EUPHORBIA PULCHERRIMA, la “Stella di Natale” El lume delle fòle
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EUPHORBIA PULCHERRIMA, la “Stella di Natale” El lume delle fòle
Editoriale Prosegue la sintesi delle lezioni che hanno fornito la base per la discussione del Seminario “Consenso & Verità”, tenuto lo scorso novembre dalla Scuola di san Teobaldo: lʼargomento trattato riguarda questa volta la fondazione dellʼimpegno politico nei principi filosofici di giustizia ed eguaglianza. Avere a cuore il bene pubblico e lʼautenticità delle motivazioni sono i principali criteri per la scelta del politico migliore, dotato di equilibrio, coraggio e sobrietà per gestire una politica giusta. La quale a sua volta deve garantire una società di eguali, tale che in essa tutti possano essere come tutti gli altri, ma insieme anche diversi da tutti gli altri. Augurale nel compimento del primo anno di attività lʼomaggio alla paesana Mirella Brojanigo e alla sua poesia. Si conclude la recensione eccezionalmente estesa di un testo che consideriamo una svolta negli studi evolutivi. Altra occasione per la felice chiusura dellʼanno I° della Scuola di san Teobaldo il quinto centenario dalla pubblicazione del troppo famoso saggio di Niccolò Machiavelli: il trattato “De Principatibus” più conosciuto come “Il Principe”. Sommario SST - dicembre 2013 Pag. 1 Editoriale e Sommario natura di stagione: Euphorbia pulcherrima angolo della poesia: “El lume delle fòle” di Mirella Brojanigo Pag. 2 sintesi della seconda lezione del Seminario “Consenso & Verità” Pag. 3 recensione: “La conquista sociale della Terra” di Edward O. Wilson (parte quarta e ultima) La citazione: da “Einbahnstrasse” del filosofo berlinese Walter Benjamin Pag. 4 Nel quinto centenario la presentazione del saggio “Il Principe” di Niccolò Machiavelli EUPHORBIA PULCHERRIMA, la “Stella di Natale” Una pianta decisamente incompresa, la Stella di Natale. A cominciare dalla fioritura, che non è costituita dalle rosse brattee che stanno invece attorno ai ben più piccoli fiori di colore giallo; per non parlare dell’equivoco che, solo grazie ai suoi colori decisi, è considerata la pianta tipica del periodo natalizio, essendo lei al contrario pianta tropicale e amante del caldo. Pur amante anche della luce, la bellezza della fioritura è inversamente proporzionale all’esposizione luminosa: in altre parole ha bisogno della luce per crescere, ma del buio per fiorire. Siamo infine tratti in inganno dalle dimensioni con le quali entra nelle nostre case: in natura (nel Messico, paese d’origine, ma anche vicino a noi nelle calde coste e isole del Mediterraneo) si presenta come un vigoroso arbusto alto fino a quattro metri; ben diverso dalla simpatica pianticella che teniamo in vaso. Cerchiamo almeno di rimediare esponendola alla poca luce diurna invernale e non buttiamola quando, stremata dallo sforzo che fa per rallegrare il nostro Natale, comincerà a perdere le foglie. È sufficiente una buona potatura (attenti a non spargere il suo lattice, leggermente tossico), rinnovare il terreno e tenerla esposta con qualche cura alla sua amata stagione estiva, per riportare l’autunno in casa la pianta rinata e pronta alla nuova fioritura natalizia. Lʼangolo della poesia Quale migliore augurio al primo anno di attività del ns notiziario SST e al prossimo inizio dell’anno nuovo, di un omaggio alla nostra poetessa Mirella Brojanigo? Il mese scorso abbiamo presentato la sua ultima fatica “LAGRIME DE SOLE”, raccolta di poesie dedicate all’ inverno e illustrate dal fotografo leoniceno Claudio Portinari. E così la vogliamo raffigurare: intenta alla sua preziosa attività di narratrice, avanzare quasi a lume di candela nel periglioso sentiero di una vita esposta a venti e bufere. Nel “morto di luna” e nello “scuro” bosco delle quotidiane preoccupazioni, possiamo trovare anche noi nelle sue pagine il “lume chieto” della sua saggezza, dell’esperienza accumulata nei tanti fogli del suo Lunario ... e un po’ scaldarci il cuore. El lume delle fòle Tremando el sluse, e on fià el me scalda, co xe scuro de luna, e camina, desolà, el me destin che màsena fadighe, el lume chieto delle fòle. Xe muto e scuro el bosco dei pensieri, ma chel lume spande on debole splendore