Il legno
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Il legno
MATERIALI CELLULOSICI I materiali cellulosici nei beni culturali sono il legno, la carta e i tessuti. I loro costituenti principali sono la lignina, le emicellulose e la cellulosa, che rappresentano. Il composto chimico più abbondante. Le materie prime,tutte di derivazione vegetale, sono il legno stesso per i manufatti lignei, il legno e alcune piante verdi per la carta, e particolari piante per i materiali tessili. Il legno è stato utilizzato sin dall'antichità come materia. prima per la produzione di semplici attrezzi, di strutture architettoniche e per supporto di pitture. La caratterizzazione chimica del tipo di legno utilizzato è necessaria sia per comprendere i processi di deterioramento dei materiali cartacei, oggi largamente ottenuti dalla lavorazione industriale del legno, sia per consentire di adottare le procedure più idonee per un corretto lavoro di restauro e per scegliere le migliori condizioni di conservazione. Il legno Caratteristiche fisiche Il legno è stato il materiale preferito dall’uomo fin dai tempi più remoti. Il legno è prodotto dalla pianta come elemento strutturale, con ottime caratteristiche di robustezza e resistenza. La sua duttilità lo ha reso utile all’uomo che lo ha lo utilizzato per realizzare abitazioni, oggetti di uso domestico, mobili, oggetti di carattere ornamentale, ludico, ecc. fin dai tempi più remoti. La struttura del legno è composta da : 50% di carbonio 42% di ossigeno 6% di idrogeno 2% di minerali, azoto, pigmenti E’ un insieme di varie sostanze; le principali sono i polisaccaridi chiamati olocellulose (70%) e la lignina. La olocellulosa e’ una miscela di cellulosa propriamente detta e di altri polisaccaridi, del tipo delle emicellulose a peso molecolare relativamente basso e derivante dall’arabinosio, glucosio, mannosio, galattosio e xilosio. La composizione, il grado di polimerizzazione la quantità dei diversi costituenti differiscono a seconda della specie vegetale. La lignina e’ un polimero complesso di fenoli variamente sostituiti; anche per essa la composizione e il grado di polimerizzazione variano a seconda della specie vegetale. La sua funzione e’ di cementare le fibre del legno. Sono inoltre presenti altre sostanze: coloranti, tannini, resine, oli, ecc. che a volte vengono estratti industrialmente. Attraverso varie lavorazioni si possono ottenere dal legno molti altri prodotti: dalla lignina tensioattivi, adesivi e vanillina, dall’olocellulosa alcool metilico, acido levulinico e miscele di zucchero. Anche dopo il taglio, non è un materiale inerte, ma vive, quindi percepisce le variazioni climatiche. Si gonfia con l'umidità e il calore, mentre di inverno, ritirandosi produce delle crepe. I legni si possono dividere tra "legni duri" e "legni teneri"; fra i primi possiamo classificare ad esempio la quercia, il noce, il bosso, il pero, il ciliegio; mentre tra i secondi sono il cirmolo, il pioppo, il tiglio e l'abete. Pioppo Noce Se si osserva la sezione trasversale di un tronco si possono distinguere chiaramente una serie di anelli concentrici. Questi sono gli anelli di accrescimento. La dendrocronologia è la scienza che oltre a definire l'età di una pianta sulla base del numero degli anelli di accrescimento, riesce a risalire, studiandone la loro conformazione, agli eventi climatici ed alle patologie subite dalla pianta. Corteccia esterna: fisiologicamente è morta, serve come protezione alla pianta e consente gli scambi gassosi necessari alla vita della pianta. Corteccia interna: detta anche Alburno è formata da cellule vive e costituiscono l'apparato circolatorio della pianta consentendo la conduzione dei sali minerali dalle radici alle foglie. Si distingue dall'interno durame dal colore più chiaro. Libro: Contiene i vasi che conducono il nutrimento sintetizzato delle foglie ad ogni parte dell'albero, Serve all’albero come sistema di trasporto per l’acqua e le sostanze nutritive. Ritidoma e libro insieme formano la corteccia. Cambio: Strato sottile di tessuto responsabile della produzione di nuovo legno, sia verso l'esterno sia verso l'interno. E’ la parte più importante del tronco, poiché a partire da esso l’albero cresce. Le cellule di questo strato hanno la capacità di moltiplicarsi, originando il libro nella parte esterna e il legno in quella interna. Annualmente il cambio forma un nuovo strato di legno, un anello annuale. Durame: La parte più interna del tronco è formata da cellule morte e a livello commerciale è quella più pregiata, perché essendo la parte più vecchia della pianta è quella più stabile e meno soggetta agli attacchi di parassiti. Mano a mano che l'albero cresce, l'Alburno diventa Durame che é la struttura portante del tronco. Esso é composto da cellule morte. In esse vengono immagazzinate svariate sostanze (pigmenti, sostanze tanniche, gomme, resine), che rendono il legno duraturo. Nel durame non viene trasportata acqua, per questo esso é molto più asciutto rispetto all’alburno. Midollo: Parte centrale del tronco, generalmente poco differenziabile dal durame che lo contiene. Il fusticino della giovane piantina, crescendo in lunghezza, forma un canale ininterrotto dalle radici alla cima dell’albero. Questo canale midollare pieno di aria non é utilizzabile nella lavorazione del legname. Taglio Quando i tronchi vengono abbattuti, vengono privati dai rami e dalla corteccia. A questo punto il tronco può essere ridotto ad assi secondo diversi schemi di taglio. L'ideale per ottenere assi di buona qualità, non soggette a imbarcatura, è il taglio perpendicolare agli anelli di accrescimento. Questo tipo di taglio (nella figura chiamato a quarto di ventaglio) è quello che economicamente è il più costoso in quanto comporta un alto spreco di materiale. Il taglio più economico è quello radiale col quale si ha un basso spreco di legname ma solo le assi centrali saranno stabili, quelle più vicine alla periferia saranno soggette a deformazioni Il ritidoma é lo strato di protezione più esterno di un tronco. L’alburno é la parte viva del legno. In esso acqua e sostanze nutritive vengono trasportate fino alla chioma. Con l’ispessimento delle pareti cellulari, le cellule più interne dell’alburno muoiono originando il durame. I raggi midollari attraversano in direzione radiale il tronco. Essi mettono in comunicazione il midollo con la corteccia e servono al trasporto di sostanze e all’immagazzinamento. Il termine legno indica quindi un insieme di tessuti presenti in tutte le piante vascolari, dalle erbe più piccole fino agli alberi più grandi. L’elemento fondamentale e’ il tessuto vascolare, costituito da lunghe cellule sovrapposte in file longitudinali interrotte; sono cellule morte, tra le quali i setti trasversali spesso scompaiono, mentre le pareti laterali sono sempre lignificate e ispessite. Gli elementi vasali hanno la funzione di condurre a tutte le parti della pianta le soluzioni assorbite dalla radice, cioè la linfa ascendente. Questo tessuto e’ generalmente accompagnato da altri elementi accessori (cellule paranchimatiche e fibre di sostegno). Nel fusto giovane di legno (formato da vasi ancora poco lignificati e da parenchimi) e’ in stretto rapporto con il libro nella costituzione dei fasci fibrolegnosi o cribovascolari; nelle sezioni trasversali dei fusti i fasci hanno la parte legnosa situata più verso il centro e, contro ad essa, il libro (fasci laterali). In una radice giovane invece il libro e’ posto tra due fasci del legno (fascio alterno e raggiato). Il legno dei fasci e’ detto legno