Educazione scientifica per l`infanzia

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Educazione scientifica per l`infanzia
Introduzione
“Non c’è niente di più importante per il futuro del mondo, del modo in cui prepariamo la prossima
generazione” dice Bruce Alberts, Editor della prestigiosa rivista “Science” nel numero dell’agosto
2011 tutto dedicato all’educazione dell’infanzia.
La società italiana purtroppo ha sempre considerato gli aspetti matematici e scientifici come
tecnici e difficili, lontani dalla prima formazione e affrontabili solo a livelli alti d’istruzione.
Negli ultimi anni però risulta sempre più evidente, da ricerche svolte sia in contesti reali di apprendimento sia in condizioni sperimentali che i bambini sono molto competenti; fin da molto
piccoli hanno idee intuitive sul mondo fisico e biologico che li circonda, esplorano sperimentando, fanno previsioni e le mettono alla prova dei fatti, cercano spiegazioni causali coerenti per
fenomeni che ritengono simili. In una parola sembrano procedere in modo molto simile al modo
di indagare scientifico, al “provando e riprovando” che da Galileo in poi una delle più prestigiose
società scientifiche, l’Accademia del Cimento, ha come suo motto.
Questi bambini hanno diritto ad una educazione scientifica efficace ed appropriata al loro livello.
Un’educazione che si inserisca nel processo di sviluppo naturale dei bambini, che ne potenzi lo
sviluppo spontaneo, che sia attenta non a introdurre troppo precocemente i risultati della scienza,
ma che incoraggi piuttosto l’appropriarsi dei suoi metodi e delle sue procedure: esplorare, descrivere e rappresentare in diversi linguaggi, immaginare, cercare somiglianze e analogie, costruire
modelli, confrontarsi con altri e difendere le proprie idee argomentando.
Questo richiede la guida attenta e non invasiva di adulti preparati a incoraggiare l’esplorazione attiva dei bambini offrendo loro possibilità d’interazione diretta con oggetti e fenomeni del mondo,
in ambienti sicuri e accoglienti, che favoriscano la loro crescita emotiva, sociale e cognitiva in
modo equilibrato.
“Le buone scuole cominciano da quello di cui i bambini sono già padroni di fatto, poi sondano
quello che di fatto stanno apprendendo e continuano con quello che di fatto porta avanti il loro
coinvolgimento” diceva Hawkins nel lontano 1965.
dossier
a cura di Enrica Giordano
Educazione scientifica per l’infanzia
Educazione scientifica
per l’infanzia
per approfondire
D. Hawkins, Pasticciando con le scienze, in Imparare a vedere, Loescher, Torino 1979.
Sommario
Piccoli scienziati crescono
Enrica Giordano
Il gioco con l’acqua
Giocheria Laboratori
Percorsi di astronomia
“Ci son tre lune diverse”
Sara Bartesaghi
Profumo di cielo
Valentina Robati
Esperienze di biologia
tra ambienti di apprendimento
outdoor e indoor
Antonella Pezzotti
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Enrica Giordano*
Educazione scientifica per l’infanzia
dossier
Piccoli scienziati crescono
U
no dei temi che proponiamo negli articoli
che seguono è l’acqua. Molti di noi si sono
sentiti ripetere a scuola che l’acqua è “incolore,
inodore, insapore e senza forma”.
Ma ne siamo sicuri? Proviamo a guardarci intorno e a sperimentare. La superficie dell’acqua
ferma in un bicchiere ha una sua forma, piatta,
orizzontale; cosa cambia se inclino il bicchiere?
E come dire che non hanno forma le gocce che
scendono da un rubinetto, che si appoggiano
sul vetro o sull’ombrello, sulle foglie o sulle ragnatele? E poi, se è insapore, perché si parla di
acqua dolce e salata? E se è incolore perché la si
disegna di colore azzurro?
Vogliamo che i bambini ci ripetano queste parole stereotipate? Piuttosto lasciamo che sperimentino con l’acqua e i suoi veri comportamenti
in interazione con oggetti e materiali di vario
tipo. E che trovino i gesti, i disegni, le parole,
per descrivere quello che hanno osservato: “La
forma dell’acqua è tutta sparpagliata” dice una
bimba. Cosa significa bagnare? Sono bagnate
le mani e il fazzoletto, ma in due modi diversi.
L’acqua bagna, ma è bagnata? E cosa intendiamo quando diciamo che lo zucchero si scioglie nell’acqua?
Le domande possono essere moltissime, basta
avviare il discorso con i bambini per vederle
nascere e svilupparsi dall’esperienza di tutti
i giorni e da quella che si può proporre in un
ambiente attrezzato con materiali semplici, ma
intriganti e coinvolgenti.
In particolare nelle esperienze proposte nell’articolo di “Giocheria Laboratori” si suggeriscono
attività da realizzare, in parte al chiuso in parte
Enrica Giordano
* Professore associato di Didattica della Fisica, Dipartimento di Fisica, Università di Milano-Bicocca
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Il filo conduttore di tutte queste proposte è il
lavoro tra interno ed esterno, tra ambiente naturale e ambiente scolastico, tra fenomeni che
avvengono senza il nostro diretto intervento e
altri che facciamo avvenire ad arte, in modo
selezionato e controllato. Tutte puntano a costruire poche idee fondamentali del campo di
indagine selezionato e pongono al centro i bambini e il loro esplorare.
Educazione scientifica per l’infanzia
all’aperto, sull’acqua che corre in tubi, canaline,
ruscelli. Senza esperienze di acqua in movimento non ci si appropria veramente di cosa voglia dire che l’acqua è un liquido, anzi il liquido
per eccellenza.
Esce da una sorgente e scorre, forma rivoli,
gorghi e flussi, schizzi e spruzzi; passa in buchi
piccolissimi, ma non sopporta di essere bucata,
(si dice appunto “fare un buco nell’acqua”...).
Un altro tema è il “Cielo stellato e la luna”.
Sara Bartesaghi e Valentina Robati ci aiutano
raccontandoci la loro esperienza, nella Scuola
dell’infanzia in occasione della loro tesi di laurea in Scienze della Formazione Primaria.
Infine Antonella Pezzotti ci guida nel gioco di
avvio allo studio degli organismi viventi tra gli
ambienti all’aperto che si possono trovare nelle
vicinanze delle scuole o nelle uscite didattiche e
gli ambienti chiusi in cui più tradizionalmente
si svolge l’azione educativa.
per approfondire
E. Giordano, Imparare sperimentando, “Psicologia dell’Educazione”, n. 5 (2), 2011, pp. 177-192.
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Laura Plebani, Daniela Calò, Anna Cuccu, Simona Vimercati*
Educazione scientifica per l’infanzia
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Il gioco con l’acqua
L’
acqua offre una ricca e versatile opportunità di gioco da proporre ai bambini di
diversa età. Infatti, sin da piccolissimi i bambini
sono affascinati dall’acqua che irresistibilmente
li attrae e conquista. Da questa prima considerazione, dalle osservazioni su cosa fanno i
bambini quando giocano e dalla convinzione
che tutti imparano facendo, in Giocheria Laboratori proponiamo da anni laboratori scientifici
di gioco con l’acqua.
I bambini che giocano alla scienza passano da
una fase in cui sperimentano e osservano ad
una in cui riflettono su ciò che vedono accadere
sia durante il laboratorio sia in classe tra un incontro e l’altro. Con modalità diverse a seconda
delle diverse età, i bambini sono stati sollecitati
a scambiarsi le osservazioni sulle scoperte fatte
nel laboratorio e a rappresentarle attraverso
disegni.
Con l’insegnante si riprende, si rielabora, si
propone una lettura ragionata che consente di
porre attenzione ai passaggi, di analizzare le
criticità, per ricominciare con le nuove conoscenze, in un moto circolare che sembra portare
a continue previsioni e verifiche.
Provare e riprovare porta a fare delle scoperte
quando lo sperimentatore non sa dove l’esperienza che sta facendo lo conduce e questo ai
bambini accade sempre poiché sanno imparare
mentre fanno. “Fare con le mani” significa conoscere con il corpo e con i sensi il mondo a
partire dalla curiosità, dalla spontanea spinta
ad esplorare a confrontare che i bambini possiedono.
I bambini imparano, imitandosi tra pari, la collaborazione che arricchisce l’apprendimento, lo
amplia e lo fa viaggiare sulla strada delle relazioni personali. Se l’ambiente è ben strutturato
e il materiale opportunamente scelto, la presenza dell’adulto è garanzia della sicurezza dello
sperimentare del bambino che diventa artefice
del proprio apprendimento.
L’adulto dovrebbe essere presente senza però
sovrapporsi, il modello “insegnante che travasa
il suo sapere nei bambini” si può abbandonare
a vantaggio di un insegnante che “accompagna
e favorisce le scoperte dei bambini”; le eventuali
domande saranno orientate a favorire la concentrazione su ciò che si sta sperimentando. Una
posizione non direttiva, più rilassata consente
di lasciare tempo per esplorare, affiancando la
loro attività autonoma con una presenza più
leggera.
