 30 metri.
Propose anche ai Veneziani la costruzione di una gigantesca diga a saracinesche che
avrebbe permesso di annegare l'Armata Turca accampata nella piana.
Fino alla fine dei suoi giorni queste realizzazioni lo appassionarono al punto da fargli
progettare nel suo esilio di Amboise, la regolazione della Loira e del Cher per renderli
navigabili.
È senz'altro evidente che, per tali imprese, tutto l'arsenale idraulico nato
dall'immaginazione di Leonardo e riportato sui suoi blocchetti di disegni, trovava la sua
applicazione.
Scartabellando tra questi blocchetti, vi si scopre una favolosa esuberanza di idee, che
vanno dalla più perfezionata macchina all'oggetto più insolito. I canali posero numerosi
problemi di scavo, di manutenzione e di utilizzazione. Per scavarli non si disponeva che
di badili e di braccia. Leonardo immaginò una enorme scavatrice mossa da un argano
per migliorare la regolarità e la rapidità del lavoro. Tutti i dettagli sono sistemati: vie di
alaggio, scale di controllo, abitazione per i guardiani.
Nei suoi disegni si vedono apparire le chiuse, capaci di compensare delle differenze di
livello e rendere il canale facilmente navigabile.
Trattasi di chiuse a porte solidamente ancorate agli argini dei canale e accessibili da due
scale per la manovra. Ricordano curiosamente le moderne chiuse. Un bozzetto più
preciso di una porta mostra il dispositivo, sistemato alla base dell'anta, che permette di
pareggiare le pressioni a monte e a valle per rendere possibile l'apertura della chiusa.
La manutenzione dei canali era ugualmente prevista: la draga era costituita da una
grande ruota girante sul suo asse e montata su un pontone tra due barche facenti da
galleggianti. Il prodotto del dragaggio era automaticamente diviso su altre due barche
ormeggiate a questo pontone galleggiante.
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Altrove disegnò un altro tipo di draga: si tratta di una sorta di rastrello gigante, raschiante
il fondo dei canali, tirato da due ruote fissate a una piattaforma galleggiante, anche
questa solidamente ancorata.
Ci sono pompe di tutti i tipi. Dapprima, delle semplici noria, immense ruote a pala, molto
simili a quelle che si possono vedere ancora oggi. Erano utilizzate per l'irrigazione delle
terre. Ma anche di quelle più sofisticate.
Sia che si tratti di ruote a secchi, azionate da contropesi e scaricanti il loro carico liquido
in un sistema di canaletti; sia che architetti tutto un sistema di elevazione, montante
l'acqua in grandi recipienti da dove ripartirà per mezzo di una serie di scale a secchi,
azionate dalla immancabile ruota dentata. Leonardo fu uno dei primi a utilizzare la
formidabile potenza dell'acqua. Il punto di impatto sulle ruote a pale liberava una
insospettabile energia.
L’impiego dell’energia idrica
Immaginò anche una dozzina d’applicazioni del mulino ad acqua: per macinare cereali,
azionare segherie di legnami o di marmi e anche filare la seta, fabbricare polvere da
sparo o azionare i frantoi per impastare la carta.
Sopra e sott’acqua
Lasciando libero corso al suo delirio creativo, Leonardo realizzò ogni sorta di folle idea:
scafandri per esplorare i fondali dei porti e gli scafi delle navi; respiratori che
permettevano l'immersione, guanti da nuotatore che facevano aumentare la potenza e la
velocità di nuotata; sbalorditive calzature per camminare sull'acqua e anche boe di
sostentamento e giubbotti di salvataggio.
Sognò anche una sorta di "campana" sommergibile, antenata del sottomarino che
permetteva sia di sostentare le proprie navi che di affondare quelle del nemico. Nel
frattempo metteva a punto un ingegnoso dispositivo di serbatoio d'aria, facile da
agganciare alle navi incagliate per recuperarle.