primario, in opposizione al legno secondario che e’ presente nel fusto e nelle radici e in un secondo momento quando nella pianta entra in funzione il cambio cribiolegnoso. In questo secondo caso si osservano due zone concentriche: esternamente il libro e internamento il legno, separati dal cambio che li ha prodotti. (figure sopra). Nelle monocotiledoni generalmente non si forma il legno secondario; legno e libro restano riuniti in fasci librolegnosi distinti. Nelle dicotiledoni e nelle conifere il deposito di nuovi strati di legno secondario, sempre all’esterno degli strati già esistenti, inizia in primavera e termina in autunno. I primi vasi sono larghi e a parete sottile, cosicché il legno di primavera e lasso e’ molle. Il legno di autunno al contrario e’ serrato e duro perché i vasi sono rigidi e tra questi sono formate molte fibre. Il contrasto che esiste tra le due formazioni permette di stabilire nettamente la demarcazione tra i due depositi successivi, e di determinare in modo rigoroso l’età’ dell’albero dal numero di strati concentrici del legno (cerchio annuale). A mano a mano che lo spessore del legno aumenta, gli strati più interni ossia i più vecchi subiscono modificazioni, assumono spesso un colore scuro, aumentano di lunghezza e di densità, mentre gli strati più periferici del legno al contrario rimangono di colore chiaro e il legno appare più leggero. Si differenzia così il cuore o durame del legno dall’alburno più esterno. Gli elementi chimici fondamentali del legno sono dunque polisaccaridi (cellulosa, emicellulose e pectine), lignina (20-40%), proteine (< 10 %) e composti inorganici (< 1%). I1 tronco degli alberi, da cui si ricava il legno è costituito da uno strato esterno (corteccia) a cui segue un sottile strato (cambia) responsabile dello sviluppo di nuove cellule. Al di sotto del cambio si trova il tessuto legnoso. che ha una struttura complessa, dovuta alle molteplici funzioni cui dove assolvere: di trasporto. di riserva e di sostegno. II tessuto delle piante vascolari è costituito da lignocellulosa. un complesso di tre classi di polimeri: cellulosa (40-50 %), emicellulose (15-35 %) e lignina. (20-35 %). A differenza della cellulosa, presente in tutte le specie vegetali, la lignina si forma unicamente nelle piante vascolari c h e hanno evoluto tessuti specializzati nelle funzioni di supporto meccanico e conduzione di soluzioni acquose. Nelle piante delle classi inferiori dell'ordine tassonomico, quali le alghe, i funghi e i muschi, la lignina non è presente. Il legno maturo è costituito da cellule allungate longitudinalmente dette genericamente fibre. La cui caratteristica peculiare è la presenza di una parete, dalla struttura complessa e soggetta a variazioni di composizione durante le fasi di crescita e differenziamento delle cellule. I1 suo spessore dipende. in particolare, dalla funzione che la cellula vegetale riveste all'interno della pianta, oltre che dall'età della cellula stessa. Le fibre vegetali sono costituite da 4 strati principali concentrici e tenute assieme da sostanze intercellulari. come studi effettuati mediante microscopia ottica ed elettronica hanno consentito di chiarire. Esse risultano, quindi, formate da una cavità, centrale (lumen) attorno a cui sono disposte le pareti cellulari concentriche. indicate normalmente come P (primaria, la più esterna), S, (strato esterno della parete secondaria), S2 (strato mediano della parete secondaria) e S3 (strato interno della parete secondaria); le cellule adiacenti sono cementate dalle sostanze intercellulari chiamate nel loro insieme lamella mediana, ricche di pectina lignina. La parete P è composta principalmente da cellulosa, emicellulose, pectina. proteine e acqua, ma sono presenti anche lignina e suberina ; i tre strati S1, S2 ed S3 della parete secondaria (quando effettivamente presente) sono composti soprattutto da cellulosa ed emicellulose. LA LIGNINA Tra i composti chimici presenti in natura, la lignina e quello più abbondante dopo la cellulosa. E’ un polimero tridimensionale aromatico ad elevato peso molecolare la cui struttura risulta difficilmente rappresentabile in modo univoco: infatti diversifica nelle diverse specie vegetali per forma e per dimensioni in relazione alla tipologia delle cellule in cui è presente e dal tipo di legno. Strutturalmente la lignina risulta formata da un complesso di polimeri aromatici costituiti da unità fenilpropanoidiche, legate fra loro mediante legami C—O—C C—C. Questi ultimi sono i più resistenti all' attacco chimico. E’ una macromolecola amorfa, dal peso molecolare elevato (da 2000 a 15000 u.m.a.) e dalla morfologia molto articolata. Nello sviluppo filogenetico del regno vegetale, la lignina apparve per la prima volta quando le piante passarono dalla vita acquatica a quella terrestre e in questo ambiente dovettero sviluppare sia un sistema di cellule allungate a funzione conduttrice, sia cellule a funzione meccanica di sostegno. La lignina, sostanza idrofoba, nella parete di queste cellule sostituisce le molecole di acqua, interagendo con gli altri componenti della matrice e legando chimicamente e fisicamente i componenti polisaccaridici della parete, con conseguente aumento dell'impermeabilità, della resistenza meccanica e della rigidità della parete cellulare. La (1) La pectina è un insieme di polisaccaridi acidi (acido poligalatturonico) o neutri ramificati; è la porzione più solubile dei polisaccaridi della parete. (2) La suberina è un biopoliestere costituito da acidi grassi a lunga catena, acidi grassi ossidrilati, acidi dicarbossilici, alcoli a lunga catena e composti fenolici; è una sostanza idrofobica, con caratteristiche prevalentemente lipidiche, e insieme alle cere costituisce una barriera contro la perdita di acqua da parte delle piante. La lignina svolge anche un ruolo di primaria importanza conferendo alla parete una maggiore resistenza nei confronti degli attacchi microbici. Dal punto di vista biosintetico, la lignina deriva da tre precursori alcolici a struttura aromatica: 1'alcol coniferilico [4-(3- idrossipropenil)-2-metossifenolo] (fig. 7.2a), 1'alcol p-dumarilico [4- (3-idrossipropenil)-fenolo] (fig. 7.2b) e 1'alcol sinapilico [4-(3idrossipropenil)-2,6-dimetossifenolo] (fig. 7.2c), che possono considerarsi i monomeri della struttura polimerica lignina e che differiscono fra loco per la presenza o meno di gruppi metossilici. Le percentuali di questi monomeri nelle diverse piante sono variabili: le piante a legno tenero contengono maggiori quantità di alcol coniferilico, mentre quelle a legno duro uguali proporzioni di monomeri con uno o due gruppi metossilici tab. 7.1). La lignina presente nella parete delle Angiosperme (seme racchiuso nell'ovario, per esempio le latifoglie) differisce da quella delle Gimnosperme (a seme nudo, per esempio le conifere): nel primo caso, infatti, essa si forma prevalentemente dalla polimerizzazione degli alcoli coniferilico e sinapilico, nel secondo alcol coniferilico. I dati di base sulla composizione e su alcuni gruppi funzionali della lignina sono riportati nella tabella 7.2. I1 contenuto di gruppi metossilici è maggiore nelle latifoglie rispetto alle conifere e ciòè riconducibile alla differente abbondanza di metossili nei precursori della lignina nei due diversi tipi di legno. Nelle fasi iniziali della lignificazione, la L-fenilalanina è convertita in acido cinnamico e, nelle graminacee, la L-tirosina in acido pcumarico. Dall'acido cinnamico e p-cumarico derivano gli alcoli pcumarilico, coniferilico e sinapilico. Questi alcoli, sintetizzati