Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica

Transcript

Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
UNIVERSITA‟ DEGLI STUDI DI ROMA
TOR VERGATA
FACOLTA‟ DI LETTERE E FILOSOFIA
Corso di laurea magistrale in informazione e sistemi
editoriali
Tesi di laurea in Teoria della Letteratura
Edmondo Berselli e il Mulino.
Storia emiliana di cultura e politica
Relatore:
Chiar.ma Prof.ssa
Simona Foà
Laureanda:
Laura Bagnoli
Matr.015346
Correlatore:
Chiar.ma Prof.ssa
Luisa Capelli
Anno Accademico 2010-2011
2
Indice
Indice ............................................................................................. 3
Introduzione ................................................................................... 7
Capitolo I - Il Mulino .....................................................................11
1.1 Storia dell‟Editoria italiana e bolognese dall‟Unità al
dopoguerra: brevi cenni..............................................................11
1.2 Il Mulino: primi passi ...........................................................16
1.3 La rivista “il Mulino” nel secolo delle riviste ........................32
1.3.1 contenuti, la struttura e la veste grafica della rivista.......37
2.3.2 I direttori .......................................................................39
1.4 Dalla rivista alle istituzioni ...................................................45
1.4.1 L‟ Associazione di Cultura e Politica «il Mulino»..................47
1.4.2. Le Edizioni del Mulino .................................................49
1.4.3 L'Istituto Cattaneo ........................................................56
1.4.4 La Fondazione Biblioteca del Mulino ............................60
Capitolo II - Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere ...........63
2.1 L‟Infanzia ............................................................................63
2.2 La giovinezza .......................................................................68
2.3 Berselli adulto ......................................................................72
2.3.1 La laurea e il Mulino .....................................................73
2.3.2 Berselli saggista ............................................................75
3
2.3.3 Il giornalista Berselli .....................................................93
2.3.4 Berselli, la tv, il teatro ...................................................98
2.4 Berselli dopo Berselli: postfazione di una vita .................... 102
Capitolo III – Edmondo Berselli e il Mulino................................. 105
3.1 Il rapporto con la “società editrice”..................................... 105
3.1.1 La Figura di Evangelisti ............................................... 107
3.1.2 Da tecnico a letterato ................................................... 117
3.2 Il rapporto con la rivista ..................................................... 129
3.2.1 Come la rivista de “il Mulino” ha influenzato Berselli: tra
vecchi e nuovi “mugnai” ...................................................... 129
3.2.2 Come e quanto Berselli ha inciso sulla rivista de “il
Mulino” ............................................................................... 145
Capitolo IV – Le postfazioni: metaprogetti editoriali .................... 163
4.1 Metaprogetti o postfazioni .................................................. 164
4.1.1 Le citazioni ................................................................. 168
4.1.2 Il contesto.................................................................... 170
4.1.3 Il processo ................................................................... 172
4.1.4 Vero, autentico, verosimile .......................................... 173
4.2 A uno a uno, i backstage..................................................... 176
4.2.1 I riferimenti al lavoro editoriale nelle opere ................. 188
Conclusione ................................................................................. 193
Appendice ................................................................................... 197
4
Statuto dell'Associazione di Cultura e Politica il «Mulino» ....... 199
Intervista a Bruno Simili, Febbraio 2011, Bologna ................... 209
Articoli da la rivista “il Mulino” ............................................... 223
L'ultima recita dei partiti ...................................................... 223
La tv, la politica e l'antidoto del mercato .............................. 250
La società del cinquanta per cento ........................................ 269
Bibliografia Edmondo Berselli ..................................................... 283
Bibliografia Generale ................................................................... 287
Sitografia ..................................................................................... 291
Ringraziamenti ............................................................................ 293
5
6
Introduzione
Come direbbe Berselli: innanzi tutto fuori la tesi.
La tesi che cercheremo di dimostrare nelle pagine seguenti è
che vi sia stata una fortissima influenza reciproca tra
Edmondo Berselli e il Mulino, inteso sia come casa editrice
che, soprattutto, come periodico.
Nel primo capitolo analizzeremo il Mulino in quanto tale.
La storia, i risvolti, i vari rami che lo compongono: dalla
“società editrice”, alla rivista, all‟Associazione di cultura e
politica sino all‟Istituto Cattaneo, passando per la
Fondazione Biblioteca. In questo frangente, in particolare,
approfondiremo il ruolo dei diversi direttori editoriali della
rivista, cercando di coglierne le particolarità e l‟influenza
che hanno saputo imprimere sul periodico.
Successivamente poggeremo la nostra tesi sulla descrizione
della vita di Edmondo Berselli, l‟infanzia, la giovinezza,
sino ad arrivare all‟approdo al mondo adulto, vissuto in
buona parte, come vedremo, proprio a stretto contatto con il
gruppo dei “mugnai” bolognesi.
Approfondiremo, poi, il rapporto con la rivista, con il
mondo giornalistico e con quello editoriale, esaminando i
temi e le connessioni con le testate e con le case editrici,
cercando di capire se queste relazioni sistematiche
avvenissero prevalentemente con il Mulino o anche con altri
ambienti.
Nel terzo capitolo ci occuperemo di quanto il Mulino abbia
influenzato l‟autore e viceversa quanto Berselli abbia
condizionato il lavoro dei “mulinisti”. Lo faremo seguendo
diverse strade.
7
Innanzi tutto analizzeremo le relazioni intercorse tra Berselli
e la “società editrice” il Mulino, indagando, in particolare,
sulla figura di Giovanni Evangelisti (per quarantaquattro
anni direttore editoriale della casa editrice) e sul suo
rapporto con il Berselli. Un rapporto privilegiato, come
vedremo, tra allievo e maestro, non senza screzi, ma con
molta complicità.
Andremo quindi a esaminare i saggi pubblicati dall‟autore
proprio con questa casa editrice, nel passaggio da tecnico a
letterato, avvenuto, apparentemente, in scioltezza.
Detto ciò, passeremo al collegamento con la rivista “il
Mulino”.
Chiederemo a Berselli, attraverso i suoi scritti, in che modo i
mugnai bolognesi abbiano inciso sul suo lavoro, facendo
una distinzione tra “vecchi” e “nuovi”, visto il ricambio
generazionale che ormai da qualche anno a questa parte sta
vivendo la rivista.
Passeremo, ancora, alle interconnessioni tra Berselli e il
periodico sia attraverso i suoi articoli (saggi sull‟Italia di
ieri, di oggi e anche di domani, grazie alla sua capacità di
analisi) sia attraverso la sua direzione della rivista, per due
mandati, dal 2003 al 2008.
Infine, nel quarto ed ultimo capitolo, metteremo in risalto,
nella scrittura di Berselli, l‟approccio “editoriale”, derivato
dalla sua professione.
Analizzeremo, infatti, i backstage, ovvero le postfazioni che
l‟autore include alla fine di ogni suo libro, postfazioni nelle
quali Berselli sembra voler prendere le distanze da se stesso,
per dare chiarimenti e spiegazioni ai lettori, senza perdere,
però, il linguaggio tra l‟ironico e il colto che lo
8
contraddistingue. E proprio di linguaggio tratterà l‟ultima
parte del capitolo, linguaggio tipico delle case editrici,
quello che utilizza spesso Berselli nei suoi libri. Riferimenti
al lavoro editoriale che evidenziano, ulteriormente, quanto il
gruppo il Mulino abbia inciso sull‟autore.
Una piccola nota, infine. Per comodità di studio abbiamo
utilizzato l‟opera che racchiude tutti i saggi scritti
dell‟autore il cui titolo è Quel gran pezzo dell’Italia1, per
questo motivo le pagine riportante delle note a piè di pagina
fanno riferimento a questo volume.
C‟è in noi l‟assoluta consapevolezza di non aver messo altro
che un piccolo mattoncino scrivendo questa trattazione, il
lavoro di Edmondo Berselli è così vasto e ricco di
sfaccettature che serviranno molte approfondite analisi per
esaminarlo a fondo. Abbiamo deciso di provare a dare il
“la”, nella speranza qualcuno voglia raccoglierlo e
appassionarsi a questo autore, così come abbiamo fatto noi.
1
Berselli, Edmondo; 2011, Quel gran pezzo dell’Italia, Milano,
Mondadori
9
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
10
Il Mulino
Capitolo I - Il Mulino
1.1 Storia dell’Editoria italiana e bolognese
dall’Unità al dopoguerra: brevi cenni
È nei decenni post unitari che nascono in Italia le prime
case editrici, imprese private che, per quanto legate ancora,
per la maggior parte, a una tipografia o a una cartoleria da
cui sono state quasi generate, si propongono di pubblicare
in modo continuativo opere destinate a un proprio
pubblico1.
È, forse, proprio questo il punto di partenza dal quale
prendere le mosse per parlare di una delle case editrici più
influenti del nostro secolo nel panorama sociologico e
politologico italiano: il Mulino.
Esperienza ci insegna che, per analizzare nel modo corretto
che cosa e come ha influenzato la nascita e la crescita di una
realtà, è opportuno partire dalle sue fondamenta storiche.
Proprio per questo diamo il via a questa trattazione con un
excursus sull‟editoria italiana, e in particolare bolognese, dal
periodo post unitario sino al 1951, anno in cui il Mulino si
presenta al pubblico.
Tra l‟unità d‟Italia e la fine del secolo, assistiamo a un
progressivo sviluppo dell‟industria editoriale italiana:
1
Tranfaglia, N., Vittoria. A.; 2000, Storia degli editori italiani, Bari,
Editori Laterza, p. 3.
11
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
mentre la riunificazione del paese e le facilitazioni nelle
comunicazioni permettevano agli editori di allargarsi su
tutto il mercato nazionale, il -seppur lento- miglioramento
delle condizioni di vita e la parziale diminuzione
dell‟analfabetismo diventano ulteriori condizioni per la
crescita del pubblico. Nel 1861 il numero di analfabeti
toccava il 75% della popolazione sopra i 6 anni di età (ma
con punte del 90% in Sardegna e dell‟86% nel
Mezzogiorno continentale, mentre in Piemonte, Liguria e
Lombardia scendeva al 54%), nel 1881 regrediva al 62 % e
nel 1911 arrivava al 38%2.
Appare ovvio come il processo di unificazione della società
italiana e quello di incremento dell‟integrazione culturale
vadano di pari passo. Ciò implicò una rielaborazione del
concetto non solo di “editoria”, ma soprattutto di “libro”, il
quale si tramutò da bene “di lusso” a “oggetto di consumo
generale”, fruito dalla maggioranza delle persone.
L‟editore diventò, così, non più un passivo stampatore, ma
un vero e proprio imprenditore, attivo in un mercato
decisamente in crescita come quello librario, e,
contemporaneamente, attento a far rientrare la propria
produzione in un preciso piano editoriale e culturale.
A Bologna l‟editoria si diffuse in modo leggermente
anomalo rispetto al resto del nord Italia. Lo stretto legame
con il mondo universitario ne favorì lo sviluppo e
«l‟editoria bolognese fu una sorta di university press, nel
2
Ivi, p. 64.
12
Il Mulino
senso che stampò e diffuse dispense, prolusioni, opere
indipendentemente da una prestabilita politica culturale» 3.
Solo con l‟arrivo del modenese Nicola Zanichelli, nel 1866,
la città di Bologna diventò un punto di riferimento per la
cultura nazionale, non soltanto per i rapporti che intraprese
con Carducci, a quel tempo ordinario presso l‟ateneo
bolognese e con altre personalità di spicco dell‟Alma Mater,
ma anche per la «riproposizione di un modello peculiare di
produzione e distribuzione libraria, di organizzazione della
vita culturale che ricongiunge la bottega all‟officina, la
professione dell‟editore a quella del libraio»4.
Nel nuovo secolo, e in particolare negli anni del fascismo,
questo processo, iniziato nella seconda metà dell‟Ottocento,
si definì in modo più organico, portando ad un cambiamento
complessivo nell‟editoria e nella stampa italiana, che
assunse sempre più un‟evoluzione in senso industriale.
Secondo il regime fascista, infatti, era necessario la stampa
non fosse più estranea alla vita politica della nazione, ma
diventasse attiva e partecipe. Essa doveva appoggiare,
attraverso la sua produzione, le imprese e la grandezza del
regime mussoliniano. Come affermò Augusto Turati,
segretario del Partito nazionale fascista, inaugurando nel
1927 la Libreria del Littorio, i libri
agli italiani di dentro e a quelli di fuori il confine, e
soprattutto ai giovani che non amano molto la carta
stampata, per le troppe brutte cose che sono stati costretti a
3
Ivi, p.103.
Barbera, P.; 1904, Editori e autori, Studi e passatempi di un libraio,
Firenze, Barbèra, p.197.
4
13
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
leggere, diano una nozione esatta delle idee in modo che
queste siano chiare, sicure e forti. E bisogna intendere non
soltanto le opere che costruiamo ma anche l‟importanza
delle leggi nuove che andiamo attuando5.
Propaganda, certo, nascosta dietro presunte ispirazioni a
“criteri morali ed educativi”.
L‟editoria è una cattedra. «In fondo, la si può definire un
complemento della funzione educativa della chiesa, della
casa, della scuola: un complemento necessario»6, come
afferma Franco Ciarlantini7.
Il regime fascista accresce la sua influenza nei luoghi della
cultura e a Bologna le case editrici proseguono il loro
intreccio con l‟università, posto strategico per trovare linfa
vitale per la loro crescita e sviluppo.
Nel capoluogo emiliano sono tre le case editrici che la fanno
da padrone: Zanichelli, Cappelli e la nuova Patron, che
punta esclusivamente sull‟università, stampando dispense e
manuali, senza nemmeno pensare di mettersi in concorrenza
con le due maggiori.
Zanichelli, dopo il 1927, si trovò in una condizione
finanziaria difficile e la morte del direttore generale
Oliviero Franchi complicò ulteriormente le cose. Dopo
numerose peripezie, nel 1930 divenne direttore Enzo Della
Monica (rimase tale sino al 1962), che introdusse una serie
5
AA.VV., 1926; La libreria del Littorio, in «Bibliografia fascista», I, 30
novembre 1926, n. 9.
6
AA.VV., 1932; Il Convegno degli Editori e Librai a Firenze, 26-29
Maggio 1932-X, in «Giornale della libreria», XLV, 4 giugno 1932,
n.23, intervento di F.Ciarlantini, p.159.
7
Politico, giornalista e scrittore della prima metà del Novecento.
14
Il Mulino
di novità e, sotto molto aspetti, una differente impostazione
organizzativa e lavorativa. Naturalmente, nell‟attività stessa
della casa editrice, la presenza del regime si fece sentire
anche con l‟ingresso di personaggi politici nel consiglio di
amministrazione; inoltre «il settore scientifico continuò ad
avere nel corso del ventennio una presenza centrale, anche
con i periodici»8.
Cappelli non fu da meno e, anzi, non può certo essere
considerato un editore asettico o contrario al regime, si pensi
solo che nel 1924 ebbe un ruolo di rilievo nella fondazione
della Libreria dello Stato e che ebbe diversi appoggi e
sovvenzioni dallo stato.
Così, se a Bologna negli anni Trenta le parole chiave per
l‟editoria sono: università, fascismo, consenso, nel
dopoguerra rimane solo la prima. L‟editoria bolognese,
infatti, continuerà a caratterizzarsi per il forte legame con
l‟università, ma anche con la politica. Accanto alle ormai
navigate Zanichelli e Cappelli e alla sempre presente Patron,
nacquero nuove realtà: la Clueb (Coperativa Libraria
Universitaria Editrice Bolognese), l‟impresa di Arnaldo
Forni, le Edizioni Malipiero, Calderini, la Stem-Mucchi e il
progetto di Ugo Guanda, legato prima al Partito d‟azione e
in seguito a quello socialista.
Accanto a queste comparve anche un‟altra piccola realtà: il
Mulino.
8
Tranfaglia, N., Vittoria. A.; 2000, Storia degli editori italiani, Bari,
Editori Laterza, p. 295. Società editrice.
15
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
1.2 Il Mulino: primi passi
In principio “il Mulino” fu una rivista, nata il 25 aprile 1951
a Bologna.
Nel 1951 Matteucci partecipava, insieme ad altri
intellettuali bolognesi di varia estrazione, alla fondazione
di un‟associazione che si prefiggeva di elaborare strumenti
intellettuali atti a leggere con occhi nuovi, non tributari di
impostazioni ideologiche superate dai tempi, la società
italiana e il sistema democratico: il gruppo della rivista «Il
Mulino», dal quale avrebbe poi preso vita nel 1954
l‟omonima casa editrice9.
I principali intellettuali bolognesi che parteciparono alla
fondazione furono: Pier Luigi Contessi (primo direttore
della rivista), Fabio Luca Cavazza, Pier Luigi Contessi,
Gianluigi Degli Esposti, Renato Giordano, Federico
Mancini, Nicola Matteucci, Luigi Pedrazzi e Mario Saccenti
(primi componenti del comitato di direzione).
L‟esperienza del Mulino nasce, quindi, nella situazione
particolarmente vivace di confronto tra scelte di campo che
contraddistingue l‟Italia dei primi anni Cinquanta, in un
periodo in cui in buona parte dell‟Italia maturano strutture e
organismi di studio e dibattito. Con la guerra fredda, infatti,
si spacca non solo l‟unità antifascista, ma anche, e
soprattutto, il principio dell‟autonomia della creatività e
dell‟organizzazione culturale. Negli stessi anni (1953) si
9
http://www.lacropoli.it/articolo.php?nid=224 - Ultima consultazione
25/11/2011.
16
Il Mulino
assiste alla crisi del centrismo democristiano, segnato dalle
elezioni che determinano la costituzione di nuove forme
organizzative e raggruppamenti ideologici. E ancora proprio
nel 1953 muore Stalin e il mondo comunista si ritrova in un
periodo di stallo che si sblocca solo con il ventesimo
congresso (1956), che apre una nuova fase tra il Partito
Comunista Italiano e gli intellettuali ad esso vicini.
Nel panorama culturale e politico di questo periodo ci
troviamo così di fronte da un lato a Croce che distingue
rigorosamente l‟attività intellettuale da quella politica e
dall‟altro al Partito comunista di Alicata e Togliatti, che
condannano la linea autonomista di Vittorini e Fortini, i
quali privilegiano la letterarietà a discapito della politica 10.
Togliatti dal canto suo nel 1952 mette in risalto, insieme a
Salinari, il degrado del paese e ribadisce la necessità di una
cultura socialista italiana a difesa della tradizione: da Bruno
a Galilei, da De Sanctis a Labriola e soprattutto a Gramsci.
David Forgacs individua una continuità tra questi
schieramenti. Egli sottolinea come molti dei quadri del PCI
che avevano rappresentato la sinistra crociana durante il
fascismo producano all‟inizio degli anni Cinquanta il
fenomeno tipicamente italiano di cross-fertilization tra
idealismo e marxismo. Volendo semplificare: dopo la morte
del filosofo napoletano, avvenuta nel 1952, la sua influenza
continuò ad agire non solo attraverso la sua scuola, ma
10
Asor Rosa, A.; 1982, Lo stato democratico e i partiti politici, in
Letteratura italiana, I, Il letterato e le istituzioni, Torino, Einaudi.
Si veda anche L’Emilia e la Romagna, a cura di Anselmi, G.M.,
Bertoni A.; 1989 , Letteratura italiana: storia e geografia, III, L’età
contemporanea, diretto da Asor Rosa, A., Torino, Einaudi, pp. 385-462.
17
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
anche attraverso Gramsci. Si pensi a Natalino Sapegno,
Luigi Russo, Giuseppe Petronio o ad altri storici e critici
dell‟arte e della letteratura di formazione crociana, che
avevano poi assunto posizioni di sinistra nel corso degli anni
quaranta e che cercano ora di assimilare Gramsci al
paradigma teorico crociano 11.
Forgacs sottolinea ancora come la mobilitazione degli
intellettuali, centrale nella strategia del PCI e basata sui
Quaderni del carcere - pubblicati dal 1948 al 1951 e che
assegnano un ruolo centrale alla figura dell‟intellettuale non avrebbe un‟ispirazione esclusivamente gramsciana. Già
secondo il pensiero idealista crociano la cultura è patrimonio
degli intellettuali che rappresentano quell‟élite colta che è
motore della società–nazione. Lo stesso concetto è
riproposto da Gramsci, anche se in una più ampia e
democratica visione del ruolo dell‟intellettuale 12.
Chi fa riferimento al neo-idealismo di Giaime Pintor
secondo cui gli intellettuali devono trovare il modo di calare
«la loro esperienza sul terreno dell‟utilità comune», si
ribella, invece, alle due teorie esposte finora.
Tra questi troviamo anche gli studenti universitari bolognesi
radunatisi intorno alla rivista “il Mulino” nel 1951, che tre
anni più tardi fondarono l‟omonima la casa editrice.
All‟interno del gruppo si rispecchiano buona parte delle
posizioni ideologiche presenti nell‟Italia post bellica: dai
liberali, ai cattolici, ai socialisti, unite da una particolare
11
Forgacs, D.; 2000, L’industrializzazione della cultura italiana,
Bologna, il Mulino pp. 157-158 (ed. or. Manchester 1990).
12
Ivi, pp. 157.
18
Il Mulino
comunione che permette di andare oltre i motivi dei singoli
e i dettati culturali dominanti.
Federico Mancini, uno dei fondatori del gruppo, descrive il
nucleo iniziale de “il Mulino”:
v‟era tra noi chi, formatosi sui testi crociani, affrontava la
realtà confidando nel metodo liberale; chi invece muovendosi tra Gobetti e Gramsci - avvertiva con
particolare sensibilità il problema delle masse e del loro
movimento, e ravvisava nella lotta iniziata con la
Resistenza il nuovo “mito” progressivo; v‟erano infine tra
noi dei cattolici che, sia pure in un itinerario personale,
procedendo da un‟educazione gesuitica, e scesi con
incarichi organizzativi sul piano della vita universitaria,
avevano trovato in questa l‟occasione di un superamento,
in senso liberale, delle loro posizioni di origine13.
Dopo solo due anni di vita “il Mulino” diventa un vero e
proprio caso editoriale, tanto che nel 1953 si aggiudica il
premio Viareggio per l‟opera prima, assegnato
eccezionalmente a una rivista invece che alla narrativa o alla
saggistica. Tale prestigiosa vittoria impressiona il capo
dell‟Associazione
degli
industriali
bolognesi
e
amministratore della Poligrafici «il Resto del Carlino»,
l‟avvocato Barbieri, il quale aveva finanziato fino ad allora
la rivista. Il progetto di una casa editrice può ora prendere il
via14. Il 23 giugno 1954 nasce la Società editrice il Mulino,
13
Mancini, F.; 1954, Relazione introduttiva, I° Convegno degli Amici e
collaboratori del «Mulino», Bologna, il Mulino.
14
La nascita della casa editrice il Mulino è stata esaminata da
19
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
costituita con capitale sociale di 500.000 lire, sottoscritto per
il 95% dalla Poligrafici «il Resto del Carlino» e per il 5%
dalla Società per la gestione dell‟Azienda Tipografica «La
Nazione». Il Mulino, rileva Alberto Bertoni,
si collocava nell‟alveo di quella tradizione primonovecentesca che, dalla “Voce” alla “Critica” del
Croce all‟esperienza di promotore di riviste, poi di
editore, del Gobetti, portava ad ampliare (per il
tramite della parallela impresa editoriale) la forza
d‟intervento del periodico culturale15.
Tra i fondatori della Società editrice il Mulino, spiccavano,
tra gli altri, Luigi Pedrazzi, Antonio Santucci, Nicola
Matteucci, Fabio Luca Cavazza, Gianluigi Degli Esposti,
Turi, G.; 1997, Cultura e poteri nell’Italia repubblicana, Firenze,
Giunti, pp. 423 e ss.
Ragone, G.; 1999, Un secolo di libri. Storia dell’editoria in Italia
dall’Unità al post-moderno, Torino, Einaudi, p. 206.
Tranfaglia, N.; 1986, Stampa e sistema politico nell’Italia Unita. La
metamorfosi del quarto potere, Firenze, Le Monnier, pp. 313-327.
Tranfaglia, N., Vittoria. A.; 2000, Storia degli editori italiani, Bari,
Editori Laterza, pp. 280 e ss.
Avellini, L.; 1997, Cultura e società in Emilia Romagna, in Storia
d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi, Emilia Romagna, a cura di R.
Finzi, Torino, Einaudi, pp. 723-767.
Vittoria, A.; 1991, Organizzazione e istituti della cultura, in Storia
dell’Italia repubblicana, vol. II, La trasformazione dell’Italia: sviluppo
e squilibri, Torino, Einaudi.
15
Bertoni, A.; 1991, Un gruppo intellettuale imprenditore di se stesso:
appunti per una storia del «Mulino», in Editoria e Università a Bologna
tra Ottocento e Novecento, a cura di Berselli, A., Comune di Bologna,
Istituto per la Storia di Bologna, pp. 262-263.
20
Il Mulino
Federico Mancini, Mario Saccenti e il letterato Pier Luigi
Contessi, che avrebbe a lungo diretto la rivista
determinandone la cognizione del lavoro letterario come di
un‟attività non scorporata dalla società che la produce e
tesa a inserirsi in un motivo di comunione abbastanza
spiccato da condurla ad interpretare quella particolare
forma di civiltà dove si svolge la vita dell‟uomo nelle sue
più vive esigenze, nei suoi rapporti sociali, nelle sue
aspirazioni e inquietudini16.
Il consiglio di amministrazione era supportato da un
comitato tecnico, ufficializzato solo in seguito, composto da
Pedrazzi, Cavazza, Contessi e Matteucci.
Luigi Pedrazzi, di formazione cattolica, aveva sempre avuto
un occhio vigile e critico verso la realtà politica allora in
formazione:
mentre quelli dell‟Azione cattolica erano entrati nella
Democrazia cristiana, come tutti gli altri nostri coetanei
cattolici, noi avevamo l‟idea che la Chiesa era una cosa più
complessa e più grande del partito che partiva in quel
momento, e che le realtà internazionali andavano viste
chiaramente17.
16
L’Emilia e la Romagna, a cura di Anselmi, G.M., Bertoni A.; 1989 ,
Letteratura italiana: storia e geografia, III, L’età contemporanea,
diretto da Asor Rosa, A., Torino, Einaudi, p.456.
Si veda anche Contessi, P.L.; 1986, Un critico tra poesia e politica,
Bologna, il Mulino, p. 32.
17
Ibidem.
21
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
Solo più tardi Pedrazzi si avvicinerà alla politica: sarà
consigliere comunale a Bologna dal 1956 al 1960, come
indipendente di sinistra nella lista democristiana capeggiata
da Giuseppe Dossetti, e vice-sindaco dal 1995 al 1999 nella
stessa città.
Fabio Luca Cavazza, invece, ha il merito di rendere
possibile l‟avvio de il Mulino grazie all‟amicizia che legava
la sua famiglia all‟avvocato Giorgio Barbieri. Motore del
gruppo, Cavazza intraprende alla metà degli anni cinquanta
una serie di visite negli Stati Uniti che gli consentono di
sviluppare intensi rapporti con il mondo politico e culturale
d‟oltreoceano.
Fondamentale è l‟apporto fornito da Nicola Matteucci,
soprattutto per lo studio dei classici della democrazia
americana, così come quello di Pier Luigi Contessi e del
giurista Federico Mancini.
Il rapporto stretto dal nucleo iniziale con l‟Istituto italiano di
studi storici di Napoli, inoltre, permette di entrare in
contatto con Vittorio De Caprariis, storico delle dottrine
politiche, Francesco Compagna, meridionalista e attento
conoscitore della politica italiana, e Renato Giordano,
esperto di politica. E ancora, Giorgio Galli, milanese, è
scoperto da Pedrazzi, che aveva letto le sue piccole note su
“Critica sociale”. Presto arrivano anche Pietro Scoppola,
romano, individuato da Matteucci per alcuni contributi
storici, e Gino Giugni, genovese, catturato per via di comuni
amicizie liguri con Contessi e una borsa di studio negli Stati
Uniti condivisa con Mancini18.
18
Pedrazzi, L.; 2001, Gli inizi del Mulino 1951-1964, AssindustriaBologna, Bologna, p. 24.
22
Il Mulino
Il 9 e 10 gennaio 1954 si tiene nel salone grande del «Resto
del Carlino» il primo Convegno degli Amici e Collaboratori
de il Mulino, che sancisce l‟avvio della nuova impresa
editoriale. La relazione introduttiva, infatti, è stampata
come primo volume della collana «saggi», seguito dal
secondo, Geografia delle elezioni italiane dal 1946 al 1954
di Francesco Compagna e Vittorio De Caprariis, e dal terzo,
Filosofia e sociologia, atti del convegno nazionale voluto a
Bologna da Abbagnano e Battaglia (primo segnale concreto
di un cammino che si prepara in Italia oltre Croce e oltre
Gramsci, anche per impulso dei giovani del Mulino) 19.
Abbagnano, infatti, come ha osservato Bobbio, aveva
cercato negli ultimi anni di far confluire la tendenza
umanistica - presente nel più grande corso esistenzialista all‟interno delle filosofie positive, in particolare nel
pragmatismo di John Dewey20. A riprova di questo
collegamento, parlando poco tempo prima dell‟impostazione
della rivista, Renato Solmi aveva dichiarato:
si delinea nelle pagine del “Mulino” una concezione della
cultura come forza mediatrice, che risente dell‟influsso di
pensatori come Dewey, e, direttamente o indirettamente,
della “rinascita marxista” di questi anni […]. Questa
concezione si contrappone apertamente all‟idea
tradizionale della cultura come “hortus conclusus”, come
19
Ivi, p. 26.
Nel 1948 era uscito un articolo di Abbagnano, Verso un nuovo
illuminismo: John Dewey, considerato il manifesto del neo-empirismo
(cfr. Bobbio, F.;1969, Profilo ideologico del Novecento, in Storia della
letteratura italiana, IX, Il Novecento, Milano, Garzanti).
20
23
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
forma privilegiata di attività che trova in se stessa il
proprio contenuto e la propria ragion d‟essere21.
Già nella terminologia usata è facilmente intuibile che ai
redattori del Mulino non interessava tanto applicare alla
realtà uno schema ermeneutico più o meno rigido che
mirasse a criticarla e a modificarla in vista di una finale
redazione, quanto piuttosto interpretarla e comprendere
nelle sue articolazioni complesse, nella sua potenzialità
riformista22.
Gli osservatori più attenti iniziano dunque a individuare
all‟interno della giovane redazione non solo l‟elaborazione
dei tratti salienti del panorama culturale italiano, ma anche il
tentativo di superarli. Ne sono prova le recensioni al
Convegno, durante il quale i redattori rendono esplicito il
loro crescente interesse per le problematiche politiche.
Eugenio Montale, inviato d‟eccezione del «Corriere della
sera», mette in risalto l‟anti-dogmatismo dei giovani
“mugnai”, che si definiscono «neo-illuministi e antiumanistici»:
non si riconoscono nelle attuali strutture, in quella dei
partiti, per esempio; non comunisti, respingono
l‟anticomunismo a buon mercato dei conservatori; rifiutano
l‟antitesi tra clericalismo e anticlericalismo; chiedono agli
storici di non dimenticare l‟apporto della sociologia, ai
filosofi di non trascurare la tecnica e a scienza; ai cittadini
21
Solmi, R.; 1952, Il Mulino, «Notiziario Einaudi», n. 3.
L’Emilia e la Romagna, a cura di Anselmi, G.M., Bertoni A.; 1989,
Letteratura italiana: storia e geografia, III, L’età contemporanea,
diretto da Asor Rosa, A., Torino, Einaudi, p.457.
22
24
Il Mulino
di pensare con la loro testa e non con quella del capogruppo o del capo-cellula 23.
Anche il «Resto del Carlino» pone l‟accento sul desiderio
dei “mulinisti” di superare quelle
posizioni dove veterani si accaniscono in battaglie
anacronistiche (clericalismo e anticlericalismo, dirigismo e
liberalismo). Farina ammuffita osservano i […] “mugnai”
che non può far più pane. Lo stesso si dica di un
anticomunismo puramente negativo, indice di una “cecità
reazionaria, di una classe dirigente invecchiata24.
Dalle colonne dell‟ «Avvenire d‟Italia» Papa si limita a dirsi
«d‟accordo su molte messe a punto come su molte
osservazioni riguardanti la crisi della cultura e
particolarmente delle scienze economico giuridiche»25.
Carlo Laurenzi dalla «Nuova Stampa» così descrive i
giovani intellettuali:
si riconoscono di origine crociana, gobettiana o cattolica,
irriducibilmente antifascisti, tolleranti increduli nella
religione dell‟antitesi […] affrancati ormai dall‟idealismo
23
Montale, E.; 1954, Strani giovani occhialuti fanno andare un
«Mulino» a Bologna, «Corriere della sera», 13 gennaio, p.3.
24
Dursi, M.; 1954, Dagli scrittori del “Mulino” nasce il neoilluminismo, «Resto del Carlino», 11 gennaio, p.5.
25
Papa, A.; 1954, I piccoli mugnai, «L‟Avvenire d‟Italia», 14 gennaio,
p.6.
25
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
supino, entusiasti di quelle grandi esperienze che sono state
il New Deal rooseveltiano e il Labour Party britannico 26.
Sull‟«Unità» esce un articolo di Antonio Banfi che, più
criticamente, consiglia di ridimensionare l‟ammirazione per
la socialdemocrazia anglosassone e di restituire al pensiero
marxista la paternità delle critiche alla cultura borghese
mosse dai giovani studiosi27.
Come mette in luce Barbara Covili, era giunta a maturazione
quella presa di posizione che Solmi auspicava dal luglio
1952 e che permetteva alla rivista, tenutasi fino ad allora
lontana dall‟agone politico, di scendere in campo. I giovani
intellettuali pongono le basi per quello che sarebbe stato il
loro coinvolgimento nell‟esperimento di centro sinistra,
aspirando a moderare il PCI attraverso un disegno di riforme
democratiche28.
Questo percorso degli studiosi bolognesi mostra affinità
ideologiche con la posizione assunta nello stesso periodo da
quei democratici americani che affidano incarichi di rilievo
agli intellettuali ex-comunisti della scuola di New York,
convinti che la sinistra non comunista sia il miglior antidoto
al pericolo rosso - come si afferma durante il I Congresso
dell‟organizzazione democratica internazionale, “Congress
for Cultural Freedom”. Qui, per la prima volta, i dogmi
26
Laurenzi, C., 1954, Come i giovani «laici» giudicano l’Italia d’oggi,
«La Nuova Stampa», 12 gennaio.
27
Banfi, A., 1954, I neoilluministi del «Mulino», «l‟Unità», 25 gennaio.
28
Covilli, B., 1998, Tra impegno culturale e ripensamento della
politica: i giovani post-universitari bolognesi de «il Mulino» 1951-1955,
«Rassegna di storia contemporanea», n. 1, pp. 41-58.
26
Il Mulino
della guerra fredda sono sconfessati da intellettuali come
Raymond Aron, Arthur Koestler, Bertrand Russel, Karl
Jaspers, Jacques Maritain e da John Dewey. In The Opium
of the Intellectuals Aron prende in esame quella che
definisce «era delle ideologie» - indicando come ideologie
«rivoluzione» e «utopia» - e la dichiara inesorabilmente
conclusa29.
È proprio in questo quadro che va ricercata una
corrispondenza tra superamento dell‟arida radicalizzazione
del bipolarismo sul piano politico e fine delle ideologie in
quello culturale. Un‟operazione che la casa editrice
bolognese si appresta a compiere già dalla metà degli anni
cinquanta. Come afferma Luigi Pedrazzi a Marco Lodevole
in un‟intervista del 2003
attraverso l‟imbuto del Mulino, eravamo entrati in una
condotta che ci portava a guardare anche con una certa
sufficienza Croce e Gramsci che invece nella cultura
liberale e comunista italiana di allora erano le due massime
autorità. Da La Malfa ad Amendola, tutti parlavano ancora
di questo. Noi invece dicemmo: “no, c‟è anche una cultura
tedesca, una inglese e una americana”30.
Così Bertoni:
A loro, soprattutto nel contesto socio-politico di quegli
anni che invece - soprattutto in Italia - procedevano per
29
Jacoby, R., 1999, The end of Utopia. Politics and culture in an age of
apathy, Basic Books, New York, p. 2. Cfr. anche Arton, R., 1955, The
Opium of the Intellectuals, New York, Norton.
30
Lodevole, M.; 2003, Intervista a Luigi Pedrazzi, Bologna, 3 aprile.
27
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
contrapposizioni e barriere ideologiche, tra marxismo
dogmatico e confessionalità esasperata, facendo dell‟a
priori una sorta di bandiera concettuale, non interessava
tanto applicare alla realtà uno schema […] quanto piuttosto
interpretarla e comprenderla nelle sue articolazioni
complesse […]. In definitiva si trattava di restituire
impulso a un pensiero autenticamente laico e alla categoria
della libertà come valore31.
Anche Giuliana Iurlano sottolinea l‟indipendenza politica e
culturale dei giovani bolognesi accostando l‟a-ideologismo
del Mulino all‟esperienza del New Deal, caratterizzato da
una stretta collaborazione tra intellettuali e governo:
d‟altra parte lo stesso gruppo del Mulino è una sorta di
brain-trust, cioè di intellettuali che, dapprima con
discussioni a livello teorico, poi con veri e propri
suggerimenti politici, aspirano a realizzare un “New Deal
italiano” attraverso la formula della “terza via” che negli
anni sessanta troverà la sua espressione politica nel centrosinistra 32.
Per raggiungere questo obiettivo politico e culturale gli
intellettuali del Mulino si affidano allo studio di quelle
scienze sociali che vengono da loro per la prima volta
tradotte. Nei primi anni cinquanta si delinea dunque il
progetto di una cultura nuova in grado di andare oltre
31
Bertoni, A.; 1991, Un gruppo intellettuale imprenditore di se stesso,
cit., pp. 257-258.