I laboratori
I laboratori del gioco con l’acqua sono allestiti
sia all’interno di Giocheria che nello spazio
verde che circonda la struttura.
All’esterno il ruscello è progettato perché i bambini possano giocare con l’acqua in movimento.
Laura Plebani, Daniela Calò, Anna Cuccu, Simona Vimercati
* Educatrici presso Giocheria Laboratori, Sesto San Giovanni (Mi)
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Educazione scientifica per l’infanzia
Un rubinetto alla fonte può originare una goccia
d’acqua o una cascata che si incanala lungo il
percorso creato con canaline collegate tra loro;
l’acqua scorre sfruttando la pendenza del terreno sino a tuffarsi in una grande vasca. I bambini possono osservare i diversi comportamenti
a seconda del flusso d’acqua e hanno a disposizione diversi oggetti per la loro osservazione.
Una serie di strumenti vengono predisposti affinché l’acqua possa “viaggiare da un punto
all’altro”. Imbuti, canne di plastica, contenitori,
bottiglie di plastica permettono ai bambini di
trasportare l’acqua da un recipiente all’altro, di
scoprire che può andare in salita o scappare da
tutti i buchini.
Le azioni e le scoperte dei bambini vengono
raccontate oppure disegnate; riportiamo alcune
delle loro frasi:
Mirko: “Se riempio l’imbuto e lo alzo in alto l’acqua scende e si sente il verso della rana. Quando fa
il verso della rana ho scoperto che si fa il vortice”.
Desirée: “…fa il verso della rana perché l’acqua
scende velocemente…”.
Andrea: “…io versavo l’acqua era tutto bucato così
andava a finire per terra”.
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strando concentrazione per lungo tempo. Mentre
giocano, guardano cosa succede alla mano, ma
anche all’acqua e lo dicono: “l’acqua mi lascia
entrare”. La mano non trova resistenza, l’acqua
si sposta, avvolge, bagna, rinfresca. Se tolgo la
mano “l’acqua si chiude”.
Provano a usare gli oggetti, più oggetti insieme,
a combinare due diversi effetti, a concatenare le
osservazioni, i flussi.
Alessandro: “Io facevo le bolle e soffiavo e l’acqua
diventava più alta e mi bagnavo la faccia”.
Giulia: “Ho messo la spugna nell’acqua ed è diventata verde scuro”.
La trasparenza
Oltre al ruscello, sia all’esterno sia all’interno, si
predispongono le grandi vasche con i vari oggetti
da immergere. Per contenere l’acqua abbiamo
privilegiato delle vasche di plexiglass trasparenti
appoggiate a strutture tubolari e sollevate da
terra in modo tale che i bambini possano vedere
da tutte le angolazioni.
I loro gesti si fanno più precisi e attenti a non
disperdere neanche una goccia d’acqua dimo-
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I granelli
Accanto al percorso con l’acqua abbiamo predisposto situazioni di gioco che consentissero
il confronto sul travaso di materiali solidi con
maggior e minore fluidità nello scorrimento. I
bambini possono così fare un confronto di come
miglio, sabbia, farina passano differentemente
attraverso contenitori, imbuti e setacci.
Gabriele: “Con l’imbuto grande il mais scendeva
subito, con l’imbuto piccolo non usciva allora
abbiamo preso il bastoncino e abbiamo spinto e se
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sbattevo ne uscivano tanti, sennò una alla volta”.
Omar: “Ho messo le mani nei fagioli e ho sentito
il solletico”.
Giulia: “Mi è piaciuto mettere le mani nei semi
piccoli, anch’io ho sentito il solletico fresco”.
“Provvisorie” considerazioni finali
Abbiamo osservato i bambini giocare, li abbiamo
ascoltati “ragionare” sull’esperienza che stavano
facendo e usare parole speciali. Nel tempo, le diverse esperienze che si sono susseguite, le diverse
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età dei bambini, i contesti più o meno strutturati
hanno mostrato delle modalità di esplorazione
che si ripetono.
Proprio da queste ripetute modalità di gioco dei
bambini abbiamo estrapolato alcuni indicatori
necessari per costituire un percorso di scoperta
scientifica.
• Quale “posizione” per l’adulto?
Mettersi al fianco dei bambini anziché di
fronte. Osservare il loro approccio, ascoltare
le loro osservazioni e annotarle comporta
un cambiamento di atteggiamento rispetto
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Educazione scientifica per l’infanzia
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al bisogno” di porre loro delle domande “giuste”, nell’intenzione di preparare il terreno
all’intervento dell’adulto.
La posizione diversa comporta anche una
funzione diversa del linguaggio che accompagna le esperienze. Nei laboratori si possono
fare domande aperte per dare la possibilità ai
bambini di descrivere verbalmente i fatti sui
quali stanno già ponendo la loro attenzione.
“Che cosa stai osservando?”. Come spiega
Enrica Giordano, “attaccare le parole ai fatti
è una parte della funzione dell’educatore, ma
non nel senso di dare le nostre, ma invitare
ad usare le parole per raccontare cosa sta ora
accadendo, la differenza non è marginale ma
sostanziale poiché la valenza cognitiva implicata è completamente diversa”.
• Quali materiali proporre?
Ci vuole tempo e pazienza per andare a cercare strumenti e oggetti che a contatto con
l’acqua si bagnano, si inzuppano, lasciano
passare, trattengono, schizzano, gocciolano,
vanno giù e ci rimangono o tornano su. Queste e molte altre azioni le abbiamo sperimentate noi educatori (per poi sorprenderci nel
vedere che i bambini ne trovano di inedite)
e ci hanno permesso di costruire la nostra
collezione di oggetti.
Anche la scelta dei contenitori in cui raccogliere o far scorrere l’acqua è il risultato
di uno studio. Le vasche sono di differenti
dimensioni, trasparenti, infrangibili, con i
bordi la cui altezza consente di riempirle con
una giusta quantità di acqua, ma permette
anche ai bambini di toccare il fondo.
Abbiamo strutturato gli spazi interni ed
esterni con l’obiettivo di permettere ai bambini di orientarsi facilmente riconoscendo le
postazioni di gioco, di muoversi in sicurezza
e ultimo ma egualmente importante, di giocare in un posto bello, curato, accogliente.
• Chi sceglie?
Ai bambini è lasciata la scelta di come cominciare il gioco, che sia partendo dal privilegiare il contatto acqua-mano piuttosto che
usare subito un oggetto come intermediario.
Come l’acqua è sempre in movimento, così
i nostri laboratori sono in continuo mutamento. Le nostre osservazioni su cosa succede nel gioco dei bambini diventano input
e punto di partenza per riprogettare l’offerta
nel laboratorio, con accorgimenti tesi a migliorare le condizioni dell’esplorazione dei
bambini.
La narrazione di cosa abbiamo visto accadere
prende strade differenti, tante quanti sono
stati i bambini osservati.
Davanti alla vasche ogni bambino ha fatto il
suo “pasticciamento” giocando con gli oggetti
messi a disposizione. L’attenzione del bambino è su cosa succede, ma nel contempo il
suo sguardo abbraccia l’esperienza del compagno che gli gioca vicino.
I bambini si guardano tra loro, s’imitano,
commentano.
I bambini, lo abbiamo già detto, provano e riprovano fino a che sentono di poter chiudere
l’esperienza in atto per spostare l’attenzione e
la concentrazione su altro, magari anche solo
un altro particolare (aspetto o fenomeno)
della stessa esperienza.
per approfondire
Scienza in gioco. Costruzioni d’acqua di adulti e
bambini, Junior, Azzano San Paolo, 2004.
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Un percorso scientifico, a qualsiasi grado venga
proposto, dovrebbe prevedere, almeno nelle sue
prime fasi, un’osservazione diretta dei fenomeni.
Questo è possibile per il cielo diurno, per il sole
e per la luna, spesso visibile anche di giorno.
Più difficile sembra invece lo studio a scuola del
cielo della notte e delle stelle, affrontabile solo
con qualche uscita serale/notturna. Ma molto
si può riuscire a fare, per ovviare ai problemi
logistici e di orario scolastico senza snaturare il
senso e la metodologia del nostro insegnamento
scientifico.
I percorsi che seguono illustrano due progetti “astronomici” sperimentati in classi della
Scuola dell’infanzia in occasione di due tesi di
laurea in Scienze della Formazione Primaria
presso l’Università di Milano Bicocca.
Il primo, a cura di Sara Bartesaghi, avvicina i
bambini alla comprensione delle ragioni dell’apparente mutare della forma della luna. Il secondo, a cura di Valentina Robati, è dedicato al
cielo notturno tra mito e storia della scienza, tra
osservazioni, fantasia ed immaginazione.
