calcio - la storia del calcio

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calcio - la storia del calcio
CALCIO - LA STORIA DEL CALCIO
Enciclopedia dello Sport
di Adalberto Bortolotti, Gianni Leali, Mario Valitutti, Angelo Pesciaroli, Fino Fini, Marco Brunelli, Salvatore Lo Presti,
Leonardo Vecchiet, Luca Gatteschi, Maria Grazia Rubenni, Franco Ordine, Ruggiero Palombo, Gigi Garanzini
Il Tifo di Ruggiero Palombo
L'antropologo Desmond Morris nel volume La tribù del calcio (1981) sostiene che per i tifosi la partita
rappresenta un rito antichissimo, il ricordo delle sfide nella piazza del villaggio preistorico, e per questo
coinvolge e affascina in modo così profondo. Si può essere o no d'accordo con questa tesi, ma è difficile non
riconoscere al calcio la capacità di stabilire un rapporto emotivo particolarissimo con larga parte della
popolazione in tutti i paesi del mondo: una febbre così alta ed epidemica da venire paragonata al 'tifo'. Nel
legame straordinario fra i fan e la squadra sono implicate motivazioni di ogni tipo: nazionalismo (specie
quando è coinvolta la rappresentativa del paese), rapporto con il territorio, orgoglio cittadino, tradizione
familiare, stato sociale, identificazione con un modello o un giocatore, amicizia ecc. Nelle città in cui esiste
una sola squadra il tifo è quasi monoculturale; dove ce ne sono due di solito la spaccatura vede da una
parte il popolo, dall'altra borghesia e immigrati. Nelle metropoli con molte squadre (Londra, Vienna,
Buenos Aires, Rio de Janeiro ecc.) in genere la divisione è per quartieri.
Chi vive in città dove il club locale gioca in campionati secondari o addirittura non esiste, tifa per squadre di
altre regioni o addirittura di altre nazioni. In questo caso assumono molta importanza l'immagine del club,
la sua storia, i campioni che possono accendere la fantasia dei giovani in cerca di un ideale sportivo in cui
riconoscersi. In Italia, per esempio, la Juventus ha molti più tifosi fuori del Piemonte che a Torino e lo stesso
accade per Milan e Inter. Il seguito delle altre squadre è più strettamente legato al territorio o alle origini
(per es. i tifosi di Napoli, Palermo, Cagliari sono sparsi in buona parte dell'Italia e del mondo).
Il tifo è assolutamente trasversale. Capi di Stato, leader politici, artisti, scienziati, intellettuali, imprenditori,
professionisti ne soffrono con la stessa intensità della gente comune e dei ragazzi. Tutti indistintamente
fanno riferimento allo stesso linguaggio tecnico e quindi a un codice in base al quale anche persone di
cultura enormemente diversa possono fraternizzare e intendersi. Non solo convivono allo stadio in piena
sintonia, ma traggono la massima gratificazione dal senso di appartenenza alla stessa fede. Cantano,
applaudono, fischiano, gioiscono, si infuriano insieme, lieti di annullarsi nel gruppo. Per ribadire questa
fratellanza portano come segno di riconoscimento i colori del club: bandiere, sciarpe, cappelli, maglie e
gadget di ogni genere su cui prospera un fiorente merchandising. È interessante notare come il calcio, dopo
essere stato visto a lungo con disprezzo dagli intellettuali, sia diventato tema di grande interesse: libri, film,
saggi e soprattutto una partecipazione sin troppo esibita ai suoi riti testimoniano un vigoroso cambio di
tendenza.
Il tifo organizzato lavora durante la settimana per allestire coreografie da stadio talvolta di grande creatività
e bellezza: una sorta di murales umani. L'altra faccia della medaglia è costituita dalle caratteristiche sempre
più aggressive e violente che la partecipazione dei tifosi è andata assumendo soprattutto a partire dagli
anni Settanta, specialmente a livello di giovani, di gruppi in cerca di visibilità, organizzati come bande
pronte a usare le mani o manipoli paramilitari, spesso politicamente ideologizzati. Questi ultras hanno
come luogo eletto la curva, di cui sono i padroni.
Il fenomeno tifo è mondiale. Basti pensare ai festeggiamenti che in Cina hanno accolto la qualificazione ai
Mondiali del 2002, con piazza Tienanmen invasa per ore e centinaia di milioni di persone davanti alla
televisione. Naturalmente, però, il tifo cambia da paese a paese. Quello sicuramente più festoso e colorato
si trova in Brasile, dove il calcio è abitualmente vissuto con gioia, alla stessa stregua della musica e del
carnevale. La torcida (parola che si connette al significato di 'contorcersi') brasiliana è traboccante di colori,
balli, canzoni, sostenuta dall'incessante suono di tamburi, trombe e percussioni. Il calcio in Brasile ha
un'importanza così abnorme da trasformare una sconfitta in un lutto nazionale, come accadde quando la
vittoria dell'Uruguay sul Brasile a Rio de Janeiro nel Mondiale del 1950 spinse diverse persone al suicidio.
Assai più violento il tifo argentino, dove il folclore è coloratissimo e chiassoso ma le rivalità fra club sono
esasperate e talvolta sfociano in fatti di sangue. Nel febbraio 2002, per esempio, gli scontri da guerriglia
urbana fra gli ultras del Racing e quelli dell'Independiente, i due storici club di Avellaneda, hanno provocato
un morto e molti feriti. L'acme dello spettacolo e del tifo spetta alla sfida fra Boca Juniors e River Plate, le
due squadre argentine più amate. In tutto il Sudamerica, ogni tanto, la morte sottolinea gli eccessi del
calcio. Ci sono state vittime alla fine del 2001 in Ecuador nel corso dei festeggiamenti per la qualificazione al
Mondiale. In Colombia è a rischio talvolta anche la vita di calciatori e arbitri.
