Il legno

Transcript

Il legno
MATERIALI CELLULOSICI
I materiali cellulosici nei beni culturali sono il legno, la carta e i
tessuti.
I loro costituenti principali sono la lignina, le emicellulose e la
cellulosa, che rappresentano. Il composto chimico più abbondante.
Le materie prime,tutte di derivazione vegetale, sono il legno stesso
per i manufatti lignei, il legno e alcune piante verdi per la carta, e
particolari piante per i materiali tessili.
Il legno è stato utilizzato sin dall'antichità come materia. prima per la
produzione di semplici attrezzi, di strutture architettoniche e per
supporto di pitture.
La caratterizzazione chimica del tipo di legno utilizzato è necessaria
sia per comprendere i processi di deterioramento dei materiali
cartacei, oggi largamente ottenuti dalla lavorazione industriale del
legno, sia per consentire di adottare le procedure più idonee per un
corretto lavoro di restauro e per scegliere le migliori condizioni di
conservazione.
Il legno
Caratteristiche fisiche
Il legno è stato il materiale preferito dall’uomo fin dai tempi più
remoti. Il legno è prodotto dalla pianta come elemento strutturale, con
ottime caratteristiche di robustezza e resistenza.
La sua duttilità lo ha reso utile all’uomo che lo ha lo utilizzato per
realizzare abitazioni, oggetti di uso domestico, mobili, oggetti di
carattere ornamentale, ludico, ecc. fin dai tempi più remoti.
La struttura del legno è composta da :
50% di carbonio
42% di ossigeno
6% di idrogeno
2% di minerali, azoto, pigmenti
E’ un insieme di varie sostanze; le principali sono i polisaccaridi
chiamati olocellulose (70%) e la lignina.
La olocellulosa e’ una miscela di cellulosa propriamente detta e di
altri polisaccaridi, del tipo delle emicellulose a peso molecolare
relativamente basso e derivante dall’arabinosio, glucosio, mannosio,
galattosio e xilosio.
La composizione, il grado di polimerizzazione la quantità dei diversi
costituenti differiscono a seconda della specie vegetale.
La lignina e’ un polimero complesso di fenoli variamente sostituiti;
anche per essa la composizione e il grado di polimerizzazione variano
a seconda della specie vegetale.
La sua funzione e’ di cementare le fibre del legno. Sono inoltre
presenti altre sostanze: coloranti, tannini, resine, oli, ecc. che a volte
vengono estratti industrialmente.
Attraverso varie lavorazioni si possono ottenere dal legno molti altri
prodotti: dalla lignina tensioattivi, adesivi e vanillina, dall’olocellulosa
alcool metilico, acido levulinico e miscele di zucchero.
Anche dopo il taglio, non è un materiale inerte, ma vive, quindi
percepisce le variazioni climatiche.
Si gonfia con l'umidità e il calore, mentre di inverno, ritirandosi
produce delle crepe.
I legni si possono dividere tra "legni duri" e "legni teneri"; fra i primi
possiamo classificare ad esempio la quercia, il noce, il bosso, il pero,
il ciliegio; mentre tra i secondi sono il cirmolo, il pioppo, il tiglio e
l'abete.
Pioppo
Noce
Se si osserva la sezione trasversale di un tronco si possono distinguere
chiaramente una serie di anelli concentrici.
Questi sono gli anelli di accrescimento.
La dendrocronologia è la scienza che oltre a definire l'età di una pianta
sulla base del numero degli anelli di accrescimento, riesce a risalire,
studiandone la loro conformazione, agli eventi climatici ed alle
patologie subite dalla pianta.
Corteccia esterna: fisiologicamente è morta, serve come protezione
alla pianta e consente gli scambi gassosi necessari alla vita della
pianta.
Corteccia interna: detta anche Alburno è formata da cellule vive e
costituiscono l'apparato circolatorio della pianta consentendo la
conduzione dei sali minerali dalle radici alle foglie.
Si distingue dall'interno durame dal colore più chiaro.
Libro: Contiene i vasi che conducono il nutrimento sintetizzato delle
foglie ad ogni parte dell'albero, Serve all’albero come sistema di
trasporto per l’acqua e le sostanze nutritive.
Ritidoma e libro insieme formano la corteccia.
Cambio: Strato sottile di tessuto responsabile della produzione di
nuovo legno, sia verso l'esterno sia verso l'interno.
E’ la parte più importante del tronco, poiché a partire da esso l’albero
cresce. Le cellule di questo strato hanno la capacità di moltiplicarsi,
originando il libro nella parte esterna e il legno in quella interna.
Annualmente il cambio forma un nuovo strato di legno, un anello
annuale.
Durame: La parte più interna del tronco è formata da cellule morte e
a livello commerciale è quella più pregiata, perché essendo la parte
più vecchia della pianta è quella più stabile e meno soggetta agli
attacchi di parassiti. Mano a mano che l'albero cresce, l'Alburno
diventa Durame che é la struttura portante del tronco. Esso é
composto da cellule morte. In esse vengono immagazzinate svariate
sostanze (pigmenti, sostanze tanniche, gomme, resine), che rendono il
legno duraturo. Nel durame non viene trasportata acqua, per questo
esso é molto più asciutto rispetto all’alburno.
Midollo: Parte centrale del tronco, generalmente poco differenziabile
dal durame che lo contiene.
Il fusticino della giovane piantina, crescendo in lunghezza, forma un
canale ininterrotto dalle radici alla cima dell’albero. Questo canale
midollare pieno di aria non é utilizzabile nella lavorazione del
legname.
Taglio
Quando i tronchi vengono abbattuti, vengono privati dai rami e dalla
corteccia.
A questo punto il tronco può essere ridotto ad assi secondo diversi
schemi di taglio.
L'ideale per ottenere assi di buona qualità, non soggette a imbarcatura,
è il taglio perpendicolare agli anelli di accrescimento.
Questo tipo di taglio (nella figura chiamato a quarto di ventaglio) è
quello che economicamente è il più costoso in quanto comporta un
alto spreco di materiale.
Il taglio più economico è quello radiale col quale si ha un basso spreco
di legname ma solo le assi centrali saranno stabili, quelle più vicine
alla periferia saranno soggette a deformazioni
Il ritidoma é lo strato di protezione più esterno di un tronco.
L’alburno é la parte viva del legno. In esso acqua e sostanze nutritive
vengono trasportate fino alla chioma. Con l’ispessimento delle pareti
cellulari, le cellule più interne dell’alburno muoiono originando il
durame.
I raggi midollari attraversano in direzione radiale il tronco. Essi
mettono in comunicazione il midollo con la corteccia e servono al
trasporto di sostanze e all’immagazzinamento.
Il termine legno indica quindi un insieme di tessuti presenti in tutte le
piante vascolari, dalle erbe più piccole fino agli alberi più grandi.
L’elemento fondamentale e’ il tessuto vascolare, costituito da lunghe
cellule sovrapposte in file longitudinali interrotte; sono cellule morte,
tra le quali i setti trasversali spesso scompaiono, mentre le pareti
laterali sono sempre lignificate e ispessite. Gli elementi vasali hanno
la funzione di condurre a tutte le parti della pianta le soluzioni
assorbite dalla radice, cioè la linfa ascendente. Questo tessuto e’
generalmente accompagnato da altri elementi accessori (cellule
paranchimatiche e fibre di sostegno). Nel fusto giovane di legno
(formato da vasi ancora poco lignificati e da parenchimi) e’ in stretto
rapporto con il libro nella costituzione dei fasci fibrolegnosi o
cribovascolari; nelle sezioni trasversali dei fusti i fasci hanno la parte
legnosa situata più verso il centro e, contro ad essa, il libro (fasci
laterali).
In una radice giovane invece il libro e’ posto tra due fasci del legno
(fascio alterno e raggiato).
Il legno dei fasci e’ detto legno primario, in opposizione al legno
secondario che e’ presente nel fusto e nelle radici e in un secondo
momento quando nella pianta entra in funzione il cambio
cribiolegnoso.
