catalogo - ANNA LISA GHIRARDI
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catalogo - ANNA LISA GHIRARDI
Alle mie bambine Letizia e Miriam e ai figli degli artisti: Curzio e Priscilla, Ettore Vasco, Francesco, Giordano e Emma Rita, Leone, Matilde «Negli adulti sensibili dovrebbero riaffiorare il danno e la catastrofe del cresciuto» carmelo bene UN’ISOLA FAVOLA DA ECCE PINOCCHIO 12 artisti contemporanei rileggono Collodi Baricchi Bombardieri Canalella Casolani De Molfetta Fratus Gandini Greco Mazzanti Salvi Scarpella Schmidlin Mostra e catalogo a cura di Anna Lisa Ghirardi Isola del Garda 10 maggio-19 ottobre 2014 da un’idea di Giordano Spinella e Anna Lisa Ghirardi con la collaborazione di Alberta Cavazza COMUNE DI SAN FELICE DEL BENACO Fotografie catalogo Fabio Cattabiani Fotografie ritratti Alberto Buzzanca (Ettore Greco) Alberto Leoni (Patrizia Fratus e Anna Lisa Ghirardi) Jacopo Benassi post produzione Massimo Biava (Mirko Baricchi) gli artisti Grafica Luisa Goglio Si ringrazia per la collaborazione alla realizzazione dell’evento la Famiglia Cavazza; per la collaborazione all’allestimento Ezio Cassetti e Nadia Chiarini, Gianfranco Bertoli, Domenico Bontempi, Samuele Raccagni, Roberto Spinella, Coop ServiceRezzato; per l’ospitalità Barbara Kreiner, Antiche Rive appartamenti vacanze, Hotel Benaco, Hotel Eden, Hotel Commercio, Hotel Laurin, Hotel Lepanto - Salò, Hotel Bellevue, Hotel Villa Capri, Hotel Villa Florida - Gardone Riviera. via Muntebei 22, 46040 Cavriana (Mn) Tel +39 0376 82160 Fax +39 02 700530215 [email protected] www.tecnologos.net Edizione: maggio 2014 ISBN 978-88-88697-37-6 © 2014 per i testi: gli autori per le immagini: gli artisti e i fotografi Con il patrocinio di Partnership Sponsor Con il supporto di CONSORZIO A ALBERGHI CONSORZIO LBERGHI RIVIERADEL DEL GARDA RIVIERA ARDA GARDONE - SGALÒ GARDONE - SALÒ C.A.R.G. C.A.R.G. baricchi bombardieri canalella Ecce Pinocchio 12 artisti contemporanei rileggono Collodi casolani de molfetta fratus gandini greco mazzanti salvi scarpella schmidlin A cura di Anna Lisa Ghirardi È un privilegio per il Comune di San Felice del Benaco avere nel proprio territorio un tesoro qual è l’Isola del Garda. Questo luogo incantevole ricco di fascino, di storia, di natura e di colori, armoniosamente inserito nel blu del più grande lago d’Italia, accoglie questa importante iniziativa culturale che ne esalta l’atmosfera fatata che lo avvolge. L’Amministrazione Comunale è lieta di collaborare a questo evento che coinvolge tutte le generazioni e che è sicuramente un’opportunità per valorizzare, far conoscere ed esaltare al meglio l’Isola del Garda ed anche il nostro verde promontorio ricco di tradizioni, di cultura e di splendidi panorami. Il Sindaco Il Consigliere alla Cultura PAOLO ROSA MARZIA MANOVALI 5 6 Un‘isola da favola M entre ci avviciniamo in barca all’Isola che costituisce la nostra meta, spontaneamente riemergono in noi i ricordi di tutti quegli episodi della storia di Pinocchio che si svolgono in un contesto marino e ci viene facile immedesimarci nei protagonisti di queste avventure, chiedendoci forse che cosa provasse Geppetto quando remava solitario in mezzo al mare in tempesta per cercare il figliolo scomparso, oppure immaginandoci l’ansia con cui guardava la riva lontana il povero mastino Alidoro in balìa delle onde prima di venire salvato da Pinocchio in uno dei suoi più sinceri slanci di generosità, o magari immaginando quanto fossero oscuri gli abissi in cui venne scagliato un povero asinello che sarebbe stato destinato a riemergere di nuovo come burattino. Le risposte a queste domande ci verranno mentre saremo in viaggio verso l’Isola del Garda, osservandone in lontananza il lungo profilo immobile nel mezzo del lago, simile in modo preoccupante alla forma che avrebbe dovuto avere quel terribile pescecane, nel cui ventre padre e figlio si riabbracciarono dopo anni di separazione, o magari avvertiremo un fremito quando saremo più vicini e forse ci sembrerà di scorgere la sagoma di una grotta identica a quella dove abitava il terribile pescatore verde, e avremo paura di cadere nelle sue reti. E le suggestioni della fantasia non si fermeranno qui, perché quella piccola casa che vedremo nel bosco ben si presta ad ospitare una bella fanciulla dai capelli turchini e le curve dei vialetti che si snodano nella penombra della vegetazione paiono adattissime a nascondere le losche figure del Gatto e della Volpe appostate per un’imboscata. Soltanto la nostra immaginazione potrà guidarci in questo percorso fantastico, al termine del quale, forse, ci renderemo conto che l’Isola non è altro che il famoso Paese dei balocchi, dove tutte le regole della vita quotidiana sulla terraferma sono sovvertite e allora, improvvisamente, ci verrà l’istinto di specchiarci per un istante nelle acque cristalline del lago per controllare di soppiatto che non ci stiano crescendo le orecchie! F am . C avazza Proprietari Isola del Garda 7 Pubblicità pubblicata in L’Illustrazione italiana, 1909 8 ECCELLENZE CHE FANNO STORIA C osa possono avere in comune Le Avventure di Pinocchio di Carlo Collodi e la Cedrata Tassoni di Salò? Una storia di secoli e il coraggio di un’italianità che non segue la moda rimanendo fedele a se stessa nel passare del tempo. L’occasione per celebrare questa comunione di valori è arrivata con un’isola da favola, l’evento dedicato alla Bellezza e alla celebrazione dell’arte contemporanea, voluto e realizzato sull’Isola del Garda per alimentare il dialogo eterno tra arte e paesaggio volgendo a Pinocchio uno sguardo nuovo. Correva l’anno 1881 quando Carlo Lorenzini, poi Collodi, dava vita al “burattino” protagonista delle rocambolesche avventure sospese tra bene e male, arricchite da sagge presenze e personaggi senza scrupoli, che hanno accompagnato generazioni di bambini alla scoperta del grande classico della letteratura italiana. Solo qualche anno dopo, nel 1884, Paolo Amadei, bisnonno dell’attuale titolare della Cedral Tassoni, acquistava dal socio, Nicola Tassoni, l’antica Farmacia salodiana attribuendole l’attuale carattere industriale e mettendo al centro dell’impresa la valorizzazione del cedro, per trarne, attraverso la ricerca, la gamma di soluzioni di cui l’Acqua di Tutto Cedro rappresenta il primo successo. Stessa epoca, luoghi diversi. In entrambe le avventure il seme di un’energia vitale in grado di rimanere per sempre nella memoria degli italiani. Nel settore delle bevande Cedral Tassoni è un’eccellenza tutta italiana. Affonda le sue radici nel 1793 a Salò, sulla riva bresciana del Lago di Garda. È una delle rare realtà industriali che produce direttamente gli aromi, proponendo al suo vasto pubblico di estimatori una bibita naturale e rinfrescante dalla qualità altamente controllata in ogni aspetto della filiera. Nel rispetto dell’ambiente, Cedral Tassoni ha scelto inoltre di limitare gli sprechi e di introdurre nel progetto di ristrutturazione della sede originaria modifiche strutturali che consentono di ridurre l’impatto ambientale risparmiando energia. Degli ultimi anni è la partnership con Fai - Fondo per l’Ambiente Italiano e con la Fondazione Slow Food nel segno della qualità di un’esperienza sensoriale che esprime tutta la passione per il “gusto italiano”. 9 Trasporto opera per allestimento PATRIZIA FRATUS, I(h)o!, 2014 10 Un pinocchio rigenerato anna lisa ghirardi L e avventure di Pinocchio è la fiaba italiana per eccellenza, è il libro della letteratura nazionale più letto, più tradotto, più interpretato, tanto da poter essere considerato a pieno titolo un capolavoro mondiale. Ha avuto più di 190 edizioni illustrate, è stato tradotto in 260 lingue, anche vari dialetti, è passato al setaccio attraverso letture critiche ed è stato modificato da numerose riscritture e ispirazioni. La marionetta-bambino, che acquisisce per errore la definizione di burattino, è uscita sin da subito dalle pagine collodiane, per entrare nel nostro immaginario attraverso le suggestioni create dagli illustratori.1 Alle figure cartacee si sono sovrapposte quelle animate, celeberrima quella di Walt Disney (1940) che è diventata la più popolare, ma anche tra le più fantasiose, trasferendo Pinocchio dalla Toscana al Tirolo.2 Dall’illustrazione al cartone animato, dalle versioni teatrali a quelle cinematografiche e musicali, testo e immagini si sono uniti, ma più spesso scissi, per creare la visione di un nuovo Pinocchio, eterno quanto contemporaneo. Il nostro protagonista è pertanto un essere vivo e continuamente rigenerato. Il successo del modello è infatti una legge che non ammette ignoranza, ma che invita a trasgredire, a contaminare e a cucire storie parallele.3 Sono così sorte nel tempo molteplici “pinocchiate” e ardite letture critiche.4 L’evento Ecce Pinocchio si colloca infatti sulla scia di questa tradizione. Del resto è lo stesso Collodi ad affermare di conoscere una famiglia intera di Pinocchi e noi conosciamo gli eredi. Pinocchio è una figura universale, tanto che riporta tutti all’infanzia, ma anche alle nostre origini di esseri umani; come disse Benedetto Croce: «la materia di cui è fatto quel burattino è la vita».5 Un po’ tutti talvolta ci sentiamo dei Pinocchi: per l’incapacità di tenere sempre fede ai nostri propositi, per le nostre debolezze, ma anche per quel desiderio intimo e profondo, che talvolta ci assale, di libertà e di immaginazione. «[…] domani, all’alba, voglio andarmene di qui, perché, se rimango qui, avverrà a me quel che avviene a tutti gli altri ragazzi, vale a dire mi manderanno a scuola e per amore o per forza mi toccherà a studiare; e io, a dirtela in confidenza, di studiare non ne ho punto voglia, e mi diverto più a correre dietro le farfalle e a salire su per gli alberi a prendere gli uccellini di nido». (cap. IV, p. 27)6 Correre dietro alle farfalle. Nella semplicità di un’affermazione, che può a prima lettura apparire come voglia di rifuggire l’impegno e il sacrificio, è espressa l’idea di leggerezza, ma anche di fantasia e sogno. E le farfalle ci portano nel mondo dell’immaginazione, nel quale Pinocchio è il Virgilio che ci accompagna nel nostro viaggio. Non esiste del resto bambino che entri nel mondo delle fate senza incontrare il burattino dal naso lungo. Il suo inventore, Carlo Lorenzini, entrò invero nel mondo incantato piuttosto tardi: nel 1875, all’età di quarantanove anni, quando tradusse nove racconti di Charles Perrault: Barba-blu, La bella addormentata nel bosco, Cenerentola, Puccettino, Pelle d’asino, Le fate, Cappuccetto Rosso, Il gatto con gli stivali, Enrichetto 11 dal ciuffo e due racconti di Madame Le Prince de Beaumont: Il principe amato e La bella e la bestia. Subito dopo iniziò a scrivere per i ragazzi, nel 1877 pubblicò Giannettino, che gli valse la nomina a Cavaliere del Regno d’Italia, al quale seguì Minuzzolo e altri manuali scolastici. A partire dal 7 luglio 1881 scrisse Storia di un burattino a puntate per il “Giornale per i bambini”, inserto settimanale del quotidiano “Il Fanfulla”; la compose a intervalli, senza troppe riletture e pentimenti e senza il che minimo presentimento dell’importanza che avrebbe assunto. Le prime quattro cartelle furono inviate da Collodi a Guido Biagi, animatore e redattore dell’inserto, in un periodo in cui si trovava in ristrettezze economiche a causa dei suoi abituali debiti