È soprattutto, la sua voglia di comprendere le leggi dell'Universo, lo spinse a voler
valutare, controllare queste forze e le potenze che utilizzava: studiò tutti i fenomeni
naturali provocati dall'acqua; l'umidità, le nuvole, il vapore, i flutti, le maree. Inventò delle
macchine per misurarle e per meglio prevederle. Per la prima volta nella storia dell'uomo
si cominciò ad indagare nei problemi dell'Universo liquido.
Il volo
Ecco uno dei campi dove Leonardo ci appare ancora oggi come il più sorprendente e il
più profetico.
Tuttavia l'idea non era né nuova né originale, aveva più genio inventivo a concepire il
posizionamento su due ruote di una bicicletta che cercare di realizzare il vecchio sogno di
lcaro.
Perché volare fu sempre l'ambizione degli uomini. E l'avventura di lcaro, che scappò dal
labirinto di Creta grazie a un paio di ali attaccate al suo corpo, appariva molto simbolica
per questa incrollabile speranza.
Non bisogna tuttavia dimenticare che nel XV secolo, nonostante l'effervescenza
scientifica dei ricercatori dei Rinascimento, alcune delle nozioni base dell'aerostatica,
dell'aerodinamica e dell'aeronautica, che sono le basi tecniche dei volo, non erano
conosciute.
Tutt'al più, per il verso della resistenza dell'aria, scoperto e spiegato da Leonardo in modo
preciso, l'idea di "portanza" dell'aria era accettata come elemento essenziale di questa
ricerca.
Le ricerche di Leonardo non mancarono quindi né di coraggio né di arditezza, essendo
anche, per quell'epoca, un'autentica sfida.
Ricordiamoci che bisognerà attendere il 1783 per vedere, a Annonay, salire la prima
mongolfiera portata dalia forza ascensionale dell'aria calda, conosciuta e utilizzata in altre
occasioni da Leonardo.
Ma non fu che nel 1890 che apparve il primo "aereo".
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Questi quattro secoli di ricerche infruttuose minimizzano e rendono normali gli insuccessi
di Leonardo, lasciando sussistere l'ostinazione dei suoi sforzi e il genio premonitore delle
sue ingegnose soluzioni di visionario.
E nel corso delsuo soggiorno milanese e del suo secondo periodo fiorentino che fece i
suoi primi bozzetti e scrive i suoi primi appunti su questo soggetto tutto nuovo e
all'avanguardia a quel tempo.
Gli sembrò di colpo chiaro che bisognava partire dal volo degli uccelli per risolvere il
problema. Sembrava logico in effetti cercare di carpire il favoloso mistero delle loro ali per
trasportarlo in elementi meccanici. I disegni che li rappresentano sono straordinari: di
fronte, di profilo, di tre-quarti, tutti gli atteggiamenti e le posizioni sono analizzati,
sezionati, in seguito riprodotti. Questa fantastica serie disegnata, si anima e vive,
superba di poesia e precisione, simile a una serie fotografica dove il battere delle ali è
fissato immagine per immagine. La tecnica è perfetta ma lo studio è sbagliato.
Tuttavia, durante un quarto di secolo, Leonardo si accanì, si ostinò a costruire delle ali
meccaniche copiate su quelle dei pipistrelli che considerava come la base essenziale di
tutte le macchine volanti.
Mai si scoraggiò nonostante la costanza degli insuccessi. Fu veramente cosciente di
questi suoi insuccessi?
Alcuni pensano che abbia potuto dedicarsi a veri collaudi, nel qual caso è evidente che si
sia reso conto dell'impossibilità di far decollare le sua macchine.
Ma è anche possibile che si sia accontentato di ideare dei meccanismi sempre più
complicati e sofisticati, solo per la soddisfazione d'accumulare il massimo delle soluzioni
possibili. Ammirabili sogni, superbe invenzioni che portarono a niente.
Traduzioni meccaniche derivate direttamente dall'osservazione naturale, stupefacenti
assemblaggi d’articolate nervature e di piccole bielle mobili; il tutto evoca irresistibilmente
una dissezione di marionette mosse da cavi e leve.
