13 novembre 2014 21.00 «Il Giudizio Universale
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13 novembre 2014 21.00 «Il Giudizio Universale
Dalle Parole della Fede all’Immagine della Fede L.: Dalla Prima Lettera di San Pietro Apostolo. 1 Pietro 4, 7 - 11 La fine di tutte le cose è vicina; siate dunque moderati e sobri per dedicarvi alla preghiera. 8 Soprattutto, abbiate amore intenso gli uni per gli altri, perché l’amore copre una gran quantità di peccati. 9 Siate ospitali gli uni verso gli altri senza mormorare. 10 Come buoni amministratori della svariata grazia di Dio, ciascuno, secondo il dono che ha ricevuto, lo metta a servizio degli altri. 11 Se uno parla, lo faccia come si annunciano gli oracoli di Dio; se uno compie un servizio, lo faccia come si compie un servizio mediante la forza che Dio fornisce, affinché in ogni cosa sia glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo, al quale appartengono la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen. 7 La Parola interpella la Vita LA VITA DI BENEDETTO ANTELAMI Benedetto Antelami (Val d’Intelvi, 1150 circa - 1230 circa) è stato uno scultore e architetto italiano. Attivo prevalentemente a Parma è uno dei pochi artisti di rilievo del XII - XIII secolo dei quali ci sia giunto il nome; egli costituisce insieme a Nicola Pisano una delle personalità (quella di Benedetto in anticipo rispetto a Nicola) che contribuirono alla diffusione della cultura gotica in Italia e alla sua rielaborazione in chiave classica. Formatosi all’interno della corporazione di lapicidi e architetti detti Magistri Antelami (pronuncia Antèlami), fu attivo solo nell’area di Parma dal settimo decennio del XII secolo al secondo o terzo decennio del XIII secolo. La ricostruzione dei dati biografici dell’Antelami, la sua origine, la formazione artistica e le vicende professionali che lo avrebbero visto operare come scultore e come architetto, si appunta sulle uniche due iscrizioni datate che l’artista ha lasciato, quella del 1178 sulla Deposizione della cattedrale di Parma (Benedictus Antelami dictus) e quella del 1196 sull’architrave del portale nord del battistero della stessa città (Benedictus), oltre che sul confronto critico delle opere parmensi autografe con altre sculture di area emiliana e francese. Egli doveva essere a conoscenza, oltre che della scultura e dell’architettura romanica dell’Italia settentrionale, anche degli sviluppi artistici di area francese per le evidenti connessioni stilistiche con i portali della cattedrale di Chartres o con la porta Sainte-Anne della cattedrale di NotreDame a Parigi. Si è ipotizzata una sua presenza in qualità di apprendista nel cantiere per il chiostro della chiesa di Saint-Trophime ad Arles. Oltre alle prime esperienze gotiche della Francia, Benedetto trattiene, tra quanto può aver visto nelle province dell’impero romano, quanto doveva derivare dall’epoca augustea o adrianea, gli archi di trionfo, a Orange, o a Arles, capaci di trasmettere la forza dell’autorità in modo sublimato, di contenere le tensioni dinamiche all’interno di un composto e distaccato linearismo. Un simile riferimento culturale, innovativo nel panorama romanico dominato dalle scuole di Wiligelmo e Nicolò, non poteva che essere consapevole e doveva rientrare nell’ambito delle esigenze comunicative della committenza. Oltre alle opere parmensi firmate, si attribuiscono all’Antelami un pulpito per la cattedrale di Genova, possibile opera giovanile di cui restano due leoni stilofori reimpiegati in facciata, la ricostruzione della zona occidentale del duomo di Fidenza, importante chiesa di passaggio sulla strada dei pellegrinaggi verso Roma, benché l’entità dell’intervento della bottega antelamica non sia chiaramente definita, la serie scultorea frammentaria destinata originariamente al duomo di Parma e attualmente in parte reimpiegata nel battistero. A Parma come a Fidenza Antelami operò come caput magister, una delle formule con le quali si indicavano gli architetti nei documenti medievali. Dubbia è la sua presenza durante i lavori per la chiesa di Sant’Andrea (Vercelli) che, legata stilisticamente