calcio - la storia del calcio
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CALCIO - LA STORIA DEL CALCIO Enciclopedia dello Sport di Adalberto Bortolotti, Gianni Leali, Mario Valitutti, Angelo Pesciaroli, Fino Fini, Marco Brunelli, Salvatore Lo Presti, Leonardo Vecchiet, Luca Gatteschi, Maria Grazia Rubenni, Franco Ordine, Ruggiero Palombo, Gigi Garanzini Il Tifo di Ruggiero Palombo L'antropologo Desmond Morris nel volume La tribù del calcio (1981) sostiene che per i tifosi la partita rappresenta un rito antichissimo, il ricordo delle sfide nella piazza del villaggio preistorico, e per questo coinvolge e affascina in modo così profondo. Si può essere o no d'accordo con questa tesi, ma è difficile non riconoscere al calcio la capacità di stabilire un rapporto emotivo particolarissimo con larga parte della popolazione in tutti i paesi del mondo: una febbre così alta ed epidemica da venire paragonata al 'tifo'. Nel legame straordinario fra i fan e la squadra sono implicate motivazioni di ogni tipo: nazionalismo (specie quando è coinvolta la rappresentativa del paese), rapporto con il territorio, orgoglio cittadino, tradizione familiare, stato sociale, identificazione con un modello o un giocatore, amicizia ecc. Nelle città in cui esiste una sola squadra il tifo è quasi monoculturale; dove ce ne sono due di solito la spaccatura vede da una parte il popolo, dall'altra borghesia e immigrati. Nelle metropoli con molte squadre (Londra, Vienna, Buenos Aires, Rio de Janeiro ecc.) in genere la divisione è per quartieri. Chi vive in città dove il club locale gioca in campionati secondari o addirittura non esiste, tifa per squadre di altre regioni o addirittura di altre nazioni. In questo caso assumono molta importanza l'immagine del club, la sua storia, i campioni che possono accendere la fantasia dei giovani in cerca di un ideale sportivo in cui riconoscersi. In Italia, per esempio, la Juventus ha molti più tifosi fuori del Piemonte che a Torino e lo stesso accade per Milan e Inter. Il seguito delle altre squadre è più strettamente legato al territorio o alle origini (per es. i tifosi di Napoli, Palermo, Cagliari sono sparsi in buona parte dell'Italia e del mondo). Il tifo è assolutamente trasversale. Capi di Stato, leader politici, artisti, scienziati, intellettuali, imprenditori, professionisti ne soffrono con la stessa intensità della gente comune e dei ragazzi. Tutti indistintamente fanno riferimento allo stesso linguaggio tecnico e quindi a un codice in base al quale anche persone di cultura enormemente diversa possono fraternizzare e intendersi. Non solo convivono allo stadio in piena sintonia, ma traggono la massima gratificazione dal senso di appartenenza alla stessa fede. Cantano, applaudono, fischiano, gioiscono, si infuriano insieme, lieti di annullarsi nel gruppo. Per ribadire questa fratellanza portano come segno di riconoscimento i colori del club: bandiere, sciarpe, cappelli, maglie e gadget di ogni genere su cui prospera un fiorente merchandising. È interessante notare come il calcio, dopo essere stato visto a lungo con disprezzo dagli intellettuali, sia diventato tema di grande interesse: libri, film, saggi e soprattutto una partecipazione sin troppo esibita ai suoi riti testimoniano un vigoroso cambio di tendenza. Il tifo organizzato lavora durante la settimana per allestire coreografie da stadio talvolta di grande creatività e bellezza: una sorta di murales umani. L'altra faccia della medaglia è costituita dalle caratteristiche sempre più aggressive e violente che la partecipazione dei tifosi è andata assumendo soprattutto a partire dagli anni Settanta, specialmente a livello di giovani, di gruppi in cerca di visibilità, organizzati come bande pronte a usare le mani o manipoli paramilitari, spesso politicamente ideologizzati. Questi ultras hanno come luogo eletto la curva, di cui sono i padroni. Il fenomeno tifo è mondiale. Basti pensare ai festeggiamenti che in Cina hanno accolto la qualificazione ai Mondiali del 2002, con piazza Tienanmen invasa per ore e centinaia di milioni di persone davanti alla televisione. Naturalmente, però, il tifo cambia da paese a paese. Quello sicuramente più festoso e colorato si trova in Brasile, dove il calcio è abitualmente vissuto con gioia, alla stessa stregua della musica e del carnevale. La torcida (parola che si connette al significato di 'contorcersi') brasiliana è traboccante di colori, balli, canzoni, sostenuta dall'incessante suono di tamburi, trombe e percussioni. Il calcio in Brasile ha un'importanza così abnorme da trasformare una sconfitta in un lutto nazionale, come accadde quando la vittoria dell'Uruguay sul Brasile a Rio de Janeiro nel Mondiale del 1950 spinse diverse persone al suicidio. Assai più violento il tifo argentino, dove il folclore è coloratissimo e chiassoso ma le rivalità fra club sono esasperate e talvolta sfociano in fatti di sangue. Nel febbraio 2002, per esempio, gli scontri da guerriglia urbana fra gli ultras del Racing e quelli dell'Independiente, i due storici club di Avellaneda, hanno provocato