SCHEDA TECNOLOGICA: Empire State Building

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SCHEDA TECNOLOGICA: Empire State Building
1ª Facoltà di Ingegneria del Politecnico di Bari
Sede di Bari
Corso di Laurea triennale in Ingegneria Civile
Corso di ARCHITETTURA TECNICA
prof. Vincenzo NUZZOLESE
Anno Acc. 2007/2008
SCHEDA TECNOLOGICA: Empire State Building
A cura di Tommaso COLUCCI
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Localizzazione geografica dell’edificio
2
EMPIRE STATE BUILDING
L’Empire State Building è il grattacielo simbolo di New York.
Quando venne portato a termine nell’Aprile del 1931, questo edificio, che era il più alto del mondo, infranse
ogni record.
Con i suoi 381,61 mt superava
l’originale coronamento del Chrysler
Building di ben 60,96 mt (fig. 1) e la
cuspide del Manhattan Company
Building al n° 40 di Wall Street (fig. 2),
terzo edificio più alto nel 1930, di oltre
91 mt. Di proporzioni gigantesche,
metteva a disposizione 195.090 mq di
superfici da affittare, in confronto ai
78.965 mq del Chrysler Building ed ai
111.480 mq del secondo edificio per
uffici più grande della città, l’Equitable
Building (fig. 3), un autentico colosso
della Downtown negli anni precedenti
fig. 1
la prima guerra mondiale.
fig. 2
fig. 3
Il dato più stupefacente dell’Empire State, in ogni caso, è la velocità con cui è stato progettato e costruito. Ci
sono modi differenti per descrivere tale impresa. Il 7 Aprile 1930, appena sei mesi dopo la posa dei primi
pilastri portanti, lo scheletro in acciaio svettava fino all’85° piano. I lavori di costruzione e finitura dell’edificio,
compreso il pilone di ormeggio che ne portava l’altezza all’equivalente di 102 piani, vennero terminati solo
undici mesi dopo, nel Marzo del 1931. Ancor più sorprendente, tuttavia, è il fatto che l’Empire State venne
progettato, eretto e messo a disposizione degli inquilini in soli ventuno mesi, dal primo contratto firmato con
gli architetti nel Settembre 1929 alla festa d’inaugurazione il 1° Maggio 1931. In tutto questo periodo vennero
preparati i disegni architettonici e le piante, demolito il precedente blocco di epoca vittoriana dell’hotel
Waldorf-Astoria sul lotto che avrebbe dovuto poi ospitare il grattacielo, scavate e posate le fondazioni ed i
telai di fondazione, fusi e laminati, secondo precise specifiche, i pilastri e le travi in acciaio (qualcosa come
57.000 tonnellate), posati dieci milioni di mattoni ordinari, fusi più di 47.400 mc di c.l.s, montate 6.400 finestre
ed installati 67 ascensori in 11,27 km di vani appositi. Nei periodi di attività più intensa, il cantiere occupava
3.500 operai e lo scheletro cresceva di oltre un piano al giorno. Da allora, nessuna struttura paragonabile ha
mai fatto registrare un simile tasso di crescita. Due fattori permisero di rispettare questo incredibile
programma: un approccio progettuale orientato al lavoro di squadra, che coinvolse direttamente architetti,
proprietari, costruttori ed ingegneri nella pianificazione e nella risoluzione dei problemi, nonché il genio
organizzativo del general contractor, la Starrett Brothers and Eken.
Nel suo Skyscrapers and the Men Who Build Them del 1928, William (Bill) Starrett ha scritto: “la costruzione
dei grattacieli è l’equivalente più prossimo della guerra in tempo di pace (…). L’analogia con la guerra è data
dalla lotta contro gli elementi. Le fondazioni sono progettate nel terreno lungo i grattacieli svettanti già
esistenti. Acqua, sabbie mobili, roccia e fanghi argillosi ci sbarrano la strada verso le rocce di fondazione. Il
traffico romba in alto sopra le nostre teste nelle affollate strade principali, e le metropolitane, le condutture
del gas e dell’acqua, le linee elettriche e quelle, più delicate, dei telefoni e dei segnali, chiedono di non
essere disturbate per non rischiare di sconvolgere il sistema nervoso di una grande città. Procurarsi i
materiali vicini e lontani e gestire tutte le migliaia di operazioni che servono a completare l’insieme, sono le
attività principali dei costruttori dei grattacieli. La conoscenza dei trasporti e del traffico dev’essere sfruttata in
modo che l’edificio possa essere realizzato partendo da autocarri che sostano nelle strade a grande
scorrimento di traffico: qui non vi sono ampi spazi di stoccaggio, ma soltanto una manciata scarsa di
materiali che hanno bisogno di un rifornimento costante; si vive ora per ora. Ma tutto fila liscio e nei tempi, in
accordo con un programma messo a punto attentamente; il servizio di rifornimento in questa guerra in tempo
di pace e l’organizzazione della costruzione, e questi uomini sono i soldati di un grande sforzo creativo”.
Nel penultimo capitolo di Changing the Skyline, Paul Starrett ha scritto: “La storia dell’Empire State Building
è davvero un’epitome di tutte le vicende precedenti. In poche pagine essa narra dello spirito,
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dell’immaginazione e dell’audacia tecnica, ma anche qualcosa della frenesia che animarono il decennio di
cui esso costituì il culmine”.
Il boom edilizio, iniziato nel 1923, subì un’accelerazione nel corso del decennio. In quegli anni il volume
totale degli spazi per uffici di Manhattan si trovò quasi raddoppiato, ed allo skyline della città si aggiunsero
più di cinquanta edifici di almeno 35 piani ciascuno.
Nella Midtown, specialmente di fianco
al grande nodo dei trasporti di Grand
Central Terminal, sorsero tra gli altri il
Chryler, il Chanin (fig. 4), il Lincoln (fig.
5) ed il Daily News Building (fig. 6).
Le città crescono a scatti, conosciuti
come cicli della proprietà immobiliare,
e gli edifici più elevati solitamente
sorgono al termine di ciascun ciclo.
A metà del ciclo di New York, intorno al
1925-26, i maggiori grattacieli
contavano in media tra i 30 ed i 40
piani, ma alla fine del decennio gran
parte dei nuovi edifici erano di 40-45
piani, anche quando sorgevano su siti
abbastanza limitati.
L’ondata più consistente di nuove
costruzioni si ebbe tra il 1929 ed il
1931. Questi tre anni videro, oltre
all’Empire State, dieci nuove cuspidi di
50 o più piani, tra cui quella del
Chrysler Building con i suoi 77 piani,
del 40 Wall Street di 70 piani (fig. 7) e
del Cities Service Building (noto anche
come 60 Wall Street o 70 Pine Street),
alto 67 piani (fig. 8).
fig. 5
fig. 4
fig. 6
fig. 8
fig. 7
Le ragioni primarie dell’infittirsi dei progetti e della loro crescita in altezza vanno ricercate nell’escalation del
prezzo dei terreni e nel facile accesso ai finanziamenti. Quando gli operatori immobiliari pagano grandi
somme per un lotto di terreno, sono costretti a sovrapporre molti piani sullo stesso lotto per poter abbassare
il costo del terreno per ciascun piano. Il prezzo del terreno è un fattore di grande rilievo in quella complessa
equazione della proprietà immobiliare conosciuta come altezza economica, che dà come risultato il numero
di piani che una società immobiliare deve costruire per ottenere il massimo ritorno rispetto alle somme
investite. Torri sempre più alte richiedono, infatti, una maggiore quantità di fondazioni, di acciaio per le
strutture, di controventature, di impianti ed, in particolare, più ascensori con i relativi vani. Per ogni
grattacielo esiste così un numero limite di piani oltre il quale i canoni di affitto riscossi per ulteriori piani
aggiuntivi non giustificano i costi addizionali da sostenere, tanto che il proprietario avrà guadagni maggiori
costruendo un edificio più basso: questo numero di piani rappresenta appunto l’altezza economica
dell’edificio.
Anche se l’Empire State Building è spesso
menzionato come un edificio di 102 piani, in
realtà ne ha solo 85 ed è alto 320,04 mt, ma è
sormontato da una torre che oggi ha una
funzione essenzialmente ornamentale: il c.d.
“pilone di ormeggio” per i dirigibili (figg. 9 e 10), il
quale si sviluppa per altri 60,96 mt, l’equivalente
di 17 piani (pur non essendo presenti, all’interno
di questa struttura in metallo, delle strutture
orizzontali).
fig. 10
4
fig. 9
fig. 12
fig. 11
Nella torre per uffici (figg.11
e 12), i piani che vanno dal
1° all’80° sono serviti dalle
batterie
principali
di
ascensori; per raggiungere
invece i piani che vanno
dall’80° all’85°, nonché la
piattaforma di osservazione
corrispondente all’85° piano,
i
visitatori
devono
trasbordare su ascensori
dalla corsa separata ma più
breve.
Questi piani superiori erano
utilizzati originariamente per
gli uffici dei proprietari e
come zone di servizio. In
altre parole, l’Empire State fu
progettato come un edificio
per uffici di 80 piani: e
questa era effettivamente la
sua altezza economica.
I primi disegni resi pubblici dell’Empire State (fig. 13)
raffiguravano un edificio di 80 piani, dalla copertura
piana, troncato appena al di sotto del traguardo dei 305
mt. Nel Novembre del 1929 i proprietari e gli architetti
aggiunsero 5 piani addizionali e concepirono il pilone di
ormeggio di 60,96 mt che avrebbe garantito il record.
Questa altezza superlativa costituì ben più di un semplice
vanto; la piattaforma di osservazione garantì infatti degli
incassi considerevoli: durante il primo anno essa fece
guadagnare infatti circa un milione di dollari, ossia una
somma pari a quella incassata affittando le superfici
interne dell’edificio. L’Empire State non era soltanto più
alto di tutti gli altri grattacieli, ma era decisamente più
grande quasi sotto ogni aspetto.
La superficie affittabile netta era di 195.090 mq rispetto ai
soli 78.965 mq del Chrysler Building o ai 78.500 mq del
40 Wall Street. La superficie dei piani della torre era di
circa 1.672 mq, in rapporto con i 733,91 mq ed i 752,49
mq degli altri due edifici. Vi erano 64 ascensori
passeggeri invece dei 32 e dei 41 presenti
rispettivamente negli altri due grattacieli. Lo scheletro
d’acciaio pesava 57.000 tonnellate rispetto alle 21.000
tonnellate del Chrysler Building ed alle 18.500 del 4 0
Wall Street.
fig. 13
La tavola pubblicata sul “Fortune” del 1930 (fig.
14) nella quale l’Empire State è raffrontato con la
Torre Eiffel, con il Chrysler Building, col 40 Wall
S t r e e t , con il Woolworth B u i l d i n g, con la
Metropolitan Life Tower e con il New York Life
Insurance Company Building, dà un’idea delle
dimensioni senza precedenti dell’Empire State,
nonostante raffiguri lo slanciato fronte est-ovest
dell’edificio piuttosto che le più ampie facciate
nord e sud.
Dopo esser stato l’edificio più alto del mondo per
quarant’anni, l’Empire State venne superato negli
anni ’70 prima dalle Twin Towers del W.T.C., poi
dalla Sears Tower di Chicago.
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fig. 14
Cuspidi di carta
Le ragioni delle notevoli dimensioni dell’Empire State sono state soprattutto economiche e, forse, in parte
dovute anche ad una certa superbia. Concepito nel 1929, l’edificio era un sintomo della febbre speculativa
che spingeva al rialzo sia la borsa che l’altezza dei grattacieli. La strategia era quella di far ricorso ad una
scala che lo rendesse quasi autonomo, quasi una “città nella città”. L’edificio è stato perciò progettato per
ospitare 25.000 persone, una popolazione temporanea di circa 40.000 abitanti ed un massimo di 80.000.
Come osservò un giornalista di “Fortune”, “era un gesto davvero spettacolare. Se (i proprietari) avessero
avuto ragione, sarebbero riusciti a (…) lasciare il segno sul centro della metropoli. Se avessero avuto torto
avrebbero sentito nelle orecchie i fischi degli esperti per tutto il resto della loro vita”. In effetti gli uomini che
crearono l’Empire State Building non erano certo degli esperti di proprietà immobiliare. I maggiori investitori
furono Pierre S. du Pont, dell’antica famiglia di industriali del Delaware, e John Jacob Raskob, un milionario
fattosi da sé, che aveva cominciato la propria carriera come segretario personale di du Pont e che aveva poi
risalito tutti i ranghi della compagnia fino a diventare uno dei direttori della General Morors, nonché uno degli
uomini più facoltosi del Paese. Molti dei loro ricchi soci d’affari erano investitori e facevano parte del
consiglio di amministrazione della compagnia, ma Raskob era l’unico coinvolto direttamente nella
progettazione dell’edificio. Il volto pubblico del progetto era quello dell’ex governatore di New York, Alfred E.
Smith, che fu ingaggiato come presidente della società immobiliare (la società The Empire State Incorpored
venne costituita ufficialmente il 5 Settembre 1929) con un contratto da 50.000 dollari l’anno.
Se questi gentlemen
avessero
avuto
più
confidenza col mondo degli
investimenti immobiliari, non
avrebbero avuto il coraggio
di erigere un edificio così
grande tra la 5th Avenue e
la 34^ Strada (fig. 15),
Se, come si suol dire, i tre
fattori più importanti nella
proprietà immobiliare sono
la posizione, la posizione e
la posizione, l’Empire State
rischiava di trovarsi in serio
svantaggio. Non sorgeva
infatti in un quartiere di
uffici, né era ben servito
dalla ferrovia o dalle linee
della sotterranea.
La 5th Avenue, tra la 23^ e
la
42^
Strada,
era
principalmente un distretto a
bassa densità votato allo
shopping, fiancheggiato da
negozi
eleganti
che
traevano vantaggio da una
frequentazione delle strade
fig. 15
intensa ma legata per lo più
al tempo libero.
L’edificio più alto nelle immediate vicinanze era l’International Combustion Building, completato nel 1928,
che nonostante occupasse l’intera metà di un isolato era troncato al 27° piano.
Il gruppo guidato da Raskob non rastrellò un po’ alla volta il terreno necessario, ma lo acquisì approfittando
del fallimento di un’altra società immobiliare. Sarebbe errato pensare che il gruppo iniziò il progetto con
l’intenzione di erigere il grattacielo più alto del mondo. Piuttosto, l’idea si sviluppò da sola, guidata più da
calcoli economici che dalla pura ambizione.
Nel tracciare la storia del sito dell’Empire State, il modello consueto della trasformazione di Manhattan da
città residenziale a bassa densità, in città ad uso commerciale intensivo, è stato grossolanamente
sopravvalutato. A partire dal 1850, eleganti dimore e chiese coronate da guglie abbellivano quest’area lungo
la 5th Avenue, che ai primi dell’800 era ancora campagna. Sul fianco occidentale dell’Avenue, tra la 33^ e la
34^ Strada, si trovavano le vicine case Astor, in cui l’aristocrazia sociale di New York, i cosiddetti
Quattrocento, attendevano ai loro sfarzosi divertimenti.
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Negli anni ’70 dell’800, il
quartiere cominciò a mutare in
direzione delle funzioni
commerciali, ma la prima
intrusione
significativa
nell’omogeneità del tessuto
residenziale fu l’hotel Waldorf
con i suoi 12 piani (fig. 16),
costruito
nel
1893
in
corrispondenza della metà sud
dell’isolato Astor. Nel 1897
venne edificato l’hotel Astoria
(fig. 17), molto più alto; i due
edifici furono uniti per
diventare il Waldorf-Astoria,
centro di eleganza e di savoir
vivre celebre in tutto il mondo.
fig. 17
fig. 16
A metà degli anni ’20 tuttavia, molti newyorkesi, attratti dall’era del jazz, iniziavano a considerare il vecchio
isolato di età vittoriana un po’ fuori moda, e per l’edificio iniziarono le difficoltà economiche. Incapaci di
resistere alla tentazione costituita dalla crescita esponenziale del valore del loro terreno, i proprietari
annunciarono che avrebbero costruito un nuovo moderno hotel su un intero isolato nei quartieri eleganti
della città, intorno a Park Avenue.
Nel Dicembre 1928, la “Real Estate
Record and Builder’s Guide” riferiva della
vendita del Waldorf-Astoria Hotel alla
Bethlem Engineering Corporation, di cui
era presidente Floyd Brown, e
pubblicava un disegno prospettico (fig.
18) raffigurante, quasi su un’intera
pagina, l’edificio di 50 piani che la
proprietà si proponeva di costruire sul
lotto. Il costo di 14 milioni di dollari (quasi
17 con le spese addizionali di affitto) era
il più elevato dell’anno. Il disegno dello
studio di architettura Shreve and Lamb
mostrava un edificio con una base
massiccia, arretramenti multipli ed una
torre non molto sviluppata. Veniva
descritto come una struttura ad uso
misto, con 185.800 mq di superfici
d’affitto, i 25 piani inferiori dedicati a
negozi e loft, ed i 25 superiori dedicati ad
uffici.
fig. 18
E’ possibile che Brown, che vantava una formazione da architetto e che aveva sviluppato altri grandi
progetti, avesse l’intenzione di erigere direttamente l’edificio, o che invece pensasse di cedere i suoi progetti
ad altri investitori. Un mese prima aveva pagato 100.000 dollari per un’opzione sulla proprietà, e stabilito per
contratto di versare altri 2,5 milioni di dollari in contanti in due rate. Egli adempì al primo pagamento ma non
anche al successivo. Il 30 Aprile 1929, il giorno prima della scadenza del versamento, venne costituito un
sindacato per rilevare il contratto di Brown e costruire sul lotto; l’organizzatore era Louis G. Kaufman,
presidente della Chatham and Phenix National Bank and Trust, dalla quale proprio Brown aveva ottenuto in
prestito 900.000 dollari per la prima rata prevista dal suo contratto.
I cambi di proprietà a metà di un accordo erano frequenti nell’edilizia speculativa, e causati in genere da
errori nel garantirsi i finanziamenti o da un’opportunistica ricerca del profitto. Un operatore immobiliare
localizzava una proprietà adatta alla costruzione di un grande edificio e si assicurava un’opzione pagando
una somma di denaro sufficiente a mantenere il possesso del lotto per un anno o versando un deposito,
cosiddetto di garanzia, su un contratto di vendita. Poi incaricava un architetto di preparare una prospettiva di
grande effetto visivo, che veniva inviata ai giornali insieme ad un comunicato stampa. Tanta pubblicità
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attraeva spesso brokers immobiliari che conoscevano, o speravano di trovare, un facoltoso cliente
interessato ad un edificio di tali proporzioni. La possibilità di ritorni alti, le somme limitate necessarie per
iniziare un affare, nonché la relativa facilità nell’assicurarsi i finanziamenti per procedere alla costruzione,
stimolarono ulteriormente un mercato speculativo già in piena fioritura. Alcuni lotti cambiarono proprietario
anche più di quattro volte prima di essere edificati, rendendo possibile, come osservato da William Starrett,
“realizzare profitti senza dare un solo colpo di vanga”.