In questo secondo caso si osservano due zone concentriche:
esternamente il libro e internamento il legno, separati dal cambio che
li ha prodotti. (figure sopra).
Nelle monocotiledoni generalmente non si forma il legno secondario;
legno e libro restano riuniti in fasci librolegnosi distinti. Nelle
dicotiledoni e nelle conifere il deposito di nuovi strati di legno
secondario, sempre all’esterno degli strati già esistenti, inizia in
primavera e termina in autunno.
I primi vasi sono larghi e a parete sottile, cosicché il legno di
primavera e lasso e’ molle. Il legno di autunno al contrario e’ serrato e
duro perché i vasi sono rigidi e tra questi sono formate molte fibre. Il
contrasto che esiste tra le due formazioni permette di stabilire
nettamente la demarcazione tra i due depositi successivi, e di
determinare in modo rigoroso l’età’ dell’albero dal numero di strati
concentrici del legno (cerchio annuale).
A mano a mano che lo spessore del legno aumenta, gli strati più
interni ossia i più vecchi subiscono modificazioni, assumono spesso
un colore scuro, aumentano di lunghezza e di densità, mentre gli strati
più periferici del legno al contrario rimangono di colore chiaro e il
legno appare più leggero.
Si differenzia così il cuore o durame del legno dall’alburno più
esterno.
Gli elementi chimici fondamentali del legno sono dunque
polisaccaridi (cellulosa, emicellulose e pectine), lignina (20-40%),
proteine (< 10 %) e composti inorganici (< 1%).
I1 tronco degli alberi, da cui si ricava il legno è costituito da uno
strato esterno (corteccia) a cui segue un sottile strato (cambia)
responsabile dello sviluppo di nuove cellule. Al di sotto del cambio si
trova il tessuto legnoso. che ha una struttura complessa, dovuta alle
molteplici funzioni cui dove assolvere: di trasporto. di riserva e di
sostegno.
II tessuto delle piante vascolari è costituito da lignocellulosa. un
complesso di tre classi di polimeri: cellulosa (40-50 %), emicellulose
(15-35 %) e lignina. (20-35 %). A differenza della cellulosa, presente
in tutte le specie vegetali, la lignina si forma unicamente nelle piante
vascolari c h e hanno evoluto tessuti specializzati nelle funzioni di
supporto meccanico e conduzione di soluzioni acquose. Nelle piante
delle classi inferiori dell'ordine tassonomico, quali le alghe, i funghi e
i muschi, la lignina non è presente.
Il legno maturo è costituito da cellule allungate longitudinalmente
dette genericamente fibre. La cui caratteristica peculiare è la
presenza di una parete, dalla struttura complessa e soggetta a
variazioni
di
composizione
durante
le
fasi
di
crescita
e
differenziamento delle cellule. I1 suo spessore dipende. in particolare,
dalla funzione che la cellula vegetale riveste all'interno della pianta,
oltre che dall'età della cellula stessa.
Le fibre vegetali sono costituite da 4 strati principali concentrici e
tenute assieme da sostanze intercellulari. come studi effettuati
mediante microscopia ottica ed elettronica hanno consentito di
chiarire. Esse risultano, quindi, formate da una cavità, centrale
(lumen) attorno a cui sono disposte le pareti cellulari concentriche.
indicate normalmente come P (primaria, la più esterna), S, (strato
esterno della parete secondaria), S2 (strato mediano della parete
secondaria) e S3 (strato interno della parete secondaria); le cellule
adiacenti sono cementate dalle sostanze intercellulari chiamate nel
loro insieme lamella mediana, ricche di pectina lignina.
La parete P è composta principalmente da cellulosa, emicellulose,
pectina. proteine e acqua, ma sono presenti anche lignina e suberina ;
i tre strati S1, S2 ed S3 della parete secondaria (quando effettivamente
presente) sono composti soprattutto da cellulosa ed emicellulose.
LA LIGNINA
Tra i composti chimici presenti in natura, la lignina e quello più
abbondante dopo la cellulosa. E’ un polimero tridimensionale
aromatico ad elevato peso molecolare la cui struttura risulta
difficilmente rappresentabile in modo univoco: infatti diversifica
nelle diverse specie vegetali per forma e per dimensioni in relazione
alla tipologia delle cellule in cui è presente e dal tipo di legno.
Strutturalmente la lignina risulta formata da un complesso di
polimeri aromatici costituiti da unità fenilpropanoidiche, legate fra
loro mediante legami C—O—C C—C. Questi ultimi sono i più
resistenti all' attacco chimico. E’ una macromolecola amorfa, dal peso
molecolare elevato (da 2000 a 15000 u.m.a.) e dalla morfologia molto
articolata.
Nello sviluppo filogenetico del regno vegetale, la lignina apparve per
la prima volta quando le piante passarono dalla vita acquatica a quella
terrestre e in questo ambiente dovettero sviluppare sia un sistema di
cellule allungate a funzione conduttrice, sia cellule a funzione
meccanica di sostegno. La lignina, sostanza idrofoba, nella parete di
queste cellule sostituisce le molecole di acqua, interagendo con gli
altri componenti della matrice e legando chimicamente e fisicamente i
componenti polisaccaridici della parete, con conseguente aumento
dell'impermeabilità, della resistenza meccanica e della rigidità della
parete cellulare. La
(1)
La pectina è un insieme di polisaccaridi acidi (acido
poligalatturonico) o neutri ramificati; è la porzione più solubile dei
polisaccaridi della parete.
(2)
La suberina è un biopoliestere costituito da acidi grassi a lunga
catena, acidi grassi ossidrilati, acidi dicarbossilici, alcoli a lunga catena e
composti fenolici; è una sostanza idrofobica, con caratteristiche
prevalentemente lipidiche, e insieme alle cere costituisce una barriera
contro la perdita di acqua da parte delle piante.
La lignina svolge anche un ruolo di primaria importanza conferendo
alla parete una maggiore resistenza nei confronti degli attacchi
microbici.
Dal punto di vista biosintetico, la lignina deriva da tre precursori
alcolici
a
struttura
aromatica:
1'alcol
coniferilico
[4-(3-
idrossipropenil)-2-metossifenolo] (fig. 7.2a), 1'alcol p-dumarilico [4-
(3-idrossipropenil)-fenolo] (fig. 7.2b) e 1'alcol sinapilico [4-(3idrossipropenil)-2,6-dimetossifenolo] (fig. 7.2c), che possono considerarsi i monomeri della struttura polimerica lignina e che
differiscono fra loco per la presenza o meno di gruppi metossilici.
Le percentuali di questi monomeri nelle diverse piante sono variabili:
le piante a legno tenero contengono maggiori quantità di alcol
coniferilico, mentre quelle a legno duro uguali proporzioni di
monomeri con uno o due gruppi metossilici tab. 7.1).
La lignina presente nella parete delle Angiosperme (seme racchiuso
nell'ovario, per esempio le latifoglie) differisce da quella delle
Gimnosperme (a seme nudo, per esempio le conifere): nel primo
caso, infatti, essa si forma prevalentemente dalla polimerizzazione
degli alcoli coniferilico e sinapilico, nel secondo alcol coniferilico.
I dati di base sulla composizione e su alcuni gruppi funzionali della
lignina sono riportati nella tabella 7.2.
I1 contenuto di gruppi metossilici è maggiore nelle latifoglie rispetto
alle conifere e ciòè riconducibile alla differente abbondanza di
metossili nei precursori della lignina nei due diversi tipi di legno.
Nelle fasi iniziali della lignificazione, la L-fenilalanina è convertita
in acido cinnamico e, nelle graminacee, la L-tirosina in acido pcumarico. Dall'acido cinnamico e p-cumarico derivano gli alcoli pcumarilico, coniferilico e sinapilico.