un morto e molti feriti. L'acme dello spettacolo e del tifo spetta alla sfida fra Boca Juniors e River Plate, le due squadre argentine più amate. In tutto il Sudamerica, ogni tanto, la morte sottolinea gli eccessi del calcio. Ci sono state vittime alla fine del 2001 in Ecuador nel corso dei festeggiamenti per la qualificazione al Mondiale. In Colombia è a rischio talvolta anche la vita di calciatori e arbitri. Il tifo assume connotazioni assai pittoresche anche in Africa. In Europa il comportamento più acceso è registrato fra italiani, turchi, greci, iberici. In Spagna e in Portogallo il calcio viene vissuto con passione ma al tempo stesso con molta civiltà. Lo stesso vale per la Francia dove esistono però alcune situazioni spinose (specie a Parigi e Marsiglia). Più tranquilli i tedeschi, se si escludono gli eccessi legati al consumo di birra. Il tempio del tifo è senza dubbio l'Inghilterra. Uscita dal tunnel della violenza, messi a freno gli hooligans grazie alle leggi del governo Thatcher, frenato l'alcolismo, la cultura sportiva inglese rende la partita uno spettacolo indimenticabile: cori maestosi, un sostegno strenuo alla propria squadra, nessun insulto agli avversari, grande fair-play, la capacità di applaudire i propri campioni anche se sconfitti. Lo stadio, per i fan inglesi, è un luogo dell'anima, in cui far spargere, addirittura, le proprie ceneri. Il romanzo di Nick Hornby Febbre a 90°(1992) e il film che ne è stato tratto offrono un'immagine eloquente di questo rapporto. Dovunque, sia in Sudamerica sia in Europa cresce il numero delle tifose donne. Nella Premier League in glese rappresentano il 33% dei nuovi spettatori. Anche in Italia il calcio ha una valenza particolare. Ci sono coppie che in viaggio di nozze vanno a visitare la sede e lo stadio della squadra per cui tifano; migliaia di persone si sottopongono a spostamenti faticosissimi e costosi per seguire la squadra in trasferta, incuranti anche del rischio di essere picchiati. Il calcio provoca infatti enormi fenomeni migratori: quando, nel 1989, il Milan vinse la Coppa dei Campioni, 80.000 tifosi lo seguirono a Barcellona. Inglesi, tedeschi, olandesi sono fra i più fedeli nel seguire i propri club, insieme a italiani e spagnoli. Forte anche il coinvolgimento degli immigrati, quando arriva una squadra del loro paese: in Germania, durante le partite in cui giocano la Turchia o il Galatasaray, lo stadio è diviso a metà. Non è un caso che una vittoria internazionale nel calcio mobiliti i capi di Stato (sulla falsariga di quanto fece il presidente Pertini nel 1982 in Spagna) e rappresenti per un popolo un eccezionale motivo d'orgoglio. Nel 1998, quando la Francia ha vinto i Mondiali, la festa a Place de la Concorde a Parigi è stata colossale. Studi condotti in merito rivelano che queste vittorie hanno benefici effetti sul commercio e sullo sviluppo economico, perché determinano un aumento del coraggio imprenditoriale. Nessun altro avvenimento influisce come i Mondiali di calcio sull'attività lavorativa planetaria: orari cambiati, assenteismo, ferie, televisioni sui luoghi di lavoro per consentire alle maestranze di seguire le gare della nazionale. Non esistono studi approfonditi sulla popolazione dei tifosi, ma vale la pena riportare i dati raccolti da UFA nel giugno 2000 sul numero degli appassionati nei cinque principali paesi europei e sulla loro distribuzione percentuale per club . Sempre secondo questo studio nei cinque paesi vi sarebbe un numero rilevante di tifosi (dai 4,7 milioni della Spagna ai 5,5 della Germania) che simpatizzerebbero anche per una squadra straniera: Juventus, Manchester United, Barcellona, Milan, Real Madrid. Secondo una graduatoria di Footballranking.com, da prendere tuttavia con beneficio d'inventario, le squadre più popolari del mondo sarebbero nell'ordine: Manchester United, Real Madrid, Ajax, Barcellona, Milan, Juventus, Galatasaray, Feyenoord, PSV Eindhoven, Roma, Arsenal, Bayern, Anderlecht, Benfica, Fenerbahce, Lazio, Inter. Più affidabile un'indagine dell'AC Nielsen del 2001 sull'atteggiamento degli italiani verso il calcio (tab. 3). Secondo la Nielsen la Juventus sarebbe la squadra con il maggior numero di tifosi in Piemonte, Veneto, Trentino, Marche, Abruzzo-Molise, Puglia, Basilicata e Sicilia, e dividerebbe il primato con il Genoa in Liguria e con il Bologna in Emilia-Romagna. L'Inter è al primo posto in Lombardia, l'Udinese in Friuli, la Fiorentina in Toscana, la Roma nel Lazio, il Napoli in Campania, il Cagliari in Sardegna, la Reggina in Calabria, il Milan e il Perugia in Umbria. Tuttavia i sondaggi svolti da tre differenti agenzie sulla distribuzione dei tifosi fra le varie società italiane danno conclusioni molto diverse. Il tifo organizzato prende forma tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta. Il gruppo ultrà più antico è la Fossa dei Leoni del Milan, fondato nel 1968, che adotta il nome del vecchio campo d'allenamento dei rossoneri. Nel 1969 nascono anche gli Ultras Tito Cucchiaroni della Sampdoria (primi a usare la denominazione 'Ultras') e, subito