I nuovi proprietari immobiliari disponevano di molti più mezzi. Nell’estate del ’29, Kaufman propose a du Pont
e a Raskob di diventare i principali azionisti della società immobiliare, proposta che venne accettata.
Inizialmente i piani procedettero secondo il progetto originale di Brown, che prevedeva un edificio a
destinazione mista, ma presto si prese in considerazione un importante cambiamento di programma: la
trasformazione della struttura in una torre ad uffici di grande altezza, di “classe A”.
In una lettera di accordi inviata a Kaufman il 28 Agosto 1929, Raskob confermava la partecipazione propria
e di du Pont all’investimento, ed allegava una pagina di dati in cui si paragonavano i costi ed i guadagni
stimati di due possibili alternative, un edificio di 55 piani ed uno di 80. Il primo avrebbe raggiunto un volume
complessivo di 820.990 mc, sarebbe costato 45 milioni di dollari ed avrebbe generato un reddito dovuto agli
affitti, di 5,12 milioni di dollari, producendo un ricavo lordo sui costi totali pari all’11,4%. Il secondo avrebbe
messo a disposizione 30.657mq aggiuntivi di spazio affittabile, generando un reddito complessivo di 6,3
milioni di dollari, ovvero un ricavo lordo del 12,6%. Si stimava che l’edificio più alto avrebbe fatto incassare
un altro milione di dollari in più di affitti, il che appariva un argomento valido per spingere gli investitori a
rischiare. I dati riportati nella lettera di Raskob del 28 Agosto erano basati su formule standard applicate al
mercato immobiliare, non su uno specifico progetto di costruzione. In realtà, dall’acquisizione della proprietà
fino alla costituzione dell’Empire State Incorporated, avvenuta il 5 Settembre 1929, gli unici piani esistenti
per l’edificio furono finanziari, non architettonici. I differenti schemi venivano descritti soltanto in termini
numerici: piani, metri cubi, costi operativi e redditi da affitto stimati. A tali relazioni non erano allegati disegni,
né se ne faceva alcuna menzione. Nella lettera, Raskob osservava che uno dei prossimi passi avrebbe
dovuto comportare la scelta di un architetto che redigesse un progetto.
Il 29 Agosto, Al Smith annunciò ufficialmente alla stampa che la società avrebbe eretto l’edificio più alto del
mondo sul sito dell’hotel Waldorf-Astoria. Quello che era iniziato come un progetto per un blocco di uffici e
loft di grandi dimensioni, ma anonimo e di altezza media, si era trasformato in una vera e propria impresa,
pensata per catturare l’attenzione del mondo.
Oltre al piano economico, furono molti i fattori che diedero forma all’edificio prima che gli architetti
cominciassero a progettarlo: in particolare le enormi dimensioni del lotto, i regolamenti urbanistici della città
e la rapidità del programma di costruzione.
L’Empire State poté raggiungere dimensioni così notevoli perché il lotto su cui sorgeva era circa il doppio di
quello dei maggiori edifici della Midtown.
Una volta riunite, le particelle di terreno
dell’hotel Waldorf-Astoria e dell’Astor Court
formarono un lotto lungo 60 mt, ossia
quanto l’intero isolato (fig. 19), sulla 5th
Avenue, che si estendeva per 129 mt ad
ovest lungo la 33^ e la 34^ Strada. Un lotto
di tali dimensioni, cioè di quasi due acri
(0,81 ettari), era insolito nei distretti di
edifici commerciali; a parte gli isolati che in
seguito diedero origine al Rockefeller
Center (concepito alla fine del 1929 - fig.
20), gli unici siti ad esso paragonabili erano
i lotti che occupavano interi isolati su
Madison S q u a r e , su cui sorgevano i
quartieri generali delle compagnie di
assicurazione New York Life e Metropolitan
Life.
fig. 19
fig. 20
La dimensione dei lotti influenzò fortemente la progettazione dei grattacieli dopo il 1916, quando la prima
legge urbanistica della città introdusse dei vincoli alle forme degli edifici commerciali. Prima di tali norme, gli
edifici generalmente crescevano perpendicolari rispetto alle linee di confine dei lotti per 20, 30 e persino 40
piani, trasformando molte strade in veri e propri canyon privi di luce. Per preservare una certa quantità di
luce ed aria, la legge introdusse un nuovo concetto nel vocabolario dell’urbanistica, quello di sviluppo per
zone. Si trattava di una formula (anzi, di cinque formule differenti) che limitava e definiva la quota ed il
volume degli edifici alti, imponendo ad ogni edificio, una volta raggiunta una quota massima verticale sul
livello del marciapiede (in genere pari a 38 o 46 mt), di arretrare progressivamente in linea con una
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diagonale proiettata dal centro della strada antistante. Era permesso costruire una torre di altezza illimitata
solo se si occupava un quarto del lotto. Quest’ultima condizione aveva una conseguenza importante, perché
rendeva i siti grandi particolarmente appetibili per le compagnie immobiliari, dal momento che la loro
ampiezza dava la possibilità di erigere torri di proporzioni remunerative.
Il grande lotto dell’Empire State consentiva la costruzione di una torre con una superficie netta di circa 1.858
mq, che lasciava ampio spazio per gli ascensori ed i locali di servizio così come per uffici ampi e ben
illuminati. Un’altra limitazione che influì sul progetto dell’Empire State, fu la richiesta dei proprietari di
completare l’edificio entro il 1° Maggio 1931. Tale programma era dettato dalle consuetudini in campo
immobiliare tipiche degli anni ’20, epoca in cui i canoni d’affitto erano annuali e decorrevano proprio dal 1°
Maggio. Gli edifici dovevano essere quindi completati entro quella data, pena la perdita del ricavato degli
affitti di un anno. Inoltre i costi correnti degli interessi e delle tasse per l’Empire State vennero stimati in
10.000 dollari al giorno. Il risultato fu che su quasi ogni decisione da prendere relativamente alla
progettazione ed alla costruzione dell’Empire State, gravava la necessità di operare in fretta. L’interazione
tra tutti questi fattori diede luogo ad una complessa equazione che influenzò la forma finale dell’edificio. La
decisione di erigere l’Empire State, nonché di conferirgli una certa forma ed altezza, venne presa basandosi
sui dati riportati sulla carta, assecondando le regole della proprietà immobiliare, le norme urbanistiche e le
esigenze della finanza, ancor prima che qualsiasi consulente venisse incaricato di produrre un progetto.
Come riassunto da un articolo comparso su un numero del 1930 di “Fortune” ed intitolato Paper Spires,
“Tutti questi elementi disegnavano il perimetro di un solido geometrico dalla strana forma, delimitato da un
lato da un terreno di 7.790,60 mq, da un altro da 35 milioni di dollari, da un altro dalla legge della
diminuzione dei profitti, da un altro dalle leggi della fisica e dalle caratteristiche della struttura in acciaio, da
un altro dalle esigenze coniche delle ordinanze urbanistiche, e da un altro ancora dal 1° Maggio 1931”.
Un progetto risultante da aspetti così disparati non poteva certo essere gestito unicamente da uno studio di
architetti. Era necessaria la collaborazione di un team di esperti, che comprendesse proprietari, costruttori,
architetti, ingegneri impiantistici e strutturali, consulenti in ascensoristica ed agenti immobiliari, in primo luogo
per definire il problema, quindi per risolverlo.
Progettazione in team
I responsabili si misero all’opera con grande rapidità per
formare i rispettivi team. I primi ad essere incaricati furono gli
architetti Shreve, Lamb ed Harmon, che avevano sviluppato la
proposta originaria del blocco di uffici e loft per Floyd Brown.
Tutti e tre erano grandi esperti nella costruzione di grattacieli e
responsabili dell’edificazione di un gran numero di torri nella
città, tra cui il quartier generale newyorkese della General
Motors ed il 500 Fifth Avenue, fratello dell’Empire State, alto 60
piani (fig. 21). La loro era una società commerciale di successo,
abituata a lavorare con grandi compagnie ed operatori
immobiliari dediti ad interventi speculativi. Il secondo passo fu
la selezione del costruttore. Erano poche le imprese costruttrici
che potessero vantare un’esperienza sufficiente in operazioni di
questa scala e disporre del capitale necessario a coprire gli
elevati costi delle attrezzature e del lavoro.
Nella sua autobiografia, Paul Starrett racconta che oltre alla
propria, vennero contattate altre quattro grandi società quali la
George A. Fuller Company, la Thompson-Starrett, la Marc
Eidlitz and Son e la Turner Construction.
fig. 21
Durante il colloquio che dovette sostenere, Paul Starrett spiegò perché la propria società fosse la più
qualificata, e citò i successi più recenti dell’impresa: i grattacieli per la New York Life Insurance ed il
complesso lavoro svolto per il 40 Wall Street, in procinto di essere completato proprio allora in tempi record.
Egli assicurò che l’impresa Starrett Brothers and Eken sarebbe stata in grado di demolire il Waldorf-Astoria e
di consegnare un edificio finito in diciotto mesi, e chiese un compenso forfetario di 600.000 dollari. L’incarico
gli fu offerto per 500.000 dollari, ed egli accettò dopo aver richiesto alcune variazioni negli accordi
assicurativi e di finanziamento. Una lettera del 13 Settembre confermò l’accordo, ed il 20 Settembre 1929
venne firmato il contratto. La demolizione del Waldorf ebbe inizio quattro giorni più tardi.
Sin dal principio i proprietari, gli architetti ed il costruttore lavorarono congiuntamente per sviluppare il
programma di edificazione. Questo metodo permise di evitare l’insorgere di disguidi nel progetto e di costosi
ritardi nella costruzione, e di ottenere economie significative durante il processo di progettazione. Come
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spiegò Shreve, la complessità insita nella realizzazione di grandi edifici commerciali richiedeva competenze
che andassero oltre quelle possedute tradizionalmente dagli architetti o da ciascuna delle singole figure
professionali coinvolte nel progetto.
Tutti i dettagli dell’edificio furono esaminati in anticipo e stabiliti prima di essere inseriti nel progetto. Il gruppo
teneva riunioni regolari, lavorando a stretto contatto con i consulenti sui problemi tecnici. Queste sessioni
iniziali di pianificazione occuparono circa quattro settimane nel Settembre 1929, e diedero come risultato un
elenco completo di requisiti tecnici, di piano ed economici per il progetto. Tali linee guida divennero il
programma essenziale per l’edificio.
Spiegava William Lamb: “Il programma era abbastanza ridotto: un budget fisso, uno spazio massimo di 8,53
mt tra le finestre ed i corridoi, realizzare quanti più piani possibile con questo spazio, esterni in pietra
calcarea e data di completamento il 1° Maggio 1931, cioè un anno e sei mesi dopo l’inizio dei disegni”.
All’interno di questo programma semplificato, il
team cercò di elaborare il progetto più
efficiente ed in grado di generare la massima
rendita, sviluppando numerose versioni che
differivano per volumi ed altezze, ciascuna
suffragata da una stima dei costi.
La 17^ versione, denominata “progetto K”, fu
approvata durante una riunione del comitato
esecutivo il 3 Ottobre 1929. Oltre a riportare
ulteriori cambiamenti, compresa la variazione
del numero di piani e l’aggiunta di un pilone di
ormeggio per i dirigibili, questo schema
stabiliva anche la distribuzione dei volumi, la
pianta e le proporzioni dell’edificio; in fig. 22
sono riportate le piante del pian terreno e di tre
livelli tipo.
Il punto fondamentale del progetto definitivo
era l’esigenza che gli spazi per gli uffici non
fossero più profondi di 8,53 mt, misura che
costituiva uno standard immobiliare.
Per tutta la prima metà del ‘900, la luce
naturale ha costituito il mezzo principale per
illuminare le postazioni di lavoro, oltre che il
fattore più importante nella definizione delle
dimensioni e del layout degli uffici standard.
fig. 22
La redditività dipendeva dalla creazione di ampie finestre e di alti soffitti, che permettevano alla luce del sole
di penetrare all’interno degli edifici per la via più diretta possibile. I soffitti erano alti tra i 3 ed i 3,65 mt,
mentre le finestre dovevano essere il più possibile ampie senza risultare troppo pesanti da aprire, ed in
genere erano larghe tra 1,22 e 1,52 mt ed alte tra 1,83 e 2,44 mt. Tali vincoli riguardavano le piante dei vari
piani, oltre che la forma complessiva dell’edificio. Una grande quantità di spazio al centro, reso il più
compatto possibile, contiene i sistemi di circolazione verticale, i servizi igienici, i vani ascensori ed i corridoi.
Intorno a questo si trova un’area perimetrale che ospita gli uffici ed è profonda 8,53 mt (v. fig. 22).
Le dimensioni dei piani diminuiscono di pari passo col decrescere del numero degli ascensori. I quattro
gruppi di elevatori a tragitto lungo sono collocati al centro dell’edificio, mentre i gruppi di ascensori a tragitto
breve si affiancano lungo i lati est ed ovest in modo che, quando questi terminano la propria corsa, l’edificio
si restringe passando in pianta dalla forma allungata del lotto a quella quadrata del pilastro. Il risultato è che,
invece di essere una torre collocata su una serie di arretramenti progressivi come prescritto dalle leggi
urbanistiche, l’edificio diventa un’unica torre che si eleva su un grande basamento di 5 piani. Dunque la
forma compatta dell’Empire State rappresenta l’espressione diretta delle piante dei suoi piani (v. fig. 22). Gli
arretramenti segnalano il livello al quale termina la corsa dei vari ascensori, mentre l’altezza è limitata
dall’area centrale necessaria per gli elevatori.
La collocazione precisa degli arretramenti al 20°, al 24° ed al 29° piano era anch’essa richiesta dalle norme
urbanistiche. Gli spazi interni dei grattacieli non nascono già ripartiti in uffici separati, ma rappresentano
ambienti indifferenziati che vengono poi suddivisi e completati nelle finiture a partire dal momento in cui ogni
spazio trova un inquilino. La pianta di ogni piano è studiata in modo da permetterne facilmente la
suddivisione in un numero ottimale di singoli uffici.
Negli anni ’20, il sistema strutturale a pilastri, rivelatosi più efficiente, richiedeva un passo di distanza tra i
pilastri di circa 5,50-6,00 mt, il ché permetteva di ricavare due uffici per campata. Le campate erano larghe
generalmente 2,75-3,00 mt e comprendevano una finestra pienamente utilizzabile. Nessun ufficio veniva
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affittato senza finestre, necessarie a garantire, oltre alla luce naturale, anche la ventilazione dei locali stessi.
La dimensione delle singole unità di uffici e l’intervallo tra le finestre, determinavano in larga parte la trama
delle facciate.
L’altezza dell’edificio fu un’altra questione che venne risolta grazie alla collaborazione tra i team. Quando gli
architetti elaborarono gli studi preliminari, scoprirono che 85 piani di uffici corrispondevano più o meno
all’altezza che poteva essere raggiunta con il denaro disponibile. Studi effettuati sugli impianti di risalita
dimostrarono anche che quel numero di piani rappresentava il limite massimo di operatività efficiente ed
economica per gli ascensori da installare in un edificio simile. In altre parole, l’altezza e la bellezza
dell’Empire State Building derivano da considerazioni strettamente pratiche. Il processo, tuttavia, era più
complicato. Come già osservato in precedenza, l’altezza economica di un grattacielo deriva da un calcolo
complesso, che prende in considerazione molti fattori. Gran parte dei costi relativi all’altezza sono imputabili
alla necessità di sistemi di circolazione verticale efficienti; ma per quanto gli ascensori siano molto
dispendiosi da costruire e da far funzionare, il costo maggiore risiede nello spazio che i loro vani sottraggono
a quello da affittare.
Il parametro secondo cui si valuta un edificio di classe A è il suo servizio di ascensori, stimato sulla base
della velocità delle cabine e, soprattutto, del tempo massimo di attesa, che nel corso del ‘900 è diventato di
25-30 secondi. Dato che aggiungere nuovi piani ad una torre richiede un maggior numero di ascensori,
diventa necessario ridurre lo spazio per gli uffici ai piani inferiori.
Gli architetti Shreve e Bassett Jones, dello studio di ingegneri impiantistici Meyer, Strong & Jones,
spiegarono come il progetto dell’edificio e del sistema di ascensori si evolvesse attraverso gli incontri con il
proprietario, con gli architetti, con gli ingegneri ed i costruttori, nonché con i produttori degli impianti, la Otis
Elevator Company. Era un problema che coinvolgeva infatti la progettazione delle strutture in acciaio, le
fondazioni, i fori nei solai, le luci dei vani e l’impianto elettrico, nonché il coordinamento di tutti gli attori
coinvolti.
L’elaborazione appropriata e simultanea dei progetti per l’edificio, per lo scheletro in acciaio e per gli
ascensori, permise di evitare l’errore comune di cercare di inserire un impianto di risalita in un edificio la cui
distribuzione interna ed il cui disegno dello scheletro d’acciaio erano già predefiniti. Ciò significa che i
requisiti spaziali dell’impianto di sollevamento furono stabiliti prima di dare avvio al progetto strutturale.
Considerando l’ampiezza della superficie e della sezione della torre dell’Empire State ed il sistema di risalita
proposto – cabine ad un solo piano ad alta velocità per ogni vano, con tutte le cabine che partivano dal
livello della strada –, si concluse che il limite pratico del sistema corrispondeva ad 80 piani.
Di comune accordo, il team
decise che per ottenere un
maggior equilibrio tra un
servizio
efficiente
di
ascensori ed uno spazio di
uffici ben illuminato, fosse
necessario ridurre la base
dell’edificio a 5 piani, al di
sopra dei quali l’edificio
avrebbe
subìto
un
arretramento considerevole
(18 mt; v. fig. 23).
fig. 23
Al 4° piano l’area sfruttabile economicamente è di circa 6.410 mq; al 5° piano si riduce a 2.787 mq. In questo
modo si è ottenuta una grande quantità di luce e di aria in tutti i piani, nonché un’ampia superficie sfruttabile
economicamente ai 5 livelli inferiori, cosa che, grazie alla lunghezza ridotta della corsa, permetteva di
servire tali piani con una batteria limitata di grandi ascensori.