Educazione scientifica per l’infanzia
Chiunque alzando gli occhi al cielo, in una bella
notte limpida, resta conquistato dallo spettacolo
della volta celeste. Fin dai tempi più antichi
l’uomo è stato affascinato dagli astri e dal cielo
notturno e, con sempre maggior accuratezza,
ha cercato di avvicinarlo a sé, osservandolo ed
interpretandolo.
Perché allora non avvicinarlo anche al mondo
dei bambini, i quali sono dei maestri nello stupirsi ed incuriosirsi per ogni cosa?
Troppo spesso si pensa che i bambini non siano ancora pronti cognitivamente ad affrontare
le cosiddette scienze dure (ndr: dall’inglese
hard, si intende matematica, fisica e chimica,
“dure” per l’alto livello di formalizzazione e
la difficoltà ad essere comprese). Ad esempio
l’astronomia – fatta di calcoli, di misurazioni, di
strumentazioni specifiche – sembra accessibile
solo a menti matematiche. Questa immagine
non rende giustizia alla conoscenza scientifica
come impresa culturale, frutto di discussioni,
di critiche, di fantasie e al bambino come individuo curioso, competente, capace di costruire
la propria conoscenza attraverso l’esperienza e il
confronto con gli altri.
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Percorsi di astronomia
V. R.
“Ci sono tre lune diverse”
Sara Bartesaghi*
D
urante l’anno dell’astronomia 2009, nella
Scuola dell’infanzia comunale di via Giacosa a Milano, il progetto ha preso avvio dalla
mia richiesta a un gruppo di bambini fra i 4 e
5 anni di costruire ciascuno una propria “luna”
attraverso l’uso di materiali a scelta tra creta,
carte e cartoni, stoffe, bottoni, brillantini, plastica, cotone, fili, nastri, carta stagnola…
Le attività artistiche e manipolative risultano
essere molto efficaci nel portare alla luce preconoscenze, immaginario, curiosità, domande,
ed aiutano i bambini ad esprimere i propri saperi e idee sviluppandone di nuovi. Quando un
bambino disegna o costruisce non fa solo una
creazione artistica, ma contemporaneamente
mette in gioco delle idee, le seleziona e ripensa,
ristabilisce i contorni del problema, in un gioco
continuo tra attività concreta e costruzione di
conoscenza astratta. Fondamentale risulta accompagnare la realizzazione dei manufatti con
parole e discussioni in cui si confronta cosa è
stato fatto e perché:
Lucas: “…poi con lo scotch l’ho chiusa e poi ho
messo il cartone rosso e l’ho attaccato e ho messo
anche la carta lucida.(…) eh perché è rotonda (la
luna)… poi ho messo il giallo perché la luna è
un pochino gialla… È anche un po’ brillante per
quello ho messo il lucido”.
Sara Bartesaghi
* Laureata in Scienze della Formazione Primaria presso l’Università di Milano Bicocca.
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Educazione scientifica per l’infanzia
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Lucas: “il sole è un pochino elettrico”.
Ranim: “(la luna) è più spenta”.
Lucas: “perché è un pochino argento… anche un
pochino nera e un pochino pure gialla… però è
anche un pochino argento e si vede al buio”.
Alice: “… l’ho fatta così perché così potevo mettere il cotone, e poi qui su ho messo i brillantini”.
Insegnante: “Come mai?”.
Alice: “Perché sono belli”.
Insegnante: “Così la tua luna diventava bella?”.
Alice: “Sì e poi così si possono un po’ vedere di
notte, e poi ho messo anche il riso bianco”.
Ranim: “(parlando della carta stagnola) Perché
così si attaccava ed era bello argento luccicoso,
perché io la luna la vedo sempre bianca”.
Si vede che i bambini hanno l’idea che la luna
sia in grado di fare luce come il sole, da cui la
differenziano più in termini quantitativi che
qualitativi. La scelta dei materiali è caduta su
quelli che secondo loro avrebbero riprodotto
nei manufatti questa supposta caratteristica
del satellite, essere visibili al buio (brillantini,
paillettes, carta stagnola, carta lucida argentata, stoffe argento…).
Queste discussioni su luna e materiali utilizzati
per ricostruirla sono state arricchite da una
successiva osservazione diretta e mattutina
della luna nel parco che circonda la scuola.
Siamo quindi tornati a lavorare all’interno.
Ho proposto di osservare una “luna” costruita
da me con la carta stagnola e posta dentro
una scatola totalmente dipinta di nero al suo
interno. Questo strumento è stato presentato
come capace di riprodurre la situazione e l’immagine della luna di notte. Abbiamo chiuso
bene la scatola in modo che non entrasse luce;
i bambini quindi a turno hanno guardato al
suo interno attraverso un foro nel cartone,
aspettandosi di vedere una figura luccicante
nel buio.
Lucas: “Ma si vede tutto nero”.
Dora: “Si vedeva tutto nero”.
Lucas: “Forse si è mossa (la luna)… controlliamo!”.
Insegnante: “Proviamo a controllare!”.
Aperta la scatola si scopre che l’oggetto è ancora
lì, attaccato al fondo con il velcro.
Lucas: “Eh no è ancora lì… allora è perché il buco
è troppo alto”.
Ranim: “Posso riprovare a guardare?”.
Insegnante: “Sì… cambiamo buco per vedere se
questo è troppo alto?”.
Ranim: “No...non si vede niente…”.
Lucas: “Aspetta qui c’è una pila proviamo così.
Insegnante: “Proviamo a metter dentro la luce”.
Tutti: “Sì”.
Ranim: “Io tengo la pila”.
Alice: “L’ho vista adesso”.
Dora: “Si vede”.
Emiliano: “La palla… si vede la palla”.
Lucas: “Si vede di più grazie alla mia idea… avete
visto che avevo ragione”.
Insegnante: “Ma allora questa luna qui…”.
Lucas: “Si vede solo con questa (la pila)!”.
Ranim: “Serve la luce anche se è tutta argento!”.
Far emergere una problematica, creare una ragione di sorpresa, suscita nei bambini la voglia
di costruire conoscenza e li mette in condizioni
di svolgere ricerche.
Lo stupore derivato dal fatto che le idee emerse
attraverso la costruzione delle “lune” venissero
disattese, ha dato il via a sperimentazioni, espen. 1 • settembre 2013 • anno CI
Durante l’osservazione della candela:
Ranim: “Guarda c’è la tua ombra nella luce… In
ogni luce c’è un’ombra…”.
Durante una seconda osservazione della “luna”
argentata all’interno della scatola nera, successiva a tutte le varie esperienze su luci e ombre
all’esterno:
Insegnante: “Com’è?”.
Emiliano: “Metà e l’altra…”.
Lucas: “Non è tutta illuminata c’è una riga nera”.
Insegnante: “C’è una riga nera?”.
Lucas: “Sì… è così (mimando con il dito una
linea di demarcazione) qua così, poi qua è tutta
colorata e qua buia”.
Ranim: “È un pochino più buia di qui”.
dossier
Educazione scientifica per l’infanzia
aspetti della realtà quotidiana, quali sono luce e
ombra, è stata l’occasione per esplicitare interpretazioni già esistenti e, attraverso un continuo
scambio fra osservazione dei fatti, descrizioni
e riflessioni interpretative, arricchire la conoscenza e l’analisi del fenomeno in questione.
Siamo così arrivati a puntare l’attenzione sulla
presenza sull’oggetto illuminato di parti in ombra e quindi su quelle che in arte si chiamano
“ombre proprie”.
Una volta notato che la sfera è in parte illuminata e in parte è in ombra, si tratta di arrivare
a comprendere che un altro fattore importante
entra in gioco: la posizione da cui la osserviamo.
Le forme a noi visibili di oggetti tridimensionali,
fra cui la luna, che non fanno luce loro stessi, dipendono dalla possibilità di osservare dalla propria posizione varie porzioni delle zone di luce e
ombra sull’oggetto e quindi dalle posizioni reciproche di osservatore, sorgente di luce primaria
e oggetto illuminato su un determinato sfondo.
rienze e ricerche sul funzionamento della nostra vista, sul buio e su luci e ombre, senza che
venisse per il momento esplicitato l’importante
collegamento esistente fra esse e l’apparente
mutamento della forma della luna.
All’interno della scuola si è cercato il buio entrando in una stanza senza finestre o nascondendosi sotto le coperte.
All’esterno in una bella giornata di sole si è
cercato il buio nella luce attirando l’attenzione
sulle ombre: si è cercato di scappare dalla nostra ombra, si sono fotografate e ricalcate le
ombre nostre e di altri oggetti, si è osservata la
fiamma e le ombre create da una candela in una
zona poco illuminata.
Il fare esperienza in modo consapevole, con
occhi interrogativi e intento di ricerca, di questi
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Educazione scientifica per l’infanzia
dossier
vedi così… perché là da me si vede finissima… se ti
sposti là da me si vede diversa”.
Alice: “Basta che ci spostiamo”.
Insegnante: “Basta che vi spostiate?”.