32
Iurlano, G.; 1983, La cultura liberale americana in Italia: “Il
Mulino” (1951-1969), «Nuova rivista storica», 57, n. V-VI, p. 674.
28
Il Mulino
l‟erudito immobilismo dell‟università italiana fondendo
riformismo liberale, sociologia d‟oltreoceano e critica
letteraria anglosassone. Appaiono ora all‟attenzione degli
studiosi testi e discipline fino ad allora ignorati. La
sociologia, sradicata dalla stagione positivistica, viene
introdotta insieme a testi americani di psicoanalisi che
soffrono nel nostro paese della convergenza tra pensiero
marxista, cattolico e crociano 33. L‟introduzione delle così
dette «scienze umane» apre anche la porta alla filosofia
della scienza e della pratica, alle scienze religiose, alla storia
sociale ed economica e più tardi alla cibernetica e alla
bioetica34. Più precisamente, dal 1954 al 1957 escono
ventuno titoli, in prevalenza traduzioni di autori ormai
classici in Europa e negli Stati Uniti, tra i quali Il sacro di
Rudolf Otto, Democrazia e cultura di Hans Kelsen
(presentato da Matteucci), Il pericolo del conformismo di
Henry Steel Commager, e Sociologia. La scienza della
società di Jay Rummey e Joseph Mayer. E ancora altri
autori come Mannheim (presentato da Santucci), Wellek e
Warren (da Contessi), Parsons (da Mancini) e Riesman (da
Cavazza). Tra i pochi italiani, il testo di Lionello Venturi Il
gusto dei primitivi e lo studio di Corrado Pavolini su
Cubismo, futurismo ed espressionismo. Con questi volumi
vengono avviate le collane “Saggi” e “Collezioni di testi e di
studi”, che costituiranno per decenni l‟asse portante del
33
Sereni, S.; 1990, Vestivamo all’americana, giocavamo a tennis e a
ping-pong, «Wimbledon», n.5, pp. 4-5.
34
Galli, C.; 1995, I quarant’anni della casa editrice il Mulino, «Lettera
dall‟Italia», n.37, p. 5.
29
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
catalogo del Mulino 35. Viene tradotto nel 1957 anche
l‟eretico jugoslavo Milovan Gilas, il primo a superare le
diecimila copie vendute bruciando due edizioni rapidissime.
Giovanni Evangelisti, per ben quarantaquattro anni capo
della “società editrice”:
le prime traduzioni di Parsons o di Merton in Italia furono
delle operazioni spericolate. Se si vuole capire cosa è stato
culturalmente il Mulino di quegli anni, bisogna considerare
uno dei primi libri pubblicati, il Rummey e Mayer: un
manualetto di sociologia apparentemente banale con
un‟introduzione di Tonino Santucci che letta allora era
sconvolgente perché molti credevano ancora che la
sociologia fosse Pareto o peggio Niceforo. Nell‟ambito
degli studi economici, invece, al Mulino ha contato molto
Nino Andreatta, introdotto da Federico Mancini suo
collega ad Urbino. Tutta la squadra di giovani economisti
che Nino portò a Bologna sono poi gravitati a lungo qui
attorno: Tantazzi, Tadda, Prodi, che è divenuto addirittura
presidente della società editrice36.
Alla fine degli anni cinquanta viene pubblicata la
“Collezione di storia americana”, realizzata in
collaborazione con l‟USIS (United States Information
Service), curata da Nicola Matteucci e Vittorio De Caprariis
-entrambi studiosi di Tocqueville- insieme a Rosario Romeo
35
Berti Arnoaldi, U.; 1987, L’impresa dei «giovani» del Mulino nella
nuova stagione dell’Ateneo bolognese, in Lo studio e la città: Bologna
1888-1988, a cura di W. Tega, Bologna, Nuova Alfa Editrice, p. 415.
36
Lodevole, M.; 2003, Intervista a Giovanni Evangelisti, Bologna, 3
aprile.
30
Il Mulino
e a Mauro Calamandrei, che pongono al centro del discorso
il problema della democrazia negli Stati Uniti e della storia
americana come parte integrante della civiltà occidentale 37.
Nello stesso periodo escono anche i venti volumetti dei
“Classici della democrazia moderna”, sempre diretta da De
Caprariis, sette dei quali sono dedicati a esponenti o epoche
della democrazia americana, da Hamilton a Roosevelt.
Grazie ai contatti di Cavazza con docenti e grandi
fondazioni statunitensi, gran parte dei costi di produzione di
queste due collane grava sull‟esterno38.
Come puntualizza Evangelisti, «Il Mulino non è mai stata
una cosa bolognese, anzi, i rapporti col milieu intellettuale,
ammesso che ci sia, o che ci fosse, un milieu intellettuale
bolognese sono stati relativi» 39.
È dunque soprattutto la politica delle traduzioni a
conseguire i maggiori successi e alle opere provenienti dagli
Stati Uniti si affiancano anche le scelte europee selezionate
dai giovani “mulinisti” andati in cattedra: storici delle
dottrine politiche come Matteucci e Galli, letterati come
Raimondi e Contessi, storici della filosofia come Santucci,
giuristi come Mancini. In questo periodo vengono pubblicati
Raymond Aron e Arthur Schlesinger jr., Bainton, Cullmann,
Curtius, Gilbert, Hirschman, Hofstadter, Marrou, Miller,
Morin, Turner; tra gli italiani, Alberoni, Galli, Santucci,
Scoppola.
37
Galli, G.; 2000, Passato prossimo. Persone e incontri 1949-1999,
Milano, Kaos edizioni, p. 25.
38
Pedrazzi, L, Gli inizi del Mulino, cit., p. 29.
39
Lodevole, M.; 2003, Intervista a Giovanni Evangelisti, cit.
31
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
In conclusione, si può riprendere l‟enunciato di Forgacs
secondo cui la storia della cultura e degli intellettuali non si
deve limitare ad analizzare la loro “produzione diretta”.
Come rileva lo studioso inglese, questo tipo di visione non
consente osservare la cultura anche come un luogo di
distribuzione e di consumo.
Visione tanto più limitante nel caso italiano in cui una
buona parte della cultura prodotta dal 1880 è stata
importata da fuori. Il ruolo degli “intellettuali italiani” è
stato in questo ambiente soprattutto quello di brokers e
mediatori: commissionando, curando edizioni, traducendo,
scrivendo critiche, pubblicando40.
1.3 La rivista “il Mulino” nel secolo delle riviste
Dopo il superamento dell‟organizzazione culturale fascista,
si avverte nel secondo dopo guerra, soprattutto
nell‟ambiente della comunicazione, l‟emergere della
soggettività del singolo
in cerca di una nuova identità nel magma plurilingue della
comunità di un popolo; sembrava necessario trovare un
diverso tipo di dialogo, ripesare i rapporti tra strutture della
cultura e della politica e forme della progettualità
40
Forgacs, D.; L’industrializzazione della cultura, cit., p. 5
(dall‟edizione inglese).
32
Il Mulino
intellettuale; tra autorevolezza delle lettere e bisogni
concreti41.
Già nel periodo della Resistenza, l‟organizzazione culturale
privilegiava l‟idea della rivista come una forma di mosaico,
come un‟entità che permettesse al singolo lettore di
esprimere, di produrre cultura. Ed è forse per questo motivo
che il Novecento è stato definito come “il secolo delle
riviste”.
Certo vi è anche una spiegazione tecnica, dovuta alle
innovazioni della stampa, che già dalla prima metà del
secolo
modificarono le caratteristiche qualitative e
quantitative di tutti i prodotti culturali stampati, ma
soprattutto perché
nel novecento, più che nel passato, i periodici divengono il
terreno privilegiato dello scontro culturale e politico, il
luogo „proprio‟ in cui i diversi gruppi intellettuali
esprimono e costituiscono un‟identità collettiva, l‟esito
pubblico di un rapporto privato che, programmaticamente,
si propone quale strumento d‟organizzazione della
cultura42.
È innegabile che anche nei decenni precedenti alcune testate
avessero caratteristiche simili, ma la differenza sta
nell‟intento di questi “fogli culturali”: vogliono diventare un
41
L’Emilia e la Romagna, a cura di Anselmi, G.M., Bertoni A.; 1989 ,
Letteratura italiana: storia e geografia, III, L’età contemporanea,
diretto da Asor Rosa, A.; Torino, Einaudi, p. 1106.
42
Asor Rosa, A., cura di; 2000; Letteratura italiana del Novecento.
Bilancio di un secolo, Torino, Einaudi, p. 163.
33
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
mezzo privilegiato della battaglia artistica e politica degli
intellettuali – uno specchio – di una dichiarata volontà di
intervento e di pressione nella vita pubblica, spesso in
polemica con i canali tradizionali o con le forme
organizzative concrete43.
Come già detto in precedenza, il 25 aprile 1951, con l‟uscita
del primo numero, ha inizio la storia della rivista del
Mulino.
La cadenza delle uscite dei numeri della rivista è cambiata
nel corso del tempo, infatti, se dall‟aprile 1951 al 25 giugno
escono cinque numeri come "Quindicinale di informazione
culturale e universitario" in formato giornale; dal novembre
di quello stesso anno, “il Mulino” vede la luce come rivista
vera e propria con periodicità mensile, per lo meno sino al
gennaio del 1959, quando la periodicità diviene bimestrale.
Nel decennio successivo, sotto la guida di Pedrazzi e Galli,
torna mensile (gennaio 1961) e infine di nuovo bimestrale
nel gennaio 1970, periodicità che mantiene tutt‟oggi. Il
sottotitolo, che nel 1951 era "Rivista di attualità e di
cultura", nel 1955 cambia definitivamente in "Rivista di
cultura e di politica".
In questi sessant‟anni di pubblicazioni la rivista si è avvalsa
del lavoro di moltissimi collaboratori e ovviamente
dell'impegno di tutti coloro che l'hanno diretta, i quali hanno
fatto parte anche del Comitato di direzione che, in alcuni
periodi, è stato affiancato da un Comitato di redazione.
43
Asor Rosa, A., cura di; 2000; Letteratura italiana del Novecento.
Bilancio di un secolo, cit. p. 164.
34
Il Mulino
Si può affermare che la chiave di lettura della storia de “il
Mulino” sia: rinnovamento nella continuità. A
dimostrazione di ciò, abbiamo gli indici dei vari fascicoli, il
profilo dei collaboratori, i temi trattati e la loro frequenza, la
stessa periodicità della rivista che cambia nel corso del
tempo.
Se da un lato, infatti, esiste un nucleo originario di "padri
fondatori", la cui presenza negli organismi direttivi e fra i
collaboratori è costante e assidua, dall'altro, in maniera
particolare dagli anni Settanta, si manifesta un ricambio
fondamentale per la vitalità della rivista stessa44.
E così accade anche per “il Mulino”. Il tempo che passa e le
tematiche che mutano modificano anche il modo di
affrontare gli argomenti, il taglio del discorso,
l‟impostazione dell‟analisi. Nel corso degli anni, infatti,
varia la riflessione che “il Mulino” avvia e approfondisce.
Dopo una prima fase nella quale l'intervento politico passa
prevalentemente attraverso la riflessione culturale, la rivista,
diventando nel 1961 mensile, accentua l'intervento
immediato e puntuale e il commento incisivo.
Il 1969 rappresenta la data iniziale di quella profonda crisi
dei periodici letterari che proseguirà in buona parte degli
anni Settanta, crisi prodotta da un progressivo spostamento
del dibattito culturale, assorbito da quello politico e
parallelamente dalla lenta erosione della funzione delle
riviste.
44
http://www.rivistailmulino.it - Ultima consultazione 25/11/2011.
35
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
Nel 1970 “il Mulino” trova una sua stabilità e si trasforma
in bimestrale di analisi e documentazione. La sua
impostazione propositiva viene circoscritta a favore della
presentazione di testi caratterizzati da un maggior
contenuto informativo e minori indicazioni operative,
spesso collegati al dibattito politico corrente45.
Forse è logico chiedersi se hanno ragione quanti sostengono
che «sembra tramontata la rivista così com‟è stata intesa in
tutto il Novecento, uccisa dall‟intellettuale-massa che ha
occupato il posto della figura tramontata del critico
complessivo della società»46; se si vogliono però tirare le
somme di quella che fino ad oggi è stata l‟esperienza del
principale periodico edito dai mugnai bolognesi,
analizzando le pubblicazioni, le ricerche e i contributi offerti
dalla stessa, ci si accorge che “il Mulino” ha fatto molta
strada. Numerosi i sentieri esplorati, le vie indicate, le
soluzioni proposte, sempre tenendo fede ai principi e alle
ispirazioni che ne animarono la nascita.
Sfogliando la rivista ci si accorge che l‟esperienza di questo
gruppo non può che continuare. Si rivela, infatti
un elemento fondamentale per fornire strumenti di analisi
per la comprensione dei fenomeni che caratterizzano
l'epoca in cui viviamo: è questo il compito che ha animato
la rivista sin dalle sue origini e che continuerà a segnarla
anche in futuro47.
45
http://www.rivistailmulino.it - Ultima consultazione 25/11/2011.
Asor Rosa, A., a cura; 2000; Letteratura italiana del Novecento.
Bilancio di un secolo, cit. p. 179.
47
http://www.rivistailmulino.it - Ultima consultazione 25/11/2011.
46
36
Il Mulino
1.3.1 contenuti, la struttura e la veste grafica della
rivista
Come definito nel suo programma, la rivista “il Mulino” si
occupa dell‟approfondimento e della comprensione di
aspetti dell'attualità culturale, sociale e politica che
caratterizzano
l‟epoca
in
cui
viviamo.
Dall‟analisi che abbiamo compiuto in precedenza, si
possono individuare due filoni che da sempre caratterizzano
l‟attività del periodico:
- il mondo dell'università, della scuola e della ricerca,
che fanno parte di un discorso più ampio, ovvero la
diffusione della cultura;
- i fenomeni politici, sociali ed economici
internazionali, visti in un'ottica riformista.
Come già affermato, infatti, sin dagli esordi “il Mulino” ha
fatto del riformismo il metodo attraverso cui analizzare il
sistema politico italiano e internazionale e indicare correttivi
e avanzare soluzioni.
La veste grafica e il formato della rivista sono mutate
diverse volte nel corso degli anni, adattandosi, come di
consuetudine per “il Mulino”, ai mutamenti della società.
In particolare si può notare come ogni direzione abbia
influito profondamente anche in questo aspetto, dimostrando
come linee editoriali diverse passino anche attraverso
l‟impaginazione, la grafica complessiva e il formato.
L‟ultimo di questi cambiamenti è avvenuto nel 2009 sotto la
guida di Piero Ignazi, anche se, come ha affermato Bruno
Simili48, buona parte delle idee e dei cambiamenti sono stati
48
Intervista a Bruno Simili, Febbraio 2011, qui, pp. 204-217.
37
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
studiati e proposti dal precedente direttore editoriale,
Edmondo Berselli.
Da due anni a questa parte, infatti, “il Mulino”
adotta un nuovo formato, con una pagina più grande e una
grafica che le dona maggiore leggibilità. Anche il taglio
editoriale è più agile e movimentato di un tempo, con più
rubriche, aperto anche a interventi in punta di penna e ai
temi dell'attualità, ma sempre con l'ottica tipica dell'analisi
di lungo periodo. Fra le rubriche si segnalano «il
confronto», «stampa e regime» (con contributi sui
telegiornali italiani, la politica, la lottizzazione, sulla
pubblicità e il suo ruolo nei media, sulla scarsa capacità
critica del giornalismo odierno), «l'anno scorso a
Marienbad»49.
Crediamo sia importante sottolineare come nell‟ultimo
periodo il sito web della rivista stessa 50 stia conoscendo una
nuova centralità nel percorso editoriale dell‟intero periodico,
avvalendosi di nuovi giovani collaboratori da tutto il mondo,
mantenendo, come da abitudine de “il Mulino”, uno sguardo
costante all‟innovazione e alle possibilità che ne
conseguono.
49
50
http://www.mulino.it - Ultima consultazione 25/11/2011.
http://www.rivistailmulino.it - Ultima consultazione 25/11/2011.
38
Il Mulino
2.3.2 I direttori51
Nel 2011 la rivista “il Mulino” festeggia i suoi primi
sessanta anni di vita. E, come si sul dire, pare proprio che di
acqua sotto i ponti ne sia passata parecchia. Riteniamo che,
al fine di ottenere un‟analisi più dettagliata e per dimostrare
come la formazione degli uomini al vertice di questa
struttura abbia contato nella crescita e nello sviluppo della
rivista, sia esplicativo non solo elencare, ma anche
„raccontare‟ in breve la storia dei dodici direttori editoriali
che si sono avvicendati in più di mezzo secolo.
In origine fu Pier Luigi Contessi che rimase a capo della
rivista per sette anni, dall‟aprile 1951 al dicembre 195852.
Contessi cattolico «con una spiritualità assai personale, tra
sobria e ironica» (come lo definisce Nello Ajello dalle
pagine culturali di «Repubblica»53) fu uno dei fondatori de
“il Mulino” e sotto la sua direzione la rivista passò dapprima
dall‟originaria forma di “quindicinale di informazione
culturale e universitaria” a “mensile di attualità e cultura”
(giugno 1951). Dopo solo quattro anni, però, il periodico
mutò la propria qualificazione in “rivista di cultura e di
politica” e cambiò la propria veste esterna e la struttura
interna. È proprio in questo anno che cessa di apparire
formalmente una redazione ed è da questo momento che,
probabilmente, i direttori assumono un ruolo di primo piano.
51
Si veda anche: Lovato, G., Traldi, M.E.; 2004, il Mulino 1951-2004,
Bologna, il Mulino.
52
Fascicoli 1-86 della rivista “il Mulino”.
53
Nello Ajello, 2004, Un italianista cresciuto nella scuola di Longhi,
«la Repubblica», 24 marzo, p. 24.
39
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
È lo stesso Contessi che nell‟anno successivo cambia il
colore alla copertina.
Poi fu la volta di Nicola Matteucci, classe 1926, politologo
italiano, considerato uno dei massimi teorici del
costituzionalismo liberale del Novecento. Egli diresse la
rivista in tre diversi momenti. Il primo dal gennaio 1959 al
dicembre 196054, il secondo dal gennaio 1970 al dicembre
197355 e il terzo, ben più tardi, dal gennaio 1984 al dicembre
199056.
Come lo definì Berselli a pochi giorni dalla sua morte,
avvenuta nel 2006,
Matteucci non è stato soltanto uno storico della filosofia,
un conoscitore straordinario del costituzionalismo, un
polemista battagliero […]. Va da sé che la cultura italiana
gli deve molto: un „classico‟ come il Dizionario di politica,
curato con Norberto Bobbio, i saggi sullo stato moderno e
sulla democrazia, una continua rielaborazione della storia
del pensiero politico alla luce delle sue passioni
intellettuali, gli autori di una vita: Tocqueville, di cui non
finiva di ammirare la modernità liberale, e Croce, con cui
aveva studiato giovanissimo a Napoli, dopo la laurea in
giurisprudenza conseguita nel 1948 a Bologna 57.
Nel Gennaio 1959 Matteucci operò profonde trasformazioni
alla rivista, che divenne bimestrale e cambiò formato e
54
Fascicoli 87-98 della rivista “il Mulino”.
Fascicoli 207-230 della rivista “il Mulino”.
56
Fascicoli 291-332 della rivista “il Mulino”.
57
Berselli, E.; 2006, Matteucci coscienza liberale, «la Repubblica», 11
Ottobre, p. 56.
55
40
Il Mulino
struttura. Egli fu l‟unico a dirigere la rivista per più di una
volta.
Tra il primo e il secondo mandato di Matteucci, la direzione
della rivista passò dapprima a Luigi Pedrazzi dal gennaio
1961 al marzo 196558. Pedrazzi, nato a Bologna il 24
settembre 1927, politologo e giornalista, è considerato
tutt‟oggi una delle voci più importanti del pensiero politico
cattolico di centro sinistra. Fu uno dei fondatori della rivista
e nel primo numero da lui diretto, quello di gennaio 1961,
promosse diverse modifiche. Fece tornare la rivista alla
periodicità mensile e le diede una nuova veste grafica e
formula editoriale. Si può affermare inizi qui un lungo ciclo
che si concluderà solo nel 1969. La rivista si presenta,
infatti, con una copertina illustrata, non è strutturata in
rubriche e presenta articoli di dimensioni contenute.
Nel 1962 assistiamo a un nuovo parziale cambiamento:
viene ricostruito il comitato di redazione, ma la struttura
della rivista rimane comunque immutata.
È forse più una questione amministrativa che di linea
editoriale il passaggio di consegne tra Pedrazzi e Giorgio
Galli (aprile 1965 - dicembre 196959). Nel 1965, infatti, i
redattori della rivista “il Mulino” acquistano personalmente
le quote della “società editrice”. La proprietà della testata
della rivista viene trasferita all‟Associazione e Pedrazzi è
nominato presidente dell‟editrice e quindi non può più
seguire anche l‟omonimo periodico. È solo a seguito della
sua riconferma, avvenuta dopo due anni di attività, nel 1967,
che Galli decide di rielaborare a modo suo la rivista. Ferma
58
59
Fascicoli 99/100-149 della rivista “il Mulino”.
Fascicoli 150-206 della rivista “il Mulino”.
41
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
restando la veste esterna, infatti, essa viene strutturata in
sezioni dedicate a politica interna, internazionale, cultura e
religione. Questo cambiamento permane, però, solo per un
anno, quando la struttura interna viene nuovamente
stravolta. È necessario ricordare che Galli è tutt‟oggi
docente di storia delle dottrine politiche e ha dedicato gran
parte dei suoi lavori all‟analisi del sistema politico italiano,
adottando metodologie mutuate dalle scienze sociali.
Il 1969 è un anno importante, quasi di trapasso per la rivista,
con ipotesi di trasformazione molto dibattute in sede di
Associazione. Essa diviene una rivista alquanto
“movimentata”, con collaborazioni estese e variate. Un
gruppo di lavoro viene incaricato di studiare il rinnovamento
della rivista ed esso lavora attivamente fra gennaio e maggio
dello stesso anno. Un progetto viene presentato
nell‟assemblea del 14-15 giugno, ma, dopo un periodo di
stallo nel quale si ipotizza anche una pubblicazione
settimanale, a novembre si riporta la rivista a una periodicità
bimestrale. È, inoltre, nello stesso anno che Finzi cessa
dall‟incarico di capo redattore.
Nel 1970 entra in carica il nuovo Comitato di direzione e
Nicola Matteucci torna a sedere alla poltrona di direttore
della rivista. Tornata a periodicità bimestrale, cambia
nuovamente formato, veste e struttura, che rimarranno tali
fino al 1977, eccezion fatta per la modifica di alcune
rubriche.
Tra il secondo e il terzo mandato di Matteucci si
inseriscono, invece, ben tre direttori.
42
Il Mulino
Il primo è Pietro Scoppola, alla guida della rivista dal
gennaio 1974 al dicembre 1977 60, il quale non muta
pressoché nulla nella struttura del periodico concentrando
attenzione su dibattiti e argomenti di grande interesse come
il divorzio, argomento, quest‟ultimo, di particolare interesse
per Scoppola, futuro senatore tra le file della DC (1983-87)
e annoverato tra i maggiori contemporaneisti di area
cattolica. Egli
ha rivolto i suoi studi soprattutto alla storia dei cattolici
italiani del Novecento, sottolineandone il processo di
maturazione democratica sviluppatosi in una linea di
continuità da Murri a Sturzo a De Gasperi, e fondato sul
carattere popolare del movimento cattolico61.
Arturo Parisi, conosciuto ai più per il suo ruolo politico
come fondatore del partito “La Margherita”, occupa il posto
di Scoppola nel gennaio del 1978 e vi rimane sino al
dicembre 197962. Nel primo numero del 1978 la rivista
cambia veste (che rimarrà tale sino al 1990) e struttura,
mantenendo immutati formato e grafica interna, mentre le
tematiche politiche e sociali la fanno da padrone nei
contenuti.
Con Gianfranco Pasquino, in carica dal gennaio 1980 al
dicembre 198363, la struttura della rivista, fermo restando il
blocco di articoli di apertura, diviene più articolata, con
60
Fascicoli 231-254 della rivista “il Mulino”.
http://www.treccani.it - Ultima consultazione 25/11/2011.
62
Fascicoli 255-266 della rivista “il Mulino”.
63
Fascicoli 267-290 della rivista “il Mulino”
61
43
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
l‟ausilio di ricerche, saggi e contributi di taglio politico e
sociale. Compare, inoltre, l‟analisi del sistema politico
italiano, rivolta principalmente al bilancio del
decentramento regionale. Forte attenzione è data anche ai
problemi dell‟istruzione e dell‟università.
Pasquino, torinese classe 1942 e considerato tra i principali
politologi italiani, viene eletto al Parlamento nelle fila della
Sinistra Indipendente e lascia nel luglio 1983 la direzione
della rivista la quale, come già accennato, torna a Matteucci.
Nel 1984 assume il ruolo di capo redattore Giovanna Movia,
mentre Matteucci viene confermato direttore della rivista. È
nel 1986, sotto la direzione di Matteucci, che Edmondo
Berselli diventa capo redattore della rivista, che negli ultimi
due anni non aveva subito particolari variazioni.
Nel 1991 entra in carica il nuovo comitato di direzione della
rivista, e prende la guida anche della rivista Giovanni
Evangelisti, già direttore editoriale della casa editrice, che
conduce la rivista dal gennaio 1991 all‟agosto 1994 64. È
proprio nel 1991 che il periodico cambia non solo formato e
veste grafica, ma si rinnova anche nei contenuti. Compaiono
ora gli “Osservatori” italiano ed europeo e nello stesso anno,
il 10 giugno, riceve il premio “Parlamento”, giunto alla sesta
edizione.
Si passa poi alla lunga era di Alessandro Cavalli, sociologo,
nato nel 1939 e Ordinario presso l‟Università di Pavia dal
1967. E‟ a capo della rivista per ben 8 anni, dal settembre
1994 al dicembre 2002 65, senza però apportare particolari
modifiche.
64
65
Fascicoli 333-354 della rivista “il Mulino”
Fascicoli 355-404 della rivista “il Mulino”.
44
Il Mulino
Arriviamo così ai due mandati di Edmondo Berselli, dal
gennaio 2003 al dicembre 200866.
Berselli, profondo conoscitore della rivista, essendone stato
prima capo redattore e poi vice direttore, la dirige con
dovizia e passione, come vedremo in seguito, proponendo
anche modifiche dal punto di vista e strutturale, le quali
verranno applicate dal numero di gennaio 2009.
Attuale direttore della rivista è Piero Ignazi, classe 1951,
così come Berselli, insegna politica comparata presso
l‟Università di Bologna. Entrato in carica nel gennaio 2009,
a fine 2011 vedrà lo scadere del suo primo mandato e si può
dire sin da ora che abbia cercato, in linea con la direzione
precedente, di dare al periodico un taglio meno accademico,
diminuendo la lunghezza degli articoli e introducendo
sezioni dedicate a politica e cultura, ma anche a costume,
satira, società e letteratura.
1.4 Dalla rivista alle istituzioni
Come ha affermato Bruno Simili67, attuale capo redattore
della rivista, la struttura del gruppo “il Mulino” può essere
definita, se non altro, piuttosto curiosa.
Pochi sanno che la Società editrice è solo una delle quattro
parti che fanno capo all‟ Associazione di Politica e Cultura
«il Mulino». È, certo, comprensibile, in quanto ramo più
noto, più importante e più significativo anche in termini di
fatturato del gruppo. Essa, infatti, fattura da sola più di
66
67
Fascicoli 405-440 della rivista “il Mulino”.
Intervista a Bruno Simili, Febbraio 2011, Bologna, cit.
45
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
venti milioni di euro all‟anno e ha più di settanta
dipendenti. Numeri indubbiamente di una certa portata68.
Lo status attuale del gruppo è andato via via costruendosi
nell‟arco di diversi anni: dopo la creazione della rivista
(1951) e della “società editrice” (1954), per coordinare il
lavoro del gruppo nasce l‟Associazione di Cultura e Politica,
denominata in origine “Associazione Carlo Cattaneo 69”.
Prosegue Simili:
la Rivista de “il Mulino” è gestita interamente
dall‟assemblea dei soci; la società editrice, invece, è
controllata per un pacchetto azionario di maggioranza
(64%) da una finanziaria, che a sua volta è subordinata
all‟Associazione e si chiama Edifin. Di fatto
l‟Associazione è quindi a capo anche della società editrice,
però per statuto gli utili di quest‟ultima vengono riinvestiti
e non possono essere ridistribuiti ai soci.
Nel 2009 la finanziaria che controlla la società editrice è
anche diventata proprietaria del 60% di Carocci editore di
Roma che quindi è entrata a far parte de “il Mulino”, anche
se indirettamente.
C‟è poi una società che si occupa di promozione in libreria
che si chiama Promedi, la quale ha una certa consistenza.
Anch‟essa è controllata da Edifin e oltre al Mulino e a
Carocci, distribuisce molti altri editori.
E‟ di fatto un piccolo gruppo editoriale, anche se un po‟
mascherato dietro alla sobrietà che da sempre ha
68
Intervista a Bruno Simili, Febbraio 2011, Bologna, cit., qui p. 205.
Oggi esiste l‟istituto Carlo Cattaneo, istituto di ricerca, patrocinato dal
Presidente della Repubblica che ha sede in Piazza Santo Stefano a
Bologna. Fa anch‟esso capo all‟Associazione del Mulino.
69
46
Il Mulino
caratterizzato l‟azione di Evangelisti e di tutto il gruppo
Mulino. Sono tante scatole una dentro l‟altra, ma al vertice
rimane sempre l‟Associazione70.
Dalla creazione della prima rivista nascono così una serie di
iniziative, tutte facenti capo ai principi fondatori dichiarati
nel primo numero del periodico.
Anzi tutto, come dicevamo, l‟Associazione di Cultura e
Politica «il Mulino».
Essa sviluppa la propria attività attraverso la rivista “il
Mulino”, la “società editrice” il Mulino, l'Istituto di studi e
ricerche “Carlo Cattaneo”, la Fondazione Biblioteca del
Mulino. Di queste istituzioni l'Associazione regola i lavori
dettandone gli statuti; designa le persone che ne hanno la
responsabilità; ne orienta i programmi, valutandone
periodicamente i risultati71.
1.4.1 L’ Associazione di Cultura e Politica «il
Mulino»72
Il 27 febbraio 1965 fu costituita dal gruppo di redattori della
rivista l‟Associazione di Cultura e Politica «il Mulino»,
(privata e senza fine di lucro), pensata per organizzare
istituzionalmente il gruppo stesso.
70
Intervista a Bruno Simili, Febbraio 2011, Bologna, cit., qui p. 205.
http://www.rivistailmulino.it - Ultima consultazione 25/11/2011.
72
Buona parte dei materiali riguardanti l'Associazione “il Mulino” sono
stati estrapolati dall'opuscolo Associazione di cultura e politica il
Mulino, stampato nel 2009.
71
47
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
È nell‟articolo 2 dello Statuto - che riportiamo totalmente in
appendice, ritenendolo fondamentale per capire lo spirito e
gli intenti, nonché le norme relative al funzionamento degli
organi direttivi delle istituzioni promosse o controllate
dall'Associazione - che ne troviamo riassunte la natura e le
finalità:
essa è formata da studiosi e intellettuali di formazione
culturale e di attività professionale diversa, legati fra loro
da un comune impegno civile e democratico. Essi sanno
che la soluzione dei problemi sociali e politici del nostro
tempo impegna in primo luogo la responsabilità delle
autorità pubbliche e delle forze politiche organizzate; ma
giudicano che, in una democrazia pluralistica, sia altresì
importante il contributo di studio e di formazione che può
essere portato alla società e all'opinione pubblica da parte
di gruppi indipendenti. Essi perciò si costituiscono in
associazione per perseguire in modo non episodico fini di
studio, di formazione e orientamento dell'opinione
pubblica, di impegno civile e democratico73.
Inoltre, l‟articolo 3 precisa che
Per realizzare le proprie finalità l‟Associazione promuove
lo sviluppo di attività di studio e di ricerca, la
pubblicazione di periodici e volumi, la effettuazione di
manifestazioni pubbliche, uniche o collegate, e di ogni
altra attività, a proprio nome o in unione con altri, che
possa riuscire utile ai fini indicati nell‟art. 2 74.
73
74
Statuto de l' Associazione il "Mulino" .
Ibidem
48
Il Mulino
L‟Associazione, per mezzo di un‟Assemblea dei soci,
definisce gli scopi delle proprie attività promuovendo, se
necessario, specifiche istituzioni e ne definisce i programmi,
approvandone i rendiconti economici e finanziari annuali.
Essa dà, inoltre, vita alle istituzioni eventualmente
necessarie per l‟attuazione degli interventi, dettandone le
regole di funzionamento e nominandone gli organi direttivi
Come già detto, l'Associazione «il Mulino» sviluppa quindi
la propria attività proprio per mezzo delle istituzioni da essa
controllate e promosse. Esse sono: la rivista “Il Mulino”, la
“società editrice” il Mulino, l'Istituto di studi e ricerche
“Carlo Cattaneo” e la Fondazione Biblioteca del Mulino.
1.4.2. Le Edizioni del Mulino
Costituita nel giugno del 1954 per iniziativa del gruppo
promotore della rivista “il Mulino”, la “società editrice” il
Mulino aveva, sin dal suo esordio, l'obiettivo di contribuire
allo
sviluppo e alla modernizzazione della cultura italiana,
attraverso un programma di pubblicazioni che attingeva
significativamente dalle scienze sociali di matrice
anglosassone, e che si ispirava a un approccio
esplicitamente empirico e riformista 75.
Nonostante una crescente varietà di aree disciplinari (storia,
filosofia, linguistica, critica letteraria, antropologia,
75
http://www.mulino.it - Ultima consultazione 25/11/2011.
49
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
psicologia, sociologia, scienza politica, economia, diritto), le
finalità preposte non sono mai venute meno, ne è
dimostrazione il numero sempre crescente di produzione di
manualistica per l'università e l'attenzione costante per
tematiche innovative.
Oltre ad un ampio catalogo di riviste, infatti, che copre
l'intera gamma di interessi dell'editrice, le pubblicazioni del
Mulino comprendono una vasta produzione di libri.
Una parte dei programmi editoriali infatti è data dai testi di
riferimento e di ricerca, rivolti in particolare alla comunità
degli studiosi. Un'altra importante direttrice editoriale si
identifica nei volumi di carattere strumentale, destinati allo
studio e all'insegnamento universitario76.
Non a caso, d‟altra parte, l‟originario programma di
fondazione del Mulino si concludeva sulla questione della
riforma dell‟ordinamento scolastico e altrettanto non a caso
il problema della funzione letteraria vi era posto muovendo
dal rifiuto della sua dimensione “assoluta”, laddove le
“teorie” dovevano venir subordinate alle “espressioni
concrete del lavoro attuato”, al dibattito sugli “strumenti”
e sui “criteri direttamente interessati alla ricerca”, tanto
meglio se incarnati nella “forza di temperamento”77.
76
Ibidem.
L’Emilia e la Romagna, a cura di Anselmi, G.M., Bertoni A.; 1989 ,
Letteratura italiana: storia e geografia, III, L’età contemporanea,
diretto da Asor Rosa, A., Torino, Einaudi, p. 457.
77
50
Il Mulino
L'editrice il Mulino è una società per azioni. La quota di
maggioranza del capitale è controllata dall'Associazione di
cultura e di politica «il Mulino».
La caratterizzazione della produzione fu netta. Uscirono
dapprima monografie di ricerca, dovute ad autori italiani e
stranieri (più stranieri che italiani), in una prospettiva
politico-culturale analoga a quella entro la quale si
collocava la rivista "il Mulino" (impegno rigoroso a dare
un contributo allo svecchiamento della cultura italiana,
larga apertura ad apporti provenienti da una pluralità di
ambienti scientifici, culturali e politici diversi) a cui si
affiancarono in seguito testi strumentali di sintesi e di
orientamento, sempre di elevato valore culturale. Furono
pubblicati libri di storia, filosofia, critica letteraria,
sociologia, politica, con un forte impegno nei settori della
sociologia e della politica, che finirono per caratterizzare in
modo particolare la fisionomia dell'editrice 78.
Divergenze su piano politico provocarono, nella prima metà
degli anni sessanta, una frattura fra la proprietà della Società
editrice (allora detenuta dalla Poligrafica il «Resto del
Carlino») e i giovani curatori. A seguito di numerose
trattative, i redattori della rivista “il Mulino” acquistarono
la proprietà della “società editrice”, proprietà che
trasferivano subito dopo alla Associazione di cultura e
politica «il Mulino», da essi stessi costituita per gestire in
modo organico le numerose attività che il gruppo aveva fino
a quel momento avviato. Veniva, così, definito un assetto
78
http://www.mulino.it - Ultima consultazione 25/11/2011.
51
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
giuridico-istituzionale per la gestione dell'editrice, tuttora
vigente.
Al Consiglio d'amministrazione della Società le
competenze fondamentali che sono proprie del Consiglio
d'amministrazione di ogni Società, veniva creato un
Consiglio editoriale, diretta emanazione dell'Associazione
«il Mulino», al quale sono riconosciuti formali poteri di
intervento nella gestione politico-culturale dell'editrice. I
programmi editoriali vengono infatti messi a punto sotto il
controllo del Consiglio editoriale, il quale, operando entro i
limiti economici fissati dal Consiglio d'amministrazione, è
ancora oggi un organo fondamentale nella gestione della
politica culturale dell'editrice. In questo modo, nell'ambito
di una gestione economica sana, si è salvaguardato
istituzionalmente il ruolo delle energie intellettuali che
hanno creato "il Mulino" e ne hanno sostenuto la crescita79.