Le caratteristiche degli ascensori influirono dunque sulla forma dell’edificio in relazione sia all’altezza che al
volume. La definizione dell’altezza dell’Empire State ebbe quindi poco a che fare con i vincoli ingegneristici e
molto, invece, con le questioni economiche.
I disegni della facciata e del suo sistema finestra-parapetto-parete procedettero in modo simile, dal punto di
vista del buon senso, della semplicità d’uso e dell’economia e, soprattutto, della necessità di ottenere la
massima rapidità di posa in opera. Il guscio dell’edificio avrebbe dovuto esprimersi come involucro e non,
invece, come elemento strutturale portante. A tal fine si pensò ad un sistema composto da montanti in
acciaio inossidabile, pilastri rivestiti in pietra calcarea, parapetti in alluminio fuso e finestre in metallo a
traversa fissa.
Il progetto era innovativo sotto molti aspetti; lo scopo era quello di standardizzare il più possibile i
componenti, creando una sorta di kit di elementi che avrebbe reso più rapida sia la produzione che la posa
11
in opera; su un totale di 5.704 parapetti di metallo si ebbero, ad esempio, solo diciotto varianti. Le specifiche
per alcuni di questi elementi richiesero nuove forme specializzate, e vennero formulate attraverso una stretta
collaborazione tra il team ed i costruttori. Per esempio, la forma da dare all’acciaio al cromo-nichel utilizzato
nei montanti continui e nel pilone di ormeggio, implicava la determinazione della lunghezza e della larghezza
dei fogli che potevano essere laminati ed ottenuti; la possibilità di dare forma al foglio sulla pressa; il metodo
di giunzione e di irrigidimento; la relazione tra la forma del metallo e le superfici esterne delle pareti, le
velette delle finestre, le soglie ed i montanti ed i parapetti; i sistemi per fissare la forma di metallo allo
scheletro della struttura, così come la finitura e la durevolezza della superficie lucente.
Dato che gli architetti, i costruttori ed i subappaltatori non ritenevano di avere la competenza sufficiente per
formulare da soli tali specifiche, coinvolsero i subfornitori che dovevano laminare il materiale, i
rappresentanti delle officine metallurgiche che dovevano produrlo, gli operai che avrebbero dovuto posarlo in
opera e gli ispettori incaricati di testare i fogli ai vari stadi di preparazione.
Lo spettacolo messo in scena dal costruttore
Tra le imprese di New York, la Starrett Brothers and Eken era la più importante nelle costruzioni di
grattacieli. Anche se la ditta non figurava tra i cinque colossi (“the big five”) in termini di volume totale di
nuove edificazioni, essendo specializzata in progetti a grande scala era abituata a competere per le
commesse maggiori.
Quando iniziò la costruzione dell’Empire State, Paul Starrett operava nel settore delle costruzioni già da più
di quarant’anni, ed il fratello Bill da più di trenta. Paul iniziò la propria carriera nel 1888, lavorando come
assistente nello studio di architettura Burnham & Root, dove rimase per sei anni, seguendo da vicino molti
lavori importanti tra cui i due padiglioni per l’Esposizione colombiana del 1893. Nel 1897 entrò nella Gorge A.
Fuller Company, dove ottenne l’incarico di supervisore di numerosi ampi progetti in varie grandi città. Dotato
di un considerevole talento, presto Paul si trovò a capo della sede newyorkese della società, ricoprendo la
carica di presidente per diciassette anni.
Bill Starrett invece, cominciò la sua carriera nel settore delle costruzioni come controllore delle ore di lavoro
per la Fuller Company. Dal 1901 al 1913 lavorò alla Thompson-Starrett, diretta dal maggiore dei suoi fratelli,
Theodore. Durante la prima guerra mondiale organizzò la sezione del Ministero delle industrie belliche, che
si occupava delle costruzioni di emergenza, realizzando con grande rapidità basi militari, ospedali e campi di
volo. Tornato alla Fuller Company a lavorare col fratello Paul, fu promosso ad un ruolo direttivo.
Per ragioni diverse, nessuno dei due fratelli in quel periodo era soddisfatto della direzione presa dalla propria
carriera. Bill, impulsivo ed ambizioso, deciso a costituire una nuova società di costruzioni, chiese al fratello
Paul di dirigerla. Nel 1922 i due fratelli crearono una propria società; ad essi si unì subito Andrei J. Eken,
uno dei vicepresidenti della Fuller, per il quale Paul nutriva una grande stima personale. L’impresa si
presentò pubblicamente con la denominazione Starrett Brothers and Eken, e nel giro di pochi anni si collocò
tra i colossi dell’industria edile.
Un general conctractor veniva incaricato di seguire tutte le operazioni. Con un contratto di questo genere, un
proprietario affidava ad una singola agenzia i progetti e le specifiche di capitolato di un edificio; dal canto
suo, l’agenzia si impegnava a fornire, entro un tempo prefissato, una struttura completa pronta per l’ingresso
degli inquilini. Il contractor, oltre a finanziare il lavoro di mese in mese, mentre il proprietario gli versava una
frazione delle spese effettive man mano che il lavoro procedeva, si occupava anche dell’acquisto e
dell’assemblaggio dei materiali, assegnava direttamente i subappalti, aveva la facoltà di eseguire
direttamente alcune opere come le fondazioni, le murature, la struttura in acciaio ed i lavori di carpenteria e
di falegnameria. Supervisionava ed amministrava il tutto, e salvaguardava il proprietario da qualsiasi
imprevisto. Il ruolo fondamentale del general contractor consisteva quindi nel provvedere ad una gestione
efficace e centralizzata per coordinare le varie imprese, i materiali ed il denaro, controllando i tempi del
lavoro e sincronizzando le singole attività secondo un piano determinato
A maggior ragione un’elevata capacità di gestione era fondamentale per la Starrett Brothers and Eken,
poiché l’impresa lavorava sempre dietro compenso fisso anziché utilizzare il sistema, preferito da molte altre
ditte, basato sul ricarico dei costi. Quando il costruttore percepisce un onorario fisso, deve valutare i costi in
modo molto accurato, poiché il costo di ritardi, gli ordini non evasi o altri errori di calcolo, vanno tutti a danno
dei profitti della compagnia; viceversa, ogni somma risparmiata si trasforma in guadagno.
Per l’Empire State, l’appalto concesso a Paul Starrett per 600.000 dollari (ed il compenso di 500.000 dollari
negoziato alla fine) era basato su pochi dati in più rispetto al volume di 962.540 mc previsto dai proprietari.
La lunga esperienza di Paul nell’industria edile e la sua perfetta conoscenza dei costi di costruzione, gli
permisero di accettare quel compenso ben prima di avere a disposizione un disegno architettonico o un
capitolato. Delle stime più dettagliate dei costi vennero poi preparate nella fase della cosiddetta buyout, che
consisteva nell’incaricare le ditte subappaltatrici.
La Starrett Brothers and Eken impiegò direttamente 1.928 unità e 1.511 subappaltatori, per un totale di
3.439 persone.
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Paul Starrett scrisse che, in seguito all’accurata pianificazione del team di progettazione, “il nostro lavoro era
ripetitivo: acquisto, preparazione, trasporto in cantiere e posa in opera degli stessi materiali nello stesso
rapporto tra loro, di continuo. Come osservato dall’architetto Shreve, il lavoro era simile ad una catena di
montaggio di elementi standard”.
La difficoltà principale consisteva nel tenere in movimento quella catena di montaggio, alimentando
continuamente, con i materiali, il lavoro delle persone, il cui numero poteva aumentare costantemente. Per
tenere il passo, i materiali dovevano giungere in cantiere secondo un programma preciso. Ciò era
necessario non soltanto per gli elementi dello scheletro in acciaio, che dovevano essere collocati nel punto
specifico per il quale erano stati fabbricati e laminati, ma anche per i materiali impiegati su grande scala,
come i 10 milioni di mattoni comuni ed i 5.605 mc di pietra calcarea utilizzati nell’edificio. Dato che per questi
materiali non esistevano delle aree di stoccaggio, era necessario movimentarli una sola volta, dall’autocarro
su cui erano arrivati, fino al livello in cui dovevano essere utilizzati, generalmente entro tre giorni. Il pian
terreno dell’edificio venne lasciato libero da strutture provvisorie, sì che gli autocarri potessero introdurvisi
per scaricare i loro materiali. Durante la fase più intensa dei lavori di costruzione, furono circa 500 gli
autocarri che ogni giorno depositarono il loro carico all’interno dell’edificio. Ciò corrispondeva a circa un
autocarro al minuto, considerando un giorno lavorativo di otto ore e senza contare il sollevamento degli
elementi strutturali in acciaio per mezzo di gru esterne.
Per la movimentazione dei
materiali necessari alla costruzione
dell’Empire State, vennero adottate
diverse innovazioni come, ad
esempio, dei carrelli sospesi, una
decauville (figg. 24 e 25) e dei
vagoncini (a bilico: figg. 27-28, ed
a pianale: fig. 29) per i mattoni.
I materiali venivano dunque
manipolati e distribuiti per mezzo di
vagoncini industriali su binari a
scartamento ridotto, che seguivano
esattamente il perimetro di ogni
piano (v. figg. 24 e 25).
I binari attraversavano le
piattaforme dei montacarichi,
cosicché i vagoncini, caricati ad
esempio al piano interrato,
potevano essere trasportati
velocemente sul montacarichi fino
al piano dove servivano, e
scaricare i materiali quasi nel
punto in cui dovevano essere di
fatto utilizzati. I mattoni che
arrivavano in cantiere al livello del
pian terreno, venivano scaricati,
nel piano interrato, in apposite
grandi casse dal fondo inclinato, le
c.d.
tramogge:
i
mattoni
scorrevano attraverso uno
sportello e cadevano all’interno dei
vagoncini dopo essere stati
completamente bagnati (fig. 27).
Col
sistema
di
trasporto
tradizionale si riuscivano a
trasportare su una piattaforma
standard solo due cariole per
viaggio, contenenti appena 100
mattoni ciascuna. Con i vagoncini
industriali e con lo stesso
montacarichi invece, si potevano
trasportare 400 mattoni per
viaggio.
fig. 25
fig. 24
fig. 28
fig. 27
fig. 28
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I quattro “battistrada” della costruzione (ossia gli elementi dell’edificio condizionanti l’intero programma di
costruzione) furono la struttura in acciaio, i solai in c.l.s. armato, le finiture esterne in metallo con i parapetti
in alluminio, e le parti esterne in pietra calcarea.
Per la posa in opera della muratura in pietra vennero
eliminate completamente le solite gru. Gli autocarri
arrivavano direttamente all’interno dell’edificio con i
blocchi di pietra all’interno di casse. Contrassegnata
con la sezione dell’edificio cui era destinata, ogni
cassa veniva scaricata dall’autocarro per mezzo di
una piccola gru, fissata ad una monorotaia sospesa
al soffitto, e caricata sui carri-pianale della decauville
(fig. 30). Una volta portate al piano di destinazione, le
pietre venivano scaricate quasi nel punto esatto in cui
dovevano essere posate. Al sollevamento di tutte le
pietre necessarie all’interno dell’edificio, furono adibiti
due montacarichi. Sfruttando il sistema detto non
solo ci fu un anticipo di due settimane sul programma
di posa delle pietre, ma per un periodo di 10 giorni
consecutivi si raggiunse una meda di 1,4 piani al
giorno.
fig. 30
Vennero stabiliti però anche altri record. Per la struttura in acciaio, il tempo guadagnato fu pari a 12 giorni. I
solai in acciaio vennero terminati con 4 giorni di anticipo sul programma. Il rivestimento esterno in metallo ed
i parapetti in alluminio fuso, vennero completati il 17 Ottobre 1930, 35 giorni prima della data prevista del 1°
Dicembre. Il tempo guadagnato per gli elementi in pietra calcarea del rivestimento esterno e per il loro
sostegno in mattoni, fu di 17 giorni.
Con i sistemi ideati dai costruttori e con la collaborazione orchestrata di architetti, ingegneri e produttori, si
costruì l’Empire State Building con quasi 2 milioni di dollari in meno rispetto al costo stimato originariamente.
Il costo finale dell’edificio fu pari a 25 milioni di dollari.
L’ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO
La conquista dei record
L’Empire State Building, simbolo maestoso dell’intraprendenza e dell’efficienza del suo tempo, è stato il
risultato di un processo. Con la sua altezza spettacolare ed il suo aspetto architettonico degno di nota, esso
rappresenta il vertice del boom dei grattacieli degli anni ’20. Ma la qualità più sorprendente di questa torre,
mai superata da nessun altro edificio successivo, è però la velocità della sua costruzione, basata
sull’impressionante logistica in cui i fratelli Starrett ed il loro socio Eken erano molto esperti. Quando la
struttura fu terminata nel 1930, i 318,52 mt da terra alla copertura principale ed i 381,61 mt fino al culmine
del pilone di ormeggio, erano si un record ma non rappresentavano un salto di scala significativo. La
maggior parte della gente considerava però l’Empire State una bella costruzione, al di là della sua altezza.
L’Empire State fa parte di una serie di edifici a grande altezza eretti negli anni ’30 in uno stile moderno, con
gli interni organizzati attorno ad una disposizione degli ascensori e ad un sistema di accesso per i locatari,
sicuramente efficienti; tuttavia il suo stile, i dettagli e la distribuzione interna, anche se ben concepiti, non
erano eccezionali per quei tempi. Ciò che in realtà rimane insuperato nell’Empire State è il fatto che venne
completato, dallo scavo delle fondazioni all’entrata degli inquilini, in meno di un anno. Si tratta di una velocità
di costruzione già invidiabile per qualsiasi grande struttura, ma davvero incredibile se paragonata ad un
edificio di tale altezza realizzato su un lotto soffocato nel centro della congestionata Midtown di Manhattan.
La struttura: scheletro, solai e facciate
La forma primaria della struttura dell’Empire State riflette la tecnologia dell’epoca, ossia la lezione appresa
dalla progettazione e dalla costruzione di migliaia di edifici a scheletro d’acciaio di minore altezza in quel
periodo. Nessuna parte della struttura principale era eccezionale; lo scheletro d’acciaio, i solai in c.l.s.
armato e gli impianti tecnici che permettevano di utilizzare l’edificio, erano del tutto simili a quelli adottati in
altri edifici, sebbene avessero uno sviluppo significativamente maggiore.
La struttura costruttiva dell’Empire State può essere suddivisa in tre elementi principali: lo scheletro, i solai e
le facciate. Altri elementi, come ad esempio gli ascensori o gli impianti idraulici, sono fondamentali per il
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funzionamento quotidiano del grattacielo, ma non per la sua identificazione come edificio. Senza ascensori
sarebbe molto faticoso raggiungere l’80° piano, ma non esisterebbe un 80° piano senza solai.
Lo scheletro dell’Empire State (fig. 31) è
costituito da elementi d’acciaio giuntati per
mezzo di chiodi. Sebbene non si trattasse
di una tecnica particolarmente originale per
gli edifici elevati, all’epoca questo costituiva
il metodo più sperimentato degli ultimi
trentacinque anni.
La struttura in acciaio va citata per prima, e
non solo per una questione di precisione
cronologica. Gli altri tre “battistrada” erano i
solai ed i due componenti principali dei
fronti esterni. Non solo la posa in opera di
questi elementi dipendeva direttamente
dallo sviluppo dello scheletro d’acciaio, ma
la loro stessa localizzazione era meno
evidente per il pubblico. Chiunque invece,
anche senza alcuna esperienza di
costruzioni, poteva osservare lo scheletro
svilupparsi in altezza fino al cielo e valutare
la velocità della costruzione.
Nell’Empire State le travi ordinarie che
sorreggono i solai ed i pilastri più stretti
(quelli verso la sommità dell’edificio) hanno
fig. 31
fig. 32
tutti la forma a I, nota come sezione ad ala
larga (fig. 32).
Il disegno delle travi che reggono i solai è indipendente dal livello a cui ciascuna trave viene utilizzata. Al
contrario, la forma data ai pilastri varia a seconda dei carichi, allargandosi verso la base del grattacielo. Ai
piani superiori non vi sono grandi differenze a livello dimensionale tra le sezioni ad ala larga delle travi e
quelle dei pilastri, mentre ai piani intermedi ed a quelli inferiori le travi sono identiche a quelle della sommità.
Ai piani intermedi i pilastri sono costituiti da elementi con sezione ad ala larga più pesanti.
Alla base dell’edificio (figg. 33, 34 e 35), le
sezioni ad ala larga più grandi che si riuscivano
a produrre nel 1930 erano troppo ridotte per
sopportare il peso dei piani superiori, cosicché i
pilastri sono composti da sezioni relativamente
piccole chiodate insieme. Questa tecnica, di
largo impiego prima che fossero disponibili
sezioni ad ala larga maggiori, divenne
progressivamente più rara durante gli anni ’20,
quando le acciaierie cominciarono a sfornare
sezioni sempre più grandi.
Alcuni dei pilastri collocati alla base del
grattacielo erano gli elementi di acciaio più
pesanti mai utilizzati, fino ad allora, nella
costruzione degli edifici.
Se questo rappresenta solo uno dell’enorme
numero di primati statistici conquistati
dall’Empire State, risulta tuttavia direttamente
legato al carattere eccezionale dell’edificio: la
dimensione dei pilastri è infatti una regola
approssimativa per valutare l’altezza
dell’edificio.
fig. 33
15
fig. 34
fig. 35
Gli elementi in acciaio
giungevano in cantiere con
gli innesti già applicati, sì
da poter essere sollevati
immediatamente nella
posizione finale (fig. 34) e
chiodati alle membrature
già esistenti che li
circondavano (figg. 36 e
37).
fig. 36
I pilastri d’acciaio venivano di solito
forniti, come avviene tuttora, in sezioni
alte 2 piani, con una giunzione alla
base, innesti per le travi a metà ed
innesti per le travi ed una giunzione
alla sommità (fig. 38).
Di conseguenza lo scheletro veniva
assemblato 2 piani alla volta, unendo i
nuovi pilastri alti due livelli ed i due
piani di travi che collegavano i pilastri,
a creare una “fila”. Quando tutti i giunti
e gli innesti di una fila erano completi,
venivano messi in posizione i pilastri
della fila sovrastante, ricominciando
l’operazione (fig. 38).
I problemi con i quali dovettero
confrontarsi gli ingegneri dello studio di
Homer G. Balcom, responsabili della
progettazione dell’ossatura in acciaio,
erano risolvibili, anche se non del tutto
fig. 38
ordinari.