dopo, gli storici Moschettieri che tifavano per l'Inter di Helenio Herrera, i Boys dell'Inter, seguiti qualche anno dopo dagli Ultras neroazzurri. Nascono poi la Fossa Ultrà Cagliari (1970), le Brigate Gialloblu del Verona e, dal nome della piazza in cui si raduna, il Viola Club Vieusseux della Fiorentina (1971); e ancora gli Ultras del Napoli (1972), le Brigate Rossonere del Milan, la Fossa dei Grifoni del Genoa e gli Ultras Granata del Torino (1973), i Forever Ultras del Bologna (1974). Nel 1976 compaiono i duri delle Brigate neroazzurre dell'Atalanta, che avranno sempre rapporti conflittuali con le forze dell'ordine, e gli Ultras del Bari, il cui emblema è un teschio alato in campo biancorosso. I tifosi della Roma occupano la Curva Sud, quelli del Brescia prendono il nome di Commando Ultrà Curva Nord. La Juventus ha due sigle di tradizione anglofona: i Drughi (dal film Arancia Meccanica di Stanley Kubrick) e i Viking, che daranno poi vita ai Fighters. Diversi altri gruppi, hanno una forte colorazione politica: di destra quella degli Irriducibili della Lazio, mentre altri hanno matrice comunista e anarchica. La violenza e le tragedie del calcio di Gigi Garanzini La storia del calcio è costellata da numerose tragedie, alcune dovute alla violenza dei tifosi, altre al cedimento di stadi fatiscenti o sovraccarichi rispetto alle capacità strutturali. La serie si apre all'inizio del 20° secolo con due incidenti di quest'ultimo tipo. All'Ibrox Park di Glasgow il 5 aprile 1902, durante la partita Scozia-Inghilterra, il crollo di una tribuna causa 25 morti e ben 517 feriti. Non ci sono, invece, vittime nel 1914 nello stadio di Sheffield, quando la caduta di un muro travolge 75 persone. In molti casi all'origine di tragedie di questo genere sono la vendita di un numero di biglietti eccessivo rispetto alla capienza dell'impianto, oppure gli scontri fra polizia e tifosi, o ancora il tentativo della folla di forzare gli ingressi. In assoluto il maggior numero di vittime si registra il 20 ottobre 1982 allo Stadio Lenin di Mosca, in occasione della partita di coppa UEFA fra lo Spartak e gli olandesi dello Haarlem: alla fine dell'incontro una parte degli spettatori, già uscita, cerca di rientrare nello stadio, dopo un gol in extremis, e nella situazione di caos e di panico che viene a crearsi muoiono schiacciate o soffocate 340 persone, i feriti sono più di un migliaio. Di poco inferiore il tragico bilancio di Perù-Argentina a Lima, il 25 maggio 1964: l'arbitro annulla un gol al Perù, mentre la partita si avvia alla fine; scoppiano tumulti fra i tifosi; molti cercano di entrare in campo, contrastati da polizia ed esercito; i morti sono 318, oltre mille i feriti. Nel 1971 luogo della disgrazia è nuovamente l'Ibrox Park di Glasgow, dove migliaia di tifosi premono sui cancelli d'ingresso e 66 vengono calpestati a morte. Nel 1985 a Bradford l'incendio di una tribuna in legno provoca 56 vittime. Nel 1988 a Katmandu nel corso della partita Nepal-Bangla Desh muoiono 93 persone. Nel 1989 a Sheffield, durante Liverpool-Nottingham, una fiumana di tifosi senza biglietto tenta di forzare gli ingressi e nella calca 96 persone restano schiacciate contro le recinzioni. La tragedia di Guatemala City nel 1996 (84 morti) è causata dal panico. Due gravi episodi si verificano nel 2001 in Africa: in aprile, tifosi senza biglietto trasformano in una bolgia l'Ellis Park di Johannesburg, causando 47 vittime; ancora più grave è quanto accade nel maggio ad Accra, la capitale del Ghana, dove i lacrimogeni sparati dalla polizia per sedare tafferugli nati sugli spalti portano gli spettatori a fuggire in massa (126 i morti, calpestati dalla folla). In alcune occasioni la colpa degli incidenti è di chi dovrebbe mantenere l'ordine. Così per esempio nel 1990 a Mogadiscio le guardie del presidente Siad Barre reagiscono in modo spropositato alle intemperanze del pubblico e negli scontri muoiono 62 persone. Una delle tragedie più agghiaccianti, emblematica delle terribili conseguenze a cui può portare il tifo quando degenera in violenza, è la morte per schiacciamento di 39 tifosi, in gran parte italiani, all'Heysel di Bruxelles prima di Juventus-Liverpool, finale della Coppa dei Campioni del 1985. Una massa di hooligans (il termine proviene dal nome di una famiglia irlandese dell'Ottocento, che aveva fama di attaccabrighe) ubriachi invade la tribuna dove siedono gli italiani e provoca il crollo di una transenna. Si gioca lo stesso per evitare ulteriori scontri. I club inglesi vengono per alcuni anni estromessi dalle competizioni internazionali, fino a quando non avranno messo a freno i loro tifosi. Il governo Thatcher affronta il problema con estrema serietà, promulgando leggi molto severe e promuovendo un attento lavorod'intelligence di Scotland Yard per infiltrare agenti nelle bande di teppisti e identificarne i capi. Con questi provvedimenti l'Inghilterra arriva a ripulire i suoi stadi, anche se quando vanno in trasferta fuori dal paese gli hooligans continuano a creare guai, come accade in Francia nel 1998, in occasione