A partire dal 1964 il capitale sociale venne portato a
10.000.000 di lire. Fu così avviata una politica di espansione
dell'editrice in due direzioni: da un lato prese il via la
pubblicazione di altre riviste di settore nelle diverse aree
disciplinari dove l'editrice era presente, che affiancarono
l'ormai consolidata rivista "il Mulino"; dall'altra si
fondarono, a fianco della tradizionale produzione fino allora
portata avanti dall'editrice, nuove collane, puntando in
particolare sulla pubblicazione di testi strumentali,
utilizzabili nell'università.
79
Ibidem.
52
Il Mulino
A ribadire il rapporto di stretta contiguità tra il Mulino e
l‟ambiente letterario dell‟Ateneo bolognese, è poi
intervenuta l‟alta qualità della ricerca ermeneutica svolta
da uno dei giovani protagonisti di quella prima fase
propositiva e organizzativa sintetizzata nel programma, il
bolognese Ezio Raimondi, nato nel 1924. Raimondi […] è
venuto sperimentando nel corso degli anni un metodo di
lavoro che, al rispetto rigoroso dell‟aspetto filologico, ha
saputo sommare un‟inquietudine gnoseologica che si
dirama da una ricchissima trama di riferimenti
interdisciplinari,
allargando,
problematizzando
e
riattualizzando il sistema dinamico dei testi e degli autori
oggetto dell‟attenzione critica80.
O riprova di ciò basti pensare che tra i titoli dei primi dieci
anni ci furono: Geografia delle elezioni italiane dal 1946 al
1953 di F. Compagna e V. De Caprariis, La sinistra italiana
nel dopoguerra di G. Galli, Alle origini della filosofia e
della cultura di R Mondolfo, Democrazia e cultura di H.
Kelsen, La folla solitaria di D. Riesman, N. Glazer, R.
Donney, Società e dittatura e La struttura dell’azione
sociale di T. Parsons, Teoria della letteratura di R. Wellek e
A Warren, La ribellione delle masse di J. Ortega y Gasset,
Ideologia e utopia di K. Mannhiem.
Certo in questi quasi sessant‟anni di attività la “società
editrice” il Mulino è cresciuta arrivando nel 2009 a
pubblicare 56 riviste, 351 nuovi volumi e 479 tra ristampe e
riedizioni, toccando un fatturato netto di 12,6 milioni di
80
L’Emilia e la Romagna, a cura di Anselmi, G.M., Bertoni A.; 1989 ,
Letteratura italiana: storia e geografia, III, L’età contemporanea,
diretto da Asor Rosa, A., Torino, Einaudi, p. 458.
53
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
euro, con un fatturato a prezzo di copertina dei volumi di
17,6 milioni di euro. A fine anno i titoli in catalogo erano
4.19081.
Discorso a parte vorremmo dedicare ai due direttori
editoriali che si sono succeduti dal 1965 ad oggi. Il primo
non può che essere definito uno dei pilastri dell‟intera
esperienza “mulinista”, direttore della casa editrice per ben
quarantaquattro anni, dal 1965 al 2008.
Giovanni Evangelisti è considerato uno degli uomini che
hanno animato la cultura italiana degli ultimi cinquant‟anni.
Personalità poco avvezza al palcoscenico, ma capace di
svolgere dietro le quinte un lavoro di eccezionale qualità,
con una dedizione accanita e la convinzione che ciò che
conta nella cultura non è lo show system, ma il catalogo, i
programmi, le idee82
così lo definisce Edmondo Berselli dalle pagine di «la
Repubblica» il giorno seguente la sua morte.
Fu proprio Evangelisti, laureato presso la facoltà di Scienze
Politiche di Firenze, che volle accentuare l‟identità plurale
della casa editrice. Dopo la liberalizzazione degli accessi
alle università del 1969, Evangelisti capì che vi erano solo
due cose da fare per dare vita a una nuova classe dirigente:
spalancare le porte alle intelligenze emergenti e
81
http://www.mulino.it/ - Ultima consultazione 25/11/2011.
E. Berselli, Addio a Evangelisti, anima del Mulino, «la Repubblica», 5
ottobre 2008, p.12.
82
54
Il Mulino
«trasformare il sapere e la ricerca in programmi editoriali,
cercando e perfino “formando” il pubblico» 83.
Intellettuale, non voleva essere definito tale, come afferma
Luigi Pedrazzi, suo amico e co-fondatore del Mulino in
un‟intervista
Giovanni sapeva tutto, leggeva tantissimo, ma conosceva
bene le regole del mercato dell‟ editoria. Aveva
un‟immensa energia. Il ‟64 fu l‟anno del grande passo,
della scommessa: comprammo la proprietà della società
editrice […] Fu lui a dirmi “compriamo” […] -era- una
competenza poliforme […] sapeva tutto di sociologia,
diritto e scienze storiche e non è mai stato uno yesman 84.
Riportiamo queste parole perché ci sembra vadano a
ricalcare al meglio quanto detto sin ora sull‟editrice stessa, a
riprova del fatto che indubbiamente Evangelisti fu uno dei
principali ispiratori e una delle guide più importanti che
ebbe il Mulino.
A raccogliere la gravosa eredità di Evangelisti è una donna:
Giovanna Movia, che dal 2009 dirige la casa editrice di
Strada Maggiore. Collaboratrice del gruppo già dal 1967,
Giovanna Movia, alla quale i giornali hanno spesso dato il
soprannome di “Lady Mulino” è stata una delle curatrici
della fortunata collana “Farsi un‟idea”. Movia sostiene che
per rilanciare la casa editrice servano due cose: innovazione
e tradizione.
83
Ibidem.
Gulotta, C.; 2008; Pedrazzi e l’amico di una vita fu lui a dirci
diventiamo editori, «la Repubblica-Bologna», 5 ottobre, p.5.
84
55
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
1.4.3 L'Istituto Cattaneo
Costituita nel 1984, la fondazione “Cattaneo” viene
riconosciuta nel 1986. Il periodo d'azione tuttavia
dell'Istituito è ben più ampio in quanto al sua fondazione
risale al 1965, come emanazione dell‟Associazione di
politica e cultura “Carlo Cattaneo”, a sua volta creata nel
1956.
La storia dell'Istituto è legata in modo indissolubile a quella
della Rivista, saldo tronco di tutti i rami che oggi
compongono l'albero Mulino.
Innanzitutto crediamo sia fondamentale ricordare chi sia
Carlo Cattaneo.
Cattaneo, nato nel 1801 e morto nel 1869, si può considerare
uno dei principali patrioti, filosofi, politici e scrittori dello
stato italiano.
Al di là del suo pensiero federalista, Cattaneo viene
ricordato in quanto figlio dell‟illuminismo: è insita in lui
una vera e propria fede nella ragione che si mette a servizio
di una vasta opera di rinnovamento della società. Per
Cattaneo scienza e giustizia devono guidare il progresso
della società e tramite esse l‟uomo ha compreso l‟assoluto
valore della libertà di pensiero. Il progresso umano, però,
non viene dal singolo individuo, ma, al contrario, da uno
sforzo collettivo. Scambio e confronto servono più della
singola intelligenza, la quale, per mezzo di quest‟ultimi
diventa più tollerante e con lei anche la società.
Non è certo un‟intitolazione casuale quella a Cattaneo,
soprattutto se si pensa che i due temi portanti dell‟interesse
della casa editrice e dell‟istituto sono: l‟analisi dei dati
elettorali e la sociologia.
56
Il Mulino
Oltre all‟intitolazione, però, non è nemmeno senza
significato che i primi due volumi editi da il Mulino trattino
proprio dei temi sopra citati e che i curatori siano due autori
appartenenti ad un contesto non bolognese, ma napoletano.
I primi contatti importanti fra il gruppo bolognese de “il
Mulino” e gruppi di altre città avvengono infatti con
Napoli, dove Matteucci, Pedrazzi e Santucci si erano recati
a studiare dopo la laurea presso l‟Istituto italiano per gli
studi storici. I rapporti con quell‟istituto non solo sarebbero
stati fecondi, determinando un ampliamento del gruppo
fondatore del Mulino, ma sarebbero proseguiti negli anni,
soprattutto attraverso la figura di Cavazza, che a partire dal
1986 sarebbe diventato consigliere di amministrazione di
quell‟istituto85.
Il gruppo dei redattori della rivista sentì quindi l‟esigenza di
costituire una sede autonoma di studio, di organizzazione e
di ricerca.
Nacque così dapprima l'Istituto, poi la Fondazione
“Cattaneo” dall‟interesse culturale per la sociologia
promosso da alcuni dei fondatori e condiviso da tutti gli altri
collaboratori.
E' da sottolineare che l'impegno dei collaboratori
dell'Istituto fu per così dire “disinteressato” sotto il profilo
personale. Si tratta di un caso, forse non unico, ma
certamente molto raro, di totale gratuità culturale, una specie
di mecenatismo giovanile senza la risorsa fondamentale del
mecenate:
la
disponibilità
economica.
85
http://www.cattaneo.org - Ultima consultazione 25/11/2011.
57
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
Questi giovani imprenditori culturali si fecero sponsor di
attività di ricerca coinvolgendo pian piano tutti gli studiosi
che si affacciavano a questo tipo di studi, senza investirvi
nella propria carriera accademica. Si tratta di una cosa di
grande rilevanza e probabilmente poco usuale.
Occorre considerare che si trattava di persone che non si
erano ancora affermate sotto il profilo della carriera
personale e avrebbero potuto legittimamente sfruttare questa
occasione a tal fine.
A questo si accompagna anche un atteggiamento
universalistico nel reclutamento dei propri ricercatori da
parte del “Cattaneo”, che ha spesso preferito giovani
promettenti e non ancora affermati a studiosi più noti, ma
ritenuti meno adatti alle attività di ricerca.
Si venne a creare, quindi, l'esigenza di una sede di studio e
di ricerca distinta sia dalla rivista e dalla casa editrice. Ciò si
tradusse, il 4 settembre 1956, nella creazione
dell‟Associazione di studi e ricerche “Carlo Cattaneo” che
ha come scopo la promozione di convegni e ricerche e la
pubblicazione di libri e riviste.
Ne sono promotori Cavazza, Contessi, Matteucci, Pedrazzi,
e Santucci. Segretario viene nominato Cavazza. Nasce così
quello che poi diverrà Istituto Cattaneo e in seguito
Fondazione, con una sua autonomia funzionale e
organizzativa e con una struttura non giuridicamente ma, di
fatto, distinta da quella dei fondatori. Per iniziativa degli
stessi promotori, e nello stesso giorno, viene inoltre
costituito il Comitato di studio dei problemi dell‟Università
italiana. La costituzione del comitato sui problemi
dell‟Università definisce immediatamente uno degli ambiti
58
Il Mulino
di ricerca del futuro istituto. Con questa scelta si
definiscono altresì in modo più puntuale le mete e gli
interessi culturali di questo gruppo di fondatori.
L‟intitolazione dell‟associazione viene motivata, oltre che
come doveroso omaggio a uno dei protagonisti del
Risorgimento e dunque dell‟Unità nazionale, come
riconoscimento del rilievo dell‟approccio empirico
evidenziato da Cattaneo nelle sue ricerche storiche ed
economiche in quanto criterio metodologico cui ispirare
l‟attività dell‟Associazione. Dunque emergono già in
quegli anni, nel 1956, due filoni di ispirazione del
Cattaneo: da un lato quello laico-riformista, dall‟altro
l‟orientamento empirico alla ricerca 86.
Questo gruppo di intellettuali (giuristi, storici, filosofi e
letterati) di lì a poco incontrerà la sociologia e questo
incontro è promosso da persone la cui formazione è
sostanzialmente crociana, il cui idealismo certamente
avrebbe guardato con sospetto l‟orientamento empirico alla
ricerca.
Da non dimenticare, inoltre, che queste vicende si svolgono
in un periodo storico-culturale, quello degli anni cinquanta,
caratterizzato dalla guerra fredda, e in un‟Italia con un
sistema politico bloccato.
In Italia la contrapposizione tra democristiani e comunisti e
l‟idea di una via diversa, politicamente e culturalmente,
distingueva il gruppo del Cattaneo e del Mulino rispetto ai
due opposti schieramenti, ma soprattutto, nella Bologna la
cui scena politico-culturale era dominata dai comunisti li
86
Ibidem.
59
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
distingueva da questi ultimi. Ovviamente però questo
gruppo, proprio perché gli altri due orientamenti, anche a
Bologna erano così radicati, veniva ad essere considerato
come residuale; inevitabilmente veniva ad essere definito
in negativo, come qualcosa che non era né l‟uno né l‟altro.
Gli spazi per l‟affermazione di una via politicamente e
culturalmente diversa erano veramente esigui87.
Ed è probabilmente proprio dallo spirito che animava i
fondatori dell‟istituto che venne una delle regole qualificanti
della Fondazione: la natura non riservata dei risultati degli
studi e delle ricerche. Per tenere fede a questo impegno,
l‟Istituto “Cattaneo” ha dato luogo, nel corso dei decenni, a
un‟ampia produzione editoriale, coltivando in questo senso
un rapporto privilegiato con la “società editrice” il Mulino.
Oltre, naturalmente, a confluire in una serie di altre
pubblicazioni del Mulino e non.
1.4.4 La Fondazione Biblioteca del Mulino
«La Biblioteca del Mulino, come insieme di libri e di
riviste, è andata formandosi a partire dal 1951, anno di
nascita della rivista “il Mulino” e quindi punto di avvio di
una intensa attività culturale che si arricchirà
successivamente con la fondazione della “società editrice”
il Mulino (1954) e con la creazione dell‟Istituto di studi e
ricerche “Carlo Cattaneo”»88 (1965).
87
88
Ibidem.
http://www.mulino.it - Ultima consultazione 25/11/2011.
60
Il Mulino
È solo verso gli anni settanta che la biblioteca conosce la
sua prima trasformazione, concentrandosi solo sui giornali e
trasformandosi, per questo, in emeroteca. Recentemente i
vertici del Gruppo “il Mulino” hanno scelto di dare un
nuovo patrimonio librario a questa realtà, patrimonio che si
sta lentamente accrescendo. Le motivazioni di questo nuovo
cambiamento si possono rintracciare sia nelle “attività
extra” promosse dalla Biblioteca del Mulino, come
iniziative culturali, di studio e di ricerca, di incontri e
seminari, sia nella sua istituzionalizzazione (avvenuta nel
2004) a Fondazione.
Tale fondazione è nata per iniziativa dell'Associazione il
«Mulino», con il concorso della “società editrice” il Mulino
e della Edifin. In particolare, l'esistenza e il funzionamento
della Biblioteca sono resi possibili, oltre che dalle risorse
che a essa destina la “società editrice”, da specifiche
convenzioni con l‟istituto dei Beni Culturali della Regione
Emilia-Romagna e l‟Università degli Studi di Bologna, ciò a
sottolineare il fortissimo legame tra i mulinisti, l‟EmiliaRomagna e l‟ateneo Bolognese. La Biblioteca del Mulino si
avvale, inoltre, di una serie di sostenitori, che garantiscono
alla Biblioteca un funzionamento adeguato.
61
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
62
Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere
Capitolo II - Edmondo Berselli: una vita
attraverso le opere
2.1 L’Infanzia
È forse memoria la parola chiave per iniziare una trattazione
su Edmondo Berselli. Memoria a dir di tanti strepitosa, la
sua, e memoria, intesa come ciò che va ricordato, ripreso,
riletto e riscritto, per dar vita a nuove analisi, a riflessioni e
perché no a ricordi.
È proprio da questi ultimi, i ricordi che è necessario partire.
Vi è in Berselli quella voglia, o forse necessità, di
raccontarsi e raccontarci, di tenere il filo dei suoi
ragionamenti. La sua vuole essere proprio una metafora
della vita e di come sia necessario interpretare il mondo: è
come se Berselli volesse ricordarci, con newtoniana
memoria, che a ogni azione corrisponde una reazione. Ogni
gesto che noi facciamo, ogni scelta che prendiamo,
modificherà di poco o tanto non solo la nostra vita, ma forse
anche quella altrui. È per questo che non si può prescindere
dal raccontare chi si è stati per parlare dell‟oggi. Berselli dà
l‟idea di essere un pragmatico emiliano, di quelli che non
credono se non vedono. Non si costruisce una casa se non
dalle fondamenta, per lui è ovvio, imprescindibile. Ed è per
questo che prima di tutto ci racconta chi è.
Non siamo in presenza di una mera esibizione
collezionistica, di un esercizio di trovarobato sterile e
63
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
compiaciuto, fine a se stesso. Per Berselli, riposizionare
sulla pagina tutti quei segni (piccoli e grandi), farli
rivivere, ridare loro il giusto valore e la giusta
collocazione, è la chiave di volta di un ragionamento ben
più ampio e ambizioso, teso a ricostruire la mappa della
modernità italiana, quell‟universo di suoni, colori, sapori,
idee e atmosfere che tra gli ultimi Cinquanta e i primi
Sessanta sta cambiando radicalmente la pelle del paese.
Per accompagnarci in questo viaggio a ritroso egli sceglie
la strada dell‟esperienza personale 1
Edmondo Berselli nasce a Campogalliano il 2 febbraio del
1951, ma l‟infanzia emiliana è solo un ricordo sbiadito per
lui. «La storia reale è che nel dicembre 1954 ci trasferiamo
al Nord»2 e in particolare nelle zone di Rovereto, in
provincia di Trento, dove tutta la famiglia dovette emigrare
per seguire il padre operaio;
mia madre giovane con in braccio mia sorella in fasce, una
bambina di quattro mesi. Hanno appena abolito a terza
classe, commenta mio padre. Rivedo la piazza soleggiata
della stazione di Bologna, il passaggio sul ponte del Po a
Ostiglia, il fiume che si apre larghissimo sotto le carrozze
e i binari, il male al culo sui sedili di legno dell‟accelerato;
all‟arrivo una giornata stupenda dell‟inverno trentino, con
il volo di colombi, lontano, nell‟aria chiara […] e non
1
Marcoaldi, F., introduzione, in Berselli, E.; 2011, Quel gran pezzo
dell’Italia, Milano, Mondadori, p. XI.
2
Berselli, E.; 2007, Adulti con riserva. Com’era allegra l’Italia prima
del Sessantotto, in Berselli, E.; 2011, Quel gran pezzo dell’Italia,
Milano, Mondadori, (pp. 849-1006), p.853.
64
Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere
appena mette piede a terra, con la bambina in braccio, la
mamma giovane, che adesso sarebbe considerata poco più
che una ragazza, si fa venire le lacrime agli occhi e in
italiano, cioè la lingua delle occasioni speciali, dice a mio
padre: ma dove mi hai portata3.
Berselli attraverso i suoi ricordi di infanzia ci racconta
un‟epoca: la Gilera nuova cilindrata 150 del padre,
l‟Idrolitina, la quale «aveva un gusto vagamente salato, che
sembrava il dissapore da concedere alla modernità delle
bollicine»4, le poche notizie, tutte sapientemente filtrate, la
morte di Papa Pacelli e la vita in questo Trentino, così
diverso dall‟amata Emilia.
Figlio di padre operaio, degasperiano, il quale commentava
le notizie del giornale radio con giudizi sommari sui
dirigenti del Partito comunista, e di madre proveniente da
una famiglia socialista «di quelli di una volta che pensavano
sinceramente che Cristo fosse stato il primo socialista»5,
Edmondo vive la sua infanzia tra calcio, musica e politica,
senza mai dimenticare l‟Emilia. Il periodo del quale stiamo
parlando va, come dicevamo, dal 1954 al 1966, dai tre ai
quindici anni dell‟autore, periodo nel quale avviene la sua
formazione primaria.
Rovereto si trova in Val Lagarina e allora non era che una
cittadina di circa venticinquemila abitanti. Come racconta lo
stesso Berselli nel backstage al libro Adulti con riserva,
erano finiti in quell‟angolo d‟Italia «per via
3
Ivi, pp. 853-854.
Ibidem.
5
Ibidem.
4
65
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
dell‟industrializzazione alla maniera democristiana, poiché
l‟azienda di Campogalliano dove lavorava mio padre, la
Crotti […] aveva aderito a un programma di sovvenzioni e
aveva aperto la filiale roveretana in cui mio padre ha fatto
per dodici anni il capo officina»6.
C‟è una sorta di malinconia per la terra natia, che sembra
essere quasi palpabile in tutta la prima parte del testo sotto
citato.
Nelle sere d‟inverno, qualche volta, veniva a trovarci
Innocente Annovazzi, modenese anche lui in esilio: uno
che aveva la Lambretta, ne vantava la superiorità su tutti
gli altri veicoli a due ruote, amava qualche piccola
esibizione di savoir-faire mondavo, conosceva diversi
giochi divertenti con le carte. Si passavano ore discutendo
di calcio, perché lui era tifosissimo del Bologna e convinto
di possedere una sapienza tecnico-tattica rara. Raccontava
volentieri di quella volta che aveva schierato la squadra
(aveva fatto l‟allenatore? E dove?) con un modulo
anomalo, mettendo un terzino nella posizione di
centravanti, in modo da ingarbugliare lo schema di gioco
degli avversari.
Non c‟era niente da fare in quelle sere, e non restava che
chiacchierare davanti alla cucina economica accesa, mentre
il tepore appannava i vetri, e le conversazioni dei due
uomini, Annovazzi e mio padre, evocava questioni di
lavoro, di tecnica e meccanica, sentiva un ricordo, o la
traccia di un ricordo, che lasciava trasparire qualcosa della
6
Ivi, p. 996.
66
Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere
vita emiliana, schiume effervescenti di lambrusco, rumori
secchi di biliardo7.
Era il 1958 e Berselli ci restituisce uno spaccato di vita a un
decennio dalla fine della guerra, raccontandoci i suoi ricordi
di bambino e continua:
Dopo il primo biennio, nella scuola elementare c‟erano
ancora i maestri maschi, che li sconsigliavano con asprezza
teologica. Durissimi se non spietati, quei maestri, capaci di
prendere a schiaffi e perfino a calci i teppisti che venivano
dalle periferie e dalle frazioni, di bastonarli con il metro di
legno fra la solita generale approvazione di tutta la classe.
La disposizione dei maschi nelle file dei banchi era uno
specchio della società. Nei banchi davanti c‟erano i figli
della buona borghesia, commercianti, piccoli imprenditori,
professionisti; in mezzo un crogiuolo di borghesia
piccolissima e di proletariato industriale consapevole di se
stesso e della necessità di „fare tanti sacrifici‟ perché la
prole potesse studiare; laggiù in fondo, in una geenna
anonima e oscura, i figli dei poveri, delle vedove, dei
comunisti.
In questa gradazione democristiana, che metteva in scena
un automatismo di classe in appartenenza immune da ogni
cambiamento, il rendimento scolastico e quindi i voti nelle
pagelle erano direttamente proporzionali alla condizione
sociale. Gli ultimi, là nel fondo dell‟aula, erano quelli che
prendevano i ceffoni, venivano puniti in modi orribili, e i
loro genitori non venivano mai a parlare con il maestro.
Sarebbero finiti in fabbrica, o „a rubare‟, o all‟estero,
avrebbero messo incinta una deficiente, si sarebbero
7
Ivi, p. 868.
67
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
ammalati precocemente, li avrebbero visti trascinarsi da un
caffè all‟altro mendicando una grappa, sarebbero finiti
paralizzati.
Ci vuol poco a capire che ero fortissimamente per il
centrosinistra e per le riforme sociali8.
2.2 La giovinezza
Nel 1966 la famiglia Berselli torna a vivere nei suoi luoghi
natii, o lì vicino: non tornarono propriamente nella piccola
Campogalliano, ma a poche decine di chilometri, nel
capoluogo di provincia: Modena.
Tornare ad abitare dove si è nati, che strana idea: era
sembrato un progetto curioso e attraente sulle prime,
allorché era stato annunciato in famiglia, anche se nessuno
era davvero convinto che si trattasse di una scelta del tutto
logica. L‟Emilia era il luogo della vacanza, delle estati, un
catalogo di cose che esistevano solo lì. […] L‟unico che
voleva davvero tornare a tutti i costi era mio padre […] noi
avevamo accolto il trascorrere dei mesi, via via che sia
avvicinava il giorno dell‟addio, quasi con incredulità, come
se sul calendario fosse segnata una scadenza irreale […]
all‟improvviso ci si ritrovava, invece, in una città
sconosciuta, ma soprattutto anonima, imprendibile nei suoi
mesi fondamentali, nei suoi incroci basilari9.
8
Berselli, E.; 2007, Adulti con riserva. Com’era allegra l’Italia prima
del Sessantotto, cit. p. 869.
9
Ivi, p. 932.
68
Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere
Come abbiamo detto Berselli ai tempi ha solo quindici anni
e si trova catapultato in una realtà del tutto nuova per lui,
spesso stereotipata dal padre e dai suoi racconti, ma
comunque ben diversa da quella trentina. Racconta l‟autore:
Se si voleva invece captare davvero lo spirito del tempo era
meglio andare in centro, in quel bar dove si era concentrato
il vero spirito beat. Nei dintorni incontravi praticamente
tutti: trovavi il chitarrista ritmico Franco Ceccarelli […], il
magistrale e intellettuale Guccini e, accanto a lui Bonvi,
quello schizzato delle Strumtruppen; transitava il profetico
Augusto Daolio con qualche altro dei Nomadi, veniva
Maurizio Vandelli, che un giornale giovanile aveva
beatificato come il quinto miglior chitarrista d‟Europa,
mentre l‟intera Emilia era consapevole che quelli
dell‟Equipe avevano cominciato conoscendo a malapena il
giro di do10.
Consapevoli che queste descrizioni possano apparire
ridondanti e di poco conto, chi scrive, così come Berselli,
vuole sottolineare determinati passaggi perché, esattamente
come ci sembra voglia comunicare l‟autore, la cultura
emiliano romagnola passa proprio attraverso alcuni legami
chiave tra politica, musica, sport e cucina (emblematico il
titolo del saggio da lui firmato Quel gran pezzo dell'Emilia.
Terra di comunisti, motori, musica, bel gioco, cucina grassa
e italiani di classe)11.
10
Ivi, p. 935.
Berselli, E.; 2004, Quel gran pezzo dell'Emilia. terra di comunisti,
motori, musica, bel gioco, cucina grassa e italiani di classe, in Berselli,
E.; 2011, Quel gran pezzo dell’Italia, Milano, Mondadori, (pp.541-662).
11
69
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
Ed è in quel bar, il Grand’Italia, nel centro di Modena, che
si parlava dei viaggi a Parigi e Londra, passando per Reggio
e la via Emilia, che Berselli racconta tra l‟ironico e il
obiettivo:
nei loro racconti, Londra non era una città, era il luogo
hegeliano dove si concentrava, e trovava il suo
compimento, la Storia.
Cioè, la storia vera. Non la nostra italiana e più
precisamente emiliana, che è una storia diversa, Perché
qui, vedete, ci sono i comunisti, come dicono tutti i
giornali del mondo, e il fatto sconvolgente è che ci sono
davvero. Abitano sullo stesso vostro pianerottolo, li si
incontra nei negozi, sbucano dal fruttivendolo, fanno
benzina come gli altri, sembrano gente normalissima. Ma
l‟apparenza inganna: è chiaro che i comunisti non sono la
storia, sono l‟eternità. Sono i costruttori di un sistema
sociale e politico immutabile. Quel sistema con tutte le
bazzecole che abbiamo imparato a citare a memoria, i
servizi sociali, le lotte operaie e civili, le lotte antifasciste
che vanno a occupare un terreno, di modo che il comune,
che appoggia la democrazia militante, ci fa un asilo, il
sindaco taglia il nastro in nome del popolo il giorno
dell‟inaugurazione, avanti compagni.
Ma se li guardate con attenzione, i comunisti, vi
accorgerete che appartengono a un mondo parallelo, che
l‟euforia degli anni Sessanta non riesce a sfiorare. […] Ma,
detto questo, il gran partito dei lavoratori è una risorsa
preziosa perché toglie tutti i pensieri. A nessuno che sia
sano di mente passa per la testa di fare politica perché la
politica la fa il Partito comunista italiano, ma proprio lui in
persona […] ci si alza la mattina, perfino la domenica
sacrale delle elezioni, e si sa che nessuna sorpresa, buona o
70
Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere
cattiva, è possibile. La situazione è immutabile. Carpi,
sessantacinque per cento. Mirandola, sessantacinque per
cento. I lavoratori fanno la solita grande avanzata, le masse
predicano democrazia, le cooperative cooperano, e si
prosegue sulla strada del socialismo12.
E a Londra, invece?
A Londra, voi non potete capire. Gli inglesi hanno avuto la
tessera annonaria per dieci anni dopo la guerra; l‟ultima
grande nebbia, nei primi anni Sessanta, era una cosa verde,
densa, piena di anidride solforosa […] al confronto, le
nostre famose nebbie padane fanno ridere, a Londra con la
zuppa di piselli ci sono stati quattromila morti di malattie
polmonari, ed è per questo che hanno deciso di cambiare
tutti i sistemi di riscaldamento, abbandonando finalmente
le stufe a carbone.
E guardatela adesso Londra.
Vedere il mondo a colori, le ragazze che passano a coppie
sgambettando con quelle gonnelline corte corte […] ci si
sarebbe potuti chiedere: ma come mai il mondo nuovo è
cominciato proprio qui, nell‟isola della rivoluzione
industriale, dell‟economia manchesteriana, di Adam Smith
e David Ricardo, della dismal science, la triste scienza di
Thomas Carlyle…?
Se permettere, io un‟idea ce l‟avrei, racconta una volta il
giovane Guccinius, che intellettuale, conosce pure il
latinorum e ha già in mente gli accordi e le parole di Dio è
morto13.
12
Berselli, E.; 2007, Adulti con riserva. Com’era allegra l’Italia prima
del Sessantotto, cit, pp. 936-937.
13
Ivi, p. 941.
71
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
Il quale si addentra in una spiegazione storico sociologica
così dettagliata, e così negativa, che Berselli, dopo la dotta
citazione gucciniana, non resiste e afferma:
«Per questo, anche grazie alla lezione di Guccinius, io sono
diventato inglese integralmente, dalla punta dei capelli alla
punta dei piedi»14 e questo amore per il beat rimase a lungo,
tanto da far scrivere al Berselli stesso un intero spettacolo
teatrale su questo argomento15.
È sul finale dell‟ultimo capitolo di Adulti con Riserva che
Berselli fa un bilancio dei suoi primi diciotto anni:
insomma, non sono ancora sulla soglia della maggiore età e
mi sembra già di avere un passato. Ho attraversato l‟epoca
del beat, sono così individualista che non mi sfiora
nemmeno l‟idea, in sé molto semplice e attraente, di unirmi
a un complesso per suonare la sera in garage. Guardo mio
padre e i suoi amici, e mi pare che la delusione per il
centrosinistra li abbia invecchiati. Fra poco andrò
all‟università, farò il servizio militare e poi que serà serà16.
2.3 Berselli adulto
Da questo momento in avanti risulta complesso ricostruire la
storia del poliedrico Berselli, il quale, negli stessi anni,
sviluppa diverse professionalità: da quelle di giornalista, al
14
Ivi, p. 942.
Beatnix, spettacolo teatrale scritto da Edmondo Berselli e Shal
Shapiro, qui p. 99.
16
Berselli, E.; 2007, Adulti con riserva. Com’era allegra l’Italia prima
del Sessantotto, cit. p. 994.
15
72
Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere
suo ruolo all‟interno del Mulino (editrice, rivista e
associazione), a quella di scrittore e, per finire, autore
televisivo e teatrale.
Cercheremo di intrecciare le sue “storie parallele”, nel
tentativo di regalare a chi legge un quadro sì completo, ma
che dia anche un‟idea il più possibile precisa della sua vita.
2.3.1 La laurea e il Mulino
Laureato in filosofia presso il Magistero di Parma («un
frammento parigino nella pianura, un lascito prezioso di
Maria Teresa d‟Austria»17) con una tesi sulla dialettica
negativa di Adorno, citato più e più volte in quasi tutti i suoi
libri e «sbertucciato in lungo e in largo negli anni a
venire»18, Berselli cresce professionalmente nella casa
editrice il Mulino, ricoprendo diversi ruoli nella direzione
editoriale.
È innegabile che il percorso universitario incida
profondamente nella scrittura e nella conoscenza
dell‟autore, il quale padroneggia la materia con maestria e
dovizia di dettagli in pressoché tutti i suoi scritti.
Il primo incarico nella casa editrice lo ebbe nel 1976, come
correttore di bozze, diretto da Lucia Nicoletti che «mi ha
insegnato il mestiere sul campo, nell‟ufficio tecnico di via
Santo Stefano 6: maiuscolo e maiuscoletto, tondo e corsivo,
17
Berselli, E.; 2004, Quel gran pezzo dell'Emilia. Terra di comunisti,
motori, musica, bel gioco, cucina grassa e italiani di classe, cit. p. 583.
18
Marcoaldi, F., introduzione, in Berselli, E.; 2011, Quel gran pezzo
dell’Italia, cit., p. XIX.
73
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
alto e basso»19, per poi passare, dopo un periodo come
redattore, all‟ufficio stampa della casa editrice, dove
«incenerì il povero gregario che lavorava con lui
scodellandogli in venti minuti la recensione di un libro a cui
non aveva nemmeno tolto il cellophane»20.
Dalla casa editrice, Berselli, uscì nel 2000, ma rimase nel
comitato editoriale della rivista. Si può, infatti, affermare
che per circa vent‟anni la sua vita si sia sovrapposta a quella
del Mulino e, in particolare, dal 1986 a quella dell‟omonimo
periodico. In quell‟anno, infatti, ne divenne redattore capo,
affiancando Nicola Matteucci (anche fisicamente, condivise
con lui l‟ufficio), che all‟epoca ne era direttore, per poi
crescere
professionalmente
e
divenire
dapprima
vicedirettore, negli anni di direzione di Alessandro Cavalli,
e direttore, poi, per due mandati, dal 2003 al 2008.
Come sottolinea Bruno Simili, nel 1991, con la direzione
Evangelisti Berselli assiste e contribuisce, in quanto capo
redattore, al cambiamento epocale del periodico, contributo
che troverà il suo culmine nel periodo della sua direzione 21.
Inutile negare che l‟esperienza con i “mulinisti” lo segnò
profondamente; è lui stesso ad affermare «ho lavorato
ventidue anni al Mulino, ed è naturale che ogni tanto
riemerga qualche storia che mi piace riportare, come il
19
Berselli, E.; 2009, Liù. Biografia morale di un cane, in Berselli, E.;
2011, Quel gran pezzo dell’Italia, Milano, Mondadori, (pp.1181-1134),
p. 1314.
20
Berti Arnoldi, U.; 2010, Artigiano d’idee, «la Repubblica-Bologna» ,
13 Aprile, p. 1.
21
Intervista a Bruno Simili, febbraio 2011, Bologna, cit., qui p. 215.
74
Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere
segno di un legame di amicizia e di affetti tutt‟altro che
ridimensionati dal tempo e da nuove scelte di vita» 22.
2.3.2 Berselli saggista23
Attivo anche dal punto di vista della produzione letteraria,
Berselli scrisse più di 40 articoli per la rivista (che
probabilmente sarebbe più corretto definire “saggi”) e in
campo editoriale moltissimo materiale.
In ordine cronologico, nel 1993 ha curato la sezione Politica
del volume La riconquista dell’Italia24, a cura di Fabio
Luca Cavazza, successivamente due suoi saggi, The Sunset
of Christian Democracy e Politics and Karaoke, sono
apparsi in inglese rispettivamente in Deconstructing Italy:
Italy in the Nineties25 e in Italian Politics. The Year of the
Tycoon26.
Nel 1995 pubblica il volume L’Italia che non muore27,
dedicato alla politica e alla società italiana nella fase della
transizione politica della prima metà degli anni Novanta (si
trattava in realtà della raccolta di alcuni articoli da lui stesso
scritti per la rivista) e, sempre nello stesso anno, Il più
22
Berselli, E.; 2009, Liù. Biografia morale di un cane, cit p.1314.
In appendice tutte le pubblicazioni a cui ha partecipato, anche in
minima parte, Edmondo Berselli.
24
Cavazza, F.L.; 1993, La riconquista dell’Italia, Milano, Longanesi.
25
Sechi, S. a cura di; 1995, Deconstructing Italy: Italy in the Nineties,
University of California.
26
Ignazi, P., Katz, R. a cura; 1996, Italian Politics. The Year of the
Tycoon, Westview Press.
27
Berselli, E.; 1995, L’Italia che non muore, Bologna, il Mulino.
23
75
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
mancino dei tiri28, un saggio su memoria, calcio e politica,
che vinse il Premio Satira Politica di Forte dei Marmi di
quell‟anno.
Successivamente, nel novembre 1999, dà alle stampe
Canzoni. Storie dell’ Italia leggera, libro che, negli intenti
dell‟autore,
doveva essere un libro politico. A modo suo, ma politico:
cioè sostenuto dall‟idea che nel nostro paese i conformismi
ideologici e i loro variopinti fantasmi proiettino un alone
che si stende perfino sulle canzoni; e che di conseguenza si
potesse dare sfogo a qualche cattivo pensiero anche
parlando di musica popolare e di passioni tutto sommato
leggere.
Qualcosa, di politico, dev‟essere rimasto, ma alla fine ho
l‟impressione che ne sia uscito chissà come un libro
soprattutto romantico, o addirittura sentimentale, anche
nelle malevolenze e nelle irritazioni. Come se uno strato
emotivo avesse cominciato a premere e poi fosse affiorato
a dispetto delle intenzioni consapevoli, con una sua
imprevista necessità.
Tu chiamale, se vuoi, eterogenesi dei fini29.
Con questo libro Berselli si aggiudica il Premio Estense nel
2000 e riceve il Premio speciale della giuria al Premio
Biella nello stesso anno.
28
Berselli, E.; 1995, Il più mancino dei tiri, in Berselli, E.; 2011, Quel
gran pezzo dell’Italia, Milano, Mondadori, (pp. 3-94).