Lo scheletro doveva sopportare i carichi del peso proprio dell’edificio e dei
suoi occupanti, resistere alla spinta laterale del vento e fornire dei punti di
appoggio per i vari impianti tecnici.
L’incremento di scala dell’edificio richiedeva una progettazione più attenta
e precisa, ma non grandi cambiamenti negli obiettivi o nel processo.
Il pilone di ormeggio, con il carico dovuto ai dirigibili (situazione peculiare
dell’Empire State), non era una delle massime preoccupazioni del
progetto strutturale, considerando il rapporto tra la dimensione del carico
e quella dell’edificio.
fig. 37
fig. 39
Il carico orizzontale di un dirigibile ancorato al pilone sarebbe stato infatti di 50 tonnellate, mentre il carico
orizzontale del vento che soffiava sulla facciata nord dell’edificio avrebbe superato di molto le 2.000 tonnellate.
Paragonata agli irrigidimenti necessari per mantenere l’edificio in verticale quando soggetto al carico del
vento, la controventatura ulteriore richiesta dal pilone di ormeggio appariva quasi trascurabile.
Una particolarità propria degli edifici di grande altezza si delineò durante i lavori di costruzione: la tendenza a
risultare leggermente meno alti di quanto stimato dai costruttori.
Un controllo eseguito da E. B. Lovell prima della costruzione sullo scheletro in acciaio, stabilì la quota delle
basi dei pilastri sotto la linea di terra. Quando ogni fila di elementi in acciaio veniva collocata in posizione, la
sua altezza era nota in anticipo, cosicché quando tutta l’ossatura in acciaio fu completata, la quota di ogni
piano rispetto alla linea di terra sarebbe dovuta risultare calcolabile con una semplice operazione aritmetica.
La meccanica, branca delle fisica che stabilisce i fondamenti teorici dell’ingegneria strutturale, chiarisce
invece perché l’altezza dei vari piani era inferiore a quanto ci si attendeva: ogni cosa si muove quando è
posta sotto carico.
I pilastri d’acciaio, simbolo di solidità, si accorciano sotto sforzo e, con l’aumentare del carico, cresce anche
lo “spanciamento” degli stessi. I pilastri in prima fila, misurati immediatamente dopo la loro collocazione in
opera, sarebberoo risultati della stessa lunghezza che avevano originariamente in officina, ma man mano
che i vari piani venivano costruiti, e che il “carico morto” si accumulava sotto forma di solai, pareti esterne,
partizioni interne ed intonaci, divennero sempre più corti. Certo l’acciaio è particolarmente rigido ma l’effetto
detto, per quanto minimo, diventa significativo in un edificio di 85 piani. I fratelli Starrett ed il loro socio Eken,
notarono questo risultato mentre erano intenti a coordinare tutte le attività del cantiere. Nel Dicembre del
1930, molto probabilmente da parte dei subappaltatori che stavano completando le batterie di ascensori, fu
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rilevato che l’84° piano era più basso di oltre 15 cm rispetto a quanto ci si aspettava. I dispositivi di
sollevamento dovevano essere infatti calibrati su distanze precise, e dunque richiedevano controlli accurati.
Le maestranze che lavoravano in altri settori, come i muratori che posavano i paramenti esterni in pietra
calcarea, non si accorsero della discrepanza, poiché avevano a che fare ogni volta solo con frazioni
dell’altezza di un piano. Una differenza di circa 0,02 cm per piano passa facilmente inosservata, mentre una
di oltre 15 cm no. L’accorciamento dei pilastri richiese una nuova regolazione da parte dei controllori degli
ascensori, ma non creò altri problemi o situazioni di pericolo. Questo è un chiaro indicatore del fatto che i
grattacieli sono ben più di semplici coacervi di dati dimensionali, e che sono qualitativamente differenti dagli
edifici ordinari.
fig. 40
Durante le fasi di
costruzione,
o
quando le partizioni
interne
ed
i
controsoffitti
vengono rimossi per
permettere
le
modifiche
dei
locatari, i solai sono
interamente visibili.
Nell’Empire State,
dei solai spessi 10
cm, realizzati in c.l.s.
additivato con ceneri
di
carbone
ed
armato con una rete
di ferro (figg. 40, 41,
42 e 43), collegano
tra loro le travi
d’acciaio e coprono
una luce di circa 2
mt.
Il suddetto tipo di
solai è stato tipico
della prima metà del
‘900.
La rete costituiva
l’elemento chiave
della funzionalità dei
solai.
fig. 41
fig. 43
fig. 42
La sommità delle travi d’acciaio si trova 5 cm più in basso rispetto alla superficie superiore dei solai. La rete
di metallo poggia sulla faccia superiore delle travi e poi si incurva verso il basso (v. figg. 40 e 41), in modo
che a metà strada tra una trave e quella successiva venga a trovarsi a meno di 2 cm dalla superficie
inferiore dei solai. La rete forma una serie di robuste catenarie tese tra le travi ed è perciò in grado di
reggere i carichi dei pavimenti come i cavi di un ponte sospeso.
Lo stesso solaio è leggero e poco resistente; la
robustezza del c.l.s. non è importante quando
questo materiale si estende per soli 5 cm tra le
maglie della rete. I solai in rete metallica incurvata
sono resistenti, leggeri, ignifughi e, dal momento
che utilizzano la cenere per supplire alla mancanza
di volume, poco costosi. Venivano costruiti
erigendo una cassaforma in legno attorno ed in
mezzo alle travi, e gettando il c.l.s. (fig. 44).
Prima di essere utilizzato nell’ Empire State , tale
tipo di solaio aveva subìto perfezionamenti per oltre
vent’anni.
17
fig. 44
L’influsso più significativo delle tecniche costruttive sulla progettazione architettonica si può riscontrare nelle
facciate le quali, a differenza dei solai-tipo, vennero concepite e progettate in modo speciale, con una
particolare attenzione alla velocità ed all’efficienza dell’assemblaggio. La necessità di costruire in tempi
ristretti condizionò i dettagli delle stesse, nonché i sistemi utilizzati per la fabbricazione.
L’esterno dell’Empire State Building è costituito da un
curtain wall, isolato termicamente dal rivestimento
non portante (fig. 45). A differenza delle pareti
portanti dei primi grattacieli risalenti agli anni ’70 ed
’80 dell’800, i curtain wall, dovendo essere sorretti
dall’ossatura in acciaio di ogni piano, non dovevano
essere pesanti; ciò elimina qualsiasi carico
significativo dovuto al peso della muratura. La
resistenza alla spinta del vento è garantita dalle
pareti, le quali trasmettono il carico allo scheletro
d’acciaio.
I curtain wall standard degli anni ’20 erano costituiti
da una cortina muraria (in mattoni, terracotta o pietra
squadrata) fissata ad una parete di mattoni ordinari e
conformata solitamente come un piano verticale
continuo con dei “fori” per le finestre. Non c’era
alcuna distinzione tra la fascia di muratura superiore,
le finestre inferiori (i “pannelli parapetto”) e le strisce
verticali di muratura tra le finestre (i “pilastri”). Le
finestre ed i parapetti erano irrigiditi dai pilastri in
modo da impedire qualsiasi movimento in direzione
perpendicolare al piano di facciata, mentre ciascuna
sezione muraria scaricava il proprio peso in verticale,
sull’ossatura d’acciaio del piano sottostante.
Il curtain wall dell’Empire State è un sistema più
evoluto, in cui la parete è suddivisa in elementi
standard indipendenti e dotati ciascuno di una
funzione ben precisa.
fig. 45
I pilastri di separazione tra le finestre sono elementi
continui di pietra calcarea (fig. 46), agganciati a murature di
mattoni ordinari.
I pannelli dei parapetti hanno una superficie esterna
decorativa in alluminio (fig. 47) fissata su una muratura di
mattoni ordinari (fig. 48), che si estende dalla struttura
inferiore di ciascun piano fino alla base di ogni finestra (fig.
48). I telai delle finestre partono dalla sommità dei pannelli
dei parapetti e raggiungono la superficie inferiore della
struttura del piano sovrastante, mascherata a sua volta
dall’estremità inferiore dei pannelli in alluminio.
fig. 46
fig. 47
fig. 48
18
In corrispondenza dei giunti dei
pilastri e delle linee di
demarcazione delle finestre e dei
parapetti, per rendere solidali tra
loro i vari elementi e provvedere
alla controventatura laterale delle
finestre stesse, sono state
montate delle fasce verticali in
acciaio inossidabile (fig. 47) .
Questo sistema costruttivo
contribuì a rendere più veloce
l’assemblaggio.
I pilastri in pietra calcarea (fig. 46) costituiscono un numero elevatissimo di elementi identici, privi di
collegamenti laterali: le fasce in acciaio inossidabile (fig. 47) mascherano i giunti tra i pilastri ed i pannelli dei
parapetti, eliminando anche la necessità di qualsiasi collegamento laterale. I bordi laterali nascosti delle
lastre di pietra non sono stati rifiniti in quanto non visibili; ciò consentì di risparmiare metà del lavoro di
finitura.
Il sistema impiegato per le chiusure
verticali dell’Empire State Building
permise di svincolare chiaramente la
funzione di tamponamento verticale da
quella, semistrutturale, di autoportanza
e di resistenza al vento.
Il sistema dei curtain wall appesi allo
scheletro in acciaio era poco diffuso.
Solitamente, all’epoca, i curtain wall
erano sorretti da degli elementi
angolari a sbalzo in acciaio che
sporgevano
dalle
travi
in
corrispondenza
degli
spigoli
dell’edificio e che permettevano di
regolare la posizione della parete, ma
richiedevano un gran numero di singoli
giunti, sotto forma di mensole e di
incastri sporgenti. Nell’Empire State
invece, alle travi di bordo sono state
affiancate delle travi supplementari
esterne, facenti anch’esse parte dello
scheletro in acciaio, che sorreggono
direttamente i setti murari in cotto; ad
esse sono inoltre fissati i pilastri ed i
pannelli dei parapetti; ciò ha permesso
l’eliminazione
delle
laboriose
operazioni di regolazione delle
mensole. La sequenza di montaggio
delle pareti esterne non solo trasse
vantaggio da tali innovazioni, ma
trasferì la maggior parte del lavoro
dalle
impalcature
esterne
(tradizionalmente impiegate per
costruire le facciate) all’interno
dell’edificio.
fig. 49
Le fasce di acciaio inossidabile vennero collocate
49 1 in opera per prime, fissandole allo scheletro d’acciaio.
Quindi vennero posati in opera i pannelli di alluminio dei parapetti ed i paramenti di pietra calcarea (v. fig.
47); infine si procedette alla costruzione delle murature retrostanti in mattoni (v. fig. 48). Una volta
installata la finestra sopra la muratura in mattoni, lo spazio interno risultava isolato dalle intemperie e si
poteva dare inizio ai lavori di finitura interna.
Tali innovazioni hanno dato all’edificio il suo aspetto caratteristico, con le lunghe fasce luccicanti di acciaio
inossidabile che si contrappongono alla pietra calcarea di un grigio neutro, ed ai pannelli di alluminio di
color grigio scuro. Esse inoltre permisero di rendere più rapido l’assemblaggio della struttura in acciaio
poiché, una volta calcolato il peso dei materiali delle pareti, era possibile dimensionare le travi di bordo
supplementari ed includerle nelle forniture di acciaio, eliminando ogni necessità di coordinare la
produzione delle parti metalliche con l’esecuzione dei dettagli di facciata.
19
Impianti
Come tutti gli edifici moderni, l’Empire State è molto più complicato di un semplice volume delimitato da
pareti. All’interno dell’edificio infatti, corrono le canalizzazioni che portano l’energia elettrica alle prese
utilizzate dagli affittuari ed alle apparecchiature incorporate nell’edificio, nonché le condutture per il vapore
che alimenta i radiatori, i condotti che fanno affluire l’aria pulita negli ambienti dei grandi piani inferiori, e le
tubature dei servizi igienici. Cinquantotto ascensori servono i vari piani e necessitano di sale macchine
contenenti motori e controllori, situate su 7 differenti livelli. Gli ingegneri incaricati di progettare tutti questi
impianti, si trovarono di fronte a problemi già noti, accresciuti però dalle dimensioni del progetto. Era
necessario pompare l’acqua fino ai serbatoi collocati ai piani 20°, 30°, 45°, 63° ed 84°, progettare ascensori
che tenessero conto del peso dei cavi nei vani, abbassare il voltaggio dell’energia elettrica proveniente dalle
linee di conduzione primarie e suddividerla in maniera da poterla utilizzare a ciascun piano. Si doveva
immettere, filtrare e distribuire l’aria attraverso i condotti di ventilazione senza creare un rumore eccessivo o
correnti d’aria troppo forti. Nessuno di questi compiti era nuovo, ma era necessario adattare le soluzioni
standard a delle situazioni straordinarie. Il progetto degli impianti elettrici fornisce un buon esempio degli
effetti prodotti dal puro e semplice salto di scala sulla configurazione degli impianti. Vi era ben poca
differenza tra i problemi generati dalla dimensione dell’opera e quelli relativi alla programmazione dei lavori.
In un grattacielo di dimensioni inferiori, l’energia elettrica ad alto voltaggio fornita dalle linee primarie che
corrono sotto le strade, viene ridotta ad un voltaggio intermedio al piano interrato e poi trasportata ai vari
piani dell’edificio per mezzo di una colonna montante. Ad ogni piano, un secondo trasformatore alloggiato in
una cabina elettrica in corrispondenza del montante, abbassa ulteriormente il voltaggio fino ai valori standard
di 110/220 Volt, di cui beneficiano gli affittuari. Nel 1930 questo sistema era già stato ampiamente
sperimentato, ed è ancora oggi in uso.
Nell’Empire State, tuttavia, esso avrebbe richiesto montanti a voltaggio intermedio dalla sezione
estremamente ampia ed obbligato a tracciare un grande numero di condutture dalle cabine elettriche alle
varie zone dei singoli piani. Introducendo un paio di modifiche nel progetto, gli ingegneri impiantistici della
Meyer Strong & Jones risolsero entrambi i problemi, considerando effettivamente l’edificio come una
combinazione di più edifici. In primo luogo essi utilizzarono due montanti, collocati alle estremità opposte del
nucleo degli ascensori, per ridurre il numero dei cavi di distribuzione all’interno di ciascun piano. In secondo
luogo, impiegarono dei cavi ad alto voltaggio per raggiungere i trasformatori situati al 40° ed all’83° piano,
che supportavano quelli presenti al 2° livello interrato. L’introduzione, anche ai piani superiori, di condutture
ad alto voltaggio (che solitamente restavano confinate al piano interrato), permise di mantenere ad una
dimensione accettabile la sezione dei montanti. La concomitanza di queste due scelte progettuali trasformò
in effetti l’edificio in un aggregato di sei edifici più piccoli, affiancati a due a due e sovrapposti per tre volte.
Ulteriori miglioramenti della pratica corrente ottennero l’effetto complessivo di rendere più rapida la posa
degli impianti elettrici.
Solitamente le condutture di distribuzione degli impianti a soffitto, correvano all’interno dei solai strutturali e
si piegavano verso la superficie superiore del solaio quando incontravano una trave, e verso la superficie
inferiore quando dovevano scavalcare un altro impianto. Nell’Empire State, le condutture hanno invece un
percorso rettilineo, cosa che richiede l’utilizzo di scatole di giunzione più profonde dell’ordinario, in
corrispondenza degli impianti ed all’intersezione tra le varie linee, ma elimina lo sforzo di piegare le
condutture in modo che fuoriescano dal piano orizzontale. La creazione di condutture rettilinee rese più
rapida anche la fase, solitamente più lenta, della posa delle linee elettriche ai vari piani, ossia l’introduzione
dei cavi all’interno delle condutture, dato che qualsiasi curvatura subita da queste ultime avrebbe rallentato
l’operazione e creato dei punti in cui il cavo stesso avrebbe rischiato di rimanere bloccato. Situazioni
analoghe si riscontrarono durante l’installazione delle tubature, degli ascensori e delle apparecchiature per la
ventilazione. In ogni caso, due questioni di primaria importanza preoccupavano i costruttori ed i progettisti:
garantire che gli impianti funzionassero al meglio come negli edifici di minor altezza, e semplificare la prassi
ordinaria per poter rispettare i tempi di cantiere programmati.
La razionalizzazione della costruzione
La logistica è sempre stato il fattore determinante per il successo di ogni progetto edilizio di grande respiro.
Gli architetti possono impiegare anni ad elaborare particolari il più possibile perfetti, ma senza un piano di
costruzione adeguato, i loro pur dettagliati studi si rivelano vani. Nell’Empire State, in cui i tempi erano molto
compressi, risultava ancor più essenziale disporre di un piano di costruzione accurato.
A differenza dei problemi concretamente definiti di fronte a cui si trovano i progettisti, i costruttori devono fare
i conti, in genere, con fattori esterni che vanno al di là di ogni possibilità di controllo: la disponibilità dei
materiali, le oscillazioni dei costi del lavoro e della manodopera ed, elemento più importante, il trasporto dei
materiali. Movimentare i materiali fino alla posizione definitiva, rimuovere gli scarti di lavorazione e
raggiungere le maestranze nel punto in cui operano, possono essere obiettivi difficili da conseguire
20
nell’organizzazione di un progetto a grande scala, in particolare quando l’accesso al cantiere è limitato. Un
edificio in costruzione non ha ancora una dotazione completa di scale ed ascensori, di passaggi ben definiti
e chiaramente delimitati, o anche semplicemente una porta d’ingresso. Problemi comuni alla costruzione di
qualsiasi edificio, vengono ulteriormente amplificati dalla congestione tipica del centro di una città, e trovano
dei corrispettivi persino nella storia: una delle leggi edilizie più antiche che si conosca è quella che vieta il
passaggio quotidiano dei carri per il trasporto dei materiali da costruzione lungo le strade della Roma
imperiale. La tecnologia moderna può aver migliorato l’efficienza dei trasporti e la velocità di costruzione, ma
ha anche moltiplicato la quantità di materiali che devono essere trasportati nel cantiere di un edificio, nonché
la complessità del lavoro da eseguire. Se la logistica era diventata la preoccupazione determinante nel corso
della costruzione, era possibile costruire un’attività di successo provvedendo ad un’organizzazione migliore
del cantiere. Se non appare esagerato affermare che ogni aspetto del processo di costruzione dell’Empire
State era guidato dalla necessità di un sistema di trasporto efficiente, per comprenderne la ragione è
necessario fare riferimento ai problemi che si presentavano ai costruttori, adottando il loro punto di vista. I
documenti relativi all’ossatura in acciaio mostrano che il programma aveva un carattere di front-load, per
usare il linguaggio della moderna gestione cantieristica: più della metà del lavoro doveva cioè essere svolto
prima della metà del tempo previsto. Il ritmo delle fasi iniziali era perciò più importante di quello della fine,
poiché il tempo perso a causa dei primi contrattempi non avrebbe potuto essere recuperato senza essere
costretti ad aumentare in maniera sproporzionata la velocità di costruzione.