Questi alcoli, sintetizzati nel citoplasma, vengono trasportati nella
parete cellulare dove, ad opera di enzimi delle classi delle perossidasi
e delle laccasi, presenti. Nelle piante subiscono una deidrogenazione
con formazione delle forme mesomeriche dei fenossi radicali che per
accoppiamento radicalico polimerizzano a formare prima dei dimeri,
poi la lignina
Allo stesso tempo si stabiliscono l e g a m i tra i fenossi radicali e i
componenti macromolecolari della parete cellulare.
Una rappresentazione d'insieme dei principali legami nella lignina di
faggio è riportata nella figura dove risulta evidente che la lignina,
diversamente da altri biopolimeri, contiene legami di varia natura
difficilmente idrolizzabili; queste caratteristiche, unite a una struttura
tridimensionale non cristallina e ad un'elevata idrofobicità, spiegano
la sua grande resistenza meccanica e reattività chimica.
Anche dal punto di vista analitico lo studio della molecola di lignina
presenta problemi e ostacoli. La composizione eterogenea, la
variabilità nelle dimensioni e nei legami coinvolti, la difficoltà di
isolare la molecola naturale integra hanno limitato la caratterizzazione
della struttura del polimero. E solo di questi ultimi anni
l'approfondimento degli studi con tecniche di Risonanza Magnetica
Nucleare bi- e tridimensionale in fase solida. Questi metodi analitici
riescono a stabilire con elevata precisione la stereochimica e le
diverse tipologie di legame presenti nei vari tipi di legno.
Reattività della lignina
La reattività della lignina è dovuta sia alle varie funzioni (gruppi
ossidrilici benzilici, gruppi carbonilici e carbossilici) presenti sulle
catene propanoidiche, sia alla funzione fenolica e al nucleo
aromatico. Essa è soggetta, pertanto, soprattutto a reazioni di
sostituzione, ossidazione e idrolisi.
I nuclei aromatici subiscono le reazioni tipiche dei substrati
benzenoidi, cioè le sostituzioni elettrofile aromatiche (fig. 7.5)
Tra questi processi, i più comuni sono quelli che avvengono durante
lo sbiancamento delle paste di legno con il cloro nel corso della
produzione della carta (vide infra), in cui il cloro molecolare
(elettrofilo) attacca rapidamente la lignina dando luogo a diversi
prodotti solubili di clorurazione degli anelli aromatici, che vengono
sostituiti in modo non uniforme.
I sistemi fenolici, dal canto loro, possono partecipare a diverse
reazioni in quanto sono in grado di dar luogo a intermedi reattivi di
tipo
radicalico,
chinonico
e
anionico
Per la presenza di gruppi fenolici (tipici dei monomeri) e di gruppi
carbossilici, la lignina è sensibile all'attacco delle basi; la salificazione
dei gruppi fenolici e carbossilici rende la lignina più soggetta a
reazioni di ossidazione, probabilmente attraverso la formazione di
specie chinonoidi non aromatiche.
L'ossidante più comune è l'ossigeno molecolare, che però non attacca
la lignina a meno che il processo non sia catalizzato dalla luce e da
ioni di metalli di transizione; questo tipo di reattività è importante
soprattutto quando un materiale ligneo sia rimasto in contatto con
manufatti metallici per un certo tempo (per esempio un legno da
recupero archeologico)
Altre condizioni ossidanti portano alla formazione di aldeidi
aromatiche (p-idrossi_ benzaldeide, vanillina e siringaldeide) a
partire dai monomeri è quindi in grado di degradare la lignina
agendo sulle catene laterali dei nuclei aromatici; questi metodi di
ossidazione sono usati anche per determinare il rapporto tra i
monomeri alcolici all'interno del polimero (va ricordato che la
lignina varia da una specie vegetale all'altra).
I gruppi ossidrilici in catena, gli ossidrili di tipo benzilico e i gruppi
eterei (soprattutto quelli di tipo benzilico) possono reagire con
composti solforati come il bisolfito per dar luogo a sali di acidi
solfonici; nel caso dei gruppi eterei, in queste condizioni avviene
una scissione dell'etere, quindi il processo causa una parziale
degradazione della lignina (ciò avviene per esempio durante il
processo al solfito per l'ottenimento della cellulosa dal legno, vide
infra).
Nell'ecosistema terrestre la degradazione della lignina rappresenta
una fase centrale nel ciclo globale del carbonio organico, dal
momento che questo biopolimero è secondo solo alla cellulosa per
abbondanza
e
protegge
fisicamente
cellulosa
emicellulose
dall'idrolisi enzimatica. In natura, dopo la morte dei tessuti vegetali
la lignina viene degradata a humus o mineralizzata ad acqua e
anidride carbonica per lo più da funghi, in quanto i ceppi microbici
capaci di attaccarla sono poco diffusi.
Diversi tipi di funghi effettuano 1'ossidazione della lignina per via
enzimatica. Si ritiene che alcune perossidasi e laccasi possano
svolgere un ruolo importante.
nell'ossidare le posizioni α nelle catene laterali dei sistemi
aromatici. I basidiomiceti e gli ascomiceti sono in grado di
attaccare numerose posizioni del polimero mediante reazioni
enzimatiche che causano grosse modifiche strutturali, quali
scissioni ossidative di anelli e ossidazione di catene laterali; il
risultato è una struttura degradata con un maggior contenuto di
gruppi ossigenati (soprattutto carbossilici e aldeidici). Un minor
effetto degradativo è causato da alcuni basidiomiceti effettuano la
demetilazione dei gruppi metossilici (carie bruna). Sembra
comunque che per la biodegradazione della lignina l'ossigeno
molecolare sia necessario in quanto in ambienti anaerobici, come
nei sedimenti lacustri o nel rumine degli erbivori, essa non viene
degradata in maniera significativa.
II legno come bene culturale Tecniche di indagine e analisi
Per ciò che riguarda un'indagine morfologica dei materiali lignei,
può essere importante determinare le specie legnosa. La prima
caratterizzazione è puramente macroscopica e si effettua a occhio
nudo. L'indagine a livello microscopico per la conferma dei
caratteri morfologici richiede l'asportazione di un piccolo campione
seppure di dimensioni molto ridotte. Il campione deve essere
prelevato in modo effettuare l'indagine tridimensionalmente; il
risultato viene poi confrontato con test di riferimento presentati
dalla
letteratura
scientifica
e
la
comparazione
porta
all'identificazione dei caratteri anatomici. L'osservazione al
microscopio è utile anche per osservare il degrado biologico
dovuto all'attacco dei microrganismi.
Le tecniche radiografiche si impiegano per avere informazioni di
tipo strutturale e sullo stato di conservazione. Queste fanno parte dei
metodi non invasivi per 1'analisi dei materiali in esame e si basano
sulla ben nota proprietà delle radiazioni ionizzanti (raggi X) di
impressionare una lastra fotografica. L'annerimento è proporzionale
alla quantità di raggi X che arrivano sulla lastra, fattore strettamente
correlato alle proprietà attenuanti dell'oggetto sottoposto ad analisi
(densità e spessore). Infatti, in questo tipo di analisi, il materiale da
analizzare e posto tra la sorgente di radiazioni e la lastra fotografica.
Tra le tecniche analitiche microinvasive, che comportano cioè
1'asportazione di piccole quantità di materiale. la microscopia a
scansione elettronica (SEM) permette di studiare la struttura fine
delle pareti cellulari del legno mentre la spettroscopia infrarossa in
trasformata di Fourier (FT-IR) perrnette di studiare lo stato di
degrado dei legni archeologici. Ciò viene fatto valutando il rapporto
tra le assorbanze di cellulosa e lignina, che aumenta durante
l'invecchiamento del legno.