di gioco, accompagnate da queste parole: «Ti mando questa bambinata, fanne quello che ti pare; ma se la stampi pagamela bene per farmi venir la voglia di seguitarla». Antonio Faedi afferma che Collodi con l’incontro del mito uscì a sbloccare una condizione nevrotica con cui conviveva da anni: «entrando nello spazio liberatorio della favola nella quale le contraddizioni potevano convivere e un intimo intricato patrimonio di suggestioni e di figure» poteva «esprimersi finalmente liberamente».7 In questo senso, anche per lo stesso autore, la fiaba consente di entrare in una dimensione purificatrice rispetto all’inquietudine, offrendo una direzione nuova alla sua esistenza, al suo dicotomico atteggiamento verso la vita, sebbene a riguardo non tutti gli studiosi siano d’accordo.8 Rosanna Dedola afferma che «mettendo piede nel mondo delle fiabe, egli si inoltra in un mare procelloso in cui può rischiare di essere ingoiato dal mostro o all’inverso – proprio come capiterà anche a Pinocchio – di rinascere a una nuova vita”.9 Le fiabe del resto, come ben sappiamo, possono essere una via iniziatica o un luogo di perdimento. A quanto pare sia per l’autore, sia per il lettore che per il protagonista del racconto. Per Pinocchio le esperienze diventano una possibilità di crescita, non solo fisica, ma anche umana. In particolar modo la sua impiccagione 12 ha mutato una condizione immutabile, senza vie di uscita, in un’esperienza di iniziazione. Proprio quando la speranza sta venendo meno e tutto sembra concluso la storia si avvia ad un’altra soluzione. La Storia di un burattino doveva terminare infatti con l’impiccagione di Pinocchio al ramo della Quercia grande, con tale scena Collodi si congedava il 27 ottobre 1881, dopo tre mesi dall’inizio dei capitoli, con la parola “fine”. Solo dopo parecchi mesi in una nota redazionale del giornale è preannunciata la ripresa delle pubblicazioni: «Il signor C. Collodi mi scrive che il suo amico Pinocchio è sempre vivo, e che sul conto suo potrà raccontarne ancora delle belline. Era naturale: un burattino un coso di legno come Pinocchio ha ossa dure, e non è tanto facile mandarlo all’altro mondo. Dunque i nostri lettori sono avvisati. Presto cominceremo la seconda parte delle Storie di un burattino intitolata Le avventure di Pinocchio». È necessario attendere fino al 16 febbraio 1882 per l’intervento provvidenziale della Fata e l’ultimo capitolo a puntate è pubblicato il 25 gennaio 1883. Da allora ad oggi la storia delle “pinocchiate”, come si è detto, è lunga. Sull’Isola del Garda dodici artisti contemporanei rileggono la fiaba di Pinocchio. Il percorso espositivo vuole essere un viaggio di scoperta che, mediante le stimolazioni offerte dagli artisti, porta il visitatore tra i meandri del pensiero, suscitando meditazione, riflessione ed anche gioco. Le vie conducono, attraverso la vita e la morte, in un percorso di rinnovamento. La nostra storia pinocchiesca è ambientata in un luogo fiabesco, ricco di suggestioni. L’isola fu insediata ai tempi dei Romani, adibita a riserva di caccia in epoca alto medievale e donata da Carlomanno ai frati di San Zeno a Verona. Verso il 1220 fu visitata da Francesco d’Assisi che vi istituì un romitorio, eremo ampliato da San Bernardino da Siena nel 1429; divenne in seguito un importante centro di meditazione che ospitò illustri personaggi religiosi, come padre Francesco Licheto, il quale, a partire dal 1470, vi istituì una scuola di teologia e filosofia. Dopo la sua morte vi fu l’inizio di un periodo di decadenza per la comunità religiosa, finché dal 1685 al 1797 fu sede di un convento di noviziato per il ritiro dei frati, fatto poi sopprimere da Napoleone. La proprietà passò alla Repubblica Cisalpina, in seguito al demanio e quindi a proprietari privati: a Gian Battista Conter, ai fratelli Benedetti di Portese, a Giovanni Fiorentini di Milano e nel 1817 al conte Luigi Lechi di Brescia. Quest’ultimo ordinò importanti opere di restauro e costruzione per poi cedere l’Isola al fratello Teodoro, che apportò ulteriori modifiche con l’aggiunta delle terrazze di fronte alla villa. Nel 1860 fu espropriata dallo Stato e assegnata all’esercito, in seguito venne messa all’asta e aggiudicata al barone Scotti che la rivendette al duca Gaetano de Ferrari di Genova e a sua moglie, l’arciduchessa russa Maria Annenkoff. Tra il 1880 e il 1900 i nuovi proprietari si dedicarono alla progettazione e alla realizzazione del parco, e tra il 1890 e il 1903 venne realizzato dall’architetto Luigi Rovelli il palazzo in stile neogotico veneziano. L’isola passò quindi in eredità alla figlia Anna Maria, sposa del principe Scipione Borghese di Roma. Nel 1924, alla morte della principessa, la proprietà venne ereditata dalla figlia Livia, moglie del conte Alessandro Cavazza di Bologna, e in seguito dal figlio Camillo che la lasciò a sua volta alla moglie Charlotte ed ai sette figli. armida gandini armida gandini Sogni d’oro, 2014 box in ferro con stampa digitale su carta e vetro 81x64x5 cm Proprio partendo dall’album della famiglia oggi proprietaria e custode di questo luogo magico, Armida Gandini ha realizzato la sua installazione. Nella sua opera da anni infatti esplora il tema della fiaba e dell’infanzia; i personaggi fiabeschi, come afferma l’Artista, rappresentano «i labirinti che si attaversano nella vita, i luoghi dell’esperienza, della perdita, della scoperta del sé» e «la fiaba, nella sua accezione più ampia, come il cinema, la musica, l’arte visiva in generale, rappresenta la grande evasione e nello 13 armida gandini E staremo sempre allegri, 2014 box in ferro con stampa digitale su carta e vetro 88x88x7 cm 14 15 armida gandini Di noi ti puoi fidare, 2014 box in ferro con stampa digitale su carta e vetro 130x90x7 cm 16 Non dico bugie, 2014 box in ferro con stampa digitale su carta e vetro 90x130x7 cm 17 stesso tempo uno degli strumenti più efficaci di presa di coscienza del rapporto uomo-mondo». Tra le casette rustiche, in origine facenti parte delle celle dei frati, ha collocato le sue opere, rielaborazioni fotografiche stratificate che attingono ai documenti familiari, cogliendo le figure ritratte tra più generazioni, dalla principessa Livia Borghese ai fratelli della contessa Charlotte Chetwynd Talbot e ai nipoti, attraversando pertanto l’iconografia di epoche diverse. L’Artista sfoglia un album fotografico privato trasformando la memoria familiare in memoria collettiva. Apre, con la discrezione che le appartiene, uno spiraglio sui mondi interiori. Fa interpretare ad alcuni componenti della famiglia personaggi collodiani, adottando un linguaggio dalla sottile ironia, capace di riferimenti allusivi anche ad altri racconti. Il rimando ai personaggi: la Fata, Pinocchio ciuchino, Pinocchio bambino, il Gatto e la Volpe è sottile. La trasformazione in personaggi rende ogni figura ritratta un piccolo eroe estrapolato dalla propria storia e trasferito in un nuova narrazione. Lo spettatore, captato dal linguaggio metaforico, tende a specchiarsi nell’immagine raffigurata ed è coinvolto ad interpretare i diversi messaggi veicolati dalle immagini e dalle parole, che coesistono, ma non necessariamente sono in diretto dialogo. Fa da ambientazione scenografica il bosco, luogo di perdimento, ma anche di ricerca e di ritrovamento del sé, non solo per Pinocchio, ma per molteplici personaggi fiabeschi e per i visitatori dell’Isola che si mettono in gioco. CALOGERO CANALELLA Il figlio della terra, 2012 resina poliestere, tronco d’albero h 330 cm courtesy Museo Go Ronco Arte Gussago (Bs) 18 calogero canalella Al nostro arrivo sull’isola ci accoglie Il figlio della terra di Calogero Canalella, raffigurante un uomo stante, immobile, posto sulla sommità di un tronco, con le braccia aperte e il naso lungo. Sembra dirci: “benvenuti Pinocchi!”. L’immagine riecheggia l’uomo vitruviano ed ha pertanto una valenza universale, ma il suo naso non può che rimandare immediatamente all’inganno, alla bugia. 19 20 21 L’opera dello Scultore infatti fa parte di una serie: Bugiardi, figure dai nasi allungati collocati su alti tronchi, come in quest’opera, o figure sospese in aria dentro gabbie o provviste di cordoni ombelicali che le legano alla terra. La natura per l’essere umano è fonte generosa di energia, rappresenta la via di salvezza, qualora, trattenuto dai suoi inganni, riuscisse ad entrare in armonia con essa, ma la tensione con la Madre terra è perenne e non rescindibile. L’antropocentrismo infatti non è in questo caso simbolo di accordo con l’universo, quanto più elemento che pone luce sul limite dell’imperfezione umana. Il tronco è direttamente collegabile al ceppo dal quale nacque Pinocchio, ma rimanda inevitabilmente anche alla Grande quercia, albero che nelle interpretazioni del testo è stato persino letto da taluni in chiave cristologica, collegandolo al legno della croce. Questa tesi, vista l’origine laica del testo di Collodi e lo sfondo picaresco della fiaba, è stata da molti rifiutata10, ciò nonostante il rimando al Cristo crocifisso è immediato, non tanto quanto riferimento filologico, quanto simbolo collettivo della cultura cristiana. L’albero della Vera Croce ha viaggiato il mondo e non sembra impossibile che abbia attraversato anche la geografia collodiana. Anche nell’opera di Canalella la presenza di un uomo collocato sopra un tronco con le braccia aperte può condurre alla mente l’immagine di Cristo, al di là della volontà conscia dell’Artista.11 La simbologia dell’albero in questa scultura, come nel testo letterario di Collodi, rimanda quindi all’albero simbolo di vita, morte e rinascita, nonché all’archetipo della Grande Madre. Proseguendo il percorso nel parco dell’Isola incontriamo la Pelagra, detta anche Locanda, una casetta in cui il personale passava il proprio tempo libero e dove i pescatori potevano trascorrere la notte in caso di tempesta. Ai nostri occhi questa casetta si trasforma magicamente nella casina candida. «Allora il burattino, perdutosi d’animo, fu proprio sul punto 22 La Pelagra (o Locanda) 23 di gettarsi a terra e di darsi per vinto, quando nel girare gli occhi all’intorno, vide fra mezzo al verde cupo degli alberi biancheggiare in lontananza una casina candida come la neve.– Se io avessi tanto fiato da arrivare fino a quella casa, forse sarei salvo – disse dentro di sé. E senza indugiare un minuto riprese a correre per il bosco a carriera distesa. E gli assassini sempre dietro. E dopo una corsa disperata di quasi due ore finalmente tutto trafelato arrivò alla porta di quella casina e bussò. Nessuno rispose. Tornò a bussare con maggior violenza, perché sentiva avvicinarsi il rumore de’passi e il respiro grosso e affannoso dei suoi persecutori. Lo stesso silenzio. Avvedutosi che il bussare non giovava a nulla, cominciò per disperazione a dare calci e zuccate nella porta […]». (cap. XV, p. 90-91) Nel racconto, dal capitolo XV, è introdotta una figura fondamentale: la Fata; con lei compare per la prima volta l’elemento magico e cambia il tono della narrazione, come osserva Citati: «Quella realtà limitata, quella pulita e poverissima Toscana agricola, gremita di vecchi bizzosi, di osti senza scrupoli, di carabinieri e lestofanti untuosi e crudeli, viene improvvisamente visitata da un’apparizione. Ecco spuntare tra gli alberi cupi di un bosco la Fata delle favole antiche: l’immortale Signora degli Animali, la Regina delle Metamorfosi, la prudente e scrupolosa Tessitrice dei destini».12 Ella appare per la prima volta come una sorta di fantasma, attraverso cui la morte riecheggia nella fiaba: dalla sua apparizione all’arrivo dei quattro conigli con la bara, sino alla sua tomba. «Allora si affacciò alla finestra una bella Bambina, coi capelli turchini e il viso bianco come un’immagine di cera, gli occhi chiusi e le mani incrociate sul petto, la quale senza muovere punto le labbra, disse con una vocina che pareva venisse dall’altro mondo: – In questa casa non c’è nessuno; sono tutti morti. – Aprimi almeno tu! – gridò Pinocchio piangendo e raccomandandosi. – Sono morta anch’io. – Morta? e allora che cosa fai costì alla finestra?