Livia Firth a sostegno di Anthony

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Livia Firth a sostegno di Anthony
DOMENICA 13 OTTOBRE 2013
LETTERE,COMMENTI&IDEE
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SALVATE L’ITALIANO ANTHONY
IL CORAGGIO DI VIVERE, L’AUDACIA DI DECIDERE
CHE GLI USA VOGLIONO GIUSTIZIARE
aro Augias, il regista Carlo Lizzani evidentemente era ancora in sé quando ha deciso quel che ha deciso.
Mio padre è da sette anni in un letto, in stato vegetativo, dopo aver patito altri sette anni di Alzheimer. Vive grazie alle cure di mia madre, ottantenne con energie cosmiche. È il suo “bambino”, ormai. Bisognerebbe certo potere decidere del proprio fine vita quando si è giovani e lucidi. Ho però un dubbio, quello che mi
ha trattenuto dal mettere “un cuscino in faccia” a mio padre: siamo certi di decidere bene a cinquant'anni, in
salute, del nostro fine vita? Forse le cure e l'igiene nelle quali vive mio padre lo portano avanti; evidentemente
i suoi organi sono in salute, tranne uno, il cervello. È questo il punto: come decidere e quando?
C
LIVIA GIUGGIOLI FIRTH
aro direttore, in Italia si dice che la famiglia
sia il focolare domestico. Per questo quando ho sentito parlare di un uomo che era
stato condotto nel braccio della morte all’età di 18 anni — nonostante manifestamente innocente per il delitto imputatogli — il mio pensiero
è andato subito ai miei figli. Anthony Farina, la cui
famiglia proviene dalla città siciliana di Santo Stefano di Camastra, era solo un ragazzo quando fu
condannato a morte e la sua infanzia non poteva essere più diversa da quella dei miei adorati ragazzi.
Anthony aveva 18 anni e suo fratello Jeffrey ne
aveva 16 quando rapinarono un fast food a Daytona Beach, in Florida. Soltanto la disperazione può
spingere un ragazzino a commettere una rapina e
di certo l’infanzia di Anthony è stata segnata da povertà e abusi. Era stato brutalizzato in maniera così violenta da aver subito danni organici; aveva subito tali maltrattamenti da essere stato sottratto alla custodia della madre e affidato a un istituto di assistenza per 18 mesi, durante i quali la madre non
gli ha fatto visita una sola volta. Sua madre aveva insegnato ad Anthony e a suo fratello a taccheggiare
per dare una mano in famiglia. Al momento del delitto, la famiglia viveva in un motel e Jeffrey — più
giovane, ma dominante — aveva acquistato una
pistola per «proteggere la famiglia dagli spacciatori di crack e dalle prostitute» che circolavano nella
loro zona. Durante la rapina, Jeffrey sparò a un
membro dello staff che morì poco dopo in ospedale. Anthony non aveva mai sparato o ucciso nessuno, né intendeva farlo. Anthony è senza dubbio innocente e non punibile con la pena di morte.
Eppure, Anthony ha ormai quasi 40 anni e ha trascorso più di metà della sua vita nel braccio della
morte. Tuttavia, non è soltanto la triste infanzia di
Anthony che mi fa pensare ai miei figli. Il caso di
Anthony mi rende preoccupata per il mondo in cui
li sto crescendo. La pena di morte è una punizione
atroce e inutile per qualsiasi delitto, ma Anthony
verrà privato della sua vita nonostante il giudice, la
giuria, e i pubblici ministeri abbiano riconosciuto
che non ha mai tolto la vita a nessuno. Molti difensori della pena di morte sostengono che sia una giusta punizione: una vita per una vita. Ma in Florida,
luogo che la maggior parte delle persone associa a
Topolino, un giovane rischia di essere giustiziato
pur non avendo mai causato la morte di nessuno.
La Florida, lo “Stato del Sole”, ha appena festeggiato un’ondata record di turismo, accogliendo
quasi 90 milioni di turisti l’anno scorso. Ma quanti
di questi turisti sanno che è stato il primo Stato a
reintrodurre la pena capitale dopo che la Corte Suprema degli Stati Uniti ne aveva sospeso l’utilizzo
nel 1972? Credo che la maggior parte dei visitatori
di Disney World non immagini neppure lontanamente che nel corridoio della morte in Florida ci sono oltre 400 persone, tra cui cittadini italiani. Come
una delle opzioni, la Florida mantiene in uso la “sedia elettrica”, soprannominata “la vecchia scintillante”: una sedia antiquata dalla quale fuoriescono fiamme che lambiscono la visiera di pelle utilizzata per nascondere gli occhi terrorizzati del condannato.
La «squadra della morte» da tempo ha stabilito la
tradizione di andare a fare colazione in un ristorante locale dopo una esecuzione, in cui riceve il
cinque e i complimenti dagli altri commensali.