dei Mondiali, o in Turchia nel 2000, quando in una gigantesca rissa muoiono accoltellati due ragazzi inglesi. Dopo gli inglesi i tifosi più violenti, quando superano i confini, sono gli olandesi e i tedeschi. In Italia la violenza del tifo calcistico ha causato alcune tragedie che fanno testo. La prima si verifica il 28 ottobre 1979 all'Olimpico di Roma: un'ora prima dell'inizio del derby il tifoso laziale Vincenzo Paparelli viene colpito da un razzo nautico lanciato ad altezza d'uomo dalla curva romanista verso quella laziale. Per l'uccisione di Paparelli viene condannato, per omicidio 'preterintenzionale', un gruppetto di teppisti. Durante il processo emergono particolari inquietanti: l'imputato Giovanni Fiorillo, ultrà romanista, autore del tragico lancio, rivela di aver comprato il razzo da segnalazione nautica senza che gli venisse chiesto alcun documento di riconoscimento e di aver introdotto all'Olimpico il tubo di lancio dell'ordigno, lungo più di un metro, e la carica del razzo, smontati, senza aver avuto problemi con la Polizia. Questa infatti non perquisiva gli ultras e permetteva loro, con la scusa degli striscioni da fissare e della coreografia da allestire, di entrare nello stadio molto prima dell'inizio della partita e di gestire depositi all'interno dell'impianto. Il caso Paparelli desta grande scalpore ma, passato lo sdegno del primo momento, non vi è un seguito istituzionalmente adeguato. Eppure, all'epoca, quando le frange eversive non si erano ancora impadronite delle curve degli stadi e non era ancora nato il razzismo calcistico, per sradicare la malapianta sarebbe bastato molto meno di oggi. Altri episodi mortali si verificarono nel 1984, nel 1988 e nel 1989. Particolare scalpore suscitò la tragedia avvenuta a Genova il 29 gennaio 1995: vicino allo stadio di Marassi un giovane tifoso genoano, Vincenzo Claudio Spagnolo, viene ucciso a coltellate da un ultrà del Milan, Simone Barbaglia, fiancheggiato da un gruppo di suoi compagni altrettanto violenti. La domenica successiva, il 5 febbraio, il mondo del pallone decreta una giornata di sciopero contro la violenza. Sarebbe l'occasione perfetta per emanare una normativa contro il teppismo ma al Parlamento i capigruppo dei partiti non si accordano su un disegno di legge unitario da approvare con procedura di urgenza. Il 24 gennaio 1996 Barbaglia è condannato a 11 anni e 4 mesi, ma poi la Corte d'Appello annulla la sentenza perché era stata dimenticata l'aggravante dei futili motivi (una partita di calcio) alla base dell'omicidio e l'ultrà milanista esce dal carcere per decorrenza dei termini della carcerazione preventiva. La sentenza definitiva, convalidata dalla prima sezione penale della Cassazione il 26 ottobre 2001, condanna Barbaglia a 16 anni e sei mesi; secondo il verdetto Barbaglia ha agito "per estrema sudditanza verso il suo gruppo di ultras". Sull'onda dello sdegno suscitato dagli incidenti di Genova il governo Prodi si fa promotore di diverse iniziative antiviolenza. Nel 1998 viene presentato il disegno di legge Veltroni-Napolitano-Flick ‒ a firma del vicepresidente del Consiglio, del ministro dell'Interno e del guardasigilli dell'epoca ‒ che prevede l'arresto in flagranza di reato, lo specifico reato di lancio di oggetti in campo e una serie di aggravanti per chi crei tensione e violenza allo stadio. Il disegno non viene convertito in legge ma confluisce in un "Testo unificato recante norme in materia di fenomeni di violenza in occasione di manifestazioni sportive", passato all'esame della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati nel 1999. Ancora una volta a riproporre al Parlamento l'urgenza di specifiche misure è un incidente mortale: il 24 maggio, presso la stazione di Nocera Inferiore, lo scoppio di un fumogeno fa divampare un incendio sul treno speciale che riconduce a casa i tifosi della Salernitana, dopo una partita con il Piacenza, e quattro giovani muoiono carbonizzati. Tuttavia anche questo disegno non viene convertito in legge e decade con la fine della legislatura nella primavera del 2001. Il 2 luglio 2001 muore, dopo un'agonia di 15 giorni, il giovane Antonino Currò di 24 anni, colpito al volto da un razzo lanciato dal settore dei tifosi avversari del Catania durante la partita di ritorno dei playoff di serie C1 fra Messina e Catania. Viene arrestato un ultrà diciassettenne del Messina, poi rilasciato per mancanza di prove. La tragedia convince il governo Berlusconi e il Parlamento della necessità di varare una legge specifica contro la violenza nel calcio prima della ripresa del Campionato. Un decreto legge contro il teppismo negli stadi viene emanato il 20 agosto e rimane in vigore, dando buoni frutti, fino alla metà di ottobre. Il 17 ottobre viene convertito in legge, ma durante il dibattito in Parlamento una serie di emendamenti ne hanno attenuato la severità. In particolare è prevista la possibilità di commutare in sanzioni pecuniarie le pene detentive ed è sostituita con il "fermo nelle 48 ore, previa autorizzazione del magistrato", la "flagranza di reato