Il più significativo di questi disegni è senz'altro un'ala gigante di pipistrello, fedelissima,
mossa da un'enorme leva manovrata da un uomo.
Quest'ala era senz'altro destinata allo studio dei battiti ottenuti, probabilmente per
compararli a quelli di un'ala vera.
Una volta trasportata l'ala in struttura meccanica, in seguito giudicata corretta la sua
dinamica, bisognava includere questo fondamentale elemento motore in un progetto di
macchina volante. E qui che i disegni che si succedono possono sembrare tanto deliranti
quanto geniali, non senza evocare le illustrazioni di opere di fantascienza dell'Ottocento.
Sono molto vicini alle illustrazioni delle macchine volanti di Jules Verne, per esempio in
"Robur il Conquistatore".
È molto rimarcabile che in tutta una serie di disegni Leonardo, trascurando totalmente il
problema portante essenziale per il "motore" delle sue macchine, sembra non
preoccuparsi che del loro meccanismo di battimento.
Va fino a rappresentarne, spesso in grandi progetti, gli organi meccanici essenziali o un
dettaglio particolare delle sue invenzioni. Qui un asse verticale permette di azionare un
gioco di pale battenti l'aria con un movimento di va e vieni ascensionale; là un "blocco
motore" complesso costituito da due pulegge sulle quali s'avvolge una cinghia terminante
con un paio di staffe che si devono calzare o impugnare per muovere quattro pale
simulanti un battito d'ali.
Ma più interessanti sono le macchine volanti disegnate per intero. Tralasciando allora i
dettagli tecnici, l'artista spiega i suoi sogni e le sue visioni dove il delirio poetico oscura la
verosimiglianza meccanica.
Così, sfinendosi invano nelle traversie di una realizzazione impossibile, il genio creatore
di Leonardo, prendendo improvvisamente coscienza dell'impotenza tecnica dell'epoca,
lascia campo libero alla sua immaginazione.
E si vede apparire nella casualità delle pagine, a volte una sorta di canoa del cielo, dove
il pilota deve allungarsi per manovrare un paio di remi battenti l'aria e non l'acqua; a volte
una strabiliante plancia contenente il meccanismo volante, posizionato a qualche metro
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dal suolo da dei cavalletti e con una scala che ne permetteva l'accesso; dopo il sospirato
decollo, un sistema meccanico permetteva di ritirare la scala e i cavalletti, il primo treno
d'atterraggio retrattile dell'aviazione.
Tuttavia bisogna ritornare coi piedi per terra e attaccarsi al vero problema: quello
dell'energia propulsiva.
Perché l'ostacolo era l'assenza totale di potenza energetica sufficiente per sperare in un
decollo. E non potevano supplire a ciò gli sforzi muscolari dell'uomo.
Leonardo doveva essere cosciente della penosa insufficienza del muscolo umano, sola
forza motrice che possedeva.
Aveva ben fatto, utilizzando al massimo le sue "ricette" meccaniche, dei prodigi di
demoltiplicazione e di trasmissione, ma non arrivò che ad accrescere il peso
dell'apparecchio a forza d’ingranaggi e di leve, soprattutto se si tiene conto dei materiali
dell'epoca.
Aveva bisogno di una potente energia motrice che non esisteva ancora.
Quindi, cosa pensare degli schizzi di "pilota" che si vedono qua e là nei disegni di
Leonardo; credeva veramente che un uomo azionante una leva destinata a muovere
delle pale irrisorie potesse realmente far decollare il suo apparecchio? Pensava che
questi quattro infelici sospesi sotto "un'ala volante" che pedalavano disperatamente per
farla battere potessero essere capaci di staccarsi da terra? Sperava che i due forzati,
incatenati ad un'enorme ruota che avevano, il compito di far girare come degli scoiattoli in
una gabbia, potessero elevarsi nell'aria?
E che dire di questo pilota, bloccato all'interno della sua macchina a forma di coppa
montata su due scale, dove il compito sovrumano era quello di provocare il battere di; un
paio di remi che supponeva potessero farla volare?