al gotico renano e lombardo, sembra estranea alla cultura dell’Antelami. La prima opera documentata è il bassorilievo con la Deposizione dalla croce, datata 1178, parte della decorazione di un pontile, o di un pulpito, che si trovava nel duomo di Parma e che doveva rientrare nell’ambito di un più vasto programma di decorazione dell’abside insieme alla cattedra episcopale, programma di difficoltosa lettura a causa di manomissioni intervenute nel XVI secolo. In quest’opera, oggi collocata alla destra del transetto, sono incisi il nome dell’autore e la data: «ANNO MILLENO CENTENO SEPTVAGENO OCTAVO SCVLTOR PAT(RA)VITM(EN)SE SE(C)V(N)DO ANTELAMI DICTVS / SCVLPTOR FVIT HIC BENEDICTVS». Nell’anno 1178 (mese di aprile) uno scultore realizzò (quest’opera); questo scultore fu Benedetto detto Antelami. Il bassorilievo raffigura il momento nel quale il corpo di Cristo viene calato dalla croce, con vari elementi tratti dall’iconografia canonica della Crocifissione (i soldati romani che maneggiano la veste di Cristo, le personificazioni dell’Ecclesia e della Sinagoga, ecc.) e della Resurrezione (le tre Marie). Si possono leggere in questo lavoro già maturo i principali riferimenti culturali di Benedetto: la cultura del primo gotico francese nella forma delle figure, derivata dalle statue-colonna, le iconografie e i partiti decorativi di origine classica nella personificazione del sole e della luna (due teste umane inserite in ghirlande) e nelle rosette che ornano il bordo superiore. Classico è anche l’ornato a racemi della fascia che orla la composizione eseguito con la tecnica orientale della niellatura. Una maggiore attenzione al dato reale allontana le forme di Benedetto dalle figure di Wiligelmo e dalla tradizione del romanico, spingendole ulteriormente nella direzione di una apertura al gotico. La capacità compositiva mantiene il movimento e il ritmo della scena entro equilibri adatti ad una espressione composta del dolore. L’impressione di spazialità data dai due piani sovrapposti sui quali sono posti i soldati che tirano a sorte le vesti è il primo esempio del genere in Italia. Nel programma di decorazione del presbiterio rientrava anche la cattedra episcopale che ribadisce la complementarità di architettura e scultura tipica dell’opera dell’Antelami: sui fianchi che chiudono il sedile sono rappresentate la Conversione di San Paolo e il San Giorgio che uccide il drago, due telamoni sotto i braccioli mantengono una certa tensione romanica nell’adattamento della forma alla funzione e si alzano sulle teste dei due mastini che reggono sul dorso le lastre a bassorilievo concluse superiormente da due leoni anch’essi contenuti entro i limiti geometrici dell’opera. Tra il 1180 e il 1190 (negli anni non documentati che intercorrono tra i lavori per il duomo e quelli il battistero di Parma) viene collocato l’intervento a Borgo San Donnino (Fidenza). Con l’aiuto della bottega Benedetto ristruttura la parte occidentale del duomo modellando la facciata con tre ingressi e sistemando due campanili ai lati secondo una tipologia altomedievale già ripresa nel gotico del nord della Francia (Laon). Dalla Provenza deriva invece il fregio continuo, ma interrotto da interventi successivi, che avrebbe dovuto unire i portali e le torri. L’apparato decorativo, incentrato sul tema del pellegrinaggio, esteso a quasi tutta la facciata della cattedrale, opera in gran parte di un collaboratore, presenta in una serie di bassorilievi le Storie di San Donnino, l’Eterno ed i Profeti sull’arcata del frontespizio, il profeta Enoc, Ercole e il leone nemeo, Erode, la Cavalcata dei Magi e il Viaggio L’Arte della Preghiera PREGHIERA SUL GIUDIZIO FINALE DI GILBERT KEITH CHESTERTON T.: O Gesù, mia speranza, grazie perché mi confermi che sarai tu a venire quando questo mondo passerà. Liberami dalla vuota curiosità di voler sapere quando avverrà; il Vangelo non è un calcolatore che mi fissa data e ora. Il Vangelo sei tu e Tu sei il mio Dio nella Gloria che attende e che attendo per un abbraccio d’amore eterno. Libera la mia vita «dall’idolatria delle cose intermedie che fanno dimenticare le ultime» e