Mentre scrivo, non posso fare a meno di pensare
che non vorrei mai dire ai miei figli dell’esistenza di
questa terribile pratica. Non riesco a immaginare
di spiegare loro come questi atti atroci possano
aver luogo a due passi da Disney World, autodefinitosi «il posto più felice sulla Terra».
Dopo 22 anni a rischio di essere giustiziato,
Anthony può finalmente vedere un barlume di
speranza. La Corte federale degli Stati Uniti d’Appello degli Stati Uniti il 30 agosto ha annullato la
condanna a morte. L’ha definita incostituzionale
in quanto ottenuta in un processo in cui il pubblico ministero si è presentato come un agente di Dio
e ha dato indicazioni alla giuria di seguire il comando divino di condannare a morte Anthony secondo i precetti imposti dalla Bibbia. Eppure, nonostante questa apparente vittoria, Anthony si trova ancora in una posizione vulnerabile. Ha solo ottenuto una nuova udienza, in cui la pubblica accusa potrà chiedere il riesame tentando ancora una
volta di ottenere un’esecuzione. Anthony è quindi
ancora lungi dalla strada di casa e necessita di tutto il sostegno del popolo italiano.
Il sindaco di Santo Stefano di Camastra, Francesco Re, ha dichiarato il suo sostegno alla causa di
Anthony e lo ha invitato a ricominciare una nuova
vita nel suo paese natale. Se la parola giustizia ancora significa qualcosa in Florida, forse Anthony
potrà infine essere ricongiunto alla sua famiglia allargata, e vivere il resto dei suoi giorni in pace, in un
luogo al quale sente di appartenere davvero, l’Italia.
L’autrice è produttrice cinematografica
(ha realizzato il film «In Prison My Whole Life»),
attivista contro la pena di morte
e moglie dell’attore premio Oscar Colin Firth
C
Antonietta Gigliotti — [email protected]
CORRADO AUGIAS
[email protected]
Twitter @corradoaugias
A Correggio si protesta
solo per il film del Liga
Barbara Cipolli
[email protected]
L’ESPOSIZIONE all’amianto ha funestato la città di Correggio; pochi sono i superstiti tra chi ha lavorato nello stabilimento che produceva manufatti di cemento amianto. Eppure
tutto tace! Nessuno vuole sapere, forse perché oggi i problemi vengono
sentiti solo quando ti toccano da vicino. Intanto le persone continuano ad
ammalarsi e a morire di mesotelioma
pleurico. Eppure per una comparsata in “Radiofreccia” moltissimi cittadini sono scesi in piazza (senza nulla
togliere al “Liga”)…
Quelle gru inopportune
sul molo di Lampedusa
Luca Soldi
[email protected]
ERA necessario che dei camion da
cantiere e una gru fossero utilizzati
per “caricare” i cadaveri degli immigrati, le loro bare, dal molo di
Lampedusa sulla nave che li porterà in continente? Quei corpi non
dovevano, almeno in questa occasione, avere più rispetto? Credo
che, seppur nell’emergenza, il nostro Paese, il settimo più avanzato
del mondo, dovrebbe rendere dignità a queste vite spezzate in questa estrema e ultima occasione. Le
immagini in tv sono crudeli ma trasmettono ancora rabbia e dolore.
Immagini che riportano a quei
campi, sul finire della seconda
guerra mondiale, oppure delle tante stragi del secolo passato, dove le
l suicidio di Carlo Lizzani ha suscitato dolore e
sconcerto, se posso giudicarlo dal numero di interventi ricevuti dalla rubrica, quali di adesione,
quali di dissenso. Dissente per esempio Graziella Laffi: «Non sono d'accordo né con lei, né con il suo corrispondente quando scrivete sul coraggio dei suicidi.
Secondo me il coraggio è di chi – anche in condizioni
difficili – accetta la propria vita giorno dopo giorno,
pur senza capire il perché di tante cose brutte, ingiuste, dolorose. Non so se il suicida ha coraggio, ma so
per certo che vivere richiede, questo sì, un grande coraggio. Persone che sanno trovare la forza per alzarsi
ogni mattina, che lottano per non lasciarsi andare, per
non essere risucchiate dalla solitudine e dalla depressione». Non mi sembra opportuno (e sarebbe comunque difficile) fare una specie di classifica se ci sia maggior coraggio nel decidere di restare o di andarsene.
D’altra parte Paolo Izzo ([email protected]) mi ricorda che «dal 13 settembre scorso una legge di ini-
I
cataste di corpi testimoniano le
barbarie umane.
