1000 occhi catal

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1000 occhi catal
Guida al programma
con alcune note di politica culturale
di Sergio Grmek Germani
Probabilmente sottolineare nel doppio titolo di questa seconda edizione la
«festa» e insieme l’«emergenza» indica un amore per le contraddizioni. Certo,
l’emergenza va intesa anche nel significato primario di qualcosa che sta
emergendo, che ha buone possibilità di emergere sempre più, e in ciò vi è
una lettura ottimistica dei nostri destini. Ma indubbiamente è emergenza
anche nel senso corrente di situazione imposta e non desiderata: un budget
irrisorio e la necessità di gestirlo nel 2003.
Tuttavia «il festival fa festa», perché se non credessimo che il festival è prima
di tutto una festa, non lo faremmo. Certo, siamo costretti a fare festa anche
nel senso di non poter fare un’edizione lavorativamente completa: festa che
è quasi un’eufemismo per una cassa integrazione.
Cionondimeno la volontà di rendere il festival una festa è convinta e
determinata. Perché ci siamo resi conto, in passato, sia nella prima edizione
del festival che come ospiti-collaboratori da molti anni di altre rassegne
internazionali, che questa capacità di rendere un festival una situazione di
festa è tutt’altro che comune: spesso si assiste anzi a situazioni di non-luogo
(senza nobilitazioni letterarie) riempito di proiezioni e presenze di ospiti
che tuttavia non creano nulla, dove a guardar bene non succede nulla.
Riteniamo invece (e chi ci segue ce lo conferma) di saper rendere un
festival un vero luogo di incontri e esperienze. Nessuno torna dalle nostre
rassegne con la sensazione che non sia successo nulla.
Inoltre percepiamo sempre più una certezza: attorno all’Associazione Anno
uno si è riunito un gruppo di persone che vi ha convogliato professionalità
diverse, che crescono continuamente. E questo è innanzitutto un dato
sociale, che non riguarda solo la volontà di singoli di realizzare qualche
velleitario progetto. Noi non difendiamo posizioni di bandiera: we are
expendable, siamo sacrificabili (per dirla con John Ford) se altrove si
realizzerà ciò che noi cerchiamo di realizzare, se per l’ennesima volta
interessi da piccolo gruppo non liquideranno dei progetti culturali
socialmente rilevanti.
Per ora è evidente che ciò che facciamo non lo fa nessun altro: collegare
tutto ciò che nel cinema, e nel suo appartenere a una geografia e a delle
culture, appare distante, ma non unendolo in globalismi violenti bensì
evidenziando e svelando linee di percorso trascurate. Perciò il nostro
programma non si divide in «sezioni», ma è attraversato da linee di percorso
molteplici che non dovrebbero lasciare nessun momento a quella
marginalità a cui si rassegnano i megafestival.
Chiunque capirà anche che non abbiamo bisogno di adattare la nostra
azione agli sviluppi politici e alle gestioni della politica culturale. Proprio
perché crediamo al valore del terreno estetico, da esso possiamo giungere
alle chiavi sociali. E proprio perché ci affascinano (non per qualche
«estetizzazione della politica» su cui Benjamin ha detto da tempo le parole
definitive) le capacità dell’immagine di contenere mille mondi, vogliamo
guardare con mille occhi (e non sono nemmeno sufficienti). Da tempo
perseguiamo la scoperta di ciò che non è evidente, e nel cinema vediamo
una straordinaria capacità di contenere realtà e di reinventarla. Di
reinventare anche le mappe del nostro continente e di ciò che gli sta
attorno, anticipando i tempi delle scelte politiche: le quali proprio perciò
devono sviluppare sensibilità, agendo dal terreno che gli è proprio,
facendo il discorso della politica (non temiamo di esserne usati: il rischio
semmai è che la politica sia afasica, o pieghi il proprio discorso alla pura
bugia).
Ci è di conforto la sensibilità di un pubblico, particolarmente aperto sul
nostro territorio a ricevere un’offerta culturale diversa: mentre purtroppo la
moltiplicazione di spazi di proiezione spesso implica solo clonazioni della
medesima offerta. Ci fa piacere quindi che, oltre a consolidare il rapporto
col Teatro Miela, si sia potuto in questa edizione avviare la collaborazione
col Cinema Ariston, che cerca di reinventare una programmazione. Non
avremo quest’anno uno spazio dell’unicità del Molo IV a Porto Vecchio, ma
ciò farà capire che, se i doni sappiamo valorizzarli, l’assenza di doni non
ci mette in crisi.
Le nostre matrici rosselliniane ci confermano inoltre che imparare dal
cinema non significa annoiarsi, ma moltiplicare il piacere.
