Educazione scientifica per l`infanzia
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Educazione scientifica per l`infanzia
Introduzione “Non c’è niente di più importante per il futuro del mondo, del modo in cui prepariamo la prossima generazione” dice Bruce Alberts, Editor della prestigiosa rivista “Science” nel numero dell’agosto 2011 tutto dedicato all’educazione dell’infanzia. La società italiana purtroppo ha sempre considerato gli aspetti matematici e scientifici come tecnici e difficili, lontani dalla prima formazione e affrontabili solo a livelli alti d’istruzione. Negli ultimi anni però risulta sempre più evidente, da ricerche svolte sia in contesti reali di apprendimento sia in condizioni sperimentali che i bambini sono molto competenti; fin da molto piccoli hanno idee intuitive sul mondo fisico e biologico che li circonda, esplorano sperimentando, fanno previsioni e le mettono alla prova dei fatti, cercano spiegazioni causali coerenti per fenomeni che ritengono simili. In una parola sembrano procedere in modo molto simile al modo di indagare scientifico, al “provando e riprovando” che da Galileo in poi una delle più prestigiose società scientifiche, l’Accademia del Cimento, ha come suo motto. Questi bambini hanno diritto ad una educazione scientifica efficace ed appropriata al loro livello. Un’educazione che si inserisca nel processo di sviluppo naturale dei bambini, che ne potenzi lo sviluppo spontaneo, che sia attenta non a introdurre troppo precocemente i risultati della scienza, ma che incoraggi piuttosto l’appropriarsi dei suoi metodi e delle sue procedure: esplorare, descrivere e rappresentare in diversi linguaggi, immaginare, cercare somiglianze e analogie, costruire modelli, confrontarsi con altri e difendere le proprie idee argomentando. Questo richiede la guida attenta e non invasiva di adulti preparati a incoraggiare l’esplorazione attiva dei bambini offrendo loro possibilità d’interazione diretta con oggetti e fenomeni del mondo, in ambienti sicuri e accoglienti, che favoriscano la loro crescita emotiva, sociale e cognitiva in modo equilibrato. “Le buone scuole cominciano da quello di cui i bambini sono già padroni di fatto, poi sondano quello che di fatto stanno apprendendo e continuano con quello che di fatto porta avanti il loro coinvolgimento” diceva Hawkins nel lontano 1965. dossier a cura di Enrica Giordano Educazione scientifica per l’infanzia Educazione scientifica per l’infanzia per approfondire D. Hawkins, Pasticciando con le scienze, in Imparare a vedere, Loescher, Torino 1979. Sommario Piccoli scienziati crescono Enrica Giordano Il gioco con l’acqua Giocheria Laboratori Percorsi di astronomia “Ci son tre lune diverse” Sara Bartesaghi Profumo di cielo Valentina Robati Esperienze di biologia tra ambienti di apprendimento outdoor e indoor Antonella Pezzotti n. 1 • settembre 2013 • anno CI 1 Enrica Giordano* Educazione scientifica per l’infanzia dossier Piccoli scienziati crescono U no dei temi che proponiamo negli articoli che seguono è l’acqua. Molti di noi si sono sentiti ripetere a scuola che l’acqua è “incolore, inodore, insapore e senza forma”. Ma ne siamo sicuri? Proviamo a guardarci intorno e a sperimentare. La superficie dell’acqua ferma in un bicchiere ha una sua forma, piatta, orizzontale; cosa cambia se inclino il bicchiere? E come dire che non hanno forma le gocce che scendono da un rubinetto, che si appoggiano sul vetro o sull’ombrello, sulle foglie o sulle ragnatele? E poi, se è insapore, perché si parla di acqua dolce e salata? E se è incolore perché la si disegna di colore azzurro? Vogliamo che i bambini ci ripetano queste parole stereotipate? Piuttosto lasciamo che sperimentino con l’acqua e i suoi veri comportamenti in interazione con oggetti e materiali di vario tipo. E che trovino i gesti, i disegni, le parole, per descrivere quello che hanno osservato: “La forma dell’acqua è tutta sparpagliata” dice una bimba. Cosa significa bagnare? Sono bagnate le mani e il fazzoletto, ma in due modi diversi. L’acqua bagna, ma è bagnata? E cosa intendiamo quando diciamo che lo zucchero si scioglie nell’acqua? Le domande possono essere moltissime, basta avviare il discorso con i bambini per vederle nascere e svilupparsi dall’esperienza di tutti i giorni e da quella che si può proporre in un ambiente attrezzato con materiali semplici, ma intriganti e coinvolgenti. In particolare nelle esperienze proposte nell’articolo di “Giocheria Laboratori” si suggeriscono attività da realizzare, in parte al chiuso in parte Enrica Giordano * Professore associato di Didattica della Fisica, Dipartimento di Fisica, Università di Milano-Bicocca 2 n. 1 • settembre 2013 • anno CI dossier Il filo conduttore di tutte queste proposte è il lavoro tra interno ed esterno, tra ambiente naturale e ambiente scolastico, tra fenomeni che avvengono senza il nostro diretto intervento e altri che facciamo avvenire ad arte, in modo selezionato e controllato. Tutte puntano a costruire poche idee fondamentali del campo di indagine selezionato e pongono al centro i bambini e il loro esplorare. Educazione scientifica per l’infanzia all’aperto, sull’acqua che corre in tubi, canaline, ruscelli. Senza esperienze di acqua in movimento non ci si appropria veramente di cosa voglia dire che l’acqua è un liquido, anzi il liquido per eccellenza. Esce da una sorgente e scorre, forma rivoli, gorghi e flussi, schizzi e spruzzi; passa in buchi piccolissimi, ma non sopporta di essere bucata, (si dice appunto “fare un buco nell’acqua”...). Un altro tema è il “Cielo stellato e la luna”. Sara Bartesaghi e Valentina Robati ci aiutano raccontandoci la loro esperienza, nella Scuola dell’infanzia in occasione della loro tesi di laurea in Scienze della Formazione Primaria. Infine Antonella Pezzotti ci guida nel gioco di avvio allo studio degli organismi viventi tra gli ambienti all’aperto che si possono trovare nelle vicinanze delle scuole o nelle uscite didattiche e gli ambienti chiusi in cui più tradizionalmente si svolge l’azione educativa. per approfondire E. Giordano, Imparare sperimentando, “Psicologia dell’Educazione”, n. 5 (2), 2011, pp. 177-192. n. 1 • settembre 2013 • anno CI 3 Laura Plebani, Daniela Calò, Anna Cuccu, Simona Vimercati* Educazione scientifica per l’infanzia dossier Il gioco con l’acqua L’ acqua offre una ricca e versatile opportunità di gioco da proporre ai bambini di diversa età. Infatti, sin da piccolissimi i bambini sono affascinati dall’acqua che irresistibilmente li attrae e conquista. Da questa prima considerazione, dalle osservazioni su cosa fanno i bambini quando giocano e dalla convinzione che tutti imparano facendo, in Giocheria Laboratori proponiamo da anni laboratori scientifici di gioco con l’acqua. I bambini che giocano alla scienza passano da una fase in cui sperimentano e osservano ad una in cui riflettono su ciò che vedono accadere sia durante il laboratorio sia in classe tra un incontro e l’altro. Con modalità diverse a seconda delle diverse età, i bambini sono stati sollecitati a scambiarsi le osservazioni sulle scoperte fatte nel laboratorio e a rappresentarle attraverso disegni. Con l’insegnante si riprende, si rielabora, si propone una lettura ragionata che consente di porre attenzione ai passaggi, di analizzare le criticità, per ricominciare con le nuove conoscenze, in un moto circolare che sembra portare a continue previsioni e verifiche. Provare e riprovare porta a fare delle scoperte quando lo sperimentatore non sa dove l’esperienza che sta facendo lo conduce e questo ai bambini accade sempre poiché sanno imparare mentre fanno. “Fare con le mani” significa conoscere con il corpo e con i sensi il mondo a partire dalla curiosità, dalla spontanea spinta ad esplorare a confrontare che i bambini possiedono. I bambini imparano, imitandosi tra pari, la collaborazione che arricchisce l’apprendimento, lo amplia e lo fa viaggiare sulla strada delle relazioni personali. Se l’ambiente è ben strutturato e il materiale opportunamente scelto, la presenza dell’adulto è garanzia della sicurezza dello sperimentare del bambino che diventa artefice del proprio apprendimento. L’adulto dovrebbe essere presente senza però sovrapporsi, il modello “insegnante che travasa il suo sapere nei bambini” si può abbandonare a vantaggio di un insegnante che “accompagna e favorisce le scoperte dei bambini”; le eventuali domande