Il tifo assume connotazioni assai pittoresche anche in Africa. In Europa il comportamento più acceso è
registrato fra italiani, turchi, greci, iberici. In Spagna e in Portogallo il calcio viene vissuto con passione ma al
tempo stesso con molta civiltà. Lo stesso vale per la Francia dove esistono però alcune situazioni spinose
(specie a Parigi e Marsiglia). Più tranquilli i tedeschi, se si escludono gli eccessi legati al consumo di birra. Il
tempio del tifo è senza dubbio l'Inghilterra. Uscita dal tunnel della violenza, messi a freno
gli hooligans grazie alle leggi del governo Thatcher, frenato l'alcolismo, la cultura sportiva inglese rende la
partita uno spettacolo indimenticabile: cori maestosi, un sostegno strenuo alla propria squadra, nessun
insulto agli avversari, grande fair-play, la capacità di applaudire i propri campioni anche se sconfitti. Lo
stadio, per i fan inglesi, è un luogo dell'anima, in cui far spargere, addirittura, le proprie ceneri. Il romanzo
di Nick Hornby Febbre a 90°(1992) e il film che ne è stato tratto offrono un'immagine eloquente di questo
rapporto.
Dovunque, sia in Sudamerica sia in Europa cresce il numero delle tifose donne. Nella Premier League in
glese rappresentano il 33% dei nuovi spettatori.
Anche in Italia il calcio ha una valenza particolare. Ci sono coppie che in viaggio di nozze vanno a visitare la
sede e lo stadio della squadra per cui tifano; migliaia di persone si sottopongono a spostamenti faticosissimi
e costosi per seguire la squadra in trasferta, incuranti anche del rischio di essere picchiati. Il calcio provoca
infatti enormi fenomeni migratori: quando, nel 1989, il Milan vinse la Coppa dei Campioni, 80.000 tifosi lo
seguirono a Barcellona. Inglesi, tedeschi, olandesi sono fra i più fedeli nel seguire i propri club, insieme a
italiani e spagnoli. Forte anche il coinvolgimento degli immigrati, quando arriva una squadra del loro paese:
in Germania, durante le partite in cui giocano la Turchia o il Galatasaray, lo stadio è diviso a metà.
Non è un caso che una vittoria internazionale nel calcio mobiliti i capi di Stato (sulla falsariga di quanto fece
il presidente Pertini nel 1982 in Spagna) e rappresenti per un popolo un eccezionale motivo d'orgoglio. Nel
1998, quando la Francia ha vinto i Mondiali, la festa a Place de la Concorde a Parigi è stata colossale. Studi
condotti in merito rivelano che queste vittorie hanno benefici effetti sul commercio e sullo sviluppo
economico, perché determinano un aumento del coraggio imprenditoriale. Nessun altro avvenimento
influisce come i Mondiali di calcio sull'attività lavorativa planetaria: orari cambiati, assenteismo, ferie,
televisioni sui luoghi di lavoro per consentire alle maestranze di seguire le gare della nazionale.
Non esistono studi approfonditi sulla popolazione dei tifosi, ma vale la pena riportare i dati raccolti da UFA
nel giugno 2000 sul numero degli appassionati nei cinque principali paesi europei e sulla loro distribuzione
percentuale per club . Sempre secondo questo studio nei cinque paesi vi sarebbe un numero rilevante di
tifosi (dai 4,7 milioni della Spagna ai 5,5 della Germania) che simpatizzerebbero anche per una squadra
straniera: Juventus, Manchester United, Barcellona, Milan, Real Madrid.
Secondo una graduatoria di Footballranking.com, da prendere tuttavia con beneficio d'inventario, le
squadre più popolari del mondo sarebbero nell'ordine: Manchester United, Real Madrid, Ajax, Barcellona,
Milan, Juventus, Galatasaray, Feyenoord, PSV Eindhoven, Roma, Arsenal, Bayern, Anderlecht, Benfica,
Fenerbahce, Lazio, Inter.
Più affidabile un'indagine dell'AC Nielsen del 2001 sull'atteggiamento degli italiani verso il calcio (tab. 3).
Secondo la Nielsen la Juventus sarebbe la squadra con il maggior numero di tifosi in Piemonte, Veneto,
Trentino, Marche, Abruzzo-Molise, Puglia, Basilicata e Sicilia, e dividerebbe il primato con il Genoa in Liguria
e con il Bologna in Emilia-Romagna. L'Inter è al primo posto in Lombardia, l'Udinese in Friuli, la Fiorentina in
Toscana, la Roma nel Lazio, il Napoli in Campania, il Cagliari in Sardegna, la Reggina in Calabria, il Milan e il
Perugia in Umbria. Tuttavia i sondaggi svolti da tre differenti agenzie sulla distribuzione dei tifosi fra le varie
società italiane danno conclusioni molto diverse.