Un parametro fisico che è utile conoscere per un'indagine sul legno è
dato dal rapporto massa/volume. Il legno infatti ha una notevole
affinità per 1'acqua del-1'ambiente in cui è conservato e un diverso
contenuto d'acqua può far variare sia il suo volume che la sua massa;
pertanto la misura della massa (o del volume) va effettuata
conoscendo il grado di umidità presente al momento della determinazione. La massa volumica (g/cm3), cioè il rapporto fra massa e
volume, cambia al variare dell'umidità ed è riportata in condizioni di
umidità definita normale e allo stato anidro. Negli alberi appena
tagliati è presente acqua libera sotto forma di linfa e acqua adsorbita
alle varie componenti delle pareti cellulari. L'acidità del legno varia
dal 50 al 300 % nel legno fresco. Nel legno stagionato questo valore
si equilibra con 1'umidità dell'ambiente esterno per cui in condizioni
normali temperatura pari a 20 °C e umidità relativa circa il 65 %) il
legno assume un'umidità di equilibrio del 12 %, detta appunto umidità
normale del legno. Nel legno dopo 1'abbattimento della pianta si ha
una perdita d'acqua progressiva dal lumen cellulare con conseguente
collasso della parete cellulare soprattutto se il legno è in parte
degradato; che può comportare una diminuzione del volume
cellulare. Quando non c'e più acqua libera, ma solo acqua di
adsorbimento, nelle fibre inizia il ritiro del legno; questo e di entità
diversa nelle tre dimensioni anatomiche del legno non degradato
(tangenziale > radiale > longitudinale). Quando i ritiri del legno non
presentano questa forte differenza, si è in presenza di legno degradato.
Pertanto
la
determinazione
dei
ritiri
assieme
alla
determinazione del contenuto d'acqua di un legno sono valutazioni
importanti del degrado del materiale ligneo.
Un'altra caratterizzazione importante è data dalla misura del
contenuto percentuale dei componenti chimici del legno e cioè la
frazione di lignina, di olocellulosa emicellulose e cellulosa) e di
materiale organico estrattivo. Queste determinazioni, sia per il legno
fresco sia per quello degradato, come per esempio quello
archeologico
imbibito,
si
effettuano
mediante
procedure
standardizzate fornite dalla Technical Association of the Pulp and
Paper Industry
Le metodiche per la determinazione quantitativa dei componenti
chimici
fondamentali
del
legno
si
basano
su
analisi
termogravimetriche, spesso associate a diffrazione ai raggi X (che
consente una valutazione dell'indice di cristallinità della matrice
cellulosica). A queste tecniche si affiancano sia tecniche strumentali,
come FT-IR e NMR, già citate sopra, la spettroscopia UV, per la
determinazione
quantitativa
della
lignina
in
soluzione,
la
gascromatografia-spettrometria di massa (GC-MS), sia metodi
chimici di determinazione dei gruppi funzionali della lignina.
Benché esistano molti metodi analitici per il rilevamento della lignina nei
campioni, i p i ù semplici si basano sul fatto che con particolari sostanze
organiche ed inorganiche hanno luogo reazioni che possono essere seguite
colorimetricamente. Tra queste vale ricordare come saggi specifici della
lignina la reazione di Wiesner e quella di Maule.
La reazione di Wiesner si basa sulla formazione di un composto colorato
che assorbe nel visibile con un massimo a 550 nm, dovuto alla reazione in
acido cloridrico fra i gruppi aldeidici della lignina e il fluoroglucinolo:
La reazione di Maude si basa sul trattamento del campione prima con
permanganato in acido cloridrico, poi con idrossido d'ammonio concentrato:
in questo caso si osserva una intensa colorazione che va dal rosso porpora o
al giallo a seconda del tipo di legno La determinazione del contenuto in
lignina può essere effettuata con metodi diretti, come la misura della lignina
dopo digestione del legno con acido solforico concentrato per solubilizzare i
carboidrati (lignina Klason), oppure indiretti. metodi spettrofotometrici e
metodi basati sul consumo di ossidanti. Questi sono particolarmente usati
nel determinare il contenuto di lignina residua nelle paste di legno non
sbiancate.
Cenni sulle tecniche conservative
I1 legno è soggetto a degrado di tipo chimico e biologico, causato da
agenti bio deteriogeni e da fattori ambientali quali umidità, temperatura e
pH. Nei legni degradati si notano modificazioni nella composizione
chimica e variazioni nei rapporti tra i costituenti, con alterazione delle
proprietà fisiche e meccaniche caratteristiche del materiale integro.
La deteriorabilità del legno ha portato anche nel passato alla ricerca di
metodi e tecniche idonee a proteggerlo. Le problematiche relative al
restauro
e
alla
conservazione di
manufatti
lignei
sono
infatti
profondamente differenti da quelle degli altri materiali e soprattutto
richiedono un diverso approccio a seconda che gli oggetti siano stati
mantenuti in luoghi asciutti (parti strutturali, parti d'arredamento, statue) o
provengano da siti sommersi.
I legni asciutti presentano problemi di fragilità e per questo necessitano di
materiali adatti, sia nella fase di recupero, sia in quella di trattamento
conservativo, Al contrario i legni imbibiti appaiono spesso, nella fase di
recupero, molto ben conservati, soprattutto per il rigonfiamento dovuto
all'assorbimento d'acqua che è proporzionale al degrado.
I manufatti in legno, dei quali esempi notissimi sono i relitti navali storici
come quello conservato nel Museo Vasa a Stoccolma, possono, infatti, in
particolari
condizioni
preservarsi
per
lungo
tempo
nell'ambiente
sommerso: ciò avviene se la temperatura è abbastanza bassa da rallentare i
naturali processi degradativi e se 1'ambiente è povero di ossigeno, come
avviene nelle profondità marine, oppure se il legno è coperto da fango o
argilla, come è avvenuto nel caso delle navi romane ed etrusche rinvenute
a San Rossore.
I legni che hanno subito un forte degrado nella struttura della parete
cellulare non possono per esempio essere esposti all'aria dopo il recupero
senza che si verifichi il collasso della parete con un danno irreversibile. E’
quindi necessario salvaguardare il legno garantendone la conservazione in
un ambiente di opportuna umidità. Nel caso di legni bagnati si deve
pertanto eliminare l'acqua, che li rende instabili all'aria, consolidando e
stabilizzando il materiale in modo da restituirgli le caratteristiche
meccaniche originarie e consentire scambi controllati di umidità con
1'ambiente in cui è collocato.
I legni di derivazione archeologica presentano, nella maggior parte dei
casi, situazioni specifiche di degrado chimico, fisico e biologico, dovute
alla loro permanenza in acqua o quantomeno in ambiente umido. A causa
della permanenza prolungata in ambiente acquoso, i legni imbibiti, oltre
alla perdita pressoché totale di cellulosa, emicellulosa e delle sostanze
estrattive solubili, presentano un degrado parziale e alterazioni strutturali
della lignina. Per questi legni, il deterioramento delle pareti cellulari è
irreversibile: in un primo momento vengono rimossi, a seguito di un mero
fenomeno di diffusione, i prodotti solubili in acqua (sali, zuccheri, tannini,
amidi ecc.), successivamente interviene un'idrolisi delle emicellulose meno
stabili (pentosani), mentre quelle più stabili (galattina, poliuronidi) si
degradano solo se attaccate da organismi specifici. Con la decomposizione
parziale della cellulosa ciò che in definitiva rimane sono le sostanze più
resistenti.
I legni bagnati o imbibiti si caratterizzano per un più elevato contenuto di
lignina, per un minor contenuto di polisaccaridi e al contempo per la
presenza di sostanze estranee al legno, depositate dall'acqua. Essi si
presentano come una massa tenera completamente disorganizzata,
comprimibile con le dita, con una consistenza "gommosa" o "fangosa". La
perdita di cellulosa ha come conseguenza
fatto che il legno tende a diventare capillare al punto che l'acqua libera,
contenuta nelle cavità e non legata alle pareti cellulari, vi si trova in
quantità di gran lunga maggiore che nel legno normale, agevolando cosi la
deposizione di sostanze estranee. Il ritiro del legno non degradato si ha nel
momento in cui l'umidità scende sotto il limite di saturazione delle pareti
cellulari (30-35 %), i legni sottoposti, a immersione per lunghi periodi di
tempo presentano invece fenomeni di contrazione a umidità elevate (già a
iniziare dal 60-70 %).