29
Berselli, E.; 1999, Canzoni. Storie dell'Italia leggera, in Berselli, E.;
2011, Quel gran pezzo dell’Italia, Milano, Mondadori, (pp. 95-272), p.
97.
76
Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere
Dopo l‟uscita dei tre volumi con la società editrice il
Mulino, tra la fine del 1999 e l‟inizio del 2000 è nelle
librerie il volume, redatto con Ermanno Paccagnini, Mille
libri per il Duemila30.
Un suo saggio, sulla transizione politica italiana, è stato
pubblicato in un fascicolo della rivista Daedalus31 dedicato
all‟Italia.
Dopo l‟esperienza editoriale con il Mulino, Berselli decide
di passare a Mondadori e con la nuova casa editrice pubblica
ben sei saggi. In essi tratta di politica, musica, calcio, storia,
televisione e attualità con disinvoltura e rigore, alternando
l‟analisi dei fenomeni politici con l‟interpretazione della
realtà sociale e culturale dell‟Italia contemporanea.
Nel 2003, infatti, vede la luce la sua terza produzione
inedita: Post-italiani. Cronache di un paese provvisorio 32,
pubblicato da Mondadori, che ha raggiunto un immediato
successo di pubblico e ha suscitato numerosi interventi sulla
stampa nazionale.
Queste sue "cronache di un paese provvisorio" scandagliano
la politica, la cultura e i mass media dell'Italia
contemporanea evidenziandone la natura arcaica e allo
stesso tempo post-moderna, la ricerca sfrenata di un'identità
laica che non può però prescindere da tutte le tradizioni.
30
Berselli, E., Paccaguidi, E.; 1999, Mille libri per il Duemila, Milano,
Il Sole 24 ore.
31
“Daedalus”, tradotto in Italia nel volume a cura di Padoa-Schioppa,
T., Graubard, S.R; 2001, Il caso italiano 2, Milano, Garzanti, pp. 225249.
32
Berselli, E.; 2003, Post-italiani. Cronache di un paese provvisorio, in
Berselli, E.; 2011, Quel gran pezzo dell’Italia, Milano, Mondadori, (pp.
273-540).
77
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
Scrive Berselli, ad esempio, a proposito della televisione
nostrana:
è un fluido, l'Italia televisiva, in cui sono omogeneizzati
ormai tutti gli atteggiamenti e i comportamenti di una
società che si è illusa di cambiare, passando, per dirlo in
una formula, dalla volgarità al trash, e che quindi celebra
se stessa, nei ludi dell'etere, sperimentando ogni giorno la
propria post-modenità e nascondendo dietro le quinte di
una fiction e di un talkshow i propri arcaismi. In quello
sconfinato presente che è l'orizzonte televisivo, anche gli
italiani provano finalmente ad essere eterni, sempre dalla
parte dell'ultimo ritrovato intellettuale di massa, fedeli e
conformi al tabù individuale e collettivo dell'assenza di
tabù. Appena spenta, la televisione ricomincia identica
domani. E anche l'Italia, la post Italia, domani riapre33.
Nel 2004 sempre da Mondadori esce un nuovo volume,
Quel gran pezzo dell’Emilia34, che porta come sottotitolo
Terra di comunisti, motori, musica, bel gioco, cucina grassa
e italiani di classe: una interpretazione glocal dell‟Emilia
come nord del sud e sud del nord.
L'Emilia-Romagna è, infatti, una regione che per Edmondo
Berselli non corrisponde esattamente ai confini disegnati
nelle cartine geografiche. Mentre Piacenza, città emiliana, è
già un po' periferia di Milano, Mantova a nord e Pesaro a
sud fanno idealmente e culturalmente parte della regione.
33
Berselli, E.; 2003, Post-italiani. Cronache di un paese provvisorio,
cit. pp. 537-538.
34
Berselli, E.; 2004, Quel gran pezzo dell'Emilia. terra di comunisti,
motori, musica, bel gioco, cucina grassa e italiani di classe, cit.
78
Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere
Guai poi a confondere gli emiliani coi romagnoli. Esistono
delle precise differenze antropologiche, storiche,
linguistiche e culturali.
Comunque, nell'Emilia del dopoguerra, quella delle diatribe
fra Peppone e don Camillo inventate da Giovannino
Guareschi, è successo uno strano fenomeno evolutivo: il
comunismo, che per tanti anni ha detenuto la leadership
politica della regione, si è sposato felicemente con gli affari.
Il carattere pragmatico del comunismo emiliano, ispirato,
nelle sue migliori espressioni, a sobri ed elevati valori
morali, ai principi della buona amministrazione e al
compromesso con la borghesia, ha prodotto alcuni servizi
pubblici eccellenti (gli asili di Reggio Emilia, per esempio,
sono i migliori del mondo secondo un'autorevole rivista
internazionale) e un pullulare di aziende, nelle aree contigue
alla Via Emilia, che costituiscono tuttora un modello,
denominato "economia di distretto", studiato anche dai
professori americani. In Emilia si è realizzata un'utopia
altrove inconcepibile: “il socialismo più la ricchezza”.
Scrive Berselli:
c'è stato un periodo irripetibile in cui da Piacenza a Rimini
una moltitudine di cristiani ha costruito il modello
emiliano. Naturalmente non sapevano neppure che cosa
fosse, il modello divenuto poi così celebre. Si conoscevano
più o meno gli ingredienti, che sarebbero stati sufficienti
per fare il più grande zampone economico del mondo:
c'erano dentro il culatello di Zibello, il salame di Felino e il
prosciutto di Langhirano, la Salvarani e la Barilla, gli
egiziani che lavoravano alle fonderie di Reggio, i magliai
di Carpi, il gusto della meccanica arretrata e avanzata, il
79
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
parmigiano reggiano, la Fiat Trattori di Modena,
l'Idrolitina e Zangheri a Bologna, le cooperative che
diventavano sempre più colossali, le banche locali
dappertutto, le sterminate balere in ogni dove, l'agricoltura
fiorente della Romagna, le pensioni a tre stelle o quasi per i
tedeschi a Cesenatico e Milano Marittima, le notti calde a
Rimini, tutti i birri della Riviera, Amarcord di Fellini, la
pace sociale perché il sindacato non tirava troppo la corda,
l'ordine generale perché nulla sfuggiva al partito [...]. Ma
per inglobare a amalgamare tutti questi elementi ci voleva
un ingrediente in più. Ci voleva la Cultura [...]35.
E per Berselli cultura significa sì università di buon livello,
professori come Umberto Eco e Ezio Raimondi e scrittori
come Pier Paolo Pasolini, ma anche la musica pop, i motori,
la buona cucina e il bel gioco.
Alla fine del 2006 sempre con Mondadori pubblica il
volume Venerati maestri. Operetta immorale sugli
intelligenti d’Italia36, un pamphlet sui mostri sacri della
cultura italiana che ha ottenuto un‟ampia risonanza critica
ed eccellenti risultati di diffusione.
Venerati maestri è la storia di una progressiva, costante
disillusione e di un tragico disinnamoramento. Vergata per
l'appunto da chi, per anni, si è nutrito di linguaggio di lotta,
di strutture e sovrastrutture, di fumosissimi comitati di
35
Berselli, E.; 2004, Quel gran pezzo dell'Emilia. terra di comunisti,
motori, musica, bel gioco, cucina grassa e italiani di classe, cit. pp. 558559.
36
Berselli, E.; 2006, Venerati maestri. Operetta immorale sugli
intelligenti d'Italia, in Berselli, E.; 2011, Quel gran pezzo dell’Italia,
Milano, Mondadori, (pp. 663-848).
80
Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere
redazione spesi a sviscerare l'ipocrisia borghese. Berselli
tratteggia infatti la parabola biografica dei numerosi
sessantottini rimasti fermi al palo, loro e le innumerevoli
rate del mutuo acceso per comprare i ponderosi tomi della
Einaudi. Un tradimento che si è consumato così tante volte
da divenire la cifra esistenziale di una generazione intera.
Nel 2007 è uscito Adulti con riserva. Com’era allegra
l’Italia prima del ’6837. Questo libro è stato da molti
recensito come un‟autobiografia, ma, a nostro giudizio, non
è esattamente così. Berselli prende sì le mosse dalla sua
esperienza, ma per arrivare ad affermare gli anni sessanta
siano stati un decennio irripetibile, pieno di vita, di sublime
leggerezza pur nell'estasi di una cultura che stava
esplodendo, portando al popolo tante cose che potremmo
dire semplicemente belle: nella musica (ce n'è tantissima, in
questo libro) nello sport, nella politica ed in genere nella
società. E alla fine arriva la tirata contro il sessantotto. E la
chiave di lettura è una: tutto ha girato al serioso, al
cervellotico, al non-divertente aprioristico. Lasciando
intendere che, da lì in poi, sarebbe andata solo peggio.
Nell‟ottobre 2008 esce Sinistrati38, una personale analisi
della sconfitta della sinistra nelle elezioni politiche
dell‟aprile dello stesso anno.
37
Berselli, E.; 2007, Adulti con riserva. Com’era allegra l’Italia prima
del Sessantotto, cit.
38
Berselli, E.; 2008, Sinistrati. Storia sentimentale di una catastrofe
politica, in Berselli, E.; 2011, Quel gran pezzo dell’Italia, Milano,
Mondadori, (pp.1007-1180).
81
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
Finisce il berlinguerismo e, di fatto, si esaurisce anche il
comunismo italiano. Tramonta l‟idea che una tensione
etica possa fare da fulcro alla politica, che l‟Europa possa
essere il luogo della terza via, né sovietica né capitalista, e
mentre si dilegua la speranza che la diversità sia un valore
politico, si preparano i tempi in cui le mani pulite del Pci
non saranno sufficienti a salvare l‟Italia da Tangentopoli 39.
Come si diceva, Berselli, dopo le brucianti elezioni del
2008, osserva la gravosa crisi della sinistra italiana e cerca,
con questo saggio, di guardare all‟origine della sua caduta,
studiando le diverse componenti dell‟universo che nel suo
complesso chiamiamo sinistra. I comunisti naturalmente e
le loro diverse “correnti” (parola vietata ai tempi, ma reale
nei fatti), i cosiddetti extraparlamentari (quelli di allora che
volevano esserlo, non quelli di oggi costretti ad esserlo), i
cattolici democratici, i cattocomunismi, i socialisti: tanti
ritratti di personalità, di forme di pensiero, di “diversità”, e
il mondo che stava loro intorno che intanto vorticosamente
cambiava.
Ma se teneramente severo è il ritratto della sinistra nel suo
complesso, impietosamente crudo è quello della destra, o
sedicente tale (Montanelli inorridiva a definire così
Berlusconi e la sua corte), attualmente al governo. A un
certo punto però, quasi per necessità, a sinistra si sono
ritrovate persone che mai avrebbero pensato di andarci, in
fondo solo buoni democratici che non tolleravano alcune
derive o alcuni personaggi. Per l‟appunto, i personaggi:
davvero graffiante il ritratto di Berlusconi che ci offre
39
Ivi, p. 1043.
82
Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere
Berselli, tanto che, leggendo queste pagine, un po‟ ci si
vergogna (anche se innocenti) di averlo come rappresentante
dell‟Italia all‟estero.
Berselli, però, non è uno che si piange addosso e sul finale
propone qualche strategia per la nuova sinistra, semplice,
ma, chissà, forse efficace.
Nel 2009, sempre con Mondadori, esce Liù, biografia
morale di un cane40, un libro che racconta come intelligenze
diverse, umana e canina, cominciano a sfiorarsi. E come la
filosofia animale può aiutare a capire il mondo e forse
l‟Italia.
In questo libro l‟autore parla, forse per la prima volta in
modo approfondito, della sua vita privata. È proprio qui,
infatti, che Berselli apre un grande varco agli affetti, agli
amici, a un impulso comunitario insolito nella sua lunga
strada di parole.
Il libro prende le mosse dall‟inaspettata affezione
dell‟autore per il labrador femmina di colore nero che
Marzia, la moglie, lo ha convinto ad acquistare. Berselli
assiste alla metamorfosi della propria vita da quando Liù è
con loro, ma il libro non è solo questo. Se da un lato
vengono narrate le gesta della “bestiolona” che ha cambiato
le abitudini di questa progressista coppia senza figli,
dall‟altro Berselli cerca di capire le ragioni profonde del
perché la novità dell‟arrivo di Liù abbia ribaltato la sua
visione finora razionale dell‟esistenza, andando a scoprire
una nuova filosofia di vita utile per comprendere ciò che
accade nell‟Italia attuale.
40
Berselli, E.; 2009, Liù. Biografia morale di un cane, cit.
83
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
Questo saggio è, secondo molti critici, il testamento
intellettuale di Berselli, che sfocia nel personale. Qui
trovano, infatti, spazio Marzia Barbieri Berselli, sua moglie
ed eterna ragazza, come lui amava descriverla, Liù, il loro
labrador, quasi un figlio, e si chiude
con una straordinaria mozione degli affetti, un lunghissimo
elenco di amici e di luoghi, di persone e di città italiane,
che adesso ci commuove profondamente. È un bell'elenco,
in fin dei conti consolante, che racconta un'Italia migliore
di come la pensiamo nel nostro ordinario malumore:
sapeva vederla. Edmondo era un realista, ma non un
pessimista. La fatica di capire, non certo la smania di
giudicare, è stato il suo grande merito di intellettuale e di
giornalista41.
A settembre del 2010 viene pubblicato postumo da Einaudi
il saggio L’economia giusta42. La quarta di copertina riporta
le parole di Ilvo Diamanti. Esse, a nostro parere,
rappresentano quanto di più calzante si possa dire su
quest‟opera:
Edmondo Berselli […] prima di lasciarci, ha scritto questo
saggio, denso e veloce al tempo stesso. È dedicato alla
ricerca di nuove vie verso "l'economia giusta", in tempi di
41
Serra, M.; 2010, L'intellettuale ironico che raccontava il pop,
«repubblica.it», 27 Aprile.
42
Berselli, E.; 2010, L'Economia Giusta, in Berselli, E.; 2011, Quel
gran pezzo dell’Italia, Milano, Mondadori, (pp.1134-1392).
84
Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere
crisi globale,
monetarista43.
dopo
la
fine
della
"superstizione
Con L’economia giusta
Berselli ripercorre con
atteggiamento critico le esperienze politiche, i contenuti
teorici, che dall‟Ottocento ad oggi hanno influenzato
l‟economia dell‟Italia.
Dalla dottrina sociale della Chiesa, al socialismo, al
marxismo, in un approccio ibrido tra sociologia, storia e
filosofia, con un linguaggio diretto e senza peli sulla lingua,
inconfondibile nel suo essere berselliano.
La conclusione è disincantata. Finita, rovinosamente, l'era
del "pensiero unico monetarista", siamo rimasti senza
risposte. Perché le alternative hanno già fallito. Non
riescono ad essere credibili. Così, molto semplicemente,
dovremo abituarci "ad avere meno risorse. Meno soldi in
tasca. Essere più poveri". Berselli lascia cadere questo
ammonimento nelle ultime righe. Quasi un invito a non
dimenticare. Noi certamente non dimenticheremo lui 44.
A questo punto viene spontaneo chiedersi perché Berselli,
per anni a fianco del direttore editoriale della società editrice
il Mulino, il già citato Giovanni Evangelisti, e colonna
portante dell‟Associazione e della rivista, soprattutto nel
medesimo periodo in cui diffuse le sue opere più note, abbia
scelto di pubblicare con una nuova casa editrice:
Mondadori.
43
44
Ivi, quarta di copertina.
Ivi, quarta di copertina.
85
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
Lo abbiamo domandato a Bruno Simili, per anni al fianco di
Berselli, il quale ci ha spiegato che:
ha iniziato a scrivere con Mondadori semplicemente
perché amico di Beppe Cottafavi, uomo del mestiere
stimatissimo da Berselli, che all‟epoca lavorava in quella
casa editrice. Negli anni, poi, era entrato in confidenza con
Gian Arturo Ferrari, che fino a poco tempo fa era il capo
editoriale di Mondadori45.
E forse non si può parlare solo di confidenza con Gian
Arturo Ferrari, forse è più pertinente chiamarla stima.
Berselli nel prologo del suo Liù afferma:
il professor Ferrari è l‟uomo più colto che abbia mai
incontrato, e quindi qualche sfizio vorrete pur
concederglielo; lasciate che la sua orazione si inerpichi allo
zenit, verso le altitudini celestiali, lassù dove osano le
aquile, e anche qualche starna coraggiosa come noi, che
non abbiamo paura di contemplare con occhio limpido il
suo svettante pensiero, la sua idea della totalità, la visione
meticolosa della nostra quotidianità moderna 46.
Simili, invece, prosegue il suo racconto
Io sono capo redattore della rivista dal 1999, ovvero da
quando Edmondo ha dismesso questo incarico. Nei cinque
anni precedenti, però, ho lavorato in “società editrice”, a
capo della redazione dei libri, così come anche Edmondo.
45
46
Intervista a Bruno Simili, Febbraio 2011, Bologna, cit., qui p. 207.
Berselli, E.; 2009, Liù. Biografia morale di un cane, cit. p.1322.
86
Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere
Dico questo per sottolineare che più o meno entrambi
sappiamo come avviene la produzione dei libri. Berselli mi
raccontava con molto interesse da parte di entrambi che la
relazione che lui aveva con la redazione di Mondadori era
ottima. Pur avendo di fronte un autore molto preciso e
puntiglioso come era lui, il quale prima di scrivere
verificava ogni cosa, non perdeva occasione per fare una
telefonata e riverificare. In tempi in cui purtroppo le
redazioni vanno via sempre più rapide sui testi e, anzi,
spesso gli autori decidono di auto prodursi, è una cosa
importante avere una redazione meticolosa. Aveva trovato
un editore che curava benissimo il suo lavoro e perciò non
aveva motivo di cambiare47.
Provocato sull‟appartenenza della casa editrice a uno dei
maggiori bersagli del Berselli stesso, la famiglia Berlusconi,
Simili sostiene che:
Edmondo non è mai stato sensibile a questo tipo di
congetture e credo si sarebbe fatto delle grasse risate se
avesse assistito alla polemica tra Saviano e Marina
Berlusconi dei mesi scorsi48.
47
Intervista a Bruno Simili, Febbraio 2011, Bologna, cit., qui p. 208.
Il 22 gennaio 2011 Roberto Saviano (autore del best seller Gomorra,
edito da Modadori) ricevendo a Genova la laurea honoris causa in
Giurisprudenza, ha dedicato il riconoscimento al pool di Milano
composto dai magistrati Boccassini, Sangermano e Forno «che stanno
vivendo momenti difficili solo per aver fatto il loro mestiere di
giustizia», pool che in quel periodo stava indagando contro Silvio
Berlusconi (caso Ruby). Marina Berlusconi, figlia del già citato Silvio,
nonché proprietaria del gruppo editoriale Mondadori ha dichiarato «Mi
fa letteralmente orrore che una persona come Roberto Saviano, che ha
48
87
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
Di questa cosa lui non si era mai preoccupato, anzi,
l‟accusa di essere, assieme ad altri autori “di sinistra”, la
foglia di fico che permetteva a un editore come Mondadori
di affermare la sua natura bipartisan non lo ha mai toccato
e credo avesse ragione. Lui ha sempre riconosciuto una
grandissima qualità nelle persone che lavoravano a
Mondadori e questo era ciò che contava 49.
Oltre a L’economia giusta sono stati pubblicati, postumi
altri due saggi: il primo, Quel gran pezzo dell’Italia50, è
edito da Mondadori e raccoglie tutte le opere di Berselli, dal
1995 al 2011, la cui introduzione, curata da Francesco
Marcoaldi «poeta, esploratore assiduo e amorale delle
relazioni51» prende così il via:
Da il Più mancino dei tiri (1995) a L’economia giusta
(uscito postumo nel 2010) corre un arco temporale di
quindici anni. Appena quindici anni. A ripensarci, è
sempre dichiarato di voler dedicare ogni sua energia alla battaglia per il
rispetto della libertà, della dignità delle persone e della legalità, sia
arrivata a calpestare e di conseguenza a rinnegare tutto quello per cui ha
sempre proclamato di battersi. Il “mestiere di giustizia”, come lo chiama
Saviano - ha aggiunto nella sua dichiarazione Marina Berlusconi - e
coloro che sono chiamati ad esercitarlo non dovrebbero avere nulla a che
vedere con la persecuzione personale e il fondamentalismo politico che
questa vicenda mette invece tristemente, e con spudorata evidenza, sotto
gli occhi di tutti». Ne è seguito un lungo scambio di dichiarazioni,
sempre più accese, che si sono ulteriormente infiammate quando
Berlusconi ha pubblicamente dichiarato che libri come Gomorra
incitano alla malavita e fanno cattiva pubblicità all‟Italia.
49
Intervista a Bruno Simili, Febbraio 2011, Bologna, cit., qui p. 208.
50
Berselli, E.; 2011, Quel gran pezzo dell’Italia, cit.
51
Berselli, E.; 2009, Liù. Biografia morale di un cane, cit. p.1268.
88
Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere
stupefacente. Eppure questo è il primo dato concreto da cui
bisogna partire. Edmondo Berselli si è imposto sulla scena
culturale italiana con una tale energia, e un‟autorevolezza
ironica così persuasiva, da farci ritenere che la sua stella
sia da chissà quanto tempo una presenza stabile del nostro
tenue firmamento intellettuale. E invece tutto si è bruciato
con estrema rapidità: un esordio piuttosto tardivo e una
morte atrocemente precoce racchiudono infatti l‟intera sua
opera in una stagione breve, troppo breve. […] A leggere
di seguito tutti i libri di Berselli, risulta evidente come la
sua guizzante intelligenza non si esaurisca affatto in una
festa di fuochi d‟artificio, che sul momento possono anche
sorprendere, accendendo con colori e forme inusitati la
nostra immaginazione, ma che lasciano alle spalle, quando
la festa è finita, una scia di malinconica vuotezza 52.
Il secondo, invece, si intitola L’Italia nonostante tutto53 ed
è edito dal Mulino. Esso racchiude 15 articoli, pubblicati
negli oltre vent‟anni di carriera, all‟interno della rivista.
Gli articoli consentono di apprezzare l'osservatore Berselli
meno noto, colui il quale riflette sul crollo della prima
Repubblica e sull'avvento di Silvio Berlusconi. Anni in cui
l'Italia si ritrova a essere "una Repubblica indistinta", divisa
tra il "Forzaleghismo" e il Partito Democratico "partito
ipotetico". Un cambiamento epocale rintracciato, prima
ancora che nei suoi effetti politici, nelle sue premesse di
costume.
Come ha affermato Simili, che ne è anche il curatore:
52
Marcoaldi, F., introduzione, in Berselli, E.; 2011, Quel gran pezzo
dell’Italia, Milano, Mondadori, p. I.
53
Berselli, E.; 2011, L’Italia nonostante tutto, Bologna, il Mulino.
89
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
L’Italia nonostante tutto dice molto della capacità di
Berselli di leggere in prospettiva questo paese e i suoi
problemi. Non tutte, ma molte delle questioni centrali di
questi articoli spiegano, infatti, il blocco che l‟Italia sta
soffrendo in questo momento. Dal ruolo del Presidente
della Repubblica, alla Bicamerale, all‟imbarbarimento
della televisione e al suo controllo politico e ancora dal
decadimento della cultura civile sino allo scontro senza
civiltà tra destra e sinistra, sempre concentrato sulla figura
di Berlusconi, senza rendersi conto che anche se per lo più
si parla di decadimento della politica, oggi viviamo
soprattutto un decadimento culturale che, capiamoci, non è
solo quello del Grande Fratello. Nel 1991 ci avrebbe fatto
ribrezzo quel che leggiamo oggi sui giornali, ma poco alla
volta, quei titoli, sono entrati nella sgradevole normalità54.
E ancora:
Questa sua grande capacità di lettura dipende sì dalla sua
intelligenza, dal fatto che lui era fatto così, lui aveva
talenti che altri non hanno, ma anche dallo scrupolo che
lui osservava sempre nel suo lavoro. Edmondo non era
solo un instancabile lavoratore; in tutto ciò che realizzava
metteva sempre una grandissima attenzione, che è rimasta
tale anche quando è diventato “Edmondo Berselli” cioè
anche quando, almeno teoricamente, l‟etichetta ti
autorizzerebbe, chissà perché, a un minor rigore,
nonostante la maggiore autorevolezza.
Edmondo no; si prendeva qualche libertà: etichette buffe,
battute, però nel momento in cui doveva mettersi lì e
54
Intervista a Bruno Simili, Febbraio 2011, Bologna, cit., qui, p.209.
90
Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere
scrivere un pezzo, lo faceva esattamente come alla metà
degli anni 80, chiunque fosse il suo lettore, qualunque
fosse la testata, dalla “Gazzetta di Modena” al “Sole 24
Ore”. Aveva un‟etica del lavoro e del rispetto di chi gli
dava la possibilità di scrivere molto alta che mi ha sempre
trasmesso dicendomi «se tu inizi a scrivere sui giornali,
nel momento in cui ti chiedono un pezzo tu lo devi fare
qualunque argomento sia». Lui non ha mai detto di no,
dando
spessore
a
qualsiasi
cosa,
perché
fondamentalmente la sua origine „popolare‟ gli faceva
capire bene la fortuna che aveva in mano. Lui diceva che
noi in realtà non lavoriamo, siamo privilegiati, facciamo
un bel lavoro che ci piace questo di per sè spiega anche
una sua certa reticenza ad apparire.
Spesso ci si chiede, infatti, perché non andasse molto in
tv. Beh, innanzitutto perché era abbastanza intelligente
per capire che è molto difficile, per quanto tu sia in
gamba, sfruttare al meglio i tempi televisivi e poi perché
doveva dosare le sue energie: se Ezio Mauro gli avesse
chiesto un editoriale alle sette di sera da pubblicare sul
giornale del mattino seguente, Edmondo non si sarebbe
mai permesso di dire «no, non posso»55.
Simili si lascia, inoltre, andare a una riflessione
sull‟atteggiamento politico di Berselli, atteggiamento mutato
nel tempo e che, a nostro parere, merita di essere
approfondito perché evidente nei suoi stessi scritti:
per chi conosceva Edmondo da molto tempo
l‟atteggiamento da lui tenuto nei confronti della politica
da un lato è sempre stato il medesimo: grande rigore,
55
Ibidem.
91
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
equilibrio e equidistanza rispetto alle parti; dall‟altro,
però, è profondamente mutato e questo cambiamento si
rispecchia nella metamorfosi del nostro paese e del suo
scenario politico.
Chi ha conosciuto Berselli negli anni ‟90, infatti, mai
avrebbe pensato che sarebbe diventato un editorialista di
punta di un quotidiano come «la Repubblica», giornale
che è palesemente schierato in opposizione all‟attuale
governo, un governo di centrodestra!
Edmondo nasce come un cattolico, bravo, intelligente,
preparato, ma fondamentalmente democristiano, il padre
degasperiano, la madre di origini socialiste...
Questa storia di Edmondo mi ricorda la canzone “libertà
obbligatoria” di Giorgio Gaber dove si dice che la nonna
ogni volta che va a votare vota sempre più a sinistra, ma
non è la nonna che si sposta, sono i partiti che slittano, e il
caso di Berselli mi par essere il medesimo.
Edmondo è rimasto sempre molto coerente con i suoi
valori e i suoi principi, e solo chi non ha voluto capire
questo nello scenario politico parlamentare lo ha potuto
accusare di essere passato dalla parte del vincitore per chi
scrive e fa critica.
I suoi valori, in buona parte cattolici, che forse
dovrebbero essere tendenzialmente condivisi, al di là
della religione che professiamo, in una democrazia basata
su una bella costituzione come la nostra, dovrebbero
essere tenuti alti. Era questo che desiderava e cercava di
spiegare Edmondo: la necessità che un governo faccia
politiche per il pubblico.
Come ha affermato lo stesso Edmondo nel suo ultimo
libro, scritto con molta fatica e in buona parte dettato alla
moglie Marzia, chiunque abbia delle responsabilità
92
Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere
pubbliche deve lavorare per una economia giusta. Questo
è fondamentale56.
2.3.3 Il giornalista Berselli
Contemporaneamente al suo lavoro redazionale e editoriale,
l‟autore ebbe un ruolo via via crescente nel settore
giornalistico. I suoi articoli, nel corso del tempo, spaziarono
dalla cronaca all‟attualità, dalla politica, alla cultura, sino
alla musica e alla televisione. Non ci stancheremo mai di
ripeterlo: Berselli era un eclettico e non ha mai smesso di
esserlo. Anche al culmine della sua carriera giornalistica,
quando diventerà editorialista di punta di uno dei quotidiani
più importanti del paese («la Repubblica»), Berselli non
rinuncerà mai a parlare dei più svariati argomenti. Certo la
politica rimarrà in primo piano, però senza togliere
totalmente spazio a tutti gli altri settori egualmente cari
all‟autore. Ma procediamo con ordine.
Cominciò con la «Nuova Gazzetta di Modena», diretta da
Pier Vittorio Marvasi «che per tre anni mi ha fatto scrivere
un editoriale ogni domenica per un compenso di
venticinquemila lire, somma che gli appariva spropositata
nel modesto budget a disposizione del giornale, ma che al
tempo conferì un po‟ di rimo dialettico alla città»57, ma,
coma afferma Marco Marozzi «non piaceva ai socialisti,
allora potenti. Piacque a una serie di ragazzi che sognavano
di rifare «il Resto del Carlino». Chiamarono lui, Paolo
Pombeni, Angelo Panebianco, che la proprietà non volle
56
57
Intervista a Bruno Simili, Febbraio 2011, Bologna, cit., qui p. 211.
Berselli, E.; 2009, Liù. Biografia morale di un cane, cit. p. 1314.
93
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
perché radicale quindi di sinistra. Editorialisti. Esordio.
Ricordi e risate»58. Vi rimase dal 1989 al 1994 sotto la guida
di Marco Leonelli
a cui una tradizione orale attribuisce l‟invenzione e il
copyright del titolo assoluto, il titolo totale, il titolo
universale, che funziona in ogni circostanza, anche la più
politicamente assurda, e che da allora i direttori del
“Carlino”, a ogni passaggio di consegne, si trasmettono
con riti religiosi in busta chiusa 59.
Passò, poi, al «Messaggero» di Giulio Anselmi dal 1994 al
1996. Berselli lo rincontrerà diversi anni dopo a
«L‟Espresso» anche se per un brevissimo periodo. Anselmi
viene più volte citato dall‟autore nei suoi libri, dapprima, in
Venerati Maestri, lo descrive come «tostissimo», uno dei
quei direttori che «assaporano le delizie feroci
nell‟esercitare un comando dispotico sulle loro vittime
preferite»60, per poi soprannominarlo successivamente «il
mio caro direttore malvagio»61.
Dal 1996 al 1998 fu la volta della «Stampa». Il direttore era
Carlo Rossella, che successivamente prenderà più e più
volte di mira per la direzione di «Panorama»62.
58
Marozzi, M.; 2010, Addio al genio di Edmondo che illuminò questi
portici, «la Repubblica – Bologna», 12 Aprile, p. 1.
59
Berselli, E.; 2009, Liù. Biografia morale di un cane, cit., p. 314.
60
Berselli, E.; 2006, Venerati maestri. Operetta immorale sugli
intelligenti d'Italia, cit., p. 706.
61
Berselli, E.; 2009, Liù. Biografia morale di un cane, cit., p..1183.
62
Berselli, E.; 2003, Post-italiani. Cronache di un paese provvisorio,
cit., pp. 490-495-498.
94
Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere
In un crescendo, Berselli fu chiamato da Ernesto Auci,
allora direttore de «Il Sole 24 ore», per il quale scrisse dal
1998 al 2003 circa trecento articoli.
Per chiederti un commento, afferma Berselli,
Auci parlava per quaranta minuti, lamentandosi che qua
non funziona «gnente», e che tutti stanno solo a di‟
«fregnacce» (ma chi, direttore? «Ma tutti…» Tutti chi?
«Ma quelli…tutti…»), e alla fine concludeva che il mio
compito era riassumere in un editoriale quei quaranta
minuti di pessimismo sistematico. La versione Auci
Calabrò del giornale della Confindustria va considerata
memorabile perché il trio di commentatori di punta e di
tacco era composto da Ilvo Diamanti, da Siniscalco e dal
sottoscritto: ullallà, che intelligenze danzanti, che stelle
filanti, che nietzschiano trio fulgens63.
Poi è arrivata la rivista «L‟Espresso» (1999), e con lei «la
Repubblica» (2003), per i quali ha lavorato come
editorialista sino al giorno della sua morte, avvenuta
nell‟aprile del 2010.
La collaborazione con «L‟Espresso» è iniziata, come già
affermato, sotto la direzione di Giulio Anselmi, il quale
volle Berselli a tal punto da inventare una posizione del tutto
nuova per lui all‟interno del giornale, una sorta di
“assistente al direttore”. Quando Anselmi lascerà la
direzione il giornalista sarà già inserito all‟interno del
gruppo e la sua collaborazione proseguirà con la nuova
direttrice Daniela Hamaui.
63
Berselli, E.; 2009, Liù. Biografia morale di un cane, cit. p. 1312.
95
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
Per «la Repubblica» di Ezio Mauro, invece, ha scritto più di
750 articoli in circa sette anni.
Nei suoi libri, Berselli, cita più e più volte il suo ultimo
direttore: in Venerati Maestri afferma che «ci sono direttori
come Ezio Mauro, che restano sempre concentrati sul
prodotto, nella convinzione che soltanto l‟assiduità del loro
pensiero tiene insieme il giornale, le foto, le illustrazioni,
l‟iconografia, la proprietà, la redazione, i fattorini» 64.
In Post-italiani, invece, dedica a Mauro un intero
capitoletto:
lo stesso successore di Scalfari, Ezio Mauro, ha cercato fin
dal primo momento di interpretare il suo ruolo non in
termini manageriali o, viceversa, in chiave giornalistica e
di fredda obiettività del commento, ma schierando i suoi
uomini secondo un disegno di stampo politico-militare (il
comandante in capo, i generali, gli ufficiali, le truppe
scelte, eccetera), e assumendosi due compiti di prospettiva.
Per via mediata, attraverso i suoi commentatori, a
cominciare da Curzio Maltese, ha tenuto altro il fuoco
contro il centrodestra; per via diretta, con le sue non
frequentissime ma robuste discese in campo, ha dettato una
linea politica che si proponeva come modulo essenziale per
tutto il centro sinistra65.
E ancora, dopo la caduta del governo Prodi e la prospettiva
di un governo tecnico dalemiano:
64
Berselli, E.; 2006, Venerati maestri. Operetta immorale sugli
intelligenti d'Italia, cit., p. 706.
65
Berselli, E.; 2003, Post-italiani. Cronache di un paese provvisorio,
cit., p. 472.
96
Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere
in un momento cruciale dell‟evoluzione democratica del
nostro paese, tra sottili schermaglie politologiche e scontri
incandescenti nello staff e fra i desk –di Repubblica, si
intende- Ezio Mauro non si è limitato a descrivere
l‟avvitamento e la caduta del centrosinistra, o a deprecarne
gli esiti, si è assunto anche il ruolo di teorizzatore della
“nuova fase”. […] Questa vocazione politica si rivela in
numerose altre occasioni. È un riflesso automatico, la spia
di un‟intenzionalità marcata66.
Come giornalista, Berselli ha ricevuto nel giugno 2008 il
premio Viareggio Terza pagina per il giornalismo culturale e
nel novembre 2008, a Ravenna, sempre per la sezione
cultura, il premio giornalistico Guidarello.
Berselli lascia simbolicamente a Liù, il suo cane,
protagonista del suo ultimo manoscritto, una piccola
considerazione sui direttori di giornale. Li cita a più riprese
e, per dovere o per piacere, ne porterebbe una buona parte
alla “festa ideale” che conclude il medesimo libro, ma poi li
definisce «gente corrotta, che si riferisce di continuo a criteri
civili e democratici altissimi per poi esercitare pratiche
immonde, dettate dal cinismo che viene dalla consuetudine
degli incallimenti della professione»67.
Un‟affermazione che, senza dubbio, obbliga a una
riflessione perché, come afferma Franco Marcoaldi,
66
67
Ivi, p. 473.
Berselli, E.; 2009, Liù. Biografia morale di un cane, cit., p. 1326.
97
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
si ha la sensazione che l‟arrivo di Liù abbia portato
definitivamente a galla desideri, intuizioni, pensieri, che in
realtà covavano da tempo. Che ora vengono esplicitati,
messi nero su bianco. E condotti fino alle estreme
conseguenze. Una volta per tutte, sembra essere arrivato il
momento di scendere dai cieli dell‟idealismo per posarsi
finalmente a terra e trovare le soluzioni dove le stai
cercando68.
2.3.4 Berselli, la tv, il teatro
La carriera di Edmondo Berselli non finisce qui. Ha
collaborato con la Rai in diverse occasioni: i programmi
Giù al nord nel 2007 e il sequel, venuto l‟anno successivo,
Su al sud sino ad arrivare all‟ultimo Un paese chiamato Po.
Giù al Nord propone un ideale viaggio a tappe attraverso
terre e città, dalla provincia lombarda al Friuli Venezia
Giulia, da Genova a Torino, da Milano a Venezia, attraverso
la via Emilia, mettendo in una relazione significativa eventi
e personaggi che oggi, con la distanza storica necessaria, si
rivelano punti chiave nella trasformazione italiana.
Ogni puntata di Giù al nord si snoda tra il materiale di
repertorio, in un gioco di incastro, analogia e opposizione, a
cui si accostano i commenti di Edmondo Berselli attraverso
un filo conduttore che riprende temi ed episodi di alcuni
suoi libri come Quel gran pezzo dell'Emilia e Canzoni.
Storie
dell'Italia
leggera.