Alice: “O il faro”.
Insegnante: “O ci spostiamo noi o spostiamo il
faro?”.
Alice: “E cambia la forma”.
Emiliano: “Oppure spostiamo la palla”.
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Senza fare riferimento esplicito alla luna, abbiamo
inizialmente sperimentato in un contesto familiare
con coinvolgimento corporeo ed emotivo diretto:
abbiamo osservato i nostri corpi ed in particolare
i nostri visi illuminati da un torcia in una stanza
buia.
È stata poi proposta una nuova situazione che
prevedeva un pallone di gommapiuma, illuminato
per mezzo di un faro direzionale spostabile appeso al centro della stanza, posizione che invitava
a non assumere un punto di vista fisso come nel
caso precedente e ad esplorare la tridimensionalità dell’oggetto. Si è chiesto ai bambini disposti
liberamente attorno al pallone di disegnare come
vedevano il pallone. Ognuno ripeteva il disegno
ogni volta che veniva spostato il faro che lo illuminava. La diversa posizione dei bambini durante
il disegno ha permesso di osservare come l’immagine bidimensionale a noi visibile dipendesse dalle
posizioni reciproche non soltanto dell’oggetto e
della sorgente di luce, ma anche di noi osservatori.
Lucas: “Ma Emiliano stai sbagliando… la stai
facendo troppo grossa… guardala è illuminata pochissimo”.
Emiliano: “No, è grossa”.
Lucas: “Ma non vedi che è finissima”.
Emiliano: “Non è vero”.
Lucas: “(avvicinandosi a Emiliano) ah ma tu la
Da queste prime osservazioni sono partite varie
sperimentazioni in cui si agiva prima liberamente
poi in modo più controllato sulle variabili in
gioco, arrivando a comprendere meglio le relazioni di causa-effetto e a prevedere cosa avrebbero prodotto le nostre azioni.
Ad un certo punto l’attenzione dalla palla si è
spostata sulla luna, introdotta dai bambini stessi:
Lucas: “Ma sembra una luna”.
Insegnante: “Sembra una luna?”.
Lucas: “Sì, ha la stessa forma”.
Insegnante: “E che forma ha la luna?”.
Si è dato origine così ad una chiacchierata sulle
varie forme con cui la luna ci appare ed è stata
descritta come “rotonda”, “a volte ha la forma
mezza”, “panciuta”, “ci sono tre modi diversi: una
quella tutta cerchia, poi quella un po’ meno, poi
quella magrissima”, “nello spazio la luna è rotonda
ma noi la vediamo con le forme diverse, con noi
cambia forma”.
Per arricchire la conversazione si sono mostrate
fotografie della luna nelle sue varie fasi e si è provato a ricreare le forme della luna in fotografia
attraverso la palla e il faro.
Si potrebbe pensare che dopo aver fatto vedere
un possibile meccanismo di spiegazione delle
fasi della luna l’argomento si potesse considerare
concluso e l’idea acquisita.
Ma non è così.
“Le scoperte vengono fatte, osservate, perdute,
e rifatte di nuovo… Quando la mente sta evolvendo… tutti noi dobbiamo superare la linea
di separazione tra ignoranza e intuito più volte
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È un’idea errata che molti adulti hanno, che si
tratti di un fenomeno di ombra della terra sulla
luna o che possano entrare in qualche modo le
nuvole. Ma attenzione le parole dei bambini sono
difficili da interpretare e allora forse togliere non
vuol dire quello che pensiamo noi.
Lucas: “Perché si toglie tutto questo”.
Insegnante: “Si toglie?”.
Lucas: “Si toglie… cioè rimane lì ma è tutta nera”.
Emiliano: “Perché, perché, perché qua c’è il nero e
qua c’è la luce”.
Lucas: “Perché qua diventa più buio”.
Emiliano: “Perché quando è buio, buio non si vede
proprio tutta… solo da una parte è illuminata,
dall’altra è buia”.
Emiliano sembrerebbe essersi appropriato della
soluzione corretta eppure poi afferma:
Emiliano: “Ci sono delle lune piene e lune mezze”.
Insegnante: “Ci sono lune piene e lune mezze… ce
ne sono tante diverse?”.
Emiliano: “Sì, sì… Quelle piene sono uguali, quelle
mezze non sono uguali”.
Insegnante: “Ce ne sono mezze di diversi tipi?”.
Emiliano: “Sì”.
Ma Emiliano forse potrebbe avere ancora ragione,
le lune a spicchi non sono tutte uguali, le lune
piene sì, cosa intende questo bimbo quando dice
che ci sono tante lune diverse? Ci sono o si vedono
diverse?
n. 1 • settembre 2013 • anno CI
Per poter qui brevemente esporre ed analizzare
il percorso effettuato è stato necessario linearizzarlo e accompagnarlo con interventi e frasi
selezionate, necessariamente isolate dal contesto.
Così facendo si rischia però di non dare l’idea
della reale e più complessa dinamica di questa
conversazione e dell’intero percorso su cui ci si
è mossi seguendo il reale processo dei bambini;
si è trattato di un andirivieni continuo di diverse
idee, ipotesi, esperienze, emozioni. Non si è arrivati a un’interpretazione definitiva dei fatti e non
si sono abbandonate del tutto le idee iniziali, che
sono state comunque ampiamente arricchite attraverso nuove osservazioni e discussioni. I bambini di questa età fanno tante ipotesi diverse e per
lavorare su queste le confrontano con i fatti, con
quello che si vede, con le loro idee che cambiano
a seconda di quello che vanno osservando e comprendendo.
Non chiedono agli adulti di dire loro le cose come
stanno, non cercano già fatte soluzioni a cui non
possono arrivare da soli. Il salvaguardare questa
peculiarità, senza quindi smentire le loro interpretazioni offrendone una nostra come più autorevole, ma proponendo esperienze che diano l’opportunità ai bambini di pensare in proprio, evita di
trasmettere l’idea, poco proficua per arrivare a una
conoscenza significativa, che a scuola tutte le domande hanno già una risposta pronta e definitiva.
Le interpretazioni dei bambini non sono da considerare errori da eliminare e sostituire il prima possibile ma punto di partenza da arricchire vivendo
nuove esperienze e facendo nuove osservazioni.
dossier
Lucas: “È perché è tolto un pezzo”.
Alice: “No, non lo sapete”.
Emiliano: “Era sopra il cielo perché è così, il pezzo è
andato sopra il cielo”.
Alice: “No, c’è una nuvola”.
Insegnante: “C’è una nuvola che la copre?”.
Lucas: “Non è vero… è perché era la luna piena e poi
se ne è andato un pezzo”.
Alice: “Il sole illumina tutto”.
Ranim: “Anche la luna”.
Emiliano: “E la luna piena diventa mezza… o si
vede luna piena o luna mezza”.
Alice: “Qua io la vedo piccolissima”.
Emiliano: “Nera e piccolissima… se ci spostiamo
qua vuol dire che vediamo luce… se ci spostiamo
qua, vediamo mezzo luce e mezzo nero… La luce
illumina la luna che illumina la notte… la luna
illumina la notte”.
Lucas: “Ma pochissimo”.
Educazione scientifica per l’infanzia
prima di capire veramente” ci dice Hawkins.
In successive discussioni si torna sull’argomento:
13
Educazione scientifica per l’infanzia
dossier
Profumo di cielo
Valentina Robati*
C
onvinta che fosse importante portare a
scuola lo studio del cielo stellato ho pensato fin dalla progettazione del mio percorso ad
alternative per ovviare ai limiti logistici e temporali imposti dalla scuola.
Un possibile percorso può prevedere di ri-creare
con i bambini in classe, attraverso materiali differenti, un cielo stellato andando così a riflettere
sulle forme delle stelle, sul loro colore e sulle
loro dimensioni.
I bambini hanno tutti un’idea di cielo notturno,
hanno delle loro teorie e delle loro curiosità che
la manipolazione di oggetti e materiali rende visibile in modo concreto agli adulti e ai bambini
stessi (vedi anche l’incipit del percorso di Sara
Bartesaghi sulla luna).
Oppure è possibile affrontare il tema astrale
notturno, come ho fatto nella Scuola dell’infanzia di Pieranica, strutturando l’ambiente in
modo da simulare la volta celeste all’interno
della scuola, in una stanza buia con un proiettore e proporre attività che permettano ai
bambini di approcciarsi in modo graduale ad
argomenti astronomici in questo cielo simulato.
Nel mio caso ho utilizzato un apparecchio in
commercio, ma l’idea è nata dai bambini stessi:
in una discussione uno di loro ha proposto “possiamo prendere una scatola tagliare delle forme
di stelle e metterci una luce dentro che fa uscire
le stelle”.
Oltre ad un ambiente adeguato, è importante
proporre attività attraverso metodologie che
permettano sia di utilizzare i canali preferiti
dai bambini, sia di riprodurre in interno ciò su
cui si dovrebbe riflettere durante l’osservazione
diretta all’esterno. Si possono utilizzare diverse
tipologie di esperienze: attività di osservazione,
narrative, di manipolazione o basate sui giochi
corporei.