nel citoplasma, vengono trasportati nella parete cellulare dove, ad opera di enzimi delle classi delle perossidasi e delle laccasi, presenti. Nelle piante subiscono una deidrogenazione con formazione delle forme mesomeriche dei fenossi radicali che per accoppiamento radicalico polimerizzano a formare prima dei dimeri, poi la lignina Allo stesso tempo si stabiliscono l e g a m i tra i fenossi radicali e i componenti macromolecolari della parete cellulare. Una rappresentazione d'insieme dei principali legami nella lignina di faggio è riportata nella figura dove risulta evidente che la lignina, diversamente da altri biopolimeri, contiene legami di varia natura difficilmente idrolizzabili; queste caratteristiche, unite a una struttura tridimensionale non cristallina e ad un'elevata idrofobicità, spiegano la sua grande resistenza meccanica e reattività chimica. Anche dal punto di vista analitico lo studio della molecola di lignina presenta problemi e ostacoli. La composizione eterogenea, la variabilità nelle dimensioni e nei legami coinvolti, la difficoltà di isolare la molecola naturale integra hanno limitato la caratterizzazione della struttura del polimero. E solo di questi ultimi anni l'approfondimento degli studi con tecniche di Risonanza Magnetica Nucleare bi- e tridimensionale in fase solida. Questi metodi analitici riescono a stabilire con elevata precisione la stereochimica e le diverse tipologie di legame presenti nei vari tipi di legno. Reattività della lignina La reattività della lignina è dovuta sia alle varie funzioni (gruppi ossidrilici benzilici, gruppi carbonilici e carbossilici) presenti sulle catene propanoidiche, sia alla funzione fenolica e al nucleo aromatico. Essa è soggetta, pertanto, soprattutto a reazioni di sostituzione, ossidazione e idrolisi. I nuclei aromatici subiscono le reazioni tipiche dei substrati benzenoidi, cioè le sostituzioni elettrofile aromatiche (fig. 7.5) Tra questi processi, i più comuni sono quelli che avvengono durante lo sbiancamento delle paste di legno con il cloro nel corso della produzione della carta (vide infra), in cui il cloro molecolare (elettrofilo) attacca rapidamente la lignina dando luogo a diversi prodotti solubili di clorurazione degli anelli aromatici, che vengono sostituiti in modo non uniforme. I sistemi fenolici, dal canto loro, possono partecipare a diverse reazioni in quanto sono in grado di dar luogo a intermedi reattivi di tipo radicalico, chinonico e anionico Per la presenza di gruppi fenolici (tipici dei monomeri) e di gruppi carbossilici, la lignina è sensibile all'attacco delle basi; la salificazione dei gruppi fenolici e carbossilici rende la lignina più soggetta a reazioni di ossidazione, probabilmente attraverso la formazione di specie chinonoidi non aromatiche. L'ossidante più comune è l'ossigeno molecolare, che però non attacca la lignina a meno che il processo non sia catalizzato dalla luce e da ioni di metalli di transizione; questo tipo di reattività è importante soprattutto quando un materiale ligneo sia rimasto in contatto con manufatti metallici per un certo tempo (per esempio un legno da recupero archeologico) Altre condizioni ossidanti portano alla formazione di aldeidi aromatiche (p-idrossi_ benzaldeide, vanillina e siringaldeide) a partire dai monomeri è quindi in grado di degradare la lignina agendo sulle catene laterali dei nuclei aromatici; questi metodi di ossidazione sono usati anche per determinare il rapporto tra i monomeri alcolici all'interno del polimero (va ricordato che la lignina varia da una specie vegetale all'altra). I gruppi ossidrilici in catena, gli ossidrili di tipo benzilico e i gruppi eterei (soprattutto quelli di tipo benzilico) possono reagire con composti solforati come il bisolfito per dar luogo a sali di acidi solfonici; nel caso dei gruppi eterei, in queste condizioni avviene una scissione dell'etere, quindi il processo causa una parziale degradazione della lignina (ciò avviene per esempio durante il processo al solfito per l'ottenimento della cellulosa dal legno, vide infra). Nell'ecosistema terrestre la degradazione della lignina rappresenta una fase centrale nel ciclo globale del carbonio organico, dal momento che questo biopolimero è secondo solo alla cellulosa per abbondanza e protegge fisicamente cellulosa emicellulose dall'idrolisi enzimatica. In natura, dopo la morte dei tessuti vegetali la lignina viene degradata a humus o mineralizzata ad acqua e anidride carbonica per lo più da funghi, in quanto i ceppi microbici capaci di attaccarla sono poco diffusi. Diversi tipi di funghi effettuano 1'ossidazione della lignina per via enzimatica. Si ritiene che alcune perossidasi e laccasi possano svolgere un ruolo importante. nell'ossidare le posizioni α nelle catene laterali dei sistemi aromatici. I basidiomiceti e gli ascomiceti sono in grado di attaccare numerose posizioni del polimero mediante reazioni enzimatiche che causano grosse modifiche strutturali, quali scissioni ossidative di anelli e ossidazione di catene laterali; il risultato è una struttura degradata con un maggior contenuto di gruppi ossigenati (soprattutto carbossilici e aldeidici). Un minor effetto degradativo è causato da alcuni basidiomiceti effettuano la demetilazione dei gruppi metossilici (carie bruna). Sembra comunque che per la biodegradazione della lignina l'ossigeno molecolare sia necessario in quanto in ambienti anaerobici, come nei sedimenti lacustri o nel rumine degli erbivori, essa non viene degradata in maniera significativa. II legno come bene culturale Tecniche di indagine e analisi Per ciò che riguarda un'indagine morfologica dei materiali lignei, può essere importante determinare le specie legnosa. La prima caratterizzazione è puramente macroscopica e si effettua a occhio nudo. L'indagine a livello microscopico per la conferma dei caratteri morfologici richiede l'asportazione di un piccolo campione seppure di dimensioni molto ridotte. Il campione deve essere prelevato in modo effettuare l'indagine tridimensionalmente; il risultato viene poi confrontato con test di riferimento presentati dalla letteratura scientifica e la comparazione porta all'identificazione dei caratteri anatomici. L'osservazione al microscopio è utile anche per osservare il degrado biologico dovuto all'attacco dei microrganismi. Le tecniche radiografiche si impiegano per avere informazioni di tipo strutturale e sullo stato di conservazione. Queste fanno parte dei metodi non invasivi per 1'analisi dei materiali in esame e si basano sulla ben nota proprietà delle radiazioni ionizzanti (raggi X) di impressionare una lastra fotografica. L'annerimento è proporzionale alla quantità di raggi X che arrivano sulla lastra, fattore strettamente correlato alle proprietà attenuanti dell'oggetto sottoposto ad analisi (densità e spessore). Infatti, in questo tipo di analisi, il materiale da analizzare e posto tra la sorgente di radiazioni e la lastra fotografica. Tra le tecniche analitiche microinvasive, che comportano cioè 1'asportazione di piccole quantità di materiale. la microscopia a scansione elettronica (SEM) permette di studiare la struttura fine delle pareti cellulari del legno mentre la spettroscopia infrarossa in trasformata di Fourier (FT-IR) perrnette di studiare lo stato di degrado dei legni archeologici. Ciò viene fatto valutando il rapporto tra le assorbanze di cellulosa e lignina, che aumenta durante l'invecchiamento del legno. Un parametro fisico che è utile conoscere per un'indagine sul legno è dato dal rapporto massa/volume. Il legno infatti ha una