Il legno proveniente da ambienti di acqua salata non dovrebbe essere
subito immerso in acqua corrente, ma dovrebbe subire una sua graduale
introduzione. Dovrebbe essere posto per una settimana in una soluzione
formata in parti uguali acqua dolce e acqua salata. Trascorso questo
tempo, con una salinità che non: dovrebbe essere maggiore del 4 %. potrà
essere possibile immergerlo in acqua dolce al 100 %.
Avvenuta la desalinizzazione. Si dovrebbe procedere con molta
attenzione a una pulitura meccanica, avendo cura di mantenere umido il
campione con una specifica copertura ed esponendo solo la zona da
ripulire.
Parametri quali il contenuto di acqua. salinità, pH, angolo di contatto,
densità sono essenziali per una valutazione dello stato di conservazione
del legno, insieme all'analisi morfologica effettuata mediante microscopia
ottica ed elettronica. In particolare sarebbe opportuno determinare:
• il contenuto di umidità: un piccolo campione può essere rimosso dal
manufatto.: misurato per determinarne il volume, pesato prima e dopo
l’asciugatura tenendo: presente che il livello di umidità dei legni
archeologici bagnati può raggiungere: valori molto elevati, con umidità
massime che superano i1 400 %. Si definisce umidità massima (Umax)
la differenza percentuale tra il peso del campione contenente acqua e i1
peso del campione essiccato a 105 °C per 18 h rispetto quest'ultimo. Il
parametro(Umax)si utilizza per definire le classi di degrado del legno
bagnato: la classe, Umax > 400 %; 2a classe, 185 < Umax < 400 %: 3`
classe, Umax < 185 %;
• la densità convenzionale: è la densità espressa in g/cm3, data della
relazione
R= 1/ ((Umax/100)+ (1/1,5))
in quest'ultima (Umax) è la percentuale massima di umidità contenuta
nel campione e 1,5 g/cm3 e la densità delle pareti cellulari, ottenuta da
misure su legni integri. Questo parametro fornisce 1'entità del degrado
indicando il livello di perdita di densità del legno;
• la caratterizzazione della struttura lignea: tecniche non invasive
come raggi X. risonanza magnetica nucleare (NMR) e ultrasuoni (US)
possono essere utilizzate per lo studio e la caratterizzazione della
struttura interna del materiale ligneo.
I trattamenti conservativi dei legni bagnati hanno come finalità quella di
rafforzare le pareti cellulari e di sostituire 1'acqua presente nel legno con
sostanze che diminuiscano la tensione e la pressione esercitata sulle pareti
cellulari deidratate. L'ispessimento delle pareti cellulari avviene quindi
tramite la sostituzione dell'acqua con una sostanza inerte. A questo scopo
sostanze chimiche dette impregnanti (in genere polimeri preformati)
vengono usate in soluzione per riempire le porosità del legno degradato;
dopo evaporazione del solvente 1'impregnante conferisce al materiale
migliori caratteristiche meccaniche. Tra i numerosi agenti utilizzati
correntemente con questa finalità vi sono: il polietilenglicole (PEG, HO—
(CH2CH2O)n—H) a vari pesi molecolari (PEG 300, 400, 4000: le cifre
identificatrici del PEG denotano approssimativamente il peso molecolare),
miscele di PEG e polipropilenglicoli (PPG), diverse varietà di zuccheri,
allume, 1'idrossipropilcellulosa (Klucel) e la colofonia(3).
I1 PEG viene impiegato in soluzione acquosa a vario peso molecolare e a
concentrazioni crescenti a varie temperature. IlPEG è un polimero
igroscopico che si presenta come un solido ceroso a temperatura ambiente
e la sua igroscopicità è maggiore per il PEG a catena più corta. Ha la
caratteristica di avere una conducibilità non trascurabile anche allo stato
solido e di permettere il trasporto di elettroliti. Per questo motivo, il legno
impregnato con PEG deve essere conservato in condizioni attentamente
controllate e stabili di temperatura e umidità per limitare il trasporto di ioni
e di ossigeno all'interno del legno. I1 metodo che oggigiorno sembra offrire
migliori garanzie e quello che prevede 1'utilizzo di soluzioni:
• 40 % PEG 400 seguita da 70 % PEG 4000 a T = 20-60 °C per i legni di
latifoglie;
• 30 % PEG 400 seguita da 50 % PEG 4000 a T = 20-60 °C per i legni di
conifere.
L'utilizzo di PEG porta ad un'alta efficacia di impregnazione ma si è visto
che
il PEG riscaldato emette quantità non trascurabili di formaldeide, quindi
1'utilizzo
del PEG a caldo presenta rischi sanitari e ambientali per ora non risolti.
1 saccarosio e la colofonia sono utilizzati soprattutto nei manufatti
compositi di legno e ferro, dal momento che non innescano meccanismi
corrosivi, come invece ,accade con il PEG in presenza di elementi
metallici. I diterpeni contenuti nella colofonia sono molecole abbastanza
piccole da penetrare nelle cavità del legno: il metodo è utilizzabile solo per
oggetti di piccole dimensioni a causa del rischio sanitario ambientale
dovuto all'impiego di ingenti quantità di acetone.
Un'alternativa a questi metodi tradizionali è rappresentata dalla tecnica
della polimerizzazione in situ, facendo assorbire nel legno poroso
monomeri
e
iniziatore
etilmetacrilato/metilacrilato
(per
e
esempio,
un
una
iniziatore,
miscela
il
al
monomero
70/30
1,6-
esandiolodiacrilato in presenza di un iniziatore termico) e facendo avvenire
la polimerizzazione all'interno: trattandosi di molecole di piccole
dimensioni, esse penetrano agevolmente.
(3) E un materiale resinoso ottenuto come residuo della distillazione delle
resine di conifere e noto in commercio col nome di pece greca. La
colofonia si presenta in forma di massa resinosa trasparente, contenente
pin del 90 % di acidi resinici, tra cui l'acido abietico.
Metodologia del Restauro
Disinfestazione
Il trattamento antitarlo
in fase di restauro può essere effettuato su mobili
infestati dai tarli che dovranno essere necessariamente soggetti quindi ad un
adeguato trattamento a base di antitarlo liquido. Occorre avere una quantità
sufficiente di prodotto antitarlo (solitamente sono necessari circa 3 litri per il
trattamento standard) che con un pennello adeguatamente largo, va applicato
abbondantemente su tutte le parti del mobile non verniciate (legno grezzo).
Schiena, interni e fondi dei cassetti e del mobile dovranno essere trattati,
cercando di applicare il prodotto abbondantemente.
Quando il tipo di mobile lo consente, sarà utile piegarlo sul fianco o
capovolgerlo, per spennellare il liquido antitarlo perpendicolarmente alla
superficie da trattare, in modo che la forza di gravità aiuti il prodotto a penetrare
in profondità nella struttura lignea.
Grazie alle sue caratteristiche, infatti, l'antitarlo liquido penetra in profondità nel
legno consentendo di raggiungere anche gli insetti annidati più in profondità.
Dopo che la il prima mano di antitarlo è stata assorbita dal legno e quindi la
superficie trattata sarà nuovamente asciutta (sono necessari alcuni giorni) si
procederà all'applicazione di una seconda mano, sempre con la procedura
descritta sopra. A questo punto si passa alla chiusura dei fori dei tarli, che potrà
essere eseguita con i bastoncini di cera o con lo stucco (pronto all'uso, oppure da
prepararsi con gesso di Bologna e colla forte) se i fori sono molti la finitura
prevista è a gommalacca. Questo tipo di intervento è possibile in qualsiasi
ambiente anche in casa, specialmente se si impiega un prodotto antitarlo atossico
e inodore come il SINOTAR:
L'antitarlo SINOTAR è una soluzione pronta all'uso, completamente inodore e
incolore, da applicare a pennello o spruzzo su manufatti in lavorazione o in
opera sia in flaconi che in bombolette spray con beccuccio
Caratteristiche:
Il solvente dell' antitarlo SINOTAR permette di veicolare il principio attivo
(Permetrina) in modo ottimale per avere un'efficace penetrazione nel legno (in
24 ore Sinotar, per capillarità, può penetrare nel legno per più di 50 cm.) e non è
tossico
per
l'uomo.