Tra queste, l’aspetto narrativo risulta essere fondamentale, in parte per il coinvolgimento emotivo che porta inevitabilmente con sé, incentivando la partecipazione e l’immaginazione, ma
anche perché permette di introdurre in modo
naturali temi importanti, quale ad esempio, la
dimensione storica del costruirsi della conoscenza scientifica.
Se davvero si vogliono accompagnare i bambini
Io conosco tante cose sulle stelle:
ci sono le stelle comete, le stelle
a punta, le stelle rotonde.
Aurora, 4 anni
alla scoperta dell’astronomia, come il tempo ha
accompagnato gli antichi che per primi alzarono uno sguardo critico al cielo, allora bisogna
partire dai miti e dalle leggende che hanno dato
i nomi alle costellazioni, dalla fantasia e dall’immaginazione, avvicinandosi, attraverso la conoscenza di strumenti adatti e di personaggi rivoluzionari, all’Astronomia con la A maiuscola.
Ad esempio, dopo aver osservato le costellazioni
sul cielo proiettato, ne abbiamo create di nostre
unendo dei puntini su un foglio e notando come
dagli stessi punti è possibile ottenere figure diverse a seconda dell’immaginazione di ognuno.
Le figure ottenute si possono inserire in storie
che le colleghino per meglio ricordarle e riconoscere. Ho quindi deciso di dare valore alla loro
esperienza narrando una storia, un mito, “che
avevano inventato gli uomini, tanto tempo fa”.
Si è deciso di utilizzare il mito dell’Orsa Maggiore, il quale ha molto appassionato i bambini
e ci ha permesso di fare nuove conoscenze
partendo dalle informazioni che esso ci aveva
trasmesso: abbiamo scoperto la stella polare
“che si trova proprio sulla coda del piccolo orso”,
abbiamo capito attraverso giochi corporei e attività grafiche cosa ha di speciale ovvero è l’unica
stella che vediamo ferma nel cielo e “serve ad
aiutare i marinai per capire dove andare” (Leo,
5 anni).
Questa narrazione aveva aperto la possibilità di
esplorare mille percorsi diversi.
Si sarebbe potuto continuare su un discorso
più narrativo e iniziare a creare favole partendo
dai personaggi del cielo dei bambini; si sarebbe
potuto lavorare sul piano grafico e matematico
con le linee spezzate delle costellazioni, gli andamenti sinuosi delle galassie o delle nebulose,
o i cerchi delle stelle; si sarebbe potuto affrontare tutta la tematica sulle distanze delle stelle
in una stessa costellazione nello spazio (e la
Valentina Robati
*Laureata in Scienze della Formazione Primaria presso l’Università di Milano Bicocca
14
n. 1 • settembre 2013 • anno CI
n. 1 • settembre 2013 • anno CI
dossier
Educazione scientifica per l’infanzia
conseguente profondità del cielo stellato), o lavorare sulla dimensione osservata degli oggetti
a seconda della distanza a cui si trovano attraverso la creazione di modelli e procedendo per
prove ed errori.
Ho deciso però in questo percorso di farmi
guidare prevalentemente dalle domande e dalle
curiosità dei bambini. Lo studio del cielo è
anche nell’immaginario collettivo legato agli
“strumenti ottici”. È nato proprio dai piccoli un
progressivo interesse per lenti, binocoli e cannocchiali.
Si è dunque pensato, dopo un primo momento
di “pasticciamento” in cui ognuno sperimentava
liberamente questi strumenti in classe e nel
giardino (stando attenti a non puntarli verso
il sole!), di strutturare delle attività più specifiche nelle quali i bambini avrebbero dovuto
osservare delle immagini da diverse distanze, in
modo tale da comprendere l’utilità, la funzione
e la precisione delle lenti.
La connessione storica tra il cannocchiale e
l’osservazione del cielo notturno, mi ha poi permesso di introdurre la figura di Galileo, di far
conoscere la sua biografia attraverso una narrazione drammatizzata in cui mi sono travestita
da Galileo e di osservare i suoi disegni dei pianeti, tratti direttamente senza nessuna modifica
dal Sidereus Nuncius, la sua massima opera di
divulgazione di astronomia.
Siamo poi passati a giochi corporei, per permettere una rielaborazione intima di un fatto prima
conosciuto solo teoricamente. Questo ha per-
messo ai bambini di assumere punti di vista diversi, di “osservare” Giove e i suoi satelliti dalla
Terra come visti da Galileo e poi dallo spazio,
giungendo così alla conclusione che “quando
dalla Terra si vedono tre (satelliti) è perché uno
si nasconde dietro a Giove che è grasso” (Gaia 4
anni).
Tenendo sempre presente la tensione didattica
tra ciò che si vuole proporre e le conoscenze
dei bambini, il percorso deve essere strutturato
come un progetto che va costruendosi in itinere
in base alle loro domande, curiosità e interessi
e alle risorse e ai vincoli del contesto.
Così grazie all’abilità dei bambini di passare
dal mondo simbolico al mondo reale, come
avviene nel gioco “del far finta”, è stato possibile proporre loro diverse rappresentazioni del
cielo (narrazioni, proiezioni, modelli in scala,
rappresentazioni corporee) utilizzandone sempre più di una per uno stesso fatto così da non
indurre la confusione tra ciò che accade e ciò
che è rappresentazione e analogia finalizzata
all’apprendimento.
Consapevole che per le cose “vicine” l’osservazione diretta sia insostituibile, credo però che
per i bambini le stelle e i pianeti reali siano
entità così lontane e irraggiungibili che anche
quelli simulati possano sostituire degnamente
quelli osservabili nel cielo notturno, superando
così i vincoli che il contesto scolastico pone.
Ma per rimanere coerenti alle scelte didattiche
e metodologiche di fondo, di una educazione
scientifica attiva e partecipata, la simulazione
deve avvenire in uno spazio che permetta ai
bambini di muoversi e osservare da diverse prospettive, li rassicuri ma sia analogo allo spazio
aperto, che avvicini il cielo ma non lo trasformi
in un disegno statico, che ne riproduca i movimenti osservati, che sia un piccolo ricco cielo a
misura di bambino.
per approfondire
Gruppo di ricerca Pedagogia del Cielo del MCE,
A scuola di miti e scienza, Junior, Bergamo, 2009.
D. Hawkins, Pasticciando con le scienze, in Imparare a vedere. Saggi sull’apprendimento e sulla
natura umana, Loescher, Torino 1979.
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Educazione scientifica per l’infanzia
dossier
Antonella Pezzotti*
Esperienze di biologia
tra ambienti di apprendimento
outdoor e indoor
O
ccuparsi di temi legati agli organismi viventi
significa cercare di capire come sono fatti,
come mangiano, come si accoppiano, come comunicano con l’esterno, come si comportano in determinate situazioni, ecc. Per comprendere in modo
significativo anche solo alcuni di questi aspetti
sono necessarie esperienze dirette e personali in
cui ciascun bambino, con il proprio bagaglio di
esperienze e conoscenze, sperimenti il piacere di
scoprire “dal vero” quello che fanno i viventi.
L’apprendimento costruito su attività concrete, in
cui il lavoro di tipo pratico sia integrato alla riflessione sull’esperienza vissuta, risulta sicuramente
più efficace. È quanto suggeriscono le Indicazioni
ministeriali, in cui è sottolineato il ruolo centrale
dell’esperienza e della dimensione laboratoriale,
cioè di quella “modalità di lavoro che meglio incoraggia la ricerca e la progettualità, coinvolge gli
alunni nel pensare, realizzare, valutare attività vissute in modo condiviso e partecipato con altri, e
può essere attivata sia nei diversi spazi e occasioni
interni alla scuola sia valorizzando il territorio come
risorsa per l’apprendimento”.
Che cosa si intende per laboratorio? Come spiega
Bersisa, il laboratorio non è soltanto uno spazio fisico, ma anche e soprattutto un “luogo privilegiato
dove è possibile mettere in atto la metodologia della
ricerca”, cioè un luogo in cui si fanno e si condividono osservazioni, si produce documentazione
(con disegni, descrizioni, schemi), si fanno ipotesi
e le si mettono alla prova dei fatti, ecc.