Il tifo organizzato prende forma tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta. Il gruppo ultrà più antico è
la Fossa dei Leoni del Milan, fondato nel 1968, che adotta il nome del vecchio campo d'allenamento dei
rossoneri. Nel 1969 nascono anche gli Ultras Tito Cucchiaroni della Sampdoria (primi a usare la
denominazione 'Ultras') e, subito dopo, gli storici Moschettieri che tifavano per l'Inter di Helenio Herrera, i
Boys dell'Inter, seguiti qualche anno dopo dagli Ultras neroazzurri. Nascono poi la Fossa Ultrà Cagliari
(1970), le Brigate Gialloblu del Verona e, dal nome della piazza in cui si raduna, il Viola Club Vieusseux della
Fiorentina (1971); e ancora gli Ultras del Napoli (1972), le Brigate Rossonere del Milan, la Fossa dei Grifoni
del Genoa e gli Ultras Granata del Torino (1973), i Forever Ultras del Bologna (1974). Nel 1976 compaiono i
duri delle Brigate neroazzurre dell'Atalanta, che avranno sempre rapporti conflittuali con le forze
dell'ordine, e gli Ultras del Bari, il cui emblema è un teschio alato in campo biancorosso. I tifosi della Roma
occupano la Curva Sud, quelli del Brescia prendono il nome di Commando Ultrà Curva Nord. La Juventus ha
due sigle di tradizione anglofona: i Drughi (dal film Arancia Meccanica di Stanley Kubrick) e i Viking, che
daranno poi vita ai Fighters. Diversi altri gruppi, hanno una forte colorazione politica: di destra quella degli
Irriducibili della Lazio, mentre altri hanno matrice comunista e anarchica.
La violenza e le tragedie del calcio di Gigi Garanzini
La storia del calcio è costellata da numerose tragedie, alcune dovute alla violenza dei tifosi, altre al
cedimento di stadi fatiscenti o sovraccarichi rispetto alle capacità strutturali. La serie si apre all'inizio del
20° secolo con due incidenti di quest'ultimo tipo. All'Ibrox Park di Glasgow il 5 aprile 1902, durante la
partita Scozia-Inghilterra, il crollo di una tribuna causa 25 morti e ben 517 feriti. Non ci sono, invece, vittime
nel 1914 nello stadio di Sheffield, quando la caduta di un muro travolge 75 persone. In molti casi all'origine
di tragedie di questo genere sono la vendita di un numero di biglietti eccessivo rispetto alla capienza
dell'impianto, oppure gli scontri fra polizia e tifosi, o ancora il tentativo della folla di forzare gli ingressi.
In assoluto il maggior numero di vittime si registra il 20 ottobre 1982 allo Stadio Lenin di Mosca, in
occasione della partita di coppa UEFA fra lo Spartak e gli olandesi dello Haarlem: alla fine dell'incontro una
parte degli spettatori, già uscita, cerca di rientrare nello stadio, dopo un gol in extremis, e nella situazione
di caos e di panico che viene a crearsi muoiono schiacciate o soffocate 340 persone, i feriti sono più di un
migliaio. Di poco inferiore il tragico bilancio di Perù-Argentina a Lima, il 25 maggio 1964: l'arbitro annulla un
gol al Perù, mentre la partita si avvia alla fine; scoppiano tumulti fra i tifosi; molti cercano di entrare in
campo, contrastati da polizia ed esercito; i morti sono 318, oltre mille i feriti. Nel 1971 luogo della disgrazia
è nuovamente l'Ibrox Park di Glasgow, dove migliaia di tifosi premono sui cancelli d'ingresso e 66 vengono
calpestati a morte. Nel 1985 a Bradford l'incendio di una tribuna in legno provoca 56 vittime. Nel 1988 a
Katmandu nel corso della partita Nepal-Bangla Desh muoiono 93 persone. Nel 1989 a Sheffield, durante
Liverpool-Nottingham, una fiumana di tifosi senza biglietto tenta di forzare gli ingressi e nella calca 96
persone restano schiacciate contro le recinzioni. La tragedia di Guatemala City nel 1996 (84 morti) è
causata dal panico. Due gravi episodi si verificano nel 2001 in Africa: in aprile, tifosi senza biglietto
trasformano in una bolgia l'Ellis Park di Johannesburg, causando 47 vittime; ancora più grave è quanto
accade nel maggio ad Accra, la capitale del Ghana, dove i lacrimogeni sparati dalla polizia per sedare
tafferugli nati sugli spalti portano gli spettatori a fuggire in massa (126 i morti, calpestati dalla folla). In
alcune occasioni la colpa degli incidenti è di chi dovrebbe mantenere l'ordine. Così per esempio nel 1990 a
Mogadiscio le guardie del presidente Siad Barre reagiscono in modo spropositato alle intemperanze del
pubblico e negli scontri muoiono 62 persone.
Una delle tragedie più agghiaccianti, emblematica delle terribili conseguenze a cui può portare il tifo
quando degenera in violenza, è la morte per schiacciamento di 39 tifosi, in gran parte italiani, all'Heysel di
Bruxelles prima di Juventus-Liverpool, finale della Coppa dei Campioni del 1985. Una massa di hooligans (il
termine proviene dal nome di una famiglia irlandese dell'Ottocento, che aveva fama di attaccabrighe)
ubriachi invade la tribuna dove siedono gli italiani e provoca il crollo di una transenna. Si gioca lo stesso per
evitare ulteriori scontri. I club inglesi vengono per alcuni anni estromessi dalle competizioni internazionali,
fino a quando non avranno messo a freno i loro tifosi. Il governo Thatcher affronta il problema con estrema
serietà, promulgando leggi molto severe e promuovendo un attento lavorod'intelligence di Scotland Yard
per infiltrare agenti nelle bande di teppisti e identificarne i capi. Con questi provvedimenti l'Inghilterra
arriva a ripulire i suoi stadi, anche se quando vanno in trasferta fuori dal paese gli hooligans continuano a
creare guai, come accade in Francia nel 1998, in occasione dei Mondiali, o in Turchia nel 2000, quando in
una gigantesca rissa muoiono accoltellati due ragazzi inglesi. Dopo gli inglesi i tifosi più violenti, quando
superano i confini, sono gli olandesi e i tedeschi.