aiutami a prepararmi con gioia all’incontro con Te, mio Dio, mio Tutto. Amen. I numeri segnati sul grafico si riferiscono ai personaggi e alle scene delle zone che decorano la cupola del Battistero. GLI APOSTOLI 1 Angelo, simbolo dell’Evangelista Matteo - 2 Simbolo dell’Evangelista - 3 Paolo - 4 Taddeo - 5 Tommaso - 6 Simone - 7 Barnaba - 8 Bartolomeo - 9 Simbolo dell’Evangelista - 10 Simbolo dell’Evangelista - 11 Filippo - 12 Giacomo maggiore - 13 Matteo - 14 Giacomo minore - 15 Andrea - 16 Pietro. IL CRISTO E I PROFETI 1 Il Redentore - 2 Il Battista - 3 Isaia - 4 Geremia - 5 Davide - 6 Salomone - 7 Ezechiele 8 Osea - 9 Daniele - 10 Amos - 11 Abdia - 12 Mosè - 13 Balaam - 14 Abacue 15 Giovanni Evangelista - 16 La Vergine VITA DEL BATTISTA 1 Annunzio a Zaccaria e a Elisabetta - 2 Sant’Ambrogio e Sant’Agostino 3 Natività del Battista - 4 L’Angelo conduce al deserto il Battista fanciullo 5 Il Battista predica al deserto - 6 San Gregorio e San Gerolamo 7 il Battista battezza lungo il Giordano - 8 Il Battista indica Gesù al popolo 9 Battesimo di Cristo - 10 San Martino e San Silvestro 11 Il Battista davanti a Erode - 12 Discepoli del Battista incarcerato si allontanano 13 Miracoli di Gesù dinanzi ai discepoli del Battista - 14 Discepoli di Giovanni 15 Martirio del Battista - 16 Banchetto di Erode. CICLO DI ABRAMO 2 La distribuzione di Sodoma - 4 Banchetto dei tre Angeli presso Abramo 6 Comparsa dei tre Angeli ad Abramo - 8 Sacrificio di Isacco 10 Incontro di Abramo con Melchisedek - 12 Gruppo di guerrieri che cattura due prigionieri 14 Gruppo di cavalieri all’inseguimento di altri cavalieri - 16 Fuga di Lot da Sodoma. aprì le porte alla diffusione in tutta l’Europa del testo, convertito a sua volta anche in lingue volgari. Il più antico manoscritto che ce la tramanda è del 1021 ed è conservato a Kiev; il suo parente più stretto è al Monte Athos; l’altro del 1064 è ad Oxford. Il racconto, giunto in Occidente nell’XI secolo ed attribuito a Giovanni Damasceno, conobbe una rapida diffusione e venne ritenuto storico, tanto che i nomi di Barlaam e di Iosafat vennero inseriti nel Martirologio Romano al 27 novembre. Narra del principe indiano Iosafat al cui padre, pagano, viene predetto che si convertirà al cristianesimo: Iosafat viene quindi tenuto lontano dalle miserie del mondo, in mezzo al lusso ed ai piaceri, ma ciò non gli impedisce di prendere coscienza delle miserie della vita umana (conosce la malattia, la vecchiaia e la morte). Il giovane viene quindi convertito dal santo eremita Barlaam e, divenuto eremita egli stesso, converte al cristianesimo il padre ed i sudditi. La storia venne in realtà ricalcata sul modello della vicenda della conversione del Buddha (il nome sanscrito Bodhisattva si trasformò in Budasaf e poi in Iosafat; dal nome dell’eremita Balahuar, sdoppiamento del Buddha stesso, si arrivò al nome di Barlaam): venne tradotta in greco e poi in latino, quindi in numerose lingue volgari. Divenne tanto popolare da essere inclusa da Jacopo da Varagine nella sua Legenda Aurea e da ispirare alcune opere di Bernardo Pulci e di Lope de Vega, oltre a numerose opere scultoree, come quella nel Battistero di Parma di Benedetto Antelami. Il Portale della Vergine - NORD La porta Nord (che si apre su piazza Duomo) era la porta da cui entrava il Clero. Sotto l’architrave si trovano le iscrizioni: «INCEPIT DICTUS OPUS HOC SCULTOR BENEDICTUS»; «BIS BINIS DEMPTIS ANNIS DE MILLE DUCENTIS» («Tolti due volte due anni ai 1200, lo scultore Benedetto diede inizio a questa opera»). La lunetta rappresenta la Santa Vergine, con in braccio Gesù. A sinistra di chi guarda si trovano i Re Magi, guidati dall’Angelo, in adorazione. A destra di chi guarda San Giuseppe che in sogno viene consigliato dall’Angelo di fuggire in Egitto. Nel fregio sono rappresentati i dodici apostoli che portano in mano i medaglioni rappresentanti i Profeti. Sotto la lunetta, nell’architrave, vengono rappresentate le vicende salienti della vita di San Giovanni Battista, dal Battesimo di Gesù, al Banchetto d’Erode, nel corso del quale Salomé chiede la sua testa, alla decapitazione. Negli stipiti