Ci sembra impossibile che Leonardo sia caduto in questo e non si sia reso conto che
fosse fuori questione che dei bicipiti o dei polpacci, potessero un giorno strappare una di
queste macchine, alla forza della gravità che le tratteneva irrimediabilmente al suolo.
Ne era anche, talmente convinto che improvvisamente lo si vede cambiare di direzione
nelle sue ricerche.
Non potendo battere l'aria con le sue ali artificiali, iniziò a studiare la portanza naturale
dell'atmosfera. Basando le sue deduzioni sull'analisi dei volo planare degli uccelli e della
caduta delle foglie, determina e misura i componenti aerodinamici dell'aria, inventando
anche degli strumenti per meglio valutarli: i primi anemometri, barometri e inclinometri
della storia dell'aeronautica.
Fu allora che sfruttando i nuovi dati di queste nuove osservazioni, fece veramente opera
di precursore, presentando senza equivoco le future possibilità del volo a vela, del
deltaplano e anche del paracadute.
In effetti, un famoso disegno, caricaturale ma suggestivo, mostra all'evidenza un uomo
sospeso a uno strano paracadute piramidale, poco convenzionale ai nostri occhi, ma
capacissimo di funzionare. Questo paracadute è stato sperimentato realmente nel 2000
in Australia. Un pilota collaudatore con il paracadute di Leonardo, appesi ad un pallone
aerostatico sono stati trasportati a 4000. Una volta liberi è iniziata la discesa frenata,
conclusa con lo sgancio del paracadut e di Leonardo e l’apertura di un moderno
paracadute ad ala.
Perché Leonardo, se non poté risolvere il problema dell'energia motrice necessaria a
ogni decollo, controllò perfettamente per contro le teorie della portanza" dell'aria che già
utilizzò nelle sue esperienze idrauliche e balistiche.
Quindi, lasciando volontariamente il problema insolubile della propulsione, concepì e
disegnò quello che rappresenta certamente la sua visione più profetica: il suo progetto di
elica aerea.
I due dischi sovrapposti, azionati da un meccanismo rotatorio misterioso, non sono altro
che la prefigurazione dell'elicottero.
È certo che l'insuccesso aeronautico di Leonardo fu causato dalla mancanza di forza
energetica che rese improduttivo meccanicamente la sua epoca.
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Con le nostre moderne fonti d’energia Leonardo, in questo campo completamente nuovo
della locomozione aerea, si sarebbe senz'altro avvicinato di più alle soluzioni finalmente
adottate quattro secoli più tardi.
Elementi di meccanica
Quindi, disilluso o ragionevole, lo troviamo a scarabocchiare nei suoi blocchetti delle
classicissime ma molto efficaci silhouette di mulini, utilizzanti la forza dei vento che
l'aveva sfidato.
"La meccanica è il paradiso dei Matematici". Questa frase di Leonardo spiega la
posizione privilegiata che egli diede alla tecnologia, considerata come l'applicazione
pratica delle teorie astratte. Ma prima di creare queste famose "macchine" che saranno la
trasposizione, a livello dell'ingegnere, dei sogni del sapiente, si dedicò a concretizzare
ogni legge e principio di fisica generale.
Svelò anche un gran numero "di elementi di meccanica", attrezzi semplici nati
direttamente dalle constatazioni scientifiche e facenti parte della composizione delle
"macchine" come gli ingredienti nella realizzazione di una ricetta.
E si vede, sparpagliata sui fogli, la materializzazione grafica di questi elementi meccanici:
viti, chiavette, argani, pulegge, giunti, molle, paranchi, ingranaggi, leve, catene di
trasmissione, pistoni, ruote dentate, pignoni e altre configurazioni meccaniche fioriscono
in ogni pagina dei "Codice", ricevendo sovente più interpretazioni (si sono potute contare
sessantasette sistemi differenti di bielle a manovella per passare dal movimento circolare
al movimento alternato o continuo di va e vieni).