saranno orientate a favorire la concentrazione su ciò che si sta sperimentando. Una posizione non direttiva, più rilassata consente di lasciare tempo per esplorare, affiancando la loro attività autonoma con una presenza più leggera. I laboratori I laboratori del gioco con l’acqua sono allestiti sia all’interno di Giocheria che nello spazio verde che circonda la struttura. All’esterno il ruscello è progettato perché i bambini possano giocare con l’acqua in movimento. Laura Plebani, Daniela Calò, Anna Cuccu, Simona Vimercati * Educatrici presso Giocheria Laboratori, Sesto San Giovanni (Mi) 4 n. 1 • settembre 2013 • anno CI n. 1 • settembre 2013 • anno CI dossier Educazione scientifica per l’infanzia Un rubinetto alla fonte può originare una goccia d’acqua o una cascata che si incanala lungo il percorso creato con canaline collegate tra loro; l’acqua scorre sfruttando la pendenza del terreno sino a tuffarsi in una grande vasca. I bambini possono osservare i diversi comportamenti a seconda del flusso d’acqua e hanno a disposizione diversi oggetti per la loro osservazione. Una serie di strumenti vengono predisposti affinché l’acqua possa “viaggiare da un punto all’altro”. Imbuti, canne di plastica, contenitori, bottiglie di plastica permettono ai bambini di trasportare l’acqua da un recipiente all’altro, di scoprire che può andare in salita o scappare da tutti i buchini. Le azioni e le scoperte dei bambini vengono raccontate oppure disegnate; riportiamo alcune delle loro frasi: Mirko: “Se riempio l’imbuto e lo alzo in alto l’acqua scende e si sente il verso della rana. Quando fa il verso della rana ho scoperto che si fa il vortice”. Desirée: “…fa il verso della rana perché l’acqua scende velocemente…”. Andrea: “…io versavo l’acqua era tutto bucato così andava a finire per terra”. 5 dossier Educazione scientifica per l’infanzia strando concentrazione per lungo tempo. Mentre giocano, guardano cosa succede alla mano, ma anche all’acqua e lo dicono: “l’acqua mi lascia entrare”. La mano non trova resistenza, l’acqua si sposta, avvolge, bagna, rinfresca. Se tolgo la mano “l’acqua si chiude”. Provano a usare gli oggetti, più oggetti insieme, a combinare due diversi effetti, a concatenare le osservazioni, i flussi. Alessandro: “Io facevo le bolle e soffiavo e l’acqua diventava più alta e mi bagnavo la faccia”. Giulia: “Ho messo la spugna nell’acqua ed è diventata verde scuro”. La trasparenza Oltre al ruscello, sia all’esterno sia all’interno, si predispongono le grandi vasche con i vari oggetti da immergere. Per contenere l’acqua abbiamo privilegiato delle vasche di plexiglass trasparenti appoggiate a strutture tubolari e sollevate da terra in modo tale che i bambini possano vedere da tutte le angolazioni. I loro gesti si fanno più precisi e attenti a non disperdere neanche una goccia d’acqua dimo- 6 I granelli Accanto al percorso con l’acqua abbiamo predisposto situazioni di gioco che consentissero il confronto sul travaso di materiali solidi con maggior e minore fluidità nello scorrimento. I bambini possono così fare un confronto di come miglio, sabbia, farina passano differentemente attraverso contenitori, imbuti e setacci. Gabriele: “Con l’imbuto grande il mais scendeva subito, con l’imbuto piccolo non usciva allora abbiamo preso il bastoncino e abbiamo spinto e se n. 1 • settembre 2013 • anno CI dossier Educazione scientifica per l’infanzia sbattevo ne uscivano tanti, sennò una alla volta”. Omar: “Ho messo le mani nei fagioli e ho sentito il solletico”. Giulia: “Mi è piaciuto mettere le mani nei semi piccoli, anch’io ho sentito il solletico fresco”. “Provvisorie” considerazioni finali Abbiamo osservato i bambini giocare, li abbiamo ascoltati “ragionare” sull’esperienza che stavano facendo e usare parole speciali. Nel tempo, le diverse esperienze che si sono susseguite, le diverse n. 1 • settembre 2013 • anno CI età dei bambini, i contesti più o meno strutturati hanno mostrato delle modalità di esplorazione che si ripetono. Proprio da queste ripetute modalità di gioco dei bambini abbiamo estrapolato alcuni indicatori necessari per costituire un percorso di scoperta scientifica. • Quale “posizione” per l’adulto? Mettersi al fianco dei bambini anziché di fronte. Osservare il loro approccio, ascoltare le loro osservazioni e annotarle comporta un cambiamento di atteggiamento rispetto 7 dossier Educazione scientifica per l’infanzia 8 al bisogno” di porre loro delle domande “giuste”, nell’intenzione di preparare il terreno all’intervento dell’adulto. La posizione diversa comporta anche una funzione diversa del linguaggio che accompagna le esperienze. Nei laboratori si possono fare domande aperte per dare la possibilità ai bambini di descrivere verbalmente i fatti sui quali stanno già ponendo la loro attenzione. “Che cosa stai osservando?”. Come spiega Enrica Giordano, “attaccare le parole ai fatti è una parte della funzione dell’educatore, ma non nel senso di dare le nostre, ma invitare ad usare le parole per raccontare cosa sta ora accadendo, la differenza non è marginale ma sostanziale poiché la valenza cognitiva implicata è completamente diversa”. • Quali materiali proporre? Ci vuole tempo e pazienza per andare a cercare strumenti e oggetti che a contatto con l’acqua si bagnano, si inzuppano, lasciano passare, trattengono, schizzano, gocciolano, vanno giù e ci rimangono o tornano su. Queste e molte altre azioni le abbiamo sperimentate noi educatori (per poi sorprenderci nel vedere che i bambini ne trovano di inedite) e ci hanno permesso di costruire la nostra collezione di oggetti. Anche la scelta dei contenitori in cui raccogliere o far scorrere l’acqua è il risultato di uno studio. Le vasche sono di differenti dimensioni, trasparenti, infrangibili, con i bordi la cui altezza consente di riempirle con una giusta quantità di acqua, ma permette anche ai bambini di toccare il fondo. Abbiamo strutturato gli spazi interni ed esterni con l’obiettivo di permettere ai bambini di orientarsi facilmente riconoscendo le postazioni di gioco, di muoversi in sicurezza e ultimo ma egualmente importante, di giocare in un posto bello, curato, accogliente. • Chi sceglie? Ai bambini è lasciata la scelta di come cominciare il gioco, che sia partendo dal privilegiare il contatto acqua-mano piuttosto che usare subito un oggetto come intermediario. Come l’acqua è sempre in movimento, così i nostri laboratori sono in continuo mutamento. Le nostre osservazioni su cosa succede nel gioco dei bambini diventano input e punto di partenza per riprogettare l’offerta nel laboratorio, con accorgimenti tesi a migliorare le condizioni dell’esplorazione dei bambini. La narrazione di cosa abbiamo visto accadere prende strade differenti, tante quanti sono stati i bambini osservati. Davanti alla vasche ogni bambino ha fatto il suo “pasticciamento” giocando con gli oggetti messi a disposizione. L’attenzione del bambino è su cosa succede, ma nel contempo il suo sguardo abbraccia l’esperienza del compagno che gli gioca vicino. I bambini si guardano tra loro, s’imitano, commentano. I bambini, lo abbiamo già detto, provano e riprovano fino a che sentono di poter chiudere l’esperienza in atto per spostare l’attenzione e la concentrazione su altro, magari anche solo un altro particolare (aspetto o fenomeno) della stessa esperienza. per approfondire Scienza in gioco. Costruzioni d’acqua di adulti e bambini, Junior, Azzano San Paolo, 2004. n. 1 • settembre 2013 • anno CI Un percorso scientifico, a qualsiasi grado venga proposto, dovrebbe prevedere, almeno nelle sue prime fasi, un’osservazione diretta dei fenomeni. Questo è possibile per il cielo diurno, per il sole e per la luna, spesso visibile anche di giorno. Più difficile sembra invece lo studio a scuola del cielo della notte e delle stelle, affrontabile solo con qualche uscita serale/notturna. Ma molto si può riuscire a fare, per ovviare ai problemi logistici e di orario scolastico senza snaturare il senso e la metodologia del nostro insegnamento scientifico. I percorsi che seguono illustrano due progetti “astronomici” sperimentati in classi della Scuola dell’infanzia in occasione di due tesi di laurea in Scienze della Formazione Primaria presso l’Università di Milano Bicocca. Il primo, a cura di Sara Bartesaghi, avvicina i bambini alla comprensione delle ragioni dell’apparente mutare della forma della luna. Il secondo, a