allargata", che consentiva di procedere all'arresto nei due giorni successivi gli episodi di violenza, sulla base di prove televisive. I grandi incidenti delle squadre di Gigi Garanzini Oltre alle tragedie legate alla degenerazione in violenza della tifoseria o al cedimento delle strutture degli stadi, la storia del calcio ha conosciuto altri drammatici episodi che hanno comportato la perdita simultanea di numerosi suoi esponenti. Alle 26 persone, tra tecnici e giocatori della squadra sudanese dell'Al Nasr, scomparse in un naufragio sul Nilo Azzurro nel giugno del 1995, si aggiungono le vittime di diverse sciagure aeree. Da ricordare, in particolare, quella del 27 aprile 1993, avvenuta in Gabon, nella quale insieme ad altre nove persone vennero a mancare 17 giocatori della nazionale dello Zambia, e l'incidente all'aeroporto di Monaco di Baviera del 6 febbraio 1958, nel quale morirono otto giocatori del Manchester United, reduci da una partita di Coppa dei Campioni a Belgrado. Ma certamente la tragedia che rimane più viva nel ricordo degli italiani è quella avvenuta la sera del 4 maggio 1949 presso la basilica di Superga, nella quale fu annientato il Grande Torino. La sera precedente i granata avevano giocato sul campo del Benfica, per onorare l'addio al calcio di Ferreira, amico di Valentino Mazzola. Il presidente Novo era contrario a quella trasferta e non vi aveva preso parte: mancavano quattro giornate alla fine del Campionato e i cinque punti di margine sull'Inter erano rassicuranti ma non davano la certezza matematica della vittoria. Il piano di volo prevedeva l'arrivo alla Malpensa, ma all'improvviso, per ragioni mai chiarite, il trimotore I Elce, un G-212, fece rotta direttamente su Torino, nonostante sulla città le condizioni meteorologiche fossero pessime, con nuvolosità intensa, raffiche di pioggia e visibilità scarsa. Lo schianto contro il basamento della basilica avvenne alle 17.05, quasi certamente dovuto a un guasto all'altimetro. Morirono 31 persone: i giocatori Valerio Bacigalupo, Aldo Ballarin, Dino Ballarin, Emile Bongiorni, Eusebio Castigliano, Rubens Fadini, Guglielmo Gabetto, Roger Grava, Giuseppe Grezar, Ezio Loik, Virgilio Maroso, Danilo Martelli, Valentino Mazzola, Romeo Menti, Pierino Operto, Franco Ossola, Mario Rigamonti, Julius Schubert; i tecnici Egri Erbstein e Leslie Lievesley; il massaggiatore Ottavio Cortina; i dirigenti Rinaldo Agnisetta, Andrea Bonaiuti e Ippolito Civalleri; i giornalisti Renato Casalbore, Luigi Cavallero, Renato Tosatti; e i quattro membri dell'equipaggio. Anche se l'eco della notizia si diffuse rapidamente in Italia e nel mondo, non tutti in città ne furono subito al corrente. Sauro Tomà, l'unico giocatore granata rimasto a Torino per infortunio, seppe della tragedia dal lattaio sotto casa, mentre rientrava da una seduta di fisioterapia. A Giorgio Tosatti, figlio undicenne di Renato, la notizia fu brutalmente comunicata da un usciere della sede della Gazzetta del Popolo dove si era recato ad aspettare il padre. Dopo il riconoscimento, del quale furono incaricati il segretario granata Igino Giusti e il commissario tecnico della nazionale Vittorio Pozzo, e la pietosa ricomposizione, le salme furono portate a Palazzo Madama. Due giorni più tardi una folla immensa, probabilmente superiore al mezzo milione di persone, prese parte al funerale. Tutta Torino era schierata al passaggio del corteo, le case erano deserte, in città dalla sera prima non si trovava più un fiore. La radiocronaca della cerimonia fu trasmessa in diretta, con il commento fra gli altri di Nicolò Carosio e di Sergio Zavoli. I giovani del Filadelfia, che per due giorni e due notti avevano vegliato i campioni scomparsi, nove giorni più tardi andarono in campo al loro posto contro il Genoa, che schierò la sua formazione giovanile, imitato poi dalle rimanenti avversarie. Vinsero, in uno stadio gremito di folla commossa, e la domenica successiva divennero, a loro volta, campioni d'Italia, in nome e per conto della grande squadra che non c'era più. Gli scandali del mondo del calcio di Franco Ordine "Il Direttorio federale conferma le precedenti decisioni e squalifica a vita Luigi Allemandi, della cui colpevolezza è stata pienamente raggiunta la prova; richiama il giocatore Munerati a una più esatta comprensione dei suoi doveri in quanto un calciatore tesserato non può accettare doni di qualsiasi entità o natura da iscritti ad altre società; deplora e proibisce il malcostume delle scommesse anche di lieve cifra, specie quelle tenute contro le sorti dei propri colori e ammonisce il calciatore Pastore, lieto di constatare come l'episodio che ha dato luogo alle accennate sanzioni sia circoscritto a un solo giocatore e non possa quindi gettare ombra né onta sulla grande massa dei calciatori italiani". Conservato da un solerte funzionario dell'epoca, questo documento, datato 21 novembre 1927 e pubblicato a Bologna, sede della rudimentale organizzazione allora al governo del Campionato, rappresenta in Italia la prima sentenza disciplinare di qualche rilievo riguardante il calcio. La