SINOTAR supera la prova dell'efficacia contro le larve dell'Hylotrupes Bajulus
secondo il Protocollo Europeo UNI EN 46. Presidio Medico Chirurgico
Registrazione N. 18765.
−
Non pericoloso per l'uomo
−
Non sviluppa gas tossici e cattivi odori
−
Previene da nuove infestazioni
−
Inodore, incolore e non macchia
Consolidamento
Con il consolidamento si intende riconferire una normale coesione ad un
materiale che ha subito processi di degrado che ne hanno compromesso la sua
microstruttura.
I consolidanti sono sostanze atte a ristabilire, generalmente per impregnazione,
un grado sufficiente di coesione in materiali che a causa del degrado sono venuti
progressivamente
a
perdere
quella
condizione
di
aggregazione
che
originariamente li caratterizzava.
Tale intervento prevede l'impregnazione delle porosità "anomale" della struttura
con un consolidante allo stato liquido che per reazione o evaporazione del
solvente ristabilisca la coesione persa, il trattamento di consolidamento si rende
necessario quando la materia di un mobile è indebolita al punto da mettere in
pericolo il suo equilibrio strutturale e la sua conservazione nel tempo.
E’ pertanto uno dei primi passi di qualsiasi intervento, quando si prevede che
l'opera indebolita possa subire ulteriori danni nel corso dell'intervento di
restauro.
Esistono diversi metodi e sostanze per consolidare il legno fragile di un mobile.
In passato le sostanze usate erano di origine naturale, come la colla animale, la
cera d'api o le resine naturali.
Oggi, senza escludere tali materiali, si ha a disposizione un’ampia gamma di
consolidanti sintetici, che in linea di principio, in molti casi, hanno maggior
efficacia rispetto a quelli naturali.
Tuttavia occorre porre attenzione al loro utilizzo ricordando sempre che si
introduce nel legno una sostanza estranea, la cui reazione è imprevedibile,
poiché, essendo prodotti di recente fabbricazione non e’ stato ancora verificato il
loro comportamento nel tempo, la loro reversibilità e la loro stabilità; è bene
dunque non lasciarsi trasportare dai risultati spettacolari dei consolidanti sintetici
limitandone l'uso ai soli casi in cui non esistano altre alternative possibili.
I consolidanti sono sostanze liquide a bassa viscosità che consentono per
capillarità una diffusione omogenea all'interno del materiale decorso.
Sono applicabili per spennellatura, iniezione goccia a goccia o immersione, essi
solidificano all'interno del legno conferendogli una certa consistenza.
La solidificazione si può produrre per evaporazione del solvente contenuto nel
consolidante (come nel caso della colletta o di alcune resine sintetiche) o per
reazione delle due sostanze di cui è composto il consolidante (resine epossidiche
o del poliestere).
L'efficacia del trattamento è maggiore quando avviene per iniezione, goccia a
goccia o immersione, in quanto, in questi casi, la penetrazione della sostanza nel
legno è più intensa, mentre quando si applica per impregnazione il consolidante
tende a rimanere in superficie.
Tuttavia, il metodo dell'immersione presenta l'inconveniente di sporcare la
superficie e inoltre può essere applicato solo ad oggetti di dimensioni ridotte.
Una volta avvenuta, l'impregnazione deve seguire un processo di presa grazie al
quale torna a ristabilirsi un grado di coesione sufficiente a garantire la
permanenza dello stato fisico, compatibilmente con le forze in gioco nel sistema.
Per coesione, si intende, nei problemi di conservazione, l'insieme di forze
attrattive che si esercitano tra gli elementi microstrutturali costitutivi di un
materiale.
Il concetto di coesione è complesso ed implica non solo la durezza ma ad
esempio anche l'elasticità di un materiale.
Le forze coesive possono, per cause differenti, indebolirsi o addirittura annullarsi
localmente determinando una graduale formazione di fratture di entità variabile:
da quelle microscopiche e submicroscopiche, a quelle pur sempre piccolissime
ma rilevabili a occhio, a quelle macroscopiche con distacchi o separazioni ben
evidenti nella struttura.
In relazione alla coesione originaria i diversi materiali possono essere classificati
in duri, pastosi, morbidi ecc. Esistono anche delle scale di quantificazione della
durezza che permettono, per confronto, di assegnare un valore a un determinato
materiale.
Quest'ultima è soprattutto legata alla deformabilità della sua microstruttura.
Sottoposti ad un'azione meccanica tendente ad alterarne la forma, i materiali
elastici possono subire la modifica in maniera reversibile senza che si verifichi
contemporaneamente perdita di coesione.
La scelta di un prodotto consolidante che ristabilisca una coesione iniziale
compromessa, deve tenere conto dell’ insieme di proprietà meccaniche che il
pezzo da trattare possedeva all'origine e che attraverso l'intervento di
consolidamento si tenta di ricondurre a condizioni di durabilità e affidabilità.
La perdita di coesione può avvenire per differenti motivi causati da processi di
deformazione meccanica innescati da variazioni termiche ed igrometriche
succedutesi nel tempo oppure a causa di un insieme di fenomeni chimici o anche
biologici con ripercussioni che hanno modificato la natura di alcune delle
sostanze cementanti o leganti alle quali era dovuta la coesione originaria.
Quando in casi estremi il legno ha raggiunto uno stato friabile, nessuno di questi
trattamenti risulterà sufficiente a rafforzarlo.
In queste circostanze, eccezionalmente, si può procedere alla sostituzione delle
parti indebolite con nuovi pezzi, realizzati però con un legno più morbido e
riconoscibile rispetto a quello originale.
Quando il legno è in condizioni di eccessiva fragilità, non si deve commettere
l'errore, oggi molto comune, di procedere alla stuccatura senza prima effettuare
un trattamento di consolidamento.
La stuccatura non è un rimedio alla patologia della materia, ma contribuisce
anche a debilitarla ancora di più, infatti essendo lo stucco un materiale più rigido
rispetto alla zona indebolita tende a esercitare tensioni sul legno provocando
rotture e sollevamenti.
I consolidanti possono essere di due tipi: naturali e sintetici
Consolidanti naturali
Cera d’api
La cera d'api e’ una cera vergine di origine animale prodotta dai favi che si
presenta in colori variabili che vanno dal giallo chiaro al bruno. E’ il materiale
organico più durevole e stabile che esista, non risente di cambiamenti ambientali
e di umidità, non e’ soggetto a contrazioni. Il suo unico inconveniente e’ quello
di attrarre la polvere
Viene preparata per poter ottenere l'encaustico da applicare sui mobili, chi non
ha molto tempo a disposizione può impiegare la cera d'api in pasta già pronta
all'uso.
L'uso principale che si fa della cera nel restauro, è senz'altro la lucidatura.
Un uso non meno frequente e altrettanto importante, si ha in fase di stuccatura:
infatti, per quei mobili che poi andranno lucidati a cera, si possono usare gli stick
di cera (colorati in varie tonalità di essenze) per chiudere i piccoli fori dei tarli o
le
piccole
imperfezioni.
Non è adatta per sostituire lo stucco vero e proprio, in quanto la sua consistenza
non lo permette. Una volta applicata la cera, infatti, non indurisce come lo
stucco, ma rimane morbida.
Ricetta per la preparazione dell'encaustico
- L’ Encaustico è il prodotto che si ottiene sciogliendo la cera in un solvente: il
migliore
risultato
e’
ottenuto
con
l'essenza
trementina.