Ai documenti di archivio come inchieste giornalistiche e
68
Marcoaldi, F., introduzione, in Berselli, E.; 2011, Quel gran pezzo
dell’Italia, Milano, Mondadori, p. XXX.
98
Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere
sequenze di trasmissioni televisive, si intervallano interviste
fatte ex novo a testimonial particolarmente significativi per
cultura, professione e radicamento nella loro realtà, come
Ermanno Olmi,
Fedele Confalonieri,
Giampaolo
Ormezzano, Giannola Nonino e il Cardinal Tonini.
In Su al sud Edmondo Berselli ci porta alla scoperta dei
contributi artistici, letterari, musicali e intellettuali, che il
Sud ha saputo produrre dal dopoguerra fino ai giorni nostri.
Su al sud è un itinerario in otto tappe che parte da Napoli, si
sposta in Sicilia e si chiude in Puglia. Un viaggio in un‟area
fisica e culturale calda e intensa, che aggiunge un
importante episodio al percorso iniziato con Giù al Nord.
Un sud, quello del programma, osservato e raccontato da
persone del Nord che in forza della distanza materiale e
intellettuale che li divide dagli eventi, dalla storia e dal
luogo provano ad offrirne una lettura e un racconto originale
e appassionato. Osserva Edmondo Berselli:
esce da questa ricostruzione una specie di rappresentazione
del pensiero “meridiano”, una luce ideale, mediterranea,
soffusa intorno a tutti gli eroi. Perché il Mezzogiorno è
fatto dagli individui, ma ogni individuo del Sud è
circondato dall‟alone della sua terra, del cielo, del suo
mare69.
Un paese chiamato Po, infine, è un viaggio nei luoghi, nelle
grandi città, nei piccoli centri, nella campagna, nei distretti
industriali e nella loro gente, ma soprattutto nel fiume e nei
suoi personaggi. Un viaggio in sei puntate dalla sorgente al
69
http://www.rai.it/ – ultima consultazione 25 novembre 2011.
99
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
delta del fiume più lungo d'Italia che Rai Due inserisce in
seconda serata. La trasmissione si snoda tra contributi
inediti documenti provenienti dall'archivio Rai Teche e da
altri archivi pubblici e privati. Materiale originale che
comprende storiche trasmissioni televisive, film, backstage,
documentari e reportage. A scrivere e a condurre il
programma non poteva essere che Berselli, intellettuale
atipico, convinto sostenitore del nazional-popolare. A fare
da spunto e riferimento al programma è un cult della Rai di
cinquant‟anni fa, Viaggio lungo la Valle del Po 70 di Mario
Soldati. Gli ospiti invitati a riflettere sul fiume definito dallo
stesso Soldati «più lungo, più bello, più caro» sono molti:
Gad Lerner, Gianni Vattimo, Gualtiero Marchesi, Luca
Cordero di Montezemolo, Zucchero, Caterina Caselli,
Michele Serra, Gene Gnocchi, Alessandro Bergonzoni,
Ermanno Olmi, Carlin Petrini, Carlo Rossella, Mirella Freni.
Tutta “gente di fiume”.
Oltre ciò, ha scritto due spettacoli con Shel Shapiro, in quale
li ha anche portati sul palcoscenico: Sarà una bella società e
Beatnix.
Sarà una bella società è datato 2007 . Nasce in teatro, dalla
musica e dalla scrittura, e torna alla scrittura con il libro, per
vivere negli spettatori e lettori. L‟intento sembra essere
quello di far rivivere, proprio come in un viaggio sulla
70
Mario Soldati (1906-1999) è stato uno scrittore, regista e
sceneggiatore italiano. Nel 1956 è l'ideatore, regista e conduttore
dell'inchiesta televisiva: Viaggio lungo la Valle del Po, una delle
trasmissioni più originali della TV degli inizi, considerata un documento
d'importanza antropologica: con il Soldati del viaggio sul Po nasce in
Italia la figura del giornalista enogastronomico.
100
Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere
macchina del tempo, i fermenti che hanno reso unici gli anni
sessanta che pervadono e influenzano ancora oggi il nostro
modo d'essere.
Sarà una bella società realizza un piccolo sogno ad occhi e
orecchie aperti: ripercorrere a suon di musica la crescita di
una nazione, l'esplosione dei movimenti giovanili,
l'apparizione di alcuni simboli generazionali diventate poi
pietre miliari del nostro immaginario. Una sola persona
poteva essere il cantore ideale di questa grande idea di
Edmondo Berselli e quella persona è Shel Shapiro, icona
beat, irripetibile evocatore del sentimento del tempo71.
Con queste parole Aldo Grasso apre la sua introduzione al
libro, rendendo subito l'idea del mondo e delle atmosfere in
cui ci si immerge fin dalle prime righe di lettura. Ad
arricchire il libro, oltre all'introduzione di Aldo Grasso, ci
sono i contributi di Gino Castaldo, Paolo Carmignani e
Moni Ovadia.
Beatnix, invece, è uno spettacolo andato in scena per la
prima volta nel 2011, postumo. Può essere, anch‟esso,
considerato un viaggio attraverso i mutamenti sociali di
un‟epoca, quella degli anni sessanta, per tentare di
riavvicinare un periodo storico che per molti ha costituito un
passaggio epocale nel costume e nella cultura, i cui segni
rischiano di allontanarsi dal nostro orizzonte.
71
Berselli, E., Shapiro, S.; 2009, Sarà una bella società, Bologna,
Promo Music.
101
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
Edmondo Berselli è scomparso l‟11 aprile 2010, dopo aver a
lungo lottato contro al tumore al pancreas che lo ha vinto.
2.4 Berselli dopo Berselli: postfazione di una vita
Dopo la morte dell‟autore, sono stati molti i pensieri di
commiato a lui dedicati. Oltre a una schiera pressoché
incalcolabile di articoli ed editoriali su ogni tipo di giornale
o rivista, scritti da amici, ammiratori e “seguaci”, sono stati
pubblicati tre saggi postumi: L’economia giusta, edito da
Einaudi nel 2010, L’Italia nonostante tutto, il Mulino, 2011
e Quel gran pezzo dell’Italia, Mondadori, 2011.
Di questi abbiamo già parlato a lungo, non abbiamo invece
accennato allo spettacolo teatrale Quel gran pezzo
dell’Italia, una retrospettiva berselliana portata in scena da
Ennio Fantastichini nell‟aprile 2011. Quel gran pezzo
dell’Italia è un‟opera voluta e immaginata da Edmondo
Berselli. Tutti i suoi scritti, da Canzoni a Post Italiani , a
Quel gran pezzo dell'Emilia e Sinistrati, concorrono in vario
modo a comporne il testo. L'adattamento teatrale è stato
realizzato da Marzia Barbieri e Andrea Quartarone.
In scena, Ennio Fantastichini dà voce al protagonista dello
spettacolo, che ripercorre le tappe salienti della vita, dalla
giovinezza tra Emilia e Trentino durante l‟Italia del boom
economico, passando attraverso il Sessantotto, per
approdare alla seconda Repubblica e al berlusconismo che
segna la fine dell‟utopia.
102
Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere
Foto, immagini d‟archivio e brani di musica leggera
contribuiscono al dipanarsi del racconto dell‟Italia dei postitaliani, dei venerati maestri e dei tiri mancini.
Postumo è anche lo spettacolo Beatnix, recital scritto da
Edmondo Berselli e Shel Shapiro, che ne è anche interprete,
incentrato su racconti, musiche e poesie della Beat
Generation. Il recital racconta l‟America attraverso tre
decenni. Dalla grande depressione del 1929 quando la crisi
economica mette il paese in ginocchio, alla rinascita degli
anni ‟50 in cui fanno la loro comparsa gli scrittori della Beat
Generation: Borroughs, Corso, Ferlinghetti, Ginsberg,
Kerouac, McClure a spazzare via le convenzioni dell‟epoca,
fino all‟America dei grandi raduni democratici, in cui i
giovani si battono per i diritti civili, per una società più
libera, contro la guerra e la segregazione razziale, e in cui
nasce la stella di Bob Dylan. È andato in scena postumo, la
prima è stata rappresentata al teatro Ambra Jovinelli di
Roma il 12 aprile 2011.
Beatnix e Quel gran pezzo dell’Italia sono due spettacoli
che restituiscono la cifra e il pensiero di un intellettuale
eclettico, che più di altri ha saputo interpretare la
complessità e i profondi mutamenti della società moderna
dal secondo dopoguerra ad oggi.
Infine ci è stato rivelato il progetto della costituzione di una
“Fondazione Berselli”.
Berselli era un uomo molto ordinato, teneva tutto e si sta
pensando di raccogliere tutto il materiale che lo riguarda e di
istituire una fondazione a suo nome. Purtroppo questo è
ancora un traguardo molto lontano, servono risorse e molto
103
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
tempo per portare a termine un progetto così ambizioso, ma
è nelle intenzioni della moglie, Marzia Barbieri Berselli,
riuscire in questo intento.
104
Edmondo Berselli e il Mulino
Capitolo III – Edmondo Berselli e il Mulino
3.1 Il rapporto con la “società editrice”
La collaborazione di Berselli con il gruppo dei “mulinisti” si
snoda su diversi piani, ma, in particolare, lo vede coinvolto
dapprima nelle attività della casa editrice e successivamente
della rivista.
L‟editrice il Mulino fu fondata nel giugno 1954. Luigi
Pedrazzi afferma che la sua creazione avvenne quasi per
caso.
Era intervenuta in realtà una circostanza fortunata: lo
stabilimento del Resto del Carlino soffriva di tempi morti
tipografici, e i giovani del Mulino se ne avvalsero per
stampare alcuni «quaderni», fra i quali un saggio di
geografia elettorale firmato da Compagna e De Caprariis.
Cavazza, il manager del gruppo, aveva intanto fatto un
lungo viaggio negli Stati Uniti, entrando in contatto con
intellettuali di area postrooseveltiana. Era appena passata
una legge per finanziare iniziative di cultura americana
all'estero. Cominciarono a uscire così, per la nuova casa
Editrice, classici della democrazia moderna, testi di
storiografia e sociologia d'Oltre Oceano. Per il resto, la
continuità con la rivista era rigorosa: storia, filosofia,
politica, sociologia, letteratura1.
1
Ajello, N.; 2001, Il Mulino. Compie cinquant'anni la rivistalaboratorio dell'Italia che cambia, «la Repubblica», 9 Aprile, p. 27. In
105
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
Berselli arriva al Mulino venticinque anni dopo, 1976.
Come afferma Bruno Simili «Edmondo ha iniziato facendo
la gavetta e ha finito facendo parte della direzione editoriale
della Società Editrice che è un organo composto da una
decina o ventina di persone a seconda dei periodi»2.
Cerchiamo ora di ricostruire i passaggi di questa crescita
professionale all‟interno dell‟Editrice bolognese.
Berselli inizia la sua esperienza come correttore di bozze
sotto la guida di Lucia Nicoletti e nei primi cinque anni di
esperienza al Mulino cresce nell‟ambito editoriale, sino a
diventare redattore. Nel 1981 diviene capo ufficio stampa e
pubblicità sostituendo Giuseppe Lovato. Occuperà questa
posizione fino al 1985 quando gli succederà Ugo Berti
Arnoaldi.
È nello stesso anno che Berselli diventa assistente al
consigliere delegato3 della “società editrice”.
Solo un anno dopo, nel 1986, entra a far parte dello staff
dell‟omonima rivista, con il prestigioso ruolo di capo
redattore.
Nel 1990 viene nominato membro del comitato direttivo
della biblioteca e nel 1995 vice direttore nel comitato di
direzione della rivista. Cinque anni dopo, nel 2000 Berselli
viene cooptato nel comitato di direzione della rivista e cessa
di essere dipendente della “società editrice” per poi
proseguire il suo lavoro nello staff del periodico.
questo articolo Nello Ajello alterna alle sue riflessioni un‟intervista a
Luigi Pedrazzi.
2
Intervista a Bruno Simili, febbraio 2011, Bologna, cit., qui, p. 204.
3
L‟amministratore delegato della “società editrice”.
106
Edmondo Berselli e il Mulino
Fin qui dati e numeri.
Afferma Bruno Simili: «nonostante Berselli abbia lavorato
principalmente per la rivista, non va dimenticato il suo ruolo
di primo piano nella direzione editoriale al fianco di colui il
quale lo stesso Edmondo definisce nei suoi libri “deus ex
machina”4 della “società editrice”: Giovanni Evangelisti»5.
3.1.1 La Figura di Evangelisti
Giovanni Evangelisti nasce a Bologna il 18 giugno 1932 ed
è indubbio che la sua infanzia venga profondamente segnata
dall‟epoca fascista e dagli avvenimenti della seconda guerra
mondiale, particolarmente cruenti, soprattutto nella fase
finale, proprio a Bologna e su tutta la parte emiliana della
linea gotica.
Proprio al termine del conflitto mondiale inizia a frequentare
il liceo scientifico Righi nella città natale, per poi trasferirsi
nel capoluogo toscano per proseguire gli studi presso
l‟ateneo fiorentino.
Qui si laurea in Scienze Politiche e pochi anni dopo, intorno
al 1955, venne a contatto con i giovani mugnai Bolognesi,
con i quali, dopo aver contribuito anche personalmente alla
costituzione della “società editrice” rimase per ben
quarantaquattro anni direttore editoriale, amministratore
delegato e, in fin dei conti, factotum. Dal 1964 al 4 ottobre
2008, giorno in cui ha perso la vita.
Ricorda Luigi Pedrazzi che incontrò per la prima volta
Giovanni Evangelisti negli anni Cinquanta, alla
4
5
Berselli, E.; 2009, Liù. Biografia morale di un cane, cit., p. 1326.
Intervista a Bruno Simili, febbraio 2011, Bologna, cit., qui, p. 204.
107
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
presentazione del numero 71 della rivista de “il Mulino”. Il
primo scambio con quel giovane studioso, impegnatissimo
nel movimento degli scout, fu, a detta dello stesso Pedrazzi,
indimenticabile:
ricordo bene, era un numero dedicato all' organizzazione
dell'Università italiana, in pieno boom della
scolarizzazione. Lui, alla fine dell' incontro, venne a
parlarmi e disse che nel lavoro c'erano alcune inesattezze,
che i dati erano incompleti. Mi piacque subito, le sue
erano critiche ostinate ma costruttive, "dall' interno". Mi
feci dare il nome di quel simpatico piantagrane. E pochi
giorni dopo lo volli vedere6.
E questo incontro si rivelò determinante per il futuro del
Mulino e dello stesso Evangelisti.
Quello di Evangelisti fu il primo contratto fatto dall'
editore a un intellettuale. E un intellettuale molto
speciale: Giovanni sapeva tutto, leggeva tantissimo ma
conosceva bene le regole del mercato dell' editoria. E
aveva un' immensa energia. Il '64 fu l' anno del grande
passo, della scommessa: comperammo la proprietà della
“società editrice”, io avevo avuto una piccola eredità, ma
tutti, anche Evangelisti, mettemmo una quota. Istituimmo
una fondazione e ognuno di noi contava per uno, non in
base a quanto aveva versato. Giovanni ci credeva, fu lui a
dirmi "compriamo", anche se i rischi erano tutti suoi,
perché noialtri avevamo un altro lavoro. Aveva visto
6
Gulotta, C.; 2008; Pedrazzi e l’amico di una vita fu lui a dirci
diventiamo editori, «la Repubblica-Bologna», 5 ottobre, p. 5.
108
Edmondo Berselli e il Mulino
giusto, e se il Mulino oggi pubblica 40 riviste
specialistiche e 200 libri l' anno, molto, tantissimo, lo
dobbiamo proprio a lui7.
La figura di Evangelisti si fa sempre più chiara leggendo le
parole a lui dedicate dopo la sua morte dai suoi collaboratori
più stretti: da Pasquino a Pedrazzi a Marco Marozzi, sino ad
arrivare allo stesso Berselli.
Afferma il primo:
grandissimo lavoratore, attento e meticoloso, finché gli fu
possibile, vale a dire fino a quando il numero di libri da
pubblicare non divenne grandissimo, seguiva i libri che la
casa Editrice avrebbe pubblicato dalla presentazione ad
opera dell‟autore alla scelta della collana e della
copertina. Attorno a lui ruotava un gruppo di intellettuali
che riusciva a coinvolgere, conoscendone pregi e
debolezze, sapendo come trattarli, con chi scherzare e con
chi mantenersi sulle sue. Senza di lui, senza il suo senso
pratico di organizzatore e di manager, senza la sua
cordialità e generosità, quel gruppo non avrebbe potuto
coagularsi e mantenersi8.
Questo “esercizio mnemonico” può apparire poco utile ai
nostri fini, ma, in realtà, si rivelerà un passaggio chiave per
la nostra ricerca, perciò proseguiamo nella descrizione
dell‟Evangelisti, ora per mezzo delle parole di Marco
7
Ibidem.
Pasquino, G.; 2008, Addio infaticabile e curioso cittadino Evangelisti,
«la Repubblica - Bologna», p. 12.
8
109
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
Marozzi, il quale, dalle pagine di «la Repubblica –
Bologna» afferma:
era un bolognese assolutamente anomalo, Evangelisti,
appartato, appartatissimo, silente. Eppure se mai esiste un
maestro di volontà che forse a lui non sarebbe piaciuto
chiamare ottimismo, lui lo era. La storia di Bologna […]
passa attraverso la figura di quest‟uomo che quasi
nessuno nella città dell‟apparire conosce. […] Evangelisti
ha guidato la sua “casa” di pensieri, analisi e libri […]
convinto che fosse la cultura alta a indicare le strade,
insieme però capace di capire e gestire la sua discesa in
una quotidianità non sbracata. Gli piacevano i libri di
grande immagine accademica, profondi, sistemici, di forte
identità, “invendibili” lo accusava a volte qualcuno
persino tra gli amici. I “fondamentali” di un mondo in
movimento. Battagliava per traduzioni complicate,
costose, ma che secondo lui facevano traccia. […] Lui,
figlio di famiglia modesta, che per tutta la vita mostrava
come massima apparizione pubblica la foto di alcuni
momenti in serie A nella Virtus Basket. Sala Borsa. Anni
Cinquanta. Una umanità che usciva e diventava più
affascinante proprio perché inimmaginabile. Come nel
piacere della tavola o nel “lei” che usava spesso in un
mondo invaso dal “tu”. Ma con un rapporto fin fisico, la
battuta, la stretta che rendeva tutto nobile e da
rimpiangere9.
Ernesto Galli della Loggia, ancora, lo descrive come «un
accentratore geniale, un padre-padrone amatissimo, capace
9
Marozzi, M.; 2010, Addio al genio di Edmondo che illuminò questi
portici, «la Repubblica – Bologna», 12 Aprile, p. 1.
110
Edmondo Berselli e il Mulino
di legare a sé passando da rimbrotto al sorriso: un uomo di
generosità e di partiti presi, come è nella tradizione dei
grandi capitani d‟industria con cui pure aveva ben poco da
fare»10. Arriviamo, poi, alle parole del Berselli che il 5
ottobre 2008, dalle pagine di «Repubblica», racconta:
quando verrà l‟occasione di un bilancio dell‟ultimo
mezzo secolo di editoria, sarà bene mettere a fuoco la
figura di questa personalità poco avvezza al palcoscenico,
ma capace di svolgere dietro le quinte un lavoro di
eccezionale qualità, con una dedizione accanita e la
convinzione che ciò che conta nella cultura non è lo show
system, ma il catalogo, i programmi, le idee. […] Con il
pragmatismo feroce e la verve che certi emiliani
dissimulano sotto lo humor padano, cominciò a
trasformare un divertissement in un‟azienda. […] non
appena la liberalizzazione degli accessi, nel 1969, aprì la
strada all‟università di massa, Evangelisti accentuò
l‟identità plurale della casa Editrice per farne lo
strumento di una classe dirigente in fieri. In vista di
questo scopo, ebbe due riferimenti: da un lato il rapporto
con le intelligenze emergenti, a cui spalancò tutte le
porte; dall‟altro l‟idea che occorresse trasformare il
sapere e la ricerca in programmi editoriali, cercando e
perfino “formando” un pubblico. […] “Il Mulino è un
porto di mare”, replicava quando qualcuno gli chiedeva il
segreto della convivenza fra le personalità più diverse, in
un‟Italia dominata da egemonie paranoiche […] l‟Editrice
10
Galli Della Loggia, E.; 2008, Addio a Giovanni Evangelisti, il
guardiano del «Mulino», 05 ottobre, p. 35.
111
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
bolognese è stata a lungo la rete dei rapporti, delle
discussioni, dei progetti che Evangelisti aveva suscitato11.
Il titolo di “deus ex machina” 12 della “società editrice”,
sembra, quindi, non essere affatto casuale. Dalle parole delle
personalità che hanno lavorato a stretto contatto con
Evangelisti emerge il suo ruolo di primissimo piano nella
nascita e nella crescita non solo della casa editrice, ma di
coloro i quali sono cresciuti professionalmente al suo fianco.
Tra questi, troviamo certamente Berselli. È risaputo che
quando un capo stima un subalterno, spesso, gli rende la vita
difficile, quasi impossibile, certo che le sue capacità possano
risolvere ogni tipo di difficoltà. Sembra che Evangelisti, con
Berselli, facesse proprio questo. E lo stesso vale per
l‟allievo: la “genialità” del direttore editoriale era,
probabilmente, così lampante da costringere il giovane
Edmondo a sopportare ogni tipo di “prepotenza”, perché, si
sa, ai geni, per giunta carismatici, si concede tutto. Un
rapporto di amore odio, conflittuale per tanti aspetti, ma di
grande affetto per altri. Come scrive Berselli, nel backstage
del libro Liù:
sono stato una vittima, forse la principale, di Giovanni
Evangelisti, il geniale e capriccioso deus ex machina
dell‟Editrice bolognese, singolare figura di grasso
nevrotico, nonché inventore di un metodo di lavoro che
fingeva di affidare agli altri il potere, attraverso un
carosello vorticoso di comitati e gruppi di lavoro, mentre
11
Berselli, E.; 2008, Addio Evangelisti, anima del Mulino, «la
Repubblica», 05 ottobre, p. 12.
12
Segue in pagina successiva.
112
Edmondo Berselli e il Mulino
in realtà il bastone del comando veniva tenuto saldamente
ed esclusivamente da lui, senza mai un tentennamento.
Soltanto con il tempo, e dopo essere uscito dalla casa
Editrice, mi sono accorto che, come il Duce, Evangelisti
aveva sempre ragione, soprattutto quando discuteva con
me, e ho cominciato a volergli bene perché non c‟era più
bisogno di litigare per accettare il suo punto di vista.
Il metodo di lavoro del bolognese e quindi diplomatico e
bottegaio Evangelisti consisteva nel fare scomparire i
problemi (libri non pubblicati, decisioni non prese)
infilandoli negli ordinatissimi cassetti della sua scrivania.
Talvolta, però, il problema manifestava una irritante
tendenza a riemergere alla superficie e alla coscienza del
mondo. L‟autore maltrattato o dimenticato si faceva
sentire. Evangelisti, allora, spediva lettere patetiche,
accampando malattie lunghissime che avevano reso
impossibili le decisioni di collana e commerciali, in
seguito all‟impossibilità di comunicazioni con il consiglio
d‟amministrazione e la rete commerciale. Infine, quando
il caso diventava rognoso, saliva su una macchina blu,
raggiungeva il problema e trovava un precario accordo,
che gli consentiva di riporre nuovamente il problema
editoriale nel solito cassetto per un altro paio d‟anni, in
attesa di tempi migliori, la morte dell‟autore, o
un‟opportunità politica che avrebbe consentito una bella
cerimonia romana “in onore di”, alla presenza di Amato,
Scoppola, Nino, Romano, Giugni, Rodotà, Cassese, De
Mauro e tanti altri amici impegnativi da cui cercava
sempre di fuggire. 13
13
Berselli, E.; 2009, Liù. Biografia morale di un cane, cit. pp.13261327.
113
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
Evangelisti per Berselli fu una guida. Un punto saldo, una
base d‟appoggio di cui si fidava ciecamente. L‟allievo per il
maestro. Una squadra. Forse questo il modo migliore per
definire il rapporto tra i due. Una squadra che, una volta in
più, ha dimostrato la sua forza nel momento in cui
Evangelisti è stato direttore anche della rivista, con Berselli
come capo redattore.
Gli anni a cui facciamo riferimento vanno dal 1991 al 1994.
Afferma Simili:
Edmondo entra alla rivista come redattore capo con
Matteucci. Da lui impara molte cose, soprattutto dalla sua
presenza fisica in queste stanze: direttore autoritario e di
polso che faceva una rivista di un certo livello, anche
abbastanza difficile, lo si può notare dai sommari dei
numeri da lui diretti.
Ma negli anni 90 la rivista ha il suo maggiore
cambiamento. Con direttore Evangelisti, il periodico
cambia in maniera nettissima, con un taglio davvero
diversissimo: pezzi più brevi, si decide (cosa che rimane
fino al 2008) di creare il blocco, ovvero alcuni articoli su
un tema definito per ogni numero, un focus tematico.
Inoltre, essendo Evangelisti direttore non solo della
rivista, ma anche direttore editoriale della “società
editrice”, non ha difficoltà a mettere a disposizione un po‟
di risorse per la produzione, la ricerca, la pubblicità 14.
Parlare di “ruolo chiave” appare dunque riduttivo, nel
parlare del rapporto tra Giovanni Evangelisti e il Mulino
tutto. Come scrive Barbara Bechelloni:
14
Intervista a Bruno Simili, febbraio 2011, Bologna, cit., qui, p. 212.
114
Edmondo Berselli e il Mulino
Giovanni Evangelisti è stato per anni fino alla sua
scomparsa uno dei principali animatori di questa realtà
editoriale formata dall‟incontro tra cattolici, democratici,
socialisti e liberali. Il gruppo è diventato nel corso degli
anni piuttosto potente, sia sul piano accademico, sia su
quello editoriale. In alcune discipline più di altre, in una
prospettiva per così dire di centro-sinistra.
Evangelisti è una delle persone che di più, in Italia, ha
impersonato l‟editoria di cultura, in particolare quella
orientata verso l‟università. Prima di altri il Mulino ha
creato sistematici contatti con l‟università per sapere dove
le discipline erano presenti, ha scritto regolarmente ai
professori di quella disciplina, tenuto conto delle
adozioni, deciso il numero delle copie da stampare in
funzione di queste adozioni, insomma ha messo insieme
le potenzialità.
Un lavoro organizzativo a ridosso della stampa e delle
decisioni connesse alla pubblicazione dei libri che
venivano sempre prese da gruppi limitati di persone, da
veri e propri comitati, con riunioni regolari, così come
dalle redazioni o direzioni delle riviste. Talvolta questi
comitati coincidevano con quelli delle riviste, oppure
parzialmente si sovrapponevano [...]. Quasi sempre le
riunioni si facevano a Bologna ed erano, e ancora oggi
sono, occasioni di incontro tra redattori, curatori e casa
Editrice. Il Mulino si è articolato per anni con Giovanni
Evangelisti, direttore editoriale e […] con un gruppo di
donne molto dedite che si occupavano di alcuni libri e
delle riviste, mantenendo i diversi contatti15.
15
Bechelloni, B.; 2010, Università di carta, Milano, Franco Angeli, p.
196.
115
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
Ma queste pagine, oltre a descrivere un personaggio,
servono anche a comporre un piccolo elenco. Un piccolo
elenco di caratteristiche con le quali viene descritto
Evangelisti da coloro che lo conoscevano da vicino. Lo
riportiamo, almeno in parte: simpatico piantagrane,
tuttologo, lettore accanito, intellettuale molto speciale, uomo
con un‟ immensa energia, espertissimo del mercato
dell'editoria, grandissimo lavoratore, persona attenta e
meticolosa, coinvolgitore, conoscitore dei pregi e delle
debolezze altrui, uomo dal grande senso pratico, cordiale e
generoso, figlio di famiglia modesta, appassionato di sport,
amante della buona tavola.
Le stesse parole sono state spesso utilizzate per descrivere
anche un altro personaggio: Edmondo Berselli
Certamente Berselli ed Evangelisti erano accomunati da
affinità culturali; ma anche delle doti comuni di base, figlie,
quasi certamente, di una simile provenienza sociale e
geografica, ma anche di un interesse per il mondo, per la
conoscenza, di un senso del dovere nei confronti del lavoro
assoluto e dalla necessità di andare ben oltre le luci della
ribalta, costruendo non per fama, ma per passione.
E se è vero, e ci perdonerete il ricorso ai modi di dire, che,
come dice qualcuno, chi si assomiglia si piglia, è altrettanto
vero che chi è troppo simile finisce per litigare.
Forse è questa l‟unica soluzione possibile per descrivere il
rapporto tra questi due uomini.
Non è, certamente, un caso che Bruno Simili confessi, fuori
dai denti, che
116
Edmondo Berselli e il Mulino
Edmondo era l‟unico qui al Mulino che avrebbe potuto
sostituire Evangelisti e svolgere il ruolo determinante che
egli aveva. Questo per una semplice ragione: Edmondo
era una delle poche persone che conosceva bene sia la
macchina editoriale che l‟Associazione
e se, come abbiamo detto fin ora, la macchina editoriale era
personificata da Evangelisti, per deduzione, Berselli
conosceva la realtà il Mulino come solo un allievo conosce
il suo maestro dopo decenni di lavoro insieme.
Ci sembra, comunque, necessario ricordare che Evangelisti
non fu certo l‟unico maestro del Berselli all‟interno del
gruppo dei mugnai: Nicola Matteucci, Ezio Raimondi,
Federico Mancini hanno segnato a fondo la sua forma
mentis.
3.1.2 Da tecnico a letterato
Berselli, non ebbe solo ruoli tecnici all‟interno dalla “società
editrice”; dal 1995, al contrario, ne divenne un autore della
stessa, pubblicando il suo primo saggio: il libro Il più
mancino dei tiri.
Quando lo scrive, Berselli ha quarantaquattro anni: non è
più un ragazzino. Passo dopo passo ha scalato tutte le
posizioni della casa Editrice […]. Ma la raggiunta
maturità intellettuale, e le connesse responsabilità
lavorative, non oscurano affatto la sua invincibile vena
ludica e scapestrata. Al contrario, sarà proprio la nuova
sicurezza raggiunta nella scrittura a fargli compiere un
vero e proprio azzardo. A fargli scrivere un libro
stravagante, bizzoso, inclassificabile, degno compagno
117
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
d‟avventura dei titoli non meno eterodossi che compaiono
nella modesta collana Contrappunti16.
Il più mancino dei tiri è il dispiegamento di una rete
invisibile. E i nodi chiave di questa rete sono calcio,
politica, musica leggera e storia. Nodi apparentemente senza
legami, ma in realtà strettamente intrecciati secondo la
dimostrazione dell‟autore.
Quindi non è un libro solo sullo sport; al contrario è un libro
di allusioni, pretesti, nostalgia, di evasione, dissacrazione,
rivelazione e citazioni. Tutto insieme, in uno stesso
calderone. Un tappeto dai nodi fitti tessuto sapientemente.
Attraverso il calcio Berselli racconta un paese, l‟Italia, e
un'epoca, la preferita dell‟autore, gli anni sessanta, la storia
dello sport più seguito in Italia per raccontarne gli idoli, il
folklore di un tempo.
Il ricordo dell‟autore fa emergere la semplicità di quel
tempo, il gioco ironico del confronto tra ieri e oggi rimanda
a una favola perduta, a una “classe” di calciatori come di
uomini che sembra non esserci più. L'autore si diverte ad
accostare cose diverse, ad usare la metafora del calcio per
dipingere la storia di un paese, sempre più simile a quel
segmento sociale esemplare, nel quale predomina l‟idea
della vittoria ad ogni costo, quindi della sopraffazione per
guadagnare sempre più denaro.
Ma non è tutto. Volendo riportare, forse, uno degli esempi
più significativi del libro, con ironia graffiante Berselli
paragona l'azione perfetta del gol di Mariolino Corso che dà
16
Marcoaldi, F., introduzione, in Berselli, E.; 2011, Quel gran pezzo
dell’Italia, cit., p. XVII.
118
Edmondo Berselli e il Mulino
il titolo al libro e il movimento tripartito di Hegel: tesi, c'è
una storia, antitesi, non ce n'è alcuna, sintesi, ma già che
siamo qui possiamo sempre inventarcela. Siamo uomini o
fantasisti? Recita il risvolto di copertina:
Tutto comincia quando Mario Corso (il non dimenticato
“piede sinistro di Dio” e quasi certamente il responsabile
principale del fallimento del centro sinistra) parte il
dribbling dalla propria metà campo durante
un‟imprecisata partita all‟estero. Ma prima che
quell‟azione si concluda – con il più mancino dei tiri, con
il più beffardo ed eretico goal – si comporrà come per
incanto lo spaccato di un‟epoca, il carnevale di un
mondo: un popolatissimo affresco in cui compaiono
Luisito Suàrez e Aldo Moro, Felice Gimondi e Romano
Prodi (che erano affettivamente contemporanei, ma l‟uno
all‟insaputa dell‟altro), Giulio Andreotti e Raffaella
Carrà; e ancora, sistemati dentro e fuori quell‟epoca:
Mina e Proust, Fanfani e il Grande Blek, Gentile (il
terzino) e Heyek (il filosofo), e tanti altri. In parte saggio
sulla memoria, in parte romanzo di conversazione, in
parte repertorio di frasi e di demenze celebri, il libro è
anche un catalogo di personaggi che sfiorano il mito, di
magiche foglie morte, di azioni e finte irresistibili, di
luoghi comuni, dicerie, strafalcioni, strampalate stazioni
di una “via trucis” dell‟immaginario collettivo che
illuminano in modo esilarante una transizione. Sarà
proprio così? Sarà tutto vero? Ci si può fidare di uno che
dribblerebbe anche sua madre?17
17
Berselli, E.; 1995, Il più mancino dei tiri, cit., risvolto di copertina.
119
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
Ciò che contraddistingue maggiormente questo libro, però, è
la tecnica utilizzata dal Berselli. Egli sceglie, con queste
pagine, di fare un esercizio di memoria: non consulta testi,
non verifica date. Berselli vuole affidarsi solo e unicamente
a una delle sue maggiori doti: la funzione mnemonica.
Nel 2006, ben undici anni dopo la sua prima pubblicazione,
Il più mancino dei tiri viene ristampato da Mondadori e
l‟autore propone sul finale del volume un “Backstage
qualche anno dopo”. In queste pagine Berselli racconta che
il Tiro mancino ha avuto estimatori prestigiosi. Nessuno
di loro ha voluto credere che il libro fosse stato scritto a
memoria, anche se mi sbracciavo per convincerli.
Inutilmente segnalavo errori vari e imprecisioni
mnemoniche che erano restati nel testo a stampa. E
invece è proprio così. Il metodo era che scrivevo senza
verificare nulla, per un impegno preciso assunto con me
stesso; al massimo accertavo le correzioni che in corso
d‟opera i gentili lettori mi segnalavano. Di questo criterio
(Principio di non verifica) comprendo la sostanziale
assurdità. L‟arbitrio, la gratuitità, la vanità. Ma tutti noi
viviamo di atti gratuiti, di superstizioni quotidiane, di
fenomenologie apotropaiche, orientandoci faticosamente
dentro una segnaletica di dettami infondati che abbiamo
creato per complicarci la vita. […] Legge fondamentale
della scienza: si procede alla carlona, si formano teorie
qualsiasi, poi agisce una selezione darwiniana, qualcuno
mette un imprimatur sulla teoria meno improbabile e si
forma una scuola 18.
18
Ivi, quarta di copertina.
120
Edmondo Berselli e il Mulino
Il calcio è e rimane indubbiamente uno degli argomenti
preferiti di Berselli: un “osservatorio italiano” come cita il
titolo di uno dei blocchi della rivista de “il Mulino”19.
Ed è proprio all‟interno del medesimo blocco del numero
cinque datato settembre-ottobre 2002 che Berselli pubblica
l‟articolo Nudo come un pallone – Telenovele e barzellette
del calcio italiano, scritto a seguito del Mondiale giocato in
Corea nell‟estate e dopo un rinvio di ben due settimane del
campionato calcistico italiano a seguito di problemi dovuti
ai diritti televisivi.
La crisi nasce dal fatto che dopo investimenti non
commerciali le televisioni criptate intendono ridurre
l‟entità dei trasferimenti alle società calcistiche, e che
anche la Rai rimette in discussione il rapporto economico
con il calcio. Si può aggiungere che in una realtà meno
vischiosa di quella italiana, in una situazione di mercato
televisivo corretto, la mancata stipula del contratto con la
Rai avrebbe chiamato naturalmente in causa con
un‟offerta il concorrente della televisione pubblica, cioè
Mediaset. Che però è disgraziatamente una proprietà del
presidente del consiglio Berlusconi, a cui manca soltanto
di farsi accusare di avere approfittato delle difficoltà della
Rai. Inoltre, il neo-eletto presidente della Lega, il
geometra con pensione sociale Adriano Galliani, è anche
in procinto di assumere la carica di presidente del Milan
berlusconiano, e quindi la sua mediazione per trovare un
19
La rivista de “il Mulino” è suddivisa in diversi blocchi tematici che
sono mutati nel corso degli anni, ne riportiamo alcuni esempi:
“osservatorio italiano”, “osservatorio europeo”, “Mappamondo”,
“Database”.
121
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
accordo con la Rai era un funambolismo vertiginoso
dentro il conflitto d‟interessi.
