Graz, SteieriSche herbSt

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Graz, SteieriSche herbSt
Graz, Steierische Herbst
Gianluigi Mattietti
L’Autunno stiriano (Steierische Herbst) è un festival che segna da decenni la
vita culturale di Graz, intrecciando teatro, performances, arti figurative, cinema e nuovi
media, in una città così aperta alla contemporaneità da aver costruito nel pittoresco
centro storico un museo d’arte contemporanea, il Kunstaus, che sembra un’astronave
aliena. All’interno di questa grande rassegna, Musikprotokoll catalizza da 40 anni le
esperienze più avanzate della musica contemporanea, come testimonia anche una ricca
documentazione discografica: un box di 6 cd con le registrazioni di 30 anni di festival dal
1968 al 1997 (ORF MP 30), e quindi singoli cd dedicati alle edizioni successive; poi una
serie di dvd con alcuni dei migliori esiti della video-arte presentati nella rassegna, come
reMIAutomataINak (ORF DVD MP 00705) presentato nel 2000, o Alien City (ORF
DVD MP 01706) presentato nel 2001. Nei quattro giorni, densi di concerti, quet’anno
c’erra il Klangforum di Vienna, diretto da Rolf Gupta, che ha eseguito tre prime
mondiali: One Movement and Five Miniatures di Johannes Maria Staud, che mescolava
effetti umoristici dell’ensemble con il suono del clavicembalo moltiplicato dagli
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altoparlanti; Inventario IV del colombiano German Toro-Perez, pezzo pieno di figure
ritmiche e contrasti stilistici; e il bellissimo, misterioso Klang-Muro-for-Klangforum di
Mauricio Sotelo, compositore spagnolo formatosi a Vienna, un doppio concerto per flauto
(Vera Fischer), contrabbasso (Uli Fussenegger) che facevano emergere venature flamenco
su uno sfondo strumentale vibratile e pieno di turbolenze. La vivacità della nuova scuola
spagnola era testimoniata anche, nel concerto dell’Ensemble Recherche, da due lavori di
grande ricchezza timbrica: African Winds di José Manuel López López, per marimba
e clarinetto e il movimentato, pezzo pieno di risonanze e arabeschi, colpi di chiave che
si mescolavano con effetti legnosi; e il nervoso Nebelsplitter di Elena Mendoza (allieva
di Manfred Trojahn e Hanspeter Kyburz) che sfruttava una grande quantità di tecniche
strumentali compresa la preparazione del pianoforte. Nello stesso concerto si è anche
ascoltato un nuovo lavoro dell’inglese Rebecca Saunders, intitolato Murmurs, vero
capolavoro di finezza compositiva: gli esecutori disposti su pedane intorno al pubblico
dipanavano una trama lenta e avvolgente, come una polifonia “en ralenti”, come un
madrigale “subacqueo”, e spazializzato. La Saunders è stata anche protagonista del
concerto diretto da Peter Eötvös (che inaugurava la sua collaborazione con l’Orchestra
Sinfonica della Radio di Vienna), con Traces: ampio lavoro per orchestra dalla scrittura
insieme gestuale e delicata, costruito di pannelli di colore che trascoloravano gli uni
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sugli altri, con tracce strumentali nette alternate a fluide risonanze. Nello stesso concerto
si sono ascoltati Hérodiade-Fragmente di Mathias Pintscher, grande scena lirica su
testo di Mallarmé, magnificamente orchestrata e interpretata con grande passione da
Marisol Montalvo; e due prime mondiali: l’energetico e rumoristico Lovely Monster di
Bernhard Gander (compositore austriaco allievo di Beat Furrer) e Remnants of Song ...
an Amphigory di Olga Neuwirth, concerto per viola e orchestra (bravissimo il giovane
solista Antoine Tamestit) pieno di echi del passato, squarci lirici e inflessioni danzanti,
che trasformavo il finale in una grande, vorticosa valse. Tra gli appuntamenti clou
del festival c’era anche l’originale progetto di Bernhard Lang (compositore austriaco
che aprirà l’edizione 2010 con un nuovo lavoro di teatro musicale) ispirato alle Sette
ultime parole di Cristo sulla Croce di Haydn (eseguite da Marino Formenti nella rara,
radicale versione pianistica) che hanno ispirato una metafisica, feldmaniana istallazione
elettronica, e un ciclo per pianoforte, intitolato Monadologie V - 7 Last Word of Hasan,
riferito alla figura di Ḥasan ibn al-Ṣabbāḥ, già protagonista dell’opera Der Alte vom
Berge (messa in scena al Festival di Schwetzingen), e concepito come una specie di
specchio al negativo del”oratorio” haydniano, dove la pietà si trasfromava in ribellione, in
una musica da forte carattere gestuale. Tra le istallazioni sonore presentate nell’ambito
del progetto sperimentale “Touch this Sound!“, accanto all’assordante The Haters di
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GX Jupitter-Larsen, che riempiva la sala di energia elettrostatica, e alla performance
intitolata Make a baby dei Lucky Dragons (realizzata con generatori di suono collettivi,
che coinvolgevano tutto il pubblico), spiccava quella della lituana Justė Janulytė, dal
titolo Breathing Music: i musicisti di un quartetto d’archi suonavano chiusi dentro grandi
bolle di plastica, all’interno delle quali veneinva pompata dell’aria da quattro “addetti” al
centro della scena; la dimensione vagamente rituale, la luce che proveniva dall’interno
delle bolle, i musicisti che si intravedevano come feti dentro uteri, la musica armonica e
siderale, amplificata dagli altoparlanti, creavano un’atmosfera straniante, magica, che ha
incantato il pubblico.
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