cura di Valentina Robati, è dedicato al cielo notturno tra mito e storia della scienza, tra osservazioni, fantasia ed immaginazione. Educazione scientifica per l’infanzia Chiunque alzando gli occhi al cielo, in una bella notte limpida, resta conquistato dallo spettacolo della volta celeste. Fin dai tempi più antichi l’uomo è stato affascinato dagli astri e dal cielo notturno e, con sempre maggior accuratezza, ha cercato di avvicinarlo a sé, osservandolo ed interpretandolo. Perché allora non avvicinarlo anche al mondo dei bambini, i quali sono dei maestri nello stupirsi ed incuriosirsi per ogni cosa? Troppo spesso si pensa che i bambini non siano ancora pronti cognitivamente ad affrontare le cosiddette scienze dure (ndr: dall’inglese hard, si intende matematica, fisica e chimica, “dure” per l’alto livello di formalizzazione e la difficoltà ad essere comprese). Ad esempio l’astronomia – fatta di calcoli, di misurazioni, di strumentazioni specifiche – sembra accessibile solo a menti matematiche. Questa immagine non rende giustizia alla conoscenza scientifica come impresa culturale, frutto di discussioni, di critiche, di fantasie e al bambino come individuo curioso, competente, capace di costruire la propria conoscenza attraverso l’esperienza e il confronto con gli altri. dossier Percorsi di astronomia V. R. “Ci sono tre lune diverse” Sara Bartesaghi* D urante l’anno dell’astronomia 2009, nella Scuola dell’infanzia comunale di via Giacosa a Milano, il progetto ha preso avvio dalla mia richiesta a un gruppo di bambini fra i 4 e 5 anni di costruire ciascuno una propria “luna” attraverso l’uso di materiali a scelta tra creta, carte e cartoni, stoffe, bottoni, brillantini, plastica, cotone, fili, nastri, carta stagnola… Le attività artistiche e manipolative risultano essere molto efficaci nel portare alla luce preconoscenze, immaginario, curiosità, domande, ed aiutano i bambini ad esprimere i propri saperi e idee sviluppandone di nuovi. Quando un bambino disegna o costruisce non fa solo una creazione artistica, ma contemporaneamente mette in gioco delle idee, le seleziona e ripensa, ristabilisce i contorni del problema, in un gioco continuo tra attività concreta e costruzione di conoscenza astratta. Fondamentale risulta accompagnare la realizzazione dei manufatti con parole e discussioni in cui si confronta cosa è stato fatto e perché: Lucas: “…poi con lo scotch l’ho chiusa e poi ho messo il cartone rosso e l’ho attaccato e ho messo anche la carta lucida.(…) eh perché è rotonda (la luna)… poi ho messo il giallo perché la luna è un pochino gialla… È anche un po’ brillante per quello ho messo il lucido”. Sara Bartesaghi * Laureata in Scienze della Formazione Primaria presso l’Università di Milano Bicocca. n. 1 • settembre 2013 • anno CI 9 dossier Educazione scientifica per l’infanzia 10 Lucas: “il sole è un pochino elettrico”. Ranim: “(la luna) è più spenta”. Lucas: “perché è un pochino argento… anche un pochino nera e un pochino pure gialla… però è anche un pochino argento e si vede al buio”. Alice: “… l’ho fatta così perché così potevo mettere il cotone, e poi qui su ho messo i brillantini”. Insegnante: “Come mai?”. Alice: “Perché sono belli”. Insegnante: “Così la tua luna diventava bella?”. Alice: “Sì e poi così si possono un po’ vedere di notte, e poi ho messo anche il riso bianco”. Ranim: “(parlando della carta stagnola) Perché così si attaccava ed era bello argento luccicoso, perché io la luna la vedo sempre bianca”. Si vede che i bambini hanno l’idea che la luna sia in grado di fare luce come il sole, da cui la differenziano più in termini quantitativi che qualitativi. La scelta dei materiali è caduta su quelli che secondo loro avrebbero riprodotto nei manufatti questa supposta caratteristica del satellite, essere visibili al buio (brillantini, paillettes, carta stagnola, carta lucida argentata, stoffe argento…). Queste discussioni su luna e materiali utilizzati per ricostruirla sono state arricchite da una successiva osservazione diretta e mattutina della luna nel parco che circonda la scuola. Siamo quindi tornati a lavorare all’interno. Ho proposto di osservare una “luna” costruita da me con la carta stagnola e posta dentro una scatola totalmente dipinta di nero al suo interno. Questo strumento è stato presentato come capace di riprodurre la situazione e l’immagine della luna di notte. Abbiamo chiuso bene la scatola in modo che non entrasse luce; i bambini quindi a turno hanno guardato al suo interno attraverso un foro nel cartone, aspettandosi di vedere una figura luccicante nel buio. Lucas: “Ma si vede tutto nero”. Dora: “Si vedeva tutto nero”. Lucas: “Forse si è mossa (la luna)… controlliamo!”. Insegnante: “Proviamo a controllare!”. Aperta la scatola si scopre che l’oggetto è ancora lì, attaccato al fondo con il velcro. Lucas: “Eh no è ancora lì… allora è perché il buco è troppo alto”. Ranim: “Posso riprovare a guardare?”. Insegnante: “Sì… cambiamo buco per vedere se questo è troppo alto?”. Ranim: “No...non si vede niente…”. Lucas: “Aspetta qui c’è una pila proviamo così. Insegnante: “Proviamo a metter dentro la luce”. Tutti: “Sì”. Ranim: “Io tengo la pila”. Alice: “L’ho vista adesso”. Dora: “Si vede”. Emiliano: “La palla… si vede la palla”. Lucas: “Si vede di più grazie alla mia idea… avete visto che avevo ragione”. Insegnante: “Ma allora questa luna qui…”. Lucas: “Si vede solo con questa (la pila)!”. Ranim: “Serve la luce anche se è tutta argento!”. Far emergere una problematica, creare una ragione di sorpresa, suscita nei bambini la voglia di costruire conoscenza e li mette in condizioni di svolgere ricerche. Lo stupore derivato dal fatto che le idee emerse attraverso la costruzione delle “lune” venissero disattese, ha dato il via a sperimentazioni, espen. 1 • settembre 2013 • anno CI Durante l’osservazione della candela: Ranim: “Guarda c’è la tua ombra nella luce… In ogni luce c’è un’ombra…”. Durante una seconda osservazione della “luna” argentata all’interno della scatola nera, successiva a tutte le varie esperienze su luci e ombre all’esterno: Insegnante: “Com’è?”. Emiliano: “Metà e l’altra…”. Lucas: “Non è tutta illuminata c’è una riga nera”. Insegnante: “C’è una riga nera?”. Lucas: “Sì… è così (mimando con il dito una linea di demarcazione) qua così, poi qua è tutta colorata e qua buia”. Ranim: “È un pochino più buia di qui”. dossier Educazione scientifica per l’infanzia aspetti della realtà quotidiana, quali sono luce e ombra, è stata l’occasione per esplicitare interpretazioni già esistenti e, attraverso un continuo scambio fra osservazione dei fatti, descrizioni e riflessioni interpretative, arricchire la conoscenza e l’analisi del fenomeno in questione. Siamo così arrivati a puntare l’attenzione sulla presenza sull’oggetto illuminato di parti in ombra e quindi su quelle che in arte si chiamano “ombre proprie”. Una volta notato che la sfera è in parte illuminata e in parte è in ombra, si tratta di arrivare a comprendere che un altro fattore importante entra in gioco: la posizione da cui la osserviamo. Le forme a noi visibili di oggetti tridimensionali, fra cui la luna, che non fanno luce loro stessi, dipendono dalla possibilità di osservare dalla propria posizione varie porzioni delle zone di luce e ombra sull’oggetto e quindi dalle posizioni reciproche di osservatore, sorgente di luce primaria e oggetto illuminato su un determinato sfondo. rienze e ricerche sul funzionamento della nostra vista, sul buio e su luci e ombre, senza che venisse per il momento esplicitato l’importante collegamento esistente fra esse e l’apparente mutamento della forma della luna. All’interno della scuola si è cercato il buio entrando in una stanza senza finestre o nascondendosi sotto le coperte. All’esterno in una bella giornata di sole si è cercato il buio nella luce attirando l’attenzione sulle ombre: si è cercato di scappare dalla nostra ombra, si sono fotografate e ricalcate le ombre nostre e di altri oggetti, si è osservata la fiamma e le ombre create da una candela in una zona poco illuminata. Il fare esperienza in modo consapevole, con occhi interrogativi e intento di ricerca, di questi n. 1 • settembre 2013 • anno CI 11 Educazione scientifica per l’infanzia dossier vedi così… perché là da me si vede finissima… se ti sposti là da me si vede diversa”. Alice: “Basta che ci spostiamo”. Insegnante: “Basta che vi spostiate?”