Il laboratorio non è solo un’aula attrezzata: può
essere un angolo della classe dedicato a una particolare attività, una sezione del museo o della
biblioteca, ma anche un orto botanico, un bosco,
un prato, uno stagno; può essere anche un setting
didattico costruito ad hoc all’interno di strutture
meno tradizionalmente vicine alla scuola, per
esempio giardini pubblici, supermercati, centri
per l’educazione informale, ecc. Nel laboratorio
non ci si limita a manipolare: questo non basta,
non è la strada giusta per fornire ai bambini quel
bagaglio di conoscenze e competenze da spendere
anche e soprattutto al di fuori di quello specifico contesto, al di fuori della scuola. Il lavoro di
tipo pratico deve essere sempre affiancato da un
certo grado di riflessività, di consapevolezza, di
pensiero. Il concetto di laboratorio così inteso si
inserisce in quello più ampio di ambiente di apprendimento, da intendersi come luogo fisico ma
anche come luogo mentale e sociale fatto di azioni,
pratiche didattiche, relazioni. Seguendo il pensiero di Antonietti e di Carletti e Varani, l’ambiente
di apprendimento è uno spazio di esperienza, di
riflessione, di condivisione, di elaborazione, di
assegnazione di significati; è un luogo in cui una
serie di attività si realizzano con l’obiettivo di favorire l’apprendimento e in cui gli attori possono
contare su una serie di supporti materiali e sulla
collaborazione con gli altri.
È importante quindi che gli insegnanti propongano esperienze pratiche di biologia e che lo facciano predisponendo ex novo oppure adattando
opportuni ambienti di apprendimento sia interni
sia esterni alla scuola: l’angolo con le teche per l’allevamento d’insetti, l’angolo con il cartellone della
memoria su cui raccontare le fasi delle esperienze
vissute, il giardino per osservare i cambiamenti
degli alberi, lo stagno per osservare uova, girini e
rane, ecc.
La scelta e la preparazione dell’ambiente di apprendimento devono costituire la prima fase di
ogni progettualità educativa, fin dalla Scuola
dell’infanzia. Se nello scenario predisposto si vuole
portare avanti un lavoro di tipo cognitivo e non
“fare semplicemente delle cose”, occorre dedicare
alla sua preparazione particolare cura e attenzione. Questo aspetto è molto importante nel caso
di esperienze di biologia, per realizzare le quali
occorre un luogo “emblematico”, speciale, in cui
l’allestimento sia funzionale al tipo di lavoro che vi
si svolgerà. Inoltre, aspetto non meno importante,
l’ambiente di apprendimento deve piacere, risultare accattivante, deve invogliare i bambini che si
apprestano a fare delle attività. Nella fase di preparazione del luogo per le esperienze l’insegnante
deve trovare il modo di attivare nei bambini quella
zona delicata ma fondamentale che li farà stare più
attenti, li renderà curiosi, offrirà loro l’opportunità
di esercitare un’azione creativa nei confronti del
proprio imparare.
E gli ambienti esterni? Uguale attenzione e cura
Antonella Pezzotti
* Dottore di ricerca, Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “Riccardo Massa”
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n. 1 • settembre 2013 • anno CI
1. L’ecosistema albero
Argomento
Gli alberi sono una grande risorsa e offrono una
quantità immensa di materiale da osservare, toccare, odorare, assaggiare, raccogliere, trasportare,
n. 1 • settembre 2013 • anno CI
Ambienti di apprendimento
L’ambiente outdoor è costituito da un parco, un
giardino o un bosco di facile accesso in cui si
trovino diverse specie arboree (in modo da consentire riflessioni sul concetto di biodiversità e
sull’importanza della sua salvaguardia) e in cui sia
presente almeno un albero importante, di grandi
dimensioni. L’ambiente indoor è costituito dalla
sezione in cui siano organizzabili un angolo scientifico per le osservazioni (banchi che consentano
la circolazione dei bambini tra i diversi gruppi
di lavoro, buona illuminazione, lenti di ingrandimento, vaschette, contenitori e cesti per la raccolta
e l’esposizione dei materiali, lastre in plexiglas per
osservare sia da sopra sia da sotto) e un angolo per
le attività artistiche, dotato di tutti i materiali per
le rappresentazioni pittoriche, la realizzazione di
modelli, ecc.
dossier
studiare con approfondimenti diversi, utilizzare
per colorare, ecc. Pensiamo alle gemme, fiori,
frutti, semi, foglie, rametti, cortecce, radici… Inoltre, se ci si avvicina ad una pianta con attenzione
ci si accorge che essa ospita, nasconde, attira una
miriade di organismi viventi: uccelli che si posano
sui rami o vi fanno il nido, insetti che corrono su
e giù per il tronco, altri insetti che mangiano le
foglie, funghi che crescono sulla corteccia, ecc. Gli
alberi instaurano infatti una fitta e intricata rete di
relazioni con l’ambiente in cui vivono, con le altre
piante, con gli animali, con i funghi e con i batteri.
Pertanto, sono da considerarsi dei veri e propri
ecosistemi e in quanto tali si prestano a ricche
esplorazioni. Sul campo si individua un albero e
lo si studia nella sua totalità, cercando di cogliere
anche solo alcune delle relazioni che lo vedono
protagonista; all’interno della sezione si studiano
più in dettaglio alcuni elementi dell’ecosistema.
Educazione scientifica per l’infanzia
vanno date alla scelta degli ambienti esterni:
devono essere ambienti piacevoli, stimolanti, accattivanti… ma soprattutto deve essere piacevole,
stimolante e accattivante l’approccio all’utilizzo
dell’ambiente e il lavoro che viene proposto (come
ci ricorda Bortolotti). Il rischio, altrimenti, è
quello di sminuire il significato didattico ed educativo dell’uscita sul campo.
L’idea di uscire all’aria aperta entusiasma sempre
moltissimo i bambini. Il giardino della scuola è già
un buon punto di partenza per scoprire la varietà
di organismi che vi trovano dimora. Il giardino è
certamente il luogo adatto per lo svago, il gioco,
il relax, ma può diventare anche un luogo di scoperta, di caccia, di raccolta, di incontro con la natura. Un luogo, quindi, in cui poter fare esperienze
di biologia. Così inteso il giardino è un giardino
segreto. Ritscher ci dice che: “Per i bambini, ogni
spazio esterno è, in certi sensi, “segreto”. È segreto
perché la natura è piena di segreti e offre un’infinità
di attrazioni, anche piccolissime, da esplorare”.
Lo sforzo che deve fare l’insegnante è quello di
assecondare il naturale interesse dei bambini nei
confronti degli organismi viventi e trasformare il
giardino della scuola, il bosco, lo stagno in contesti
di apprendimento, in teatri di esplorazioni, di osservazioni, di indagine, di raccolta di dati e di materiale… in luoghi in cui si può entrare in stretto
contatto con l’ambiente naturale e con gli organismi viventi (vedi Gambini, Galimberti, 2010).
Come utilizzare questi ambienti di apprendimento
indoor e outdoor per proporre esperienze di biologia? Cosa è possibile fare outdoor? E cosa indoor?
Sul campo è difficile ottenere l’attenzione e il raccoglimento necessari per discutere, per riflettere,
rielaborare, ecc. Risulta più adatto per tale scopo
lo spazio interno (come sostengono Gambini,
Galimberti, 2009). Ma lo spazio interno, opportunamente organizzato, è utile anche per conservare
i materiali raccolti fuori, per “far crescere”, per
allevare, per monitorare, per documentare e tenere
memoria. Di seguito sono illustrate tre esperienze
di biologia che si basano sul lavoro svolto in classe
durante il proprio tirocinio finale da tre laureate
in Scienze della Formazione primaria, rispettivamente da Monica Nebuloni, Elena Brambilla,
Valentina Borgo. Sono progetti proponibili in
classi di Scuola dell’infanzia e caratterizzati da
una stretta continuità e integrazione tra attività
da svolgersi outdoor e attività da svolgersi indoor.
Fasi dell’esperienza
• A partire dalla domanda stimolo “Cosa è per
te un albero?” si avvia una conversazione per
raccogliere le idee dei bambini relativamente
all’argomento di studio. In seguito si chiede
loro di disegnare un albero, così come se lo
rappresentano mentalmente. Il materiale così
raccolto costituisce la base su cui l’insegnante
costruisce le successive fasi del percorso.
• Durante la prima uscita si propone un’osservazione generale degli alberi del parco e la realizzazione di un disegno “dal vero”. L’uscita può
essere fatta anche in inverno, durante il quale
è possibile osservare la struttura degli alberi,
la disposizione dei rami, la presenza di nidi di
uccelli.
• Mettendo a confronto i disegni realizzati sul
campo ci si rende subito conto che gli alberi
17
dossier
Educazione scientifica per l’infanzia
•
•
•
•
sono molto diversi tra loro (concetto di biodiversità).
Di fronte ai diversi alberi del parco si può proporre il gioco del mimo: dopo aver osservato
la loro struttura generale e la disposizione dei
rami, si chiede ai bambini di rappresentarli
con il corpo e di immaginare cosa succeda ai
rami in caso di pioggia, sole, neve, vento, ecc.
Al termine di queste attività, mirate a far acquisire familiarità con l’oggetto di studio, si ripropone la domanda stimolo “Cosa è per te un albero?” e si chiede una nuova rappresentazione.
I dati così raccolti, messi a confronto con quelli
precedenti e con i successivi, costituiscono un
importante strumento di valutazione dell’efficacia del percorso che si sta proponendo.