della porta si snoda la genealogia di Cristo (da Giacobbe a Mosè) da un lato e la genealogia di Maria dall’altro. Nelle nicchie ai lati della porta, si trovano le statue a est di Davide e di Giacobbe (portatori della profezia messianica) e a ovest di Salomone e della Regina di Saba (rappresenta i popoli lontani venuti a portare doni al Re). dei pellegrini, la Consacrazione del vescovo di Fidenza e altre raffigurazioni simboliche. Due statue a tutto tondo del Re Davide e del profeta Ezechiele vengono poste entro nicchie accanto al portale centrale: questa ripresa della scultura a tutto tondo entro nicchie non ha precedenti immediati e giunge direttamente dall’epoca tardo-antica. Tra il 1196 e il 1216, anno in cui l’edificio risulta officiato ma non terminato, Benedetto lavorò al battistero di Parma in qualità di architetto e scultore. L’inizio dei lavori nel 1196 è attestato da quanto riportato sull’architrave del portale nord: BIS BINI DEMPTIS / ANNIS DE MILLE DUCENTIS // INCEPIT DICTUS / OPUS HOC SCULTOR BENEDICTUS. Tolti quattro anni (due volte due) al 1200 lo scultore Benedetto iniziò questa opera. L’opera è una ripresa consapevole dell’architettura antica, dai battisteri paleocristiani alle esedre termali romane. Senza precedenti è lo sviluppo in altezza, come se si trattasse di una torre ottagonale tronca. La superficie esterna è decorata da un complesso schema, con pieni e vuoti che ritmano effetti di chiaroscuro. Al pian terreno, su tre facciate, si aprono portali strombati con archi a tutto sesto, richiamati sugli altri lati da archi ciechi animati da coppie di semicolonne in una collocazione insolita, che concorre ad avvicinare i portali al ritmo degli archi di trionfo romani, piuttosto che all’esuberanza dei portali gotici francesi. Sempre all’esterno i quattro registri superiori sono costituiti da loggette architravate, interrotte in corrispondenza dei contrafforti sugli angoli. L’ultima fascia è decorata da archetti ciechi di dimensione sfasata rispetto alle loggette sottostanti. All’interno il battistero è scandito da 16 arcate (ad ogni lato esterno ne corrispondono tre interni) con altrettante nicchie; la cupola risale al più tardo intervento dei Maestri campionesi. Il progetto decorativo originario doveva sicuramente riguardare i tre portali esterni e le corrispondenti lunette all’interno dell’edificio, e fu verosimilmente realizzato da Benedetto con l’aiuto di pochi collaboratori. I tre portali esterni, detti Portale della Madonna, Portale del Giudizio e Portale della Vita alludono alla salvezza umana tramite il Battesimo, ma a ciascuno viene riservata una decorazione studiata secondo la funzione del portale. All’interno le lunette dei portali raffigurano episodi biblici: Fuga in Egitto, Presentazione al tempio, Re Davide che suona l’arpa. I riferimenti figurativi sono le lunette e le statue-colonna della facciata occidentale di Chartres, la porta Sainte-Anne di Notre-Dame a Parigi; il rilievo con la Resurrezione dei morti nell’architrave del portale ovest è una novità iconografica nel tema degli eletti che sorgono dai sepolcri; una evocazione dell’antico, dai rilievi dei sarcofagi o dagli archi di trionfo, è presente nella lunetta con Barlaam. Le memorie figurative dell’Antelami si uniscono in una rielaborazione che riesce infine ad umanizzarle per una maggiore attenzione ai dati realistici e sentimentali cui si aggiungono gli aspetti narrativi delle lunette interne. Le restanti sculture all’esterno del Battistero, trovarono verosimilmente una collocazione in epoca successiva rispetto all’intervento dell’Antelami benché non si dubiti della loro attribuzione al maestro (Regina di Saba, Salomone e i Profeti). Sulle pareti esterne del livello inferiore corre uno zooforo, una serie di formelle (settantacinque o settantanove) eseguite probabilmente dal maestro stesso. Le formelle rappresentano il fantastico nella scultura: animali di varia natura, sirene e i segni dello zodiaco, rappresentati dietro figure di uomini al lavoro nei campi, durante le varie stagioni. All’interno del battistero sono collocate le sculture, solo in parte