. Alice: “O il faro”. Insegnante: “O ci spostiamo noi o spostiamo il faro?”. Alice: “E cambia la forma”. Emiliano: “Oppure spostiamo la palla”. 12 Senza fare riferimento esplicito alla luna, abbiamo inizialmente sperimentato in un contesto familiare con coinvolgimento corporeo ed emotivo diretto: abbiamo osservato i nostri corpi ed in particolare i nostri visi illuminati da un torcia in una stanza buia. È stata poi proposta una nuova situazione che prevedeva un pallone di gommapiuma, illuminato per mezzo di un faro direzionale spostabile appeso al centro della stanza, posizione che invitava a non assumere un punto di vista fisso come nel caso precedente e ad esplorare la tridimensionalità dell’oggetto. Si è chiesto ai bambini disposti liberamente attorno al pallone di disegnare come vedevano il pallone. Ognuno ripeteva il disegno ogni volta che veniva spostato il faro che lo illuminava. La diversa posizione dei bambini durante il disegno ha permesso di osservare come l’immagine bidimensionale a noi visibile dipendesse dalle posizioni reciproche non soltanto dell’oggetto e della sorgente di luce, ma anche di noi osservatori. Lucas: “Ma Emiliano stai sbagliando… la stai facendo troppo grossa… guardala è illuminata pochissimo”. Emiliano: “No, è grossa”. Lucas: “Ma non vedi che è finissima”. Emiliano: “Non è vero”. Lucas: “(avvicinandosi a Emiliano) ah ma tu la Da queste prime osservazioni sono partite varie sperimentazioni in cui si agiva prima liberamente poi in modo più controllato sulle variabili in gioco, arrivando a comprendere meglio le relazioni di causa-effetto e a prevedere cosa avrebbero prodotto le nostre azioni. Ad un certo punto l’attenzione dalla palla si è spostata sulla luna, introdotta dai bambini stessi: Lucas: “Ma sembra una luna”. Insegnante: “Sembra una luna?”. Lucas: “Sì, ha la stessa forma”. Insegnante: “E che forma ha la luna?”. Si è dato origine così ad una chiacchierata sulle varie forme con cui la luna ci appare ed è stata descritta come “rotonda”, “a volte ha la forma mezza”, “panciuta”, “ci sono tre modi diversi: una quella tutta cerchia, poi quella un po’ meno, poi quella magrissima”, “nello spazio la luna è rotonda ma noi la vediamo con le forme diverse, con noi cambia forma”. Per arricchire la conversazione si sono mostrate fotografie della luna nelle sue varie fasi e si è provato a ricreare le forme della luna in fotografia attraverso la palla e il faro. Si potrebbe pensare che dopo aver fatto vedere un possibile meccanismo di spiegazione delle fasi della luna l’argomento si potesse considerare concluso e l’idea acquisita. Ma non è così. “Le scoperte vengono fatte, osservate, perdute, e rifatte di nuovo… Quando la mente sta evolvendo… tutti noi dobbiamo superare la linea di separazione tra ignoranza e intuito più volte n. 1 • settembre 2013 • anno CI È un’idea errata che molti adulti hanno, che si tratti di un fenomeno di ombra della terra sulla luna o che possano entrare in qualche modo le nuvole. Ma attenzione le parole dei bambini sono difficili da interpretare e allora forse togliere non vuol dire quello che pensiamo noi. Lucas: “Perché si toglie tutto questo”. Insegnante: “Si toglie?”. Lucas: “Si toglie… cioè rimane lì ma è tutta nera”. Emiliano: “Perché, perché, perché qua c’è il nero e qua c’è la luce”. Lucas: “Perché qua diventa più buio”. Emiliano: “Perché quando è buio, buio non si vede proprio tutta… solo da una parte è illuminata, dall’altra è buia”. Emiliano sembrerebbe essersi appropriato della soluzione corretta eppure poi afferma: Emiliano: “Ci sono delle lune piene e lune mezze”. Insegnante: “Ci sono lune piene e lune mezze… ce ne sono tante diverse?”. Emiliano: “Sì, sì… Quelle piene sono uguali, quelle mezze non sono uguali”. Insegnante: “Ce ne sono mezze di diversi tipi?”. Emiliano: “Sì”. Ma Emiliano forse potrebbe avere ancora ragione, le lune a spicchi non sono tutte uguali, le lune piene sì, cosa intende questo bimbo quando dice che ci sono tante lune diverse? Ci sono o si vedono diverse? n. 1 • settembre 2013 • anno CI Per poter qui brevemente esporre ed analizzare il percorso effettuato è stato necessario linearizzarlo e accompagnarlo con interventi e frasi selezionate, necessariamente isolate dal contesto. Così facendo si rischia però di non dare l’idea della reale e più complessa dinamica di questa conversazione e dell’intero percorso su cui ci si è mossi seguendo il reale processo dei bambini; si è trattato di un andirivieni continuo di diverse idee, ipotesi, esperienze, emozioni. Non si è arrivati a un’interpretazione definitiva dei fatti e non si sono abbandonate del tutto le idee iniziali, che sono state comunque ampiamente arricchite attraverso nuove osservazioni e discussioni. I bambini di questa età fanno tante ipotesi diverse e per lavorare su queste le confrontano con i fatti, con quello che si vede, con le loro idee che cambiano a seconda di quello che vanno osservando e comprendendo. Non chiedono agli adulti di dire loro le cose come stanno, non cercano già fatte soluzioni a cui non possono arrivare da soli. Il salvaguardare questa peculiarità, senza quindi smentire le loro interpretazioni offrendone una nostra come più autorevole, ma proponendo esperienze che diano l’opportunità ai bambini di pensare in proprio, evita di trasmettere l’idea, poco proficua per arrivare a una conoscenza significativa, che a scuola tutte le domande hanno già una risposta pronta e definitiva. Le interpretazioni dei bambini non sono da considerare errori da eliminare e sostituire il prima possibile ma punto di partenza da arricchire vivendo nuove esperienze e facendo nuove osservazioni. dossier Lucas: “È perché è tolto un pezzo”. Alice: “No, non lo sapete”. Emiliano: “Era sopra il cielo perché è così, il pezzo è andato sopra il cielo”. Alice: “No, c’è una nuvola”. Insegnante: “C’è una nuvola che la copre?”. Lucas: “Non è vero… è perché era la luna piena e poi se ne è andato un pezzo”. Alice: “Il sole illumina tutto”. Ranim: “Anche la luna”. Emiliano: “E la luna piena diventa mezza… o si vede luna piena o luna mezza”. Alice: “Qua io la vedo piccolissima”. Emiliano: “Nera e piccolissima… se ci spostiamo qua vuol dire che vediamo luce… se ci spostiamo qua, vediamo mezzo luce e mezzo nero… La luce illumina la luna che illumina la notte… la luna illumina la notte”. Lucas: “Ma pochissimo”. Educazione scientifica per l’infanzia prima di capire veramente” ci dice Hawkins. In successive discussioni si torna sull’argomento: 13 Educazione scientifica per l’infanzia dossier Profumo di cielo Valentina Robati* C onvinta che fosse importante portare a scuola lo studio del cielo stellato ho pensato fin dalla progettazione del mio percorso ad alternative per ovviare ai limiti logistici e temporali imposti dalla scuola. Un possibile percorso può prevedere di ri-creare con i bambini in classe, attraverso materiali differenti, un cielo stellato andando così a riflettere sulle forme delle stelle, sul loro colore e sulle loro dimensioni. I bambini hanno tutti un’idea di cielo notturno, hanno delle loro teorie e delle loro curiosità che la manipolazione di oggetti e materiali rende visibile in modo concreto agli adulti e ai bambini stessi (vedi anche l’incipit del percorso di Sara Bartesaghi sulla luna). Oppure è possibile affrontare il tema astrale notturno, come ho fatto nella Scuola dell’infanzia di Pieranica, strutturando l’ambiente in modo da simulare la volta celeste all’interno della scuola, in una stanza buia con un proiettore e proporre attività che permettano ai bambini di approcciarsi in modo graduale ad argomenti astronomici in questo cielo simulato. Nel mio caso ho utilizzato un apparecchio in commercio, ma l’idea è nata dai bambini stessi: in una discussione uno di loro ha proposto “possiamo prendere una scatola tagliare delle forme di stelle e metterci una luce dentro che fa uscire le stelle”. Oltre ad un ambiente adeguato, è importante proporre attività attraverso metodologie che permettano sia di utilizzare i canali preferiti dai bambini, sia di riprodurre in interno ciò su cui si dovrebbe riflettere durante l’osservazione diretta all’esterno. Si possono utilizzare diverse tipologie di esperienze: attività di osservazione, narrative, di manipolazione o basate sui giochi corporei. Tra queste, l’aspetto narrativo risulta essere fondamentale, in parte per il coinvolgimento emotivo che porta