– Aspetto la bara che venga a portarmi via. – Appena detto così, la Bambina disparve e la finestra si richiuse senza far rumore. – O bella bambina dai capelli turchini – gridava Pinocchio – aprimi per carità! Abbi compassione di un povero ragazzo inseguìto dagli assassini… ». (cap. XV, p. 91) 24 paolo schmidlin Questa descrizione ha ispirato lo scultore Paolo Schmidlin, il quale ha realizzato un suggestivo ritratto che ha trovato la giusta collocazione all’interno della Villa. Schmidlin coglie appieno la natura gotica della Fata, quell’immagine di Romanticismo nero che – secondo Italo Calvino – tanto sarebbe piaciuta a Edgar Allan Poe.13 Plasma nella creta, che pare morbida come la cera, una fanciulla dal volto bianco e dai capelli cerulei, con la mano sul cuore e dalla cui arsa bocca socchiusa sembrano uscire parole mortifere. Il realismo con il quale la ritrae è disarmante. Ella è apparentemente impotente di fronte al destino che conduce alla morte, un tema che l’Artista esplora da anni nella sua opera, nei corpi percorsi dal tempo, tracciati dalla caducità della vita, in cui solo l’immagine del mito trova l’eternità. E la Fatina turchina, che giunge alla morte all’inizio del suo cammino, ma portando il peso dell’intera esistenza, non può che essere annoverata tra le icone eterne che tanto si confanno alla poetica di Schmidlin. Del resto la Fata è una figura atemporale che ci appare come un fantasma, capace di metamorfosi e rinascita. «(perché bisogna sapere che la Bambina dai capelli turchini non era altro, in fin dei conti, che una bonissima Fata, che da più di mill’anni abitava nelle vicinanze di quel bosco)». (cap. XVI, p. 95-96) Nella Villa la Fata è collocata davanti ad una specchiera, che ne evidenzia il doppio, la sua natura divisa tra vita e morte, dolore e speranza, bene e male. È posta tra sculture e oggetti di famiglia, entrando così a far parte dei personaggi domestici illustri. Quella della Fata retro 25 PAOLO SCHMIDLIN La Fata, 2014 terracotta policroma h 67 cm 26 27 è invero un’immagine femminile che si sovrappone, tra l’altro, nella metamorfosi del manto azzurro in capelli turchini e nel suo potere salvifico, alla figura della Madonna. Ed anche senza voler perdersi nelle molteplici letture interpretative date alle immagini collodiane, non possiamo negare il ruolo materno, congiuntamente spirituale e provvidenziale che assume nel racconto. La Fata di Schmidlin è pertanto una figura apotropaica e protettiva, un Lares familiares. 28 ettore greco Ritornando alla Pelagra siamo fermi fuori della candida casina, un coro di voci bianche e una musica dal sapore liturgico ci fa avvicinare all’uscio. Qui possiamo scorgere l’installazione I bambini sono cattivi dello scultore Ettore Greco. Egli unisce nella sua visione le suggestioni letterarie della prima apparizione della Fata al ritorno desolato di Pinocchio alla casina bianca. «Ma la Casina bianca non c’era più. C’era, invece, una piccola pietra di marmo sulla quale si leggevano in carattere stampatello queste dolorose parole: QUI GIACE/ LA BAMBINA DAI CAPELLI TURCHINI/ MORTA DI DOLORE/ PER ESSERE STATA ABBANDONATA DAL SUO/ FRATELLINO PINOCCHIO. Come rimanesse il burattino, quand’ebbe compitate alla peggio quelle parole, lo lascio pensare a voi. Cadde bocconi a terra e coprendo di mille baci quel marmo mortuario, détte in un grande scoppio di pianto. Pianse tutta la notte, e la mattina dopo, sul far del giorno, piangeva sempre, sebbene negli occhi non avesse più lacrime: e le sue grida e i suoi lamenti erano così strazianti ed acuti, che tutte le colline all’intorno ne ripetevano l’eco». (cap. XXIII, p. 141) La casetta è una soglia, una via di uscita dall’ordinario, il luogo del non conosciuto. A Pinocchio non è permesso di varcare l’ingresso, il visitatore trova invece la porta semiaperta, è invitato a vivere qui l’esperienza della conoscenza. Intravede nel parziale buio il volto della Fatina conservato in una teca, bella e luminosa come era prima di giungere alla morte, mentre l’intero suo corpo esanime è sdraiato a terra. Grandi mascheroni con volti di bambini dalle bocche aperte le sono attorno, da esse sembra uscire un lamento e, come 29 30 suggerisce il sound design, una richiesta di silenzio per la meditazione. L’Artista rilegge Pinocchio in chiave psicologica, interpretando in primis il legame FataPinocchio come emblematico del rapporto genitorefiglio: l’egoismo, il senso di colpa e la volontà di riscattarsi dall’incapacità di abnegazione percorrono le vicende collodiane. Pinocchio fa morire la Fata sorella/ madre ed è causa delle sofferenze del padre Geppetto, solo alla fine del racconto, per merito del suo buon cuore, sarà perdonato dalla Fatina. La questione è invero intrinseca all’essere umano, nella stanza si respira infatti morte e assenza. Greco coglie il senso di sconforto e paura che percepisce ogni Uomo, spaventato dalla solitudine, una solitudine generata dalla connaturata propensione al male. L’installazione non solo reinterpreta il testo di Collodi, ma prosegue quella tensione propria dell’opera di Ettore Greco, quell’anelito di quiete che pare non giungere mai alle mani dello Scultore, trepidanti e vitali nel generare dalla creta. ETTORE GRECO I bambini sono cattivi, 2013-14 installazione plasticrete, legno, gesso (sound design di Matteo Buzzanca) 31 32 33 Non lontano dalla casetta prosegue il nostro racconto Nel ventre di Pinocchio. Dalla carta, materiale fragile, leggero e duttile, Francesca Casolani dà vita a immagini, forme e parole dal linguaggio lirico ed espressivo. Il suo mondo si popola di sculture in cartapesta, quadri illustrati, video, animazioni che prendono anelito sotto i nostri occhi. Appeso ad un grande tronco d’ulivo, a penzoloni, vicino alla casetta della Fata è il nostro Pinocchio, una marionetta in cartapesta. Pinocchio, a cui la Fatina non ha aperto la porta, vive l’esperienza della solitudine, dell’abbandono e dell’incontro con i suoi assassini. Il Pinocchio di Casolani è solo, inerme ed abbandonato al proprio destino. Come si è detto, l’episodio è iniziatico, escatologico: è il confronto con i limiti della vita e l’incontro con la morte. La Fata non apre l’uscio, ma attende la sua impiccagione per un’intera notte prima di giungere in soccorso, inviandogli il Falco che spezzerà la corda che lo tiene appeso all’albero. francesca «A poco a poco gli occhi gli si appannarono; e sebbene sentisse avvicinarsi la morte, pure sperava sempre che da un momento a un altro sarebbe capitata qualche anima pietosa a dargli aiuto. Ma quando, aspetta aspetta, vide che non compariva nessuno, proprio nessuno, allora gli tornò in mente il suo povero babbo… e balbettò quasi moribondo: – Oh babbo mio! se tu fossi qui!… E non ebbe fiato per dir altro. Chiuse gli occhi, aprì la bocca, stirò le gambe, e dato un grande scrollone, rimase lì come intirizzito». (cap. XV, p. 93-94) L’immagine dell’Appeso appartiene anch’essa all’imagerie romantica, come la figura della Fata o l’inquietante Omino di burro che guida nella notte il carro silenzioso, nonché i conigli neri che trasportano la bara, un’apparizione che Calvino definisce «dalla forza visiva tale da non poter essere più dimenticata» e che Casolani non può che ospitare nel suo repertorio visivo.14 Nelle cellette rustiche a lago15, inglobando – come ha già fatto Ettore Greco – l’architettura preesistente nella rilettura e riscrittura della favola, continuano le Avventure dei nostri Artisti. 34 FRANCESCA CASOLANI L’appeso, 2014 dal ciclo Nel Ventre di Pinocchio cartapesta, acrilici, resina 53x30x24 cm casolani 35 Antiche celle dei frati 36 «[…] Punto paura!… Piuttosto morire, che bevere quella medicina cattiva. – A questo punto, la porta della camera si spalancò ed entrarono dentro quattro conigli neri come l’inchiostro, che portavano sulle spalle una piccola bara da morto. – Che cosa volete da me? – gridò Pinocchio, rizzandosi tutto impaurito a sedere sul letto. – Siamo venuti a prenderti, rispose il coniglio più grosso. – A prendermi?… Ma io non sono ancora morto… – Ancora no: ma ti restano pochi minuti di vita avendo tu ricusato di bevere la medicina, che ti avrebbe guarito dalla febbre!… – O Fata mia, o Fata mia, – cominciò allora a strillare il burattino, datemi subito quel bicchiere… Spicciatevi, per carità, perché non voglio morire, no… non voglio morire… – E preso il bicchiere con tutt’e due le mani, lo votò in un fiato. – Pazienza! – dissero i conigli. – Per questa volta abbiamo fatto il viaggio a ufo. – E tiratisi di nuovo la piccola bara sulle spalle, uscirono di camera bofonchiando e mormorando fra i denti». (cap. XVII, p. 104-107) Casolani illustra gli avvenimenti del racconto, non tanto in sequenza cronologica, quanto in flash visivi che rimandano alla storia. Nella cameretta troviamo i conigli pronti a portare via Pinocchio, il quale fugge per la paura; ci è mostrata solo la sua silhouette, una sorta di ombra, scia della vita già indirizzata alla morte, nonché immagine del doppio, quel doppio che tanto è presente nella favola. Il linguaggio di Casolani cela simboli e messaggi velandoli con la lievità che contraddistingue il suo immaginoso fraseggiare. Incontriamo quindi nuovamente un Pinocchio diviso tra le tensioni delle due nature, tra ciò che sente di voler fare e ciò che dovrebbe essere. Uno iato che divide l’esistenza tra bene e male. Il riferimento alla simbologia religiosa ritorna nei conigli, mutati nelle sue sculture di color bianco e ridotti a tre, numero della Trinità, in quanto l’Artista le ritiene figure sacre e spirituali. La via della trasformazione conduce Casolani ad accogliere invero la rilettura alchemica. Il video di animazione – realizzato a quattro mani con Celeste Taliani – ci conduce infatti con sguardo incantato nell’avventura della rinascita dell’essere umano.16 FRANCESCA CASOLANI - CELESTE TALIANI Nel Ventre di Pinocchio, 2012 fotogrammi estratti dal video 37 FRANCESCa casolani L’arrivo dei conigli, 2012 dal ciclo Nel Ventre di Pinocchio tecnica mista su carta e tavola 50x30 cm L’arrivo dei conigli, 2012-2014 dal ciclo Nel Ventre di Pinocchio installazione cartapesta, inchiostro, acrilico, foglia oro, ferro 38 39 La vicina celletta allestita con una cucina rustica si trasforma nella casa di Geppetto ed accoglie i Pinocchi di Mirko Baricchi, non si tratta di un solo burattino, ma tanti, come già scrisse Collodi. «Ho conosciuto una famiglia intera di Pinocchi: Pinocchio il padre, Pinocchia la madre e Pinocchi i ragazzi, e tutti se la passavano bene. Il più ricco di loro chiedeva l’elemosina». (cap. III, p. 