Vigilanti senza posto, è polemica

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Vigilanti senza posto, è polemica
giovedì 3 febbraio 2011
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CRONACA DI NAPOLI
SECONDIGLIANO IL RIESAME SCARCERA ANTONIO FAVA: TENTÒ ANCHE DI RESISTERE AL POSTO DI BLOCCO
Custodiva 600 grammi di cocaina: ottiene i domiciliari
Ha ottenuto gli arresti domiciliari dal tribunale del Riesame di Napoli
dopo che il gip decise di convalidare il fermo. Questo nonostante
l’accusa di custodire oltre 600 grammi di droga. Torna per questo a
casa, grazie al lavoro difensivo dell’avvocato Sergio Mottola, il 34enne
Antonio Fava. Dietro le sbarre, con l'accusa di detenzione e spaccio di
stupefacenti ma anche di resistenza e lesioni a pubblico ufficiale, è
finto il pregiudicato 34enne Antonio Fava, che ora è a Poggioreale.
Ma dopo la cattura di Fava è scattata la controffensiva della polizia:
con l'ausilio di altre volanti inviate dal Centro Operativo della
Questura, si è proceduto a controllare 54 persone, dove circa la metà
sono risultate pregiudicate. Controllare anche 17 autovetture, di cui
una è stata sequestrata, e 5 motoveicoli, elevando oltre una decina di
verbali di contestazione al Codice della Strada. Inoltre, sono state
effettuare cinque perquisizioni domiciliari e rimpatriate tre persone
CAMORRA
con il foglio di via obbligatorio. Ma non è finita qui. Con l'aiuto degli
uomini della squadra tagliatori dei Vigili del Fuoco, sono state
rimosse le difese passive (cancelli, paletti, dissuasori e altro)
installate abusivamente dai pusher della zona a difesa degli
innumerevoli droga-shop per agevolare lo spaccio di droga nel
quartiere impedendo così alle forze dell'ordine d'intervenire in
maniera tempestiva. Nel tardo pomeriggio di sabato, i poliziotti
dell'Upg, che erano in via Ghisleri per un controllo, hanno notato dei
giovani in fila nei pressi di un cancello di ferro nel Lotto T/A. Da una
feritoia, infatti, qualcuno, dopo aver ricevuto del denaro, stava
consegnando loro dosi di droga. In quello stesso istante, un
condomino è uscito dal portone ed uno dei due poliziotti non ha
esitato a sfruttare quei secondi preziosi nel tentativo di bloccare il
pusher.
Controlli della polizia a Secondigliano
I DUE ENTI PARTE CIVILE NEL PROCESSO PER LA MORTE DI ATTILIO ROMANÒ: SONO IMPUTATI I FLIGLI DI “CIRUZZO ’O MILIONARIO”
Regione e Comune contro i Di Lauro
di Fabio Postiglione
I PENTITI LE ACCUSE DI CARLO CAPASSO
È un segnale preciso che dà il senso che anche lo stato c’è e si fa sentire contro la camorra. La Regione e il Comune si sono infatti costitute
parte civile nel processo per l’omicidio di Attilio Romanò, vittima innocente delle sanguinosa faida di camorra tra i Di Lauro e gli scissionisti.
Cosimo Di Lauro, Mario Buono e Marco Di Lauro, latitante, sono stati
rinviati a giudizio in Corte d'Assise, così come aveva chiesto la Dda di
Napoli. Il provvedimento d'arresto fu firmato dal giudice per le indagini
preliminari presso il Tribunale di Napoli, Francesco Cananzi per il delitto avvenuto il 24 gennaio 2005. Ad eseguirlo i carabinieri del Comando
Provinciale e del Ros di Napoli. Nel corso del lavoro investigativo, coordinato dalla Procura Distrettuale Antimafia partenopea, i militari hanno
potuto chiarire che l'omicidio avvenne nell'ambito delle vendette trasversali messe in atto durante lo scontro tra il clan camorristico dei Di
Lauro e gli “scissionisti”, capeggiati dai boss Amato-Pagano. Infatti, la
vittima designata avrebbe dovuto essere l'altro titolare del negozio di
telefonia, Salvatore Luise, nipote del boss Salvatore Pariante, per anni fedelissimo e personaggio di spicco della cosca di “Ciruzzo ‘o milionario”,