Così, studiati, disegnati, compresi, sono immediatamente applicati alla soluzione dei
problemi di meccanica generale condizionanti la realizzazione delle più complesse
macchine.
I procedimenti di sollevamento, la trasmissione dei movimenti, sono alla base di ogni
studio. Due punti lo appassionano in modo speciale: la trasformazione del movimento
alternato di va e vieni in un movimento circolare e il suo contrario; la demoltiplicazione,
permettente di accrescere all'infinito la potenza della forza applicata.
Avendo la profonda conoscenza di questi elementi essenziali di meccanica generale,
poté lanciarsi nei suoi sogni sfrenati di ingegnere visionario e, spesso, profetico.
Ma già aveva percepito uno dei suoi limiti: Ia povertà energetica deIl'epoca, al punto di
tentare di scoprire altre fonti, per esempio il vapore. Si rimane a sognare pensando a
quello che avrebbe potuto inventare se avesse avuto a disposizione le nostre fonti
energetiche.
Nella rappresentazione di questi elementi meccanici di base è sorprendente la
precisione, le maglie delle sue catene di trasmissione sono identiche a quelle delle nostre
moderne biciclette, i suoi ganci a sbloccaggio automatico sembrano tratti da un moderno
catalogo.
Mise anche a punto dei cuscinetti a sfera, tra cui un cardine conico a tre sfere,
"reinventato" nel 1920; nonché un sistema di cuscinetti a dischi evocatore delle attuali
frizioni.
Fondamentalmente, Leonardo ingegnere delle Arti e Mestieri, è il vero padre della
macchina utensile. Ma non volgeva i suoi apporti al caso. L'Italia dei Rinascimento
traboccava di un'attività artigianale febbrile da cui scaturisce la prosperità soprattutto di
città come Firenze e Milano. Ma erano attività tradizionali, basate su procedimenti
ancestrali lenti e penosi.
Per aumentare il rendimento, che Leonardo tenta di trasformare con l'automazione, la
maggior parte delle operazioni ancestrali del periodo, facendole passare ad uno stadio
veramente industriale.
Ci si può stupire allora che la maggioranza di questi progetti siano rimasti allo stato di
abbozzi: quasi tutti perfettamente realizzabili e economicamente redditizi, furono in effetti
"riscoperti" qualche secolo più tardi.
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Questa sterilità nel completare le cose fu causata soprattutto dal carattere di Leonardo:
curioso di tutti i problemi posti al pensatore e all'ingegnere, non si interessò altro che alla
loro soluzione, abbandonandoli appena li aveva compresi e risolti con un disegno.
Nonostante il grande bisogno di denaro che lo attanagliò per tutta la vita, non cercò mai
di rendere funzionanti le sue macchine per trarne un legittimo profitto personale.
Sappiamo che si è potuto, partendo da questi disegni, costruire dei meccanismi
perfettamente funzionanti che proponiamo quale lavoro pratico.
Innumerevoli, le macchine utensili impongono una scelta fondata sulla loro originalità e
l'interesse delle loro applicazioni pratiche. La macchina per intaccare le lime fu la prima
invenzione di Leonardo (1480). Fino ad allora le raspe e le lime utilizzate per lavorare il
legno e i metalli, erano fabbricate e scolpite a mano con un martello e un bulino. Ogni
sezione della macchina era costituita da un martello pesante, mosso da una ruota
dentata azionata da un contro-peso. A ogni rotazione il martello ricadeva sulla lima che
avanzava con lo stesso ritmo.
Bisognava attendere l'inizio del secolo scorso per vedere adottare questa procedura. Lo
stesso principio fu applicato da Leonardo alla concezione di una macchina per stampare
un nastro d'oro o di stagno da un laminato.
Lo sviluppo della meccanica impose la messa a punto di processi che permettessero la
fabbricazione rapida di certi pezzi.
Sui bozzetti il cilindro per alesare è saldamente mantenuto in posizione verticale da
alcune morse, in asse con una levigatrice costituita da un tamburo a solchi ricoperto di
una mistura abrasiva di olio e polvere di smeriglio. Mosso da un movimento elicoidale, il
tamburo spalma l'abrasivo e lucida senza sosta le superfici da levigare.