vicenda dello scudetto del 1927, revocato al Torino e non assegnato, costituisce il primo della lunga serie degli scandali legati al mondo del pallone: un dirigente granata, Nani, per il tramite di uno studente d'ingegneria, Giovanni Gaudioso, promise allo juventino Allemandi un premio di 50.000 lire in cambio di un comportamento che favorisse il successo del Torino. A sconfitta juventina avvenuta, il difensore bianconero reclamò il pagamento della seconda rata nel corso di un concitato colloquio in una pensione torinese di piazza Madonna degli Angeli. Tra i clienti dell'albergo c'era un giornalista romano, Ferminelli, che ascoltò la conversazione e denunciò il fatto su un paio di quotidiani. La conseguenza fu inevitabile: indagine della Federcalcio affidata al segretario dell'epoca, Giuseppe Zanetti, piena confessione degli interessati, Nani e Gaudioso, e condanna. Dei clamorosi provvedimenti previsti, però, restò in vigore solo la revoca al Torino del titolo di campione d'Italia (nonostante i successivi tentativi di ottenerne l'assegnazione 'postuma'), mentre Allemandi venne 'graziato' dopo meno di un anno e nel 1934 vinse addirittura i Mondiali. Gli scandali, nel mondo del calcio, sono spesso legati all'intervento di 'faccendieri' particolarmente accorti nell'individuare giocatori o dirigenti cui proporre eventuali accordi per 'aggiustare' l'una o l'altra partita. Nel dopoguerra, divenne famoso uno di questi personaggi, Eugenio Gaggiotti, detto 'Gegio', che, intervistato da Indro Montanelli, raccontò i propri commerci in modo del tutto generico, fornendo un unico dato concreto: il numero presunto delle partite da lui 'truccate', ben 64. Nel corso del Campionato 1947-48, suscitò scalpore un episodio scoperto grazie a una lettera anonima, che parlava di un incontro fra Luigi Ganelli, mezzala del Napoli, e Bruno Arcari, interno del Bologna, prossimi a imparentarsi (il secondo stava per sposare la sorella della moglie del primo), incontro avvenuto ai primi di giugno del 1948, nell'imminenza della partita Bologna-Napoli. La sfida era decisiva per la squadra campana, che rischiava la retrocessione, e il fatto che al tavolo dei due giocatori sedessero anche il presidente del Napoli Muscariello, l'ex calciatore Paolo Innocenti e il direttore tecnico del Bologna Hermann Felsner, convinse gli inquirenti che non si trattava di un 'convegno familiare': il Napoli fu retrocesso all'ultimo posto della serie A, Ganelli, Muscariello e Innocenti vennero squalificati a vita, Arcari per tre mesi, Sauro Taiti per due e Gino Cappello per uno. Proprio per far fronte al fenomeno della corruzione, negli anni Cinquanta la FIGC affidò il compito di allestire una Commissione di controllo, poi ribattezzata Ufficio inchieste, ad Alberto Rognoni, un conte di Cesena. Fondatore della locale società di calcio, grande appassionato e profondo conoscitore del mondo del pallone, Rognoni assolse al suo impegno nell'Ufficio inchieste con determinazione leggendaria, ricorrendo perfino a travestimenti (da frate o da carabiniere, per esempio) per farsi rilasciare confessioni o per pedinare qualche tesserato senza essere riconosciuto. Basterà qui ricordare solo alcuni episodi della sua carriera di inquisitore. Nel 1955 l'Udinese, protagonista del suo miglior Campionato in serie A (era al secondo posto dietro al Milan), scontò duramente un illecito commesso due anni prima: il 31 maggio 1953, a Busto Arsizio, durante l'intervallo della partita Pro Patria-Udinese, sul risultato di 2-0, un emissario dei friulani convinse la squadra di casa a non infierire sugli ospiti in cambio di una somma di circa due milioni. Procuratesi le prove dell'accordo, Rognoni punì l'Udinese con la retrocessione in serie B, mentre Guernieri, Mannucci, Uboldi, Fossati e Martini, calciatori della Pro Patria, conclusero la loro carriera. Sempre nel 1955, un altro scandalo venne portato alla luce e sanzionato dall'Ufficio diretto da Rognoni: un assegno di 200.000 lire firmato da Giulio Sterlini, segretario del Catania, e intestato a Salvatore Berardelli, cognato di Ugo Scaramella, arbitro della sezione romana, fece scattare le meticolose indagini di Rognoni. Fu accertato il pagamento a Scaramella di altre somme, tre assegni da 500.000 lire ciascuno, prima di due partite nelle quali era in gioco la salvezza del Catania. L'arbitro romano fu radiato, il club siciliano venne retrocesso in serie B. Nonostante la frenetica attività di Rognoni, gli episodi di corruzione divennero sempre più frequenti. Nel 1958, l'indagine su una presunta combine in occasione della partita Padova-Atalanta, pur concludendosi con l'assoluzione da parte della CAF, ebbe vasta eco in quanto coinvolgeva un personaggio noto alle cronache, Eugenio Gaggiotti, e Silveira Marchesini, fidanzata del calciatore del Padova Giovanni Azzin. Nel 1960 il centravanti Gino Cappello, già punito con due mesi di squalifica 12 anni prima, venne radiato. L'Ufficio inchieste dimostrò infatti che, prima della partita Genoa-Atalanta del 17 aprile, finita 2-1 per i bergamaschi, Cappello si era