inevitabilmente con sé, incentivando la partecipazione e l’immaginazione, ma anche perché permette di introdurre in modo naturali temi importanti, quale ad esempio, la dimensione storica del costruirsi della conoscenza scientifica. Se davvero si vogliono accompagnare i bambini Io conosco tante cose sulle stelle: ci sono le stelle comete, le stelle a punta, le stelle rotonde. Aurora, 4 anni alla scoperta dell’astronomia, come il tempo ha accompagnato gli antichi che per primi alzarono uno sguardo critico al cielo, allora bisogna partire dai miti e dalle leggende che hanno dato i nomi alle costellazioni, dalla fantasia e dall’immaginazione, avvicinandosi, attraverso la conoscenza di strumenti adatti e di personaggi rivoluzionari, all’Astronomia con la A maiuscola. Ad esempio, dopo aver osservato le costellazioni sul cielo proiettato, ne abbiamo create di nostre unendo dei puntini su un foglio e notando come dagli stessi punti è possibile ottenere figure diverse a seconda dell’immaginazione di ognuno. Le figure ottenute si possono inserire in storie che le colleghino per meglio ricordarle e riconoscere. Ho quindi deciso di dare valore alla loro esperienza narrando una storia, un mito, “che avevano inventato gli uomini, tanto tempo fa”. Si è deciso di utilizzare il mito dell’Orsa Maggiore, il quale ha molto appassionato i bambini e ci ha permesso di fare nuove conoscenze partendo dalle informazioni che esso ci aveva trasmesso: abbiamo scoperto la stella polare “che si trova proprio sulla coda del piccolo orso”, abbiamo capito attraverso giochi corporei e attività grafiche cosa ha di speciale ovvero è l’unica stella che vediamo ferma nel cielo e “serve ad aiutare i marinai per capire dove andare” (Leo, 5 anni). Questa narrazione aveva aperto la possibilità di esplorare mille percorsi diversi. Si sarebbe potuto continuare su un discorso più narrativo e iniziare a creare favole partendo dai personaggi del cielo dei bambini; si sarebbe potuto lavorare sul piano grafico e matematico con le linee spezzate delle costellazioni, gli andamenti sinuosi delle galassie o delle nebulose, o i cerchi delle stelle; si sarebbe potuto affrontare tutta la tematica sulle distanze delle stelle in una stessa costellazione nello spazio (e la Valentina Robati *Laureata in Scienze della Formazione Primaria presso l’Università di Milano Bicocca 14 n. 1 • settembre 2013 • anno CI n. 1 • settembre 2013 • anno CI dossier Educazione scientifica per l’infanzia conseguente profondità del cielo stellato), o lavorare sulla dimensione osservata degli oggetti a seconda della distanza a cui si trovano attraverso la creazione di modelli e procedendo per prove ed errori. Ho deciso però in questo percorso di farmi guidare prevalentemente dalle domande e dalle curiosità dei bambini. Lo studio del cielo è anche nell’immaginario collettivo legato agli “strumenti ottici”. È nato proprio dai piccoli un progressivo interesse per lenti, binocoli e cannocchiali. Si è dunque pensato, dopo un primo momento di “pasticciamento” in cui ognuno sperimentava liberamente questi strumenti in classe e nel giardino (stando attenti a non puntarli verso il sole!), di strutturare delle attività più specifiche nelle quali i bambini avrebbero dovuto osservare delle immagini da diverse distanze, in modo tale da comprendere l’utilità, la funzione e la precisione delle lenti. La connessione storica tra il cannocchiale e l’osservazione del cielo notturno, mi ha poi permesso di introdurre la figura di Galileo, di far conoscere la sua biografia attraverso una narrazione drammatizzata in cui mi sono travestita da Galileo e di osservare i suoi disegni dei pianeti, tratti direttamente senza nessuna modifica dal Sidereus Nuncius, la sua massima opera di divulgazione di astronomia. Siamo poi passati a giochi corporei, per permettere una rielaborazione intima di un fatto prima conosciuto solo teoricamente. Questo ha per- messo ai bambini di assumere punti di vista diversi, di “osservare” Giove e i suoi satelliti dalla Terra come visti da Galileo e poi dallo spazio, giungendo così alla conclusione che “quando dalla Terra si vedono tre (satelliti) è perché uno si nasconde dietro a Giove che è grasso” (Gaia 4 anni). Tenendo sempre presente la tensione didattica tra ciò che si vuole proporre e le conoscenze dei bambini, il percorso deve essere strutturato come un progetto che va costruendosi in itinere in base alle loro domande, curiosità e interessi e alle risorse e ai vincoli del contesto. Così grazie all’abilità dei bambini di passare dal mondo simbolico al mondo reale, come avviene nel gioco “del far finta”, è stato possibile proporre loro diverse rappresentazioni del cielo (narrazioni, proiezioni, modelli in scala, rappresentazioni corporee) utilizzandone sempre più di una per uno stesso fatto così da non indurre la confusione tra ciò che accade e ciò che è rappresentazione e analogia finalizzata all’apprendimento. Consapevole che per le cose “vicine” l’osservazione diretta sia insostituibile, credo però che per i bambini le stelle e i pianeti reali siano entità così lontane e irraggiungibili che anche quelli simulati possano sostituire degnamente quelli osservabili nel cielo notturno, superando così i vincoli che il contesto scolastico pone. Ma per rimanere coerenti alle scelte didattiche e metodologiche di fondo, di una educazione scientifica attiva e partecipata, la simulazione deve avvenire in uno spazio che permetta ai bambini di muoversi e osservare da diverse prospettive, li rassicuri ma sia analogo allo spazio aperto, che avvicini il cielo ma non lo trasformi in un disegno statico, che ne riproduca i movimenti osservati, che sia un piccolo ricco cielo a misura di bambino. per approfondire Gruppo di ricerca Pedagogia del Cielo del MCE, A scuola di miti e scienza, Junior, Bergamo, 2009. D. Hawkins, Pasticciando con le scienze, in Imparare a vedere. Saggi sull’apprendimento e sulla natura umana, Loescher, Torino 1979. 15 Educazione scientifica per l’infanzia dossier Antonella Pezzotti* Esperienze di biologia tra ambienti di apprendimento outdoor e indoor O ccuparsi di temi legati agli organismi viventi significa cercare di capire come sono fatti, come mangiano, come si accoppiano, come comunicano con l’esterno, come si comportano in determinate situazioni, ecc. Per comprendere in modo significativo anche solo alcuni di questi aspetti sono necessarie esperienze dirette e personali in cui ciascun bambino, con il proprio bagaglio di esperienze e conoscenze, sperimenti il piacere di scoprire “dal vero” quello che fanno i viventi. L’apprendimento costruito su attività concrete, in cui il lavoro di tipo pratico sia integrato alla riflessione sull’esperienza vissuta, risulta sicuramente più efficace. È quanto suggeriscono le Indicazioni ministeriali, in cui è sottolineato il ruolo centrale dell’esperienza e della dimensione laboratoriale, cioè di quella “modalità di lavoro che meglio incoraggia la ricerca e la progettualità, coinvolge gli alunni nel pensare, realizzare, valutare attività vissute in modo condiviso e partecipato con altri, e può essere attivata sia nei diversi spazi e occasioni interni alla scuola sia valorizzando il territorio come risorsa per l’apprendimento”. Che cosa si intende per laboratorio? Come spiega Bersisa, il laboratorio non è soltanto uno spazio fisico, ma anche e soprattutto un “luogo privilegiato dove è possibile mettere in atto la metodologia della ricerca”, cioè un luogo in cui si fanno e si condividono osservazioni, si produce documentazione (con disegni, descrizioni, schemi), si fanno ipotesi e le si mettono alla prova dei fatti, ecc. Il laboratorio non è solo un’aula attrezzata: può essere un angolo della classe dedicato a una particolare attività, una sezione del museo o della biblioteca, ma anche un orto botanico, un bosco, un prato, uno stagno; può essere anche un setting didattico costruito ad hoc all’interno di strutture meno tradizionalmente vicine alla scuola, per esempio giardini pubblici, supermercati, centri per l’educazione informale, ecc. Nel laboratorio non ci si limita a manipolare: questo non basta, non è la strada giusta per fornire ai bambini quel bagaglio di conoscenze e competenze da spendere anche e soprattutto al di fuori di quello specifico contesto, al di fuori della scuola. Il lavoro di tipo pratico deve essere sempre affiancato da un certo