Leonardo ha concepito numerosi tipi di "laminatoi", per trafilare o assottigliare i differenti
metalli utilizzati nelle industrie di quel tempo.
Per assottigliare in nastri o in fogli, faceva passare i metalli tra due pesanti cilindri di
pressione. Per trafilarli in fili o lame, li sottoponeva a enormi trazioni ottenute mediante la
demoltiplicazione di enormi ruote.
In tutti questi casi impiegò innovazioni tecniche, come i cuscinetti a sfera e un sistema di
ruota libera a nottolino per il maneggio di leve e manovelle facilitante considerevolmente
le manovre e riducente al massimo le dispersioni di potenza causate da imprevisti attriti.
Lo stagno, il rame, il ferro e anche i metalli preziosi potevano essere sottoposti a questo
trattamento.
Lo sviluppo considerevole dell'artigianato tessile, gemma delle ricche città del
Rinascimento italiano, portò Leonardo a cercare l'automazione delle principali operazioni
preparanti o effettuanti la tessitura propriamente detta.
Concepì una macchina per accordellare la canapa: una macchina per bobinare i fili
regolarmente: un movimento alternato di va e vieni permetteva un arrotolamento
omogeneo su tutta l'altezza del rocchetto con un sistema ad albero bilanciato.
E soprattutto una tenditrice di tessuti: la stoffa tesa su un telaio di legno, veniva
automaticamente tagliata da un paio di lame enormi. Come per la maggioranza di queste
invenzioni, l'accoppiamento di più parti permetteva un rendimento quasi industriale.
Al contrario, esiste un bozzetto di "garzatrice", apparecchio che poteva rendere
artificialmente lanugginosi i ricchi drappi tessuti a raso.
Immaginò anche, utilizzando un principio d'ottica, di rendere più luminosa la luce di una
lampada a olio trasmessa tramite un globo di vetro pieno d'acqua a guisa di lente
d'ingrandimento.
Anche piallatrici per il legno posizionate su giganteschi banconi. E soprattutto trivelle. Le
canalizzazioni all'epoca erano fatte con tronchi incavati manualmente: la corteccia,
saldamente mantenuta in linea da una mascella d'acciaio, veniva scanalata in cilindri
regolari da un'enorme punta verso la quale il tronco avanzava trascinato da un peso e da
ingranaggi demoltiplicatori.
Gru, argani e paranchi, disseminati nelle pagine dei libretti, rivaleggiano in potenza grazie
a una sofisticata demoltiplicazione.
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Questo elenco non è che un campione di idee rivoluzionarie di Leonardo. Ogni raccolta di
disegni ne contiene altre dozzine: macchina per affilare gli aghi con l'aiuto di cinghie di
cuoio, che egli pensò, con il suo grande rendimento, potesse portargli sessantamila
ducati all'anno!
Macchina per la fabbricazione di viti metalliche a passo regolare; macchina per rimettere
automaticamente in posizione di lavoro le presse delle nascenti stamperie di cui l'Italia
era uno dei grandi centri europei.
Ricerca di fonti energetiche
Immaginò una curiosa macchina, una semplice piattaforma con quattro ruote, azionata
dall'allineamento successivo di numerose molle moventi un complesso d’ingranaggi.
Quando una delle molle si distendeva, il "conducente" rimontava l'altra, in modo da
ottenere, teoricamente, un movimento continuo e regolare.
Ma se si pensa che l'operatore doveva, oltre alla manovra delle molle, assicurare la
direzione della macchina per mezzo di una quinta piccola ruota timone, si resta perplessi
di fronte all'orgia di energia - quella muscolare - che imponeva il pilotaggio di un tale
prototipo. Più semplice e razionale, al contrario, era la concezione della prima bicicletta,
rappresentata con una forma molto vicina alle attuali. In legno, con un manubrio, una
pedaliera con catena di trasmissione, implica una straordinaria potenza immaginativa e
creatrice capace di concepire un tale congegno mobile in equilibrio su due ruote,
autentica visione profetica e fantastica alla Jules Verne.