notevole affinità per 1'acqua del-1'ambiente in cui è conservato e un diverso contenuto d'acqua può far variare sia il suo volume che la sua massa; pertanto la misura della massa (o del volume) va effettuata conoscendo il grado di umidità presente al momento della determinazione. La massa volumica (g/cm3), cioè il rapporto fra massa e volume, cambia al variare dell'umidità ed è riportata in condizioni di umidità definita normale e allo stato anidro. Negli alberi appena tagliati è presente acqua libera sotto forma di linfa e acqua adsorbita alle varie componenti delle pareti cellulari. L'acidità del legno varia dal 50 al 300 % nel legno fresco. Nel legno stagionato questo valore si equilibra con 1'umidità dell'ambiente esterno per cui in condizioni normali temperatura pari a 20 °C e umidità relativa circa il 65 %) il legno assume un'umidità di equilibrio del 12 %, detta appunto umidità normale del legno. Nel legno dopo 1'abbattimento della pianta si ha una perdita d'acqua progressiva dal lumen cellulare con conseguente collasso della parete cellulare soprattutto se il legno è in parte degradato; che può comportare una diminuzione del volume cellulare. Quando non c'e più acqua libera, ma solo acqua di adsorbimento, nelle fibre inizia il ritiro del legno; questo e di entità diversa nelle tre dimensioni anatomiche del legno non degradato (tangenziale > radiale > longitudinale). Quando i ritiri del legno non presentano questa forte differenza, si è in presenza di legno degradato. Pertanto la determinazione dei ritiri assieme alla determinazione del contenuto d'acqua di un legno sono valutazioni importanti del degrado del materiale ligneo. Un'altra caratterizzazione importante è data dalla misura del contenuto percentuale dei componenti chimici del legno e cioè la frazione di lignina, di olocellulosa emicellulose e cellulosa) e di materiale organico estrattivo. Queste determinazioni, sia per il legno fresco sia per quello degradato, come per esempio quello archeologico imbibito, si effettuano mediante procedure standardizzate fornite dalla Technical Association of the Pulp and Paper Industry Le metodiche per la determinazione quantitativa dei componenti chimici fondamentali del legno si basano su analisi termogravimetriche, spesso associate a diffrazione ai raggi X (che consente una valutazione dell'indice di cristallinità della matrice cellulosica). A queste tecniche si affiancano sia tecniche strumentali, come FT-IR e NMR, già citate sopra, la spettroscopia UV, per la determinazione quantitativa della lignina in soluzione, la gascromatografia-spettrometria di massa (GC-MS), sia metodi chimici di determinazione dei gruppi funzionali della lignina. Benché esistano molti metodi analitici per il rilevamento della lignina nei campioni, i p i ù semplici si basano sul fatto che con particolari sostanze organiche ed inorganiche hanno luogo reazioni che possono essere seguite colorimetricamente. Tra queste vale ricordare come saggi specifici della lignina la reazione di Wiesner e quella di Maule. La reazione di Wiesner si basa sulla formazione di un composto colorato che assorbe nel visibile con un massimo a 550 nm, dovuto alla reazione in acido cloridrico fra i gruppi aldeidici della lignina e il fluoroglucinolo: La reazione di Maude si basa sul trattamento del campione prima con permanganato in acido cloridrico, poi con idrossido d'ammonio concentrato: in questo caso si osserva una intensa colorazione che va dal rosso porpora o al giallo a seconda del tipo di legno La determinazione del contenuto in lignina può essere effettuata con metodi diretti, come la misura della lignina dopo digestione del legno con acido solforico concentrato per solubilizzare i carboidrati (lignina Klason), oppure indiretti. metodi spettrofotometrici e metodi basati sul consumo di ossidanti. Questi sono particolarmente usati nel determinare il contenuto di lignina residua nelle paste di legno non sbiancate. Cenni sulle tecniche conservative I1 legno è soggetto a degrado di tipo chimico e biologico, causato da agenti bio deteriogeni e da fattori ambientali quali umidità, temperatura e pH. Nei legni degradati si notano modificazioni nella composizione chimica e variazioni nei rapporti tra i costituenti, con alterazione delle proprietà fisiche e meccaniche caratteristiche del materiale integro. La deteriorabilità del legno ha portato anche nel passato alla ricerca di metodi e tecniche idonee a proteggerlo. Le problematiche relative al restauro e alla conservazione di manufatti lignei sono infatti profondamente differenti da quelle degli altri materiali e soprattutto richiedono un diverso approccio a seconda che gli oggetti siano stati mantenuti in luoghi asciutti (parti strutturali, parti d'arredamento, statue) o provengano da siti sommersi. I legni asciutti presentano problemi di fragilità e per questo necessitano di materiali adatti, sia nella fase di recupero, sia in quella di trattamento conservativo, Al contrario i legni imbibiti appaiono spesso, nella fase di recupero, molto ben conservati, soprattutto per il rigonfiamento dovuto all'assorbimento d'acqua che è proporzionale al degrado. I manufatti in legno, dei quali esempi notissimi sono i relitti navali storici come quello conservato nel Museo Vasa a Stoccolma, possono, infatti, in particolari condizioni preservarsi per lungo tempo nell'ambiente sommerso: ciò avviene se la temperatura è abbastanza bassa da rallentare i naturali processi degradativi e se 1'ambiente è povero di ossigeno, come avviene nelle profondità marine, oppure se il legno è coperto da fango o argilla, come è avvenuto nel caso delle navi romane ed etrusche rinvenute a San Rossore. I legni che hanno subito un forte degrado nella struttura della parete cellulare non possono per esempio essere esposti all'aria dopo il recupero senza che si verifichi il collasso della parete con un danno irreversibile. E’ quindi necessario salvaguardare il legno garantendone la conservazione in un ambiente di opportuna umidità. Nel caso di legni bagnati si deve pertanto eliminare l'acqua, che li rende instabili all'aria, consolidando e stabilizzando il materiale in modo da restituirgli le caratteristiche meccaniche originarie e consentire scambi controllati di umidità con 1'ambiente in cui è collocato. I legni di derivazione archeologica presentano, nella maggior parte dei casi, situazioni specifiche di degrado chimico, fisico e biologico, dovute alla loro permanenza in acqua o quantomeno in ambiente umido. A causa della permanenza prolungata in ambiente acquoso, i legni imbibiti, oltre alla perdita pressoché totale di cellulosa, emicellulosa e delle sostanze estrattive solubili, presentano un degrado parziale e alterazioni strutturali della lignina. Per questi legni, il deterioramento delle pareti cellulari è irreversibile: in un primo momento vengono rimossi, a seguito di un mero fenomeno di diffusione, i prodotti solubili in acqua (sali, zuccheri, tannini, amidi ecc.), successivamente interviene un'idrolisi delle emicellulose meno stabili (pentosani), mentre quelle più stabili (galattina, poliuronidi) si degradano solo se attaccate da organismi specifici. Con la decomposizione parziale della cellulosa ciò che in definitiva rimane sono le sostanze più resistenti. I legni bagnati o imbibiti si caratterizzano per un più elevato contenuto di lignina, per un minor contenuto di polisaccaridi e al contempo per la presenza di sostanze estranee al legno, depositate dall'acqua. Essi si presentano come una massa tenera completamente disorganizzata, comprimibile