In Italia la violenza del tifo calcistico ha causato alcune tragedie che fanno testo. La prima si verifica il 28
ottobre 1979 all'Olimpico di Roma: un'ora prima dell'inizio del derby il tifoso laziale Vincenzo Paparelli
viene colpito da un razzo nautico lanciato ad altezza d'uomo dalla curva romanista verso quella laziale. Per
l'uccisione di Paparelli viene condannato, per omicidio 'preterintenzionale', un gruppetto di teppisti.
Durante il processo emergono particolari inquietanti: l'imputato Giovanni Fiorillo, ultrà romanista, autore
del tragico lancio, rivela di aver comprato il razzo da segnalazione nautica senza che gli venisse chiesto
alcun documento di riconoscimento e di aver introdotto all'Olimpico il tubo di lancio dell'ordigno, lungo più
di un metro, e la carica del razzo, smontati, senza aver avuto problemi con la Polizia. Questa infatti non
perquisiva gli ultras e permetteva loro, con la scusa degli striscioni da fissare e della coreografia da allestire,
di entrare nello stadio molto prima dell'inizio della partita e di gestire depositi all'interno dell'impianto. Il
caso Paparelli desta grande scalpore ma, passato lo sdegno del primo momento, non vi è un seguito
istituzionalmente adeguato. Eppure, all'epoca, quando le frange eversive non si erano ancora impadronite
delle curve degli stadi e non era ancora nato il razzismo calcistico, per sradicare la malapianta sarebbe
bastato molto meno di oggi.
Altri episodi mortali si verificarono nel 1984, nel 1988 e nel 1989. Particolare scalpore suscitò la tragedia
avvenuta a Genova il 29 gennaio 1995: vicino allo stadio di Marassi un giovane tifoso genoano, Vincenzo
Claudio Spagnolo, viene ucciso a coltellate da un ultrà del Milan, Simone Barbaglia, fiancheggiato da un
gruppo di suoi compagni altrettanto violenti. La domenica successiva, il 5 febbraio, il mondo del pallone
decreta una giornata di sciopero contro la violenza. Sarebbe l'occasione perfetta per emanare una
normativa contro il teppismo ma al Parlamento i capigruppo dei partiti non si accordano su un disegno di
legge unitario da approvare con procedura di urgenza. Il 24 gennaio 1996 Barbaglia è condannato a 11 anni
e 4 mesi, ma poi la Corte d'Appello annulla la sentenza perché era stata dimenticata l'aggravante dei futili
motivi (una partita di calcio) alla base dell'omicidio e l'ultrà milanista esce dal carcere per decorrenza dei
termini della carcerazione preventiva. La sentenza definitiva, convalidata dalla prima sezione penale della
Cassazione il 26 ottobre 2001, condanna Barbaglia a 16 anni e sei mesi; secondo il verdetto Barbaglia ha
agito "per estrema sudditanza verso il suo gruppo di ultras".
Sull'onda dello sdegno suscitato dagli incidenti di Genova il governo Prodi si fa promotore di diverse
iniziative antiviolenza. Nel 1998 viene presentato il disegno di legge Veltroni-Napolitano-Flick ‒ a firma del
vicepresidente del Consiglio, del ministro dell'Interno e del guardasigilli dell'epoca ‒ che prevede l'arresto
in flagranza di reato, lo specifico reato di lancio di oggetti in campo e una serie di aggravanti per chi crei
tensione e violenza allo stadio. Il disegno non viene convertito in legge ma confluisce in un "Testo unificato
recante norme in materia di fenomeni di violenza in occasione di manifestazioni sportive", passato
all'esame della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati nel 1999. Ancora una volta a riproporre al
Parlamento l'urgenza di specifiche misure è un incidente mortale: il 24 maggio, presso la stazione di Nocera
Inferiore, lo scoppio di un fumogeno fa divampare un incendio sul treno speciale che riconduce a casa i
tifosi della Salernitana, dopo una partita con il Piacenza, e quattro giovani muoiono carbonizzati. Tuttavia
anche questo disegno non viene convertito in legge e decade con la fine della legislatura nella primavera
del 2001.
Il 2 luglio 2001 muore, dopo un'agonia di 15 giorni, il giovane Antonino Currò di 24 anni, colpito al volto da
un razzo lanciato dal settore dei tifosi avversari del Catania durante la partita di ritorno dei playoff di serie
C1 fra Messina e Catania. Viene arrestato un ultrà diciassettenne del Messina, poi rilasciato per mancanza
di prove. La tragedia convince il governo Berlusconi e il Parlamento della necessità di varare una legge
specifica contro la violenza nel calcio prima della ripresa del Campionato. Un decreto legge contro il
teppismo negli stadi viene emanato il 20 agosto e rimane in vigore, dando buoni frutti, fino alla metà di
ottobre. Il 17 ottobre viene convertito in legge, ma durante il dibattito in Parlamento una serie di
emendamenti ne hanno attenuato la severità. In particolare è prevista la possibilità di commutare in
sanzioni pecuniarie le pene detentive ed è sostituita con il "fermo nelle 48 ore, previa autorizzazione del
magistrato", la "flagranza di reato allargata", che consentiva di procedere all'arresto nei due giorni
successivi gli episodi di violenza, sulla base di prove televisive.