grado di riflessività, di consapevolezza, di pensiero. Il concetto di laboratorio così inteso si inserisce in quello più ampio di ambiente di apprendimento, da intendersi come luogo fisico ma anche come luogo mentale e sociale fatto di azioni, pratiche didattiche, relazioni. Seguendo il pensiero di Antonietti e di Carletti e Varani, l’ambiente di apprendimento è uno spazio di esperienza, di riflessione, di condivisione, di elaborazione, di assegnazione di significati; è un luogo in cui una serie di attività si realizzano con l’obiettivo di favorire l’apprendimento e in cui gli attori possono contare su una serie di supporti materiali e sulla collaborazione con gli altri. È importante quindi che gli insegnanti propongano esperienze pratiche di biologia e che lo facciano predisponendo ex novo oppure adattando opportuni ambienti di apprendimento sia interni sia esterni alla scuola: l’angolo con le teche per l’allevamento d’insetti, l’angolo con il cartellone della memoria su cui raccontare le fasi delle esperienze vissute, il giardino per osservare i cambiamenti degli alberi, lo stagno per osservare uova, girini e rane, ecc. La scelta e la preparazione dell’ambiente di apprendimento devono costituire la prima fase di ogni progettualità educativa, fin dalla Scuola dell’infanzia. Se nello scenario predisposto si vuole portare avanti un lavoro di tipo cognitivo e non “fare semplicemente delle cose”, occorre dedicare alla sua preparazione particolare cura e attenzione. Questo aspetto è molto importante nel caso di esperienze di biologia, per realizzare le quali occorre un luogo “emblematico”, speciale, in cui l’allestimento sia funzionale al tipo di lavoro che vi si svolgerà. Inoltre, aspetto non meno importante, l’ambiente di apprendimento deve piacere, risultare accattivante, deve invogliare i bambini che si apprestano a fare delle attività. Nella fase di preparazione del luogo per le esperienze l’insegnante deve trovare il modo di attivare nei bambini quella zona delicata ma fondamentale che li farà stare più attenti, li renderà curiosi, offrirà loro l’opportunità di esercitare un’azione creativa nei confronti del proprio imparare. E gli ambienti esterni? Uguale attenzione e cura Antonella Pezzotti * Dottore di ricerca, Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “Riccardo Massa” 16 n. 1 • settembre 2013 • anno CI 1. L’ecosistema albero Argomento Gli alberi sono una grande risorsa e offrono una quantità immensa di materiale da osservare, toccare, odorare, assaggiare, raccogliere, trasportare, n. 1 • settembre 2013 • anno CI Ambienti di apprendimento L’ambiente outdoor è costituito da un parco, un giardino o un bosco di facile accesso in cui si trovino diverse specie arboree (in modo da consentire riflessioni sul concetto di biodiversità e sull’importanza della sua salvaguardia) e in cui sia presente almeno un albero importante, di grandi dimensioni. L’ambiente indoor è costituito dalla sezione in cui siano organizzabili un angolo scientifico per le osservazioni (banchi che consentano la circolazione dei bambini tra i diversi gruppi di lavoro, buona illuminazione, lenti di ingrandimento, vaschette, contenitori e cesti per la raccolta e l’esposizione dei materiali, lastre in plexiglas per osservare sia da sopra sia da sotto) e un angolo per le attività artistiche, dotato di tutti i materiali per le rappresentazioni pittoriche, la realizzazione di modelli, ecc. dossier studiare con approfondimenti diversi, utilizzare per colorare, ecc. Pensiamo alle gemme, fiori, frutti, semi, foglie, rametti, cortecce, radici… Inoltre, se ci si avvicina ad una pianta con attenzione ci si accorge che essa ospita, nasconde, attira una miriade di organismi viventi: uccelli che si posano sui rami o vi fanno il nido, insetti che corrono su e giù per il tronco, altri insetti che mangiano le foglie, funghi che crescono sulla corteccia, ecc. Gli alberi instaurano infatti una fitta e intricata rete di relazioni con l’ambiente in cui vivono, con le altre piante, con gli animali, con i funghi e con i batteri. Pertanto, sono da considerarsi dei veri e propri ecosistemi e in quanto tali si prestano a ricche esplorazioni. Sul campo si individua un albero e lo si studia nella sua totalità, cercando di cogliere anche solo alcune delle relazioni che lo vedono protagonista; all’interno della sezione si studiano più in dettaglio alcuni elementi dell’ecosistema. Educazione scientifica per l’infanzia vanno date alla scelta degli ambienti esterni: devono essere ambienti piacevoli, stimolanti, accattivanti… ma soprattutto deve essere piacevole, stimolante e accattivante l’approccio all’utilizzo dell’ambiente e il lavoro che viene proposto (come ci ricorda Bortolotti). Il rischio, altrimenti, è quello di sminuire il significato didattico ed educativo dell’uscita sul campo. L’idea di uscire all’aria aperta entusiasma sempre moltissimo i bambini. Il giardino della scuola è già un buon punto di partenza per scoprire la varietà di organismi che vi trovano dimora. Il giardino è certamente il luogo adatto per lo svago, il gioco, il relax, ma può diventare anche un luogo di scoperta, di caccia, di raccolta, di incontro con la natura. Un luogo, quindi, in cui poter fare esperienze di biologia. Così inteso il giardino è un giardino segreto. Ritscher ci dice che: “Per i bambini, ogni spazio esterno è, in certi sensi, “segreto”. È segreto perché la natura è piena di segreti e offre un’infinità di attrazioni, anche piccolissime, da esplorare”. Lo sforzo che deve fare l’insegnante è quello di assecondare il naturale interesse dei bambini nei confronti degli organismi viventi e trasformare il giardino della scuola, il bosco, lo stagno in contesti di apprendimento, in teatri di esplorazioni, di osservazioni, di indagine, di raccolta di dati e di materiale… in luoghi in cui si può entrare in stretto contatto con l’ambiente naturale e con gli organismi viventi (vedi Gambini, Galimberti, 2010). Come utilizzare questi ambienti di apprendimento indoor e outdoor per proporre esperienze di biologia? Cosa è possibile fare outdoor? E cosa indoor? Sul campo è difficile ottenere l’attenzione e il raccoglimento necessari per discutere, per riflettere, rielaborare, ecc. Risulta più adatto per tale scopo lo spazio interno (come sostengono Gambini, Galimberti, 2009). Ma lo spazio interno, opportunamente organizzato, è utile anche per conservare i materiali raccolti fuori, per “far crescere”, per allevare, per monitorare, per documentare e tenere memoria. Di seguito sono illustrate tre esperienze di biologia che si basano sul lavoro svolto in classe durante il proprio tirocinio finale da tre laureate in Scienze della Formazione primaria, rispettivamente da Monica Nebuloni, Elena Brambilla, Valentina Borgo. Sono progetti proponibili in classi di Scuola dell’infanzia e caratterizzati da una stretta continuità e integrazione tra attività da svolgersi outdoor e attività da svolgersi indoor. Fasi dell’esperienza • A partire dalla domanda stimolo “Cosa è per te un albero?” si avvia una conversazione per raccogliere le idee dei bambini relativamente all’argomento di studio. In seguito si chiede loro di disegnare un albero, così come se lo rappresentano mentalmente. Il materiale così raccolto costituisce la base su cui l’insegnante costruisce le successive fasi del percorso. • Durante la prima uscita si propone un’osservazione generale degli alberi del parco e la realizzazione di un disegno “dal vero”. L’uscita può essere fatta anche in inverno, durante il quale è possibile osservare la struttura degli alberi, la disposizione dei rami, la presenza di nidi di uccelli. • Mettendo a confronto i disegni realizzati sul campo ci si rende subito conto che gli alberi 17 dossier Educazione scientifica per l’infanzia • • • • sono molto diversi tra loro (concetto di biodiversità). Di fronte ai diversi alberi del parco si può proporre il gioco del mimo: dopo aver osservato la loro struttura generale e la disposizione dei rami, si chiede ai bambini di rappresentarli con il corpo e di immaginare cosa succeda ai rami in caso di pioggia, sole, neve, vento, ecc. Al termine di queste attività, mirate a far acquisire familiarità con l’oggetto di studio, si ripropone la domanda stimolo “Cosa è per te un albero?” e si chiede una nuova rappresentazione. I dati così raccolti, messi a confronto con quelli precedenti e con