con le dita, con una consistenza "gommosa" o "fangosa". La perdita di cellulosa ha come conseguenza fatto che il legno tende a diventare capillare al punto che l'acqua libera, contenuta nelle cavità e non legata alle pareti cellulari, vi si trova in quantità di gran lunga maggiore che nel legno normale, agevolando cosi la deposizione di sostanze estranee. Il ritiro del legno non degradato si ha nel momento in cui l'umidità scende sotto il limite di saturazione delle pareti cellulari (30-35 %), i legni sottoposti, a immersione per lunghi periodi di tempo presentano invece fenomeni di contrazione a umidità elevate (già a iniziare dal 60-70 %). Il legno proveniente da ambienti di acqua salata non dovrebbe essere subito immerso in acqua corrente, ma dovrebbe subire una sua graduale introduzione. Dovrebbe essere posto per una settimana in una soluzione formata in parti uguali acqua dolce e acqua salata. Trascorso questo tempo, con una salinità che non: dovrebbe essere maggiore del 4 %. potrà essere possibile immergerlo in acqua dolce al 100 %. Avvenuta la desalinizzazione. Si dovrebbe procedere con molta attenzione a una pulitura meccanica, avendo cura di mantenere umido il campione con una specifica copertura ed esponendo solo la zona da ripulire. Parametri quali il contenuto di acqua. salinità, pH, angolo di contatto, densità sono essenziali per una valutazione dello stato di conservazione del legno, insieme all'analisi morfologica effettuata mediante microscopia ottica ed elettronica. In particolare sarebbe opportuno determinare: • il contenuto di umidità: un piccolo campione può essere rimosso dal manufatto.: misurato per determinarne il volume, pesato prima e dopo l’asciugatura tenendo: presente che il livello di umidità dei legni archeologici bagnati può raggiungere: valori molto elevati, con umidità massime che superano i1 400 %. Si definisce umidità massima (Umax) la differenza percentuale tra il peso del campione contenente acqua e i1 peso del campione essiccato a 105 °C per 18 h rispetto quest'ultimo. Il parametro(Umax)si utilizza per definire le classi di degrado del legno bagnato: la classe, Umax > 400 %; 2a classe, 185 < Umax < 400 %: 3` classe, Umax < 185 %; • la densità convenzionale: è la densità espressa in g/cm3, data della relazione R= 1/ ((Umax/100)+ (1/1,5)) in quest'ultima (Umax) è la percentuale massima di umidità contenuta nel campione e 1,5 g/cm3 e la densità delle pareti cellulari, ottenuta da misure su legni integri. Questo parametro fornisce 1'entità del degrado indicando il livello di perdita di densità del legno; • la caratterizzazione della struttura lignea: tecniche non invasive come raggi X. risonanza magnetica nucleare (NMR) e ultrasuoni (US) possono essere utilizzate per lo studio e la caratterizzazione della struttura interna del materiale ligneo. I trattamenti conservativi dei legni bagnati hanno come finalità quella di rafforzare le pareti cellulari e di sostituire 1'acqua presente nel legno con sostanze che diminuiscano la tensione e la pressione esercitata sulle pareti cellulari deidratate. L'ispessimento delle pareti cellulari avviene quindi tramite la sostituzione dell'acqua con una sostanza inerte. A questo scopo sostanze chimiche dette impregnanti (in genere polimeri preformati) vengono usate in soluzione per riempire le porosità del legno degradato; dopo evaporazione del solvente 1'impregnante conferisce al materiale migliori caratteristiche meccaniche. Tra i numerosi agenti utilizzati correntemente con questa finalità vi sono: il polietilenglicole (PEG, HO— (CH2CH2O)n—H) a vari pesi molecolari (PEG 300, 400, 4000: le cifre identificatrici del PEG denotano approssimativamente il peso molecolare), miscele di PEG e polipropilenglicoli (PPG), diverse varietà di zuccheri, allume, 1'idrossipropilcellulosa (Klucel) e la colofonia(3). I1 PEG viene impiegato in soluzione acquosa a vario peso molecolare e a concentrazioni crescenti a varie temperature. IlPEG è un polimero igroscopico che si presenta come un solido ceroso a temperatura ambiente e la sua igroscopicità è maggiore per il PEG a catena più corta. Ha la caratteristica di avere una conducibilità non trascurabile anche allo stato solido e di permettere il trasporto di elettroliti. Per questo motivo, il legno impregnato con PEG deve essere conservato in condizioni attentamente controllate e stabili di temperatura e umidità per limitare il trasporto di ioni e di ossigeno all'interno del legno. I1 metodo che oggigiorno sembra offrire migliori garanzie e quello che prevede 1'utilizzo di soluzioni: • 40 % PEG 400 seguita da 70 % PEG 4000 a T = 20-60 °C per i legni di latifoglie; • 30 % PEG 400 seguita da 50 % PEG 4000 a T = 20-60 °C per i legni di conifere. L'utilizzo di PEG porta ad un'alta efficacia di impregnazione ma si è visto che il PEG riscaldato emette quantità non trascurabili di formaldeide, quindi 1'utilizzo del PEG a caldo presenta rischi sanitari e ambientali per ora non risolti. 1 saccarosio e la colofonia sono utilizzati soprattutto nei manufatti compositi di legno e ferro, dal momento che non innescano meccanismi corrosivi, come invece ,accade con il PEG in presenza di elementi metallici. I diterpeni contenuti nella colofonia sono molecole abbastanza piccole da penetrare nelle cavità del legno: il metodo è utilizzabile solo per oggetti di piccole dimensioni a causa del rischio sanitario ambientale dovuto all'impiego di ingenti quantità di acetone. Un'alternativa a questi metodi tradizionali è rappresentata dalla tecnica della polimerizzazione in situ, facendo assorbire nel legno poroso monomeri e iniziatore etilmetacrilato/metilacrilato (per e esempio, un una iniziatore, miscela il al monomero 70/30 1,6- esandiolodiacrilato in presenza di un iniziatore termico) e facendo avvenire la polimerizzazione all'interno: trattandosi di molecole di piccole dimensioni, esse penetrano agevolmente. (3) E un materiale resinoso ottenuto come residuo della distillazione delle resine di conifere e noto in commercio col nome di pece greca. La colofonia si presenta in forma di massa resinosa trasparente, contenente pin del 90 % di acidi resinici, tra cui l'acido abietico. Metodologia del Restauro Disinfestazione Il trattamento antitarlo in fase di restauro può essere effettuato su mobili infestati dai tarli che dovranno essere necessariamente soggetti quindi ad un adeguato trattamento a base di antitarlo liquido. Occorre avere una quantità sufficiente di prodotto antitarlo (solitamente sono necessari circa 3 litri per il trattamento standard) che con un pennello adeguatamente largo, va applicato abbondantemente su tutte le parti del mobile non verniciate (legno grezzo). Schiena, interni e fondi dei cassetti e del mobile dovranno essere trattati, cercando di applicare il prodotto abbondantemente. Quando il tipo di mobile lo consente, sarà utile piegarlo sul fianco o capovolgerlo, per spennellare il liquido antitarlo perpendicolarmente alla superficie da trattare, in modo che la forza di gravità aiuti il prodotto a penetrare in profondità nella struttura lignea. Grazie alle sue caratteristiche, infatti, l'antitarlo liquido penetra in profondità nel legno consentendo di raggiungere anche gli insetti annidati più in profondità. Dopo che la il prima mano di antitarlo è stata assorbita dal legno e quindi la superficie trattata sarà nuovamente asciutta (sono necessari alcuni giorni) si procederà all'applicazione di una seconda mano, sempre con la procedura descritta sopra. A questo punto si passa alla chiusura dei fori dei tarli, che potrà essere eseguita