Alla fine, dopo avere chiesto impudicamente al governo
lo stato di crisi, i ras ci mettono una pezza, il campionato
è salvo, si ricomincia. Il calcio nazionale resta più o meno
quello di prima. Con i suoi trecento procuratori, cioè gli
“agenti” dei calciatori (secondo la dicitura professionale
ufficiale), una categoria che presenta “nodi e sviluppi
capaci di far impallidire persino i conflitti d‟interesse di
Berlusconi e Galliani”.20
A questo punto Berselli cita un articolo apparso il 2
settembre dello stesso anno su «la Repubblica», scritto da
Maurizio Crosetti dove si afferma che altri soggetti hanno
emulato i doppi, tripli e quadrupli ruoli recitati dal
presidente
del
Consiglio
e
dal
suo fido scudiero in particolar modo in ambito sportivo,
dove la Gea (General Athletic), composta da figli di illustri
personaggi, è riuscita a intrecciare complicatissimi rapporti
societari, politici, finanziari, sponsorizzazioni e quant‟altro
grazie proprio alla rete di parentele, conoscenze e
frequentazioni degli ambienti che "contano"21.
Riprende a questo punto Berselli:
il che sarebbe un esempio delle modalità relativamente
comiche con cui viene gestita l‟ “industria” calcistica.
20
Berselli, E.; 2002, Nudo come un pallone. Telenovele e barzellette del
calcio italiano, «rivista il Mulino», n°5, p. 881.
21
Crosetti, M.; 2002, Mercato, affari e la grande lobby tutti i colpi dei
signori dieci per cento, «la Repubblica», 2 settembre, p. 38.
122
Edmondo Berselli e il Mulino
Ovvero di come il calcio sia una specie di ordinamento
feudale dentro la vita nazionale. Vassalli, valvassori,
valvassini, inviati dell‟imperatore, brancaleoni, bertoldi,
tagliagole. Una situazione divertente, per certi aspetti,
come poteva risultare divertente ed eccitante la vita
pubblica ai tempi della crisi della prima Repubblica, dei
nani e delle ballerine, dei ras dell‟immobilismo politico,
in attesa del disastro annunciato dalla cassandre.
[…] Nel frattempo si era alzata l‟ondata moralizzatrice. I
dissipatori si vestivano come da copione da risanatori.
Parsimonia negli stipendi, cautela negli acquisti. Niente
follie. Sobrietà, austerità e soprattutto decenza. Il 23
agosto, al Meeting di Comunione e liberazione di Rimini,
Silvio Berlusconi viene accolto da una claque politica che
scandisce un po‟ stancamente “Silvio dacci la luce”, e da
qualche tifoso milanista che implora. “Compraci Nesta”.
Accattivante come al solito, rilassato malgrado la brezza
gelata sui conti pubblici e le inquietudini popolari
sull‟inflazione “commosso, sbalordito, carburato”, il
presidente del Consiglio si rivolge paternamente alla
platea e spiega il nuovo trend. Bisogna fare tutti un passo
indietro, darsi una regolata. Per quanto riguarda l‟acquisto
di Nesta, la questione è molto semplice: “Se pò no”, non
si può. “Nel calcio siamo arrivati a livelli che non hanno
nulla di economico e di morale. Abbiamo sbagliato”.
Non tira più aria mecenatizia, non si può risolvere tutto
dicendo “ghe pensi mi”, non si possono più buttare i soldi
nella centrifuga del campionato. Il buon senso deve
finalmente prevalere. Applausi compiaciuti del popolo
ciellino.
Non conviene tirarla per le lunghe e illustrare il clima
virtuoso che sì è diffuso sui circenses calcistici. Meglio
passare direttamente alla conclusone: nel giorno di
123
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
chiusura di un mercato molto depresso […] Nesta? Lo
prende, ci mancherebbe, proprio il Milan, per 30,2
milioni di euro: un affare, rispetto alle quotazioni di un
anno fa; uno sciallo rispetto alla micragna corrente. E il
promesso risparmio? “Non ho ancora sentito Galliani”,
spiega Berlusconi da Elsinore, dove si trova per il vertice
dei ministri degli Esteri dell‟Unione europea, “ma lui ha
piena autonomia di spostare risorse e acquistare un
fuoriclasse che ha un costo maggiore, magari dismettendo
qualche giocatore che non serve”. […] È la “flessibilità
interna” dei bilanci. e il ministro degli Esteri ad interim
rafforza il concetto con un severo paragone istituzionale:
“Metteremo nella prossima legge finanziaria una norma
che consentirà, all‟interno di un ministero, spostamenti di
risorse di una certa percentuale all‟altra del dicastero.
L‟importante è che il bilancio resti entro i limiti
prefissati”.
Clemente Mastella, l‟uomo politico che passò agli annali
per aver detto di preferire i mercati rionali ai mercati
internazionali, e quindi dovrebbe avere una certa
conoscenza anche del calciomercato, emette la sentenza
definitiva: “Temiamo solo che le sue parole
sull‟economia e sull‟inflazione siano uguali al fermo e
deciso no all‟acquisto di Nesta pronunciato una settimana
fa”. Ma questo è il catastrofismo dell‟opposizione,
l‟abuso di critica che conduce alle self-fulfilling
prophecies, le profezie che avverano catastroficamente se
stesse.
La ripresa verrà, una volta o l‟altra. Il campionato non
parte? Il Cavaliere, uomo legatissimo al calcio, un giorno
lontano, quando i rossoneri avevano sconfitto la Steaua
Bucarest, chiarì il suo pensiero geotattico: “I valori
dell‟occidente hanno battuto il socialismo reale”. Di
124
Edmondo Berselli e il Mulino
questi tempi, invece, intervistato sulle domeniche senza
calcio, quella sagoma di Berlusconi l‟aveva già messa
sullo scherzo, mentre il vecchio bolscevico e disfattista
D‟Alema si imbarcava in sarcasmi su un governo
incapace perfino di fischiare il calcio d‟inizio del torneo:
“E‟ la rivincita delle mogli, delle fidanzate e del turismo:
la domenica si possono fare bellissime gite”. 22
Berselli dimostra così che l‟intreccio tra politica e calcio c‟è
e c‟è sempre stato. Lo si può negare oppure prenderne
consapevolezza. Con serietà, sì, ma anche con un pizzico di
ironia, così come fa lui.
L‟intransigenza dei fatti presentati con leggerezza, in fin dei
conti alla portata di tutti, non solo dei letterati del Mulino,
ma leggibili e comprensibili e, perché no, allettanti, per
chiunque trovi un volume sullo scaffale di una libreria,
pensa si tratti di un libro di calcio, e, invece, si ritrova a
leggere di ieri, di oggi, di noi.
Canzoni. Storia dell’Italia leggera, è il secondo saggio che
Edmondo Berselli pubblica con il Mulino, nel 1999.
Simili lo definisce “il filone beat” dell‟autore. In realtà la
passione per la musica è per Berselli l‟ennesimo modo per
osservare e analizzare la società nel suo evolversi nel tempo.
Libretto prezioso e acutissimo, Canzoni attraversa la musica
e in suoni della seconda metà del Novecento fingendo di
non voler fare concorrenza a storici e sociologi. Con uno
stile prettamente giornalistico, l‟autore, dopo aver esplicitato
22
Berselli, E.; 2002, Nudo come un pallone. Telenovele e barzellette del
calcio italiano, cit., pp. 883-884.
125
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
la sua consapevolezza che si tratti "solo di canzonette",
cerca di spiegare come tali canzonette non abbiano a che
fare solo con il costume nazionale, ma anche il fatto che nel
loro susseguirsi esse abbiano assecondato "come una
partitura collettiva" l'evoluzione del mondo contemporaneo.
Secondo criteri "minimalisti" Berselli traccia un bilancio,
dove a prevalere sono il gusto e, beninteso, la memoria,
quella stessa memoria che abbiamo già citato
precedentemente come una delle più grandi dote dell‟autore.
Ora specchio della realtà, ora fautrici dei cambiamenti, le
canzoni parlano attraverso i loro testi, Berselli le amplifica e
fa notare come "grazie ai veloci rewind della memoria - il
lettore può riascoltare - il suono concitato della
modernizzazione italiana"23.
Ne esce un‟opera in sei atti dove campeggiano le scuole
regionali dei grandi cantautori, i protagonisti, e i complessi
più o meno noti degli anni sessanta.
La storia si può cantare, con Mina e il beat dei capelloni,
con Mogol, Battisti, Vasco Rossi e Baglioni, fino a Max
Pezzali. E intorno a tutto questo emergono soprattutto le
storie collettive di un cambiamento che ha coinvolto più o
meno da vicino tutti gli italiani e via via ha modificato il
loro modo di essere. È così che Berselli suscita nei
connazionali interrogativi e riflessioni, esattamente come
stimola ricordi e nostalgie.
Certo, un‟analisi simile a quella che fa l‟autore, la potrebbe
fare anche uno storico, un sociologo, o un intellettuale dei
tanti nelle Università, ma
23
Berselli, E.; 1999, Canzoni. Storie dell'Italia leggera, cit., p. 10.
126
Edmondo Berselli e il Mulino
il fatto è che si vive ormai in una specie di politeismo
culturale che implica tolleranza verso praticamente tutto.
La perdita di riferimenti fa sì che anziché uno
smarrimento si provi di solito una sensazione
confortevole e spensierata: ciò che conta, ossia che piace
e che si canta, lo decidiamo noi. Se si vive nel
frammentario, nel relativo, nel contingente, se le scale di
valori sono arbitrarie, non è necessario puntare su
tematiche troppo impegnative e vincolanti.
E allora, se si accetta di stare sulla linea
dell‟intrattenimento, si potrà vantaggiosamente evitare di
offrire spiegazioni sul perché questo libro parla di
canzoni. […] Perché questa non è una storia, non è una
sociologia, e non è neanche un repertorio. Sono storie,
raccontate come ne sono capace, e in queste storie vivono
i protagonisti. Veri, poiché esistono o sono esistiti nella
cronaca: falsi, finti, immaginari, perlomeno in quanto li
ho immaginati io con le dovute immedesimazioni e
idiosincrasie, e a sua volta li ha immaginati il pubblico
inseguendo i suoi desideri24.
Nonostante Canzoni sia datato 1999, Berselli ha continuato
il suo parallelo tra musica, cultura e politica anche negli
anni successivi. Dalle pagine dei quotidiani per i quali ha
scritto, infatti, non ha mai mancato un‟occasione per
lanciare sassi, frasi, dettagli, analisi.
Portiamo ad esempio un trafiletto pubblicato il 25 agosto
2008 su «la Repubblica» intitolato Se il Pd cambia musica.
24
Ivi, pp. 97,98,101.
127
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
Perché non si senta la solita musica, alla festa nazionale
del Pd è stato lanciato lo slogan «meno Inti Illimani e più
Radiohead» (copyright delll' autore della playlist, Luca
Sofri). Aiuto, c' è un problema: perché il passaggio dalla
musica andina al rock più cerebrale sembra proprio la
sintesi simbolica del passaggio dal Novecento al Terzo
millennio, cioè dal calore latino al gelo cosmico dell'
odissea nello spazio, con tutti i rischi che ciò comporta.
Infatti la parabola sonora che va dalla tradizione all'
avanguardia comporta la messa fra parentesi di esponenti
significativi della musica popolare: benissimo i Coldplay,
i Pearl Jam, i Rem (che, accidenti, sono quelli di Losing
my religion, titolo terrificante per qualsiasi festa di
partito); ma se nel frattempo il popolo avesse voglia di
ascoltare, tanto per dire, il subcomandante Eros, nel senso
di Ramazzotti, e la pasionaria Laura, nel senso della
Pausini, che si fa, gli si dice di no? Forse è il caso di non
dimenticarlo, il popolo: magari la storia ha dimostrato che
non è vero che «jamas sera vencido», ma qualche diritto
lo conserva. E in ogni caso, per quanto riguarda la musica
di centrosinistra, mai dimenticare che l' importante, oggi
come ieri, sarebbe non finire suonati.25
Ci sono altri due libri editi il Mulino e a firma di Edmondo
Berselli, ma non possono essere considerati propriamente
inediti perché raccolte di saggi già comparsi sulla rivista de
“il Mulino”. Essi sono L’Italia che non muore del 1995, e
L’Italia nonostante tutto del 2011, già citati in precedenza.
25
Berselli, Edmondo; 2008, Se il Pd cambia musica, «la Repubblica»,
25 agosto, p. 25.
128
Edmondo Berselli e il Mulino
3.2 Il rapporto con la rivista
3.2.1 Come la rivista de “il Mulino” ha influenzato
Berselli: tra vecchi e nuovi “mugnai”
Come già ampliamente esplicitato, in origine furono Pier
Luigi Contessi, Fabio Luca Cavazza, Gianluigi Degli
Esposti, Renato Giordano, Federico Mancini, Nicola
Matteucci, Luigi Pedrazzi e Mario Saccenti. Poi la cerchia
con il tempo andò via via allargandosi e si aggiunsero:
Giorgio Galli, Pietro Scoppola, Ezio Raimondi, Romano
Prodi, Gianfranco Pasquino, Giovanni Evangelisti,
Alessandro Cavalli, Piero Ignazi ed altri autori.
Abbiamo cercato le tracce delle reciproche relazioni e
contaminazioni ed abbiamo pensato di rivolgerci
direttamente a lui, a Berselli. Gli abbiamo posto delle
domande cercando i nomi di questi personaggi nei suoi libri,
nei suoi articoli e cercando di metterli in interconnessione
tra loro utilizzando il web, il quale ci ha regalato diverse
sorprese.
Innanzi tutto il gruppo fondatore. Tra i vecchi “mugnai”,
Berselli sembra abbia avuto maggiori contatti con Cavazza,
Mancini e Matteucci e il primo di questi offre un ottimo
spunto.
Racconta, infatti, Berselli che uno degli aneddoti
maggiormente blasonati nelle stanze del “il Mulino”
riguarda proprio Fabio Luca Cavazza, bolognese, nato nel
1927 e morto nel 1996 dopo aver non solo fondato “il
Mulino”, ma anche riformato il giornale di Confindustria «il
Sole 24 ore».
129
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
In Quel gran pezzo dell’Emilia, l‟autore racconta che «Fabio
Luca Cavazza, uno dei fondatori del clan intellettuale,
spiegò durante un premio Viareggio come funzionava il
sodalizio bolognese: “Facciamo delle cene…” 26».
Apparentemente questo non ha nulla a che fare con Berselli,
se non fosse che gli amici, collaboratori e estimatori,
dell‟autore parlano, all‟interno di buona parte degli articoli a
lui dedicati, di come l‟autore avesse una capacità incredibile
di coinvolgere e progettare idee proprio attorno a una tavola
imbandita.
Inoltre, il Berselli stesso in più e più passaggi dei suoi libri
sottolinea l‟importanza delle colazioni con Ugo Berti o degli
aperitivi con Matteucci e di come spesso da questi piccoli
momenti conviviali, si generassero idee, riflessioni, per
raccogliere aneddoti e informazioni dai quali, spesso e
volentieri nascevano articoli, capitoli e libri interi.
Appare chiaro come Berselli avesse la particolare dote di
assorbire ogni genere di informazione e immagazzinarla, per
poi riutilizzarla nei momenti più impensati, perché come
spesso afferma la moglie, Berselli poteva parlare con
passione e competenza di Lippi e dopo due minuti montare
e smontare tesi filosofiche come solo un grande conoscitore
della materia può fare. Cosa significa, allora, il “Facciamo
delle cene” di Cavazza? Probabilmente proprio questo:
l‟occasione d‟incontro, informale, libero, aperto e gli
“scontri” seppur bonari che ne possono conseguire, il tutto,
tavola imbandita compresa, certamente in puro stile
emiliano.
26
Berselli, E.; 2004, Quel gran pezzo dell'Emilia. Terra di comunisti,
motori, musica, bel gioco, cucina grassa e italiani di classe, cit., p.562.
130
Edmondo Berselli e il Mulino
Da Cavazza passiamo a un altro personaggio storico de “il
Mulino”: Federico Mancini. Nasce a Perugia nel 1927, per
poi trasferirsi, prima ancora alla fine della Seconda guerra
mondiale a Bologna, dove nel 1949 si laurea in
giurisprudenza.
Oltre a essere cofondatore della rivista, è stato un docente
universitario a Urbino, Roma e Bologna. Nella sua vita è
stato eletto membro del Comitato centrale del Partito
socialista italiano, membro del Consiglio superiore della
magistratura e, infine, giudice della Corte di Giustizia delle
Comunità europee. Berselli cita abbastanza frequentemente
Mancini nelle sue opere, non per blasonarne le grandi doti
giuridiche, ma, soprattutto per la sua passione sportiva per il
Bologna calcio «veniva apposta dal Lussemburgo, dove
esercitava la sua finissima arte europea alla Corte di
giustizia, per vedere il Bologna che si arrabattava in serie B
o addirittura in C»27.
In particolare, Mancini «bello quasi come Cary Grant,
socialista raffinato»28, fu, per Berselli, di particolare aiuto e
spinta costante a continuare a scrivere il suo primo libro, il
già citato Il più mancino dei tiri. Scrive l‟autore nel
backstage al libro:
il più appassionato e anzi quasi fanatico dei lettori delle
bozze fu Federico Mancini, “sommo studioso del giure e
del contropiede” che mi telefonava da varie contrade
27
Berselli, E.; 2005, Ma a farci patire è il football, «la Repubblica –
Bologna», 05 giugno, p. 2.
28
Berselli, E.; 2004, Quel gran pezzo dell'Emilia. Terra di comunisti,
motori, musica, bel gioco, cucina grassa e italiani di classe, cit., p. 561.
131
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
d‟Europa per segnalare un errore, una svista o un suo
entusiasmo. Si era affezionato al gioco (forse per via del
nomen omen?). Poi Federico è morto, andandosene
lentamente e dolorosamente con uno stile da fuoriclasse,
senza nascondersi niente ma come se la faccenda non lo
riguardasse29.
Come anticipato dalle parole di Berselli, Mancini si spegne
a Bologna il 21 giugno 1999, ma nella formazione
dell‟autore sembra aver lasciato soprattutto un aspetto
fondamentale. Nonostante il suo ruolo di primo piano come
studioso, docente, giurista, conosciuto in tutta Europa,
Mancini non ha mai dimenticato la terra che lo ha cresciuto,
Bologna. E ha tenuto il contatto con essa non solo attraverso
l‟insegnamento universitario o il suo ruolo all‟interno
dell‟associazione «il Mulino», ma anche attraverso la “fede”
per la squadra di calcio della città. E non è un caso che
Berselli lo citi proprio per questo motivo in più e più parti
dei suoi racconti.
Sembra quasi che l‟autore, in un certo qual modo, si senta
autorizzato dal “maestro” Mancini a trattare argomenti che
possono essere considerati “bassi”, come il calcio.
Dobbiamo tener presente che l‟ambiente del Mulino è
composto prettamente da grandi letterati, tutti, o quasi,
docenti accademici, mentre Berselli non si è mai interessato
all‟insegnamento, rimanendo, perciò, agli occhi di molti, un
tecnico che stava facendo carriera. Mancini gli concede
appoggio e lo stimola a continuare nella sua stesura.
29
Berselli, E.; 1995, Il più mancino dei tiri, cit., p. 88.
132
Edmondo Berselli e il Mulino
Indubbiamente un elemento di influenza e incoraggiamento
concreto.
Infine, il terzo, Nicola Matteucci, è sicuramente uno dei
personaggi più importanti nella formazione professionale di
Edmondo Berselli. Nato a Bologna il 10 gennaio 1929,
Matteucci è considerato uno dei massimi teorici del
costituzionalismo liberale del Novecento, ma, soprattutto, fa
parte di quel gruppo di giovani che fonda la rivista “il
Mulino” nel 1951.
«Il laico, liberale, lamalfiano Nicola Matteucci» 30 si era
laureato a Bologna in giurisprudenza nel 1948 e fu, se così
si può dire, una guida che accompagnava Berselli, giorno
dopo giorno, nella sua crescita intellettuale e lavorativa.
Infatti dal 1986, anno in cui l‟autore diventa capo redattore
della rivista, i due condivisero anche l‟ufficio. Afferma
Berselli:
per apprezzarne compiutamente la personalità era
necessario ascoltarne la lezione vivente, come facevano i
suoi studenti e i collaboratori che venivano a trovarlo la
mattina nel suo ufficio al Mulino. Capire i suoi modi un
po' bruschi, le sue idiosincrasie sbrigative, il suo affetto
talvolta ruvido, i rabbuffi improvvisi, le rapide
riappacificazioni, i congedi senza smancerie. Dietro quei
modi, si poteva trovare lo spessore di un intellettuale che
aveva maturato le sue convinzioni liberali grazie a una
sperimentazione incessante, a un mettersi alla prova con
la politica, a un gusto speciale per il discorso pubblico e il
confronto di idee. [...] E in ogni momento si poteva
30
Berselli, E.; 2004, Radiografia del follinismo, «la Repubblica», 17
luglio, p. 1.
133
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
apprezzare la nonchalance dello studioso che affronta la
sua giornata con scioltezza, senza accademismi, fuori di
ogni retorica, soddisfatto della sua villa nella campagna
bolognese, del suo tavolo di lavoro, delle sue schede
bibliografiche, della scienza liberale da cui non si era mai
separato, neppure nel momento della fatica e del dolore31.
E ancora lo cita, almeno una dozzina di volte, nei suoi testi.
Lo definisce, ironicamente, sadico32 durante il racconto
delle accese riunioni dei senatori del Mulino, quando
incolpava Evangelisti di non aver voluto pubblicare il
filosofo statunitense Rawls, e lo lusinga, prendendolo in
giro, in Venerati Maestri, perché Matteucci per Berselli era
assolutamente tale, quando afferma:
non è mica facile contrastare un liberale convertito,
perché, com‟è noto, le conversioni rafforzano i
convincimenti: i convertiti devono anche dimostrare ai
loro vecchi compagni e a tutto il mondo che hanno
studiato molto bene, hanno approfondito, hanno valutato
le obiezioni, fornito le risposte, ascoltato le repliche. Ma
se il liberale insiste troppo a decantarvi le sette bellezze
del mercato deregolato è una fatica: bisogna innanzitutto
reprimere la voglia di passare alle vie di fatto.
Comprensibile, per carità, ma si sappia che non è bene
rispondere di malagrazia: senta, buon uomo, sono stato
quindicianni in una stanza con Nicola Matteucci, essenza
vivente del liberalismo, ho respirato pensiero liberale
31
Berselli, E.; 2003, Matteucci coscienza liberale, «la Repubblica», 11
ottobre, p.56.
32
Berselli, E.; 2003, Post-italiani. Cronache di un paese provvisorio,
cit., p.430.
134
Edmondo Berselli e il Mulino
tutte le mattine; mi sono fatto tutti i giorni un corso
permanente di pensiero liberale, ho imparato tutto di
Tocqueville e Croce, degli antichi e dei moderni. Se una
mattina volevo divertirmi, infilavo un piccolo riferimento
a Bobbio, con cui Matteucci aveva curato il Dizionario di
politica, e osservavo le sue smorfie rivolte all‟incerto
liberalimo del maestro torinese. D‟altronde, diceva con
perfidia Matteucci, anche Dahrendorf quando parla di
Bobbio dice che «forse» il sorriso diventava velenoso. E
spesso il corso monografico di storia delle dottrine
politiche moderne e contemporanee proseguiva a pranzo,
in certi ristoranti del centro di Bologna dove il venerdì
arrivavano magnifici cesti di ostriche. Slurp, il
liberalismo. 33
Gli aneddoti sulla figura di Matteucci si sprecano, perché il
“Maestro” era, in apparenza, quanto di più diverso potesse
esservi dalla figura del Berselli, però sembra essere stata una
fonte costante di riflessioni, risate e soprattutto di
conoscenza. Berselli, per sua stessa definizione eclettico, lo
descrive così:
di solito era difficile introdurre Matteucci a qualche
considerazione culturale, a un discorso di carattere
accademico o intellettuale, a un giudizio su un libro, su
un saggio, su un filosofo: parlare di cultura evidentemente
lo annoiava, e preferiva indulgere a pettegolezzi politici e
d‟ambiente giornalistico. Ma naturalmente nei quindici
anni di convivenza mattutini sono riuscito a fare il
33
Berselli, E.; 2006, Venerati maestri. Operetta immorale sugli
intelligenti d'Italia, cit., pp. 768- 769.
135
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
parassita della sua cultura eccezionale, e qualcosa devo
avere imparato.
L‟aspetto più divertente della personalità di Matteucci era
la scarsa attitudine a frequentare territori estranei alla
filosofia, alle dottrine politiche e al costituzionalismo. Per
dire, non capiva e non voleva capire nulla di calcio.
Aveva giocato a tennis, ma non seguiva nessuno sport.
Parlava di cinema senza mai ricordare il titolo di un film,
e quindi era costretto a spiegazioni lunghissime.
Manifestava un sincero […] quanto ammirato stupore
verso certe spiegazioni scientifiche intercettate sulle
pagine dei giornali: «Ho visto che c‟è una teoria che va
oltre il bang bang…». Che cos‟è, un western, una
sparatoria? «No, una cosmologia.» Come no, ma era il
Big Bang. Ah, ecco.
Una volta, durante un‟assemblea dell‟Associazione «il
Mulino», Arrigo Levi si produsse in un‟analisi politica
secondo cui «noi non siamo il CAF». Per chi l‟avesse
dimenticata, questa sigla simboleggiava con un acronimo
l‟accordo di potere fra Craxi, Andreotti e Forlani. Si
sviluppò una vivace discussione, per decidere se si era del
CAF o nel CAF, per verificare insomma se si era scafati o
no; il dibattito venne risolto verso l‟ora di pranzo da
Romano Prodi: «Arrigo, ma come sarebbe che non siamo
nel CAF! Guarda Nicola, ha la gobba di Andreotti e la
faccia da Forlani». Matteucci sembrava addirittura
lusingato di riunire in se stesso fattezze di due
democristiani così importanti, lui rigoroso laico, liberale,
repubblicano, lamalfiano34.
34
Berselli, E.; 2006, Venerati maestri. Operetta immorale sugli
intelligenti d'Italia, cit., p. 482.
136
Edmondo Berselli e il Mulino
Cos‟altro possiamo affermare? Le parole di Berselli hanno
già ammesso l‟influenza di Matteucci nei quindici anni in
cui hanno condiviso l‟ufficio, sembra voler dire: più diversi
siamo più cose possiamo imparare.
Poi vennero i “mugnai” della seconda ora (ovvero tutti
quelli che non parteciparono alla fondazione della rivista e
che in modo più o meno incisivo ne ebbero a che fare).
Il primo che lo stesso Berselli ci suggerisce è Nino
Andreatta. Beniamino Andreatta, detto Nino, nacque a
Trento l‟11 agosto 1928 ed è stato un noto economista e
politico italiano. Muore a Bologna il 26 marzo 2007 e in
questa occasione Berselli scrive di lui:
era anticomunista nelle fibre più profonde di sé;
democristiano con un disprezzo esibito delle pratiche di
partito e nello stesso tempo con un orgoglio e uno spirito
di appartenenza che lo inducevano a immaginare ancora
soluzioni politiche, durante il disfacimento del suo
partito, a oltranza, senza tregua e senza rassegnarsi, come
se un' ossessione potesse placare una disperazione; e
infine convinto che per una riflessione politica rigorosa,
oltre che per una scelta etica irresistibile nella sua
eleganza, i cattolici dovessero imboccare la via collocata
a sinistra nel nascente e già problematico bipolarismo
italiano. Adesso una formula sbrigativa potrebbe
illustrarlo come il vero padre del Partito democratico.
[…] Forse, il pregio maggiore di Andreatta è consistito
nel pensare che nulla fosse reale come la fantasia35.
35
Berselli, E.; 2007, Addio Andreatta, padre dell' Ulivo, «la
Repubblica», 27 marzo, p. 1.
137
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
Ed è forse questo che piaceva particolarmente a Berselli di
Andreatta, la sua capacità di ragionamento che diventava
azione con una naturalezza tale da riuscire a convincere
chiunque che fosse l‟unica cosa che si poteva fare.
Andreatta fu uno dei primi membri del comitato direttivo de
il Mulino e rimase nell‟omonimo gruppo a lungo. Questo ha
permesso a Berselli di raccogliere non pochi aneddoti su di
lui, citato più e più volte nei suoi libri, nei quali, molto
spesso, non perde tempo a parafrasare i discorsi
dell‟Andreatta stesso, ma riporta le frasi incisive che lo
contraddistinguono. «La lezione»36 come la chiama il
Berselli, le stesse lezioni dopo le quali «a ogni uscita di
Andreatta la direzione del PCI veniva convocata in riunione,
con un solo punto all‟ordine del giorno: che cosa avrà voluto
dire Andreatta?, e dopo alcune ore ne venivano fuori tutti
molto cupi»37 o ancora la storica affermazione dopo
l‟appuntamento della Lega a Pontida del 1995. Andreatta
affermò che «le parole di Bossi seguono le coordinate di un
mondo adolescenziale e salgariano, alle quali riesce difficile
applicare le categorie degli adulti». 38 Un‟ironia tagliente,
oseremmo dire quasi berselliana, che l‟autore cita più e più
volte e dalla quale sembra voglia aver preso spunto più e più
volte nei suoi commenti, ironici anche trattando argomenti
serissimi. Vogliamo portare ad esempio proprio una vicenda
36
Berselli, E.; 2006, Venerati maestri. Operetta immorale sugli
intelligenti d'Italia, cit., p. 806.
37
Berselli, E.; 2004, Quel gran pezzo dell'Emilia. Terra di comunisti,
motori, musica, bel gioco, cucina grassa e italiani di classe, cit., p. 656.
38
Berselli, E.; 2003, Post-italiani. Cronache di un paese provvisorio,
cit., p. 349.
138
Edmondo Berselli e il Mulino
che vide coinvolto lo stesso Andreatta, nel momento in cui
propose Prodi come segretario dell‟Ulivo
Nino Andreatta. Un uomo di centoventi o centotrenta
chili, con la pipa eternamente fra i denti, che si infilava i
fiammiferi spenti nella tasca della giacca, capace di
straordinarie distrazioni come dimenticarsi la moglie a
Roma e lasciare l‟auto in deposito ai carabinieri dopo che
questi avevano riscontrato la totale mancanza di bolli,
tagliandi e assicurazioni.
Come aveva detto anni prima Aldo Moro a Pietro Nenni,
che gli chiedeva chi fosse questo giovane consigliere
economico: «Chi, Andreatta? È fatto così: se c‟è un
problema, lui ha dodici soluzioni. Stai tranquillo che fra
queste dodici c‟è quella giusta». Ma quando occorreva, il
ciclopico Nino era capace di concentrarsi per ore, o per
mesi, sul tema dato, e alla fine scodellava una soluzione
formidabile.
A quel punto, il tema era molto ben impostato: era
necessario bloccare la fuga a destra di Rocco Buttiglione
–che spasimava dalla voglia di portare i Popolari verso il
Polo delle Libertà- e impedire così che resti della DC
fossero trasferiti fra i ranghi berlusconiani.
Pensa che ti ripensa, rimestica e rimugina e rumina,
Andreatta si pulì gli occhiali con la cravatta, infilò in
tasca la pipa accesa e pronunciò le parole fatali:
«Proviamo con Romano». 39
Ezio Raimondi. Nato a Lizzano in Belvedere (provincia di
Bologna) il 22 marzo 1924, è considerato uno dei maggiori
39
Berselli, E.; 2008, Sinistrati. Storia sentimentale di una catastrofe
politica, cit., pp. 1081-1082.
139
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
filologi, saggisti e critici letterari italiani ed è tutt‟ora
docente presso la Facoltà di Lettere e Filosofia
dell‟Università di Bologna.
Anche il «professor Ezio Raimondi, italianista supremo
benché mancato difensore di fascia di potenziale classe
internazionale» è abbondantemente citato da Berselli.
Con uno dei maggiori letterati d‟Italia Berselli parla di
calcio, ribadendone più e più volte le grandi capacità
“sprecate”, e di musica, con colui che, dopo aver assistito a
un concerto di Francesco Guccini a Bologna, gli disse:
di Guccini mi piacciono le sue canzoni perché sono etica
che si fa politica», e Francesco si è schermito perché, se il
finissimo Raimondi ti dice quelle cose lì, bisogna
pensarci un momento, per capire se ti ha fatto un
complimento oppure se ti ha mandato a dire che
musicalmente fai pietà 40.
Ma, va detto, quelli che probabilmente furono per Berselli
due veri e propri compagni di viaggio nel Mulino furono
Ugo Berti Arnoaldi e Ilvo Diamanti.
Ugo Berti è nato a Bologna ed è l‟attuale presiedente della
fondazione Biblioteca del Mulino. Entrò al Mulino nel 1985
e al suo primo incarico sostituì come capo ufficio stampa e
propaganda proprio quello che diverrà l‟amico Edmondo.
Berselli lo cita in pressoché tutti i suoi libri, soprattutto nei
ringraziamenti finali. Ne Il più mancino dei tiri lo descrive
come «Il primo lettore della prima copia uscita dalla
40
Berselli, E.; 2004, Quel gran pezzo dell'Emilia. Terra di comunisti,
motori, musica, bel gioco, cucina grassa e italiani di classe, cit. p. 622.
140
Edmondo Berselli e il Mulino
stampante laser» con il quale allora al Mulino condivideva
«la puntata di mezza mattina, fuga dall‟ufficio, rapida
discesa di Strada Maggiore, imbocco di via Guerrazzi, caffè,
e prima di rientrare una sommaria discussione sul titolo: che
ne dici di “Menare il can per l‟area”?» 41. In Canzoni, in
apertura dei ringraziamenti, Berselli afferma «Questo libro
non sarebbe venuto fuori se non ci fossero state le
chiacchiere quotidiane con Ugo Berti, che ha letto le prime
versioni e mi ha offerto suggerimenti con la stessa
intelligente nonchalance con cui di solito fa nascere libri di
storia»42 e ancora le medesime affermazioni nella stessa
sezione del testo in Post-italiani.
In Quel gran pezzo dell’Emilia, Berselli ringrazia Berti che
«ancor più del solito […] ha contribuito a migliorare la
forma e il contenuto del libro, con le sue accuratissime
precisazioni43» così come in Adulti con riserva dove,
addirittura, lo descrive, ironicamente, talmente meticoloso
da risultare «leggermente irritante per la sua precisione
chirurgica»44.
Infine in Liù estende l‟invito alla festa di cui si parla nel
finale anche a Berti
perché abbiamo lavorato insieme da giovani, ci vogliamo
bene nella nostra maniera timorosa, abbiamo gusti
politici, culturali e musicali tanto dissimili da risultare
41
Berselli, E.; 2007, Il più mancino dei tiri, cit. p. 88.
Berselli, E.; 1999, Canzoni. Storie dell'Italia leggera, cit., p. 102.
43
Berselli, E.; 2004, Quel gran pezzo dell'Emilia. Terra di comunisti,
motori, musica, bel gioco, cucina grassa e italiani di classe, cit., p. 661.
44
Berselli, E.; 2007, Adulti con riserva. Com’era allegra l’Italia prima
del Sessantotto, cit., p. 1006.
42
141
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
reciprocamente interessanti, e sul piano editoriale mi
piace sempre ricordargli con ironia che, a ragione o a
torto, è stato “l‟uomo che da sinistra ha scompaginato la
storiografia contemporaneistica”, come hanno scritto le
cronache culturali dei giornali45.
Sembra essere stato un vero e proprio percorso di vita
insieme, di amicizia, di stima, che non è ancora terminato, a
giudicare dalla presenza costante di Berti alle presentazioni
dei libri del Berselli usciti postumi.
Ilvo Diamanti, infine, è nato a Cuneo il 4 settembre 1952 ed
è un sociologo, politologo, giornalista, ricercatore e saggista
italiano.
All‟interno del gruppo Mulino ha collaborato dapprima con
l‟Istituto Cattaneo, per poi diventare anche autore sia della
rivista che di pubblicazioni edite dalla “società editrice”.
Dalle parole di Berselli sembra quasi che lui e Diamanti,
pressoché coetanei, siano stati per diversi anni l‟uno il
braccio destro dell‟altro.
Nel capitolo “opinioni, opinionisti” contenuto nel saggio
Post-italiani, Berselli dedica all‟amico quasi due pagine,
nelle quali spiega le motivazioni che hanno spinto Ezio
Mauro, direttore di «Repubblica», a inserire nel suo staff
Ilvo Diamanti, che era l‟opinionista domenicale del «il
Sole 24 ore», ascoltatissimo in Confindustria, ma
soprattutto il politologo che meglio degli altri aveva
seguito la vicenda politica della Lega, e sicuramente uno
dei più puntuali analisti del cambiamento politico e
45
Berselli, E.; 2009, Liù. Biografia morale di un cane, cit., p. 1313.
142
Edmondo Berselli e il Mulino
sociale degli ultimi dieci - quindici anni. […] Diamanti
non è un commentatore qualsiasi, da impiegare
sull‟ultima notizia di giornata, e neppure un pensatore
umorale, di quelli abituati a seguire gli impeti del proprio
carattere. La sua caratteristica principale consiste
nell‟essere rimasto legato alla ricerca empirica, da cui trae
concetti, indicazioni, orientamenti, prospettive.
Nel deserto interpretativo che i quotidiani sentono
incombere, la figura di Diamanti e le sue «Mappe»
domenicali rappresentano la connessione tra l‟ufficio
centrale di «la Repubblica» e la realtà effettuale di
un‟Italia che continua vorticosamente a cambiare,
soprattutto nella percezione dei giornalisti, eternamente
timorosi di essere scavalcati dalle tendenze in atto, anche
se i sondaggi politici disegnano un paese immobile46.
Berselli prosegue a lungo nel motivare ed elogiare le scelte
di Mauro, ma crediamo di poterci fermare qui, ed
aggiungere una sola frase, contenuta nel saggio Venerati
Maestri: «Nessuno ci disturbi più con l‟idea che la forma
romanzo può descrivere una società o una cultura meglio di
un‟analisi di Ilvo Diamanti o del Rapporto Censis» 47.
Berselli e Diamanti collaborarono dapprima al Mulino, poi a
«il Sole 24 Ore» e infine a «la Repubblica». Si ha la
sensazione che Diamanti elaborasse dati e statistiche e, in
qualche modo, Berselli le mettesse “in rima”. Afferma il
Diamanti stesso nell‟introduzione al libro L’Italia
46
Berselli, E.; 2003, Post-italiani. Cronache di un paese provvisorio,
cit., p. 475.