Il percorso si concentra ora su un solo albero
da studiare in quanto ecosistema attraverso
diverse uscite sul campo mirate a esaminare di
volta in volta nuovi aspetti e nuove relazioni. Si
osservano gli organi della pianta (tronco, rami,
foglie, fiori, frutti), ma anche gli animali e gli
altri organismi in relazione ad essa (muschio e
funghi sul tronco, piccoli animali sulla e dentro la corteccia, uccelli che si posano sui rami).
Le esplorazioni sono di tipo multisensoriale:
si tocca con le mani, con la schiena e con la
pancia; si va alla ricerca di profumi, si osserva
con strumenti diversi, si ascoltano i suoni e i
rumori.
Il desiderio di raccogliere materiale è sempre
molto forte nei bambini: è necessario quindi
uscire sempre con palette per scavare tra le
radici e raccogliere terriccio, cestini in cui riporre legnetti e pezzetti di cortecce, sacchetti
in cui raccogliere fiori e foglie, contenitori trasparenti con coperchio bucherellato per mantenere gli animali, ecc. Da non dimenticare le
lenti d’ingrandimento per osservare i dettagli
e, come suggerito da Gambini e Galimberti,
il finto cannocchiale (cioè un tubo di cartone
come quello della carta da cucina) per focalizzare l’attenzione sulle parti lontane.
Si porta nell’angolo scientifico tutto il materiale raccolto per osservarlo e manipolarlo nel
Fasi dell’esperienza “L’ecosistema albero”
Indoor
• Avvio e raccolta delle idee.
• Analisi dei disegni e prime
riflessioni sulla biodiversità.
• Discussione.
• Studio del materiale naturale,
disegni e documentazione.
• Realizzazione del prodotto
collettivo e discussione finale.
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Outdoor
• Osservazione generale
degli alberi e disegno.
• Gioco del mimo.
• Osservazioni
multisensoriali, studio
dell’ecosistema
albero, raccolta di
materiale.
dettaglio. Si lavora per esempio sulla forma,
dimensione, consistenza, colore, profumo delle
foglie e sulla loro diversità. Si analizzano
cortecce per scoprire i rifugi o le tracce di
piccoli animali, si osservano con la lente di
ingrandimento gli animali catturati, ecc. Le
osservazioni, guidate dall’insegnante, sono documentate con fotografie, disegni e altre rappresentazioni artistiche.
• Oltre ai prodotti realizzati individualmente dai
bambini si può proporre, alla fine, la realizzazione di un prodotto collettivo che coinvolga
tutta la sezione, per esempio il modello tridimensionale dell’albero e di tutti gli altri viventi
ad esso relazionati. Per cercare di riprodurre le
sensazioni e le percezioni provate dai bambini
durante l’esperienza diretta è opportuno utilizzare, oltre al materiale presente in sezione
(stoffe, carta, cartone, bottoni, sughero, ecc.), il
materiale naturale raccolto sul campo: pezzi di
Descrizione dell’albero di una bambina
durante la discussione finale
Un albero è una cosa della natura.
Fuori ha la corteccia che è ruvida; poi sulla corteccia sono cresciuti il muschio e i funghi. La corteccia
serve all’albero per proteggersi.
Le foglie servono per bere, nel senso che ci sono i
tubicini.
Le radici servono a tenere in piedi l’albero. Le radici
prendono anche il cibo dalla terra, che poi sale fino
alle foglie.
Sulla quercia ci sono tanti animali; noi abbiamo
trovato il bruco, la coccinella, la formica, il ragno, il
millepiedi, la forbicina, il lombrico.
Gli animali stanno sulla quercia perché ci sono tante
cose.
n. 1 • settembre 2013 • anno CI
Argomento
Le radici sono organi delle piante di cui nella
scuola si fa poca esperienza pratica e ai quali non
sempre si guarda con l’intento di coglierne la diversità, le funzioni e le relazioni che instaurano con
altri organismi e con l’ambiente. Le radici, quindi,
sono generalmente poco conosciute dai bambini.
Proprio per questa ragione è importante proporre
esperienze dirette per mostrarne alcuni aspetti
della biologia e dell’ecologia. In una fase outdoor,
da svolgersi nel giardino della scuola o in un parco,
è possibile andare a caccia di radici e osservarle
così come sono nell’ambiente: le radici degli alberi
sono talvolta molto contorte, o assumono forme
strane per “aggirare” gli ostacoli. Inoltre, scavando
in prossimità delle radici, ci si accorge che attorno
ad esse ci sono numerose forme di vita: animali
che vi trovano rifugio, animali che le mangiano,
radici di altre piante con le quali si attorcigliano,
ecc. Le osservazioni sul campo consentono quindi
di approfondire la conoscenza di un organo delle
piante inserito nel proprio contesto ambientale e
quindi caratterizzato da moltissime relazioni. In
classe, invece, si possono fare esperienze mirate a
seguire la crescita di radici appartenenti a specie
vegetali diverse, al fine di metterne in evidenza le
peculiarità, i cambiamenti nel tempo e la variabilità morfologica. La coltivazione delle piante è
un’ottima opportunità per stabilire una relazione
di cura e per responsabilizzare i bambini alla sopravvivenza di organismi viventi.
Ambienti di apprendimento
L’ambiente outdoor è costituito da un giardino
(anche quello della scuola), da un parco o un bosco in cui sia possibile osservare radici di alberi
diversi. Molto interessante sarebbe anche avere
a disposizione (o realizzare) un’aiuola dedicata
in cui piantare le talee che si saranno formate in
classe. L’ambiente indoor è costituito dalla sezione
in cui sia organizzabile, oltre all’angolo in cui
svolgere il lavoro di osservazione, un angolo delle
piantine, ossia un angolo/spazio in cui riporre, ad
altezza di bambino (quindi su un tavolino basso o
su una panca), i contenitori per mantenere le specie vegetali scelte per l’osservazione della crescita
delle radici.
•
•
•
•
dossier
2. Le radici
aggiunta) la visione di alcuni libri per l’infanzia
illustrati in cui siano messe ben in evidenza
le radici degli alberi. A partire dallo stimolo
iniziale si avvia poi una discussione per raccogliere le prime idee dei bambini relativamente
alle radici, le loro domande, i loro interessi.
Si entra nel vivo dell’esperienza e si propone
ai bambini di andare a caccia di radici: per
osservarle, toccarle, seguirne il percorso tortuoso, descriverle, disegnarle. Si possono scavare piccole buche per scovare le parti di radici
che si nascondono sottoterra, o per trovare
qualche piccolo animale che vive nelle loro vicinanze. Quest’attività, proposta come una sorta
di gioco, consente di focalizzare l’interesse dei
bambini nei confronti dell’oggetto di studio e di
avvicinarli fin da subito al concetto di biodiversità.
Al rientro in sezione si discute di quanto è stato
fatto e visto fuori. L’insegnante, poi, introduce
la possibilità di coltivare delle radici in classe e
coinvolge i bambini nella progettazione dell’angolo in cui mantenere le piantine.
Per monitorare la crescita delle radici durante
la formazione di talee si immergono in acqua,
in appositi contenitori, rami potati da piante
diverse. Parti di piante alimentari (patata, cipolla, ravanello) sono invece mantenute al pelo
dell’acqua, sorrette da lunghi stuzzicadenti.
Osservando periodicamente le piantine, i bambini si accorgono che non tutte sviluppano le
radici nello stesso modo e con la stessa velocità
e che le radici sono morfologicamente diverse
tra loro: ciascuna ha delle peculiarità che la
distingue dalle altre.
La crescita e i cambiamenti delle radici sono
costantemente documentati sia attraverso la
registrazione delle conversazioni tra insegnante
e bambini, sia attraverso la realizzazione di
un cartellone delle crescite - in cui si riportano
descrizioni e fotografie dei momenti più significativi - sia attraverso i disegni “dal vero” realizzati dai bambini. In aggiunta ai disegni si può
proporre la riproduzione delle diverse radici
Educazione scientifica per l’infanzia
corteccia, muschio, funghi, rami, foglie, ecc. Al
termine di tutte le attività si intavola un’ultima
discussione e si fa una sintesi del lavoro fatto.
Fasi dell’esperienza
• Si può introdurre l’esperienza attraverso la lettura di una storia, anche inventata, oppure (o in
n. 1 • settembre 2013 • anno CI
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Fasi dell’esperienza “Le radici”
Educazione scientifica per l’infanzia
dossier
Indoor
• Avvio e raccolta delle idee.
• Discussione e preparazione
angolo delle piantine
• Coltivazione delle piantine,
osservazioni e monitoraggio.
• Documentazione e attività
artistiche.
Outdoor
• A caccia di radici.
• Impianto in terra e
osservazione delle
piante in ambiente.
Conversazione tra insegnante e bambini
D: Guardate la menta … le radici sono cresciute tanto.