Nella preparazione occorre porre moltissima attenzione in quanto il solvente
usato e altamente infiammabile occorre quindi utilizzare per la preparazione un
fornellino elettrico e non a fiamma libera.
- Pesare ca 120 gr. di cera d'api riducendoli in piccoli pezzi con un coltello,
aggiungere 80 gr. di cera carnauba.
- Mettere il tutto in un pentolino al quale uniremo 80 cl. di essenza di
trementina. Scaldare il tutto a bagnomaria mescolando di tanto in tanto.
- Quando la cera è perfettamente sciolta toglierla dal fuoco e con molta cautela
versarla in vasi di vetro. Quando si è raffreddata occorrerà conservare i vasi
ermeticamente chiusi al buio.
- La concentrazione suggerita (12% di cera, 8% di carnauba, 80% di essenza di
trementina), non è tassativa: potrà essere aumentata o diminuirla in relazione al
tipo di legno che si deve lucidare.
-Per i legni duri utilizzeremo un prodotto più diluito, mentre per quelli teneri
(quindi con pori più aperti) un prodotto più concentrato. Questa diluizione è
ottimale per l'applicazione della cera a pennello una volta riscaldata prima
dell'utilizzo.
L'encaustico può essere opportunamente colorato.
Consolidanti sintetici
Il Paraloid B72 e’ un copolimero di durezza media a base di metacrilato di etile e
metacrilato di metile (70/30), si presenta sotto forma di perline trasparenti. Punto
di fusione: 150°C solubile negli esteri (acetato di etile e di amile), chetoni,
idrocarburi aromatici (toluene), idrocarburi clorurati (tricloroetilene, ecc.).
Insolubile negli idrocarburi alifatici (white spirit) e negli alcooli. Compatibile
con diverse resine viniliche e acriliche.
Il Paraloid B72 è stato ampiamente studiato a livello scientifico come
consolidante per legno e di molti altri elementi che costituiscono il mobile.
Il trattamento con il Paraloid B72, riduce le microporosità, rendendo l'oggetto
più compatto, meno friabile, riducendo l'assorbimento di acqua sia in superficie
sia in profondità.
Non altera i colori naturali essendo la resina trasparente e resistente nel tempo.
Tra i suoi vantaggi segnaliamo la flessibilità, il fatto che non attrae la polvere,
non produce deformazioni plastiche ed è molto stabile.
Preparazione del Paraloid B72:
Il Paraloid B72 è una resina acrilica che si presenta sottoforma di solide gocce
trasparenti che vanno fatte sciogliere in idoneo solvente (es. diluente nitro,
acetone ecc.) nella percentuale che va dal 5% al 10% in funzione delle esigenza
applicative.
Applicazione del Paraloid B72 come consolidante:
Il Paraloid B72 può essere applicato allo stato liquido per spennellatura,
iniezione, goccia a goccia o immersione. Una volte penetrato all'interno del
legno, il Paraloid si solidificherà conferendogli una certa consistenza.
La
solidificazione del Paraloid B72 si produce per evaporazione del solvente
utilizzato per preparare il consolidante (ad esempio diluente nitro). L'efficacia
del trattamento con il Paraloid B72, è maggiore quando avviene per iniezione,
goccia a goccia o immersione, in quanto, in questi casi, la penetrazione della
sostanza nel legno è più intensa, mentre quando si applica per impregnazione il
consolidante tende a rimanere in superficie.
SCHEDA TECNICA LINEA RESINE SINTETICHE
PARALOID B72
SCHEDA INDICAZIONI
RESINA ACRILICA 100%
Copolimero di metilacrilato ed etilmetacrilato
CARATTERISTICHE CHIMICO-FISICHE
ASPETTO: Solido in grani,
semolato, emulsionato
COLORE: Incolore, trasparente
ODORE: Di acrilato
SOLUBILITA': Solubile in toluene, acetone, tricloroetilene Diluibile in xilene,
Shellsol A, isopropanolo, PM Cellosolve.
Insolubile in White Spirit, V.M.&P Naphta
TEMPERATURA VETRIFICAZIONE: Circa 40°C
PUNTODI RAMMOLLIMENTO: Circa 70°C
PUNTO DI FUSIONE: Circa 150°C
VISCOSITA' soluzione al 40% a 25°C: In acetone circa 200°C In toluene circa
600°C In xilene circa 900°c
CONSERVAZIONE: Il prodotto
illimitatamente se tenuto ben chiuso
disciolto
nel
solvente
si
conserva
RESISTENZA: E' ampiamente resistente alle condizioni climatiche più dure.
Buona resistenza agli acidi principali, agli alcali, lubrificanti, detersivi
Resina acrilica termoplastica medio dura, resistente alla luce e
all'invecchiamento.
CAMPI DI UTILIZZO:
Utilizzato nella maggioranza dei casi come protettivo di metalli e materiali
compatti e per il consolidamento, mediante impregnazione, dei più vari tipi di
materiali porosi come tufo, legno, intonaci, superfici assorbenti ecc.
MODALITA' DI APPLICAZIONE:
Il Paraloid B-72 si può applicare allo stato trasparente, caricato di inerti, oppure
ancora pigmentato con pigmenti compatibili con i solventi usati per la sua
diluizione.
Il prodotto può essere applicato a spruzzo, a pennello o per immersione e asciuga
all'aria o al calore. Fra i vari solventi utilizzabili il più indicato è il
tricloroetilene, la cui sperimentata qualità lo rende adatto agli usi più delicati ed
impegnativi. Infatti, a seconda delle condizioni d'uso (per esempio umidità
relativa piuttosto elevata) e del
tipo di utilizzazione, ogni solvente ha una sua specificità che va opportunamente
valutata. In particolare è da sottolineare che il tricloroetilene non dà effetti di
"nebbia" durante la stesura del prodotto ed è ininfiammabile.
Pur essendo difficile stabilire una resa sul prodotto secco, a titolo puramente
indicativo, possiamo fornire questo dato: resa 10 – 30 mq/100g
ESEMPI DI APPLICAZIONE DEL PRODOTTO:
LEGNO
Per il consolidamento del legno è consigliabile usare soluzioni al 5% -10% in
toluene o in tricloroetilene. Le impregnazioni devono essere fatte con la tecnica
"a bagnato" fino alla completa saturazione. Per penetrazioni più lente e profonde
sono preferibili soluzioni in toluene/xilene oppure toluene/Shellsol A.
Pulitura
Nel lavoro di restauro di un mobile distinguiamo due tipi di pulizia una iniziale,
quando il mobile lasciato inutilizzato nella soffitta o nella cantina per anni,
risulta pieno di polvere e sporcizia varia.
In questo caso è necessario, munirsi di aspirapolvere, pennellini di varie misure a
setole dure al fine di asportare tutto lo sporco polveroso anche dai punti più
nascosti.
Il secondo tipo di pulizia riguarda la superficie del mobile, e viene effettuata
quando il mobile non ha bisogno di essere sverniciato. Questa pulizia della
superficie si inserisce nel lavoro di restauro, all'inizio di tutte le operazioni di
reintegrazione o ripristino e consolidamento delle parti lignee.
- Bisogna intervenire salvaguardando l'integrità della vernice originale e della
patina con una procedura graduale, all'inizio con solventi più blandi per poi
passare a quelli più aggressivi fino ad ottenere il risultato voluto.
- Si eseguirà una "prova" in una parte poco a vista del mobile (es: la parte
bassa/posteriore di un fianco) per verificare l'efficacia del metodo di pulitura che
sarà usato.
Per decidere come pulire un mobile, dovremo prima di tutto stabilire due cose:
quale vernice sia presente sul mobile e quale tipo di finitura si vuole applicare.
In sostanza, un mobile può essere pulito solo se dopo verrà applicata lo stesso
tipo di finitura di quella preesistente.