18) Da anni l’Artista ha, tra le sue frequentazioni, queste figure come compagni di viaggio, compagni affidabili o di malaffare. Chiedere a Baricchi un’installazione dedicata a Pinocchio è stato fargli aprire la sua grande valigia ed estrapolarne il protagonista della scena. I suoi Pinocchi sono esili sculture di ferro, figure smarrite che si addentrano tra le leggere carte, trasformandosi in evanescenze, peregrini pirandelliani in luoghi di nebbia e polvere. Anche Baricchi coglie il senso delle Avventure come ricerca di iniziazione, di cambiamento; il cambio di stato di materia è necessario all’alchimista per raggiungere l’anelato esito finale. I suoi burattini sono memori anche dell’immagine dell’Uomo di latta di Lyman Frank Baum del Meraviglioso Mago di Oz, che ha compiuto una trasformazione inversa a quella di Pinocchio, ma nella quale non è trascurabile l’affinità: da uomo viene mutato dalla Strega dell’Est in “robot” senza cuore e, solo dopo varie peripezie, riottiene un piccolo cuore foderato di seta. Anche per Pinocchio il cuore è al centro della sua salvezza. «Bravo Pinocchio! In grazia del tuo buon cuore, io ti perdono 40 tutte le monellerie che hai fatto fino a oggi. I ragazzi che assistono amorosamente i propri genitori nelle loro miserie e nelle loro infermità, meritano sempre gran lode e grande affetto, anche se non possono esser citati come modelli d’ubbidienza e di buona condotta. Metti giudizio per l’avvenire, e sarai felice». (cap. XXXVI, p. 272) L’imbuto che i Pinocchi di Baricchi si portano appresso ha invero anche un’origine nostrana e sentimentale attinta dai ricordi dell’infanzia dell’Artista: il nonno paterno vicino al camino costruiva imbuti che poi avrebbe usato per imbottigliare l’olio. Il nonno è un novus Geppetto, il camino è l’elemento di liaison e Baricchi non può che essere un Pinocchio. «La casa di Geppetto era una stanzina terrena, che pigliava luce da un sottoscala. La mobilia non poteva essere più semplice: una seggiola cattiva, un letto poco buono e un tavolino tutto rovinato. Nella parete di fondo si vedeva un caminetto col fuoco acceso; ma il fuoco era dipinto, e accanto al fuoco c’era dipinta una pentola che bolliva allegramente e mandava fuori una nuvola di fumo, che pareva fumo davvero». (cap. III, p. 17) Da qui nel percorso artistico di Baricchi gli imbuti, che ha dapprima modellato, poi esplorato nella forma materica ed infine attaccato al burattino a cui è da sempre legato. Il visitatore, prima di uscire dalla cucina in cui l’installazione dell’Artista è collocata, attraverso il potere della sua immaginazione può vedere un vecchio imbuto attaccato al muro trasformarsi in un bugiardo Pinocchio che ci accompagna sino alla fine del nostro percorso. mirko baricchi 41 42 MIRkO BARICCHI Senza titolo, 2013-14 installazione courtesy Galleria Bonioni - Reggio Emilia Cardelli&Fontana - Sarzana (Sp) Sculture in ferro dimensioni varie (65,5-79 cm) 43 Acrilico su carta 46,5x36,5 cm 44 patrizia Nella vicina stalla, dove venivano un tempo ricoverati per la notte asini e cavalli, Patrizia Fratus colloca il suo ciuchino, intitolato I(h)o! Una sorta di autoritratto in cui, per quell’anelito verso la coerenza che spesso è affannoso e sovente incontra sconfitte, l’Artista si identifica in Pinocchio-asino. Il candido asino umanizzato ci guarda desolato e impotente. Gli animali dell’Artista, nel nostro iter anche il Gatto e la Volpe – che incontriamo all’interno della Villa – e il Grillo nei giardini, parlano della vicenda umana con le sue virtù e le sue debolezze, sono figure allegoriche di una storia che giunge da lontano. L’asino ci riporta alla simbologia esoterica, che trova una tangenza tra l’altro con la tecnica con la quale la Scultrice realizza le sue opere – un sapiente uso della cartapesta –, una sorta di metafora della materia grezza che deve subire un graduale processo di trasformazione, affinché si possa levigare e portare a livello di conoscenza e coscienza superiore. La veste asinina può essere intesa come una sorta di rivestimento per qualcosa che attende di essere portato in superficie, come la sapienza celata o il fuoco fratus interiore: la pietra filosofale. Nella favola Pelle d’asino, che Collodi – come si è già scritto – aveva tradotto, la principessa è nascosta sotto le spoglie di un asino. Le Metamorfosi di Apuleio inoltre nel Medioevo furono chiamate L’asino d’oro; in esse è raccontato il viaggio avventuroso del protagonista, trasformato in asino, che deve superare svariate prove per riconquistare se stesso e trasmutarsi, con l’aiuto della sapienza, in essere felice. La metamorfosi sia per Lucio dell’Asino d’oro che per Pinocchio avviene inoltre sotto lo sguardo della Fatina. Per il primo è Iside, mentre per il nostro è la Fata turchina che appare fugacemente durante l’esibizione di Pinocchio-ciuchino al circo e successivamente in mare, dove lo libera dalla sua scorza. L’asino per Fratus è inoltre un diverso, colui che guarda l’umanità da una posizione disgiunta. L’asinello è quindi perfettamente collocabile nel ricco zoo dell’Artista, la quale negli anni ha realizzato sculture di animali e insetti di ogni sorta. Il Grillo parlante rappresenta nella fiaba la coscienza, in ambito psicoanalitico il Super-Io. Certo il solo fatto di aver detto a Pinocchio la verità gli è costata una mortale PATRIZIA FRATUS Il Gatto e la Volpe, 2011 cartapesta h 34-36x22,5x14 cm 45 martellata e, se non fosse che Collodi ama i fantasmi e le metamorfosi, la morale sarebbe bella e sepolta. «[…] Guai a quei ragazzi che si ribellano ai loro genitori e che abbandonano capricciosamente la casa paterna! Non avranno mai bene in questo mondo; e prima o poi dovranno pentirsene amaramente… […] – Povero grullerello! Ma non sai che, facendo così, diventerai da grande un bellissimo somaro, e che tutti si piglieranno gioco di te? – Chétati, Grillaccio del mal’augurio! – gridò Pinocchio. Ma il Grillo, che era paziente e filosofo, invece di aversi a male di questa impertinenza, continuò con lo stesso tono di voce: – E se non ti garba di andare a scuola, perché non impari almeno un mestiere, tanto da guadagnarti onestamente un pezzo di pane” – Vuoi che te lo dica” – replicò Pinocchio, che cominciava a perdere la pazienza. – Fra tutti i mestieri del mondo non ce n’è che uno solo, che veramente mi vada a genio. – E questo mestiere sarebbe… ? – Quello di mangiare, bere, dormire, divertirmi e fare dalla mattina alla sera la vita del vagabondo.– Per tua regola – disse il Grillo-parlante con la sua solita calma – tutti quelli che fanno codesto mestiere finiscono quasi sempre allo spedale o in prigione. – Bada, Grillaccio del mal’augurio!… se mi monta la bizza, guai a te!… – Povero Pinocchio! mi fai proprio compassione!… – Perché ti faccio compassione? – Perché sei un burattino e, quel che è peggio, perché hai la testa di legno. – A queste ultime parole, Pinocchio saltò su tutt’infuriato e preso di sul banco un martello di legno lo scagliò contro il Grillo-parlante. Forse non credeva nemmeno di colpirlo; ma disgraziatamente lo colse per l’appunto nel capo, tanto che il povero Grillo ebbe appena il fiato di fare crì-crì-crì, e poi rimase lì stecchito e appiccicato alla parete». (cap. IV, p. 27-29) PATRIZIA FRATUS I(h)o!, 2014 cartapesta h 141 cm 46 47 48 Il Grillo ricompare sotto forma di fantasma (cap. XIII) e tenta nuovamente di far ragionare, invano, Pinocchio che sta per seminare i suoi zecchini d’oro, beffato dal Gatto e dalla Volpe. Lo ritroviamo successivamente nella veste di uno dei quattro dottori che visitano Pinocchio moribondo: è l’unico che capisce l’inganno e gli ricorda i suoi cattivi comportamenti facendolo piangere (cap. XVI). L’ultima sua apparizione avviene all’uscita dalla pancia del Pesce-cane, quando ospita Pinocchio e Geppetto in una casetta dono della Fata e di fronte al pentimento del burattino gli offre tutto il suo aiuto (cap. XXXVI). Il Grillo Coscienza di Patrizia Fratus cammina a testa in giù, perché secondo l’Artista oggi più che mai la coscienza è variabile, ribaltabile e in balia del vento, elemento naturale a cui tra l’altro è esposta la scultura insetto, collocata nei giardini dell’Isola. Anch’esso, come gli altri suoi animali della favola, è bianco, perché non rappresenta una figura meramente narrativa, ma nella sua essenzialità vuole esprimere un concetto: è metafora di una morale collettiva. Fratus è infatti attiva da anni in progetti di arte relazionale, credendo profondamente che l’arte debba avere un ruolo sociale. PATRIZIA FRATUS Coscienza, 2014 cartapesta resinata h 185 cm 49 fausto salvi Nei Giardini esotici del giglio spicca agli occhi la grande architettura circense di Fausto Salvi. Con la sua opera ci addentriamo nel mondo scenico, al quale Collodi riserva più di un capitolo del racconto. La favola di Pinocchio è infatti un luogo di recitazione e messa in scena: dal teatro al Paese dei balocchi sino all’ingresso di Pinocchio-ciuchino nel circo. Pinocchio è erede del teatro popolare, dal teatro delle marionette alla commedia dell’arte, ed è l’archetipo del burattino. Nell’opera di Salvi si fondono infatti i luoghi della recitazione: il circo e il teatro. Nel circo della Compagnia dei pagliacci e dei saltatori di corda Pinocchio-ciuchino si esibisce davanti al pubblico dopo «tre mesi di lezioni, e molte frustate da levare il pelo». È uno dei momenti più dolorosi per Pinocchio, il quale, dopo aver provato la breve speranza per aver visto tra il pubblico la Fatina, scoppia in lacrime disperato per la sparizione di lei e sente la piena solitudine. «[…] Si sentì come morire: gli occhi gli si empirono di lacrime e cominciò a piangere dirottamente […]». (cap. XXXIII, p. 237) In questa architettura circense il visitatore stesso può entrare nella scena, ponendosi nel bel mezzo della costruzione ha la percezione di sé come se fosse al centro del palcoscenico. Davanti allo sguardo duro delle maschere del pubblico percepisce la desolata solitudine di Pinocchio deriso. Dodici maschere identiche, memori della poetica della maschera che ha radici lontane, lo guardano con occhi metallici, algidi e specchianti, la sua condizione non è molto dissimile del resto da quella degli altri esseri umani. Le maschere ci riportano anche 50 nell’ambito della commedia dell’arte; quelle di Salvi infatti sono una sorta di fusione tra il volto di Pulcinella e il naso di Pinocchio. Nelle Avventure, quando Pinocchio fa il suo ingresso nel teatro di Mangiafuoco, incontra i suoi fratelli Arlecchino e Pulcinella e Lorenzini, con ironia, mette in luce l’assenza di ragionevolezza degli esseri umani e palesa il fatto che i nostri burattini non sono altro che personificazioni. «[…] Sulla scena si vedevano Arlecchino e Pulcinella, che bisticciavano fra di loro e, secondo il solito, minacciavano da un momento all’altro di scambiarsi un carico di schiaffi e di bastonate. La platea, tutta attenta, si mandava a male dalle grandi risate, nel sentire il battibecco di quei due burattini, che gestivano e si trattavano d’ogni vitupero con tanta verità, come se fossero proprio due animali ragionevoli e due persone di questo mondo. Quando all’improvviso, che è che non è, Arlecchino smette di recitare, e voltandosi verso il pubblico e accennando colla mano qualcuno in fondo alla platea, comincia a urlare in tono drammatico: – Numi del firmamento! sogno o son desto? Eppure quello laggiù è Pinocchio!