recato a Bergamo per incontrare Cattozzo, suo ex compagno nel Bologna, e offrirgli un milione di lire in cambio del successo sicuro. Il Genoa, retrocesso per responsabilità oggettiva, dovette scontare la punizione anche l'anno successivo, con 10 punti di penalizzazione in serie B. Nel 1961, furono intercettati alcuni colloqui telefonici fra Tagnin, mediano del Bari, e Prini, ala della Lazio. Prini in un primo momento accettò di favorire, in cambio di due milioni, il successo all'Olimpico della squadra pugliese, che in questo modo avrebbe evitato la retrocessione, ma poi disdisse l'impegno. Secondo gli inquirenti, la partita fu regolare, ma il comportamento dei tesserati era censurabile. Tagnin fu squalificato per un anno. La sua carriera peraltro non ne risulterà danneggiata: al termine della squalifica sarà reclutato dall'Inter di Moratti e Allodi e parteciperà alla finale di Coppa dei Campioni a Vienna contro il Real Madrid. Quando Rognoni lasciò l'Ufficio inchieste per diventare opinionista del Guerin Sportivo, l'incarico di sorvegliare sul regolare svolgimento dei campionati fu affidato a un magistrato fiorentino, Corrado De Biase, amico personale di Artemio Franchi, grande dirigente del calcio italiano. Tra le vicende di corruzione di quel periodo si possono ricordare quella legata alla partita Atalanta-Sampdoria, durante la stagione 1972-73, che vide protagonisti l'ex allenatore bergamasco Paolo Tabanelli e il dirigente Franco Previtali e quella, nella fase finale del torneo di serie A del 1973-74, in cui furono coinvolti Foggia e Verona. I pugliesi scontarono con la retrocessione la leggerezza di un funzionario, che aveva consegnato all'arbitro fiorentino Menicucci un orologio d'oro prima dell'incontro Foggia-Milan (finito 0-0). La squadra veneta fu punita nello stesso modo dopo che Romolo Acampora, inviato de Il Mattino, fornì agli inquirenti la prova di un colloquio telefonico intercorso, subito prima della partita Verona-Napoli, tra il presidente del Verona Garonzi e il suo ex centravanti Clerici, passato al Napoli. Ne trasse vantaggio la Sampdoria che, retrocessa sul campo, fu riqualificata dalla CAF. Nel marzo 1980 scoppiò lo scandalo del calcio-scommesse, legato all'organizzazione di un giro di scommesse clandestine da parte di un commerciante di frutta romano, Massimo Cruciani, e di Alvaro Trinca, proprietario di un ristorante della capitale, 'La Lampara', frequentato da alcuni calciatori laziali. Cruciani e Trinca offrivano compensi a tesserati in cambio di notizie su risultati sicuri su cui scommettere cifre ragguardevoli, ma l'inganno non sempre riusciva e i due finirono per accumulare debiti per quasi 200 milioni. La pubblicazione in esclusiva sul Corriere dello Sport di un memoriale firmato da Cruciani e Trinca sollevò il velo sull'organizzazione. Le accuse sarebbero poi state confermate dal centrocampista della Lazio Montesi, in un'intervista a la Repubblica. Seguì l'intervento delle forze dell'ordine: il 23 marzo a Pescara, all'Olimpico, a San Siro e in altri stadi di serie B, le forze dell'ordine fecero irruzione negli spogliatoi, arrestarono e accompagnarono nel carcere romano di Regina Coeli i calciatori Giordano, Wilson, Manfredonia e Cacciatori della Lazio, Albertosi e Giorgio Morini del Milan, Della Martira, Zecchini e Casarsa del Perugia, Stefano Pellegrini dell'Avellino, Magherini del Palermo, Merlo del Lecce e Girardi del Genoa. Altri giocatori molto noti furono convocati dagli inquirenti per accertamenti: tra loro Paolo Rossi, Giuseppe Dossena, Giuseppe Savoldi e Oscar Damiani. Anche un dirigente, Felice Colombo, presidente del Milan, risultò coinvolto, mentre Trinca, dopo un'ennesima ritrattazione, fu arrestato con l'accusa di truffa. L'inchiesta della magistratura ordinaria si concluse nel dicembre 1980 con un verdetto di proscioglimento: tutti i giocatori furono assolti per non sussistenza del fatto (per trasformare la scommessa clandestina in reato occorreva una legge apposita) e il solo Cruciani fu condannato a una pena pecuniaria. In parallelo a quella giudiziaria fu condotta l'inchiesta delle autorità sportive, che alla fine sanzionarono la retrocessione in serie B del Milan per responsabilità diretta e della Lazio per responsabilità oggettiva, la radiazione per Felice Colombo, la squalifica per un anno del presidente del Bologna, Tommaso Fabbretti, e diversi periodi di squalifica per 21 calciatori (6 anni per Pellegrini; 5 anni per Cacciatori e Della Martira; 4 anni per Albertosi; 3 anni e mezzo per Petrini, Savoldi, Giordano, Manfredonia e Magherini; 3 anni per Wilson, Zecchini e Massimelli; 2 anni per Rossi; 1 anno e 2 mesi per Cordova; 1 anno per Morini e Merlo; 6 mesi per Chiodi; 5 mesi per Negrisolo; 4 mesi per Montesi; 3 mesi per Colomba e Damiani). La vicenda, comunque, provocò un grande sconvolgimento nel mondo del calcio italiano. Gli stadi si svuotarono, i particolari raccontati da giornali e televisione tolsero credibilità a risultati e vicende agonistiche, una grande società come il Milan subì una profonda crisi di immagine. Sembrava