EC, Sue Kennington e Vincent Hawkins creano delle opere che

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EC, Sue Kennington e Vincent Hawkins creano delle opere che
EC, Sue Kennington e Vincent Hawkins creano delle opere che hanno molto terreno in
comune. Dato il titolo della mostra, Zappatore, uso quella particolare figura retorica
deliberatamente – zappare, il processo di togliere le erbacce e smuovere il terreno. Questi
tre artisti zappatori, ognuno a modo loro, ri-girano costantemente e ripuliscono le potenziali
possibilità di creazioni astratte. Il loro coinvogimento con i loro materiali è molto fisico, si
scuote e si setaccia ripetutamente per rivelare nuove possibilità, ritornando più e più volte
sullo stesso terreno, ma facendolo diventare sempre più produttivo attraverso continui
tentativi di sradicare qualsiasi cosa che non incoraggia la vitalità. Questo lavoro non è mai
finito. Il processo è sempre in flusso e ripetutamente interrompe la superficie delle cose per
rigenerarle con nuove fresche idee. Hawkins ed EC in particolare, condividono un approccio
al collage basato sulla frammentazione e ricostruzione degli elementi da loro creati, trovando
nuove fertili idee visive attraverso un settacciamento dei detriti dei loro laboratori o
ricombinando frammenti abbandonati da lavori precedenti. Senza adottare i materiali di
ricostruzione caratteristici del collage, anche Kennington lavora in modo simile, facendo
ritorno a motivi, forme e particolari affiancamenti di colore, reintroducendoli
costantemente, ricostruendoli esteticamente, in nuove opere. Mai finite o complete, il
processo non è consolatorio o confortante, ma vitale e dinamico nelle sue riconfigurazioni
costanti.
Uno dei motivi per cui dipingere rimane una pratica vitale e valida per gli artisti del 21esimo
secolo è la sua capacità di ricordarsi dei materiali del nostro mondo e della fisicità del nostro
rapporto con esso. Tutti e tre questi artisti lavorano con la materialità della vernice e il
linguaggio di pittura in modi diversi ma correlati: la fisicità delle spesse stratificazioni delle
superfici di collage e le tempere a muro nei dipinti di EC; la leggerezza dei quadri a tempera
di Hawkins’ con i loro strati di colore piegati e strofinati via; Il mescolarsi di gesti spontanei
di Kennington con un livello di geometria sottostante e un sistematico approccio al rapporto
tra i colori. La loro inclinazione comune all’improvvisazione e alla risposta intuitiva risulta
anche, inevitabilmente, nell’ accettare la possibilità di errare. Un dipinto come una cosa
creata, fatta, riguarda l’interazione tra mente e corpo nella manipolazione di una superficie
fisica. Così la cosa incorporata nella superficie fisica del singolo dipinto é un insieme delle
decisioni dell’artista, alcune più o meno consce di altre, ma tutte con la capacità di succedere
o fallire e di verità o illusione. Un dipinto, o qualsiasi altro oggetto artistico, non è mai
veramente capace di competere al livello delle ricche sensazioni del resto del mondo che ci
circonda. Ma in realtà è esattamente il loro fallimento in ciò che crea un interessante e
gratificante salto immaginario che connette le cose che percepiamo con le dirette sensazioni
del mondo materiale. E’ in questo senso che si potrebbe affermare “L’autore è defunto” o
che “Il pubblico completa l’opera”.
“Dov’è la saggezza che abbiamo perso nel sapere?” chiese T.S. Eliot nel 1934 nel suo poema,
“The Rock”. Questi tre artisti de “Zappatore” riconoscono la saggezza e il valore di
rinunciare alcune volte alla sapienza, di non sapere sempre cosa si sta facendo.
Abbandonando la certezza per la sperimentazione e pianificando per un’improvvisazione, il
loro modo di operare mette in primo piano impulsività, azione e procedimento. Enfatizzano
la fisicità, riconoscendo che qualsiasi azione che compiamo, incluse ovviamente le azioni
coinvolte nel loro tipo di creazione di immagine, sono necessariamente fatte da una persona;
tutte queste azioni sono parte della recitazione dell’esistenza umana e della vita quotidiana.
Elliot segue quella frase in “The Rock” con un’altra domanda, notevolmente preveggente
ottanta anni dopo nell’era di internet, dove flussi costanti di informazioni sono troppo
spesso scambiati per sapere: “Dov’è il sapere che abbiamo perduto nell’informazione?” Noi
siamo “Distratti dalla distrazione nella distrazione, pieni di voglie e vuoti di significato”; un
anno dopo Elliot scrive in un altra frase preveggente in uno dei suoi Four Quartets. Essere
circondati dall’informazione non significa necessariamente sapere molto. Anche il sapere può
essere fisico, come questi tre pittori sanno bene, e così anche l’umile lavoratore con la sua
zappa.
“Fuori dai dal viscido fango delle parole, fuori dal nevisichio e grandine delle imprecisioni
verbali, pensieri e sensazioni approssimative, parole che hanno preso il posto dei pensieri e
sensazioni, la sorge il perfetto ordine nel parlato, e la bellezza dell’incanto.” (Ancora Elliot in
The Rock.) E più avanti nello stesso poema, in un verso che potrebbe essere stato scritto
per descrivere l’arte di EC, Kennington e Hawkins, “dalle forme di tutto ciò che vive o
meno, prive di significato, congiunte con l’occhio dell’artista, nasce nuova vita, nuove forme,
nuovi colori”.
© Derek Horton, 2015
Derek Horton è un artista, scrittore, curatore e insegnante. Dopo aver lavorato in parchi avventura e progetti artistici
sociali negli anni ’70, ha passato molti anni insegnando gli studenti universitari pre e post-laurea. Ha co-fondato le riviste online
‘/seconds’ con Peter Lewis nel 2005 e ‘soanyway’ con Lisa Stansbie nel 2009. Attualmente è co-direttore di &Model, una galleria
internazionale di arte contemporanea a Leeds, e professore ospite nella scuola di arte contemporanea all’università di
Birmingham City.