L’orologio
L'interesse di Leonardo per tutto ciò che era strumento di misurazione lo condusse
ovviamente a occuparsi di quella del tempo.
La sua maestria nei complessi sistemi di ingranaggi, molle e contro-pesi, gli dischiuse
questo campo infinito di realizzazione meccanica.
Dalla sua penna nascono bozzetti di clessidre, di meridiane e sofisticati meccanismi,
tanto bene applicabili agli orologi che agli automi.
Non solo disegnò, per analizzarli, tutti gli organi degli orologi dell'epoca, ma li perfezionò
orientando il suo apporto verso la precisione e la regolarità del movimento.
Tutte queste acquisizioni gli permisero di realizzare, e questa volta realmente, dei
giocattoli meccanici spesso giganteschi, come il leone-automa, creato poco prima di
morire, per una festa in onore di Francesco I: il leone avanzava verso il re e apriva il petto
per lasciar scaturire una bracciata di fiori di giglio.
Una delle ultime invenzioni effettivamente messa in opera nel suo ultimo soggiorno
d'Amboise fu una sveglia particolarmente originale e insolita: un recipiente si vuota in un
altro tramite un filo d'acqua, come una clessidra liquida; quando il recipiente ricettore è
pieno fa peso su una leva la cui forza, amplificata da ingranaggi, solleva brutalmente i
piedi di Leonardo!
Le macchine da guerra
La prosperità artigianale delle città italiane dei Rinascimento aveva spinto Leonardo a
ricercare, con l'automazione delle macchine, un rendimento industriale. Fu a causa della
bellicosa rivalità tra le cittadelle erette a micro-stati che si spinse a pensare ai problemi
militari. Non bisogna dimenticare, tuttavia, che i Principi reclamanti i servizi di Leonardo lo
legavano alle loro corti con il titolo di esperto e ingegnere militare.
Intendevano quindi che egli consacrasse il suo genio inventivo essenzialmente
all'accrescimento della loro potenza militare.
In realtà, seguendo la sua naturale tendenza, abbandonò strategie e tattiche per non
interessarsi che ai problemi d'architettura militare e soprattutto alla creazione di congegni
e di armi nuove che implicavano dapprima la comprensione delle leggi balistiche.
Nel 1346 a Crécy, gli Inglesi si erano serviti, per la prima volta in Europa, di cannoni che
lanciavano palle di pietra per mezzo della deflagrazione della polvere da sparo. Ma non si
trattava che di empirismo, e la balistica rimaneva sconosciuta tanto ai sapienti quanto ai
militari dei periodo.
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È in questa direzione che Leonardo fa andare i suoi sforzi prima di perfezionare proiettili
e armi da fuoco grazie alle "leggi" che scoprirà. In realtà le presentò soltanto, poiché non
aveva che il suo occhio infallibile e la sua istintiva intuizione per avvicinare le grandi leggi
della balistica.
Per primo, enuncia che la traiettoria dei proiettili è una parabola. Misura la forza di
penetrazione dei proiettili dimostrando che la penetrazione nel suolo di una freccia
lanciata in verticale è proporzionale all'altitudine raggiunta con la forza scaturita
dall'allentamento dell'arco. Raggiunge anche, in un esperimento con una palla di
cannone tirata da un razzo, l'altezza di 3000 metri, valore fantastico per l'epoca.
Si rese perfettamente conto del ruolo essenziale della resistenza dell'aria; ma bisognerà
attendere il 1687 perché Newton ne dia delle formulazioni precise.
Nonostante questo indiscutibile empirismo, Leonardo lavorò per migliorare la potenza di
fuoco degli eserciti dei Rinascimento. Le sue prime trasformazioni sembrano un
ammodernamento delle macchine romane e medioevali.
Catapulte disposte in serie e liberate dai colpi di mazza da un allineamento di serventi.