nei cui confronti era stata sentenziata una condanna a morte, colpevole di essere passato con gli “scissionisti”. L'uomo si era appena allontanato dal negozio. Il killer, identificato nel ventenne, all'epoca, Mario Buono, che entrò in azione intorno alle 13, sparò contro la prima persona che
si era trovato di fronte nell'esercizio commerciale di via Napoli a Capodimonte: appunto Attilio Romanò. Il sicario, in pratica, non si era neanche assicurato di conoscere bene le fattezze fisiche della persona che
avrebbe dovuto eliminare. Quattro i colpi esplosi contro il gestore del locale. Tre lo raggiunsero al capo, l'altro alla spalla destra. Essendo una
persona sconosciuta alle forze dell'ordine, ed essendo stata escluso che
l'uomo fosse stato ammazzato durante una rapina, i militari accertarono, fin dalle prime fasi investigative, che dietro l'assassinio potesse esserci la mano della camorra, pur essendo risultato Attilio Romanò del
tutto estraneo alle dinamiche criminali che a quel tempo stavano interessando i quartieri di Scampia e Secondigliano, dove in pochi mesi, dal
settembre 2004 al febbraio dell'anno successivo si contarono una sessantina di morti ammazzati, tra affiliati ai due clan, loro parenti e vittime innocenti. Faida che ha subito più riprese nel tempo, per la gestione delle numerose piazze di spaccio in queste due aree a nord di Napoli. Nel provvedimento viene menzionata, come altra vittima innocente del sanguinario scontro Gelsomina Verde, come Attilio Romanò, estraneo ad ogni coinvolgimento riguardante fatti di camorra. Ma in una guerra di camorra, una guerra sporca a volte non è risparmiato nessuno e
così è stato per il povero Romanò: la sua unica colpa quella di trovarsi
al posto sbagliato nel momento sbagliato. Ma la giustizia farà il suo corso.
«Ecco da chi partì l’ordine
per la mattanza a Scampia»
Cosimo Di Lauro nel giorno del suo arresto: sotto processo per omicidio
LA DECISIONE
Le sue dichiarazioni, spontanee, hanno consentito di riaprire le
indagini sull'omicidio Romanò (nella foto). È l'ennesimo, ultimo
in ordine cronologico, collaboratore di giustizia. Carlo Capasso
non aveva ancora 17 anni quando entrò a fare parte del clan Di
Lauro, ed era uno del «gruppo dei ragazzi» che si era legato a
Marco Di Lauro, fratello di Cosimo, e diventato reggente della
cosca dopo il suo arresto. Tra i tanti retroscena svelati ad
investigatori ed inquirenti, il giovane, oggi ventiduenne, anche la
ricostruzione dell'agguato in cui venne ucciso Attilio Romanò.
«Era il 24 gennaio 2005: mi ricordo che ci trovavamo in un
appartamento - ha spiegato il ragazzo - localizzato vicino un bar,
all'interno del Terzo mondo.
C'erano anche Mario Buono (il
killer, ndr) Giuseppe Pica
(deceduto, bdr) ed Enzo
Lombardi, che erano in
possesso di un foglietto, lasciato
loro da Cosimo Di Lauro.
Dissero che bisognava uccidere
un parente di Salvatore
Pariante». Mario Buono, in
compagnia di un'altra persona,
furono inviati per localizzare il
centro di telefonia sulla quattro
vie. Uno degli accompagnatori
avrebbe dovuto indicare la persona da uccidere a Mario Buono.
«Dopo 10-15 minuti - ha detto ancora il collaboratore di giustizia Mario Buono e gli altri tornarono ed iniziarono ad organizzarsi
per commettere l'omicidio». Uno dei presenti alla riunione, Ciro
Maisto (morto, ndr) precisò «che di fronte al negozio dove
lavorava la futura vittima vi era un vicolo chiuso da alcuni paletti,
vicolo che conduceva diritto alla Masseria Cardone. Per questo
motivo consigliò di lasciare il ciclomotore all'interno della
Masseria Cardone, di percorrere la stradina, di commettere
l'omicidio e di ritornare al mezzo percorrendo sempre lo stesso
vicolo. Mario Buono ed Enzo Lombardi scesero dall'appartamento
per uccidere la persona».