Se si intende applicarne una diversa, si dovrà procedere comunque alla
sverniciatura. Si hanno principalmente due tipi di finitura: a cera, o a
gommalacca.
Pulitura di un mobile rifinito a cera
La pulizia del mobile con finitura a cera può essere effettuata semplicemente con
uno
straccio
imbevuto
di
essenza
di
trementina.
Strofinando accuratamente la superficie del mobile, effettuando la pressione
necessaria per ottenere il migliore risultato.
Nel caso in cui lo sporco sia particolarmente tenace si evita di esercitare una
pressione troppo forte nello stesso punto, in quanto ciò potrebbe schiarire il
legno e compromettere gravemente l'estetica del mobile.
Per evitare tale inconveniente si proverà a porre sulla zona macchiata alcune
gocce di essenza di trementina, lasciare che agiscano per qualche minuto, quindi
strofinare la macchia.
Pulitura di un mobile rifinito a gommalacca
Per pulire efficacemente un mobile verniciato con la gommalacca conviene
impiegare una soluzione (detta tripla dal numero dei componenti) preparata con:
-
100 ml di essenza di trementina;
-
50 ml di alcool a 94°
-
50 ml di olio paglierino.
Occorre strofinare energicamente, ma uniformemente il mobile con tale
soluzione per mezzo di un tampone di cotone.
Il cotone va sostituito spesso e diminuita gradualmente la pressione esercitata
fino a raggiungere il risultato ottimale. Nel caso di sporco tenace, si può
aumentare leggermente la percentuale di alcool, facendo però attenzione a non
eccedere, perché verrebbero asportati degli strati di gommalacca e ciò
costringerebbe a sverniciare e riverniciare il mobile.
Una volta terminata questa fase si strofina il legno con un panno asciutto e
pulito.
Gli interventi fino ad ora suggeriti non ledono la patina, quindi si possono
attuare senza incorrere in danneggiamenti, anche su mobili antichi.
Pulizia di macchie ostinate
È molto frequente che le superfici da restaurare dopo la sverniciatura si
presentino ancora con macchie diffuse, la cui eliminazione (o attenuazione) è
operazione tra le più difficili in restauro.
Se le macchie resistono ad una leggera carteggiatura, la loro eliminazione
dipende dall’età, dalla profondità di penetrazione nel legno, dal tipo di legno, ma
soprattutto dall’individuazione (non facile) del tipo di macchia.
Se le macchie risultano essere molto ostinate, conviene non rimuoverle, del resto
fanno anch'esse parte della storia del mobile. Insistendo si rischia infatti di recare
un danno visivo maggiore della macchia stessa presente.
Ecco alcuni consigli per il loro trattamento:
•
Liquidi zuccherini. In questo caso imbibire la zona interessata tamponando
con acqua calda. Quindi asciugare con una carta assorbente ed la completa
asciugatura.
•
Sostanze alcoliche. Ove vi siano macchie di questo tipo l’intervento avrà un
esito probabilmente negativo. Si può comunque procedere applicando un
tampone di cotone imbevuto di 50% di Essenza di Trementina e 50% di Petrolio
Rettificato. Quindi pulire con Alcool 94.
•
Inchiostro. Si può provare ad eliminare le macchie con un batuffolo di ovatta
imbevuto di ¾ di acqua ed ¼ di Acido Ossalico. Circoscrivere l’intervento alla
sola parte macchiata. Lasciare agire per qualche minuto, quindi sciacquare con
una spugna pulita.
•
Unto e grassi. In questo caso le situazioni sono le più diverse e non sempre è
possibile arrivare all’eliminazione completa. Si può provare strofinando la zona
macchiata con un batuffolo di cotone imbevuto di Alcool 94. Oppure si può
tamponare la macchia con Alcool 94 e Talco e quindi si asciuga con Carta
Assorbente riscaldata da un ferro da stiro.
•
Tracce o macchie di mordente. Si eliminano intervenendo sulle zone
interessate con tamponature di 30% acqua, 30% di Ammoniaca (escluso legno di
castagno o rovere) e 30% di Acqua Ossigenata 130 volumi. Quindi si sciacqua
più volte con una spugna imbevuta d’acqua.
Qualora si conosca la natura delle macchie può essere utile tenere presente il
seguente universale ricettario chimico, da applicarsi con tamponature di ovatta o
Pasta di Cellulosa:
Tipo di macchia
o incrostazione
Ammoniaca o Bicarbonato di Sodio quindi risciacquare
a lungo
Acidi
Caffè
Catrame
derivati
Erba
Procedimento di pulizia
e
Soluzione concentrata di Sale da cucina quindi
risciacquare a lungo
Ammorbidire con Olio caldo pulire con Benzolo,
Xilolo quindi lavare con Acqua e Sapone
Alcool intiepidito con fornellino elettrico Quindi
Fuliggine
Impiastro adesivo
Inchiostro
Olii vegetali
Resine
Ruggine
Sangue
risciacquare
Soluzione al 20% di Acido Tartarico
Benzina rettificata, Benzolo, Sverniciatore
Glicerina, Acido Acetico o Citrico
Benzina rettificata o Benzolo
Alcool 94
soluzione di Cloruro di Zinco al 10%
oppure Acido Citrico al 10%
oppure Acido Cloridrico
oppure soluzione al 5% di Acido ossalico
quindi sciacquare con Acqua
ammorbidire con Ammoniaca diluita poi trattare con
soluz. di Acido Ossalico 20% quindi sciacquare con
Acqua.
Lucidatura
La lucidatura e’ un intervento con duplice finalità: di tipo protettivo ed estetico.
Le finiture possono quindi ridurre il deterioramento del legno, creando una
barriera di protezione che eviterà la penetrazione all’interno di materiali dannosi.
Nella lucidatura l’aspetto estetico viene esaltato evidenziando le qualità
cromatiche e le venature del legno.
E’ pur vero che talvolta risalire all’originale lucidatura spesso e’ impossibile,
infatti qualora non si conoscano le tecniche originali e i materiali utilizzati
(gelosamente custoditi dall’artista), si dovrà intervenire con modalità reversibili
e senza snaturare il mobile.
La lucidatura a cera si può realizzare con una tecnica mista, preparando un fondo
di gommalacca sulla quale verrà eseguita successivamente una lucidatura con
cera d’api.
La gommalacca in scaglie dovrà essere sciolta in alcool o in soluzione pronta
all'uso per poi essere applicata a pennello o a tampone e in questo modo si
ottureranno tutti i pori del legno e il fondo sarà adeguatamente preparato per
stendere successivamente la cera.
Per portare a termine questa fase della lucidatura a cera, è possibile anche
impiegare una soluzione turapori a base di gommalacca, che accorcerà
drasticamente i tempi di esecuzione.
Nell'applicazione a pennello, se ne userà uno piatto a setole morbide al fine di
non lasciare striature, e si dovrà porre attenzione affinché non ci siano colature
lungo i bordi. Se si dovessero verificare delle sgocciolature, occorrerà subito
raccoglierle e distribuirle perché una volta asciutte sarebbe più complicato
rimuoverle.
Il verso delle pennellate sarà nel senso della venatura del legno.
Quando la gommalacca (applicata a pennello o a tampone) sarà bene asciutta
occorrerà spagliettare con lana d’acciaio finissima tutte le superfici per renderle
uniformemente opache e lisce.
Per asportare la polvere formatasi si userà pennello e aspirapolvere.
Fatto questo si passerà ad una seconda mano di gommalacca come fatto prima
salvo diluire maggiormente la concentrazione.
Asciutta la seconda mano si procederà nuovamente a ripassare tutta la superficie
con lana di acciaio.
Questa operazione può essere ripetuta anche una terza volta oppure si potrà
passare all'applicazione della cera d'api in pasta.
La cera può essere applicata con un tampone o con un pennello, avendo cura di
distribuirla uniformemente su tutta la superficie.
Quando la cera sarà asciutta, passeremo a lucidarla con un panno di lana
possibilmente riscaldato.