Fionde giganti tese da molle ultra-potenti, o multiple, lanciate dalla forza centrifuga di un
mulinello.
Balestre a tiro rapido, impressionante congegno visionario. Un'enorme ruota da scoiattoli
è azionata da un gruppo di uomini vigorosi, pedalanti all'infinito su un moto esterno alla
ruota per aumentare la loro efficacia. Su ogni diagonale è fissata una classica balestra.
Un tiratore situato al centro della ruota spara quando la balestra arriva alla sua altezza.
Un sistema di freni permette di rallentare la rotazione mentre una feritoia, sistemata in
una incastellatura, facilita la visuale.
Balestra gigante, arco smisurato, montato su sei ruote inclinate per assorbire il colpo di
rinculo, la base contenente il proiettile è trattenuta da due zeppe; tesa da un sistema di
viti senza fine e liberata dal colpo di mazza di un servente.
Nello stesso tempo che concepiva le ideali fortificazioni per le inespugnabili cittadelle,
Leonardo escogitava il sistema per espugnarle.
Realizzò una serie di disegni di scale pieghevoli a rampini, che permetteva di scalare i
bastioni, dei ponti articolati che potevano allungarsi per superare i fossati, piattaforme su
palafitte e rotelle capaci di conquistare i muraglioni e di aprire il fuoco all'interno delle
cittadelle.
Nuova venuta, è l'artiglieria che appassionò di più Leonardo. Vi era molto da fare per
perfezionare questa nuova regina della battaglia. All'inizio concepì il caricamento dei
cannoni dalla culatta e non più dalla bocca.
In seguito cercò di raffreddarli più in fretta per immersione in vasche d'acqua corrente.
Così che in una batteria di più pezzi, uno si raffredda mentre si carica il secondo e il terzo
è pronto a far fuoco.
Il problema della velocità di tiro è una delle grandi preoccupazioni di Leonardo. A questo
scopo inventò tutta una serie di armi che si potrebbero definire automatiche, raggruppanti
sullo stesso affusto una dozzina di cannoni che potevano sparare in successione o
simultaneamente, antenate delle nostre prime mitragliatrici.
Avendo così modificato le armi, passò a perfezionare i proiettili.
Leonardo dimostrò in questo campo l'esuberanza di un'attività tanto folle che profetica:
palle da cannone incendiarie, nuovi aspetti dei classico "fuoco greco"; granate truccate,
antenate dei gas dei 1914; granate munite di punte cave imbottite di polvere da sparo
esplodenti all'impatto, palle cave piene di polvere e indebolite per esplodere alla
percussione, disperdendo le schegge polverizzate.
Tuttavia, per ottenere il massimo da queste nuove armi e da questi proiettili sofisticati,
bisognava avere una pratica mesa a fuoco, rapida e sicura. Efficacissimo fu il suo
apporto a questo problema.
All'inizio perfezionò il vecchio procedimento di messa a fuoco degli archibugi, rendendo
simultanei accensione e detonazione, ciò che rese molto più rapido il processo un tempo
separato. Ma fece di più e ideò una "ruota" rivoluzionaria, completamente originale: la
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pressione sul grilletto trasporta, tramite una catena, un braccio porta-pirite che accende
la polvere.
Molto più affidabile della selce, ma più cara, bisognò attendere altri secoli perché questo
procedimento venisse adottato nell'armamento. Ultimo sogno profetico, l'idea di collocare
questi pezzi da fuoco su delle navi. Un bozzetto mostra una possibile torretta, costruita
su un'imbarcazione e gettante una gragnola di bombe su un obiettivo marittimo.
Infine l'idea premonitrice di un veicolo blindato, rimpiazzante il cavallo troppo vulnerabile.
Questa sorta di tartaruga metallica gigante, montata su quattro ruote, mitraglia in tutta
sicurezza. Leonardo dà prova in questo campo militare di un'immaginazione strabiliante,
mettendo - come tanti sapienti moderni - il suo genio creatore al servizio della guerra, che
egli denunciava già allora come una "bestiale follia".
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