Lo scheletro dell’Empire State è formato da circa 57.000 tonnellate
di acciaio. La forma dell’edificio (fig. 50) e la sezione dei pilastri si
adattavano reciprocamente in modo da velocizzare l’assemblaggio
dell’ossatura. In conformità alla legge urbanistica di New York,
l’edificio subisce vari arretramenti a partire dagli angoli del lotto,
cosicché i piani inferiori hanno sostanzialmente una superficie
molto più estesa rispetto a quelli superiori. Allo stesso tempo i
pilastri dei piani inferiori sono molto più pesanti di quelli dei piani
superiori. Queste due caratteristiche, combinate assieme, fanno sì
che il peso dell’acciaio si concentri ai piani inferiori.
I limiti temporali del piano per il montaggio dello scheletro d’acciaio
erano la posa dei primi pilastri strutturali al 2° piano interrato (fig.
51), da effettuarsi il 7 Aprile 1930, ed il coronamento dell’ossatura
principale dell’edificio, previsto per il 22 Settembre dello stesso
anno (fig. 50). Il 9 Luglio, circa a metà del periodo di costruzione, le
tonnellate di acciaio collocate in opera erano circa 30.000, cioè
approssimativamente metà del totale. Metà dei componenti
d’acciaio, tuttavia, portava lo scheletro soltanto al 19° piano. Il 1°
Agosto erano state montate circa 46.000 tonnellate, ovvero l’80%
dei componenti d’acciaio, e la sommità dello scheletro raggiungeva
il 49° piano. Nelle costruzioni in acciaio, lo sforzo maggiore si
concentra nell’esecuzione delle giunzioni. Il numero di giunti al 29°
piano è lo stesso che al 69°, ma i pilastri dei piani inferiori sono più
pesanti e, dunque, richiedono più lavoro per la movimentazione ed
il posizionamento. Se il programma si fosse basato solo sul numero
delle giunzioni da eseguire, ossia sulla quantità di chiodi da
inserire, non avrebbe tenuto conto del fatto che per erigere i piani
inferiori veniva richiesto uno sforzo maggiore. Se la costruzione
dello scheletro in acciaio avesse subito dei ritardi seri rispetto al
programma nella prima fase del lavoro, sarebbe stato quasi
impossibile compensarli in seguito.
Paul Starrett sapeva per esperienza che erigere 3 piani e mezzo di
ossatura d’acciaio in una settimana costituiva un ritmo normale, un
ritmo tuttavia troppo lento per il programma di edificazione
dell’Empire State. Altri valori standard consueti per l’epoca erano 5
piani alla settimana per le murature in mattoni ordinari, e 3-4 piani
alla settimana per i rivestimenti esterni in pietra, anch’essi troppo
lenti per il progetto in questione. Tali valori standard
rappresentavano la velocità alla quale il lavoro poteva essere
eseguito tenendo conto di tutte le difficoltà legate alla
movimentazione nelle aree esterne ed interne ai cantieri. Nel caso
dell’Empire State Building, ciò che lascia impressionati è
l’organizzazione del lavoro dei costruttori, grazie alla quale gli
uomini ed i materiali erano presenti quando e dove servivano.
21
fig. 50
fig. 51
Il trasporto dei materiali
Nell’Empire State, il trasporto orizzontale dei materiali fuori dal cantiere venne effettuato ricorrendo a mezzi
tradizionali. Il trasporto orizzontale all’interno dell’edificio, invece, si avvalse di innovazioni tecnologiche tra le
più avanzate. Il trasporto verticale era necessariamente più impegnativo che in molti altri cantieri, data la
palese inadeguatezza dei metodi tradizionali, a causa della scala del nuovo edificio e della velocità prevista
per la costruzione.
All’interno dell’edificio venne installata una batteria di
montacarichi per il sollevamento dei materiali (v. fig. 52), che
scorrevano entro vani provvisori, in seguito chiusi, ricavati
rimuovendo alcune porzioni della struttura permanente dei
solai. Il particolare intervento effettuato sui solai per consentire
il passaggio di vani all’interno dell’edificio, si rivelò di grande
utilità, in quanto permetteva agli impianti di operare senza le
strutture di sostegno laterali necessarie, invece, nel caso di
vani provvisori esterni.
Vennero impiegati sei montacarichi, due riservati al c.l.s. (v. fig.
52) e quattro ai materiali generici ed al sollevamento dei binari
per la decauville che permetteva la movimentazione orizzontale
dei materiali all’interno dell’edificio. Pur non impiegando
tecnologie innovative, i montacarichi costituirono una risposta
complessa e di grande interesse ad una semplice esigenza
quale era quella di far pervenire i materiali agli operai. Man
mano che il lavoro procedeva, i vani dei montacarichi venivano
prolungati verso l’alto, seguendo lo sviluppo in altezza
dell’edificio.
Rispetto ai macchinari di
sollevamento richiesti per il
trasporto
sicuro
di
passeggeri, quelli per i
montacarichi (figg. 53 e
54) erano decisamente
primitivi. I motori venivano
scambiati tra loro di pari
passo alla crescita in
altezza dei vani: i motori di
dimensioni
maggiori
vennero impiegati man
mano che la lunghezza dei
vani si avvicinava a quella
massima di 82 piani.
Un vano accessorio venne
destinato inoltre allo
smaltimento dei detriti
prodotti
durante
la
costruzione (figg. 55 e 56).
La tecnica di smaltimento
era simile a quella già
impiegata
nella
demolizione del WaldorfAstoria,
compreso
il
riempimento diretto degli
autocarri parcheggiati al
pian terreno. Nel nuovo
edificio, tuttavia, lo scivolo
era rivestito con una lastra
d’acciaio sì da proteggere
la
pavimentazione
circostante.
fig. 53
fig. 55
22
fig. 52
fig. 54
fig. 56
Il metodo di consegna dei materiali in cantiere era quello consueto dell’epoca: i materiali venivano trasportati
a New York su treni a lunga percorrenza e trasferiti poi dallo scalo merci al cantiere per mezzo di autocarri.
La difficoltà del sistema consisteva nel fatto che la 5th Avenue si trovava al centro dell’isola di Manhattan,
cosicché qualsiasi percorso seguito dai mezzi doveva attraversare forzatamente il traffico della Midtown. Il
metodo più comune per evitare ritardi dovuti a questa circostanza era perciò (e rimane tuttora) quello di
programmare le consegne nelle ore prossime all’alba, quando il traffico stradale è meno intenso.
I fratelli Starrett ed il loro socio Eken ricorsero però ad un approccio più
radicale: utilizzarono dei sistemi di trasporto innovativi e,
contrariamente alla pratica comune, produssero il c.l.s. in loco (fig. 57),
riuscendo in tal modo a rendere indipendente dal flusso delle consegne
l’approvvigionamento dei materiali necessari al lavoro del cantiere.
L’organizzazione e la movimentazione rapida all’interno del sito,
compensavano la mancanza di spazi per lo stoccaggio dei materiali.
Il piano di movimentazione dei materiali era suddiviso in tre sezioni: la
movimentazione dei materiali alla rinfusa (come i mattoni o le
condutture elettriche), quella dei materiali prefabbricati (come l’acciaio o
la pietra calcarea) e quella del c.l.s.
fig. 57
I materiali diversi dall’acciaio giungevano in cantiere su normali autocarri che entravano nell’edificio
all’altezza della 33^ e della 34^ Strada. I mattoni ordinari, la sabbia, il cemento, il gesso e le scorie venivano
riversati, attraverso aperture praticate al pian terreno, in tramogge situate al piano interrato. Quelle stesse
tramogge venivano poi impiegate per la distribuzione. Sotto di esse venivano infatti spinti i vagoncini della
decauville, che erano caricati e successivamente inviati ai macchinari per la preparazione del c.l.s. o al
montacarichi corrispondente, per essere trasferiti al piano dove servivano.
Materiali più fragili, come la
pietra calcarea per i
rivestimenti esterni (figg. 58
e 59), o i blocchi di terracotta
usati per le partizioni interne
(fig. 60), venivano scaricati
dagli autocarri con dei
sistemi tradizionali, cioè a
mano o al più con delle
piccole gru, impilati accanto
ai binari della decauville e
quindi caricati sui vagoncini
a pianale i quali venivano poi
spinti nei montacarichi.
fig. 58
fig. 59
fig. 60
Nei giorni di punta si raggiungevano circa 500 carichi di ogni genere portati dagli autocarri, un numero di
carichi elevatissimo da movimentare al pian terreno di un unico edificio. Il segreto di tale impresa consisteva
però nell’elevata velocità con cui venivano scaricati gli autocarri che trasportavano i materiali all’ingrosso,
che a sua volta dipendeva dalla velocità dei montacarichi e della decauville.
Tra i vari materiali, il c.l.s. costituiva una categoria a parte. Una volta miscelato, infatti, la sua vita era molto
breve, e per i solai dei vari piani ne occorrevano grandi quantità. Trattato come gli altri materiali forniti
all’ingrosso, quali sabbia, scorie, cemento e tondini di rinforzo, il c.l.s. arrivava in cantiere alla rinfusa. Una
volta che i suoi componenti (cemento, sabbia, inerti ed acqua) venivano miscelati, aveva inizio la reazione
chimica che determinava la presa del cemento, e che non si arrestava fino a quando tutta la miscela non
fosse completamente indurita.
23
Per eliminare eventuali ritardi generati
dal trasporto all’esterno del cantiere, il
c.l.s. per i solai dell’Empire State veniva
confezionato in due impianti situati al
piano interrato. I componenti, stoccati nei
depositi, erano dosati a macchina,
miscelati con acqua e poi versati in
secchi trasportati ai vari piani da uno dei
montacarichi specializzati. La capacità di
ogni secchio corrispondeva quasi
esattamente a 0,76 mc (la misura
standard per il c.l.s. bagnato). Per i solai
di un solo piano della torre, erano
ncecessari più di 230 mc di c.l.s.
fig. 61
La
movimentazione
orizzontale dei materiali
all’interno del cantiere
avveniva per mezzo di
un’innovativa decauville
(fig. 63).
Il tracciato di questa
“ferrovia”, che i costruttori
definivano “industriale”,
seguiva il perimetro di ogni
nuovo piano (figg. 64-66; il
tracciato della decauville è
rappresentato dalla doppia
linea), rendendo più
spedito il trasferimento dei
materiali dai montacarichi
alle zone operative.
fig. 62
fig. 64
fig. 63
I binari posati ai piani inferiori, dove veniva
miscelato il c.l.s. e dove i carichi di altri materiali
prelevati dagli autocarri venivano classificati e
ripartiti in confezioni pronte all’uso, rimasero al loro
posto per tutto il processo di costruzione. Nei vari
piani per uffici, invece, i tracciati dei binari vennero
lasciati in opera per tutto il tempo che serviva a
completare l’involucro dell’edificio, quindi vennero
rimossi per consentire la costruzione delle
partizioni interne ed infine spostati fino al piano
successivo e riutilizzati. Questo sistema di
trasporto su rotaie, complicato e dispendioso, era
stato concepito in modo da rispondere ad un
programma di costruzione estremamente rapido ed
alla superficie relativamente ampia dei vari piani; i
livelli inferiori misuravano 60,35 x 129,54 mt,
mentre i livelli della torre erano di 40,84 x 56,69 mt.
Il sistema di trasporto su rotaie rappresentava la
parte principale dell’organizzazione del movimento
dei materiali. Per un uso il più possibile efficiente
dei montacarichi, era necessario che i materiali
ricevuti al termine della catena (ossia ai piani
superiori) venissero scaricati dai montacarichi
stessi e trasferiti al punto di posa in opera, nel più
breve tempo possibile.
24
fig. 65
fig. 66
Il trasporto delle persone
Gli ascensori permanenti vennero costruiti ed installati dalla Otis Elevator Company parallelamente al
procedere dei lavori nell’edificio. Quando alcuni dei nuovi ascensori permanenti vennero completati e resi
agibili (dotando le cabine di finiture provvisorie), furono utilizzati per servire i piani inferiori. Al termine del
montaggio dello scheletro d’acciaio, erano presenti tre tipi di ascensori: quelli permanenti, utilizzati
temporaneamente nella parte più bassa dell’edificio, quelli provvisori di recupero dall’hotel Waldorf-Astoria,
che servivano i piani intermedi, e quelli a gabbia alla sommità della torre. L’intero sistema poteva essere
considerato come un insieme di tre traiettorie che risalivano l’edificio: per primi furono installati gli ascensori
a gabbia, che partivano dalla base ed alla fine arrivarono a servire tutto il tragitto fino all’ultimo livello; poi le
cabine “recuperate”, che sostituirono le gabbie ai piani inferiori ma non coprirono mai l’intero percorso fino
alla sommità; ed infine gli ascensori permanenti, che sostituirono le cabine di recupero ai piani inferiori
arrivando fino a metà dell’edificio al termine della costruzione dello scheletro d’acciaio e prendendo servizio,
infine, su tutto il percorso.
L’esecuzione delle strutture in acciaio
Le misure estreme prese per evitare qualsiasi ritardo nella costruzione dello scheletro d’acciaio, illustrano
come solo un’attenta programmazione nell’esecuzione dei dettagli potesse rispondere efficacemente alla
pressione esercitata dalle scadenze temporali. Invece di assegnare la commessa per la fabbricazione
dell’acciaio esclusivamente al miglio offerente, la Starrett Brothers and Eken incaricò i due migliori offerenti
più qualificati, suddividendo l’edificio in fasce orizzontali alla cui realizzazione provvedettero alternativamente
l’American Bridge Company e la McClintic-Marshall Company.
Quelle porzioni di edificio misuravano in altezza da 2 ad 8 piani, o più precisamente da 1 a 4 file di pilastri.
Un’unica ditta, la Post & McCord, si occupò del montaggio dell’ossatura, dato che questa operazione
ovviamente non poteva essere suddivisa. La ripartizione delle commesse per la produzione, diede a
ciascuna delle due ditte più tempo per svolgere il lavoro, mentre la suddivisione degli incarichi per il
montaggio dello scheletro avrebbe richiesto uno sforzo maggiore, a cominciare dal coordinamento delle gru
e delle squadre addette alla chiodatura.
Ogni componente di acciaio era progettato per occupare
una posizione specifica; inoltre era definito dalla gru
utilizzata (che permetteva di posizionarlo al piano al
quale serviva), dalla fila orizzontale (che individuava il
piano all’interno di una delle sezioni orizzontali,
determinando quale produttore fosse responsabile del
pezzo e quando questo fosse richiesto dal programma di
produzione), e dal piano di destinazione.
Prima della fase di produzione, i componenti strutturali in
acciaio venivano rappresentati dettagliatamente nei
disegni di officina che costituivano l’interpretazione, da
parte del produttore, dei disegni degli ingegneri strutturali,
alquanto più schematici. I disegni di officina si dividevano
in due categorie: le tavole dei componenti, che
mostravano la posizione esatta di ogni chiodo o bullone,
e le tavole di montaggio (fig. 67), che mostravano il
punto in cui ogni elemento doveva essere inserito,
insieme con tutte le informazioni necessarie per la
corretta sequenza di assemblaggio.
I piani di montaggio dell’Empire State erano complessi e
comprendevano disegni che in genere non erano
richiesti, come la tavola con il programma della
costruzione approntata da Post & McCord (fig. 67), un
buon esempio della complessità organizzativa richiesta
dall’assemblaggio della struttura in acciaio. Quest’unica
tavola traduce in uno schema grafico sei variabili
organizzative indipendenti, oltre a diverse variabili
dipendenti.
fig. 67
25
Al centro del disegno si trova un diagramma dello scheletro dell’edificio, che mostra tutti i pilastri e le travi del
fronte est. Le distanze tra i singoli solai (necessarie per le manovre delle gru) sono riportate al centro del
prospetto, mentre sulla destra sono raffigurate due piante: una dei livelli che vanno dal pian terreno al 4°,
l’altra dei piani dal 21° al 76°, in cui sono segnati i confini delle aree di sollevamento delle 9 gru (indicate con
le lettere da A ad H e K) e la numerazione dei pilastri (da 1 a 220). Le 4 gru A, D, E ed H vennero utilizzate
dai livelli interrati fino al 20° piano e poi smantellate. Subito a sinistra del prospetto dell’edificio si trova una
serie di numeri che rappresenta il peso (in tonnellate) dell’acciaio di ogni fila. I valori decrescono
gradualmente dalla base verso la sommità dell’edificio, anche in file “identiche”, a causa della diminuzione
del peso dei pilastri. La fila più pesante è quella che comprende i 2 livelli sotto la quota del piano stradale.
Sulla destra del prospetto è indicata la quota relativa al marciapiede, che si trova oltre 9 mt più in alto
rispetto all’allineamento inferiore dei componenti d’acciaio. A sinistra dei tonnellaggi sono riportate tre serie
di informazioni in rapporto tra loro: il produttore (A per American Bridge, M per McClintic-Marshall), il numero
di piano (dove il valore 86 corrisponde alla copertura) ed il numero di fila orizzontale. Il numero di piano, da
solo, sarebbe stato sufficiente a ricavare tutte le informazioni necessarie, ma la presenza di tutti e tre i dati
riduceva la possibilità di errori. Infine, a sinistra dei dati relativi ai piani, si trova una serie di date distribuite
per fila. Le date descritte come “obbligatorie” sono quelle che erano state stabilite per poter rispettare la
scadenza di consegna dell’ossatura d’acciaio completa, cioè il 1° Ottobre 1930. Da sinistra a destra sono
indicate, in sequenza: la data in cui l’ingegnere strutturale H. G. Balcom doveva rilasciare i dati di progetto
per ciascuna fila (“INFO”) e quella in cui tali dati erano stati realmente ricevuti da Post & McCord; la data
prevista per effettuare l’ordine dell’acciaio da parte di Post & McCord al rispettivo produttore (“ADV. BILLS”)
e quella in cui l’acciaio era stato effettivamente ordinato; la data in cui i disegni di officina approvati
dovevano essere inviati ai produttori (“DRWG”) e quella del loro reale invio; la data in cui l’acciaio prodotto
doveva essere consegnato in cantiere (“DEL.”) e quella effettiva di arrivo dell’acciaio; la data prevista per la
collocazione in opera dei componenti (“ERECT”) ed infine la data effettiva del loro posizionamento.