…– È Pinocchio davvero! – grida Pulcinella. […] – È Pinocchio! è Pinocchio! – urlano in coro tutti i burattini, uscendo a salti fuori dalle quinte. – È Pinocchio! È il nostro fratello Pinocchio! Evviva Pinocchio!… – Pinocchio, vieni quassù da me! – grida Arlecchino – vieni a gettarti fra le braccia dei tuoi fratelli di legno!». (cap. X, p. 57-58) L’opera di Salvi, come quella di Collodi, è una riflessione sul teatro della vita, sugli inganni della società e sulle menzogne che noi stessi ci raccontiamo; la fiaba di Pinocchio è una vera e propria metafora dell’esistenza, in cui tutti siamo Pinocchi, ciuchini e spettatori. FAUSTO SALVi Circus, 2014 h 500 x ∅ 350 cm struttura in metallo verniciato, maschere in ceramica, smalti colorati, oro e platino 51 52 53 54 55 Veduta della Villa dal Giardino all’italiana 56 Proseguendo nei giardini raggiungiamo la maestosa dimora, a piano terreno troviamo l’ingresso che conduce alla cantina, costruita nell’Ottocento dai fratelli Lechi. Ancora una volta è il suono, questa volta una musica di organetto, che ci indica il cammino da percorrere per raggiungere il Paese dei balocchi di Stefano Mazzanti. stefano mazzanti «[…] Questo paese non somigliava a nessun altro paese del mondo. La sua popolazione era tutta composta di ragazzi […]. Nelle strade, un’allegria, un chiasso, uno strillìo da levar di cervello! Branchi di monelli dappertutto: chi giocava alle noci, chi alle piastrelle, chi alla palla, chi andava in velocipede, chi sopra un cavallino di legno: questi facevano a moscacieca, quegli altri si rincorrevano: altri, vestiti da pagliacci, mangiavano la stoppa accesa: chi recitava, chi cantava, chi faceva i salti mortali, chi si divertiva a camminare colle mani in terra e colle gambe in aria: chi mandava il cerchio, chi passeggiava vestito da generale coll’elmo di foglio e lo squadrone di cartapesta: chi rideva, chi urlava, chi chiamava, chi batteva le mani, chi fischiava, chi rifaceva il verso alla gallina quando ha fatto l’ovo: insomma un tal pandemonio, un tal passeraio, un tal baccano indiavolato, da doversi mettere il cotone negli orecchi per non rimanere assorditi. Su tutte le piazze si vedevano teatrini di tela, affollati di ragazzi dalla mattina alla sera […]». (cap. XXXI, p. 215) Al nostro arrivo la porta di ingresso della cantina è però serrata. Ci si chiede se siamo giunti in ritardo, ma quasi subito ci si accorge che il suono dell’organetto è l’unico rumore rimasto. Non sentiamo più il chiasso, gli strilli, il rumore dei giochi, il suono del canto, della recitazione… c’è solo la giostra. Nel parziale buio, tra le sbarre dell’ingresso, riusciamo a vedere le ombre policrome della giostra. Una giostra fatta di ciuchini! Nessun bambino è sulla groppa degli equini, perché tutti si sono trasmutati in asini, trasformandosi loro stessi nella giostra che continua a girare. La scelta di Mazzanti, artista che vive nel teatro, di una cantina buia per la sua installazione ci riporta alla parole di Carmelo Bene, un faro nella rilettura proposta dal nostro lighting designer. «[…] Pinocchio via via è più funereo, ecco. E mentre il bambino ha il gusto dello spavento, della cantina buia dell’infanzia, dove da bambini ci si rinchiudeva La loggia che dà accesso alla cantina 57 STEFANO MAZZANTI Il Paese dei balocchi, 2014 installazione mobile, luminosa e sonora legno, carta, motorino elettrico, luci 58 59 60 magari, proprio per auto-terrorizzarsi, e quindi soprattutto man mano che la gente aspetterebbe che il bambino si diverta, o si divertisse, o debba divertirsi con il gatto e la volpe, con le cose più… o il gambero rosso… no, o con il grillo parlante, no, o con i medici per esempio, il corvo, la civetta. Invece no, si diverte man mano che lo spettacolo scivola nell’irreparabile, ecco. Questo Pinocchio io l’ho sempre definito un’inumazione prematura di una salma infantile che scalcia nella propria bara. I bambini sanno spaventarsi e riescono davvero a terrorizzarsi. L’adulto no […]. Negli adulti sensibili dovrebbero riaffiorare il danno e la catastrofe del cresciuto».17 Mazzanti mette quindi in scena lo spirito originario della favola, invitando il pubblico a lasciarsi trasportare nella cantina buia, luogo della paura, ma anche dell’immaginazione. Essa infatti è umida, polverosa e scura, ma illuminata da una luce teatrale, che confonde il vero dal falso, ed è animata da leggere sagome asinine che mutano in continuazione il colore della loro ombra. Per entrare in questo luogo è necessario abbandonare le sovrastrutture dell’età adulta, Pinocchio rappresenta infatti, secondo Bene, il rifiuto alla crescita: «L’essermi come Pinocchio rifiutato alla crescita è se si vuole la chiave del mio smarrimento gettata in mare una volta per tutte. L’essermi alla fine liberato anche di me. Il rifiuto alla crescita è conditio sine qua non alla educazione del proprio “femminile”. È rifiuto alla Storia, e alla conflittualità dell’historiette del quotidiano […]».18 Non solo il Paese dei balocchi, in antitesi con il Paese delle Api Industriose, può essere il luogo in cui i bambini toccano il fondo dell’infelicità, essendo trasformati in somari destinati alla schiavitù, ma può rappresentare anche l’atrofia dell’età adulta, qui gli adulti non entrano perché di questo luogo non conoscono più né porta d’ingresso, né porta di uscita. Pinocchio troverà, grazie alla Fatina, la via di fuga, mentre Lucignolo – come osserva Mazzanti – rifiuta la crescita, a scapito del suo avvenire, come gli artisti maledetti che rifiutano le finzioni, gli oppressori e il meccanismo economico sociale. A questo punto viene però da chiedersi se il Paese dei balocchi sia dentro o fuori dalla cantina. 61 Il loggiato del piano nobile della Villa 62 63 livio 64 scarpella All’interno della villa, nella Stanza della Musica, sono collocate tre teste di Lucignolo modellate sapientemente da Livio Scarpella; esse hanno espressioni caricate e sono un esplicito omaggio allo sculture settecentesco Franz Xaver Messerschmidt. Scarpella, che ama dialogare con i grandi artisti del passato, non sceglie il suo riferimento a caso, ma coglie tra le pagine del genio irrazionale e dell’anima tormentata. Lo scultore tedesco credeva negli spiriti ed era convinto di essere perseguitato da forti dolori fisici inferti dallo Spirito delle proporzioni, in quanto questo sarebbe stato geloso di lui per la perfetta conoscenza delle proporzioni che stava per raggiungere. L’opera del Maestro nasce quindi da una terapia apotropaica; egli si pizzicava parti del corpo procurandosi dolore e produceva delle esagerate contrazioni espressive che osservava allo specchio per poi rappresentarle. Da un lato quindi Scarpella ci riferisce della ricerca perenne e maniacale che presiede anche al suo lavoro plastico, egli modella infatti con una tale velocità e una conoscenza formale, filtrata dallo sguardo mnemonico, che lascia di stucco, dall’altro unisce nei suoi Lucignoli la forma alla poetica di Collodi. Le orecchie asinine collodiane sono infatti precedute da millenni dalle celeberrime orecchie d’asino che Apollo fece spuntare al re Mida, per aver preferito alla lira del Dio il flauto di Pan, ossia le seduzioni dei sensi all’armonia dello spirito e della ragione. Che si tratti di Mida o di Lucignolo, siamo di fronte al perdimento nell’irrazionalità e nelle seduzioni dei sensi. I Lucignoli sono esseri perduti, senza via di ritorno. La metamorfosi asinina di Pinocchio e Lucignolo avviene cinque mesi dopo l’ingresso nei Paesi dei balocchi, mentre Pinocchio ha trovato in essa una vicenda di iniziazione, Lucignolo ha scelto di non percorrerla. Scarpella, partendo dalle tre teste in terracotta qui esposte, ha realizzato anche tre fusioni in bronzo dorato, rendendo esplicito il riferimento a Mida, il quale chiese a Dioniso di poter trasformare tutto ciò che toccava in oro, finché non si rese conto che la sua cupidigia lo avrebbe portato a morir di fame e implorò il Dio di togliergli tale potere. Ancora una volta la rilettura della favola ci riporta a riflettere sulla società e sulle false chimere. LIVIO SCARPELLA Lucignoli, 2014 terracotta e ferro h 36-40 cm (base h 130 cm) 65 66 67 68 francesco de molfetta Le Avventure di Pinocchio sono anche ironia, Lorenzini è infatti capace di rapire il sorriso del pubblico, strizzandogli l’occhio. Collodi sa essere arguto, come scrive Anna Rosa Vagnoni, ha un’ironia allegra e giocosa che non solo è toscana, ma si alimenta anche di una serie di conflitti sociali, il tono ironico si estende infatti a tutta la narrazione, tanto che il grottesco e il nonsense ricorrono continuamente: «ironia e “umor nero” fanno di Pinocchio un personaggio duplice: da una parte irruenta libertà fantastica, dall’altra creatura notturna tormentata da angosce e disperazioni tipicamente infantili».19 Anche nel nostro percorso non mancano il tono irridente, la leggerezza e le “pinocchiate”. Nella casa, nella Stanzetta Orientale, tra gli oggetti, i giochi e i lettini di famiglia, troviamo la scultura di Francesco De Molfetta (Demo). Un piccolo burattino, uscito dal cartone animato di Walt Disney, dal viso ingenuo e sereno, dorme – affianco al Grillo – in un lettino di ferro dalle lenzuola rosa. Un spaccato di naiveté, finché il nostro occhio non scivola sul corpicino del candido Pinocchio e nota una cosa inattesa: il lenzuolino è alzato, sollevato dall’erezione del burattino. De Molfetta, del resto, afferma di aver sempre voluto fare il giocattolaio, ovvero vendere i suoi giocattoli, i suoi divertissement. Egli attinge al repertorio delle immagini popolari, a quelle legate alla sua infanzia e alle icone della nostra società, offrendo loro un altro sense, sorprendendo, talvolta destabilizzando, lo spettatore. 69 70 Nel suo repertorio non poteva infatti mancare Pinocchio, più volte riletto dall’Artista, talvolta anche in immagini disorientanti, che hanno mescolato suggestioni, contesti, passando dal sorriso che sorge sul nostro volto con Penocchio o con i finti pacchetti di caramelle alla menta Golia e Mentos, con Pinocchio sedutovi sopra, dal titolo Mentire, all’amaro sarcasmo di Hitler Reich, un Pinocchio con le fattezze del viso del Führer. Tornando al nostro Penocchio, l’Artista si lega invero alla diffusa interpretazione della crescita del naso con quella del pene e traslittera l’immagine collodiana in quella popolarissima di Disney. Penocchio è pertanto un’immagine new pop di cui Demo non poteva che cibarsi. Il giocattolo dello Scultore non è però nella sua fattura di certo prodotto da catena di giochi per l’infanzia, tanto che l’opera è un pezzo unico in ceramica modellata a mano, cotta e invetriata. L’immagine popolare pertanto è scissa dalla ricercatezza e dai costi della realizzazione dell’oggetto; l’opera è infatti un giocattolo conservato in teca, un toy prezioso di desiderio. FRANCESCO DE MOLFETTA Penocchio, 2012 ceramica policroma, tessuto, ferro verniciato, pvc in teca di plexiglass 30x58x56 cm (teca 50x65x65 cm) courtesy Galleria Nicola Pedana - Caserta e Collezione Ronza 71 72 73 stefano bombardieri Tornando alle Avventure del nostro Pinocchio, uscito dal Paese dei balocchi come ciuchino, esibitosi nel circo, azzoppatosi e venduto, viene gettato in mare con un sasso al collo per farne della sua pelle un tamburo. Ancora una volta è la Fata a salvarlo, inviando dei pesci a mangiar la “buccia asinina”; ritornato burattino può proseguire a nuotare. Il mare rappresenta il continuo cambiamento, il rinnovamento e la trasformazione. Qui, come tutti ben sappiamo, entra nell’immensa bocca spalancata del Pesce-cane. Nel grande parco dell’Isola, tra piante secolari, compare arenata la grande balena di Stefano Bombardieri. Non ci stupisce che il mostro marino sia stato trasformato in cetaceo, perché questa metamorfosi ha una storia lunga. Già Collodi dà una descrizione fantasiosa del mostruoso pesce, che per le grandi dimensioni ci ricorda più una balena che uno squalo. Del resto in Giannettino descrive il mammifero così: «La balena ha una bocca così spropositata, che può entrarvi comodamente una barca carica d’uomini: ma la sua gola è molto stretta, onde non può ingoiare che piccoli animaletti marini».20 Forse già Collodi, pur pensando al ventre della balena, preferisce mettersi al riparo da obiezioni scientifiche, oppure, come sostiene Tempesti, preferisce usare il nome di pescecane per non svelare troppo il modello di Pinocchio: lo Stenterello inseguito da ladri, ombre e balene.21 Certo è che nella cospicua iconografia collodiana la balena ha spesso sostituito l’immagine del pescecane. 