i successivi, costituiscono un importante strumento di valutazione dell’efficacia del percorso che si sta proponendo. Il percorso si concentra ora su un solo albero da studiare in quanto ecosistema attraverso diverse uscite sul campo mirate a esaminare di volta in volta nuovi aspetti e nuove relazioni. Si osservano gli organi della pianta (tronco, rami, foglie, fiori, frutti), ma anche gli animali e gli altri organismi in relazione ad essa (muschio e funghi sul tronco, piccoli animali sulla e dentro la corteccia, uccelli che si posano sui rami). Le esplorazioni sono di tipo multisensoriale: si tocca con le mani, con la schiena e con la pancia; si va alla ricerca di profumi, si osserva con strumenti diversi, si ascoltano i suoni e i rumori. Il desiderio di raccogliere materiale è sempre molto forte nei bambini: è necessario quindi uscire sempre con palette per scavare tra le radici e raccogliere terriccio, cestini in cui riporre legnetti e pezzetti di cortecce, sacchetti in cui raccogliere fiori e foglie, contenitori trasparenti con coperchio bucherellato per mantenere gli animali, ecc. Da non dimenticare le lenti d’ingrandimento per osservare i dettagli e, come suggerito da Gambini e Galimberti, il finto cannocchiale (cioè un tubo di cartone come quello della carta da cucina) per focalizzare l’attenzione sulle parti lontane. Si porta nell’angolo scientifico tutto il materiale raccolto per osservarlo e manipolarlo nel Fasi dell’esperienza “L’ecosistema albero” Indoor • Avvio e raccolta delle idee. • Analisi dei disegni e prime riflessioni sulla biodiversità. • Discussione. • Studio del materiale naturale, disegni e documentazione. • Realizzazione del prodotto collettivo e discussione finale. 18 Outdoor • Osservazione generale degli alberi e disegno. • Gioco del mimo. • Osservazioni multisensoriali, studio dell’ecosistema albero, raccolta di materiale. dettaglio. Si lavora per esempio sulla forma, dimensione, consistenza, colore, profumo delle foglie e sulla loro diversità. Si analizzano cortecce per scoprire i rifugi o le tracce di piccoli animali, si osservano con la lente di ingrandimento gli animali catturati, ecc. Le osservazioni, guidate dall’insegnante, sono documentate con fotografie, disegni e altre rappresentazioni artistiche. • Oltre ai prodotti realizzati individualmente dai bambini si può proporre, alla fine, la realizzazione di un prodotto collettivo che coinvolga tutta la sezione, per esempio il modello tridimensionale dell’albero e di tutti gli altri viventi ad esso relazionati. Per cercare di riprodurre le sensazioni e le percezioni provate dai bambini durante l’esperienza diretta è opportuno utilizzare, oltre al materiale presente in sezione (stoffe, carta, cartone, bottoni, sughero, ecc.), il materiale naturale raccolto sul campo: pezzi di Descrizione dell’albero di una bambina durante la discussione finale Un albero è una cosa della natura. Fuori ha la corteccia che è ruvida; poi sulla corteccia sono cresciuti il muschio e i funghi. La corteccia serve all’albero per proteggersi. Le foglie servono per bere, nel senso che ci sono i tubicini. Le radici servono a tenere in piedi l’albero. Le radici prendono anche il cibo dalla terra, che poi sale fino alle foglie. Sulla quercia ci sono tanti animali; noi abbiamo trovato il bruco, la coccinella, la formica, il ragno, il millepiedi, la forbicina, il lombrico. Gli animali stanno sulla quercia perché ci sono tante cose. n. 1 • settembre 2013 • anno CI Argomento Le radici sono organi delle piante di cui nella scuola si fa poca esperienza pratica e ai quali non sempre si guarda con l’intento di coglierne la diversità, le funzioni e le relazioni che instaurano con altri organismi e con l’ambiente. Le radici, quindi, sono generalmente poco conosciute dai bambini. Proprio per questa ragione è importante proporre esperienze dirette per mostrarne alcuni aspetti della biologia e dell’ecologia. In una fase outdoor, da svolgersi nel giardino della scuola o in un parco, è possibile andare a caccia di radici e osservarle così come sono nell’ambiente: le radici degli alberi sono talvolta molto contorte, o assumono forme strane per “aggirare” gli ostacoli. Inoltre, scavando in prossimità delle radici, ci si accorge che attorno ad esse ci sono numerose forme di vita: animali che vi trovano rifugio, animali che le mangiano, radici di altre piante con le quali si attorcigliano, ecc. Le osservazioni sul campo consentono quindi di approfondire la conoscenza di un organo delle piante inserito nel proprio contesto ambientale e quindi caratterizzato da moltissime relazioni. In classe, invece, si possono fare esperienze mirate a seguire la crescita di radici appartenenti a specie vegetali diverse, al fine di metterne in evidenza le peculiarità, i cambiamenti nel tempo e la variabilità morfologica. La coltivazione delle piante è un’ottima opportunità per stabilire una relazione di cura e per responsabilizzare i bambini alla sopravvivenza di organismi viventi. Ambienti di apprendimento L’ambiente outdoor è costituito da un giardino (anche quello della scuola), da un parco o un bosco in cui sia possibile osservare radici di alberi diversi. Molto interessante sarebbe anche avere a disposizione (o realizzare) un’aiuola dedicata in cui piantare le talee che si saranno formate in classe. L’ambiente indoor è costituito dalla sezione in cui sia organizzabile, oltre all’angolo in cui svolgere il lavoro di osservazione, un angolo delle piantine, ossia un angolo/spazio in cui riporre, ad altezza di bambino (quindi su un tavolino basso o su una panca), i contenitori per mantenere le specie vegetali scelte per l’osservazione della crescita delle radici. • • • • dossier 2. Le radici aggiunta) la visione di alcuni libri per l’infanzia illustrati in cui siano messe ben in evidenza le radici degli alberi. A partire dallo stimolo iniziale si avvia poi una discussione per raccogliere le prime idee dei bambini relativamente alle radici, le loro domande, i loro interessi. Si entra nel vivo dell’esperienza e si propone ai bambini di andare a caccia di radici: per osservarle, toccarle, seguirne il percorso tortuoso, descriverle, disegnarle. Si possono scavare piccole buche per scovare le parti di radici che si nascondono sottoterra, o per trovare qualche piccolo animale che vive nelle loro vicinanze. Quest’attività, proposta come una sorta di gioco, consente di focalizzare l’interesse dei bambini nei confronti dell’oggetto di studio e di avvicinarli fin da subito al concetto di biodiversità. Al rientro in sezione si discute di quanto è stato fatto e visto fuori. L’insegnante, poi, introduce la possibilità di coltivare delle radici in classe e coinvolge i bambini nella progettazione dell’angolo in cui mantenere le piantine. Per monitorare la crescita delle radici durante la formazione di talee si immergono in acqua, in appositi contenitori, rami potati da piante diverse. Parti di piante alimentari (patata, cipolla, ravanello) sono invece mantenute al pelo dell’acqua, sorrette da lunghi stuzzicadenti. Osservando periodicamente le piantine, i bambini si accorgono che non tutte sviluppano le radici nello stesso modo e con la stessa velocità e che le radici sono morfologicamente diverse tra loro: ciascuna ha delle peculiarità che la distingue dalle altre. La crescita e i cambiamenti delle radici sono costantemente documentati sia attraverso la registrazione delle conversazioni tra insegnante e bambini, sia attraverso la realizzazione di un cartellone delle crescite - in cui si riportano descrizioni e fotografie dei momenti più significativi - sia attraverso i disegni “dal vero” realizzati dai bambini. In aggiunta ai disegni si può proporre la riproduzione delle diverse radici Educazione scientifica per l’infanzia corteccia, muschio, funghi, rami, foglie, ecc. Al termine di tutte le attività si intavola un’ultima discussione e si fa una sintesi del lavoro fatto. Fasi dell’esperienza • Si può introdurre l’esperienza attraverso la lettura di una storia, anche inventata, oppure (o in n. 1 • settembre 2013 • anno CI 19 Fasi dell’esperienza “Le radici” Educazione scientifica per l’infanzia dossier Indoor • Avvio e raccolta delle idee. • Discussione e preparazione angolo delle piantine • Coltivazione delle piantine, osservazioni e monitoraggio. • Documentazione e attività artistiche. Outdoor • A caccia di radici. • Impianto