36 - Quai des Orfèvres (Olivier Marchal, Francia 2004, 110`).

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36 - Quai des Orfèvres (Olivier Marchal, Francia 2004, 110`).
36 - Quai des Orfèvres (Olivier Marchal, Francia 2004, 110’).
Interpreti: Daniel Auteuil, Gérard Depardieu, André Dussolier,Valeria Golino
Esseri umani. Prima di tutto.
Il percorso obbligato da seguire, la pista da setacciare è negli abissi della propria personalità. È una
traccia impervia, pericolosa ma con cui si deve fare necessariamente i conti.
Olivier Marchal, il regista di questo polar esistenzialista costruito su di una messinscena rapida e
letale, lo sa. Ex poliziotto della sezione anti-terrorismo di Marsiglia (destino noir nel DNA, viene da
pensare), ama far parlare corpi ed espressioni, scandagliare le zone d’ombra dell’animo senza
separazioni morali nette né valori assoluti. Conscio della natura camaleontica dell’uomo, ciò che
Marchal teorizza con il suo film (e che, a dire il vero, possiamo rintracciare come costante nella sua fin
qui breve filmografia) è che dal semplice confronto tra due uomini speculari, due poliziotti pronti a
tutto per raggiungere i propri obiettivi, possano generarsi frizioni e phatos degni di una tragedia greca.
Questa assenza di categorie assolute (bene-male, bianco-nero) è una caratteristica che si sposa
perfettamente con un’ ambiguità di fondo su contorni della vicenda e personalità in gioco non
soffocata dall’elegante tecnica registica, tesa anzi a sottolinearla.
Eppure…36 Quai des Orfèvres è, di fatto, un film di regia. Nella maniera più assoluta. Lo testimoniano i
primi straordinari 15 minuti in montaggio incrociato; ogni singolo faccia a faccia tra un immenso
Depardieu (villain d’altri tempi, vittima di un meccanismo simil- meritocratico che cercherà di aggirare
disperatamente) e un misurato Daniel Auteuil. Lo testimonia l’azione, fotografata con un occhio al
Micheal Mann di “Heat la sfida”, e le digressioni chiaroscurali di un Auteuil tormentato dai pensieri.
Dove sta allora l’inganno? Qual è il trucco che alleggerisce il peso di una regia tanto marcata da non
poter essere ignorata? Probabilmente, la conoscenza diretta da parte del regista della materia trattata
ha un suo valore specifico. 36 è un film che parte da presupposti ed aneddoti realmente vissuti per
ricamarvi una storia di odio e vendetta degna di un Conte di Montecristo. Questo fa si che, pur
sfruttando i topoi di un action movie spettacolare, la struttura mantenga una solidità quasi
inattaccabile.
C’è poi un altro grande punto a favore teso a rafforzare questa sensazione di solidità: l’estrema cura
con cui sono tratteggiate le figure di contorno. Niente è lasciato al caso; ogni personaggio è a suo modo
protagonista di tante piccole microstorie accennate, sfiorate, non esplicitate. Ogni comprimario ha un
volto che non si dimentica. E non parliamo soltanto di un casting all’altezza delle ambizioni, ma di una
scrittura complessa che riesce a diramarsi rigogliosamente senza avvizzire in alcuno dei suoi rami.
Questa spinta centripeta rafforza il carisma dei protagonisti, in un crescendo melò che ha alienato i
favori di una parte della critica. L’enfasi si fa effettivamente densa mano a mano che la vicenda giunge
alle conclusioni; in un certo senso, è come se il microcosmo narrato fino a quel momento con grande
meticolosità perdesse nitidezza a favore di un romanticismo esplosivo. A dire il vero, Marchal non
perde mai di vista l’umanità di cui parla per tutta la durata della sua opera, ma si concede il lusso di
sbilanciarvisi a favore negli ultimi 30 minuti. Saltano gli ingranaggi, si disintegrano le coordinate polar
al fine di giungere ad una redenzione violenta ma necessaria.
Ciò che non viene mai a mancare è la capacità (dei protagonisti, nostra, dell’autore) di provare un
dolore sordo per una qualche vicenda che poteva/doveva andare diversamente. Uomini, canaglie, figli
di puttana, ma con un’ incommensurabile dignità. Un moderno mucchio selvaggio che può prendersi il
lusso di camminare a testa alta, sempre e comunque.
Francesco Giani