con i bastoncini di cera o con lo stucco (pronto all'uso, oppure da prepararsi con gesso di Bologna e colla forte) se i fori sono molti la finitura prevista è a gommalacca. Questo tipo di intervento è possibile in qualsiasi ambiente anche in casa, specialmente se si impiega un prodotto antitarlo atossico e inodore come il SINOTAR: L'antitarlo SINOTAR è una soluzione pronta all'uso, completamente inodore e incolore, da applicare a pennello o spruzzo su manufatti in lavorazione o in opera sia in flaconi che in bombolette spray con beccuccio Caratteristiche: Il solvente dell' antitarlo SINOTAR permette di veicolare il principio attivo (Permetrina) in modo ottimale per avere un'efficace penetrazione nel legno (in 24 ore Sinotar, per capillarità, può penetrare nel legno per più di 50 cm.) e non è tossico per l'uomo. SINOTAR supera la prova dell'efficacia contro le larve dell'Hylotrupes Bajulus secondo il Protocollo Europeo UNI EN 46. Presidio Medico Chirurgico Registrazione N. 18765. − Non pericoloso per l'uomo − Non sviluppa gas tossici e cattivi odori − Previene da nuove infestazioni − Inodore, incolore e non macchia Consolidamento Con il consolidamento si intende riconferire una normale coesione ad un materiale che ha subito processi di degrado che ne hanno compromesso la sua microstruttura. I consolidanti sono sostanze atte a ristabilire, generalmente per impregnazione, un grado sufficiente di coesione in materiali che a causa del degrado sono venuti progressivamente a perdere quella condizione di aggregazione che originariamente li caratterizzava. Tale intervento prevede l'impregnazione delle porosità "anomale" della struttura con un consolidante allo stato liquido che per reazione o evaporazione del solvente ristabilisca la coesione persa, il trattamento di consolidamento si rende necessario quando la materia di un mobile è indebolita al punto da mettere in pericolo il suo equilibrio strutturale e la sua conservazione nel tempo. E’ pertanto uno dei primi passi di qualsiasi intervento, quando si prevede che l'opera indebolita possa subire ulteriori danni nel corso dell'intervento di restauro. Esistono diversi metodi e sostanze per consolidare il legno fragile di un mobile. In passato le sostanze usate erano di origine naturale, come la colla animale, la cera d'api o le resine naturali. Oggi, senza escludere tali materiali, si ha a disposizione un’ampia gamma di consolidanti sintetici, che in linea di principio, in molti casi, hanno maggior efficacia rispetto a quelli naturali. Tuttavia occorre porre attenzione al loro utilizzo ricordando sempre che si introduce nel legno una sostanza estranea, la cui reazione è imprevedibile, poiché, essendo prodotti di recente fabbricazione non e’ stato ancora verificato il loro comportamento nel tempo, la loro reversibilità e la loro stabilità; è bene dunque non lasciarsi trasportare dai risultati spettacolari dei consolidanti sintetici limitandone l'uso ai soli casi in cui non esistano altre alternative possibili. I consolidanti sono sostanze liquide a bassa viscosità che consentono per capillarità una diffusione omogenea all'interno del materiale decorso. Sono applicabili per spennellatura, iniezione goccia a goccia o immersione, essi solidificano all'interno del legno conferendogli una certa consistenza. La solidificazione si può produrre per evaporazione del solvente contenuto nel consolidante (come nel caso della colletta o di alcune resine sintetiche) o per reazione delle due sostanze di cui è composto il consolidante (resine epossidiche o del poliestere). L'efficacia del trattamento è maggiore quando avviene per iniezione, goccia a goccia o immersione, in quanto, in questi casi, la penetrazione della sostanza nel legno è più intensa, mentre quando si applica per impregnazione il consolidante tende a rimanere in superficie. Tuttavia, il metodo dell'immersione presenta l'inconveniente di sporcare la superficie e inoltre può essere applicato solo ad oggetti di dimensioni ridotte. Una volta avvenuta, l'impregnazione deve seguire un processo di presa grazie al quale torna a ristabilirsi un grado di coesione sufficiente a garantire la permanenza dello stato fisico, compatibilmente con le forze in gioco nel sistema. Per coesione, si intende, nei problemi di conservazione, l'insieme di forze attrattive che si esercitano tra gli elementi microstrutturali costitutivi di un materiale. Il concetto di coesione è complesso ed implica non solo la durezza ma ad esempio anche l'elasticità di un materiale. Le forze coesive possono, per cause differenti, indebolirsi o addirittura annullarsi localmente determinando una graduale formazione di fratture di entità variabile: da quelle microscopiche e submicroscopiche, a quelle pur sempre piccolissime ma rilevabili a occhio, a quelle macroscopiche con distacchi o separazioni ben evidenti nella struttura. In relazione alla coesione originaria i diversi materiali possono essere classificati in duri, pastosi, morbidi ecc. Esistono anche delle scale di quantificazione della durezza che permettono, per confronto, di assegnare un valore a un determinato materiale. Quest'ultima è soprattutto legata alla deformabilità della sua microstruttura. Sottoposti ad un'azione meccanica tendente ad alterarne la forma, i materiali elastici possono subire la modifica in maniera reversibile senza che si verifichi contemporaneamente perdita di coesione. La scelta di un prodotto consolidante che ristabilisca una coesione iniziale compromessa, deve tenere conto dell’ insieme di proprietà meccaniche che il pezzo da trattare possedeva all'origine e che attraverso l'intervento di consolidamento si tenta di ricondurre a condizioni di durabilità e affidabilità. La perdita di coesione può avvenire per differenti motivi causati da processi di deformazione meccanica innescati da variazioni termiche ed igrometriche succedutesi nel tempo oppure a causa di un insieme di fenomeni chimici o anche biologici con ripercussioni che hanno modificato la natura di alcune delle sostanze cementanti o leganti alle quali era dovuta la coesione originaria. Quando in casi estremi il legno ha raggiunto uno stato friabile, nessuno di questi trattamenti risulterà sufficiente a rafforzarlo. In queste circostanze, eccezionalmente, si può procedere alla sostituzione delle parti indebolite con nuovi pezzi, realizzati però con un legno più morbido e riconoscibile rispetto a quello originale. Quando il legno è in condizioni di eccessiva fragilità, non si deve commettere l'errore, oggi molto comune, di procedere alla stuccatura senza prima effettuare un trattamento di consolidamento. La stuccatura non è un rimedio alla patologia della materia, ma contribuisce anche a debilitarla ancora di più, infatti essendo lo stucco un materiale più rigido rispetto alla zona indebolita tende a esercitare tensioni sul legno provocando rotture e sollevamenti. I consolidanti possono essere di due tipi: naturali e sintetici Consolidanti naturali Cera d’api La cera d'api e’ una cera vergine di origine animale prodotta dai favi che si presenta in colori variabili che vanno dal giallo chiaro al bruno. E’ il materiale organico più durevole e stabile che esista, non risente di cambiamenti ambientali e di umidità, non e’ soggetto a contrazioni. Il suo unico inconveniente e’ quello di attrarre la polvere Viene preparata per poter ottenere l'encaustico da applicare sui mobili, chi non ha molto tempo a disposizione può impiegare la cera d'api in pasta già pronta all'uso. L'uso principale che si fa della cera nel restauro, è senz'altro la