Questa sequenza di operazioni rappresentava il cuore del processo di montaggio dello scheletro d’acciaio
ma, se esaminata con attenzione, rivela una seconda grande innovazione della Starrett Brothers and Eken: il
fast-tracking. Il tradizionale processo di progettazione e di costruzione prevedeva che il progetto strutturale
venisse completato prima che il produttore approntasse i disegni di officina e che questi ultimi venissero
terminati e rivisti prima della produzione stessa, la quale veniva poi completata almeno in gran parte in
anticipo rispetto all’inizio della posa in opera dello scheletro in acciaio. Questa sequenza di operazioni non
dà buoni risultati quando i tempi sono compressi, in quanto ogni fase dipende dal completamento della fase
precedente.
Il sistema che venne impiegato nell’Empire State, del tutto nuovo nel 1930 anche se non concepito
originariamente per tale progetto, fu quello che in seguito venne definito processo di costruzione fast-track
(termine nel quale rientrano molte varianti dello stesso concetto: iniziare la costruzione prima che il progetto
sia terminato).
Il programma che collegava tra loro tutte le fasi di
produzione dello scheletro venne rappresentato da
Balcom in un apposito diagramma (fig. 68).
L’asse orizzontale del grafico mostra il passare del
tempo, quello verticale il progredire in altezza dell’edificio.
La 1^ spezzata con andamento diagonale rappresenta le
date previste per il progetto; la 2^ rappresenta invece gli
ordini alla fabbrica; la 3^ il completamento dei disegni di
officina; la 4^ la consegna dell’acciaio in cantiere; la 5^ il
montaggio dei componenti. Tracciando una linea
verticale in corrispondenza di una data, si possono
individuare le varie attività compiute a quella scadenza.
Analogamente, tracciando una linea orizzontale, si
potevano individuare le varie scadenze per ogni piano.
Il grafico mostra chiaramente la capacità previsionale
necessaria per fare in modo che il metodo del fasttracking avesse successo. Ciascun partecipante al
processo doveva compiere diverse attività. La velocità
del metodo detto, richiedeva che tutti si muovessero
insieme per gradi.
26
fig 68
Note sulla costruzione dell’Empire State Building
Il 23 Settembre 1929, un gruppo di cinque uomini visitò l’hotel Waldorf-Astoria a New York City, ormai
deserto da sei mesi, e stese un rapporto preliminare con l’intenzione di dare immediatamente il via alle
opere di demolizione che ebbero poi effettivamente inizio il giorno dopo. Ben 69.421 mc di materiali furono
trasportati dal blocco dell’hotel fino al livello del marciapiede; l’acciaio calato fino al livello terreno pesava
12.097 tonnellate. Per le operazioni sotto il livello del suolo durante la demolizione e poi anche per la
realizzazione delle prime opere dell’Empire State, venne utilizzata una gru Browning. Una volta completate
le nuove fondazioni, la gru, non più necessaria, venne sollevata e trasferita all’esterno dello scavo di
fondazione da una delle gru più grandi che di lì a poco sarebbero state utilizzate per il montaggio dello
scheletro dell’Empire State.
Per creare un letto di posa adeguato ai plinti in c.l.s. destinati a sorreggere i pilastri d’acciaio dell’Empire
State Building, la demolizione continuò al di sotto del livello stradale con la rimozione dei solai dei piani
interrati e dei pilastri, fino allo strato di roccia sottostante. Dalle murature e dalle fondazioni esistenti
dell’hotel vennero asportati 6.301 carichi di detriti, equivalenti a 16.821 mc; le strutture in acciaio ed i rottami
di ferro di vario genere, provenienti dalle pareti e dalle fondazioni, pesavano in totale 2.518 tonnellate.
Scavi preliminari e dei pozzi per i plinti
Gli scavi preliminari per l’Empire State Building (fig.
69) cominciarono il 22 Gennaio 1930 e vennero
portati avanti simultaneamente alla demolizione delle
murature e delle fondazioni preesistenti dell’hotel
Waldorf-Astoria. L’opera venne interamente
completata il 17 Marzo 1930. In totale furono scavati
6.882 mc di terra e 13.104 mc di roccia. Il terreno di
fondazione di Manhattan, formato per la maggior
parte da granito e scisti, è in grado di sopportare
carichi estremamente elevati; il suo spessore è però
molto variabile da zona a zona. Nell’area sulla quale
avrebbe dovuto sorgere l’Empire State Building,
raggiungeva i 21 mt di profondità, cosicché si dovette
lasciare ai plinti in c.l.s. la funzione di trasmettere i
carichi dalla base dei pilastri in acciaio al fondo
roccioso. Molti dei pozzi nel perimetro della torre
vennero scavati in una roccia rivelatasi tenera,
cosicché fu necessario scendere di 9-12 mt sotto il 2°
piano interrato prima di incontrare la roccia dura
necessaria per superare il test e per poter iniziare il
getto del c.l.s. Lo scavo dei pozzi per i plinti, iniziato il
12 Febbraio 1930, venne interamente terminato il 29
Marzo 1930; il materiale di scavo dei pozzi
ammontava a 354 mc di terra ed a 3.817 mc di
roccia. Il getto dei 2.863 mc di c.l.s., necessari per la
realizzazione dei 210 plinti che avrebbero dovuto poi
fare da base ai pilastri in acciaio, ebbe inizio
immediatamente dopo il superamento, da parte dei
pozzi, del test necessario per la durezza della roccia.
fig. 69
fig. 70
La parte superiore di ogni plinto è rinforzata da telai di fondazione composti da travi in acciaio disposte ad
angolo retto, che distribuiscono il carico concentrato dalla base dei pilastri a tutta la larghezza dei plinti (fig.
70).
Montacarichi interni per materiali
La scelta di un sistema di montacarichi interno è stata fatta prevalentemente in considerazione delle ampie
superfici calpestabili dell’edificio. I piani inferiori dal 2° interrato al 4°, misurano approssimativamente
ciascuno 130 x 60 mt. Questa superficie si riduce leggermente, a causa degli arretramenti, fino alla base
della torre principale, al 29° piano; da questo punto fino all’85° piano, dove si trova la copertura principale,
l’area di ciascun piano è di circa 56 x 41 mt. Tale configurazione ha dato la possibilità di sfruttare una serie
di campate all’interno dell’edificio per ricavare delle aperture provvisorie per i vani di corsa, senza interferire
27
indebitamente con le opere di costruzione degli impianti. Per la costruzione dei montacarichi di acciaio,
venne affrontato uno studio comparato dei costi, paragonando il sistema interno a quello esterno. Lo studio
dimostrò in maniera convincente che con il sistema di montacarichi interno, che prevedeva di appendere le
guide dei vani di corsa alla struttura in acciaio e di tamponare le luci di ciascun piano con schermi di
protezione in rete d’acciaio, si sarebbe ottenuto un risparmio economico sostanziale. Con tale sistema si
dovevano naturalmente includere nei costi, le spese accessorie per richiudere i solai in c.l.s., compresa la
finitura in cemento e l’intonacatura, sì da tamponare le aperture provvisorie dopo lo smantellamento dei
montacarichi.
Tutte le lastre di pietra calcarea che formano il paramento dal 5° piano alla copertura dell’85° piano, sono
state tagliate in formati che potessero essere facilmente sollevati all’interno dei montacarichi per i materiali.
Si decise di trasportare praticamente tutti i materiali sui montacarichi, con l’eccezione, naturalmente, dei
componenti dello scheletro d’acciaio e dei pochi grandi macchinari per il cui sollevamento fu necessario
ricorrere alle gru a braccio d’acciaio.
Dei pannelli in rete metallica pesante, realizzati nelle officine Long Island Wire, vennero collocati ad ogni
piano su due lati di ciascun vano dei montacarichi per il trasporto di materiali, ed intorno alle aperture dei
vani degli ascensori passeggeri e delle gabbie da miniera.
Impianto di betonaggio
Per il getto dei solai vennero utilizzate
2 betoniere standard per edilizia, su
slitte, ciascuna fornita di un motore
elettrico a corrente alternata
“incassato”, contenente anche una
tramoggia di caricamento ed un
serbatoio di misurazione dell’acque,
nonché 5 tramogge da terra, in acciaio,
diversi dosatori dalla diversa capacità,
ed alcune betoniere per cemento,
utilizzate per il getto delle pareti del
piano interrato e del solaio del pian
terreno, in grado di supportare i
macchinari per i solai in c.l.s. dei piani
più ampi.
fig. 71
fig. 72
Una piccola betoniera portatile ribaltabile alimentata a benzina (fig. 71), venne utilizzata per il getto di
rivestimento antincendio dei pilastri dei 2 piani interrati e del pian terreno (fig. 72). Per mescolare la malta
per le opere in pietra, per i mattoni, per la terracotta e per le opere miste di ripresa in c.l.s., vennero
utilizzate 2 specifiche betoniere per c.ls., tipo a rimorchio.
Sistema di carrelli sospesi su monorotaia
Per poter scaricare le pietre dagli autocarri all’interno dell’edificio, vennero posati 4 tratti di monorotaia
sospesa con trave a I da 4,6 mt da 19 kg/mt, installati nei punti più convenienti; insieme a queste
monorotaie erano in funzione anche 4 argani elettrici (a corrente alternata da 220 Volt, trifasi a 60 cicli) da 4
tonnellate. Praticamente tutti i paramenti di pietra calcarea sono stati scaricati con questo sistema e
trasportati su vagoncini a pianale fino ai montacarichi interni per poter poi essere trasferiti e distribuiti ai vari
piani.
Macchine per la posa delle pietre
Per posare le pietre a tutti i piani che sovrastano l’arretramento del 5° piano, sono stati impiegati 30 argani
dalla capacità di 540 kg, con tamburi da 10,16 x 40,64 cm. Tutte le pietre sono state trasportate in quota dai
montacarichi interni per i materiali, a parte un certo numero di grandi lastre per la sommità dell’edificio, che è
stato necessario sollevare al livello della copertura dell’85° piano con le stesse gru a braccio utilizzate per la
costruzione dello scheletro in acciaio. In corrispondenza dell’arretramento del 5° piano vennero collocate 10
28
gru a braccio montante fisso da 11 mt, della capacità di 3 tonnellate, per calare le lastre di pietra che sono
servite a rivestire i piani dal 1° al 4°.
Gru in acciaio a braccio tirantato
Per non interferire con l’azione delle gru a braccio utilizzate dalla Post
& McCord per la costruzione dello scheletro, in corrispondenza
dell’arretramento del 5° piano lungo la 34^ Strada, all’estremità nordovest dell’edificio, venne posizionata una gru d’acciaio a braccio
tirantato da 15 tonnellate, azionata da un argano a doppio tamburo.
In corrispondenza dell’arretramento del 24° piano, all’angolo sud-est
tra la 5th Avenue e la 33^ Strada, venne approntata inoltre una gru a
tiranti da 10 tonnellate (fig. 73), azionata da un argano a doppio
tamburo. Nelle prime fasi del cantiere, quando si doveva cercare di
interferire il minimo possibile con le gru per il montaggio dello
scheletro, queste gru a braccio hanno sollevato una quantità notevole
di legname per le casseforme dei solai in c.l.s., oltre a tutti i
macchinari le cui dimensioni superavano quelle dei montacarichi per
materiali.
fig. 73
Ascensori provvisori
Per assolvere al servizio
passeggeri durante le fasi di
cantiere, si decise di installare un
sistema di ascensori provvisori,
indipendente da quello degli
ascensori permanenti. L’ossatura
in acciaio venne allora progettata
in modo da prevedere, ad ogni
piano, 2 aperture tra loro
indipendenti per i vani corsa
degli ascensori a gabbia da
miniera,
opportunamente
rinforzate e delimitate (fig. 74),
ed altre 2 aperture indipendenti
per i vani degli ascensori A.B.
S e e . (queste ultime erano
presenti a tutti i piani dal terreno
all’84°; fig. 75).
fig. 74
fig. 75
Le gabbie passeggeri erano costruite per sostenere un carico di 1.575 kg, ed erano chiuse su tre lati con
lamiere d’acciaio, mentre il lato principale era chiuso a metà con elementi dello stesso materiale. La porta di
ogni cabina era costituita in modo tale che quando non era tenuta ferma dai chiavistelli, si apriva, azionando
un dispositivo di interruzione del circuito. Le gabbie avevano delle protezioni sulla superficie superiore ed
erano fornite di bloccaggi di sicurezza che entravano in azione in caso di rottura del cavo principale. La
gabbia era provvista anche di un ammortizzatore di colpi applicato ai giunti di sollevamento. Abbinati a
questi 2 ascensori passeggeri a gabbia, erano in funzione 2 argani elettrici speciali a tamburo singolo,
ciascuno con una portata di 1890 kg a trazione singola e con velocità della fune di 91 mt/min. I due motori
elettrici vennero installati al 1° piano. Dispositivi di interruzione nella cabina e sui cancelli evitavano che le
cabine venissero azionate dai motoristi prima che gli ascensoristi fossero pronti, i cancelli chiusi ed ogni
29
situazione di pericolo esclusa. Una squadra apposita era costantemente al lavoro per prolungare il vano di
corsa di tale impianto man mano che il montaggio dello scheletro d’acciaio avanzava.
Lo stesso tipo di vano e di sistema costruttivo venne sfruttato, insieme agli stessi ascensori a gabbia da
miniera, per i montacarichi destinati ai materiali. Ogniqualvolta fu necessario estendere la corsa degli
ascensori, il lavoro veniva svolto di notte, senza essere costretti ad interrompere il servizio la mattina
seguente.
Ascensori passeggeri provvisori A.B. See e cabine Otis
Quasi cinque anni prima della demolizione, nell’hotel Waldorf-Astoria erano stati installati 4 nuovi ascensori
A.B. See. Data l’eccellenza delle condizioni di quegli impianti, il general contractor decise di conservare in
deposito le unità necessarie e di reinstallarle per un utilizzo provvisorio durante l’attività di cantiere (fig. 75).
Non appena le condizioni lo resero possibile, si iniziò ad installare 2 di quegli ascensori tra il pian terreno ed
il 29° piano. Sfruttando gli stessi vani, il lavoro proseguì con la messa in funzione delle altre 2 unità tra il 33°
ed il 63° piano. La corsa delle 2 cabine a gabbia da miniera fu traslata a diverse altezze a seconda del
momento, e nelle fasi finali serviva i piani tra il 63° ed il 77°. La Otis Elevator Company fu in grado di
convertire ad un utilizzo temporaneo dapprima 2 cabine permanenti, in funzione dal 2° piano interrato al 24°
piano e, successivamente, altre 2 cabine permanenti dal pian terreno al 42° piano.
Scarico e distribuzione dei materiali
Tutti i materiali, eccetto l’acciaio per le strutture, sono stati ricevuti e scaricati al pian terreno dell’edificio. Una
volta gettato il solaio in c.l.s. in corrispondenza della strada principale, è stato posato un rivestimento in
legno di abete spesso 15,24 cm per proteggere le aree utilizzate come corsie d’accesso e come siti di
stoccaggio dei materiali attorno ai montacarichi. Le corsie erano larghe circa 7,60 mt e si sviluppavano lungo
i quattro fronti del pian terreno. Gli autocarri potevano percorrere tutti e quattro i lati e disponevano di un
ampio spazio per passare affiancati. Nei pressi di ciascun montacarichi destinato ai materiali si trovavano
vaste aree per lo scaricamento e lo stoccaggio temporaneo dei materiali prima del loro avviamento ai piani
superiori. In qualsiasi momento, quattro varchi lungo la 34^ Strada e tre lungo la 33^ garantivano un numero
di entrate e di uscite sufficiente ad evitare ingorghi di autocarri all’interno dell’edificio.
Movimentazione dei mattoni ordinari
Il sistema di ricevimento e di distribuzione dei mattoni ordinari nell’edificio fu assolutamente innovativo per
un cantiere di quel genere. Considerando l’altezza dell’edificio e l’enorme quantitativo (10 milioni) di mattoni
ordinari necessari quasi unicamente per rinforzare il paramento esterno in pietra calcarea e le finiture in
metallo, il problema era quello di attrezzarsi per portare a destinazione i mattoni cercando di tenere il passo
con la posa delle pietre e di dare attuazione ad un programma che prevedeva di tamponare almeno un piano
al giorno. Per un certo periodo il ritmo è stato di quasi un piano e mezzo al giorno. I mattoni non venivano
toccati da mano umana dal momento in cui lasciavano la fornace fino a quando i muratori li prendevano per
posarli sul letto di malta.
Al piano interrato vennero allestite due tramogge
per i mattoni, ciascuna con una capacità di circa
20.000 pezzi. Nel pavimento del pian terreno
vennero praticate delle aperture in comunicazione
diretta con le tramogge (fig. 76). Gli autocarri che
raggiungevano il pian terreno, riversavano i mattoni
nelle aperture, le quali erano opportunamente
posizionate vicino ai varchi d’ingresso dell’edificio.
Attraverso uno stretto foro, ogni tramoggia faceva
scivolare i mattoni nei vagoncini Koppel a bilico,
ognuno dei quali aveva una capacità di 400 mattoni
ordinari (fig. 76). I vagoncini carichi venivano spinti
lungo i binari della decauville al 1° piano interrato
(fig. 77) e fatti ruotare per mezzo di piattaforme
girevoli fino a raggiungere i montacarichi per i
materiali. Una volta arrivati al piano di destinazione,
i vagoncini venivano spinti fuori dai montacarichi e
fig. 77
fatti scorrere lungo i binari fino al punto in cui i
fig. 76
mattoni servivano ai muratori per realizzare le
controparti per il paramento esterno di pietra
calcarea e per le finiture di metallo.
30
Il programma di produzione richiedeva di fornire almeno 100.000 mattoni ogni otto ore, per depositare in
anticipo una quantità di mattoni sufficiente a permettere ai muratori di murare almeno un piano al giorno. I
mattoni si trovavano già impilati sul posto almeno nei 3 piani successivi a quello in cui stavano lavorando i
muratori. Rispetto al vecchio sistema, per il quale sarebbero stati necessari ben 54 uomini per ogni giornata
di otto ore, con il sistema detto furono necessari invece solo 5 uomini alla base e 4 alla sommità, per un
totale di 18 uomini per otto ore ciascuno per i due montacarichi.
Movimentazione dei materiali per il c.l.s.