47
Berselli, E.; 2006, Venerati maestri. Operetta immorale sugli
intelligenti d'Italia, cit., p.824.
143
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
nonostante tutto: «Berselli è un virtuoso del linguaggio. Usa
le parole per evocare, ma anche per interpretare. Io me ne
sono servito spesso, nei miei articoli. E continuerò a
farlo»48.
E non è forse questo l‟anima del Mulino? Ricerca e
riflessione che si trovano, si scontrano e si fondono per
diventare soluzioni, per poi ritrovarsi attorno a un tavolo a
parlare di calcio, musica e politica?
Certo non tutti gli accademici accettarono di buon grado la
“scalata” del Berselli, un tecnico, come lo abbiamo sin ora
descritto, che lentamente è approdato sino alla direzione
della rivista.
Si ha la netta sensazione, infatti, che Berselli spesso non
venisse percepito da molti intellettuali come uno di loro. Da
alcuni, infatti, poteva essere visto come un funzionario della
casa editrice che mano a mano occupandosi di sport e
canzonette, era riuscito a ritagliarsi uno spazio sempre più
ampio 49. Afferma Simili
Edmondo non ha mai avuto un titolo accademico, perché
non ha mai voluto averlo, altrimenti, visti tutti gli ottimi
rapporti che aveva, non avrebbe certo faticato ad avere
una cattedra. Si percepiva, invece, in lui la voglia di
essere più un tecnico che un intellettuale. Un tecnico che
aveva però la fortuna di aver studiato negli anni giusti e
che quindi poteva disporre di una visione ampia, perché il
48
Berselli, E.; 2011, L’Italia nonostante tutto, Bologna, il Mulino, p. 16.
Pasquino ha scritto su la «rivista dei libri» una sorta di recensione su
Post-italiani che creò parecchi dissapori perché metteva a confronto il
libro di Vespa di quel momento e il libro di Berselli. Marmellata
italiana nel numero di marzo 2003.
49
144
Edmondo Berselli e il Mulino
problema che io riscontro oggi è che chi dovrebbe
trasmettere il sapere agli altri livelli, non ha più quello
sguardo complessivo che invece è fondamentale per
argomentare la realtà. Ci sono degli iper-specialismi,
come quelli di tendenza dell‟università italiana 50.
Berselli era un eclettico, quasi un tuttologo. E nel 2009 lo
stesso aveva intitolato un articolo apparso su «la
Repubblica» La scomparsa del tuttologo assassinato da
internet51 e, forse, anche dalle eccessive specializzazioni
universitarie.
3.2.2 Come e quanto Berselli ha inciso sulla rivista
de “il Mulino”
Tirando le somme di quanto detto sin ora del rapporto tra
Edmondo Berselli e la rivista de “il Mulino”, possiamo
affermare che egli ebbe tre ruoli fondamentali all‟interno di
essa: il primo come capo redattore, il secondo come autore e
il terzo direttore. Del primo abbiamo già detto in
precedenza, nel parlare dei diversi rapporti con i direttori
che si sono susseguiti. Vogliamo invece andare ad
analizzare nello specifico il secondo e il terzo per capire in
che modo Berselli ha inciso sulla rivista.
50
Intervista a Bruno Simili, febbraio 2011, Bologna, cit., qui, p. 216.
Berselli, E.; 2009, La scomparsa del tuttologo assassinato da Internet,
«la Repubblica», 18 novembre, pp. 1-51.
51
145
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
3.2.2.1 Gli articoli: saggi sull’Italia di domani. I temi, le
peculiarità
Edmondo Berselli scrive il suo primo articolo per la rivista
de “il Mulino” nel 1989, per la precisione nel quinto
numero, quello di settembre-ottobre. Da allora, in due
diversi momenti, ha prodotto per la rivista un complesso di
trentasette articoli, suddivisi in due periodi: dal 1989 al 1997
i primi venti e dal 2001 al 2009 i secondi diciassette. Il
nome di Berselli è apparso nei sommari della rivista anche
nel terzo numero (maggio-giugno) del 2010, quando, dopo
la sua morte, la rivista ha deciso di dedicare alcune pagine a
tre dei suoi articoli più significativi.
Non conosciamo i motivi per cui dal 1998 al 2000 non sono
apparsi suoi articoli, certo è che il suo ruolo rimase centrale
nella rivista almeno sino al 1999, anno in cui dismette la
carica di capo redattore, e che questi anni coincidono con
l‟intenso lavoro dell‟autore presso il quotidiano di
Confindustria.
Particolare attenzione a questi articoli è stata posta anche
dalla “società editrice”, la quale, nel 2011, ha pubblicato il
già citato L’Italia nonostante tutto, all‟interno del quale ha
raccolto quindici tra i più significativi, secondo la direzione
editoriale, contributi del Berselli alla rivista. Non dobbiamo
dimenticare, però, che quello della “società editrice” è una
sorta di sequel: nel 1995, infatti, aveva già pubblicato
L’Italia che non muore, che potrebbe essere considerato il
suo primo libro, anche se dai contenuti non inediti, nel quale
venivano ripresi tre articoli apparsi originariamente proprio
sulla rivista e scelti per esser ripubblicati dall‟autore e dalla
direzione editoriale.
146
Edmondo Berselli e il Mulino
Uno degli aspetti più interessanti del volume è che qui
l‟autore denuncia l‟insostenibilità di stereotipi verbali
ricorrenti in politica:
ci sono parole o espressioni divenute ormai praticamente
impronunciabili, o pronunciabili solo rischiando sarcasmi
che hanno il sapore dell‟inevitabile: la lotta, le masse, le
conquiste, la società reale, il progresso e il rinnovo, il
trend, il mix, gli spazi di libertà, l‟evento epocale, la
solidarietà […] la fine delle ideologie;
e lascia un suggerimento: «uno dei metodi più semplici ed
efficaci per smascherare le minori o maggiori truffe
partigiane praticate nel lessico politico quotidiano è sempre
consistito nel porre in raffronto una formula convenzionale
con il suo contrario». Un esempio: il “partito degli onesti”
vedere i potenziali componenti del “partito dei disonesti”.
Nella Premessa alla pubblicazione 2011, scrive Bruno
Simili:
leggere le analisi di Berselli scritte mentre la politica si
attorcigliava su se stessa e confermava, alla faccia dei
tanti rapporti periodici sulla situazione del Paese, le
proprie deviazioni e gli effetti nefasti, permette di capire
meglio perché poco alla volta sia diventato sempre più
difficile accettare il gioco democratico e le sue regole. Al
contempo questo libro lascia aperto lo spiraglio per un
clima diverso, in cui siano bandite le posizioni, i
programmi e i risultati raggiunti e si oppone all‟idea di
due società messe l‟una contro l‟altra, che si fronteggiano
in nome di valori, culture e convenienze del tutto
antagonisti, sfruttando a proprio uso e consumo
147
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
l‟intreccio di interessi e di pulsioni presenti nella società
italiana”52.
Ed è nell‟introduzione allo stesso libro che Ilvo Diamanti
elenca ed esplicita cinque buoni motivi per leggere ciò che
Berselli ha scritto per “il Mulino” «dagli anni Ottanta a ieri.
Anzi, ad oggi, direi, visto che c‟è poco da aggiungere alle
vicende annotate dall‟autore»53.
E, innanzi tutto, Diamanti consiglia non solo di leggere
questo libro, ma di tenerlo a portata di mano, come un
promemoria, un taccuino, nel quale andare a ripescare
appunti presi in passato, intuizioni scritte diversi anni fa e
che, a rileggerle oggi, chiudono il cerchio o, se non altro,
avvicinano le due estremità. «La prima buona ragione per
leggere questo libro […] è che offre un‟agenda accurata
dell‟Italia “pubblica” nel corso degli ultimi vent‟anni.
Seguita e rivisitata attraverso i personaggi tortuosi tra Prima,
Seconda e Terza Repubblica54». Già, perché dal 1989 al
2009 di cose ne sono successe moltissime.
Berselli osservava tutto quanto, con curiosità e cura. Fatti,
antefatti, personaggi, interpreti e luoghi. E li annota, li
appunta a margine. Con disincanto e, al tempo stesso,
passione. In modo ironico e divertito. O meglio:
divertente. Ma prendendo sul serio questa materia,
terribilmente seria, che è la nostra storia recente e
presente. Perché c‟è poco da ridere, sul nostro Paese.
Poco da divertirsi. D‟altra parte, “il Mulino” è una rivista
52
Berselli, E.; 2011, L’Italia nonostante tutto, cit., p. 8.
Ivi, p.11.
54
Ivi, p.12.
53
148
Edmondo Berselli e il Mulino
prestigiosa, con una storia prestigiosa, dove, però,
Edmondo Berselli non ha mai rinunciato a fare quel che
gli è sempre riuscito meglio. Muoversi fra più registri,
usando diversi stili e diversi approcci. Lui che ha sempre
trattato allo stesso modo, con lo stesso rigore, con la
stessa (auto)ironia, la politica, il football, la canzone
leggera e la politica pesante, la filosofia e il gossip 55.
La seconda buona ragione indicata da Diamanti per tenere
alla mano gli articoli di Berselli è la loro capacità di essere
«uno strumento ottico multifunzionale. Per guardare dentro,
ma al tempo stesso, al di là e al di sotto degli eventi, dei
personaggi, dei luoghi. Del nostro tempo»56.
La terza è una ragione politica, perché, secondo Diamanti,
Berselli con la sua capacità di analisi e con la „sfrontatezza‟
con la quale ha sempre parlato di politica, senza paure e
false illusioni, cercando di proporre ragionamenti e possibili
soluzioni, potrebbe essere un faro nel mare non solo di chi
osserva la politica, ma anche di chi la fa.
Quarta buona motivazione per leggere e rileggere gli articoli
di Berselli è per
ripercorrere l‟avvento della “democrazia del pubblico”
all‟italiana. La versione “nazionale” (o meglio, “locale”)
del modello tracciato da Bernard Manin. Fondata sul
trionfo della personalizzazione e della televisione.
Edmondo Berselli, più di chiunque altro, l‟ha colta e
ricostruita da tempo e per tempo. Quando nessuno, o
quasi, ne aveva colto l‟impatto. Oggi siamo talmente
55
56
Berselli, E.; 2011, L’Italia nonostante tutto, cit., p. 12.
ibidem
149
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
immersi dell‟ irreality show che mischia vita e spettacolo,
che non ce ne rendiamo conto. […] Basta allora scorrere
le pagine scritte in proposito da Berselli. Il quale indica
come la televisione “produca” l‟assetto politico”57.
La quinta ed ultima motivazione che offre Diamanti è
prettamente intellettuale ed estetica. L’Italia nonostante
tutto, ma, in generale, tutta la produzione berselliana, può
essere letta in modo ordinato o alla rinfusa. Prenderne parti,
frasi, paragrafi, o articoli interi, senza seguire un ordine ben
preciso. «Per il gusto di scoprire e isolare osservazioni
minime, cogliendo formule lessicali inedite e neologismi
suggestivi. Che definiscono e aiutano a capire quanto, e
talora, più di certe laboriose analisi»58.
Andremo ora a riprendere alcuni di questi articoli, cercando
di catturane l‟essenza in poche righe, possibilmente scritte
dall‟autore stesso, per permettere al lettore di comprendere
quanto l‟opera di Berselli non possa che aver arricchito e
influenzato l‟intera rivista de “il Mulino” e per dimostrare la
tesi, precedentemente introdotta, di Diamanti, secondo il
quale questi articoli possiedono la capacità di essere
tutt‟oggi di attualità.
Vertone al capolinea Europa 59 è il primo articolo
berselliano incluso nella rivista ed è datato 1989. Per la
prima prova, a quanto pare, non gli viene affidato un
compito difficile: questo articoletto di tre pagine, altro non è
57
Ivi, p. 13.
Ibidem.
59
Berselli, E.; 1989, Vertone al capolinea Europa, «rivista il Mulino»
n°5, pp. 871-874
58
150
Edmondo Berselli e il Mulino
che una dotta recensione del volume Penultima Europa60,
scritto da Saverio Vertone61 nello stesso anno. Berselli, sin
dal suo primo lavoro, però, si rivela inconfondibile nel suo
stile chiaro, tagliente e ironico e nei contenuti che, in fin dei
conti, sono attualissimi anche oggi. Scrive:
ciò che viene fuori da Penultima Europa […] è una
specie di geografia morale, e anche di fisiognomia
storica, ritagliata come le figurine sui contorni di
numerose piccole (ma piuttosto ingombranti) patrie,
ognuna dotata di una propria cultura, di un tratto
distintivo assolutamente peculiare. E ognuna di queste
porziuncole nazionali è nello stesso tempo diffidente
verso l‟integrazione quanto irresistibilmente astratta a
cercare una dimensione più ampia, fosse pure soltanto per
affermare snobbisticamente un modello, un «noi», una
qualche identità. Conta poco che i provincialismi e i
localismi vengano messi preventivamente dietro la
lavagna dalle profezie messianico-tecnocratiche del
Novantatrè: gli effetti di schizofrenia e di spaesamento,
fra “armonizzazioni” comunitarie e squilibri tecnici o
campanilistici, sono pur sempre plateali62.
Tre dogmi uguali e indistinti. Autoritarismo, democrazia,
partecipazione63, è il secondo articolo redatto da Berselli per
la rivista ed appare nel sesto numero del 1989. In questo
60
Vertone, S.; 1989, Penultima Europa, Bologna, Rizzoli.
SaverioVertone (Mondovì, 17 novembre 1927 – Torino, 30 giugno
2011) è stato un politico e giornalista italiano.
62
Berselli, E.; 1989, Vertone al capolinea Europa, cit., p. 873.
63
Berselli, E.; 1989, Tre dogmi uguali e indistinti. Autoritarismo,
democrazia, partecipazione, «rivista il Mulino», n°6, p. 928-939.
61
151
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
testo l‟autore spiega in nove punti quanto già esplicato nel
titolo, nella fase storica in cui stiamo vivendo, però,
crediamo le parole che seguono possano risultare
quantomeno familiari e perciò le riportiamo.
Un ovvio sospetto o vizio di autoritarismo si proietta su
quasi tutti i programmi o le ambizioni di costruire
impalcature adatte a reggere i pesi squilibrati della società
contemporanea. Alle faticose soluzioni dettate
dall‟incombere della realtà – con tutto il loro potenziale di
impopolarità – il senso comune allenato sul terreno
progressista oppone di solito alternative tutte di
elevatissimo profilo e di bassissima praticabilità,
precostituendo una serie indiscutibile di alibi per
l‟immobilismo che ne consegue. Insomma, la formula
magica che consente di lasciar marcire i problemi
invocando nel contempo ipotesi alternative di profilo
siderale funziona a meraviglia. C‟è sempre un Bene
Supremo largamente condiviso che permette di guardare
con sufficienza il Male Minore. E poiché ogni decisione
politica comporta un principio e un processo di divisione
che la mentalità pop stenta ad accettare, il prepotente
richiamo al confronto unanimistico riesce quasi sempre a
imporre le proprie ragioni.
Se non ci fossero alle spalle accertate ragioni storiche e
politiche, sembrerebbe quasi che una specie di base
costruttiva, addirittura antropologica, impedisca agli
italiani di assimilare la logica del conflitto regolamentato
di interessi (e delle relative passioni): al momento
opportuno, l‟italiano “democratico” preferisce porsi in
152
Edmondo Berselli e il Mulino
attrito rispetto a qualsivoglia programma, riforma,
costruzione o ricostruzione di regole64.
Nell‟articolo L’estinzione della classe operaia 65, del 1990,
Berselli ripropone il medesimo modello già utilizzato nel
sesto numero del 1989: scrive, infatti, un articolo suddiviso
in punti (in questo caso quattro) all‟interno dei quali spiega,
basandosi su salde basi storiche, la tesi presentata
nell‟articolo, in questo caso, appunto, l‟estinzione della
classe operaia. Va tenuto presente che, proprio in quegli
anni si presentò la prima gravissima crisi del settore
industriale, mal gestita dai sindacati e dallo stato. Alla fine
della sua trattazione Berselli afferma
senza essere profeti si può prevedere che nessuno dei
problemi che affliggono la classe operaia verrà risolto. E
c‟è di peggio: una volta attenuati i clamori, “la condizione
operaia” tornerà a essere un tema sepolcrale, che non
interessa più nessuno. Eppure, ci sarebbe da dedicare
qualche triste pensiero a un paese che tratta male proprio
chi da consistenza e pesantezza di realtà al benessere
generale. 66
Nel 1991, Berselli scrive un articolo considerato dai più
profetico. Si intitola L’ultima recita dei partiti67 ed è
64
Ivi, p. 929.
Berselli, E.; 1990, L’estinzione della classe operaia, «rivista il
Mulino», n°4, pp. 575-584.
66
Ivi, p. 584.
67
Berselli, E.; 1991, L’ultima recita dei partiti, «rivista il Mulino» n°6,
pp. 1031-1044.
65
153
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
apparso nel numero di novembre – dicembre. Dalle pagine
de «l‟Espresso», Marco Damiano riporta un brano di questo
articolo e afferma «eccolo qui, l‟avvento del berlusconismo
preconizzato con lucidità da un analista chiamato Edmondo
Berselli. Parole scritte nell‟estate del 1991, all‟indomani del
referendum sulla preferenza unica che sembrò aprire una
nuova stagione. Berselli aveva appena compiuto
quarant‟anni»68.
Ed ecco un brano di quel breve saggio, così significativo
Le elezioni della primavera prossima [1992] saranno le
prime che si svolgeranno senza la condizione base che ha
contraddistinto la politica dell‟Italia repubblicana, e cioè
la conventio ad excludendum nei riguardi del principale
partito di opposizione. […] Si è legittimati a pensare che
il gioco al suicidio dei partiti possa proseguire
inesorabilmente;
ma
accettare
questa
ipotesi
comporterebbe accettare l‟ineluttabilità di un cammino di
decenza avviato dal Paese, con un inevitabile destino
sudamericano, nel cui orizzonte si configurano la perdita
progressiva di legittimità, l‟iperinflazione, le aspettative
irrazionali che al posto della politica qualcuno, un uomo,
un gruppo, sia capace di assumere un ruolo
provvidenziale69.
68
Damiano, M.; 2011; Quando Berselli previde B., «l‟Espresso online».
69
Berselli, E.; 1991, L’ultima recita dei partiti, «rivista il Mulino», n°6,
p. 1043.
154
Edmondo Berselli e il Mulino
Si può forse affermare che dopo la fine della Prima
Repubblica, abbiamo assistito all‟avvento di un populismo
sudamericano?
La situazione politica di quel periodo, assolutamente
immobile, si ripercuote negli scritti di Berselli del 1992, che,
nel mese successivo alle elezioni di quell‟anno scrive:
come ormai si è diffusamente capito, le elezioni del 5-6
aprile non sono mai avvenute. […] Alla fine, il sistema è
riuscito nell‟impresa di creare soltanto minoranze, un
ventaglio di rappresentanze amorfe.
Sarebbe la situazione ideale per chiunque volesse,
stregonescamente, evocare dal disordine e dallo
sfaldamento lo spirito di un‟iniziativa politica. Ma il caso
vuole, si scelga se per disgrazia o per fortuna, che nella
classe politica non ci siano più né carismatici né strateghi,
né duri decisori né ispirati progettisti della mediazione:
sicché quelli che vengono ogni giorno evocati dall‟abisso
non spiritelli deboli, a cui si tenta senza troppa
convinzione di mettere addosso il lenzuolo dei grandi e
vecchi fantasmi della politica70.
E sul finale dello stesso articolo, in un paragrafo intitolato
Foto di famiglia conclude:
quando una classe politica si presenta trascinandosi dietro
la montagna indebitata su cui ha costruito il suo effimero
consenso, dovrebbe avere almeno la faccia di investire un
po‟ di risorse residue come minimo in una finzione di
70
Berselli, E.; 1992, La musica del Quartetto. Il quadripartito al canto
del cigno, «rivista il Mulino», n°3, p. 451.
155
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
movimento. […] e invece no: nessuna iniziativa, nessuna
mossa. Inamovibile anche se spennacchiata. […]
dovrebbe muoversi freneticamente, e invece se ne sta
quasi immobile, pensosa, preoccupata dei propri rituali e
del loro esoterico significato. […] sembra che non
debbano fare nessuno sforzo per ignorare che l‟avvenire è
drammaticamente precario, e il loro ruolo in discussione.
Fuori dal quadro di famiglia, infatti, la Lega Nord prepara
secessioni e successioni, nel senso della sostituzione
integrale di segmenti di classe politica 71.
Potrebbe, in fin dei conti, essere stato scritto ieri. Ma mano a
mano che gli anni passano l‟arte berselliana sia affina.
L‟abbiamo già ricordato più e più volte, questo autore non è
solo un commentatore politico. Ed è proprio per questo
motivo che in saggi come Gruppo di famiglia in televisione,
datato 1994, è in grado di rintracciare i mutamenti culturali
e di costume che conseguiranno dalle elezioni dello stesso
anno e dal ruolo che i mass media acquisiranno sempre più.
Può venire il sospetto che nel giudicare il rapporto fra
televisione e società possa essere replicata – su un altro
piano ma con la medesima intenzione moralistica – l‟idea
metafisica della distinzione fra il paese legale e il paese
reale, fra la politica e la società: potrebbe delinearsi cioè,
anche solo a scopi polemici, la concezione di una
televisione “cattiva” capace di esercitare un‟influenza
nefasta su una società intimamente “buona”. Si tratta di
una riduzione semplicistica che con ogni probabilità non
reggerebbe a verifica. È una tesi che nei suoi tratti
71
Ivi, p. 460.
156
Edmondo Berselli e il Mulino
essenziali può assumere un suo rilievo strumentale se
viene fatta propria da settori limitati, “corporativi”, di
opinione pubblica, interessati a promuovere istanze
polemiche proprio nei riguardi dei processi di
modernizzazione e quindi a eleggere come bersagli
polemici i più vistosi idola di una contemporaneità
ritenuta nel suo complesso inquietante e stordente
procedere della perdita di valori72.
Proprio dalle pagine della rivista de “il Mulino”, Berselli
conia alcune delle sue più note fulminanti sintesi verbali:
l‟Italia come “Repubblica indistinta”, divisa tra il
“Forzaleghismo”, il “partito ipotetico” Pd e ancora “paese
immaginario” detto anche “Italia imprecisa”.
In appendice riporteremo il testo completo di tre degli
articoli a nostro parere più significativi apparsi sulla rivista,
certi che per comprendere a fondo un autore, sia necessario
leggerlo. Essi sono L’ultima recita dei partiti del 1991, La
tv, la politica e l’antidoto del mercato datato 2003 e La
società del cinquanta per cento del 2008.
E se la parola chiave utilizzata da tutti i commentatori degli
articoli Berselliani è “profetico”, allora, forse, leggendo si
potrebbero disvelare passaggi di un domani più o meno
lontano, per chi sia in grado di comprenderli.
3.2.2.2 La direzione della rivista: 2003-2008
Edmondo Berselli è direttore della rivista de “il Mulino” per
due mandati dal 2003 al 2008. A metà del 2002, infatti,
72
Berselli, E.; 1994, Gruppo di famiglia in Televisione, «rivista il
Mulino», n°4, pp.659-670.
157
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
Assemblea dell‟Associazione aveva eletto il Comitato di
direzione della rivista per il 2003-2005, comitato composto
da: Edmondo Berselli, Paolo Bosi, Marco Cammelli,
Alessandro Cavalli e Giovanni Evangelisti, mentre rimane
direttore capo Bruno Simili.
Nel primo anno di direzione Berselliana «La struttura della
rivista fondamentalmente non cambia. Cessa la rubrica
“Mappamondo”, ma non per questo cade l‟attenzione
portata dalla rivista alla dimensione internazionale»73.Viene
dedicata, inoltre, particolare attenzione alle riforme in
discussione in quello stesso periodo in Italia.
Dal punto di vista redazionale, Simili confessa che
«Edmondo era il direttore ideale perché non era per nulla
invadente, perché avendo fatto lui stesso questo lavoro
sapeva come muoversi e allo stesso tempo se io avevo
bisogno lui era sempre presente»74.
Sulla formattazione, come racconta Simili, Berselli aveva
contribuito in modo molto incisivo nel 1991 in quanto capo
redattore e per questo negli anni della sua direzione non vi
sono particolari cambiamenti
Vice versa, Berselli svolge un ruolo cruciale, dal punto di
vista della comunicazione: in quegli anni, infatti, aveva già
rapporti consolidati con la stampa e con i giornalisti e riesce
a far in modo che la rivista abbia visibilità. Apertura non
solo verso i giornali, ma anche verso i giornalisti di qualità,
ai quali commissiona diversi pezzi per la rivista. La sua è
una vera e propria scelta editoriale, inizialmente non vista di
73
Lovato, G., Traldi, M.E.; 2004, il Mulino 1951-2004, Bologna, il
Mulino, p. 248.
74
Intervista a Bruno Simili, febbraio 2011, Bologna, cit., qui, p. 215.
158
Edmondo Berselli e il Mulino
buon occhio dagli intellettuali che, come abbiamo visto in
precedenza, non sempre apprezzano i curricula extra
accademici.
Ma, come afferma Simili,
il Mulino è per sua stessa natura a-conflittuale: è
confronto e non scontro. Inoltre Edmondo era riuscito a
tenere negli anni buoni rapporti con quasi tutti e quindi
poteva e sapeva innanzitutto tirar fuori il meglio dalle
persone sia umanamente che professionalmente. E nel
momento in cui gli serviva un‟informazione magari per
spiegare una cosa in un pezzo, era in grado di andare
dalla persona giusta, chiedere nel modo corretto e farsi
dire le cose importanti, quelle fondamentali.
Ci riusciva perché aveva quel rapporto paritario anche
nella sua autorevolezza nel porsi, che gli permetteva di
tirar fuori il meglio dai suoi interlocutori75.
Sfogliando i numeri della rivista degli anni che hanno visto
Berselli alla direzione e confrontandoli con quelli delle
direzioni precedenti e successive non possono che saltare
all‟occhio due cose: una capacità di innovazione discreta,
senza eccessi, un semplice leggero alleggerire, forse dovuto
all‟alternarsi di scritture giornalistiche e accademiche, che
danno maggior ritmo ai testi e, contemporaneamente, un
forte legame contenutistico con il passato, fatto di politica,
sociologia, attualità.
Volendo riportare alcuni esempi, possiamo constatare come
Berselli introduca nel mondo de “il Mulino” molte
personalità diversissime tra loro. Si pensi ad esempio
75
Intervista a Bruno Simili, febbraio 2011, Bologna, cit., qui p. 217.
159
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
all‟articolo commissionato nel 2003 ad Aldo Grasso e a
quelli che tra il 2004 e il 2008 ha scritto Giancarlo Zizola
per la rivista.
Aldo Grasso è un giornalista proveniente dalle fila del
«Corriere della Sera» che si occupa principalmente di critica
televisiva. Solo Berselli avrebbe potuto trovare un modo per
mettere a loro agio le argomentazioni di Grasso con quelle
degli accademici de “il Mulino” e infatti nel terzo numero
del 2003 (quello di maggio-giugno) gli commissiona un
articolo dal titolo La politica nel salotto televisivo nel quale
il giornalista analizza come i due rami del Parlamento
rischino ogni giorno di più di essere “scavalcati” dalle
ospitate televisive dei politici di maggioranza e opposizione,
sempre più presenti in ogni tipo di trasmissione: dai talk
show ai programmi comici. È così che Grasso si interroga su
quali siano le conseguenze per la politica e per la percezione
dei cittadini, perché «se la politica italiana fosse governabile
con un telecomando sarebbe facile compiere l‟operazione,
diminuire il volume, cambiare il canale del furore partitico,
spegnere le luci. Tenere le mani a posto»76. Nello stesso
anno Berselli e Grasso collabora per l‟edizione del volume
Piccolo schermo fra cultura e società: i generi, l'industria,
il pubblico77 ed è potrebbe essere che proprio da questa
collaborazione nasca l‟articolo dell‟esperto televisivo per la
rivista.
76
Grasso, A; 2003, La politica nel salotto televisivo, «rivista il Mulino»
n.3, pp. 474-480.
77
Grasso, A., Scaglioni, M.; 2003, Piccolo schermo fra cultura e
società: i generi, l'industria, il pubblico, Milano, Garzanti.
160
Edmondo Berselli e il Mulino
Esempio completamente diverso, ma in verità molto simile,
per Giancarlo Zizola, vaticanista di lungo corso per il
«Giorno», «Panorama», «il Sole 24 ore» e infine per «la
Repubblica». Probabilmente è proprio nella redazione del
quotidiano di Confindustria che Berselli incontra l‟esperto
di teologia e decide di commissionargli (nei sei anni di
mandato come direttore della rivista) ben quattro articoli
(uno nel 2004, due nel 2005 e uno nel 2008), tutti
riguardanti il rapporto tra stato e chiesa, tra cui anche uno
dedicato alla cruciale elezione di papa Ratzinger.
Ciò esemplifica perfettamente la linea editoriale per la
rivista scelta da Berselli, sobria, ma allo stesso tempo ricca
di spunti di riflessione molto diversi tra loro, negli stili e
negli argomenti (oltre che nelle argomentazioni). Un
melting pot, perché come ha sostenuto lo stesso Berselli in
un intervista rilasciata a «la Repubblica» in occasione della
sua elezione a direttore
il "mio" Mulino avrà un' attenzione speciale alla cultura e alla
politica del centro-destra, ma non per compensare inesistenti
squilibri passati nell' altra direzione. La verità è che il governo
del centro-destra è la vera novità sensibile e di forte portata di
questo decennio italiano, ma nessuno finora ha intrapreso un
lavoro intellettuale di analisi, di smontaggio profondo della
cultura che sta alla base di questo fenomeno molto complesso,
nebulosa unificata solo da Berlusconi. Ecco, mi piacerebbe che
tutti gli intellettuali che fanno riferimento al Mulino, di
qualsiasi tendenza, si dedicassero un po' a questo […].
Lavoreremo nel nostro stile, che è studiare le cose prima che le
ideologie. A tutto campo: non ci dedicheremo solo a un settore
del quadro. Per esempio mi sembra necessario lavorare ancora
sul filone centrale, storico della rivista, che è il rapporto fra
cattolicità e laicità in Italia, e che è ancora uno dei fattori
161
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
centrali che influenzano le scelte politiche di fondo. Insomma,
In un periodo in cui sembra prevalere la politique politicienne,
la tattica sulla strategia, la manovra sul contenuto, in cui il
conflitto politico contingente rischia di oscurare le ragioni di
fondo, studieremo la politica e la società sotto la luce più
neutra, ma anche la più accurata possibile. Possibilmente, non
78
solo per le élite intellettuali .
Sforgliare un numero dell‟epoca Berselli e uno della nuova
era Ignazi è ulteriormente formativo: il “nuovo Mulino” è
caratterizzato da articoli brevi, spesso di autori pressoché
sconosciuti, compaiono vignette per spiegare la storia e
vengono lasciate da parte firme e argomenti storici per la
rivista. Un cambiamento davvero forte.
Berselli ha saputo innovare senza eccedere, lui che con il
tempo (quello della musica) e gli equilibri estremi (quelli
della vita) ci sapeva fare.
78
Smargiassi, M.; 2003, Il Mulino adesso studierà le radici del centrodestra, «la Repubblica-Bologna», 20 Febbraio, p. 5.
162
Le postfazioni: meta progetti editoriali
Capitolo IV – Le postfazioni: metaprogetti
editoriali
Nella struttura dei libri di Berselli, che pure esplorano con
estrema disinvoltura
gli argomenti più disparati e
contaminati, è presente un motivo ricorrente, un punto di
riferimento stabile. Si tratta di un ultimo capitolo, che
potrebbe apparire come una postfazione, che spesso
Berselli, nel suo linguaggio nuovo e ironico, battezza come
“Backstage”.
Il termine è preso in prestito dal mondo dello spettacolo e in
inglese sta a significare “dietro le quinte”. Ha a che fare,
quindi, con la scena, con il teatro e la finzione. È come se
con questa metafora Berselli ci volesse portare a spiare nel
retroscena dei suoi libri, per farci capire cosa sta dietro a ciò
che appare.
Una volta finito il lavoro di stesura pare che Berselli voglia
prendere le distanze da sé come autore, o meglio dalla sua
opera, e leggersi con altri occhi. Una sorta di individuazione
delle fonti, ma compiuta in modo colloquiale. Vuole
spiegare al lettore perché ha scritto una cosa piuttosto che
un‟altra, da dove viene quell‟aneddoto, quella storia, ma lo
fa con acume e leggerezza. Ciò consente di comprendere,
forse più di un trattato teorico, quello che sta dietro, sotto,
intorno al testo berselliano.
Questo percorso inizia nel 2004, quando, una volta scritto
Quel gran pezzo dell’Emilia, l‟autore decide di “pagare i
debiti” ovvero di aggiungere un capitolo, per ringraziare e
163
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
citare in modo esauriente tutti quelli che hanno fornito
spunti per il suo scritto.
Nel 2006, poi, con la riedizione de Il più mancino dei tiri da
parte di Mondadori (già pubblicato nel 1995 da il Mulino),
Berselli decide di scrivere una “post fazione qualche anno
dopo” nella quale racconta i risvolti della prima stesura del
medesimo saggio. Tale diventerà, da questo momento, un
vero e proprio metodo per l‟autore.
A tal proposito, scrive Filippo Ceccarelli nelle pagine di «la
Repubblica»:
divertenti da rileggere sono le note, veri e propri
backstage e insieme porte attraverso cui accedere
all´interno di stanze per lo più inesplorate; e con lo stesso
stato d´animo, ma con un tocco di nostalgia
supplementare, ci si sofferma sui ringraziamenti dai quali
viene fuori l´efficacia dell´officina berselliana, quel
complesso e amichevole sistema di relazioni e
illuminazioni, consulenze, chiacchiere, telefonate
notturne, e riletture, dubbi, cortocircuiti, ripensamenti 1.
4.1 Metaprogetti o postfazioni
La locuzione “metaprogetto” viene dall‟architettura. Si
utilizza in progettazione per definire un‟attività, che ha
nature disciplinarmente diverse, e che ha come obiettivo
1
Ceccarelli, F.; 2011, L'Italia vista da Berselli quello sguardo unico tra
ironia e profondità, «la Repubblica», 1 aprile, p.47.
164
Le postfazioni: meta progetti editoriali
l‟indirizzo strategico del processo di transizione tra il
momento di istruttoria del progetto, quindi la raccolta dei
dati e la loro analisi, e quello di formalizzazione e sintesi.
Nel metaprogetto si possono riconoscere due fasi minori:
quella analitica e quella concettuale.
La prima, quella analitica, si caratterizza per lo studio e la
ricerca di ciò che circonda il progetto in senso sociale, fisico
e temporale. E quindi, nel caso di un libro, l‟operazione non
si limiterà all‟analisi del contesto nel quale si svolge una
vicenda, ma anche alle situazioni sociali, come usi, costumi,
tradizioni, e al target al quale rivolgersi. Se poi volessimo
allargarci sino al prodotto vero e proprio, quale libro
“supporto”, la fase analitica deve occuparsi dei materiali, dei
colori, delle lavorazioni produttive dei materiali stessi o le
lavorazioni sulle superfici. Si analizzano l'ergonomia e le
capacità sensoriali che l'oggetto riesce a trasmettere grazie
proprio alle scelte fatte dal progettista. Inoltre si fa una
ricerca storica sulla stessa tipologia di oggetti creati in
passato, per evitare imitazioni, errori, o prendere
ispirazione.
Nella seconda fase, invece, quella concettuale, si mette in
pratica tutto ciò che si è analizzato in fase analitica.
L‟obiettivo è creare un prodotto quanto più vicino possibile
agli obiettivi che erano stati prefissati. È indubbiamente la
fase più complessa che deve, infatti, tener conto di una serie
di vincoli.
Sin qui in generale. La fase analitica, in editoria, si definisce
progetto editoriale.
Scopo principale del progetto editoriale è quello di valutare
e definire sino al dettaglio le condizioni di fattibilità di un
165
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
dato prodotto editoriale. Una volta realizzato il progetto
editoriale, si entrerà nella fase concettuale, ovvero nel vero e
proprio ciclo produttivo che comprende la stesura del testo,
la sua elaborazione, la successiva revisione, la cura di
eventuali immagini, la progettazione grafica, sino ad
arrivare alla bozza di stampa, la fotocomposizione e, infine
alla stampa.
Si sarà intuito che, in questo caso, a noi interessa più la
prima fase.
Berselli, infatti, con le sue postfazioni, ripercorre con
estrema precisione, cura e profondità di pensiero i passaggi
della fase analitica, e lo fa alla fine del processo di stesura.
Se ci fermiamo un attimo a riflettere, ci verrà naturale
ragionare sul fatto che è usuale che introduzioni e
postfazioni non vengano scritte dall‟autore stesso del testo,
ma da altri, i quali, con occhio esterno, creano una vera e
propria critica di quanto riportato nel testo, seguendone
passo passo i ragionamenti.
Nei testi berselliani non è propriamente così.
L‟autore utilizza questi spazi finali, questo ultimo capitolo,
per raccontare ciò che sta dietro a quello che è stato esposto.
È un po‟ come se scoprisse le carte, se volesse dirci che
questo libro è, seppur in forma di racconto, un saggio e, per
questo, necessita di una serie di specificazioni per
sottolineare cosa è verità e cosa invece è fantasia. E a
riprova della forma “saggio” dei suoi scritti, Berselli
aggiunge nelle ultime pagine l‟indice dei nomi, dettaglio
assolutamente sconosciuto in un romanzo, ma elemento di
primo piano nella forma saggistica.