I grandi incidenti delle squadre di Gigi Garanzini
Oltre alle tragedie legate alla degenerazione in violenza della tifoseria o al cedimento delle strutture degli
stadi, la storia del calcio ha conosciuto altri drammatici episodi che hanno comportato la perdita
simultanea di numerosi suoi esponenti. Alle 26 persone, tra tecnici e giocatori della squadra sudanese
dell'Al Nasr, scomparse in un naufragio sul Nilo Azzurro nel giugno del 1995, si aggiungono le vittime di
diverse sciagure aeree. Da ricordare, in particolare, quella del 27 aprile 1993, avvenuta in Gabon, nella
quale insieme ad altre nove persone vennero a mancare 17 giocatori della nazionale dello Zambia, e
l'incidente all'aeroporto di Monaco di Baviera del 6 febbraio 1958, nel quale morirono otto giocatori del
Manchester United, reduci da una partita di Coppa dei Campioni a Belgrado. Ma certamente la tragedia che
rimane più viva nel ricordo degli italiani è quella avvenuta la sera del 4 maggio 1949 presso la basilica di
Superga, nella quale fu annientato il Grande Torino.
La sera precedente i granata avevano giocato sul campo del Benfica, per onorare l'addio al calcio di
Ferreira, amico di Valentino Mazzola. Il presidente Novo era contrario a quella trasferta e non vi aveva
preso parte: mancavano quattro giornate alla fine del Campionato e i cinque punti di margine sull'Inter
erano rassicuranti ma non davano la certezza matematica della vittoria. Il piano di volo prevedeva l'arrivo
alla Malpensa, ma all'improvviso, per ragioni mai chiarite, il trimotore I Elce, un G-212, fece rotta
direttamente su Torino, nonostante sulla città le condizioni meteorologiche fossero pessime, con
nuvolosità intensa, raffiche di pioggia e visibilità scarsa. Lo schianto contro il basamento della basilica
avvenne alle 17.05, quasi certamente dovuto a un guasto all'altimetro. Morirono 31 persone: i giocatori
Valerio Bacigalupo, Aldo Ballarin, Dino Ballarin, Emile Bongiorni, Eusebio Castigliano, Rubens Fadini,
Guglielmo Gabetto, Roger Grava, Giuseppe Grezar, Ezio Loik, Virgilio Maroso, Danilo Martelli, Valentino
Mazzola, Romeo Menti, Pierino Operto, Franco Ossola, Mario Rigamonti, Julius Schubert; i tecnici Egri
Erbstein e Leslie Lievesley; il massaggiatore Ottavio Cortina; i dirigenti Rinaldo Agnisetta, Andrea Bonaiuti e
Ippolito Civalleri; i giornalisti Renato Casalbore, Luigi Cavallero, Renato Tosatti; e i quattro membri
dell'equipaggio.
Anche se l'eco della notizia si diffuse rapidamente in Italia e nel mondo, non tutti in città ne furono subito al
corrente. Sauro Tomà, l'unico giocatore granata rimasto a Torino per infortunio, seppe della tragedia dal
lattaio sotto casa, mentre rientrava da una seduta di fisioterapia. A Giorgio Tosatti, figlio undicenne di
Renato, la notizia fu brutalmente comunicata da un usciere della sede della Gazzetta del Popolo dove si era
recato ad aspettare il padre.
Dopo il riconoscimento, del quale furono incaricati il segretario granata Igino Giusti e il commissario tecnico
della nazionale Vittorio Pozzo, e la pietosa ricomposizione, le salme furono portate a Palazzo Madama. Due
giorni più tardi una folla immensa, probabilmente superiore al mezzo milione di persone, prese parte al
funerale. Tutta Torino era schierata al passaggio del corteo, le case erano deserte, in città dalla sera prima
non si trovava più un fiore. La radiocronaca della cerimonia fu trasmessa in diretta, con il commento fra gli
altri di Nicolò Carosio e di Sergio Zavoli. I giovani del Filadelfia, che per due giorni e due notti avevano
vegliato i campioni scomparsi, nove giorni più tardi andarono in campo al loro posto contro il Genoa, che
schierò la sua formazione giovanile, imitato poi dalle rimanenti avversarie. Vinsero, in uno stadio gremito di
folla commossa, e la domenica successiva divennero, a loro volta, campioni d'Italia, in nome e per conto
della grande squadra che non c'era più.
Gli scandali del mondo del calcio di Franco Ordine
"Il Direttorio federale conferma le precedenti decisioni e squalifica a vita Luigi Allemandi, della cui
colpevolezza è stata pienamente raggiunta la prova; richiama il giocatore Munerati a una più esatta
comprensione dei suoi doveri in quanto un calciatore tesserato non può accettare doni di qualsiasi entità o
natura da iscritti ad altre società; deplora e proibisce il malcostume delle scommesse anche di lieve cifra,
specie quelle tenute contro le sorti dei propri colori e ammonisce il calciatore Pastore, lieto di constatare
come l'episodio che ha dato luogo alle accennate sanzioni sia circoscritto a un solo giocatore e non possa
quindi gettare ombra né onta sulla grande massa dei calciatori italiani". Conservato da un solerte
funzionario dell'epoca, questo documento, datato 21 novembre 1927 e pubblicato a Bologna, sede della
rudimentale organizzazione allora al governo del Campionato, rappresenta in Italia la prima sentenza
disciplinare di qualche rilievo riguardante il calcio. La vicenda dello scudetto del 1927, revocato al Torino e
non assegnato, costituisce il primo della lunga serie degli scandali legati al mondo del pallone: un dirigente
granata, Nani, per il tramite di uno studente d'ingegneria, Giovanni Gaudioso, promise allo juventino
Allemandi un premio di 50.000 lire in cambio di un comportamento che favorisse il successo del Torino. A
sconfitta juventina avvenuta, il difensore bianconero reclamò il pagamento della seconda rata nel corso di
un concitato colloquio in una pensione torinese di piazza Madonna degli Angeli. Tra i clienti dell'albergo
c'era un giornalista romano, Ferminelli, che ascoltò la conversazione e denunciò il fatto su un paio di
quotidiani. La conseguenza fu inevitabile: indagine della Federcalcio affidata al segretario dell'epoca,
Giuseppe Zanetti, piena confessione degli interessati, Nani e Gaudioso, e condanna. Dei clamorosi
provvedimenti previsti, però, restò in vigore solo la revoca al Torino del titolo di campione d'Italia
(nonostante i successivi tentativi di ottenerne l'assegnazione 'postuma'), mentre Allemandi venne 'graziato'
dopo meno di un anno e nel 1934 vinse addirittura i Mondiali.