G: Sono bianchissime … e sottili sottili. Dobbiamo stare
attenti a toccarle, sennò si rompono.
El: Guardate le cipolle. I germogli sono cresciuti ancora!
F: Sì, ma sotto ci sono anche delle radici bianche.
El: Sono bianche come quelle della menta, però sono
più grosse.
Ins: E le altre piantine?
D: Non è successo ancora nulla … ci vuole pazienza.
M: La menta è stata veloce, ma non tutte le piantine
crescono insieme.
F: Eh sì, perché sono tutte piantine diverse.
utilizzando fili di lana, di cotone e cordine di
diverso spessore da attaccare a un cartoncino.
Scegliendo i fili più adatti i bambini si soffermano ancora una volta sulle caratteristiche
delle radici e, ancora una volta, si accorgono
della diversità di lunghezza, spessore, direzionalità.
• Si conclude l’esperienza con l’impianto in terra,
nell’aiuola dedicata, delle talee che si sono
formate in precedenza. In questo modo, ancora una volta, si ha la possibilità di ritornare
nell’ambiente per nuove osservazioni, non più
delle radici, ma delle piantine nella loro totalità. Ciò può costituire uno spunto per ulteriori
esperienze mirate ad osservare altri organi e
altri aspetti delle piante.
3. La Vanessa dell’ortica
Argomento
Quando si sceglie di allevare piccoli animali in
classe la fase di preparazione è particolarmente
importante. Occorre pensare e progettare con
cura l’ambiente in cui dovrà essere mantenuto
l’animale, occorre studiare attentamente le sue
esigenze, l’ambiente in cui vive e le relazioni che
esso instaura. Come illustrano anche Gambini,
Galimberti e Borgo, proporre ai bambini lo studio
di un particolare animale, tenendolo per un po’ di
tempo in classe, è molto importante e utile ai fini
della comprensione di alcune sue caratteristiche
biologiche, del suo ciclo vitale, dei suoi comporta-
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menti, ecc. Tuttavia è fondamentale non escludere
il legame con il contesto naturale in cui l’animale
vive. Questo legame deve essere mantenuto vivo
e ripreso durante l’esperienza di allevamento. Le
relazioni alimentari sono un aspetto pregnante di
questo intrico di interazioni. La strettissima relazione tra animale e fonte di cibo è ben evidente nel
caso della Vanessa (come per molti insetti), che,
allo stadio larvale, si nutre esclusivamente di foglie
di ortica. Diverse uscite presso un orticaio vicino
alla scuola consentono non solo di responsabilizzare i bambini nel mantenere e prendersi cura
degli animali, ma anche di tornare di continuo
alla visione d’insieme dell’ambiente naturale delle
larve e associare, quindi, quanto osservato in classe
a quanto avviene in natura. Ancora meglio sarebbe
allestire un giardino dotato delle piante nutrici della
Vanessa, sia allo stadio larvale che a quello adulto.
Questo consentirebbe di liberarvi le farfalle “nate”
in sezione, assistere al loro accoppiamento, andare
alla ricerca di crisalidi e uova e vedere le larve
appena nate. Si potrebbero così individuare e ricostruire nell’ambiente naturale alcuni componenti e
le loro relazioni osservati nella fase di “laboratorio”
allestita in classe.
Ambienti di apprendimento
All’interno della classe va predisposto un angolo
luminoso (ma non esposto alla luce diretta del sole)
in cui posizionare una o più teche per mantenere le
larve. L’angolo deve essere sufficientemente ampio
per consentire l’osservazione ai diversi gruppi di
bambini e la sua fruizione deve essere regolata da
regole specifiche concordate insieme ai bambini.
Particolare cura va data anche alla realizzazione
delle teche: occorre prevedere un soffitto e delle
pareti fatti di tulle per far sì che le larve possano
aggrapparsi e impuparsi, una base rivestita di carta
assorbente (facilmente sostituibile se si sporca), un
vasetto per contenere i rametti di ortica.
L’ambiente outdoor è costituito da un orticaio
o, meglio ancora, da un piccolo giardino ricco
di piante che con i loro fiori attirino le farfalle e,
ovviamente, di ortiche le cui foglie serviranno da
nutrimento per le larve.
Fasi dell’esperienza
• Un modo creativo per avviare il lavoro potrebbe
essere quello di proporre l’osservazione di alcune
diapositive proiettate in sequenza, ciascuna delle
quali presenti via via un particolare in più del
corpo di una farfalla (per esempio, con la prima
si proietta sul muro l’ombra di un’ala, con la seconda due ali e così via).
• Le osservazioni avvengono a piccoli gruppi per
consentire a tutti di osservare con attenzione,
di accorgersi dei cambiamenti degli animali, dei
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loro comportamenti, della loro diversità. Quotidianamente si chiede ai bambini di raccontare
ciò che vedono, ponendo domande-stimolo qualora lo si ritenga opportuno. Ogni volta che nelle
teche succede qualcosa di speciale (per esempio
quando si nota la prima cacca, quando si forma
la prima crisalide, quando questa cambia di
colore…) si chiede ai bambini di rappresentare
graficamente l’evento. Ovviamente per tutta la
durata dell’esperienza è necessario uscire frequentemente sul campo per raccogliere foglie di
ortica fresche.
• Parallelamente all’osservazione si possono proporre altre attività, per esempio la drammatizzazione. In questo caso si chiede ai bambini di immedesimarsi nei bruchi e di cercare il cibo, fare
la muta e diventare bruchi più grandi, trasformarsi in crisalidi e così via. Un’altra attività che
si può proporre è la realizzazione di un modello
tridimensionale di bruco e farfalla utilizzando
il pongo, il cartoncino, le bottiglie di plastica, i
colori.
• L’esperienza si conclude con la realizzazione di
un prodotto collettivo, per esempio un libro in
cui inserire disegni, materiale seccato, fotografie, commenti trascritti dall’insegnante. Questo
prodotto può essere utilizzato per riflettere e
fissare nella memoria l’esperienza, per capire
l’importanza del ripensare a quello che si fa, del
far diventare prodotto culturale anche l’osservazione divertita e attenta di un animale ospitato
in classe per un certo periodo.
Fasi dell’esperienza “La Vanessa dell’ortica”
Indoor
• Avvio e raccolta delle idee.
• Allevamento di Vanesse,
osservazioni, monitoraggio,
documentazione.
• Attività parallele.
• Realizzazione di un prodotto
collettivo.
Outdoor
• Raccolta delle foglie
di ortica.
• Liberazione delle
farfalle, osservazioni
e nuove raccolte.
n. 1 • settembre 2013 • anno CI
per approfondire
A. Antonietti, Contesti di sviluppo-apprendimento
come scenari di scuola, in C. Scurati (a cura di),
Infanzia scenari di scuola, Editrice La scuola,
Brescia 2003.
M. Bersisa, Il laboratorio di scienze: tecniche e
attrezzature, in V. Alfieri, M. Arcà, P. Guidoni, I
modi di fare scienze, IRRSAE Piemonte, Bollati
Boringhieri, Torino 2000, p. 435.
dossier
Educazione scientifica per l’infanzia
• Via via che le farfalle nascono, occorre liberarle
per evitare che si feriscano nello spazio ristretto
delle teche. Se si è avuta la possibilità di allestire un apposto giardino, è possibile ritornarci
frequentemente per osservare le farfalle adulte,
l’eventuale corteggiamento e, se si ha fortuna,
anche per scovare le successive uova e larve.
A. Bortolotti, Outdoor education, ovvero alla scoperta dei (molti) motivi per fare scuola all’aperto,
“Infanzia”, 6, 2011.
A. Carletti, A. Varani, Ambienti di apprendimento
e nuove tecnologie, Erickson, Trento 2007.
A. Gambini, B. Galimberti, Materiali e spazi tra
fuori e dentro, “Bambini”, 8, 2009.
A. Gambini, B. Galimberti, Ambienti, animali e
piante nella scuola dell’infanzia. Linee-guida per
progettare e realizzare percorsi di biologia con
bambini da 3 a 6 anni, Junior, Bergamo 2010.
A. Gambini, B. Galimberti, V. Borgo, Dai bruchi
alle farfalle, “Bambini”, 4, 2010.
MIUR, Indicazioni per il curricolo della scuola
dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, Roma
4 settembre 2012. Consultabile in: http://hubmiur.
pubblica.istruzione.it/web/istruzione/prot5559_12
A. Pezzotti, Proposta di analisi pedagogica delle
interazioni che si sviluppano nei forum di un ambiente di apprendimento virtuale. Il caso del corso
online di didattica della biologia. Tesi di Dottorato,
2011. Consultabile presso: http://boa.unimib.it/
handle/10281/19279?mode=full#.UTnVDRxWySo
P. Ritscher, Il giardino dei segreti: organizzare e
vivere gli spazi esterni nei servizi per l’infanzia,
Junior, Bergamo 2002, p. 6.
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