74 Per la nostra favola Bombardieri ha trasformato la sua celebre grande balena in una sorta di attrazione da Paese dei balocchi, unendo due tra le sue più care tematiche: i grandi animali, che lo hanno reso noto a livello internazionale, e il gioco, non senza l’ironica riflessione della possibilità di un rovesciamento di percezione. La balena ospita infatti nella sua bocca una gettoniera, lo spettatore può scegliere di introdurre una moneta o ascoltare il consiglio del Merlo bianco e rinunciare alla scelta. Come Pinocchio, può scegliere di vivere l’esperienza o ascoltare il consiglio di una delle figure sagge del racconto ed evitare ogni sorpresa. Sulle fauci della balena sono infatti riportati, adattandoli, versi di Collodi: «Pinocchio ritrova in corpo al Pesce-cane… chi ritrova?» «Metti una moneta e lo saprai»22/«Non dar retta ai consigli dei cattivi compagni: se no, te ne pentirai!».23 Il visitatore della mostra giunto nel Parco dell’Isola dei balocchi potrà quindi effettuare la sua scelta. Pinocchio, grazie al barlume di una candela posta nella pancia del Pesce-cane, riesce a vedere ed addentrandosi trova una tavola apparecchiata e seduto il padre Geppetto. «E più andava avanti, e più il chiarore si faceva rilucente e distinto: finché, cammina cammina, alla fine arrivò: e quando fu arrivato… che cosa trovò? Ve lo do a indovinare in mille: trovò una piccola tavola apparecchiata, con sopra una candela accesa infilata in una bottiglia di cristallo verde, e seduto a tavola un vecchiettino tutto bianco, come se fosse di neve o di panna montata, il quale se ne stava lì biascicando alcuni pesciolini vivi, ma tanto vivi, che alle volte, mentre li mangiava, STEFANO BOMBARDIERI Torno subito, 2013-2014 ferro, legno, gettoniera, luce 1,9x13x5 m 75 76 77 78 79 STEFANO BOMBARDIERI dettaglio dell’interno della Balena 80 gli scappavano perfino di bocca. A quella vista il povero Pinocchio ebbe un’allegrezza così grande e così inaspettata, che ci mancò un ètte non cadesse in delirio. Voleva ridere, voleva piangere, voleva dire un monte di cose; e invece mugolava confusamente e balbettava delle parole tronche e sconclusionate. Finalmente gli riuscì di cacciar fuori un grido di gioia e spalancando le braccia e gettandosi al collo del vecchietto cominciò a urlare: – Oh! babbino mio! finalmente vi ho ritrovato! Ora poi non vi lascio più, mai più, mai più!». (cap. XXXV, p. 251-252) Cosa mai troverà lo spettatore nel ventre della balena di Bombardieri? Colui che ascolta il consiglio del Merlo non inserisce la moneta e lascia che la sua immaginazione lo conduca dove egli preferisce: tra le braccia del padre o in ogni altrove. Colui che non ascolta il saggio consiglio inserisce invece la moneta e davanti a sé si illumina il grande ventre: gli appare un allestimento scenico che rimanda al ritrovamento di Geppetto, casse di legno comprese, ma vicino al lumicino vi è una scritta “Torno subito”. Bombardieri non ha voluto tarpare le ali alla fantasia e nella pancia del grande mostro ha aperto un nuovo capitolo, una nuova storia da scrivere. La conclusione de Le Avventure di Pinocchio, che come noto è la metamorfosi del burattino in bambino, non è tragica e drammatica come quella di molte altre fiabe nella loro versione originale, poi edulcorata nelle successive: Cenerentola, Biancaneve, Cappuccetto Rosso, La Bella Addormentata, La Sirenetta, La Bella e la Bestia, Riccioli d’oro, Hansel e Gretel,… ma appare sin da subito poco esaustiva, tanto che il lettore preferisce inventarsi altre storie, altre “pinocchiate”, affinché Pinocchio non diventi un ragazzo troppo perbene e possa proseguire le sue avventure/disavventure. Infatti «[…] l’originalità di Pinocchio sta nella qualità germinativa, nell’esemplarità che non si esaurisce e che gli permette di conservare un’identità stabile pur attraverso le infinite forme di traduzione e riuso […]».24 Il finale della fiaba sull’Isola è pertanto aperto, chiunque può rileggere Pinocchio, portarlo con sé dall’infanzia all’età adulta e aggiungere altre pagine al racconto. È una fine dai molteplici inizi. maggio 2014 81 Note Gli illustratori sono stati numerosissimi, tra cui anche noti artisti. Il primo è stato Enrico Mazzanti, nell’edizione del 1883; egli collaborò con Collodi fin dal 1876 con I racconti delle fate. Il successo delle sue illustrazioni per Pinocchio gli valse la notorietà internazionale. 1 2 Le bretelle e il cappello tirolese sono stati sostituiti alla poetica descrizione dell’abbigliamento di fortuna di Collodi: «un vestituccio di carta fiorita, un paio di scarpe di scorza d’albero e un berrettino di midolla di pane». B. Gasparini, Le relazioni pericolose, in La fabbrica di Pinocchio. Le avventure di un burattino nell’industria culturale, a cura di G. Bettetini, Nuova Eri, Edizioni RAI, “VQPT”, Torino 1994. L. Curreri, Play it again. Pinocchio, in Carlo Collodi, Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, Einaudi, 2002. 3 La prima “pinocchiata” risale già al 1893: Oreste Boni, Il figlio di Pinocchio, Battei, Parma. Nel corso del ‘900 il nostro burattino va in automobile: Pinocchio in automobile (1905), vola grazie ai fratelli Wright: Aeroplano di Pinocchio (1909) e sale su un dirigibile: Pinocchio in dirigibile; qualche anno dopo va in guerra: Pinocchio a Tripoli (1911), Pinocchietto alla guerra europea (1915), Pinocchietto contro l’Austria (1915) – da colonialista diviene ardito – sino alle Avventure e alle spedizioni punitive di Pinocchio fascista (1928), con fez, camicia nera, manganello e olio di ricino. Nel 1944 è utilizzato nella propaganda della Repubblica Sociale Italiana ne Il viaggio di Pinocchio. Pinocchio viaggiatore inoltre compie spedizioni di stampo salgariano: a Ceylon, in India, in Malesia, in Siberia e vive 4 82 avventure rocambolesche per mare e per terra, sino a giungere sulla luna. Nel 1957 Dan Voivod lo trasforma in un burattino di metallo, atomico. Nel 1981 muore: La morte di Pinocchio, ma le “pinocchiate” proseguono per tutto il secolo. Un’appendice bibliografica esaustiva delle pinocchiate è contenuta in R. Biaggioni, Pinocchio: cent’anni d’avventure illustrate. Bibliografia delle edizioni illustrate di C. Collodi “Le avventure di Pinocchio”: 1881/83-1983, Giunti Marzocco, Firenze 1984. 5 S. Bartezzaghi, Il paese senza balocchi, in C. Collodi, Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, Einaudi, 2002. 6 Nelle citazioni si fa riferimento all’edizione allegata a questo catalogo: C. Collodi, Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, Salani Editore, Firenze 1924 (anastatica). in C. Collodi, Le avventure di Pinocchio, Rizzoli, Milano 1976, p. III. I. Calvino, Saggi 1945-1985, a cura di M. Barenghi, tomo I, p. 801-807. 13 14 I. Calvino, cit. Le celle furono costruite dai frati francescani nel ‘600 e modificate dai fratelli Lechi nell’800. All’interno sono stati portati arredamenti e oggetti di famiglia. 15 Una lettura esoterica è stata data da E. Zolla (1980) e un’interpretazione del testo come un percorso iniziatico massonico da F. Tempesti nell’Introduzione e commento critico in Carlo Collodi. Pinocchio, Feltrinelli, Milano 1993. 16 Intervista di Mario Luzzato Fegiz a Carmelo Bene nella trasmissione Mister Fantasy, 1982. 17 A. Faedi, Guardare le figure. Illustratori italiani dei libri per l’infanzia, Einaudi, Torino 1972, p. 24. 7 B. Traversetti, Introduzione a Collodi, Laterza, Bari 1993. 8 9 R. Dedola, Pinocchio e Collodi, Milano, Bruno Mondadori, p. 115. C.A. Madrigani, Fiaba magica o parabola esoterica?, in C’era una volta un pezzo di legno. La simbologia di Pinocchio, Atti del Convegno organizzato dalla Fondazione Nazionale Carlo Collodi, Emme Edizioni, Milano 1981, p. 140. 10 Per l’interpretazione dei simboli religiosi si rimanda al Commento teologico a Le avventure di Pinocchio del cardinale G. Biffi, in Contro Maestro Ciliegia, Jaca Book, 1977. Una lettura evangelico-spirituale è stata data anche da A. Gnocchi e M. Palmaro, Ipotesi su Pinocchio, Ancora Editore, 2001. 11 12 P. Citati, Una fiaba esoterica. Nota introduttiva, C. Bene, Opere, con l’Autografia d’un ritratto, Classici Bompiani, Milano, 2002, p. 1057. 18 A.R. Vagnoni, Collodi e Pinocchio. Storia di un successo letterario, Editrice Uni Service, Trento 2007, p. 95-96. 19 20 Giannettino, ed. 1887, p. 261. 21 F. Tempesti, cit. È modificata l’introduzione al XXXV capitolo «… Leggete questo capitolo e lo saprete», p. 251. 22 Capitolo XII, Il Merlo bianco si rivolge a Pinocchio avvisandolo di non fidarsi del Gatto e la Volpe, finendo così mangiato dal Gatto, p. 72. 