autografe, appartenenti ad un ciclo pressoché completo, raffigurante i mesi e le stagioni: le figure allegoriche sono appoggiate su lastre e dovevano prendere posto su un portale destinato alla cattedrale, similmente a quanto realizzato da un collaboratore dell’Antelami nel protiro del duomo di Cremona. Il lavoro venne interrotto, forse a causa della morte di Antelami, o per un suo allontanamento dal cantiere. Pur non potendosi escludere gli interventi della bottega, il Portale dei mesi e delle stagioni è unanimemente riconosciuto come il capolavoro di Antelami, il lavoro nel quale profuse una sintesi della sua concezione della rappresentazione dell’uomo e nel quale raggiunse l’apice della sua raffinatezza esecutiva. Vi sono raffigurati uomini occupati in lavori agricoli stagionali, un tema già presente dal secolo precedente (per esempio al duomo di Modena) dove si dà un significato nobilitante e salvifico al lavoro, secondo la nuova dottrina teologica che non lo vede più come maledizione divina. In queste rappresentazioni, Antelami e la sua bottega profusero una straordinaria cura nei particolari, con un’attenta descrizione degli utensili, delle piante, dei frutti, ecc., tutti scolpiti secondo un realistico naturalismo. La parabola della vigna La Fede nell’Arte IL PORTALE OVEST: IL GIUDIZIO UNIVERSALE Il bimbo della prima ora Per la stretta fusione di scultura e di architettura, propria solo all’Antelami, il Battistero di Parma rappresenta una delle maggiori imprese del Duecento italiano e si colloca all’inizio del secolo come opera colta, che riecheggia le più recenti tendenze culturali europee. Di pianta ottagonale all’esterno e decaesagonale all’interno, il Battistero è coperto da una cupola a vele non visibile all’esterno, eseguita più tardi probabilmente tra il 1260 e il 1270, da maestranze campionesi. All’esterno, all’alto basamento con archi ciechi, colonne addossate e tre portali, segue una quadruplice serie di logge architravate, che danno a tutto l’edificio una insistita orizzontalità e insieme un senso di slanciata leggerezza. Imponente appare il programma scultoreo del Battistero, che comprende la decorazione dei tre portali esterni e all’interno delle quattro lunette e la serie di Mesi e Stagioni; infine, ancora all’esterno, altre tre coppie di statue e una fascia zodiacale. Già la distribuzione delle parti scolpite nei tre portali esterni rappresenta una novità rispetto alla tradizione romanica perché mette in evidenza, come nei portali francesi, lo stretto collegamento iconografico tra lunetta, architrave e archivolto, cui s’aggiungono anche gli stipiti scolpiti, come già nella tradizione romanica. La lunetta con la Vergine ed il Bambino al centro e ai lati il Sogno di Giuseppe e l’Adorazione dei Magi, reca nell’architrave le Storie del Battista, nell’archivolto dodici Profeti e I due ragazzi Il Portale della Vita - SUD Di particolare interesse, per la sua «singolarità», è il portale meridionale, noto come «il portale della vita». E, ancor più sulla lunetta. «Al centro è raffigurato un albero carico di frutti, tra le cui fronde sta una figura umana (un fanciullo?) che porta alla bocca del miele preso da un alveare. Ai piedi dell’albero, vi sono due animali che sembrano roderne il tronco, e dietro ad esso un drago che si volge verso l’uomo vomitando fiamme dalle fauci spalancate. Ai lati di questo insieme, che occupa circa un terzo della lunetta, sono iscritte entro medaglioni, alla sinistra di chi guarda una figura maschile ritta su una biga tirata da una coppia di cavalli, alla destra una figura femminile ritta anch’essa su una biga trainata però da due buoi. Attorno a questo medaglione vi sono quattro figure di fanciulli, le due in basso vestite, e le altre nude, con degli strumenti in mano (probabilmente trombe nelle figure superiori di cui una è andata perdute; faci o leve nelle inferiori). Le figure sui carri che incitano i cavalli e i buoi e hanno l’una in mano una sferza, l’altra un’asta, sono con ogni verosimiglianza rispettivamente Apollo e Diana. Dietro il capo della prima vi è infatti il disco solare e dietro quello della seconda