IL RIESAME ANNULLA L’ARRESTO DI VINCENZO E PASQUALE SIBILLO, PADRE E FIGLIO
Droga e armi a Forcella, liberi in due
L’ordinanza è stata annullata e in due sono tornati liberi nonostante l’accusa
di essere due custodi di armi e di droga per conto della camorra di Forcella. Così il Riesame ha scarcerato Vincenzo Sibillo, 44 anni e il figlio Pasquale
di 19 anni, mentre un parente di 15 anni resta in carcere. Lui si è autoaccusato di essere il custode di quelle armi. A difedenre i due è stato l’avvocato Riccardo Ferone che ha dimostrato l’estraneità ai fatti di padre e figlio i quali, secondo l’accusa erano stati trovati in possesso di due pistole
pronte per l’uso. L’operazione fu portata a termine dalla Squadra Mobile di
Napoli, a Forcella, rione da giorni balzato alla ribalta della cronaca per le
frequenti sparatorie tra i gruppi di camorra. I Falchi, diretti da Fulvio Filocamo, hanno preso i tre al termine di una serrata ed estesa attività di prevenzione, avviata dagli uomini della Mobile, in seguito alla nuova fase di recrudescenza degli episodi di criminalità scoppiata di recente in questo rio-
ne. L'attività ha consentito alla Squadra Mobile di individuare un'abitazione , in vico Santi Filippo e Giacomo, occupato dai Sibillo, dove sono state rinvenute armi e munizioni, nascoste, forse utilizzate nei diversi raid verificatesi negli ultimi giorni ma per confermarlo si resta in attesa degli esami balistici. Secondo le indagini della Squadra Mobile sarebbe emerso che
padre e figlio, oltre al ruolo di custodi dell'arsenale, all'occorrenza ricoprivano anche ruoli operativi per conto della cosca dei Mazzarella. Continguità malavitosa della quale però non c'è alcuna conferma. Martedì pomeriggio i falchi hanno intercettato il 44enne che aveva appena lasciato la sua
abitazione, per vico Santi Filippo e Giacomo, dove c'era Pasquale ad aspettarlo. Lo scopo era quello di scongiurare eventuali rappresaglie della fazione avversa, gli investigatori li avrebbero individuati negli Stolder, che ben
conosceva il loro domicilio e avrebbe potuto tendere loro un'imboscata.
SANTA LUCIA PER QUESTO REATO IL RIESAME LO SCARCERÒ MA SONO STATI RACCOLTI ALTRI ELEMENTI PROBATORI
LA PROTESTA OGGI IL SAVIP A MONTECITORIO
Nuove prove contro di lui: torna in galera Pasquale Sesso
Vigilanti senza posto, è polemica
Era finito in carcere i primi di luglio e poi il 12
maggio assieme al fratello, personaggio più noto
del Pallonetto di Santa Lucia, il quale si era preso
ogni responsabilità dell'attività illecita
scagionandolo e facendolo scarcerare. Ma il primo
luglio gli stessi carabinieri, quelli della compagnia
Centro lo sorpresero di nuovo mentre assieme ad
altri tre pregiudicati della zona gestiva la stessa
“piazza” di cocaina di via Egiziaca a Pizzofalcone,
quella controllata dal narcos Ivan Rizzo. Così le manette,
scattarono di nuovo per il 31enne Pasquale Sesso, residente al
Supportico D’Astuti per Antonietta Di Napoli residente in via
Egiziaca a Pizzofalcone. L’accusa per tutti era di spaccio di
stupefacente in concorso. Questo almeno il quadro
iniziale tratteggiato dalla forze dell'ordine. Ma
qualcosa strada facendo è cambiata. Poi Pasquale
Sesso fu scarcerato dal Tribunale del Riesame su
istanza dell'avvocato Mario Bruno. Ieri un altro
colpo di scena: i carabinieri della compagnia
Centro, diretti dal capitano Melissa Sipala, sono
andati nuovamente ad arrestarlo. Questo perché
sono stati acquisiti dei nuovi elementi. La Di Napoli
ha invece ottenuto gli arresti domiciliari. Nel corso dell'attività
info-investigativa i militari dell’Arma sorpresero i quattro narcos
mentre spacciavano “bombette” di cocaina numerosi
tossicodipendenti.
Circa 300 lavoratori rimasti senza lavoro a seguito del ritiro delle
licenze prefettizie da parte del Prefetto di Napoli per i provvedimenti
assunti nei confronti del titolare delle stesse. «La verità è che così si
lascia campo libero all’illegalità: quale lavoratore della vigilanza
privata denunzierà più le irregolarità della sua azienda sapendo che,
in caso di ritiro della licenza, rischia di restare senza lavoro? È questa
la sorte toccata, dall’oggi al domani, ai 300 incolpevoli operatori della
vigilanza, scontratisi con il muro di indifferenza di una burocrazia
sorda e per certi versi incapace di regolare anche fenomeni “ordinari”
di gestione delle licenze di polizia. È per questo che il Savip indice,
per oggi, dalle ore 10 un sit-in di protesta a piazza Montecitorio,
sperando che dal Parlamento si alzino le voci necessarie per
sollecitare il Ministro dell’Interno e le sue burocrazie territoriali.