Gli scandali, nel mondo del calcio, sono spesso legati all'intervento di 'faccendieri' particolarmente accorti
nell'individuare giocatori o dirigenti cui proporre eventuali accordi per 'aggiustare' l'una o l'altra partita. Nel
dopoguerra, divenne famoso uno di questi personaggi, Eugenio Gaggiotti, detto 'Gegio', che, intervistato da
Indro Montanelli, raccontò i propri commerci in modo del tutto generico, fornendo un unico dato concreto:
il numero presunto delle partite da lui 'truccate', ben 64. Nel corso del Campionato 1947-48, suscitò
scalpore un episodio scoperto grazie a una lettera anonima, che parlava di un incontro fra Luigi Ganelli,
mezzala del Napoli, e Bruno Arcari, interno del Bologna, prossimi a imparentarsi (il secondo stava per
sposare la sorella della moglie del primo), incontro avvenuto ai primi di giugno del 1948, nell'imminenza
della partita Bologna-Napoli. La sfida era decisiva per la squadra campana, che rischiava la retrocessione, e
il fatto che al tavolo dei due giocatori sedessero anche il presidente del Napoli Muscariello, l'ex calciatore
Paolo Innocenti e il direttore tecnico del Bologna Hermann Felsner, convinse gli inquirenti che non si
trattava di un 'convegno familiare': il Napoli fu retrocesso all'ultimo posto della serie A, Ganelli, Muscariello
e Innocenti vennero squalificati a vita, Arcari per tre mesi, Sauro Taiti per due e Gino Cappello per uno.
Proprio per far fronte al fenomeno della corruzione, negli anni Cinquanta la FIGC affidò il compito di
allestire una Commissione di controllo, poi ribattezzata Ufficio inchieste, ad Alberto Rognoni, un conte di
Cesena. Fondatore della locale società di calcio, grande appassionato e profondo conoscitore del mondo
del pallone, Rognoni assolse al suo impegno nell'Ufficio inchieste con determinazione leggendaria,
ricorrendo perfino a travestimenti (da frate o da carabiniere, per esempio) per farsi rilasciare confessioni o
per pedinare qualche tesserato senza essere riconosciuto. Basterà qui ricordare solo alcuni episodi della sua
carriera di inquisitore. Nel 1955 l'Udinese, protagonista del suo miglior Campionato in serie A (era al
secondo posto dietro al Milan), scontò duramente un illecito commesso due anni prima: il 31 maggio 1953,
a Busto Arsizio, durante l'intervallo della partita Pro Patria-Udinese, sul risultato di 2-0, un emissario dei
friulani convinse la squadra di casa a non infierire sugli ospiti in cambio di una somma di circa due milioni.
Procuratesi le prove dell'accordo, Rognoni punì l'Udinese con la retrocessione in serie B, mentre Guernieri,
Mannucci, Uboldi, Fossati e Martini, calciatori della Pro Patria, conclusero la loro carriera. Sempre nel 1955,
un altro scandalo venne portato alla luce e sanzionato dall'Ufficio diretto da Rognoni: un assegno di
200.000 lire firmato da Giulio Sterlini, segretario del Catania, e intestato a Salvatore Berardelli, cognato di
Ugo Scaramella, arbitro della sezione romana, fece scattare le meticolose indagini di Rognoni. Fu accertato
il pagamento a Scaramella di altre somme, tre assegni da 500.000 lire ciascuno, prima di due partite nelle
quali era in gioco la salvezza del Catania. L'arbitro romano fu radiato, il club siciliano venne retrocesso in
serie B.
Nonostante la frenetica attività di Rognoni, gli episodi di corruzione divennero sempre più frequenti. Nel
1958, l'indagine su una presunta combine in occasione della partita Padova-Atalanta, pur concludendosi
con l'assoluzione da parte della CAF, ebbe vasta eco in quanto coinvolgeva un personaggio noto alle
cronache, Eugenio Gaggiotti, e Silveira Marchesini, fidanzata del calciatore del Padova Giovanni Azzin. Nel
1960 il centravanti Gino Cappello, già punito con due mesi di squalifica 12 anni prima, venne radiato.