l'inizio di un inevitabile declino dello sport più popolare in Italia, che invece vivrà di lì a poco una memorabile stagione con la conquista del titolo mondiale in Spagna, nel 1982, da parte della nazionale guidata da Enzo Bearzot. Un nuovo caso di scommesse clandestine su partite di calcio venne scoperto nel 1986 da un magistrato torinese, Marabotto, che avviò le sue indagini in seguito a un'intercettazione telefonica. L'inchiesta coinvolse un faccendiere napoletano, Armando Carbone, e un gruppetto di calciatori dai modesti guadagni e di manager privi di scrupoli. Il Perugia, già retrocesso in C1 per i risultati conseguiti in campo, fu mandato in serie C2. Subirono sanzioni anche Lazio, Udinese, Lanerossi Vicenza, Cagliari, Palermo, Triestina, Foggia e Cavese. Ulivieri, Agroppi, Rozzi, Vinazzani, Cerilli, Vavassori, Chinellato, Cagni e Claudio Pellegrini furono squalificati. Gli illeciti non sono però esclusivi del calcio italiano. In Francia, suscitò enorme scalpore, nell'autunno del 1990, la scoperta di un traffico che aveva per protagonista Jean-Claude Darmon, accusato di finanziare in nero alcuni club francesi attraverso una serie di società-schermo. Nell'inchiesta, condotta da un magistrato appassionato di calcio, Jean-Pierre Zanoto, risultarono coinvolti Bordeaux, Nantes, Nizza, Paris St.-Germain e, marginalmente, anche l'Olympique Marsiglia di Bernard Tapie. Nel 1993 lo stesso Tapie fu riconosciuto responsabile di un caso di corruzione relativo alla partita Valenciennes-Marsiglia: il calciatore sotto accusa, Robert, dopo l'arresto, confessò e il Marsiglia, vincitore della Coppa dei Campioni sul Milan a Monaco di Baviera, fu punito anche dall'UEFA e non potè disputare Supercoppa Europea e Coppa Intercontinentale. Un giro di scommesse clandestine emerse anche in Inghilterra, nel 1995: la centrale era a Bangkok e Singapore, ma furono dimostrati legami con i risultati di partite disputate da Manchester United e Liverpool. Il portiere del Liverpool vincitore della Coppa dei Campioni contro la Roma nel 1984, Bruce Grobbelaar, originario dello Zimbabwe, fu arrestato. In precedenza, altri esponenti del mondo del calcio inglese avevano avuto problemi con la giustizia: George Graham nel 1992 per aver intascato una tangente di un miliardo per l'acquisto di due giocatori, Mickey Thomas per spaccio di banconote false, Peter Storey dell'Arsenal per importazione di pornovideo. L'ultimo scandalo che ha coinvolto il calcio italiano riguarda i passaporti dei giocatori stranieri. Nell'aprile 2000, i quotidiani italiani pubblicano, con molto rilievo, la notizia di un'inchiesta, avviata dalla Procura della Repubblica di Roma, sulla documentazione in base alla quale il calciatore argentino Juan Sebastian Verón ha ottenuto nel settembre 1999 la cittadinanza italiana. La magistratura mette in dubbio che il certificato di nascita di un antenato di Verón (Giuseppe Antonio Porcella, nato nel 1870 nel comune di Fagnano Castello, in provincia di Cosenza, e poi emigrato in Argentina) sia autentico. Dal punto di vista dei regolamenti la notizia ha importanza in quanto la cittadinanza è presupposto indispensabile per poter considerare il centrocampista nel gruppo degli stranieri comunitari, poiché, per gli extracomunitari, è previsto un tetto massimo di cinque in rosa e tre in campo. Il caso 'passaporti puliti' esplode però in occasione di una trasferta dell'Udinese in Polonia per un incontro di Coppa UEFA: alla frontiera un doganiere solerte scopre che i passaporti di due brasiliani del club friulano, Silva dos Santos Warley e Alberto Do Carmo, sono falsi. Interviene anche la magistratura di Udine e lo scandalo si allarga a macchia d'olio. Il vice-presidente vicario del Milan, Adriano Galliani, allarmato dalla pubblicazione sulla Gazzetta dello Sport della notizia relativa alla firma falsa sui passaporti portoghesi dei due brasiliani dell'Udinese, consegna il documento del portiere Dida al Questore di Milano, dubitando della sua validità. Alvaro Recoba, uruguayano dell'Inter, viene convocato a Udine in Procura e si presenta con un documento dal quale risulta residente a Roma ma che si rivela falso, come la patente: il calciatore è costretto a tornare in patria per munirsi di regolare passaporto. Tra il settembre 2000 e il gennaio 2001 sono resi noti altri episodi, più o meno sconcertanti e pittoreschi. La giustizia sportiva, assediata da ricorsi alla Corte federale e minacce di chiamare in causa la giustizia ordinaria, procede faticosamente ai due gradi di giudizio e, nel luglio, giunge a una soluzione di compromesso: un periodo di squalifica per i calciatori scoperti in flagranza, ammende alle società. Le più coinvolte, Inter, Udinese e Vicenza, riescono comunque a evitare la penalizzazione reclamata da Napoli e Reggina; in sospeso resta l'accertamento sui numerosi extracomunitari della Roma. Nel processo sportivo del caso che ha dato inizio all'inchiesta, Verón e la Lazio vengono assolti. SITOGRAFIA: http://www.treccani.it/enciclopedia/calcio-la-storia-del-calcio_(Enciclopedia-dello-Sport)/