Ho visto l’orrore nazista
e non voglio dimenticare
Florisa Fileri
Senigallia (Ancona)
POCHI giorni fa ero a Mauthausen,
per un viaggio in Austria organizzato dalla Federazione Pensionati Cisl
di Senigallia. Siamo entrati nella camera a gas, siamo passati davanti ai
forni crematori, siamo scesi lungo la
scala della morte che conduce nella
cava di pietra dove “lavoravano” i
prigionieri, abbiamo ascoltato il racconto degli orrori a cui venivano sot-
L’AMACA
ziativa popolare per rendere legale l’eutanasia “giace”
alla Camera dei Deputati: l’hanno proposta i Radicali
dell’associazione “Luca Coscioni” ed è stata sottoscritta da 67 mila cittadini, senza considerare le altre
migliaia di persone che continuano a sostenerla online. La presidente Boldrini non ha ancora risposto ai ripetuti appelli affinché quella legge sia almeno presa in
considerazione dal Parlamento. Non la rianima nemmeno il suicidio di Carlo Lizzani che, come Mario Monicelli tre anni fa, sarebbe ricorso all'eutanasia, invece è stato costretto a gettarsi dalla finestra». Confesso
di temere le mani dei politici, di questi politici, su un
tema del genere in un momento difficile e rissoso come l’attuale. Anche per rispondere alla domanda della signora Gigliotti, penso che basterebbe dare piena
legittimità al cosiddetto “testamento biologico”, secondo la proposta del professor Veronesi, lasciando
ognuno libero di decidere per se stesso.
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toposti. Leggere ciò che diceva
Priebke sui lager mi ha indignato, oltre che rinnovare il dolore provato in
quel luogo e che perdura. Non scorderò mai quanto ho visto quel giorno. Soprattutto non dimenticherò la
signora austriaca che ci faceva da
guida, il suo commosso dolore, il ricordo di sua madre che abitava vicino al bosco, dove tentavano di nascondersi i prigionieri che qualche
volta riuscivano a fuggire, sempre
stanati dai cani, e che, rischiando la
fucilazione, lasciava fuori di casa pane e acqua perché qualcuno potesse
rifocillarsi. Alla fine della visita ci ha
detto: «Vi prego, quando sentirete
minimizzare o negare questo orrore, rendete testimonianza e dite: “Io
ho visto”».
MICHELE SERRA
are che Berlusconi chieda ai suoi avvocati una soluzione
“che non lo faccia finire in maniera ridicola sui giornali
stranieri”. Qualcuno lo informi — anche per rassicurarlo
— che il rischio non c’è, perché sui giornali stranieri è già, e da
parecchi anni, una figura ridicola: la tipica macchietta dell’italiano piacione e sessuomane che soprattutto per i media di
bocca buona (che sono tanti anche fuori dall’Italia) è una tentazione irresistibile. Nel mondo esiste una sterminata casistica di vignette e articoli consacrati al dileggio di Berlusconi: di
peggio, qualunque sia la sua destinazione ai servizi sociali, non
può capitargli. Anzi.
Piuttosto, chieda ai suoi avvocati — che sono tanti e ben pagati
— se non possono fare qualcosa anche per noi, che all’estero dobbiamo sostenere sguardi di compatimento e di derisione, come se
di quella macchietta fossimo i sodali, e facessimo parte dello stesso cast. Se Berlusconi e i suoi avvocati lo desiderano, posso indicare loro nome, cognome, indirizzo e numero di telefono di persone che quando vanno all’estero hanno i nervi a fior di pelle, arcistufi di dover spiegare che loro, con lui, non hanno niente a che
fare. Sono danni collaterali da calcolare, il giorno che qualcuno decidesse di valutare quale dazio ha pagato, l’Italia, a quel signore.
P
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A New York per fuggire
da pietismo e isolamento
Massimo Morelli
professore di Economia e
Scienze politiche, Columbia
University, New York
PREMETTO che ho grande stima e
ammirazione nei confronti del presidente della Repubblica. Coloro che
sono spesso chiamati a parlare ai cittadini in virtù delle loro cariche istituzionali hanno una responsabilità politica e culturale se e quando usano
parole inappropriate. A Napolitano,
l’8 ottobre, è sfuggita questa frase:
«...bisogna essere ciechi per non capirlo». Come lui stesso ha fatto talvolta notare, il linguaggio è importante.
Immagino che lui concordi con queste preoccupazioni, e non credo che
davvero pensi che i ciechi capiscano
meno dei vedenti. Se in Italia lo Stato
è sicuramente più “protettivo” con i
disabili, è anche vero che tale tutela ha
un contraltare paternalistico, un'associazione dannosa tra handicap e
capacità, libertà, merito. La mia scelta di venire negli Stati Uniti nel 1992 a
studiare e lavorare non è stata tanto la
“fuga di un cervello” per i ben noti
problemi della ricerca e della vita universitaria in Italia, ma è stata una fuga
dalla paralisi delle opportunità per i
portatori di handicap. In Italia la parola “poverino” è uno degli aggettivi
più frequenti associati al disabile. Il
mio è stato un fuggire dalla compassione, dal pietismo, e soprattutto dalla correlazione che un handicap debba necessariamente implicare minori capacità e opportunità, al di fuori di
poche occupazioni protette. Ritengo
che un intervento di Napolitano su
questo argomento, pubblico e forte,
sarebbe importante.
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