I due impianti principali di betonaggio per il c.l.s. vennero posizionati al 2° piano interrato. Le materie prime
venivano introdotte in essi a partire da due serbatoi di miscela posti al 1° piano interrato. I serbatoi erano
suddivisi ciascuno in due scomparti ed erano costruiti in modo da poter contenere, approssimativamente, 9
mc di sabbia in uno scomparto, e circa 23 mc di scorie o di pietrisco (a seconda dell’aggregato richiesto)
nell’altro. Aperture praticate nel pavimento del pian terreno, opportunamente protette da griglie,
permettevano di riversare i materiali scaricati dagli autocarri nei rispettivi serbatoi. Il cemento, sotto forma di
sacchi, veniva scaricato dagli autocarri fermi al pian terreno, e depositato di fianco all’imbocco dei due
serbatoi; poi veniva immesso all’interno di aperture praticate nel pavimento e fatto scivolare su piani inclinati;
successivamente i sacchi venivano impilati in modo da trovarsi a portata di mano degli addetti, che avevano
il compito di aprirli e di riversare il cemento negli impianti di betonaggio. Rotoli di rete metallica, ancoraggi
per le travi, ganci e rinforzi utilizzati per armare i solai in c.l.s. venivano trasferiti ai piani superiori sulle
piattaforme dei montacarichi per materiali. Il legname per i solai era sollevato dalla strada, caricato su un
ascensore dalle gru a braccio in acciaio che si trovavano alla sommità, e poi calato verso il basso attraverso
i telai d’acciaio e posizionato al piano dove serviva. Le casseforme in disarmo venivano sollevate attraverso
aperture provvisorie praticate nei solai, da argani leggeri a tamburo singolo da 25 HP.
Movimentazione della terracotta, delle mattonelle e dei mattoni da rivestimento
Le mattonelle di terracotta di varie misure ed i mattoni da rivestimento, venivano scaricati a mano dagli
autocarri al pian terreno, impilati lungo i binari della decauville e quindi caricati rapidamente sui vagoncini a
pianale. I vagoncini venivano poi spinti fino ai montacarichi ed avviati ai piani superiori dove avveniva la
distribuzione con l’ausilio della decauville. Un vagoncino a pianale conteneva 75 mattonelle per tramezzi da
15,24 cm e fino a 175 mattonelle da 5,08 cm. Le mattonelle per i tramezzi ed i mattoni da rivestimento si
trovavano già impilati in anticipo ai 3 piani successivi a quello nel quale i muratori stavano posando in opera
il materiale.
Scarico e sollevamento della pietra calcarea per i paramenti esterni
Al trasporto della pietra calcarea vennero assegnati due montacarichi per materiali, più un altro richiesto in
seguito. Tutte le lastre di pietra impiegate dall’arretramento del 5° piano alla copertura dell’84°, erano di
dimensioni tali da poter essere caricate rapidamente sui vagoncini a pianale e trasferite ai montacarichi per
materiali. Le pietre scaricate dagli autocarri all’interno dell’edificio venivano prelevate dal sistema di carrelli
sospesi su monorotaia, disposte sui vagoncini a pianale poi spinti nei montacarichi per i materiali, e
depositate ai piani superiori nei punti in cui servivano. Il materiale veniva depositato in anticipo ai 3 piani
successivi a quello cui stavano lavorando i posatori. Tutte le lastre di pietra calcarea per la parte inferiore
dell’edificio, fino al 4° piano compreso, sono state sollevate da gru a braccio a montante fisso, posizionate in
corrispondenza degli arretramenti del 5° piano. Lungo i fronti dell’edificio sono stati posati circa 5.615 mc di
pietra calcarea.
Protezione dal fuoco: scatole per gli avvisi d’incendio
Man mano che l’edificio saliva, ad ogni piano dal 2° interrato al 4° compreso, ed ogni 2 piani dal 5° all’84°
compreso, veniva installata una scatola per gli avvisi d’incendio. Tirando una maniglia nella scatola, un
segnale d’allarme sarebbe stato inoltrato all’ufficio centrale della National District Telegraph Company, e da
lì immediatamente alle sedi dei vigili del fuoco. Almeno una volta a sera una chiave speciale veniva inserita
in ogni scatola, per mandare un segnale all’ufficio centrale per indicare che il circuito era perfettamente
funzionante e che non si era quindi interrotto durante la giornata.
31
Impianto per la fornitura provvisoria d’acqua per usi vari e per la protezione dal
fuoco
Colonne montanti provvisorie e tubazioni per le acque reflue
Operando in sincronia rispetto al montaggio dello scheletro in acciaio, venne installata una colonna
montante da 7,62 cm dal 2° piano interrato al 29° piano, ed una da 10,16 cm dal 2° piano interrato all’84°
piano. Ad ogni piano entrambe le colonne erano provviste di due collegamenti a valvola, mentre ad ogni altro
piano era installato un collegamento a valvola su montante, al quale, in caso di emergenza, poteva essere
agganciato un manicotto antincendio. Per ogni montante venne allestita una tubazione provvisoria da 10,16
cm per lo smaltimento delle acque reflue, collegata ad una condotta fognaria al piano interrato. In
corrispondenza di ciascuna colonna montante di ogni piano venne posizionato un elemento cilindrico a
tenuta stagna, ed una derivazione da 2 pollici collegava ogni cilindro alla tubazione di deflusso delle acque
reflue, per neutralizzare eventuali traboccamenti.
Utilizzo di due serbatoi provvisori in legno
Un serbatoio provvisorio per l’acqua da 15.140 L in legno di
cipresso (fig. 78),venne allestito in un primo tempo al 20° piano;
una volta che l’ossatura d’acciaio raggiunse un’altezza
sufficiente da consentirlo, il serbatoio venne rimosso e collocato
al 41° piano, dove rimase per tutta la durata dei lavori. Il
secondo serbatoio, analogo al primo, venne installato invece in
un primo momento al 62° piano, per essere poi
successivamente trasferito all’84° piano, per tutta la durata del
cantiere.
fig. 78
Sistema di pompaggio per la distribuzione provvisoria dell’acqua
Al 1° piano interrato vennero installate quattro pompe da 15 HP, ciascuna della misura di 10,16 x 7,62 cm,
per pompare l’acqua attraverso le colonne montanti e riempire il serbatoio che era stato collocato prima al
20° piano e poi al 41°. Alla base ed alla sommità del serbatoio vennero installate delle tubazioni di
collegamento, provviste di valvole e di opportuni dispositivi di controllo, per poter utilizzare la colonna da
10,16 cm per il riempimento del serbatoio e per far defluire verso il basso l’acqua del serbatoio stesso. Un
interruttore automatico a galleggiante collocato sul serbatoio al 41° piano, inviava un segnale sonoro per
indicare all’addetto, che si trovava nella sala di pompaggio al 1° piano interrato, quando fosse necessario
azionare le pompe per riempire il serbatoio fino al livello opportuno.
Al 40° piano vennero installate tre pompe, delle quali una, la più grande, venne utilizzata per sollevare
l’acqua da quel serbatoio fino a quello del 62° piano, ed in seguito a quello dell’84° piano. All’83° piano
venne installata invece una pompa delle dimensioni di 7,63 x 5,08 cm e da 10 HP, al fine di sollevare l’acqua
dal serbatoio dell’84° piano fino alla sommità del pilone di ormeggio, attraverso una colonna montante
provvisoria. A partire da questa, che forniva l’acqua per gli usi di cantiere e permetteva anche l’innesto di un
apposito manicotto in caso di emergenza incendi, ad ogni livello del pilone di ormeggio vennero realizzate
delle tubazioni di collegamento provviste di valvola. Interruttori automatici a galleggiante installati alla
sommità dei serbatoi, segnalavano alla sala di pompaggio quando l’acqua era giunta al livello oltre il quale
tutte le pompe dovevano essere azionate per riempire nuovamente il serbatoio fino alla sua capacità
operativa.
32
Principale tubazione verticale permanente collegata all’impianto idraulico
provvisorio
La tubazione verticale n. 1, del diametro di 20,32 cm, si estende dalle condotte di collegamento ad Y al
livello stradale, fino all’82° piano. Per rendere disponibile immediatamente ed in qualsiasi momento una
quantità d’acqua sufficiente a domare un incendio senza dover attendere l’arrivo delle autopompe della città
ad il loro allacciamento alle condotte stradali ad Y per alimentare la tubazione verticale n. 1, quest’ultima
venne collegata all’impianto provvisorio di distribuzione dell’acqua. Aprendo una valvola speciale al 40°
piano ed azionando la grande pompa da 10,16 cm a 100 HP che si trovava allo stesso livello, questa
tubazione si riempiva immediatamente ed era pronta per l’uso, con una valvola di presa e 61 mt di manicotto
antincendio per piano. Altre cinque tubazioni verticali da 20,32 cm, che vengono mantenute asciutte, si
estendono dalle condotte ad Y delle tre strade, fino al 19° piano, e sono sempre predisposte per consentire
l’aggancio delle autopompe cittadine.
I quattro battistrada
Considerando il fattore velocità, è interessante analizzare i progressi dei quattro settori del cantiere che
hanno aperto la strada e fissato il ritmo per le altre attività successive. Queste quattro attività-guida sono
state, in ordine di sequenza:
1. Montaggio dello scheletro in acciaio; Una descrizione dettagliata della costruzione della struttura in
acciaio venne redatta dalla Post & McCord e stampata sull’Engineering News Record del 21 Agosto
1930.
2. Getto dei solai in c.l.s.;
3. Rivestimento esterno in metallo e parapetti in alluminio (compresi i serramenti in metallo);
4. Paramento in pietra calcarea (rivestimento esterno e paramento in pietra calcarea spalleggiati da
una controparte di mattoni ordinari);
Scheletro d’acciaio
Lo scheletro d’acciaio per gli 85 piani dell’edificio ha raggiunto l’altezza massima il 19 Settembre 1930, ed è
stato portato a termine il 22 Settembre, con ben 12 giorni di anticipo rispetto al programma.
Costruzione dei solai in c.l.s.
I solai degli 85 piani, compresa la copertura principale all’85° piano, sono stati ultimati il 6 Ottobre 1930, con
4 giorni di anticipo rispetto al programma.
Rivestimento esterno in metallo e parapetti in alluminio fuso
Quest’operazione, svolta per tutti gli 85 piani, è stata ultimata il 17 Ottobre 1930, con ben 35 giorni di
anticipo rispetto al programma.
Paramento in pietra calcarea (compresa la controparete in mattoni ordinari)
Gli 85 piani sono stati completamente tamponati il 13 Novembre 1930, con un anticipo di 17 giorni sulla data
di completamento programmata.
Il successo legato alla capacità di montare tutte le chiusure verticali dell’edificio prima dell’arrivo della cattiva
stagione, permise di anticipare di un mese la data finale del completamento, portandola al 1° Marzo 1931.
Solai in c.l.s.
I solai sono stati realizzati in c.l.s. di scoria da 10,16 cm (proporzione 1:2:5), e rinforzati con delle armature
zincate saldate 7,62 x 40,64 cm – 15,24 x 25,4 cm. Nei solai sono state impiegate oltre 47.400 mc di c.l.s.
L’armatura in rete di metallo si estende su una superficie complessiva di 269.410 mq. Lungo le superfici
inferiori delle travi maestre e secondarie, per un totale di 213.360 mt, sono disposti degli ancoraggi di
rinforzo. Le casseforme per la realizzazione dei solai hanno coperto un’area totale di 176.510 mq. Le
casseforme per la realizzazione dei fianchi e delle superfici inferiori delle travi maestre e secondarie, invece,
hanno coperto un’area totale di 206.703 mq.
33
Protezioni ignifughe in c.l.s. dei pilastri
Intorno ai pilastri del 2° piano interrato, così come anche intorno ai
pilastri perimetrali che fiancheggiano la linea di demarcazione della
proprietà verso ovest, venne gettato un rivestimento ignifugo in
c.l.s. di pietrisco, con uno spessore di 10,16 cm e di 5,08 cm per
quelli interni. Per tutti gli altri pilastri perimetrali del piano interrato e
per tutti quelli che passano per il pian terreno, si ricorse ad un
rivestimento ignifugo in c.l.s. di scoria, con uno spessore di 10,16
cm per i pilastri perimetrali e di 5,08 cm per quelli interni.
L’esecuzione dell’opera a regola d’arte richiese l’utilizzo di 11.613
mq di casseforme per i pilastri, di 11.148 mq di maglia di filo di ferro
per l’armatura delle colonne, e di 1.529 mc di c.l.s.
fig. 79
Controventature ignifughe in acciaio
A partire dal 2° piano interrato fino alla copertura dell’85° piano, tutta la torre principale è attraversata da
controventature speciali a rinforzo della struttura in acciaio, rivestite di tela metallica Clinton, sulla quale è
stato applicato uno strato ignifugo di cemento dello spessore di 5,08 cm. Questa operazione comportò il
rivestimento di una superficie di 8.454 mq con rete di filo metallico Clinton e strato ignifugo in cemento. Tutte
le opere in cemento (ad eccezione del massetto e della finitura del pavimento) sono state eseguite dai
costruttori.
Parapetti e finiture esterne in metallo
Sui fronti dell’edificio sono state utilizzate oltre 300 tonnellate di acciaio al cromo-nichel, più conosciuto come
18-8, per i rivestimenti ed i montanti delle finestre e le velette ornamentali delle stesse. Sempre lungo i fronti
dell’edificio, inoltre, sono state utilizzate quasi 300 tonnellate di parapetti in alluminio fuso.
L’acciaio anticorrosione al cromo-nichel, contiene il 17-20% di cromo, il 7-10% di nichel, meno dello 0,2% di
carbonio, meno dello 0,5% di manganese, oltre lo 0,5% di silicio ed un massimo di 0,025% di zolfo e fosforo.
Questa lega è a struttura austenitica, cioè con tutto il carbonio in soluzione, condizione che le permette di
resistere all’ossidazione in atmosfera umida e persino nell’aria salmastra.
Parti dell’edificio in cui è stato utilizzato il metallo
Le leserne verticali in acciaio lucidato hanno origine al 5° piano e si sviluppano per tutta l’altezza dell’edificio,
terminando alla sommità in grandi raggiere al di sopra delle finestre. L’acciaio è stato utilizzato anche nel
pilone di ormeggio, per un totale di 25 tonnellate. Le finestre sono disposte a gruppi di 2 o 3, separati da
pilastri in pietra calcarea. Ai lati di ciascun gruppo di finestre si trovano dei rivestimenti decorativi in acciaio al
cromo-nichel, larghi 25,4 cm, mentre le finestre che fanno parte dello stesso gruppo sono separate da
montanti della stessa lega, larghi 55,88 cm.
La superficie piana di entrambi questi elementi di metallo è interrotta da spigoli verticali sagomati con cura
per ottenere gli effetti di luce ed ombra desiderati; le linee di tali spigoli si estendono verticalmente per tutti
gli 85 piani oltre il 4°, interrotte solo dagli arretramenti. Le fasce scure verticali delle finestre mantengono la
loro continuità grazie ai parapetti in alluminio fuso, il cui colore grigio scuro di fonde con il nero delle aperture
sovrastanti.
Rivestimenti e montanti sono composti da elementi di misura 45,72 cm, anche se per funzioni di rinforzo
sono stati approntati degli stock da 40,64 e da 55,88 cm. La fabbricazione comprendeva un intervento
limitato di punzonatura degli angoli delle lamine, di piegatura o formatura, di saldatura a punti e continua, e
di lucidatura dei punti saldati. Ogni componente di metallo è rinforzato con profilati ad U, posizionati ad
intervalli di circa 6° cm. I profilati di rinforzo ad U, i nastri di ancoraggio, le fasce di collegamento o di rinforzo
posteriore e gli angolari in acciaio lunghi 30,48 cm, due al termine di ogni sezione, sono saldati
elettricamente a punti alle parti in cromo-nichel.
34
Tecnica di fissaggio alla struttura
Il rivestimento è assicurato all’ossatura d’acciaio dell’edificio ai vari piani, con dischi di metallo e profilati. Un
ulteriore sistema di fissaggio tra un piano e l’altro è costituito da una serie di ancoraggi a nastro annegati
nella muratura di mattoni ed imbullonati ai profilati di rinforzo ad U; per il fissaggio sono stati utilizzati da 1,27
cm e da 1,9 cm di diametro. Le varie parti aderiscono l’una all’altra grazie ad un giunto a sovrapposizione
inserito ad ogni piano, che contrasta i movimenti di contrazione e di dilatazione del metallo. Il giunto a
sovrapposizione è fissato ad ogni giunto, con un ancoraggio ad incastro continuo per rendere la
connessione resistente alle intemperie.
Movimentazione ed invio al cantiere
Nella movimentazione dei componenti dopo il completamento delle operazioni di lucidatura finale, si dovette
impiegare una cura particolare al fine di non danneggiare in alcun modo le superfici lucidate. Per la
spedizione delle parti completate a New York, si utilizzarono degli imballaggi di cartone. Per evitare che gli
imballaggi, una volta impilati, si ammassassero in quantità eccessiva fino a costituire un peso morto sul
fondo del vagone e per prevenire qualsiasi scivolamento, vennero realizzati dei telai in legno ai quali i cartoni
vennero appoggiati a gruppi. Quei gruppi di cartoni poterono così essere poi scaricati intatti dai vagoni e
collocati sugli autocarri per il trasporto all’edificio.
Paramento in pietra calcarea
Per il trattamento
finale degli esterni
dell’Empire State
Building sono stati
necessari 5.615 mc
di pietra calcarea. Il
paramento in pietra
di questo edificio
(figg. 80-82) ha un
notevole
peso
dovuto
ad
un
maggior
pregio
ornamentale, data la
presenza di stipiti
profondi tutti 33,02
cm e pesanti archi e
montanti intorno alle
finestre.
fig. 80
fig. 81
fig. 82
A causa dell’impiego molto esteso di rivestimenti e
di parapetti in metallo, il paramento in pietra
presenta delle forme molto semplificate.
Praticamente l’80% del rivestimento lapideo è costituito da pilastri formati da tre conci profondi 10,16 cm e
da uno profondo il doppio, con un pilastro per piano.