delà dei venti, e in mezo ale bufere, nutrìo de sapienza, raro tesoro da gustare, anca par mi, che za so mio l’inverno, e sol Lunario go pochi sfoji da voltare. Anno I numero 12 notiziario della associazione “Scuola di san Teobaldo” SEMINARIO sul tema: www.scuoladisanteobaldo.org La Scuola di san Teobaldo Consenso & Verità – contro lo scetticismo pratico Seminario articolato su tre argomenti: 1 motivi per la collaborazione entro la comunità; 2 fondamenti di identificazione e giustizia dell’operare pubblico; 3 valori che costituiscono l’obiettivo ultimo della sfida politica. Ecco la sintesi del secondo incontro, venerdì 8 novembre 2013: FONDAMENTI (filosofia) L’opinione pubblica identifica il potere con la visibilità, ma l’equivoco visibilità/verità dei fatti lascia mano libera alla manipolazione, a un consenso che non passa attraverso l’argomentazione razionale. Nostra convinzione è che porre a fondamento della politica l’idea di giustizia sia condizione indispensabile della “buona amministrazione”. Genesi della società e dello stato La quantità di bisogni diversi conduce nello stesso territorio una grande quantità di uomini, riuniti dalle leggi dell’associazione e del reciproco aiuto: definiamo questa coabitazione “società”. Dunque al principio della comunità politica sembrano essere determinanti i bisogni, le necessità basilari della sopravvivenza: cibo, abitazione, abbigliamento. Altrettanto scontata la necessità di doverne organizzare la produzione, anzitutto attraverso la divisione del lavoro; tuttavia, con l’abbondanza di beni, cresce anche la complessità dell’ organizzazione sociale, dato che ogni categoria di attività si sviluppa senza più alcun rapporto con il necessario alla vita comune. Con due grandi conseguenze: a) quelle convinzioni che sostennero provvisoriamente la vita delle prime comunità, non possono più rappresentare i principi di una società più complessa; b) quando si compra il lavoro, proprio come si comprano le merci, si oltrepassa la soglia oltre la quale spuntano questioni relative alla libertà e alla giustizia. Per esempio, a giustificare la divisione del lavoro troviamo due discutibili convinzioni, che solo necessità transitorie hanno radicato: a) che la natura non abbia attribuito a ciascuno le medesime competenze, ma abbia formato l’uno dotato per il tale lavoro, l’altro per un altro (creando la disuguaglianza); b) che un individuo specializzato in una specifica tecnica, si debba dedicare ad essa a tempo pieno, sacrificando ogni altra possibilità (perpetuando tale disuguaglianza). In breve, regole non più conformi alla nostra idea di giustizia, tanto meno potranno dare fondamento alla società futura (prefigurata come ideale da perseguire). La giustizia oggettiva Se la politica si deve accordare al reale, allora dovrà essere equilibrata, coraggiosa, sobria, per essere infine giusta, di modo ché la legge suggelli il divenire reale delle cose. Chi sono dunque i migliori, in politica? quelli che meglio sapranno amministrare il processo politico sopra descritto: dal momento che definiamo amministrazione la gestione della comunità, cioè perseguire gli obiettivi prefissati nel tempo stabilito, compiendo le scelte ottimali nell’uso delle risorse disponibili (umane economiche tecniche). Per superare le difficoltà e compiere le scelte d’indirizzo, dovranno essere illuminati, capaci, ma soprattutto avere a cuore il bene pubblico (i vantaggi del gruppo). Cerchiamo di scegliere chi mantiene coerenza nella motivazione: chi rimane saldo nei principi, non si lascia corrompere, non si lascia sviare da considerazioni di comodo o di opportunità. Il modo più efficace per garantirsi la dirittura dei governanti è dare a tutti l’adeguata educazione, una educazione all’autenticità. Non dovranno trovarsi in conflitto d’interessi, né praticare la gestione di beni tali da far prevalere la difesa del proprio interesse (controllo della ricchezza); avere sempre meno occasioni di maneggiare denaro. Una società di eguali Come vi corrisponda la giustizia soggettiva: a) la politica non è e non può essere una specializzazione: in politica si delibera su tutte le situazioni con cui si confrontano gli abitanti del Paese e la competenza in materia è a priori di