in terra e osservazione delle piante in ambiente. Conversazione tra insegnante e bambini D: Guardate la menta … le radici sono cresciute tanto. G: Sono bianchissime … e sottili sottili. Dobbiamo stare attenti a toccarle, sennò si rompono. El: Guardate le cipolle. I germogli sono cresciuti ancora! F: Sì, ma sotto ci sono anche delle radici bianche. El: Sono bianche come quelle della menta, però sono più grosse. Ins: E le altre piantine? D: Non è successo ancora nulla … ci vuole pazienza. M: La menta è stata veloce, ma non tutte le piantine crescono insieme. F: Eh sì, perché sono tutte piantine diverse. utilizzando fili di lana, di cotone e cordine di diverso spessore da attaccare a un cartoncino. Scegliendo i fili più adatti i bambini si soffermano ancora una volta sulle caratteristiche delle radici e, ancora una volta, si accorgono della diversità di lunghezza, spessore, direzionalità. • Si conclude l’esperienza con l’impianto in terra, nell’aiuola dedicata, delle talee che si sono formate in precedenza. In questo modo, ancora una volta, si ha la possibilità di ritornare nell’ambiente per nuove osservazioni, non più delle radici, ma delle piantine nella loro totalità. Ciò può costituire uno spunto per ulteriori esperienze mirate ad osservare altri organi e altri aspetti delle piante. 3. La Vanessa dell’ortica Argomento Quando si sceglie di allevare piccoli animali in classe la fase di preparazione è particolarmente importante. Occorre pensare e progettare con cura l’ambiente in cui dovrà essere mantenuto l’animale, occorre studiare attentamente le sue esigenze, l’ambiente in cui vive e le relazioni che esso instaura. Come illustrano anche Gambini, Galimberti e Borgo, proporre ai bambini lo studio di un particolare animale, tenendolo per un po’ di tempo in classe, è molto importante e utile ai fini della comprensione di alcune sue caratteristiche biologiche, del suo ciclo vitale, dei suoi comporta- 20 menti, ecc. Tuttavia è fondamentale non escludere il legame con il contesto naturale in cui l’animale vive. Questo legame deve essere mantenuto vivo e ripreso durante l’esperienza di allevamento. Le relazioni alimentari sono un aspetto pregnante di questo intrico di interazioni. La strettissima relazione tra animale e fonte di cibo è ben evidente nel caso della Vanessa (come per molti insetti), che, allo stadio larvale, si nutre esclusivamente di foglie di ortica. Diverse uscite presso un orticaio vicino alla scuola consentono non solo di responsabilizzare i bambini nel mantenere e prendersi cura degli animali, ma anche di tornare di continuo alla visione d’insieme dell’ambiente naturale delle larve e associare, quindi, quanto osservato in classe a quanto avviene in natura. Ancora meglio sarebbe allestire un giardino dotato delle piante nutrici della Vanessa, sia allo stadio larvale che a quello adulto. Questo consentirebbe di liberarvi le farfalle “nate” in sezione, assistere al loro accoppiamento, andare alla ricerca di crisalidi e uova e vedere le larve appena nate. Si potrebbero così individuare e ricostruire nell’ambiente naturale alcuni componenti e le loro relazioni osservati nella fase di “laboratorio” allestita in classe. Ambienti di apprendimento All’interno della classe va predisposto un angolo luminoso (ma non esposto alla luce diretta del sole) in cui posizionare una o più teche per mantenere le larve. L’angolo deve essere sufficientemente ampio per consentire l’osservazione ai diversi gruppi di bambini e la sua fruizione deve essere regolata da regole specifiche concordate insieme ai bambini. Particolare cura va data anche alla realizzazione delle teche: occorre prevedere un soffitto e delle pareti fatti di tulle per far sì che le larve possano aggrapparsi e impuparsi, una base rivestita di carta assorbente (facilmente sostituibile se si sporca), un vasetto per contenere i rametti di ortica. L’ambiente outdoor è costituito da un orticaio o, meglio ancora, da un piccolo giardino ricco di piante che con i loro fiori attirino le farfalle e, ovviamente, di ortiche le cui foglie serviranno da nutrimento per le larve. Fasi dell’esperienza • Un modo creativo per avviare il lavoro potrebbe essere quello di proporre l’osservazione di alcune diapositive proiettate in sequenza, ciascuna delle quali presenti via via un particolare in più del corpo di una farfalla (per esempio, con la prima si proietta sul muro l’ombra di un’ala, con la seconda due ali e così via). • Le osservazioni avvengono a piccoli gruppi per consentire a tutti di osservare con attenzione, di accorgersi dei cambiamenti degli animali, dei n. 1 • settembre 2013 • anno CI loro comportamenti, della loro diversità. Quotidianamente si chiede ai bambini di raccontare ciò che vedono, ponendo domande-stimolo qualora lo si ritenga opportuno. Ogni volta che nelle teche succede qualcosa di speciale (per esempio quando si nota la prima cacca, quando si forma la prima crisalide, quando questa cambia di colore…) si chiede ai bambini di rappresentare graficamente l’evento. Ovviamente per tutta la durata dell’esperienza è necessario uscire frequentemente sul campo per raccogliere foglie di ortica fresche. • Parallelamente all’osservazione si possono proporre altre attività, per esempio la drammatizzazione. In questo caso si chiede ai bambini di immedesimarsi nei bruchi e di cercare il cibo, fare la muta e diventare bruchi più grandi, trasformarsi in crisalidi e così via. Un’altra attività che si può proporre è la realizzazione di un modello tridimensionale di bruco e farfalla utilizzando il pongo, il cartoncino, le bottiglie di plastica, i colori. • L’esperienza si conclude con la realizzazione di un prodotto collettivo, per esempio un libro in cui inserire disegni, materiale seccato, fotografie, commenti trascritti dall’insegnante. Questo prodotto può essere utilizzato per riflettere e fissare nella memoria l’esperienza, per capire l’importanza del ripensare a quello che si fa, del far diventare prodotto culturale anche l’osservazione divertita e attenta di un animale ospitato in classe per un certo periodo. Fasi dell’esperienza “La Vanessa dell’ortica” Indoor • Avvio e raccolta delle idee. • Allevamento di Vanesse, osservazioni, monitoraggio, documentazione. • Attività parallele. • Realizzazione di un prodotto collettivo. Outdoor • Raccolta delle foglie di ortica. • Liberazione delle farfalle, osservazioni e nuove raccolte. n. 1 • settembre 2013 • anno CI per approfondire A. Antonietti, Contesti di sviluppo-apprendimento come scenari di scuola, in C. Scurati (a cura di), Infanzia scenari di scuola, Editrice La scuola, Brescia 2003. M. Bersisa, Il laboratorio di scienze: tecniche e attrezzature, in V. Alfieri, M. Arcà, P. Guidoni, I modi di fare scienze, IRRSAE Piemonte, Bollati Boringhieri, Torino 2000, p. 435. dossier Educazione scientifica per l’infanzia • Via via che le farfalle nascono, occorre liberarle per evitare che si feriscano nello spazio ristretto delle teche. Se si è avuta la possibilità di allestire un apposto giardino, è possibile ritornarci frequentemente per osservare le farfalle adulte, l’eventuale corteggiamento e, se si ha fortuna, anche per scovare le successive uova e larve. A. Bortolotti, Outdoor education, ovvero alla scoperta dei (molti) motivi per fare scuola all’aperto, “Infanzia”, 6, 2011. A. Carletti, A. Varani, Ambienti di apprendimento e nuove tecnologie, Erickson, Trento 2007. A. Gambini, B. Galimberti, Materiali e spazi tra fuori e dentro, “Bambini”, 8, 2009. A. Gambini, B. Galimberti, Ambienti, animali e piante nella scuola dell’infanzia. Linee-guida per progettare e realizzare percorsi di biologia con bambini da 3 a 6 anni, Junior, Bergamo 2010. A. Gambini, B. Galimberti, V. Borgo, Dai bruchi alle farfalle, “Bambini”, 4, 2010. MIUR, Indicazioni per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, Roma 4 settembre 2012. Consultabile in: http://hubmiur. pubblica.istruzione.it/web/istruzione/prot5559_12 A. Pezzotti, Proposta di analisi pedagogica delle interazioni che si sviluppano nei forum di un ambiente di apprendimento virtuale. Il caso del corso online di didattica della biologia. Tesi di Dottorato, 2011. Consultabile presso: http://boa.unimib.it/ handle/10281/19279?mode=full#.UTnVDRxWySo P. Ritscher, Il giardino dei segreti: organizzare e vivere gli spazi esterni nei servizi per l’infanzia, Junior, Bergamo 2002, p. 6. 21