la luna falcata. In due medaglioni minori sovrapposti agli altri le loro figure sono ripetute a mezzo busto in atteggiamento di riposo e affiancate rispettivamente dalla testa di un cavallo e di un bue» (Alberto Siclari, «L’apologo del Barlaam e Joasaph e la letteratura agiografica degli exempla», in Il Battistero di Parma: iconografia, iconologia, fonti letterarie, a cura di G. Schianchi, pag. 351). Barlaam e Joasaph, anticamente venerati come santi cristiani, sono i protagonisti di un romanzo agiografico, popolarissimo in età medievale, ispirato alla vicenda della conversione del Buddha. La leggenda del Buddha venne conosciuta dai cristiani nell’Iran orientale e nell’Asia centrale dove i cristiani vivevano a contatto con i buddisti, con i mazdeisti e i manichei, grazie anche alla diffusione di qualche testo scritto come il Lalitavistara. La prima redazione del testo, risalente presumibilmente al VI secolo, fu scritta in lingua iranica pahlavica, quindi venne tradotto in siriaco e in arabo e da queste derivarono molte altre traduzioni, a partire dal greco. La successiva traduzione in latino, E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna”» (Mt 25, 34 - 46). Protagonista del racconto per immagini di Benedetto Antelami è il Beatus. Il Beatus è naturalmente l’uomo caritatevole, il buon samaritano che si è chinato sulle sofferenze del suo prossimo e ha perciò meritato la beatitudine eterna. Ma il Beatus ha anche la fisionomia del Cristo matteano che insegna la misericordia come chiave della salvezza nell’ultimo giudizio. Nei diversi riquadri vediamo il Beatus che accoglie calorosamente lo straniero che veste la tunica e porta in mano il bordone del pellegrino (Peregrinis hostia pandas), lava i piedi al malato impedito (cum multa cura lavat hic egro sua cura), offre una ciotola di cibo alla coppia affamata (escam larga manus hec porrigit esurienti), porge un bicchiere d’acqua all’assetato (hic quod quesierat sicienti pocula prestat), porta dei doni ad un carcerato con le catene ai piedi (non spernens lapsus venit hic ad carcere clausum) ed infine aiuta un povero ignudo a indossare una tunica (est hic nudatus quem vult vestire beatus). La parabola della vigna Le «vignette» del piedritto destro illustrano la parabola di Gesù raccontata nel Vangelo di Matteo. «Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”. Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e da’ loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi”» (Mt 20, 1 - 16). Antelami trascrive sul marmo questa parabola puntando a trasmettere l’idea diffusa nell’esegesi medievale - che ogni età della vita è buona per incontrare Dio, grazie al Battesimo, ed entrare così nel suo Regno (la vigna del Signore). Le scritte in alto e in basso spiegano chi siano i soggetti della parabola (il pater familias e gli operarii) e l’ambiente nel quale si svolge (la vineam domini sabaot). Nella diverse scene, incorniciate da tralci carichi di grappoli d’uva matura, il Signore incontra nelle diverse ore del giorno prima un bambino (primam mane infanciam / prima etas seculi), poi due fanciulli con falcetto e vanga (hora tercia puericia / secunda etas), una coppia di adolescenti (sexta adulescencia / tercia etas), un giovane con falcetto e zappa sulla spalla (nona iuventus /quarta etas), un adulto con la zappa (unde gravitas / quinta etas) ed infine un operaio anziano appoggiato alla sua zappa (cima senectus / sexta etas). Nell’ultima scena in alto tutti gli operai fanno la fila davanti al pater familias per ricevere lo stesso compenso (fuor di metafora, la salvezza del regno di Dio). Le opere di carità verso gli ignudi, i carcerati e gli assetati Beatus accoglie il pellegrino Dar da mangiare agli affamati negli stipiti del portale la Genealogia di Giacobbe e Iesse. Domina in ogni parte una limpida distribuzione dei temi, con ritmi spaziali evidenti e pur non rigidi, con variazioni sapienti che evitano ripetizioni e schematismi. È questa sapienza compositiva che richiama le lunette del primo gotico francese. In questi rilievi le rispondenze tra i gruppi, sei in ciascun stipite, i morbidi e