23 24 A.R. Vagnoni, cit. p. 96. quattro domande in cerca d’autore ▶ Quale personaggio collodiano potrebbe essere il tuo alter ego? ▶Nel tuo percorso umano e professionale hai incontrato un Grillo parlante? E una Fatina turchina? ▶ Cosa è per te oggi il Paese dei balocchi? ▶ Quali eventi professionali hanno costituito le tappe più significative della tua crescita? a s i L Anna rdi E M NO hira 974 G E M O COGN .12.1 BS) 9 ( il Nato Salò a alò e e S ent d’arte Residenza Doc ca Professione criti 83 ▶ Ho sempre avvertito una forte affinità con Pinocchio, mi è parso un eroe romantico e perfettamente testimone del contemporaneo fin dalla mia prima lettura adulta. Ma in questo preciso momento della mia vita mi sento rappresentato molto da Geppetto, diciamo che finalmente lo comprendo ed è lui il vero protagonista, a mio avviso, del capolavoro collodiano. ▶ Sono a tutti gli effetti IO il mio Grillo Parlante. Sono la voce “morale” che mi rivolgo fin da sempre. ▶ Un luogo dove il corpo possa connotare lo spazio tramite la percezione completa di ciò che accade, esultare di tutti i più piccoli particolari della Natura. Mi piace pensarlo come un concetto di Evoluzione e non di degrado. ▶ Eventi professionali… Vorrei sottolineare un incontro, anzi “l’incontro”, con una persona davvero speciale; da questo incontro si sono sviluppate tutte le sinergie che mi hanno permesso di essere ciò che sono dal punto di vista professionale: questa persona è il mio amico gallerista Massimo Biava. Non sono gli eventi che hanno costituito la crescita, ma la possibilità di mettere in atto il pensiero sotto forma di progetti, dopodiché con questa particolare e concreta possibilità ho potuto confrontarmi con altre realtà, una sorta di sviluppo frattale. Questo è il punto cruciale. Fare un elenco delle mostre e dei premi mi sembra meno importante. o k r i M chi c i r NOME a B 970 OME COGN 2.4.1ezia 1 nza e c p il i S V ato N La peziaa a S ta L tis Residenza Ar Professione 84 ME NO E OM GN CO Nato a il no ieri a f Stembard968 Bo .1.1 a 28 esci a Br esci a Br tist r A Residenza Professione ▶ In questa fase della mia vita, dove è forte in me l’istinto paterno, sicuramente Geppetto. ▶ Forse qualche grillo l’ho incontrato, magari meno invadente e non l’ho mai preso a martellate, fatine non mi risulta, forse troppo impegnate con i vari Pinocchio. ▶ Il Paese dei balocchi è sempre stato interpretare e reinventare tutto ciò che mi circonda, un’immagine positiva e non un luogo di perdizione. ▶ Tutto quello che ho fatto è stato importante per la mia crescita, a partire dalla partecipazione a svariate manifestazioni d’arte, fra le più disparate, conosciute e sconosciute, in Italia e all’estero. Tutte piccole tappe che mi hanno dato la possibilità di farmi conoscere e confrontarmi con molti artisti e addetti ai lavori. L’incontro con la Maretti Arte Monaco (2001), che ha fatto conoscere il mio lavoro sulla Costa Azzurra e poi nel resto della Francia. La prima Biennale di Venezia (2007), Padiglione della Repubblica Araba Siriana, nel chiostro di San Francesco della Vigna con il lavoro Europa Pallida Madre; ll settimo splendore. La modernità della malinconia (2007) a Palazzo Forti/ Palazzo della Ragione - Verona, una mostra stupenda curata da Giorgio Cortenova che ha visto la partecipazione dei più grandi artisti di sempre; Man Ray e Stefano Bombardieri. Omaggio al Surrealismo del Turra a cura di Franco Farina e Maria Livia Brunelli MLB home Gallery – Ferrara; The animals’ count down (2009) mostra personale dell’anno negli spazi espositivi di Pietrasanta; la mia seconda Biennale di Venezia (2011) Padiglione Italia – Palazzo Te – Mantova con l’opera Monachesimo Armato. L’incontro con i critici e le varie gallerie che propongono il mio lavoro. 85 o r e g Calo lella E NOM ana 988 C E M O COGN .7.1 meli (CL) 9 il Nato Mussoomeli ore t l u s c s a u M nte-S e d u Residenza t S Professione ▶ Pinocchio, e come lui faccio spesso i conti con curiosità e istinto. ▶ Sì, molte volte, e anche se inizialmente personaggi del genere possono sembrare antipatici, le loro ramanzine tornano utili. ▶ La realtà virtuale, per esempio! ▶ La partecipazione a varie mostre come Amici miei (Palermo) o Chi cavalca la Tigre non può più scendere (Sciacca), nel 2012, è stata importante per far conoscere il mio lavoro all’interno di contesti artistici più specifici. Sempre nello stesso anno l’Accademia di Belle Arti di Palermo, nella quale tuttora frequento il II anno specialistico nel corso di Scultura, ha acquisito un mio lavoro, L’infanzia del generale H, dopo un concorso promosso da UniCredit. Tuttavia la mia esperienza più significativa è legata a ZAC, Zisa Zona Arti Contemporanee, progetto che ha visto ottanta giovani artisti condividere lo stesso grande spazio all’interno dei Cantieri Culturali della Zisa di Palermo, ricco di incontri con diversi protagonisti dell’arte contemporanea e conclusosi con la mostra Azīza nel 2013. Al momento, grazie a una borsa di studio, sto arricchendo il mio percorso formativo presso l’École Supérieure d’Arts Plastiques de la Ville de Monaco. 86 ▶ Penso a Geppetto, chiuso nella sua stanza ad animare un oggetto inanimato, come ad un mago buono che si ritrova nella pancia della balena immerso in uno spazio onirico fatto di visioni fantastiche e terribili. ▶ Sì, ho incontrato la fata turchina tutte le volte che mi sono persa per poi ritrovarmi a parlare con il grillo, con la capra, con l’uccellino e anche con il gatto e la volpe. Proprio come nella storia di Pinocchio la fata nella mia vita è apparsa sotto molte forme. ▶ È la società del consumismo con tutte le sue vetrine e i suoi falsi miti. NOME Franc Casol esca Nato il 25.11 ani a Neret .1980 Residenza o Ca nzano(TE) Professione Art ista (TE) COGNO ME ▶ L’incontro con il teatro di figura in Francia e la compagnia Stultiferanavis mi ha aperto gli occhi su un linguaggio nuovo dove finalmente far convergere la pittura, la scultura, la video arte e il teatro. Così nasce, nel 2008, la prima serie dal titolo Marionettista creata in parte a Parigi presso La Villette, per una residenza di creazione, ed esposta a Charleville Mézières durante il Festival Mondial de la Marionnette nel 2009. Un secondo ciclo di lavori nasce invece dallo spettacolo Alkaest esposto a Parigi presso l’Espace de création contemporain Anis Gras, Le lieu de l’autre nel 2010. Sono poi seguite in Italia alcune mostre collettive legate all’ambito dell’arte sacra contemporanea attraverso la fondazione Stauros: Sulla Via dell’arte nel 2009 ad Ascoli Piceno; la Triennale di Arte Sacra di Lecce nel 2012; Amor Mundi nel 2012 a Campli (Te). Nasce poi il ciclo Nel Ventre di Pinocchio da una collaborazione con la Videomaker Celeste Taliani. Le opere vengono esposte all’interno di alcune collettive, fra cui: Open Space, Galleria Nazionale di Cosenza 2012; Profile, Galleria En plein air (To) 2012; Atmosfere, fondazione Bugatti Segantini Villa Filippini, Besana (Mb) 2013; Materie, Trezzo D’Adda (Mb) 2013. Nel 2012 l’incontro con la gallerista Maja Titonel che inaugura al MAC di Roma la mia prima personale. 87 ▶ Come personaggio più vicino a me sento quello forse più improbabile: il pescecane. I pescecani sono sempre stati la mia passione, hanno sempre stimolato il mio immaginario nella gamma dei “mostri marini” e affini – racchiudono tutto il mistero degli abissi (sia reali che metaforici) che permea la nostra esistenza. Lo sapevate che il pescecane è un animale che non dorme mai? È onnivoro fino alla bulimia (hanno trovato realmente di tutto nei ventri degli squali) e soprattutto non smette mai di nuotare, di mantenersi in movimento con le pinne, perché altrimenti… andrebbe a fondo! Curioso no? co s e c n Fra olfetta NOME De M .1979 MI) E ( M O . 5 M . COGN 29 agnate il Nato Garb no a ila ficiere” M rti Residenza “A Professione ▶ Sì, ho sempre trovato perfetti e molto simbolici tutti i personaggi del grande teatro educativo di Collodi, e li ho sempre rivisti nella grande fiaba che è la mia vita. E ho conosciuto diverse fate turchine, sicuramente tra queste ricordo la Ciocca arte contemporanea, galleria Luisa Delle Piane, Wannabee gallery, ma forse un solo grillo parlante, la cui voce ancora echeggia dentro di me… ▶ Il mio Paese dei balocchi? Non ho alcun dubbio: il mio studio! Io non sento di abitare in una città precisa, ma in questa dimensione parallela che è il mio laboratorio, circondato da forme e colori e tutto ciò che amo. Il mio sogno qui diventa realtà. ▶ Il mio mastro Geppetto nell’arte, colui che mi ha scolpito dal primo blocco di legno è stato sicuramente lo “storico” Franco Toselli. Con lui ho mosso i primi passi nell’universo dell’arte. Ha poi passato il testimone a Daniele Colossi della Galleria Colossi Arte, attraverso i consigli del gatto della Galleria 2000 e Novecento e della volpe Ermanno Tedeschi Gallery. Mi sono poi divertito con Lucignolo della Galleria Ronchini, con cui è poi iniziato il Paese dei balocchi presso Duetart Gallery, Galleria Atlantica di Paolo Rigon, The Don Gallery Milan, Spazio Solferino, Orizzonti arte di Bari, Annovi Arte Contemporanea, Art Contemporary Gallery, Galleria Vinciana, FabbricaEos, Galleria Glauco Cavaciuti, Galleria 2000, A15, Aus18, Overlook Arte contemporanea. Ho collaborato inoltre con Artedamangiare-mangiarearte realizzando una installazione per il Macef nel 2000. Ho vinto il concorso della città di Biella partecipando ad una mostra indetta dalla Fondazione Pistoletto per l’Arte. Ho esposto e collaborato con la Nike Italia nel 2007-2008. Nel 2009 ho vinto il primo premio al concorso Ceres4ART. Mangiafuoco si arrabbiò! Per cui scappai al Museo Vanvitelliano di Ancona, al Museo Civico di Palazzo Buonaccorsi a Macerata, al Museo della Musica di Bologna, al Museo di Villa Ponti di Arona, al Museo di villa Giunigi a Lucca, in piazza San Lorenzo a Vicenza, al Museo Santa Giulia di Brescia, alla Permanente, al Superstudio e al teatro dal Verme a Milano, al Museo di Villa Mazzotti a Chiari (Bs), al Museo la Giardiniera di Torino, al Lazzaretto di Sant’Elia di Cagliari, al Palazzo Ducale di Pavullo nel Frignano, al Chiostro di Sant’Eufemia di Como, al Castello di Rivara e al Museo Pino Pascali a Polignano (Ba). Nel 2010 un grillo parlante mi invitò a partecipare alla Biennale d’Arte Sacra Contemporanea con la provocatoria opera Lourdes Vuitton. Poi fui ingoiato dall’enorme Pescecane, e chissà se ne uscirò mai… Ad oggi mi ritrovo rinchiuso in un misterioso maniero in mezzo ad un grande lago, dicono si chiami Garda! 88 NOME Patriz ia F r a t u Nato il s 2 8 . 7.1960 a P a l osco ( Residenza B Mo r n ico a/ G) Professione s (BG) Art ista COGNO ME ▶ Più d’uno, certamente l’asinello, Pinocchio e il grillo, inteso come coscienza collettiva. ▶ Ho incontrato un grillo: l’artista Salvatore Falci. ▶ Il nostro ego. ▶ Ad un punto del cammino della mia vita, mi sono trovata nel mondo dell’arte. Il mio fare, il mio raccontare di sempre ha preso questa connotazione. Ho iniziato producendo sculture che, ad ora, interpretano una visione del rapporto donna/uomo/ natura. Con l’attenzione alla fruibilità dell’opera. Nella mia ricerca di questi ultimi anni ho approfondito inoltre la conoscenza della fondamentale opera di Joseph Beuys, un incontro che mi ha permesso di far confluire nel mio lavoro la mia genitorialità e la ricerca del ruolo sociale dell’arte. È così iniziato un percorso di arte relazionale. Si è realizzato il progetto Cometumivuoi, condiviso con le donne di un’associazione d’ambito sociale, Rebirth, facendo rete con le donne di più associazioni e Lanostrapelleèlanostrabandiera, realizzato con un gruppo di mamme. Sono in lavorazione anche progetti di arte pubblica dall’autorialità condivisa con donne di diverse comunità. 