tutti e non di qualcuno; b) la chiave intellettuale del coraggio risiede in tutto il corpo politico, deve appartenere a tutti: i principi fondamentali della nostra politica richiedono soggetti ben preparati, un’opinione incrollabile su tutte le questioni importanti; c) la sobrietà, o anche temperanza, misura, moderazione, assomiglia a una relazione armoniosa, una specie di consonanza soggettiva. Richiede una efficace organizzazione del Soggetto che domini l’attrazione esercitata dal desiderio dei godimenti istantanei; d) tra i nostri princìpi, fondamenti della politica, una forma particolare di obbligazione (vincolo soggettivo) definisce la giustizia: la giustizia (il dovuto di ciascuno a tutti) consiste in questo, che ciascuno può perfezionare le particolari attitudini che riconosce in se stesso, senza dover lasciare al di fuori del proprio campo d’azione nessuna delle possibilità che la sua epoca gli offre. Senza la capacità di ciascuno a sostituire in modo creativo ed efficace chiunque altro in qualunque incarico, le altre virtù non avrebbero una localizzazione precisa (dando luogo alle deviazioni esposte in premessa: tirannide oligarchia populismo). La disponibilità di un individuo a ogni tecnica (praxis) e il libero sviluppo della sua personalità (habitus), realizzano l’ideale della relazione di questo individuo con la totalità sociale: che tutti possano essere come tutti gli altri, e che tutti possano essere diversi da tutti gli altri. La vera giustizia ha le medesime caratteristiche che si tratti della vita collettiva o di quella privata. Associamo la coppia giustizia/ingiustizia alla coppia salute/malattia; come la salute altro non è che il risultato di pratiche sane, così la giustizia lo è di pratiche giuste. Si può quindi concludere che la giustizia è la salute del Soggetto, come la salute è la giustizia del corpo. 2 Anno I numero 12 notiziario della associazione “Scuola di san Teobaldo” continua da SST 9 (1° parte) SST 10 (2° parte) SST 11 (3° parte) www.scuoladisanteobaldo.org “La conquista sociale della Terra” quarta e ultima parte: La nuova teoria dellʼ eusocialità umana Evoluzione della diversità culturale I biologi che studiano lo sviluppo hanno scoperto che il grado di plasticità nell’espressione dei geni è soggetto all’evoluzione per selezione naturale; non si tratta di mutazioni nei geni codificatori di proteine, ma più verosimilmente di cambiamenti nei geni regolatori: piccoli cambiamenti che possono alterare la struttura fisica o la sensibilità ambientale (plasticità adattativa). Vista dallo scienzato, la variazione culturale negli esseri umani è determinata dal grado di condizionamento del comportamento sociale nella regola epigenetica e dall’eventualità che singoli membri del gruppo imitino altri componenti che hanno introdotto quel tratto (sensibilità allo schema d’uso). Da un’altra visuale anche scienze sociali e discipline umanistiche trattano i conflitti generati dalla selezione multilivello, partendo dalla constatazione che la selezione individuale che agisse da sola scioglierebbe la società, mentre la sola selezione di gruppo ci renderebbe tutti uguali. La vita quotidiana ci vede interagire in una miriade di reti sociali: a differenza delle antiche tribù di cacciatori, le moderne comunità hanno raggiunto elevati gradi di complessità che hanno disorientato la nostra mentalità paleolitica. Oltre a essere all’origine di un’empatia istintiva, la selezione di gruppo spiega anche la cooperazione, spesso slegata dall’affinità: tutte le persone sanno essere davvero altruiste e l’altruismo aumenta la forza e la competitività dei gruppi. Le società moderne più progredite hanno anche il più basso differenziale di reddito tra i cittadini più poveri e quelli più ricchi: come siamo soddisfatti nel ridurre le disuguaglianze, siamo pronti a castigare quelli che non collaborano e non contribuiscono al bene comune a un livello pari al loro status. Anche i nostri sentimenti di dignità e onore ci conducono a combattere le minacce per il gruppo e perseguire il diritto contro l’ingiustizia organizzata. Quale che sia l’esito, è chiaro che la filosofia morale si avvantaggerà di una ricostruzione dei suoi principi basata sia sulla scienza sia sulla