pur stilizzati tralci della vite che includono le piccole scene della parabola basterebbero da soli a dare la misura della genialità antelamica; ma soprattutto è da sottolineare la straordinaria capacità di esprimere in sintesi il significato di un gesto o l’identità di un personaggio e dunque il nuovo interesse verso un’umanità più differenziata sentimentalmente e realisticamente. Questo processo di umanizzazione proprio del gotico si avverte anche nel tono narrativo delle lunette interne. Il Portale del Redentore o del Giudizio finale - OVEST Il portale del Redentore, che è poi la principale porta d’accesso al Battistero, spiega ai catecumeni parmensi con la forza delle immagini i modi per salvarsi e guadagnarsi il Regno di Dio. I messaggi trasmessi dalle immagini sono tre: praticare le opere di misericordia corporale (piedritto sinistro), cercare la salvezza in tutte le età della vita, come insegna la parabola della vigna (piedritto destro), prepararsi al giudizio finale e al regno dei cieli (lunetta e architrave). Era la porta principale da cui entrava il popolo, venuto ad assistere al Battesimo. Si continua la narrazione sul Battesimo e la Salvezza. La lunetta che sovrasta il portale rappresenta il «Giudizio Universale» nel momento del ritorno del Redentore che, come giudice siede sul trono, collocato su una superficie ondulata che simbolizza le nuvole. Il suo sacrificio per la salvezza degli uomini è testimoniato dalle mani sollevate che ostentano il foro dei chiodi e dal mettere in mostra le piaghe della Passione (il costato). Alla Sua destra due angeli sostengono la Croce (verdeggiante e germogliante, simbolo di «lignum vitae») e un terzo vi pone la corona di spine, segno della corona di Gloria, proteggendoli con veli di lino in segno di rispetto. Alla Sua sinistra altri tre angeli portano una lancia, l’asta con la spugna e la Sindone a ricordare la Passione e in un angolo San Paolo. Nell’archivolto sono raffigurati gli Apostoli identificati dai nomi incisi sul marmo: Pietro e Andrea (i primi in basso a sinistra) fino a Simone e Mattia. Nell’Architrave due angeli, con la tromba, chiamano a raccolta i defunti: da una parte gli eletti, dall’altra i dannati. L’ambiente del Paradiso è reso con i due alberi dell’Eden (sui cui rami siedono gli apostoli) e con il frutto dell’albero della vita. Quattro angeli (due in alto, tra gli apostoli, e due al centro dell’architrave) suonano le loro trombe, rivolti ai quattro angoli del mondo. Risvegliati dal suono delle trombe, i morti escono dai loro sepolcri (posti agli estremi dell’architrave e che rappresenta una novità iconografica rispetto ai Giudizi precedenti) e formano due cortei. I tituli sul margine superiore dell’architrave, tratti dalla Vulgata di Matteo, dicono Surgite defuncti rectorem cernite mundi e Vos qui dormitis iam surgite nuncius in quid: sono l’invito a risvegliarsi dal sonno della morte e ad accogliere il giudizio di colui che regge il mondo. I due cortei in marcia, entrambi formati da figurine nude, si distinguono però per il diverso atteggiamento dei risorti. Il gruppo di sinistra procede esultante con le mani rivolte al cielo e con gesti di lode e di preghiera. Si tratta del gruppo dei beati. Il gruppo di destra procede a pugni chiusi, coprendosi le nudità, esprimendo rabbia, sconforto e desolazione. Si tratta del gruppo dei dannati. Negli stipiti è indicato il comportamento che il Buon cristiano deve tenere per potere raggiungere il Paradiso. Nello stipite di sinistra sono raffigurate le opere di Misericordia. Nello stipite di destra è raccontata la Parabola della Vigna. Ancora una volta la narrazione iniziata all’esterno, prosegue all’interno dove, nella lunetta corrispondente troviamo raffigurato Re David che suona il Salterio, circondato da danzatori, simbolo del regno degli eletti felici Le opere di carità Le immagini illustrate nel piedritto di sinistra descrivono le opere di carità che nel Vangelo di Matteo sono direttamente collegate al giudizio finale di ogni uomo. «Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”.
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