lucidatura. Un uso non meno frequente e altrettanto importante, si ha in fase di stuccatura: infatti, per quei mobili che poi andranno lucidati a cera, si possono usare gli stick di cera (colorati in varie tonalità di essenze) per chiudere i piccoli fori dei tarli o le piccole imperfezioni. Non è adatta per sostituire lo stucco vero e proprio, in quanto la sua consistenza non lo permette. Una volta applicata la cera, infatti, non indurisce come lo stucco, ma rimane morbida. Ricetta per la preparazione dell'encaustico - L’ Encaustico è il prodotto che si ottiene sciogliendo la cera in un solvente: il migliore risultato e’ ottenuto con l'essenza trementina. Nella preparazione occorre porre moltissima attenzione in quanto il solvente usato e altamente infiammabile occorre quindi utilizzare per la preparazione un fornellino elettrico e non a fiamma libera. - Pesare ca 120 gr. di cera d'api riducendoli in piccoli pezzi con un coltello, aggiungere 80 gr. di cera carnauba. - Mettere il tutto in un pentolino al quale uniremo 80 cl. di essenza di trementina. Scaldare il tutto a bagnomaria mescolando di tanto in tanto. - Quando la cera è perfettamente sciolta toglierla dal fuoco e con molta cautela versarla in vasi di vetro. Quando si è raffreddata occorrerà conservare i vasi ermeticamente chiusi al buio. - La concentrazione suggerita (12% di cera, 8% di carnauba, 80% di essenza di trementina), non è tassativa: potrà essere aumentata o diminuirla in relazione al tipo di legno che si deve lucidare. -Per i legni duri utilizzeremo un prodotto più diluito, mentre per quelli teneri (quindi con pori più aperti) un prodotto più concentrato. Questa diluizione è ottimale per l'applicazione della cera a pennello una volta riscaldata prima dell'utilizzo. L'encaustico può essere opportunamente colorato. Consolidanti sintetici Il Paraloid B72 e’ un copolimero di durezza media a base di metacrilato di etile e metacrilato di metile (70/30), si presenta sotto forma di perline trasparenti. Punto di fusione: 150°C solubile negli esteri (acetato di etile e di amile), chetoni, idrocarburi aromatici (toluene), idrocarburi clorurati (tricloroetilene, ecc.). Insolubile negli idrocarburi alifatici (white spirit) e negli alcooli. Compatibile con diverse resine viniliche e acriliche. Il Paraloid B72 è stato ampiamente studiato a livello scientifico come consolidante per legno e di molti altri elementi che costituiscono il mobile. Il trattamento con il Paraloid B72, riduce le microporosità, rendendo l'oggetto più compatto, meno friabile, riducendo l'assorbimento di acqua sia in superficie sia in profondità. Non altera i colori naturali essendo la resina trasparente e resistente nel tempo. Tra i suoi vantaggi segnaliamo la flessibilità, il fatto che non attrae la polvere, non produce deformazioni plastiche ed è molto stabile. Preparazione del Paraloid B72: Il Paraloid B72 è una resina acrilica che si presenta sottoforma di solide gocce trasparenti che vanno fatte sciogliere in idoneo solvente (es. diluente nitro, acetone ecc.) nella percentuale che va dal 5% al 10% in funzione delle esigenza applicative. Applicazione del Paraloid B72 come consolidante: Il Paraloid B72 può essere applicato allo stato liquido per spennellatura, iniezione, goccia a goccia o immersione. Una volte penetrato all'interno del legno, il Paraloid si solidificherà conferendogli una certa consistenza. La solidificazione del Paraloid B72 si produce per evaporazione del solvente utilizzato per preparare il consolidante (ad esempio diluente nitro). L'efficacia del trattamento con il Paraloid B72, è maggiore quando avviene per iniezione, goccia a goccia o immersione, in quanto, in questi casi, la penetrazione della sostanza nel legno è più intensa, mentre quando si applica per impregnazione il consolidante tende a rimanere in superficie. SCHEDA TECNICA LINEA RESINE SINTETICHE PARALOID B72 SCHEDA INDICAZIONI RESINA ACRILICA 100% Copolimero di metilacrilato ed etilmetacrilato CARATTERISTICHE CHIMICO-FISICHE ASPETTO: Solido in grani, semolato, emulsionato COLORE: Incolore, trasparente ODORE: Di acrilato SOLUBILITA': Solubile in toluene, acetone, tricloroetilene Diluibile in xilene, Shellsol A, isopropanolo, PM Cellosolve. Insolubile in White Spirit, V.M.&P Naphta TEMPERATURA VETRIFICAZIONE: Circa 40°C PUNTODI RAMMOLLIMENTO: Circa 70°C PUNTO DI FUSIONE: Circa 150°C VISCOSITA' soluzione al 40% a 25°C: In acetone circa 200°C In toluene circa 600°C In xilene circa 900°c CONSERVAZIONE: Il prodotto illimitatamente se tenuto ben chiuso disciolto nel solvente si conserva RESISTENZA: E' ampiamente resistente alle condizioni climatiche più dure. Buona resistenza agli acidi principali, agli alcali, lubrificanti, detersivi Resina acrilica termoplastica medio dura, resistente alla luce e all'invecchiamento. CAMPI DI UTILIZZO: Utilizzato nella maggioranza dei casi come protettivo di metalli e materiali compatti e per il consolidamento, mediante impregnazione, dei più vari tipi di materiali porosi come tufo, legno, intonaci, superfici assorbenti ecc. MODALITA' DI APPLICAZIONE: Il Paraloid B-72 si può applicare allo stato trasparente, caricato di inerti, oppure ancora pigmentato con pigmenti compatibili con i solventi usati per la sua diluizione. Il prodotto può essere applicato a spruzzo, a pennello o per immersione e asciuga all'aria o al calore. Fra i vari solventi utilizzabili il più indicato è il tricloroetilene, la cui sperimentata qualità lo rende adatto agli usi più delicati ed impegnativi. Infatti, a seconda delle condizioni d'uso (per esempio umidità relativa piuttosto elevata) e del tipo di utilizzazione, ogni solvente ha una sua specificità che va opportunamente valutata. In particolare è da sottolineare che il tricloroetilene non dà effetti di "nebbia" durante la stesura del prodotto ed è ininfiammabile. Pur essendo difficile stabilire una resa sul prodotto secco, a titolo puramente indicativo, possiamo fornire questo dato: resa 10 – 30 mq/100g ESEMPI DI APPLICAZIONE DEL PRODOTTO: LEGNO Per il consolidamento del legno è consigliabile usare soluzioni al 5% -10% in toluene o in tricloroetilene. Le impregnazioni devono essere fatte con la tecnica "a bagnato" fino alla completa saturazione. Per penetrazioni più lente e profonde sono preferibili soluzioni in toluene/xilene oppure toluene/Shellsol A. Pulitura Nel lavoro di restauro di un mobile distinguiamo due tipi di pulizia una iniziale, quando il mobile lasciato inutilizzato nella soffitta o nella cantina per anni, risulta pieno di polvere e sporcizia varia. In questo caso è necessario, munirsi di aspirapolvere, pennellini di varie misure a setole dure al fine di asportare tutto lo sporco polveroso anche dai punti più nascosti. Il secondo tipo di pulizia riguarda la superficie del mobile, e viene effettuata quando il mobile non ha bisogno di essere sverniciato. Questa pulizia della superficie si inserisce nel lavoro di restauro, all'inizio di tutte le operazioni di reintegrazione o ripristino e consolidamento delle parti lignee. - Bisogna intervenire salvaguardando l'integrità della vernice originale e della patina con una procedura graduale, all'inizio con solventi più blandi per poi passare a quelli più aggressivi fino ad ottenere il risultato voluto. - Si eseguirà una "prova" in una parte poco a vista del mobile (es: la parte bassa/posteriore di un fianco) per verificare l'efficacia del metodo di pulitura che sarà usato. Per decidere come pulire un mobile, dovremo prima di tutto stabilire due cose: quale vernice sia presente sul mobile e quale tipo