L'Ufficio inchieste dimostrò infatti che, prima della partita Genoa-Atalanta del 17 aprile, finita 2-1 per i
bergamaschi, Cappello si era recato a Bergamo per incontrare Cattozzo, suo ex compagno nel Bologna, e
offrirgli un milione di lire in cambio del successo sicuro. Il Genoa, retrocesso per responsabilità oggettiva,
dovette scontare la punizione anche l'anno successivo, con 10 punti di penalizzazione in serie B. Nel 1961,
furono intercettati alcuni colloqui telefonici fra Tagnin, mediano del Bari, e Prini, ala della Lazio. Prini in un
primo momento accettò di favorire, in cambio di due milioni, il successo all'Olimpico della squadra pugliese,
che in questo modo avrebbe evitato la retrocessione, ma poi disdisse l'impegno. Secondo gli inquirenti, la
partita fu regolare, ma il comportamento dei tesserati era censurabile. Tagnin fu squalificato per un anno.
La sua carriera peraltro non ne risulterà danneggiata: al termine della squalifica sarà reclutato dall'Inter di
Moratti e Allodi e parteciperà alla finale di Coppa dei Campioni a Vienna contro il Real Madrid.
Quando Rognoni lasciò l'Ufficio inchieste per diventare opinionista del Guerin Sportivo, l'incarico di
sorvegliare sul regolare svolgimento dei campionati fu affidato a un magistrato fiorentino, Corrado De
Biase, amico personale di Artemio Franchi, grande dirigente del calcio italiano. Tra le vicende di corruzione
di quel periodo si possono ricordare quella legata alla partita Atalanta-Sampdoria, durante la stagione
1972-73, che vide protagonisti l'ex allenatore bergamasco Paolo Tabanelli e il dirigente Franco Previtali e
quella, nella fase finale del torneo di serie A del 1973-74, in cui furono coinvolti Foggia e Verona. I pugliesi
scontarono con la retrocessione la leggerezza di un funzionario, che aveva consegnato all'arbitro fiorentino
Menicucci un orologio d'oro prima dell'incontro Foggia-Milan (finito 0-0). La squadra veneta fu punita nello
stesso modo dopo che Romolo Acampora, inviato de Il Mattino, fornì agli inquirenti la prova di un colloquio
telefonico intercorso, subito prima della partita Verona-Napoli, tra il presidente del Verona Garonzi e il suo
ex centravanti Clerici, passato al Napoli. Ne trasse vantaggio la Sampdoria che, retrocessa sul campo, fu
riqualificata dalla CAF.
Nel marzo 1980 scoppiò lo scandalo del calcio-scommesse, legato all'organizzazione di un giro di
scommesse clandestine da parte di un commerciante di frutta romano, Massimo Cruciani, e di Alvaro
Trinca, proprietario di un ristorante della capitale, 'La Lampara', frequentato da alcuni calciatori laziali.
Cruciani e Trinca offrivano compensi a tesserati in cambio di notizie su risultati sicuri su cui scommettere
cifre ragguardevoli, ma l'inganno non sempre riusciva e i due finirono per accumulare debiti per quasi 200
milioni. La pubblicazione in esclusiva sul Corriere dello Sport di un memoriale firmato da Cruciani e Trinca
sollevò il velo sull'organizzazione. Le accuse sarebbero poi state confermate dal centrocampista della Lazio
Montesi, in un'intervista a la Repubblica. Seguì l'intervento delle forze dell'ordine: il 23 marzo a Pescara,
all'Olimpico, a San Siro e in altri stadi di serie B, le forze dell'ordine fecero irruzione negli spogliatoi,
arrestarono e accompagnarono nel carcere romano di Regina Coeli i calciatori Giordano, Wilson,
Manfredonia e Cacciatori della Lazio, Albertosi e Giorgio Morini del Milan, Della Martira, Zecchini e Casarsa
del Perugia, Stefano Pellegrini dell'Avellino, Magherini del Palermo, Merlo del Lecce e Girardi del Genoa.
Altri giocatori molto noti furono convocati dagli inquirenti per accertamenti: tra loro Paolo Rossi, Giuseppe
Dossena, Giuseppe Savoldi e Oscar Damiani. Anche un dirigente, Felice Colombo, presidente del Milan,
risultò coinvolto, mentre Trinca, dopo un'ennesima ritrattazione, fu arrestato con l'accusa di truffa.
L'inchiesta della magistratura ordinaria si concluse nel dicembre 1980 con un verdetto di proscioglimento:
tutti i giocatori furono assolti per non sussistenza del fatto (per trasformare la scommessa clandestina in
reato occorreva una legge apposita) e il solo Cruciani fu condannato a una pena pecuniaria. In parallelo a
quella giudiziaria fu condotta l'inchiesta delle autorità sportive, che alla fine sanzionarono la retrocessione
in serie B del Milan per responsabilità diretta e della Lazio per responsabilità oggettiva, la radiazione per
Felice Colombo, la squalifica per un anno del presidente del Bologna, Tommaso Fabbretti, e diversi periodi
di squalifica per 21 calciatori (6 anni per Pellegrini; 5 anni per Cacciatori e Della Martira; 4 anni per
Albertosi; 3 anni e mezzo per Petrini, Savoldi, Giordano, Manfredonia e Magherini; 3 anni per Wilson,
Zecchini e Massimelli; 2 anni per Rossi; 1 anno e 2 mesi per Cordova; 1 anno per Morini e Merlo; 6 mesi per
Chiodi; 5 mesi per Negrisolo; 4 mesi per Montesi; 3 mesi per Colomba e Damiani). La vicenda, comunque,
provocò un grande sconvolgimento nel mondo del calcio italiano. Gli stadi si svuotarono, i particolari
raccontati da giornali e televisione tolsero credibilità a risultati e vicende agonistiche, una grande società
come il Milan subì una profonda crisi di immagine. Sembrava l'inizio di un inevitabile declino dello sport più
popolare in Italia, che invece vivrà di lì a poco una memorabile stagione con la conquista del titolo mondiale
in Spagna, nel 1982, da parte della nazionale guidata da Enzo Bearzot.