Ripartiamo dunque con la nostra avventura. Da Rossellini ci spostiamo
“naturalmente” a De Seta, autore di pochi grandi film, oggi finalmente
tornato alla regia. Ne anticipiamo l’omaggio, che avverrà il prossimo anno
alla presenza dell’autore, con due opere di due gruppi di autori più giovani
che riconoscono in lui un maestro: proprio in chi è autore di quel Diario
di un maestro (1973) che è l’unico grande film italiano e forse europeo
sull’universo della scuola dentro la società, mondi che si traducono non in
qualcosa di noioso (altrimenti il film avrebbe imitato la scuola da cui voleva
prender distanza) bensì in una gaia scienza.
Vogliamo occuparci anche di un maestro della critica, l’amico Alberto
Farassino, che ha attraversato Trieste guardando, ascoltando, parlando:
anche con la fretta, forse, di chi sente un orologio maledetto. Alberto, scusa
se non ti ho mai guardato negli occhi.
Identificazione di una donna (1982), capolavoro misconosciuto di
Antonioni, il suo ultimo lungometraggio completo. In esso è protagonista,
con Christine Boisson e Tomas Milian, un’attrice apolide e friulana, che con
le sue altre apparizioni nel cinema e la sua segreta esperienza di autrice si
conferma uno di quei corpi del cinema che creano cinema: Daniela
Silverio. Come la serba Sonja Savic´ a cui abbiamo voluto unirla, come
l’anno scorso Myriam Mézières. Farò anch’io una promessa (come quei
direttori di festival a cui si sente dire, ammirevolmente: finché ci sarò io si
vedranno western, o Straub-Huillet): quindi finché guiderò I mille occhi ci
saranno presenze di glamour femminile creativo.
Stavros Tornes arriva qui dopo una personale completa da me realizzata al
Torino Film Festival, e non ci sarebbe bisogno di giustificarlo vista la sua
importanza a lungo misconosciuta. Voglio tuttavia evidenziare come qui la
riproposta di Tornes si reinventi, rintracciandone le linee di rapporto con
la poesia che non sono mere applicazioni alla poesia del suo cinema.
Inoltre, riproponendo il capolavoro italiano di Tornes, Coatti, vi troviamo
una punta assoluta di quella natura apolide del cinema che è per noi una
chiave fondamentale, che non si contrappone a caratteristiche nazionali.
Anzi a questo film italiano di un cineasta greco vogliamo che il Ministero
riconosca il pieno statuto di opera italiana, di bene culturale da restaurare
e divulgare. I mille occhi saranno all’avanguardia in questa battaglia, con
festival di tendenza come il Torino Film Festival e il Roma Film Festival.
Con quest’ultimo inauguriamo quest’anno uno spazio «carta bianca» in cui
s’inserisce un film scomodo come Ginostra, girato da Manuel Pradal nel
Sud italiano, dopo che egli aveva girato nel Sud francese Marie Baie des
Anges. Il Sud ancora, dopo quello di Troisi, Damianos, Erice, Val del Omar,
Mézières, Vigo della passata edizione. Un Sud che in particolare Trieste
deve accogliere, per onorare senonaltro un suo grande intellettuale e uomo
d’azione, Danilo Dolci. Cui quest’anno ha reso giustizia un film come
Segreti di Stato di Paolo Benvenuti.
Ginostra è proposto dal Roma Film Festival e dalla rivista Filmcritica, che
presenterà anche i suoi numeri speciali Un’altra cultura è possibile, di cui
condividiamo un rapporto non strumentale con la politica: le firme lì
comparse di Pietro Ingrao e Fausto Bertinotti indicano una ricerca di fili tra
l’estetica e la politica, che nulla hanno a che fare con le “culture del piffero”
staliniste e post, oggi incarnate soprattutto da chi scambia favori coi
detentori dei media.
Ci chiederemo, col Roma Film Festival, se sia possibile realizzare rassegne
che non rinuncino alle proprie scelte più convinte, mantenendo il rapporto
con un pubblico popolare. Poiché partiamo entrambi da Rossellini,
restiamo fiduciosi nella vera comunicazione.
Popolarità è anche scavalcare i recinti tra cinema alto e basso. Farassino lo
sapeva fare, e noi proiettiamo in suo omaggio Ultimo tango a Zagarol,
geniale parodia dello scomparso Cicero.
«Qui e altrove» è il titolo della serata finale, traducendo quello di un film di
Godard che avremmo voluto aggiungere all’omaggio. Un film perduto con
Leni Riefenstahl è stato ritrovato proprio a Trieste, e il viaggio nel Sud di
Coatti è qualcosa che ci riguarda.
Gli ultimi, girato nel 1963 in Friuli, restaurato nel 2000 e (cosa sono le
distanze?) mai proiettato a Trieste, è, nella sua marginalità, un film in cui
volentieri ci identifichiamo (gli ho pure dedicato una realizzazione
televisiva, La passione dello spaventapasseri). Il lavoro che facciamo si basa
proprio sul rifiuto che quanto arriva ultimo (nelle attenzioni dei media, o
dei clan) lo debba rimanere: non lo rimane quando il pubblico è libero.