89 NOME Armida Gandini Nato il 9.11.1968 a Brescia Residenza Ver olanuova Professione (BS) Artis ta COGNOME ▶ In fondo credo possa essere lo stesso Pinocchio per le sue dichiarate contraddizioni, mi riferisco al primo Pinocchio, quello che ancora guarda il mondo dalla serratura del pezzo di legno e che lo vive. ▶ Sì, e come il grillo e la bambina dai capelli turchini tanti altri caratteri, da Lucignolo al gatto e la volpe e anche il buon Geppetto, un saggio uomo – buono e semplice – che mi ha aiutata a crescere. ▶ Uno schermo, in tutti i formati possibili e immaginabili che la tecnologia ci mette a disposizione. ▶ L’incontro con le gallerie ha segnato l’ingresso nel mondo dell’arte (Pianissimo contemporary art, Milano; Fabio Paris Art Gallery, Brescia e 41 Arte contemporanea, Torino); di quel periodo il progetto Il bosco delle fiabe (1999) ha definito il mio marchio stilistico e il punto di partenza per passare dal collage digitale al disegno e successivamente al video d’animazione. Noli me tangere (2007) è il primo lavoro nel quale stratifico il disegno alla ripresa filmica di una figura che si muove in un limbo bianco: un luogo senza coordinate spaziotemporali che contestualizzo con i miei segni. Viene selezionato per il Premio Gallarate, entrando a far parte delle collezioni del MAGA, ed esposto presso lo spazio l’Ozio di Amsterdam nel 2009. Da Noli me tangere nascono Io dico che ci posso provare (MART di Rovereto), Pregnant silence e Muovo sonnambula al mondo, che partecipano a vari Festival in Italia e all’estero e alle Biennali di video-fotografia di Brescia e Alessandria. Nel 2009 è lo scambio culturale con Art Centre della Silpakorn University di Bangkok e nel 2010 la collaborazione al progetto Arte e Luogo di Salvatore Falci in Africa. Recentemente due lavori sono entrati nella collezione della Fondazione Boccaccio di Certaldo (Fi) e del MAC di Lissone, inaugurando una nuova stagione orientata a riflettere sul concetto di relazione con l’altro, tra auto-rappresentazione e ricerca dell’alter-ego. 90 ▶ Io penso a Mangiafuoco burbero cinico, ma che deve tirare avanti la baracca e soprattutto sa commuoversi. ▶ Ho avuto e ho ancora una mamma bella come la Fata turchina e rompiscatole come un Grillo parlante. ▶ Il mio Paese dei balocchi è senz’altro Parigi con i suoi atelier di artisti che ormai non ci son più, ma che io rincontro ogni volta e con i quali dialogo come in un sogno. ▶ L’incontro con il mio maestro Andrea Pardini è stato l’evento professionale più importante nella mia vita artistica. Da lui è partito tutto. Da lui che era insieme Geppetto, Mangiafuoco e soprattutto il Mastrociliegia che regala il ciocco di legno per far tutte le sculture che ho prodotto da allora. e r o Ett o E M NO rec 1969 G E M O COGN 2.5. a 1 il Nato Padovva a ado ore P ult Residenza Sc Professione 91 no a f e t S nti 5 a z z NOME a M .196 2 OME 1 . COGN 4 1 BS) ( il ò ato l N Sa ner/ g i s ò e l a a S ing d t h g Residenza i L ta Professione Artis 92 ▶ Penso principalmente al buon Geppetto, artigiano del legno e laborioso creatore. Magari con un pizzico di Lucignolo, convinto e indomito resistente all’ingresso nel mondo dei “grandi”. ▶ Ho incontrato un grillo parlante di cui sento ancora, in lontananza, la voce. Ma ho anche incontrato una fatina semplice e buona che mi ha salvato. ▶ Per anni, nel nostro Paese, è stata la televisione. Per me ora, parzialmente, anche internet e i social network. ▶ La frequentazione del Teatro dell’Acqua di Cesare Lievi ha dato il via al mio percorso nel teatro, che si è andato precisando nel ruolo di “disegnatore luci” grazie all’incontro con Gigi Saccomandi. A seguire, fondamentale è stato l’incontro con il CSS di Udine che mi ha voluto per tante produzioni e che mi ha consentito di frequentare i più grandi teatri e festival in Italia e all’estero e di incontrare molti artisti. Importanti sono stati anche il lavoro con Compagnia Lyria e la fondazione del gruppo di ricerca Equilibri Avanzati, per lo sviluppo delle contaminazioni fra teatrale, visivo e musicale, e l’incontro con Michela Lucenti e il Balletto Civile. Un evento che ha aperto i miei orizzonti è stato Elementi di luce (1999), un percorso di installazioni luminose per il Parco del Mincio. Per la prima volta ho sperimentato l’unione fra le mie conoscenze sulla luce e l’arte visiva in relazione all’elemento naturale. Da allora ho sviluppato un percorso molto artigianale che mi ha portato a realizzare installazioni in vari contesti: da Luci d’Ancona (2005) a Re-lighting the City a Brescia, da Orizzonte_Futuro a Catanzaro al Contemporary Lighting Context di Como, dalle installazioni per il Giardino Botanico Heller e per i Notturni Dannunziani al Vittoriale di Gardone Riviera alle installazioni per vari eventi aziendali. Recentemente lo studio della relazione con il suono e il video mi ha portato alle installazioni più performative: Ergon, opera per suono, luce, umanità per il Festival Fabbrica di Brescia (2010) e Let there be light (2012), spettacolo di suoni, luci e video nella centrale idroelettrica CEIS in Trentino. ▶ Lucignolo, per la sua insistenza persuasiva che porta gli ingenui bambini – Pinocchio compreso (oltre a sé stesso!) – alla perdizione. ▶ Sì certo, di Bambine Turchine ne ho incontrate tante mentre di Grilli Parlanti un po’ meno. Ho spesso cercato di evitarli. ▶ Il mio studio e la mia casa, che per tanto tempo sono stati una cosa sola. ▶ Gli spostamenti, i viaggi, le persone incontrate, le mostre ben allestite, le temporanee sconfitte, i risultati ottenuti. Le prime esperienze legate al mondo dell’arte, inteso come confronto col pubblico in un contesto espositivo, sono avvenute in Arte Fiera a Bologna, dal 1992 per quattro anni. Ci si univa per formare una sorta di gruppo/collettivo di artisti ceramisti, esponendo, oltre che in fiera, anche in altre strutture private e pubbliche. Ma ciò che mi ha dato di più sono stati i viaggi e il lavoro in altre nazioni, in altri continenti, lavorando a contatto con persone di altre culture e con altri ritmi. Dopo Faenza, studiando e lavorando ho fatto mia la tecnica ceramica, ho avuto il mio studio a Buenos Aires, a Milano, a Brescia e ho lavorato in studi temporanei a New York, a Londra, a Seoul, a Kyoto, a Ahmedabad e a Tallin, appoggiandomi a strutture universitarie o a spazi privati di amici e colleghi ceramisti. Ho partecipato a concorsi internazionali, dei quali il contesto artistico della ceramica è ben fornito; dall’Australia all’Egitto, dalla Corea alla Spagna, dalla Nuova Zelanda alla Francia. Spesso, oltre che rappresentare un’importante occasione per esporre il proprio lavoro, i concorsi sono anche un ottimo canale per incontri professionali che sfociano in vere e proprie collaborazioni e amicizie durature. Mi piace il confronto con il pubblico, che trovo necessario e imprescindibile. Ma ciò che più mi affascina e appaga è vedere un’opera finita che abbia la forza che speravo avesse. NOME Fausto S a l v i Nato il 1 8 .08.19 a 6 B r e scia 5 Residenza Br escia Professione Art ista COGNO ME 93 ivio ella L NOME carp .1969 S E M O COGN 20.11i (BS) il Nato Ghed i a hed ta G tis Residenza Ar Professione ▶ Eeeehhhh… che domanda difficile!… non saprei proprio, a volte potrei essere Pinocchio, a volte Lucignolo o il Grillo… a volte Geppetto, Mangiafuoco… e perché no? Qualche volta anche la Fata turchina. ▶ Anche qui non saprei bene cosa rispondere… ma pensandoci un po’, a volte, qualche amico può essere stato un po’ il Grillo di Pinocchio… ma non riesco a trovare molta identificazione con questi personaggi. ▶ So che è un luogo comune, ma credo che il Paese dei balocchi sia L’Italia per i nostri politici, cioè un luogo per gente somara e spesso inadeguata al ruolo istituzionale. Peccato, che come nella fiaba, non diventino poi veramente ciuchini da mandare a fare quel che meriterebbero: gli asini da soma. ▶ Penso che ogni cosa, persona, incontro, mostra, evento, nel bene o nel male, contribuisca ad apportare qualcosa nel nostro percorso esistenziale e professionale. Tra le cose più significative ricordo l’essere stato assistente nei primi anni ’90 dello scultore e amico Giuseppe Bergomi, la vincita nel 1993 del Premio San Carlo Borromeo alla Permanente a Milano, le mostre e le collaborazioni con la Galleria Antologia di Monza e con Il Polittico di Roma dalla fine degli anni ’90 in poi. Ma anche l’incontro con Aldo Busi e le copertine di alcuni suoi libri con le immagini delle mie opere, oltre alla mostra da lui curata alla Galleria Poggiali e Forconi nel 2002. Determinante è stata anche la conoscenza del critico Alessandro Riva e di Italian Factory, che mi hanno coinvolto in mostre importanti: alla Biennale di Venezia e al Parlamento Europeo di Strasburgo nel 2003, al PAC di Milano nella mostra Sui generis e ai Musei di Arte Contemporanea di Shangay e Taipei con Italiana. Ma l’elenco è veramente lungo: la vincita della Biennale di Alessandria in Egitto nel 2005, la partecipazione alla mostra Arte e omosessualità, curata da Vittorio Sgarbi nel 2007 a Firenze, la partecipazione al Padiglione Italia all’Arsenale per la Biennale di Venezia e al Festival dei 2Mondi a Spoleto nel 2011. Incarico stimolante è stato inoltre realizzare le due statue di San Bartolomeo e Sant’Andrea per la Cattedrale di Noto nel 2013 e curiosa la commissione del ritratto ad altezza naturale del calciatore Mario Balotelli. Decisamente gratificante è stato infine vedere i miei busti Black soul e White soul, presentati da Francesco Buranelli ed esposti all’Ambasciata di Spagna presso la Santa Sede a Roma, a confronto con le opere di Gian Lorenzo Bernini: Anima beata e Anima dannata. 94 ▶ Faccio fatica ad identificarmi con le figure immaginarie di Le avventure di Pinocchio… le sento tutte piuttosto lontane dalla mia personalità. Forse l’unico che un po’ mi assomiglia è il Grillo (s)parlante: piccoletto, osservatore e che non ha mai paura di esprimere la propria opinione (anche a costo di irritare e di venire spiaccicato sul muro). ▶ Di “grilli” ne ho incontrati alcuni; ma purtroppo questi personaggi, quasi sempre, del grillo avevano la saccenza ma non la saggezza… Invece di fate turchine ne ho incontrate varie: donne misteriose, affascinanti, spesso con un lato materno, che hanno saputo incantarmi e colpire il mio immaginario. Le ricordo tutte con affetto. ▶ Il mio studio e la mia casa, strapieni delle cose che amo e delle mie collezioni (tra cui proprio i giocattoli antichi). Posso passare ore a trafficare e a divertirmi… ▶ Ho iniziato ad esporre verso metà degli anni ’90 con il gallerista Guido Carbone; fu il primo a voler dare una “chance” alle mie sculture. Oggi Guido non c’è più, ma ancora gliene sono grato. La prima mostra che ricordo come tappa significativa – anche perché allestita in uno spazio “istituzionale” importante – è stata Sui generis - La ridefinizione del genere nella nuova arte Italiana (2000) al PAC di Milano; la mostra era curata da Alessandro Riva. Poi ho amato La scultura colorata – Il colore del vero: una piccola e raffinata mostra al Museo della Permanente di Milano, nella quale ero affiancato a veri miti della scultura, storica e contemporanea. Nel 2002 Masterpieces – L’artista artigiano tra Picasso e Sottsass curata dal geniale Enzo Biffi Gentili, nella bella cornice Torinese di Palazzo Bricherasio. Sempre a Torino, alla Palazzina di Caccia di Stupinigi, la vasta ed intrigante esposizione Il male – Esercizi di pittura crudele a cura di Vittorio Sgarbi (2005). Poi Céramique fiction (2006) al Musée de la Céramique, Musée des Beaux Arts di Rouen. Nel 2007 la mitica Vade retro – Arte e omosessualità – Da Von Gloeden a Pierre et Gilles ha regalato alla mia scultura Miss Kitty un’imprevista notorietà a causa di scandalose censure. Infine nel 2011 ricordo Decadence Now! – Visions of Excess alla Galerie Rudolfinum, Museum of Decorative Arts, Prague, a cura di Otto M. Urban. Tra le mostre personali ne scelgo tre: Il corpo e l’anima alla Fondazione Bandera, Palazzo Bandera, Busto Arsizio (2005); la mostra alla River Gallery di Bratislava, (2011); Magnifiche ossessioni a cura di Armando Audoli, alla Bottega di San Luca - Benappi, Torino (2012). aolo dlin P NOME Schmi2.1964 E M O COGN 21.1 no il Nato Mila no a ila ore M ult Residenza Sc Professione 95 Finito di stampare nel maggio 2014 da Colorart, Rodengo Saiano (Bs)