Un nuovo caso di scommesse clandestine su partite di calcio venne scoperto nel 1986 da un magistrato
torinese, Marabotto, che avviò le sue indagini in seguito a un'intercettazione telefonica. L'inchiesta
coinvolse un faccendiere napoletano, Armando Carbone, e un gruppetto di calciatori dai modesti guadagni
e di manager privi di scrupoli. Il Perugia, già retrocesso in C1 per i risultati conseguiti in campo, fu mandato
in serie C2. Subirono sanzioni anche Lazio, Udinese, Lanerossi Vicenza, Cagliari, Palermo, Triestina, Foggia e
Cavese. Ulivieri, Agroppi, Rozzi, Vinazzani, Cerilli, Vavassori, Chinellato, Cagni e Claudio Pellegrini furono
squalificati.
Gli illeciti non sono però esclusivi del calcio italiano. In Francia, suscitò enorme scalpore, nell'autunno del
1990, la scoperta di un traffico che aveva per protagonista Jean-Claude Darmon, accusato di finanziare in
nero alcuni club francesi attraverso una serie di società-schermo. Nell'inchiesta, condotta da un magistrato
appassionato di calcio, Jean-Pierre Zanoto, risultarono coinvolti Bordeaux, Nantes, Nizza, Paris St.-Germain
e, marginalmente, anche l'Olympique Marsiglia di Bernard Tapie. Nel 1993 lo stesso Tapie fu riconosciuto
responsabile di un caso di corruzione relativo alla partita Valenciennes-Marsiglia: il calciatore sotto accusa,
Robert, dopo l'arresto, confessò e il Marsiglia, vincitore della Coppa dei Campioni sul Milan a Monaco di
Baviera, fu punito anche dall'UEFA e non potè disputare Supercoppa Europea e Coppa Intercontinentale.
Un giro di scommesse clandestine emerse anche in Inghilterra, nel 1995: la centrale era a Bangkok e
Singapore, ma furono dimostrati legami con i risultati di partite disputate da Manchester United e
Liverpool. Il portiere del Liverpool vincitore della Coppa dei Campioni contro la Roma nel 1984, Bruce
Grobbelaar, originario dello Zimbabwe, fu arrestato. In precedenza, altri esponenti del mondo del calcio
inglese avevano avuto problemi con la giustizia: George Graham nel 1992 per aver intascato una tangente
di un miliardo per l'acquisto di due giocatori, Mickey Thomas per spaccio di banconote false, Peter Storey
dell'Arsenal per importazione di pornovideo.
L'ultimo scandalo che ha coinvolto il calcio italiano riguarda i passaporti dei giocatori stranieri. Nell'aprile
2000, i quotidiani italiani pubblicano, con molto rilievo, la notizia di un'inchiesta, avviata dalla Procura della
Repubblica di Roma, sulla documentazione in base alla quale il calciatore argentino Juan Sebastian Verón
ha ottenuto nel settembre 1999 la cittadinanza italiana. La magistratura mette in dubbio che il certificato di
nascita di un antenato di Verón (Giuseppe Antonio Porcella, nato nel 1870 nel comune di Fagnano Castello,
in provincia di Cosenza, e poi emigrato in Argentina) sia autentico. Dal punto di vista dei regolamenti la
notizia ha importanza in quanto la cittadinanza è presupposto indispensabile per poter considerare il
centrocampista nel gruppo degli stranieri comunitari, poiché, per gli extracomunitari, è previsto un tetto
massimo di cinque in rosa e tre in campo.
Il caso 'passaporti puliti' esplode però in occasione di una trasferta dell'Udinese in Polonia per un incontro
di Coppa UEFA: alla frontiera un doganiere solerte scopre che i passaporti di due brasiliani del club friulano,
Silva dos Santos Warley e Alberto Do Carmo, sono falsi. Interviene anche la magistratura di Udine e lo
scandalo si allarga a macchia d'olio. Il vice-presidente vicario del Milan, Adriano Galliani, allarmato dalla
pubblicazione sulla Gazzetta dello Sport della notizia relativa alla firma falsa sui passaporti portoghesi dei
due brasiliani dell'Udinese, consegna il documento del portiere Dida al Questore di Milano, dubitando della
sua validità. Alvaro Recoba, uruguayano dell'Inter, viene convocato a Udine in Procura e si presenta con un
documento dal quale risulta residente a Roma ma che si rivela falso, come la patente: il calciatore è
costretto a tornare in patria per munirsi di regolare passaporto. Tra il settembre 2000 e il gennaio 2001
sono resi noti altri episodi, più o meno sconcertanti e pittoreschi. La giustizia sportiva, assediata da ricorsi
alla Corte federale e minacce di chiamare in causa la giustizia ordinaria, procede faticosamente ai due gradi
di giudizio e, nel luglio, giunge a una soluzione di compromesso: un periodo di squalifica per i calciatori
scoperti in flagranza, ammende alle società. Le più coinvolte, Inter, Udinese e Vicenza, riescono comunque
a evitare la penalizzazione reclamata da Napoli e Reggina; in sospeso resta l'accertamento sui numerosi
extracomunitari della Roma. Nel processo sportivo del caso che ha dato inizio all'inchiesta, Verón e la Lazio
vengono assolti.
SITOGRAFIA: http://www.treccani.it/enciclopedia/calcio-la-storia-del-calcio_(Enciclopedia-dello-Sport)/