Perciò il nostro programma non ricerca un successo preventivato, ma vuole
rischiare l’insuccesso con un’offerta su cui acquisire nuovi pubblici. Nella
convinzione che, in un futuro più o meno vicino (basta sopravvivere), altri
mille occhi ci attendono.
Il festival fa festa edizione di emergenza 2003
del suo nuovo film con Sonja Savić, Od groba do groba.
Germania) di Stavros Tornes, 1987, Betacam SP da
16mm, col., 2’.
Incontro-lettura con Tino Sangiglio su Kavafis e
Kavvadhìas nella poesia neogreca.
Adìo Anatolì/Addio Anatolia di Stavros Tornes, 1976,
16mm, col., 36’.
ore 15.00 in ricordo di Alberto Farassino, 2
Ultimo tango a Zagarol di Nando Cicero
con Franco Franchi e Martine Beswick
1973, 35mm, col., 100’.
Farassino vide subito una parodia degna di Bertolucci.
C’è oggi un Cicero che possa parodiare Dreamers?
ore 17.00 cinema di tendenza / pubblico popolare
Ginostra di Manuel Pradal, con Harvey Keitel, Andie
McDowell, Harry Dean Stanton, Stefano Dionisi,
Francesca Neri, Asia Argento, Violante Placido
2002, 35mm, col., 135’.
In anteprima un viaggio apolide nel sud italiano.
Segue incontro con l’autore, presentato da Bruno
Roberti del Roma Film Festival e di Filmcritica, con
presentazione degli speciali Un’altra cultura è possibile.
ore 21.00 qui e altrove
Il crollo degli Absburgo (Das Schicksal derer von
Habsburg) di Rolf Raffé, 1928, versione italiana
d’epoca ricostruita nel 2000, Betacam SP da 35mm,
73’, con Leni Riefenstahl.
Precede in esclusiva un video di Paolo Venier sul
ritrovamento della pellicola a Trieste (Betacam SP, 6’).
Coatti/Koatti di Stavros Tornes, 1978, 16mm, b/n-col.,
76’. La rivelazione della personale Tornes al Torino
Film Festival: capolavoro del cinema italiano e apolide.
Un dono al futuro dai tormentati anni ‘70.
Sabato 13 dicembre - Cinema Ariston
ore 11.00 guida poetica sulle tracce di Stavros
Tornes
Me ton Nìko Kavvadhìa (Con Nìkos Kavvadhìas) di
Stavros Tornes, 1982, Betacam SP da 16mm, col., 17’.
Gòrpas legge Kavàfis nelle parole di Tornès sequenza da
Ènas erodhiòs ghia ti Ghermanìa (Un airone per la
Domenica 14 dicembre - Cinema Ariston
ore 11.00 gli ultimi
Gli ultimi di Vito Pandolfi
scritto da David Maria Turoldo
1963, 35mm, b/n, 86’.
Copia restaurata da Cineteca del Friuli, CEC,
Cinemazero, Cineteca Nazionale.
Giovedì 11 dicembre - Teatro Miela
ore 20.30 cinema dei maestri
Prossimamente di Gli ultimi edizione Globe Film, 1963,
35mm, b/n, 4’.
Il placido corso degli eventi... di Paolo Isaja e Maria
Pia Melandri, 2003, Betacam SP, col., 22’,
con Vittorio De Seta sul set di Lettere dal Sahara.
I malestanti trent’anni dopo di Claudio Di Mambro,
Luca Mandrile, Marco Venditti, 2003, Betacam SP,
col., 50’, con gli interpreti di Diario di un maestro di
Vittorio De Seta. Presente l’autore Claudio Di Mambro.
In ricordo di Alberto Farassino, 1: Il rasoio di Buñuel
di Alberto Farassino e Tatti Sanguineti, 1980, Betacam
SP, col.-b/n, 62’.
Venerdì 12 dicembre - Cinema Ariston
ore 15.30 identificazione di una donna: Daniela
Silverio
Identificazione di una donna di Michelangelo Antonioni
1982, 35mm, col., 131’. Proiezione in collaborazione
con l’Istituto cinematografico dell’Aquila “La Lanterna
Magica”.
Segue incontro con visioni con Daniela Silverio, la
protagonista di origini friulane del film di Antonioni,
sulla sua esperienza di attrice, filmmaker, viaggiatrice
nelle terre del Buddha.
ore 21.00 identificazione di una donna: Sonja Savić
Vivere il cinema serata con Sonja Savić, la grande
attrice del cinema serbo e sloveno, con l’anteprima
assoluta delle sue opere da filmmaker. Partecipa Jan
Cvitkovič, regista di Kruh in mleko, che parla in esclusiva
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