cultura. La grande novità della nostra epoca è l’accelerazione del percorso razionale all’etica sociale, favorito da numerosi fattori: a) la ricostruzione scientifica sempre più circostanziata; b) lo sviluppo di internet e la globalizzazione, che rafforza il cosmopolitismo; c) l’omogeneizzazione delle etnie. La nostra percezione sensoriale è molto limitata, principalmente audiovisiva, adatta alla nostra iniziale vita arboricola, ma lo sviluppo scientifico ci permette di esplorare tutti i mondi sensoriali presenti nella biosfera e di farci un’idea dell’origine e della natura del giudizio morale: che scopriamo condizionato dalla nostra naturale biofilia, la comunione emotiva con il mondo vivente. Allo stesso modo il conflitto tra istinto e ragione nel cervello di ogni persona è materia per le discipline umanistiche: un buon finale è anche lo scopo della mente creativa. La pratica delle arti costituì un avanzamento evolutivo quando gli umani svilupparono la capacità di un pensiero astratto, e con esso il linguaggio e l’arte visiva, la musica, la danza con le cerimonie e i rituali religiosi: “esplosione creativa” che iniziò in Europa circa 35.mila anni fa. In conclusione, sapere scientifico e tecnologia progrediscono troppo rapidamente per poterne prevedere il futuro; questo significa che il futuro è aperto e dipende dalle nostre scelte. Siamo diventati protagonisti e responsabili del destino del pianeta Terra, attori di una storia nella quale cercare risposte alle nostre esigenze esistenziali e vitali. I nostri progenitori hanno sviluppato l’eusocialità, pur nell’ inevitabile natura conflittuale delle nostre motivazioni: e proprio questi conflitti devono costituire il punto di convergenza degli studi umanistici e della ricerca scientifica. Da una parte dobbiamo smetterla di distruggere il nostro luogo di nascita, di saccheggiarne le risorse, di cancellare la biodiversità; dall’altra sviluppare la resistenza ad ogni principio di autorità e settarismi ideologici, forzature teologiche, localismi e nazionalismi. Salvando il mondo vivente salveremo anche il mondo fisico. Dove andiamo? Le strutture comunitarie che maggiormente hanno contribuito alla sicurezza e all’ordine sociale interno, come la religione e le tradizioni e regole trasmesse tra generazioni, vennero elaborate dalla selezione di gruppo nella concorrenza intertribale. Gli atti di altruismo si esercitano di preferenza nei confronti dei correligionari e il potere è dedito alla conservazione, più che alla ricerca di verità. Gli esseri umani sono dall’origine intrinsecamente tribali: cioè si sentono in dovere di appartenere a un gruppo (demos), che dà da Walter Benjamin (1892–1940) loro identità ed entro il quale si sono formati (e hanno in La citazione... Il discorso conquista il pensiero, gran parte con-formato le loro scelte, il loro ethos). Per ma la scrittura lo domina. questo nessuno può pensare che ci si liberi improvda “Einbahnstrasse” (scritti 1926-1927) visamente di condizionamenti tanto radicati. 3 Anno I numero 12 notiziario della associazione “Scuola di san Teobaldo” www.scuoladisanteobaldo.org Il Principe, “De principatibus” Niccolò Machiavelli 1469-1527 Umanesimo e Modernità La vicenda politica e letteraria di Machiavelli si colloca al passaggio d’epoca tra Umanesimo e Modernità. Nel 1492, data convenzionale del cambiamento, muore Lorenzo de’ Medici, grande moderatore della politica italiana, convinto che solo l'alleanza tra Firenze, Napoli e lo Stato della Chiesa avrebbe tenuto gli stranieri lontani dal suolo italiano. Subentra in Italia la cruda necessità del realismo politico, di staterelli in lotta tra loro, esposti all’espansionismo dei nuovi Stati nazionali; scenario che lo lasciò nella sconsolata constatazione che “Ispagna, Francia e lo imperatore disegnino dividersi questa misera Italia”. zia a scrivere i Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio che, nell’estate dello stesso 1513, interrompe per metter mano al suo più famoso, De Principatibus, scritto in volgare e perciò divenuto più noto come Il Principe. Inizialmente il libro circolò manoscritto, per uscire a stampa solo postumo nel 1532. L’antichità classica vedeva l’uomo preda di vicissitudini indifferenti alla sua