La pietra grezza venne venduta dalla Indiana Linestone Company di Bedford, Indiana; i registri mostrano
che vennero consegnati 5.814 mc di lastre e blocchi segati che richiesero l’impiego di 369 carri ferroviari per
il trasporto ai vari impianti. Ciò significa meno del 4% di scarti. Per completare il prima possibile il taglio delle
pietre, la Indiana Linestone Company tagliò la pietra direttamente nelle proprie officine, ricavandone formati
speciali in modo che le lastre arrivassero agli sbozzatori già in misure adatte a realizzare i due pezzi per
ciascuno dei pilastri maggiori. Le pietre vennero posate dal general contractor. L’operazione, iniziata il 5
Giugno del 1930 in corrispondenza dell’arretramento del 5° piano, venne ultimata il 13 Novembre dello
stesso anno, per una durata totale di 113 giorni lavorativi.
35
Metodi di scarico e di sollevamento delle pietre
I metodi utilizzati per lo scarico e la distribuzione delle lastre di pietra calcarea per il paramento esterno
rappresentarono una vera innovazione in questo campo, e senza dubbio sono stati in larga misura
responsabili della soddisfacente velocità con cui si svolsero le operazioni di posa.
Tutte le pietre sono state scaricate dagli autocarri all’interno dell’edificio al pian terreno, con l’ausilio di un
sistema di carrelli sospesi su monorotaia. Le lastre, collocate su dei vagoncini a pianale, vennero poi spinte
all’interno dei montacarichi per materiali, trasportate al livello richiesto e distribuite su tutto il piano per mezzo
della decauville fino al punto in cui dovevano essere applicate. Per pochi elementi di dimensioni maggiori si
rese necessario, per poter effettuare la posa, il sollevamento fino all’84° piano, tramite una gru a braccio
d’acciaio. Tutte le lastre di pietra calcarea per la fascia inferiore dell’edificio fino al 4° piano compreso, sono
state sollevate per mezzo di gru a braccio a montante fisso, posizionate in corrispondenza dell’arretramento
del 5° piano, e calate da lì fino all’area di posa con gru a braccio a montante fisso Sasgen.
Giunti Cowing per lo scarico delle spinte
Insieme al paramento in pietra sono stati impiegati dei giunti Cowing per scaricare le spinte. Questo tipo di
giunto venne ideato e perfezionato per ovviare al grave problema della rottura e della scheggiatura dei
blocchi di rivestimento.
Il giunto consiste in un elemento di lamiera di piombo ondulata racchiuso in un involucro sottile di piombo, di
spessore pari a quello di un giunto orizzontale tra due lastre. Solitamente ne veniva applicato uno per piano,
perpendicolarmente ai montanti ed ai pilastri intermedi, al posto di un giunto di malta. Quando viene
utilizzato in questo modo, il giunto suddivide in parti indipendenti la facciata e previene la rottura o la
scheggiatura dei blocchi lapidei del paramento dovute alle seguenti cause: ritiro dell’acciaio prodotto da
variazioni stagionali di temperatura, compressione dell’acciaio dovuta al peso dell’edificio e del suo carico
accidentale, variazioni improvvise di temperatura che fanno dilatare o contrarre il rivestimento dell’edificio
senza raggiungere i pilastri interni, spinte del vento, vibrazioni ed assestamenti.
Man mano che gli edifici sono aumentati in altezza e le parti della muratura in ampiezza, la disposizione di
giunti di natura semiplastica è diventata sempre più importante.
Impianto elettrico permanente
La capacità di trasformazione totale dell’Empire State Building è sufficiente ad accendere 156.000
lampadine da 50 Watt. Ci sono molte città di piccole dimensioni il cui fabbisogno di energia elettrica potrebbe
facilmente essere soddisfatto dagli impianti presenti in tale edificio. Data la grande superficie di ciascun
piano della torre, si dovettero predisporre due vani per i montanti (l’Empire State è stato il primo edificio in
cui è stato necessario agire in questo modo). Le dimensioni complessive dell’edificio richiesero tre cabine di
trasformazione, con linee di alimentazione ad alta tensione dirette ai trasformatori; cinque batterie di
trasformatori al 2° piano interrato, quattro batterie al 40° piano ed altre quattro all’83° piano.
Per inserire le scatole di derivazione sui pilastri venne sviluppato un sistema di fissaggio con delle sottili
fasce di ferro strette attorno ai pilastri stessi, sì che le scatole potessero essere montate sulle fasce ed
opportunamente distanziate. Di conseguenza, quando i pilastri vennero rivestiti di muratura, le scatole si
trovavano già nella posizione corretta, e non si dovette quindi rompere la muratura per inserire i tubi di
protezione. Una squadra fu adibita alla costruzione ed all’installazione delle scatole dette, con gli innesti
pronti per accogliere i tubi di protezione poi installati successivamente da un’altra squadra prima della posa
in opera delle mattonelle del rivestimento. Per le prese a soffitto vennero utilizzate delle scatole profonde
10,16 cm, con i fori vicino alla sommità, in quanto tutte le travi maestre e secondarie che attraversavano
l’edificio erano ribassate sotto il livello del solaio strutturale, sì che la faccia superiore delle stesse si trovasse
5 cm più in basso rispetto alla superficie del solaio. Tutte le linee di distribuzione provenienti dai quadri di
controllo sono state quindi installate contemporaneamente, passando sopra le travi, senza improvvise
deviazioni dal piano. Riuscendo ad incorporarle nel getto del solaio, si ottenne un’installazione più rapida
delle stesse, nonché una posa più rapida dei cavi, data l’assenza di piegature.
I vari tipi di scatole (per i quadri di controllo, di supporto per i cavi, a T e scatole ad M) vennero collocate in
anticipo di un piano rispetto al c.l.s., su montanti angolari di ferro da 5,08 cm. In questo modo, quando le
squadre arrivavano ai vari piani per installare i tubi di protezione, ogni cosa era già predisposta per effettuare
un lavoro rapido e completo di innesto dei tubi fino all’interno dei quadri, senza la necessità di ricorrere a
delle demolizioni. I cavi vennero consegnati in tratti pronti per il taglio e contrassegnati in modo da poter
essere posati al piano di destinazione in anticipo rispetto all’intervento delle squadre addette al tiraggio. Per
velocizzare la posa dei cavi venne appesa una ruota da 60 cm al soffitto, e passato il cavo avvolto su di essa
nel tubo di protezione, con un argano motorizzato all’altra estremità per facilitare il tiraggio.
36
Relativamente alla posa del sistema di canalizzazioni sotto il pavimento per i vari tipi di linee di segnali,
anziché posare il solito strato di protezione, gli addetti al getto del c.l.s. predisposero delle tracce nella
superficie superiore dei solai lungo il percorso delle canalizzazioni, prima della posa di queste ultime, e
lisciato le relative superfici. Dopo la presa del primo getto, le scatole di derivazione e le canalizzazioni
vennero posate in corrispondenza delle tracce lisciate. Per tenere in posizione le canalizzazioni venne ideato
un ancoraggio metallico poi inchiodato al c.l.s. con chiodi da 2,54 cm.
Impianto idraulico
Nella parte superiore dell’edificio sono stati installati 82 km di tubazioni idrauliche. In qualsiasi istante è
possibile disporre di una riserva di 340.650 L d’acqua per usi domestici ed antincendio, sebbene ogni
impianto ed ogni tratto di tubazioni possa essere rifornito d’acqua senza ricorrere ai serbatoi.
Sono stati installati impianti sanitari in porcellana dura per un totale di 2.500 unità.
Il sistema antincendio vede, a disposizione di un utilizzo immediato, 13 km di manicotti antincendio in tela di
lino della migliore qualità.
Il sistema di smaltimento delle acque meteoriche provenienti dalle coperture è separato ed indipendente
dall’impianto idraulico. L’acqua piovana proveniente da alcune parti dell’edificio, scorre attraverso una serie
di tubazioni lunghe 800 mt prima confluire nella rete fognaria pubblica. Il sistema di smaltimento delle acque
reflue trasporta l’acqua di alcuni impianti sanitari per una distanza di 405 mt prima di riversarla nella rete
fognaria pubblica.
L’acqua erogata nella sezione superiore dell’edificio viene pompata da un serbatoio aperto situato al piano
interrato, fino ad un’altezza di 335 mt, verticalmente ed in un solo tratto.
Il sistema di aspirazione era il più grande al mondo nel suo genere. Sono presenti due sistemi separati; uno
dal piano più basso fino al 29° compreso, l’altro dal 30° piano fino ad un’altezza di 381 mt dal suolo.
A causa dell’altezza dell’edificio, le acque reflue degli impianti sanitari del pian terreno e dei piani sottostanti
scorrono in un sistema separato che scarica in un estrattore da cui le acque vengono immesse a forza nella
rete fognaria pubblica.
Per l’acqua fredda e quella calda vi son sei impianti separati.
Il gas per l’illuminazione scorre all’interno di tubazioni fino ad un’altezza di 335 mt sul livello del suolo.
Riscaldamento e ventilazione
Per le condutture del riscaldamento ad alta e media pressione sono stati impiegat circa 87 km di tubazioni in
ottone, acciaio e ferro saldato. Per l’impianto di ventilazione sono stati impiegati circa 1.035.000 kg di ferro
galvanizzato e nero e di rame. Per il riscaldamento dell’edificio sono stati installati 6.700 radiatori, per una
superficie radiante totale di 22.946 mq. Per il riscaldamento diretto dell’edificio, i radiatori richiedono tra i
40,5 milioni ed i 45 milioni di kg di vapore per stagione.
Le ventole di immissione e di estrazione dell’aria esaurita trattengono circa 32.560 mc di aria fresca ed
esausta al minuto.
Controsoffitti ed intonaci
Per le opere di controsoffittatura e di intonacatura sono state impiegate:
• 10.000 tonnellate di intonaco (di cemento e per finitura);
• 12.000 tonnellate di sabbia;
• 200 tonnellate di reti in metallo;
• 300 tonnellate di ferri Chanel e Furing (circa 305.000 mt);
• 50 tonnellate di materiali per cornici angolari (circa 129 km);
Il numero totale di metri quadrati di superficie intonacata può essere considerato equivalente ad una fascia
di marciapiede larga 0,91 cm e lunga 379,79 km, cioè dall’Empire State Building al Campidoglio di
Washington D.C.
Piastrelle e mosaici
Mosaici
Le superfici a mosaico dei corridoi misurano circa 23.225 mq ed hanno richiesto l’utilizzo di circa 76,2 km di
strisce di ottone per i giunti di dilatazione. Il peso di questi elementi di ottone equivale a 45 tonnellate. I
materiali impiegati per il mosaico sono stati circa 955 mc di sabbia, circa 12.500 sacchi di cemento e 15.000
37
scaglie di marmo (di tipo “Botticino”, importato dall’Italia; “Belga nero”, importato dal Belgio; “Cardiff Verde”,
dal Maryland, USA).
Piastrelle
Le piastrellature dei pavimenti e delle pareti dei locali per i servizi igienici comprendono le seguenti superfici
e tipologie di piastrelle:
• 3.252 mq di pavimento alternato bianco e nero;
• 790 mq di pavimento ad esagoni bianchi;
• 5.110 mq di parete smaltata bianca (15,24 x 7,52 cm);
• 914 mt di modanature concave, con parte inferiore tonda e parte superiore con base smaltata nera;
• 1.372 mt di modanature concave, con parte inferiore tonda e parte superiore con base smaltata
bianca;
Marmi per interni
Per gli interni sono stati impiegati, in totale, 30.480 mq di marmo, per un peso totale di circa 2297 tonnellate.
Marmi per interni – pian terreno
Per il pian terreno dell’edificio sono stati impiegati dei marmi provenienti dalle migliori cave d’Europa. Le
pareti di tutti gli atri d’ingresso, dei corridoi e degli atri degli ascensori, hanno una campitura di fondo in
marmo belga nero. Sopra questa base, tutte le lesene, le cornici delle porte ed i riquadri, sono in Est
Rellante e marmo rosa “Formosa” della Germania. Questi marmi sono stati utilizzati anche per le scale che
collegano il pian terreno al 1° piano e per quelle tra il pian terreno ed il 1° piano interrato, con le pedate in
marmo travertino italiano. I pavimenti di tutti gli ingressi, degli atri e dei corridoi, sono rivestiti in marmo belga
blu per le bordature, ed in marmo rosso italiano di Levanto. Per le campiture è stato utilizzato invece il
marmo francese Bois Jourdan.
Riepilogando, i marmi utilizzati al pian terreno consistono in due colori dalla Germania, due dal Belgio, due
dall’Italia ed uno dalla Francia.
Un posto speciale tra le opere eseguite in marmo, merita il pannello ornamentale che accoglie i visitatori che
varcano l’ingresso sulla 5th Avenue. Vi sono inserti di marmo bordati da strisce di bronzo che rappresentano
mappe di New York e dei territori adiacenti, con un indicatore che registra la direzione del vento alla sommità
dell’edificio, 381,61 mt sopra il livello a cui si trova il visitatore.
Coperture
Le opere di copertura hanno visto l’impiego dei seguenti materiali:
• 1.100 rotoli di carta catramata a strato singolo (37 mq per rotolo);
• 500 barili di pece;
• 7.172 mq di isolante in sughero da 2,54 cm;
• 1.600 sacchi di cemento;
• 199 mc di sabbia;
Per le solette dei marciapiedi e per i pavimenti del locale dei serbatoi, invece, sono stati impiegati i seguenti
materiali:
• 400 rotoli di carta catramata;
• 200 barili di pece;
Per il pavimento in cemento finito sono stati impiegati, infine:
• 20.000 rotoli di carta Tomahawk pesante;
• 100 fusti di asfalto;
• 3.785 L di nafta;
Serramenti in metallo
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La quantità di serramenti in metallo a ghigliottina impiegati in tutti gli 85 livelli, ad eccezione del pian terreno
e del 1° piano, ammonta a 6.305 unità. Per la produzione di tali finestre sono state utilizzate:
• 600 tonnellate di acciaio;
• 39.624 mt di catenelle per telai scorrevoli;
• 5.400 kg di bronzo (impiegati per la produzione della materia prima per i serramenti);
Per trasportare tutti i ferramenti dall’impianto di produzione di Baltimora a New York, furono necessari
novanta vagoni ferroviari.
Protezione dall’umidità
Ai mattoni ordinari della controparete di rinforzo per i paramenti in pietra calcarea ed i rivestimenti in metallo
è stato applicato un composto plastico impermeabilizzante prima della stesura dell’intonaco. L’unica
eccezione a tale procedura riguarda le nicchie dei radiatori, dove al posto della sostanza detta, è stata
utilizzata una vernice impermeabilizzante. Sono stati impiegati 1.096 barili di mastice, col quale è stata
coperta una superficie di 61.314 mq.
Impermeabilizzazioni esterne
Le opere di impermeabilizzazione intorno ai telai dei serramenti ed ai parapetti in alluminio fuso e tra il
rivestimento in cromo-nichel ed i paramenti in pietra dei fronti esterni dell’edificio, sono state effettuate con
l’impiego di 35 tonnellate di mastice Pecora.
Indice
39
Localizzazione geografica dell’edificio………………………………………………………….………………p. 2
EMPIRE STATE BUILDING...………………………………………………………………………….……….pp. 3-5
Cuspidi di carta…………………………….…………………………………………………………………….pp. 6-9
Progettazione in team……………….……………………………………………………………………..….pp. 9-12
Lo spettacolo messo in scena dal costruttore; La conquista dei record………….....................pp. 12-14
La struttura: scheletro, solai e facciate……………………………………………………………..…....pp. 14-19
Impianti……………………………………………………………………………………………………....………p. 20
La razionalizzazione della costruzione………………………………………………….………….....…pp. 20-21
Il trasporto dei materiali…………………………………………………………………………..….……..pp. 22-24
Il trasporto delle persone…………………………………………………………………………...….…...……p. 25
L’esecuzione delle strutture in acciaio………………………………………………………………......pp. 25-26
Note sulla costruzione dell’Empire State Building; Scavi preliminari e dei pozzi per i plinti……...p. 27
Montacarichi interni per materiali……………………………….....................................................….pp. 27-28
Impianto di betonaggio…………………………...…………………………………………………...………....p. 28
Sistema di carrelli sospesi su monorotaia…………………………………...........................................…p. 28
Macchine per la posa delle pietre……………………………………………………………………...….pp. 28-29
Gru in acciaio a braccio tirantato………………………………………………………………………….……p. 29
Ascensori provvisori…………………………………………………………………………………...…....pp. 29-30
Ascensori passeggeri provvisori A.B. See e cabine Otis……………………………………………..……p. 30
Scarico e distribuzione dei materiali…………………………………………………………………………...p. 30
Movimentazione dei mattoni ordinari………………………………………………………….………….pp. 30-31
Movimentazione dei materiali per il c.l.s.................................................................................................p. 31
Movimentazione della terracotta, delle mattonelle e dei mattoni ordinari…………….........................p. 31
Scarico e sollevamento della pietra calcarea per i paramenti esterni…….……………………...….…..p. 31
Protezione dal fuoco: scatole per gli avvisi d’incendio…………………………………………………….p. 31
Colonne montanti provvisorie e tubazioni per le acque reflue……………………………………………p. 32
Utilizzo di due serbatoi provvisori in legno………………………………………...............................……p. 32
Sistema di pompaggio per la distribuzione provvisoria dell’acqua…………...............................…….p. 32
Principale tubazione verticale permanente collegata all’impianto idraulico provvisorio...................p. 33
I quattro battistrada…………………………………………………………………………………………….….p. 33
Solai in c.l.s.………………………………………………………………………………………………………...p. 33
Protezioni ignifughe in c.l.s. dei pilastri…………………………………………..……………………….…..p. 34
Controventature ignifughe in acciaio………………………………………………………………….…….…p. 34
Parapetti e finiture esterne in metallo………………………………………………………………………….p. 34
Parti dell’edificio in cui è stato utilizzato il metallo………………………………………………………….p. 34
Tecnica di fissaggio alla struttura………………………………………………….…………………………..p. 35
Movimentazione ed invio al cantiere……………………………………………………...............................p. 35
Paramento in pietra calcarea…………………………………………………………...............................…..p. 35
Metodi di scarico e di sollevamento delle pietre…………………………………………………….……….p. 36
Giunti Cowing per lo scarico delle spinte……………………………….…………………………………….p. 36
Impianto elettrico permanente……………………………………………………………………………..pp. 36-37
Impianto idraulico………………………………………………………………………….................................p. 37
Riscaldamento e ventilazione…………………………………………………………………………....……...p. 37
Controsoffitti ed intonaci…………………………………………………………………………………………p. 37
Piastrelle e mosaici…………………………………………………………………………………………..pp. 37-38
Coperture………………………………………………………………………………………………………..…..p. 38
Serramenti in metallo………………………………………………………………......................................…p. 39
Protezione dall’umidità; Impermeabilizzazioni esterne ………………………………………....………..p. 39
.
40
41