di finitura si vuole applicare. In sostanza, un mobile può essere pulito solo se dopo verrà applicata lo stesso tipo di finitura di quella preesistente. Se si intende applicarne una diversa, si dovrà procedere comunque alla sverniciatura. Si hanno principalmente due tipi di finitura: a cera, o a gommalacca. Pulitura di un mobile rifinito a cera La pulizia del mobile con finitura a cera può essere effettuata semplicemente con uno straccio imbevuto di essenza di trementina. Strofinando accuratamente la superficie del mobile, effettuando la pressione necessaria per ottenere il migliore risultato. Nel caso in cui lo sporco sia particolarmente tenace si evita di esercitare una pressione troppo forte nello stesso punto, in quanto ciò potrebbe schiarire il legno e compromettere gravemente l'estetica del mobile. Per evitare tale inconveniente si proverà a porre sulla zona macchiata alcune gocce di essenza di trementina, lasciare che agiscano per qualche minuto, quindi strofinare la macchia. Pulitura di un mobile rifinito a gommalacca Per pulire efficacemente un mobile verniciato con la gommalacca conviene impiegare una soluzione (detta tripla dal numero dei componenti) preparata con: - 100 ml di essenza di trementina; - 50 ml di alcool a 94° - 50 ml di olio paglierino. Occorre strofinare energicamente, ma uniformemente il mobile con tale soluzione per mezzo di un tampone di cotone. Il cotone va sostituito spesso e diminuita gradualmente la pressione esercitata fino a raggiungere il risultato ottimale. Nel caso di sporco tenace, si può aumentare leggermente la percentuale di alcool, facendo però attenzione a non eccedere, perché verrebbero asportati degli strati di gommalacca e ciò costringerebbe a sverniciare e riverniciare il mobile. Una volta terminata questa fase si strofina il legno con un panno asciutto e pulito. Gli interventi fino ad ora suggeriti non ledono la patina, quindi si possono attuare senza incorrere in danneggiamenti, anche su mobili antichi. Pulizia di macchie ostinate È molto frequente che le superfici da restaurare dopo la sverniciatura si presentino ancora con macchie diffuse, la cui eliminazione (o attenuazione) è operazione tra le più difficili in restauro. Se le macchie resistono ad una leggera carteggiatura, la loro eliminazione dipende dall’età, dalla profondità di penetrazione nel legno, dal tipo di legno, ma soprattutto dall’individuazione (non facile) del tipo di macchia. Se le macchie risultano essere molto ostinate, conviene non rimuoverle, del resto fanno anch'esse parte della storia del mobile. Insistendo si rischia infatti di recare un danno visivo maggiore della macchia stessa presente. Ecco alcuni consigli per il loro trattamento: • Liquidi zuccherini. In questo caso imbibire la zona interessata tamponando con acqua calda. Quindi asciugare con una carta assorbente ed la completa asciugatura. • Sostanze alcoliche. Ove vi siano macchie di questo tipo l’intervento avrà un esito probabilmente negativo. Si può comunque procedere applicando un tampone di cotone imbevuto di 50% di Essenza di Trementina e 50% di Petrolio Rettificato. Quindi pulire con Alcool 94. • Inchiostro. Si può provare ad eliminare le macchie con un batuffolo di ovatta imbevuto di ¾ di acqua ed ¼ di Acido Ossalico. Circoscrivere l’intervento alla sola parte macchiata. Lasciare agire per qualche minuto, quindi sciacquare con una spugna pulita. • Unto e grassi. In questo caso le situazioni sono le più diverse e non sempre è possibile arrivare all’eliminazione completa. Si può provare strofinando la zona macchiata con un batuffolo di cotone imbevuto di Alcool 94. Oppure si può tamponare la macchia con Alcool 94 e Talco e quindi si asciuga con Carta Assorbente riscaldata da un ferro da stiro. • Tracce o macchie di mordente. Si eliminano intervenendo sulle zone interessate con tamponature di 30% acqua, 30% di Ammoniaca (escluso legno di castagno o rovere) e 30% di Acqua Ossigenata 130 volumi. Quindi si sciacqua più volte con una spugna imbevuta d’acqua. Qualora si conosca la natura delle macchie può essere utile tenere presente il seguente universale ricettario chimico, da applicarsi con tamponature di ovatta o Pasta di Cellulosa: Tipo di macchia o incrostazione Ammoniaca o Bicarbonato di Sodio quindi risciacquare a lungo Acidi Caffè Catrame derivati Erba Procedimento di pulizia e Soluzione concentrata di Sale da cucina quindi risciacquare a lungo Ammorbidire con Olio caldo pulire con Benzolo, Xilolo quindi lavare con Acqua e Sapone Alcool intiepidito con fornellino elettrico Quindi Fuliggine Impiastro adesivo Inchiostro Olii vegetali Resine Ruggine Sangue risciacquare Soluzione al 20% di Acido Tartarico Benzina rettificata, Benzolo, Sverniciatore Glicerina, Acido Acetico o Citrico Benzina rettificata o Benzolo Alcool 94 soluzione di Cloruro di Zinco al 10% oppure Acido Citrico al 10% oppure Acido Cloridrico oppure soluzione al 5% di Acido ossalico quindi sciacquare con Acqua ammorbidire con Ammoniaca diluita poi trattare con soluz. di Acido Ossalico 20% quindi sciacquare con Acqua. Lucidatura La lucidatura e’ un intervento con duplice finalità: di tipo protettivo ed estetico. Le finiture possono quindi ridurre il deterioramento del legno, creando una barriera di protezione che eviterà la penetrazione all’interno di materiali dannosi. Nella lucidatura l’aspetto estetico viene esaltato evidenziando le qualità cromatiche e le venature del legno. E’ pur vero che talvolta risalire all’originale lucidatura spesso e’ impossibile, infatti qualora non si conoscano le tecniche originali e i materiali utilizzati (gelosamente custoditi dall’artista), si dovrà intervenire con modalità reversibili e senza snaturare il mobile. La lucidatura a cera si può realizzare con una tecnica mista, preparando un fondo di gommalacca sulla quale verrà eseguita successivamente una lucidatura con cera d’api. La gommalacca in scaglie dovrà essere sciolta in alcool o in soluzione pronta all'uso per poi essere applicata a pennello o a tampone e in questo modo si ottureranno tutti i pori del legno e il fondo sarà adeguatamente preparato per stendere successivamente la cera. Per portare a termine questa fase della lucidatura a cera, è possibile anche impiegare una soluzione turapori a base di gommalacca, che accorcerà drasticamente i tempi di esecuzione. Nell'applicazione a pennello, se ne userà uno piatto a setole morbide al fine di non lasciare striature, e si dovrà porre attenzione affinché non ci siano colature lungo i bordi. Se si dovessero verificare delle sgocciolature, occorrerà subito raccoglierle e distribuirle perché una volta asciutte sarebbe più complicato rimuoverle. Il verso delle pennellate sarà nel senso della venatura del legno. Quando la gommalacca (applicata a pennello o a tampone) sarà bene asciutta occorrerà spagliettare con lana d’acciaio finissima tutte le superfici per renderle uniformemente opache e lisce. Per asportare la polvere formatasi si userà pennello e aspirapolvere. Fatto questo si passerà ad una seconda mano di gommalacca come fatto prima salvo diluire maggiormente la concentrazione. Asciutta la seconda mano si procederà nuovamente a ripassare tutta la superficie con lana di acciaio. Questa operazione può essere ripetuta anche una terza volta oppure si potrà passare all'applicazione della cera d'api in pasta. La cera può essere applicata con un tampone o con un pennello, avendo cura di distribuirla uniformemente su tutta la superficie. Quando la cera sarà asciutta, passeremo a lucidarla con un panno di lana possibilmente riscaldato.