volontà. Con la nuova generazione di umanisti, rappresentata da Leon Battista Alberti, nasceva invece una nuova concezione dell’uomo moderno, esso stesso “vicissitudo”, produttore di irrequietezza e inquietudine: contemporaneamente cupìdo di guadagno e desideroso di sicurezza. In questo nuovo clima, che postula la centralità dell’uomo e perdura fino a Leopardi, si situa anche Machiavelli. La sua filosofia prende le mosse da una visione realistica e disincantata della natura umana: gli uomini sono “ingrati, volubili, simulatori, fuggitori de’ pericoli e cupidi di guadagno”. La figura del Principe, il politico nuovo, nasce e si forma tra questa varietà, di cui deve cogliere la “verità effettuale”. Non in un mondo come dovrebbe essere, ma nel mondo che è, realizzare idee e progetti realistici, usando della propria razionalità “tecnica”, al di là di qualsiasi morale autoritativa. Il Principe è colui che costruisce il nuovo ordine: non definitivo, ma capace di garantire la sicurezza necessaria per soddisfare i contingenti guadagni. Tuttavia per costruire il nuovo ordine si dovrà prima essere capaci di sovvertire l’ordine vigente, nel progredire che nasce dal conflitto, generato di volta in volta dalle nuove “cupiditates”. L’auctoritas in questo senso è l’arte di crescere e trasformare, senza immobilizzare le costituzioni, anzi continuamente trasformandole e affermandole con ogni mezzo. Facendosi al bisogno volpe e leone, astuto e forte: non le idee disarmate si affermano (sua la definizione di Savonarola “profeta disarmato”), ma quelle condotte con “tecnica” politica e “polemica”. Sono le virtù proprie del Principe “centauro”, mezzo uomo e mezzo bestia, che fonda la forza dello Stato disponendo di milizie proprie e non mercenarie; che sa piegare la “fortuna” alla propria volontà, pronto all’azione e all’uso di ogni adeguato mezzo. Le vicende fiorentine La crisi seguita in Italia alla discesa di Carlo VIII di Valois nel 1494, determinò la cacciata dei Medici da Firenze e l’instaurazione della Repubblica fiorentina (1494-1512). Con la caduta di Girolamo Savonarola nel 1498, Machiavelli ebbe l’incarico di Segretario della Seconda Cancelleria della Repubblica. Come addetto ai contatti con gli ambasciatori, e in breve tempo unico “segretario fiorentino”, ebbe modo di entrare nel vivo delle vicende storiche in corso e di conoscerne tutti i principali protagonisti. Lo sappiamo nella contesa con Pisa, che seguirà fino ad entrare con le milizie in città alla sua definitiva caduta nel 1509; in quattro successive “legazioni” alla corte di Francia presso l’alleato Luigi XII; persino in “legazione” a Innsbruck da Massimiliano d’Asburgo; nelle più impegnative missioni che lo condusse tra il 1502 e il 1503 a sorvegliare l’avventura di Cesare Borgia, della cui figura subì il fascino tanto da farne il modello del Principe. Inviato a Roma nel 1503 per assistere al conclave che elesse Giulio II, seguì poi il bellicoso papa nella sua campagna di consolidamento dello Stato pontificio a spese di Perugia e Bologna; ebbe infine un posto di prima fila nella “liberazione” dell’Italia da Luigi XII, travolto dalla “Lega Santa” del 1511: la quale lasciò Firenze indifesa e determinò il ritorno a Firenze dei Medici. Machiavelli seguì con l’esilio nel 1512 la sorte del gonfaloniere Soderini e, coinvolto a torto nella congiura dell’anno successivo, non riuscì più a riprendere un ruolo corrispondente alle proprie ambizioni e capacità. La filosofia politica del Principe Dapprima imprigionato, poi amnistiato nel 1513 a seguito dell’elezione di Leone X Medici, si dovette ritirare in esilio coatto presso San Casciano in una sua proprietà (L’Albergaccio), dove vedranno la luce le principali sue opere; nelle giornate rese lunghe dall'ozio forzato qui ini- ...IN LIBERTATEM A BARBARIS VINDICANDAM L’ultimo capitolo è un’accorata esortazione “acciò che la Italia vegga dopo tanto tempo apparire uno suo redentore” che la liberi dal “barbaro dominio”, riallacciandosi esplicitamente alle analoghe profezie petrarchesche. Nell’auspicio che la schiavitù italiana fosse l’occasione più adatta per riconoscere, e onorare e nell’impresa seguire, la virtù e grandezza d’animo del nuovo principe a questo compito dedicato. 4