166
Le postfazioni: meta progetti editoriali
Nel domandarci del perché scelga di aggiungere questi
elementi, viene spontaneo pensare alla sua storia
professionale trascorsa nelle redazioni e iniziata come
correttore di bozze. Berselli lo ripete spessissimo: queste
sono le sue origini professionali e probabilmente per questo
motivo il suo rigore è quasi dovuto.
Nella fase di editing di un testo, l‟editor è tenuto a verificare
tutte le fonti, tutti i dettagli, note, citazioni, eventi. Berselli
sembra voglia impersonare il ruolo di editor anche per le sue
opere, dichiarando esplicitamente le fasi del processo.
Ci ricorda Simili, nell‟intervista riportata in appendice, che
Berselli era ordinatissimo, teneva tutto e ci teneva che
quanto scriveva fosse sempre preciso. Non lasciava mai
nulla al caso, non si sarebbe mai permesso di firmare un
saggio o anche solo un articolo, tra le centinaia che ha
scritto, senza verificare ogni singola fonte, ogni dettaglio.
Questo nonostante la sua proverbiale ferrea memoria.
Ci domandiamo se questi backstage, in realtà, non siano
delle note, note che l‟autore utilizza per specificare quanto
scritto nel testo.
In effetti nei testi analizzati non compaiono note a piè di
pagina, sembrerebbe quasi per non disturbare o interrompere
la storia.
Sono, invece, note finali, dettagliate e articolate, con una
ricerca a volte ossessiva delle fonti e completate da
minuziosi indici dei nomi; sono arricchite di collegamenti e
connessioni; sono discorsi organici che circostanziano e
motivano le vicende narrate nei capitoli precedenti.
167
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
4.1.1 Le citazioni
Nei backstge Berselli riprende la cura delle descrizioni che
si susseguono nei capitoli, aggiunge particolari, riporta voci
di altri, a corroborare o a smentire le sue tesi.
Capitolo per capitolo, si snodano i riferimenti. Le prove
sono i reperti, come l‟ex voto a Campogalliano nel
Santuario della Beata Vergine a Sassola, testimonianza
dell‟incidente della madre investita da una Fiat 2; sono i
riferimenti bibliografici: «il racconto del duello
automobilistico tra Mussolini ed Enzo Ferrari si trova nel
volume di Leo Turrini, sassolese come il poeta Emilio
Rentocchini, Enzo Ferrari, un eroe italiano»3; sono le
testimonianze: «la storia di Luigi Barzini junior e senior
l‟ho sentita raccontare da Indro Montanelli in un ristorante
– pizzeria di Via san Pietro all‟Orto a Milano»4.
Sono note spesso narrate, con quel gusto del racconto che
contraddistingue l'autore.
Queste note diventano anche citazioni in forma di aneddoto,
che aiutano ad immergersi nei luoghi di vita.
A volte sono ritratti vivaci, con un'analisi psicologica
profonda, pungente e venata di ironia:
l‟Oriana, la giovane partigiana, la cronista ventre a terra,
l‟intervistatrice che crocifigge gli intervistati da Kissinger
2
Berselli, E.; 2004, Quel gran pezzo dell'Emilia. Terra di comunisti,
motori, musica, bel gioco, cucina grassa e italiani di classe, cit., p. 638.
3
Ibidem.
4
Berselli, E.; 2006, Venerati maestri. Operetta immorale sugli
intelligenti d'Italia, cit., p. 842.
168
Le postfazioni: meta progetti editoriali
a Khomeini e Gheddafi, la madre mancata della lettera al
bambino mai nato, la sposa nubile dell‟amore disperato
con Alekos Panagulis, la cacciatrice di scoop
sull‟assassinio di Pasolini, il grande inviato che si ammala
di cancro durante la prima campagna irachena e
attribuisce la malattia alla grande nuvola malefica del
petrolio bruciato, la miliziana che combatte dal suo
appartamento a New York contro il fondamentalismo
islamico, senza mai dimenticare di citare il babbo o la
mamma, o di rivolgersi al trono e all‟altare, ai re e ai papi,
se è il caso5.
Altre volte hanno un sapore cultural-gastronomico:
lo sfacciato couplet di Bacchelli sulle ostriche […] me
l‟ha raccontato proprio il testimone Nicola Matteucci:
naturalmente a pranzo chez Leonida in Via Alemagna, nel
centro di Bologna a un passo dalle due torri6.
Sono anche suggestioni olfattive, richiamo che consente al
lettore (come le madeleines di Proust) di sentirsi dentro le
situazioni:
che dal casello di Modena nord o di Carpi si riesca
davvero a sentire l‟odore del Mare del Nord non lo so.
Ma l‟invenzione di Pier Vittorio Tondelli mi è sempre
sembrata irresistibile. Apre una visione d‟Europa. Un
senso sulle cose. Ci fa sentire dentro uno spazio fisico. Fa
venire voglia di uscire dall‟auto e restare lì con il naso per
aria, e verificare se quella sera è la sera giusta. Di sperare
5
6
Ivi, p. 845.
Ivi, p. 841.
169
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
che sia la sera in cui il Mare del Nord viene a farsi
sentire7.
4.1.2 Il contesto
L‟attenzione agli ambienti, l‟approfondimento sul prima e il
dopo delle vicende sono un segno della grande importanza
che Berselli attribuisce al contesto.
Come ribadisce Filippo Ceccarelli dalle pagine di
«Repubblica», «Tutto è stato Berselli fuorché un solitario, e
infatti non c´è libro che si possa togliere da una dimensione
collettiva, a volte perfino corale»8.
Nelle citazioni ritroviamo spesso riferimenti ai gruppi di
lavoro, o a vivaci relazioni, a volte anche virtuali, con
colleghi, amici, artisti, o ad incontri al ristorante;
difficilmente si rifanno ad indagini solitarie.
Berselli è un uomo profondamente legato alla sua città, al
suo paese, alle radici, all‟ambiente di lavoro, a tutto ciò che
è relazione. Lo vediamo tessere reti, orientarsi perfettamente
nei labirinti della comunicazione, comprendere in modo
quasi intuitivo le gerarchie e le connessioni. Relazioni che
diventano ancor più ampie se parliamo dell‟ambito
culturale. È una cultura intesa a 360 gradi; da Mariolino
Corso, calciatore, a Vilfredo Pareto, economista, dall'Equipe
84, band anglo-emiliana, a Bauman, sociologo:
7
Berselli, E.; 2009, Liù. Biografia morale di un cane, cit., p. 1332.
Ceccarelli, F.; 2011, L'Italia vista da Berselli quello sguardo unico tra
ironia e profondità, «la Repubblica», 1 aprile, p. 47.
8
170
Le postfazioni: meta progetti editoriali
le canzoni, il calcio, la televisione, quello che oggi si
chiama genericamente "pop", erano per Edmondo materia
di incessante curiosità, di partecipazione emotiva e
razionale. Un intellettuale rigoroso che non diminuisce il
suo calibro culturale solo perché la materia è vile e
allegra, e parla di Mariolino Corso e di Pareto,
dell‟Equipe 84 e di Bauman, con lo stesso rispetto per i
materiali della vita: questo era Edmondo Berselli, una
smentita vivente della maniera appartata e schizzinosa
con la quale il colto rischia sempre di guardare al
"volgare"9.
Dai backstage emerge in modo ancora più nitido la qualità
di queste relazioni, tutt‟altro che monocordi, gestite con
grande sensibilità ma anche con «una diffidenza radicata
verso l'eccesso di pathos, i sentimenti incontrollati» 10. Si
possono cogliere queste sfumature semplicemente scorrendo
in una pagina di backstage, per esempio di Venerati
maestri11, gli attributi riferiti ai personaggi che si
susseguono:«l‟immarcescibile» Montanelli, «l‟ineccepibile»
Sergio Romano, «il diabolico» professor Giovanni Sartori.
Un sano distacco gli consente di guardare le vicende con
equilibrio e di esercitare il giudizio con grande libertà di
pensiero, senza timori reverenziali. Non esita pertanto a
definire l‟avversario Montanelli «un maestro di libertà e di
9
Serra, M.; 2010, L'intellettuale ironico che raccontava il pop,
«repubblica.it», 12 aprile.
10
Ibidem.
11
Berselli, E.; 2006, Venerati maestri. Operetta immorale sugli
intelligenti d'Italia, cit., p. 843.
171
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
indipendenza»12 e a considerare Alberto Arbasino, suo
vero maestro, «il maggior scrittore italiano»13,
ma qui sconcerto e ammirazione, stupore e incantamento
facevano grumo e lasciavano interdetti, e per l‟appunto
invidiosi: di quella invidia “bianca”, d‟accordo, non di
quella “nera”, gretta e malata che stinge nell‟ arbitrabile
malinconia 14.
4.1.3 Il processo
Nei backstage Berselli, focalizza, più che gli oggetti e i
progetti, i processi e le relazioni rispetto alle quali i fatti
raccontati divengono delle conseguenze.
Si concentra sul “ come” piuttosto che sul “cosa” e spiega,
spesso con una logica rigorosa, i passaggi che hanno portato
a una affermazione. È questo il vero obiettivo dei backstage.
E in Liù, si esce finalmente allo scoperto: il titolo del
backstage, ultimo capitolo del suo ultimo libro, è Epilogo
dell’epilogo – Un discorso sul metodo. L‟epilogo è dunque
il metodo, con un chiaro rimando a Cartesio. Il metodo
quindi è la chiave d‟interpretazione, l‟intelaiatura nascosta
che sorregge e valida i contenuti del pensiero. Non è un caso
che l'autore si preoccupi sempre, a volte in modo quasi
maniacale, di dimostrare la verità, o la verosimiglianza
delle sue affermazioni, come vedremo più avanti. E questi
12
Ibidem.
Ivi, p. 841.
14
Ivi, p. 841.
13
172
Le postfazioni: meta progetti editoriali
“discorsi sul metodo”, reiterati anno dopo anno in ogni
volume che usciva, riportano ad alcuni punti:
una volta, da hegeliano, credevo solo nelle astrazioni:
tesi, antitesi, sintesi, struttura, sovrastruttura; paradigma,
sintagma;
comunità,
società;
secolarizzazione,
burocratizzazione […]. Adesso credo solo negli episodi,
anzi più precisamente negli aneddoti15.
oppure: «Non mi piacciono gli indiscutibili» 16.
4.1.4 Vero, autentico, verosimile
In Il più mancino dei tiri, la sfida «di scrivere un libro tutto
a memoria»17 ha per Berselli una complessità non evidente
e che esplicita solo nel backstage. Essa comporta, infatti per
lui, l‟apertura di almeno tre fronti: una prova per la
memoria, un‟avventura per la creatività artistica, un
dilemma di carattere epistemologico.
In particolare è su quest‟ultimo punto, che la maggior parte
degli autori avrebbe ignorato o liquidato sulla base di una
scelta artistica, che il rigore scientifico e lo spessore
culturale lo obbligano a scomodare tutti i più importanti
epistemologi, a partire da Galileo Galilei, sino ai filosofi del
Novecento. Lo inquieta, in particolare, la propria
trasgressione, che se dal punto di vista artistico è un valore,
15
Berselli, E.; 2007, Il più mancino dei tiri, cit., p. 89.
Ibidem.
17
Ivi, p. 90.
16
173
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
come licenza a lasciar correre la scrittura sul confine della
memoria e della fantasia, dal punto di vista del rigore
metodologico «scrivere senza verificare nulla per un
impegno preciso assunto con me stesso»18 gli crea un senso
di colpa: «Di questo criterio (principio di non verifica)
comprendo la sostanziale assurdità. L‟arbitrio, la gratuità, la
vanità»19.
Ed ecco quindi che inizia un‟indagine puntigliosa, uno
scavare, quasi da psicoterapia, sul perché di questa scelta e
ritrovarsi finalmente nelle epistemologie più recenti sulla
costruzione delle teorie scientifiche, dal principio di
falsificazione di Popper, ai paradigmi di Kuhn, alla critica
alla condizione di coerenza di Feyerabend:
ho letto Imre Lakatos (o era Paul Feyerabend, controllate
voi), il quale sosteneva una scienza anarchica che
assomigliava moltissimo nei suoi criteri epistemologici di
base e nel metodo al Tiro mancino. Legge fondamentale
della scienza: si procede alla carlona, si formulano teorie
qualsiasi, poi agisce una selezione darwiniana, qualcuno
mette un imprimatur sulla teoria meno improbabile e si
forma una scuola 20.
O nelle origini e negli epigoni della nostra civiltà: «invece
[…] Piero Capelli ha paragonato Il più mancino dei tiri, nel
metodo e nel sistema, al Talmud e a internet»21.
18
Ibidem.
Ibidem.
20
Ibidem.
21
Ibidem.
19
174
Le postfazioni: meta progetti editoriali
E a questo livello è irrilevante che si parli di calcio o dei
massimi sistemi, tantochè Heriberto Herrera è
consapevolmente posto a fianco di Hegel, Marx, Saussure,
Tonnies e Weber.
Al di là dell‟esperimento dello scrivere a memoria di Il più
mancino dei tiri, per Berselli il validare ogni affermazione,
il corroborare i dati con una puntuale citazione delle fonti è
un abito mentale prima ancora che professionale.
Che diviene a volte una vera e propria ossessione per il vero.
Di qui l‟urgenza di precisare sempre, per esempio: «nel
primo capitolo di questo libro, la storia [...] è rigorosamente
autentica, tranne che nei particolari di contorno e di colore ,
che sono soltanto verosimili»22.
E ancora:
il racconto di alcune modeste epopee di viaggio in treno o
in autobus dal Trentino alla provincia modenese è la
ricostruzione, non infedele, del viaggio annuale che ci
portava a passare le vacanze estive a casa della nonna
materna Augusta, a Campogalliano23.
Oppure: «Non sono così sicuro che l'edificio sia ad ovest, e
che quindi il sole tramontasse proprio dietro quel tetto»24.
22
Berselli, E.; 2004, Quel gran pezzo dell'Emilia. Terra di comunisti,
motori, musica, bel gioco, cucina grassa e italiani di classe, cit., p.635.
23
Berselli, E.; 2007, Adulti con riserva. Com’era allegra l’Italia prima
del Sessantotto, cit., p.996.
24
Ivi, p.997.
175
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
4.2 A uno a uno, i backstage
Ci apprestiamo ora ad analizzare una ad una queste
postfazioni per entrare nello specifico di ciascuna,
sottolineando come anche le modalità di scrittura siano
mutate nel corso del tempo.
I saggi di Berselli vengono scritti nell‟arco di quindici anni.
Innanzi tutto, gli unici testi berselliani a non avere né
introduzione né “backstage” sono Post-italiani. Cronache
di un paese provvisorio, datato 2003 e L’economia giusta
del 2010.
Quest‟ultimo, come già affermato, è un vero e proprio
saggio sull‟economia e si concede solo tre pagine iniziali
per un “Esergo” che prende le mosse da Marx e Leone XIII
per spiegare come si sia arrivati all‟attuale crisi economica
mondiale.
Nel tentativo di dare un ordine, prendiamo come anno base
per lo studio dei Backstage berselliani il 2003.
In questo anno, infatti, viene pubblicato nella collana
“Frecce” di Mondadori il già citato Post-italiani, privo di
qualsiasi pre o post fazione.
Nel 2004, vede la luce, all‟interno della collana “Saggi”
della Mondadori stessa, Quel gran pezzo dell’Emilia. Terra
di comunisti, motori, musica, bel gioco, cucina grassa e
italiani di classe, il quale contiene sia una introduzione che
un backstage.
Due anni dopo, nel 2006, assistiamo alla ripubblicazione da
parte di Mondadori (collana “Piccola biblioteca Oscar”) de
Il più mancino dei tiri, libro edito nel 1995 da il Mulino, ora
arricchito con una “Postfazione”.
176
Le postfazioni: meta progetti editoriali
Nello stesso anno, inoltre, esce l‟inedito Venerati Maestri.
Operetta immorale sugli intelligenti d’Italia, anch‟esso
incluso nella collana “Saggi” della casa editrice milanese e
che si conclude con un ricco Backstage.
Doppia pubblicazione anche nel 2007: con il Mulino viene
rivisitato Canzoni. Storia dell’Italia leggera, in origine
contenente solo una prefazione e poi arricchito con
“Postfazione”, mentre con Mondadori, ancora una volta
nella collana “Saggi”, Adulti con riserva. Com’era allegra
l’Italia prima del Sessantotto, che si apre con un prologo e
si chiude con l‟ormai classico backstage.
Nel 2008 è nelle librerie per i “Saggi” Mondadori,
Sinistrati. Storia sentimentale di una catastrofe politica, con
postfazione finale.
Infine, l‟anno successivo, esce Liù. Biografia morale di un
cane, stessa collana, stessa casa editrice, arricchito da un
piccolo prologo e da un ricco backstage.
Nell‟analisi non procederemo quindi seguendo l‟ordine di
uscita dei libri, quanto dei prologhi e postfazioni. Ciò
comporterà che i due libri editi dal Mulino negli anni
novanta verranno analizzati nelle loro nuove versioni,
stampate, come abbiamo visto, nella seconda metà degli
anni duemila.
Pensando al primo libro che stiamo andando ad analizzare,
Quel gran pezzo dell’Emilia, viene spontaneo pensare a
Guccini.
Per i due - Berselli e Guccini – stessi luoghi, stesso periodo,
stesse frequentazioni, e un‟affinità nella sensibilità e nel
gusto. Anche in Guccini ritornano le epopee emiliane che
sembrano essere leggende, ma che in fondo sono realtà.
177
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
Per esempio, nel testo che accompagna l'album «Fra la via
Emila e il West», ecco cosa scrive il cantautore:
la via Emilia tagliava Modena in due; la strada dove
abitavo, da una parte, si incrociava con essa. Dall'altra
parte c'erano già gli ampi campi della periferia. Erano un
po' il nostro "West" domestico: bastava fare due passi, o
attraversare una strada, e c'erano già indiani e cow-boys,
cavalli e frecce; c'era, insomma, l'Avventura, tradotta in
"padano" dai film e dai fumetti. Poi la via Emilia
continuò a tagliare Modena in due, ma il West aveva
volto diverso, e il "mito americano", quello di tante
generazioni oltre alla mia, parlava lingua diversa, quella
del rock, delle copertine dei dischi, della faccia di James
Dean in Gioventù bruciata, dei libri che altri appena
prima di noi avevano scoperto e voltato in italiano. Ma i
due riferimenti esistevano sempre, un piede di qua e uno
di là, il sogno (meglio, l'utopia) e la realtà 25.
Nell‟introduzione Berselli ci spiega come, nonostante non vi
siano stati personaggi del cinema o della storia che hanno
impersonato in tutto e per tutto l‟identità emiliana, essa
esista e provenga da radici solide, accostabili più a questioni
politiche e anticlericali, pragmatiche e non filosofiche, che a
confini geografici, spesso labili (perché Mantova è più
emiliana di Piacenza e Pesaro è romagnola almeno quanto
Riccione).
La sezione finale del libro si intitola “A ciascuno il suo
(ovvero un backstage)” e analizza uno a uno tutti i capitoli
del libro. Riferisce da dove provengono gli aneddoti, che
25
Guccini, F.; 1984, Fra la via Emilia e il west, EMI.
178
Le postfazioni: meta progetti editoriali
cosa è rintracciabile su altri testi, dove e cosa invece è stato
“colorito” dall‟autore e perché. Ne riportiamo alcuni brani
per dare un‟idea:
nel primo capitolo di questo libro, la storia di Palmiro
Togliatti che viene a Reggio Emilia e del suo discorso
Ceti medi ed Emilia rossa è rigorosamente autentica,
tranne che nei particolari di contorno e ci colore, che sono
soltanto verosimili, come capisce qualsiasi persona di
normale intelligenza. Una ricostruzione recente di questa
vicenda, senza fare troppa fatica in archivi e biblioteche,
si può trovare nel dibattuto volume di Giampaolo Pansa Il
sangue dei vinti, pubblicato da Sperling & Kupfer nel
200326.
È proprio in queste pagine che si esplicita la tesi del libro:
l‟ipotesi, centrale in queste pagine e in tutto il libro, che a
Modena, Reggio e sostanzialmente nell‟Emilia rossa
nessuno faceva politica perché c‟erano già i comunisti a
farla e l‟ha suggerita Giulio Santagata, aiutante di campo
di “Romano” e fratello del petrarchista Marco; al
Santagata politico si deve anche la ricostruzione della
vicenda di Punto Radio e degli esordi di Vasco Rossi.
[…] Il libro di Marco Santagata Papà non era comunista
è un piccolo e bellissimo romanzo autobiografico
(Guanda, 1996), che in certe parti può ricordare Luigi
Meneghello (soprattutto Libera nos a Malo) e fa
comprendere molte vicende politiche emiliane, il ruolo
26
Berselli, E.; 2004, Quel gran pezzo dell'Emilia. Terra di comunisti,
motori, musica, bel gioco, cucina grassa e italiani di classe, cit., p. 655.
179
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
della Democrazia cristiana e dei democristiani di sinistra,
il rapporto competitivo con il PCI27.
Per finire con:
nel sesto ed ultimo capitolo di questo libro, il brano di
Ugo Cornia sul fatto che stare a Parigi è come stare a
Modena e quindi non vale la pena di andarci è tratto dal
suo romanzo Roma, pubblicato da Sellerio nel 2004. Le
notizie riguardanti Umberto Bossi sono riprese da Gian
Antonio Stella, Tribù (Mondadori, 2001).
Naturalmente il Bersani che chiude il libro è un
personaggio virtuale, e le sue opinioni non impegnano né
i Democratici di sinistra né le Feste dell‟Unità 28.
La particolarità di questo Backstage è che non assomiglia a
note a fine capitolo o a postfazioni rigorose. Mantiene il
ritmo del libro e ne fa parte in tutto e per tutto. Nella lettura
sembra quasi che l‟autore voglia fare una carrellata dei vari
capitoli e che, sia per onor di cronaca, ma soprattutto per
piacere personale, voglia riprendere uno a uno i passaggi
ispirati da altri e restituire al lettore la possibilità di andarne
a cercare i dettagli. Sembrano in un certo qual modo
consigli spassionati, suggerimenti da amico a amico su cosa
leggere, vedere, chi seguire. Ed è solo un dettaglio, una
presa in giro la frase con cui conclude il suo primo
backstage: «e con questo i debiti sono pagati, i creditori
27
28
Ivi, p.659.
Ivi, p.660.
180
Le postfazioni: meta progetti editoriali
dovrebbero essere soddisfatti, e quindi finisce anche il
backstage»29.
Non ci sono debitori o creditori, ma solo la voglia di questo
autore di rendere giustizia, con scanzonata puntigliosità, a
quanto scritto e a chi lo ha ispirato, quasi come se non fosse
merito suo, quasi come se l‟autore avesse solo raccolto
dettagli per poi metterli insieme, in puro stile Mulino.
Il più mancino dei tiri, come già affermato, vede la sua
prima pubblicazione nel 1995. Come già detto, ha una
particolarità: l‟autore, nonostante il suo amore per la
precisione e per i dettagli, scommette con se stesso di poter
scrivere un intero libro a memoria, senza controllare nulla.
E non è certo un “peccato di gioventù”, l‟autore a quel
tempo ha già quarantaquattro anni.
Undici anni dopo, nel 2006, complice una ripubblicazione,
Berselli decide di aggiungere al libro una postfazione,
intitolata “Voci di spogliatoio. Un backstage qualche anno
dopo”, nella quale, innanzitutto, si chiariscono ragioni e
dubbi di una stampa e una ristampa:
nel giugno del 1995, allorché venne pubblicato Il più
mancino dei tiri (alias, per brevità, Tiro mancino), la
collana “Contrappunti” del Mulino elencava i seguenti
autori: Achille Campanile, Giorgio Celli, Carlo M.
Cipolla, Masolino D‟Amico, Giampaolo Dossena,
Augusto Frassineti, Mino Maccari, Fabio Mauri,
Beniamino Placido, Giuseppe Pontiggia, Dante Zanetti.
Una sottile inquietudine, al momento dell‟uscita in
29
Ibidem
181
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
libreria, mi suggeriva il pensiero noioso che forse il libro
poteva essere il colpo di grazia alle fortune declinanti di
quella piccola ed elegante collezione. Adesso nel 2006,
per la gentile insistenza di Gian Arturo Ferrari, viene
ripubblicato, ma intatto, senza correggere nemmeno gli
errori involontari che mi sono stati segnalati […]. Il Tiro
mancino è un manufatto d‟altra epoca. Alterarlo con
modifiche testuali e il senno di poi sarebbe una
scorrettezza ai danni dei lettori di allora e di oggi30.
E prosegue:
si dovrebbe sentire subito che il Tiro mancino nasce in un
ambiente editoriale: infatti dà conto delle fisime principali
che assillano le case editrici. Il mercato, il pubblico, la
“tesi”, l‟identità delle collane, il disgusto per i libri
sintetizzato nell‟aforisma corporativo: “L‟editoria è come
la merda: si fa ma non si guarda” […] Ho avuto anche un
editor, come no. Il testo è stato letto, riletto, scrutato,
rivoltato di sotto e di sopra da Giuseppe Ulianich. Un
lettore meticoloso che ha individuato tutti, diconsi tutti,
ma proprio tutti, i passaggi che non mi convincevano e
che non avevo migliorato perché i libri bisogna pur
dichiararli finiti e mandarli in tipografia […].
La sfida […] consisteva nello scrivere un libro tutto a
memoria. Per capriccio, per segnalare un indirizzo o un
uzzolo psicologico irresistibile. Vale a dire una
concessione deliberata al caso nel momento in cui
sopraggiunta la maturità, avevo 44 anni, richiederebbe
una dose in più di prudente razionalità31.
30
31
Berselli, E.; 2007, Il più mancino dei tiri, cit., p.87.
Ivi, p.89.
182
Le postfazioni: meta progetti editoriali
Insomma, questo backstage è un po‟ diverso dagli altri. Non
motiva quello che è scritto nel libro, ma racconta cosa è
accaduto durante e dopo la sua stesura, non rinunciando mai
ai suoi amati aneddoti, come quello che segue.
Al Tiro mancino venne assegnato il Premio satira politica
di Forte dei Marmi per la saggistica. Era un bel sabato di
metà settembre del 1995. Alla Capannina di Franceschi
durante la “Conferensia estampa” della mattina
(presidente della giuria Pasquale Chessa, fra i premiati
Oreste del Buono, Milo Manara, Daniele Luttazzi), si alza
un tale che con fortissimo accento sardo, e dall‟altro –si
fa per dire- di un perfetto physique du role isolano
comincia
a
vociare
che
è
contrariatissimo
all‟assegnazione del premio al mio libro, “perché non si
parla mai di Gigirriva”, mentre altri due gli tengono
bordone e fanno ampi cenni di sì con la testa. Al che io
mi profondo in spiegazioni, dicendo che invece, come no,
di Rombo di Tuono si parla moltissimo, e quasi mi
indigno guardandomi attorno sbalordito per questo
attacco presuntuoso e infondato, quando qualcuno mi tira
per la manica e mi dice sottovoce: “Guarda che quei tre
sono Aldo, Giovanni e Giacomo”. Erano anche loro fra i
premiati, ma non li avevo riconosciuti. Ghignate
generali32.
Nello stesso anno, come detto sopra, vede la luce anche
Venerati Maestri.
32
Ivi, p.94.
183
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
Sul finire di questo libro troviamo un backstage intitolato
“Personaggi, interpreti, retroscena e fraintendimenti”. È di
notevole lunghezza: ben dieci pagine.
Ma una tale dimensione è ben giustificata; si ricorderà che il
sottotitolo di Venerati Maestri è Operetta immorale sugli
intelligenti d’Italia; sulle vicende di tali personaggi,
raccontate nel dipanarsi dei capitoli, l‟autore dà conto nel
backstage attraverso chiarimenti ed aneddoti.
E infatti sin dalle prime battute di quest‟ultimo capitolo
afferma:
dovrebbe essere chiaro, ma lo metto per iscritto perché
non si sa mai, che i personaggi di questo libro non sono
che una trasposizione simbolica delle loro figure reali.
Quindi episodi e giudizi contengono quel tanto di
precarietà essenziale e critica che deriva dall‟imprecisione
dei profili. Tanto per dire una sciocchezza con sussiego
retorico, le pagine precedenti parlano di un mondo
parallelo, abitato da personaggi che assomigliano a
Alberto Arbasino, Claudio Magris, Nanni Moretti,
Roberto Benigni, e hanno scritto libri e girato film che
assomigliano a quelli da loro scritti e diretti 33.
E prosegue, smentendo o confermando quanto raccontato
nel testo, sulla base di precisi riferimenti, riprendendo uno a
uno i personaggi, in un fluire costante di nomi, titoli e
citazioni che reggono il libro in modo magistrale. La
particolarità maggiore sta forse nel finale di questa
33
Berselli, E.; 2006, Venerati maestri. Operetta immorale sugli
intelligenti d'Italia, cit., p. 838.
184
Le postfazioni: meta progetti editoriali
postfazione: poche righe in cui, una volta tanto, l‟autore
disvela se stesso:
per finire: non ci sono ringraziamenti ufficiali, questa
volta, perché questo libro è frutto di decenni di
chiacchiere con i miei amici. Che sono quelli che ho già
ringraziato nei miei libri precedenti, che ringrazio qui
ancora, tutti, insieme a quelli che nel frattempo si sono
aggiunti.
Ho cinquantacinque anni, una moglie eterna ragazza, un
cane femmina dal nome turandottiano di Liù. Nella sua
autobiografia, Ralf Dahrendorf confessa che si guarda
allo specchio e di vede sempre come un adulto di
ventisette anni. Io mi guardo meno che posso, cercando di
non smentire la sensazione di essere ancora un ventenne.
Sarà per il perdurare psicologico dell‟età irresponsabile
che queste pagine sono state scritte con un certo gusto, un
po‟ di divertimento. Avevo cominciato, per la verità, con
l‟intenzione di andarci pesante. Mi sono accorto però che
via via che passa il tempo, nonostante i miei vent‟anni
virtuali, divento più insofferente verso le opere ma assai
più tollerante verso gli autori. La mia fiducia nel genere
umano e nell‟intelligenza collettiva e individuale del
piccolo paese in cui abitiamo mi induce alla speranza che
i personaggi verosimili o falsificati di cui ho parlato nelle
pagine precedenti non si sentano offesi dal modo in cui li
ho trattati. Sarebbe inutile.
Come ho cercato di dire, è soltanto un cabaret. 34
Dopo Venerati Maestri, ecco la riedizione di Canzoni, con
la sua “Postfazione - qualche anno dopo: piangi con me”.
34
Ivi, pp. 846- 847.
185
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
Anche in questo caso Berselli, oltre alle note che motivano
le origini, le fonti e le circostanze di alcune vicende scritte
nel libro, racconta quel che è accaduto dopo la sua
pubblicazione. E dato che il saggio è nato, a dir dell‟autore,
grazie all‟ascolto di una vecchia canzone di Guccini passata
per caso per radio, le prime quattro pagine di questa
postfazione sono dedicate al cantautore bolognese,
«deposito vivente di cultura, tanto che bisognerebbe
metterlo dentro una teca e conservarlo come monumento
nazionale e reliquia antropologica meglio degli indios
dell‟Amazzonia»35.
E via così, raccontando per esempio delle vecchie e nuove
opinioni su Celentano che vende miliardi di copie con il
disco Io non so parlar d’amore «e in seguito per motivi
altrettanto misteriosi Adriano ritorna ad essere il ragazzo
irresistibile, quello che inchioda il pubblico davanti alla TV,
stravende dischi, scandisce il dibattito politico» 36.
E ancora, Vasco, Battisti, Mogol, Baglioni e Max Pezzali
per il quale
ancora adesso sono disposto a sostenere in pubblico che
non solo è un bravissimo sociologo naturale, un
perlustratore intelligente della provincia profonda, ma è
anche il più bravo autore di testi per le canzoni che ci sia
in circolazione in questo povero momento37.
35
Berselli, E.; 1999, Canzoni. Storie dell'Italia leggera, cit., p. 243.
Ivi, p. 246.
37
Ivi, p. 252.
36
186
Le postfazioni: meta progetti editoriali
Le postfazioni diventano ora parte integrante dei libri di
Berselli.
Anche in Adulti con riserva, come in Quel gran pezzo
dell’Emilia, l‟autore compie una suddivisione non per
argomenti, ma per capitoli, spiegando di volta in volta
vicende riguardanti se stesso, la sua formazione, la sua
famiglia e dettagli a proposito dell‟incontro tra Churchill e
Pio XII e gli ormai immancabili aneddoti provenienti dal
Mulino.
La postfazione di Sinistrati,“Tanto per precisare qualche
stagione dopo” appare più un saggio da rivista del Mulino
che una digressione sui contenuti del libro.
Un “tanto per precisare” reiterato nei tempi e negli
argomenti, che scandisce quasi con rabbia quanto accaduto
dopo le elezioni del 2008. Ne citiamo l‟ultima parte:
ma poi, tanto per precisare, quale sinistra, avrebbe
commentato
pensosamente
Norberto
Bobbio,
appiccicando al termine “sinistra” un numero
filosoficamente congruo di punti di domanda. Nel
frattempo era successo il finimondo. Bettino Craxi aveva
rinunciato all‟idea
mitterandiana
dell‟alternativa,
richiudendosi nell‟alleanza di brevissimo respiro con
Andreotti e Forlani. Tangentopoli e Mani pulite
avrebbero poi provveduto a spazzar via un‟intera classe
politica. Il resto è storia o cronaca. Vittorie, sconfitte,
pareggi. Prodi, Veltroni, la vocazione maggioritaria, lo
spirito del Lingotto, che nessuno sa più cosa sia.
E in fondo, la vecchia idea che occorra tornare al passato,
inteso come glorioso. A Berlinguer, al governo degli
onesti, al pensiero che la classe dirigente comunista era
187
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
migliore, più sobria, meno compromessa (eppure Bobbio
ammoniva che il governo degli onesti è sempre stato una
truffa reazionaria). Nostalgie, ma non soltanto. Occasioni
per introdurre nel discorso pubblico l‟indignazione e la
rabbia, sentimenti che vengono da lontano e vorrebbero
andare lontano, ma in realtà sono sempre fermi qui.
Perché il problema non è il passato, ma il futuro: ossia il
compito, faticoso e ancora tutto da inventare, di
governare una società moderna38.
Il Backstage di Liù si intitola “Epilogo dell’epilogo – Un
discorso sul metodo” e racconta capitolo per capitolo
aneddoti sul calcio, sulla musica, passando, senza farci caso
più di tanto, alla sociologia di Riesman, a Montanelli, per
poi tornare al Mulino e all‟odore del Mare del Nord.
In questo Backstage si può dire vi sia tutto Berselli. Un po‟
come nel libro dal quale è tratto, disvelato, sincero, nascosto
solo dietro a un vetro trasparente. Non vi è un saggista
distaccato, ma un romanziere, perché no, di se stesso e della
sua vita.
4.2.1 I riferimenti al lavoro editoriale nelle opere
Vi è un altro elemento chiave che esemplifica perfettamente
quanto il lavoro presso la casa editrice abbia influito su
Berselli. Esso riguarda tutti quei piccoli riferimenti che
continuamente l‟autore fa al lavoro tipico di una casa
editrice, l‟uso frequente del lessico professionale. Su di essi
38
Berselli, E.; 2008, Sinistrati. Storia sentimentale di una catastrofe
politica, cit., pp. 1178 -1179.
188
Le postfazioni: meta progetti editoriali
si potrebbe scrivere un intero saggio, noi ne riporteremo
solo una minima parte per chiarire con esempi il concetto.
Ne Il più mancino dei tiri, già dalle prime pagine, afferma
la tesi la reclamano soprattutto i funzionari editoriali, i
cosiddetti editors: i quali raramente si prendono la
responsabilità aziendale di dire se un libro è buono o
cattivo, bello o brutto, ma possiedono un infallibile
schema di interpretazione, una specie di affilatissimo
rasoio logico, secondo cui non si scappa: il saggio ha
“una tesi forte”39.
E ancora
orsù dunque: a voi piacerà applaudire lo studioso che ha
allestito un ordinato archivio, che ha schedato lo
schedabile, che redige saggi meditabondi con un corredo
definitivo di note a piè di pagina […]. Gli specialisti
oltretutto sono individui che vivono nel terrore di
sbilanciarsi, che rifiutano di avanzare la benché minima
tesi dichiarando l‟eccezionale complessità dei loro vasi
argomenti;
mentre poi giudicano vittime di
un‟accademica codardia i colleghi […]. In buona sostanza
va bene nutrire una devota reverenza per l‟insigne
accademico che spulciata tutta la letteratura, interroga
finemente i classici, si misura alla pari con i
contemporanei, postula lo sviluppo del dibattito e infine
consegna gli esiti della sua scienza a capitoli ben
ponderati e redatti con sapiente acribia e misurato
rigore40.
39
40
Berselli, E.; 2007, Il più mancino dei tiri, cit., p. 10.
Ivi, p. 11.
189
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
Funzionari editoriali, editors, tesi, l’ordinato archivio dello
studioso, le schedature, note a piè di pagina, capitoli ben
ponderati, redatti con sapiente acribia: in ogni libro,
soprattutto nelle prefazioni e nelle postfazioni, si ripete
questo lessico. Riportiamo un altro esempio dal libro
Canzoni, quando parlando di Guccini, Berselli suggerisce
che bisognerebbe «fargli incidere tutti quei vecchi canti, in
modo da porteli studiare all‟università con le note a piè di
pagina e tutta la bibliografia in bell‟ordine, e farci delle
belle tesi»41.
E ancora in Venerati maestri parlando nel “maestro” Alberto
Arbasino, dove si parla di macchine per scrivere elettriche,
impaginature, bozze, editori, redattori42 e così via via
discorrendo, in ciascun saggio dell‟autore.
Abbiamo riportato tutti questi piccoli esempi per dimostrare
come il gergo tipico di una casa editrice fosse
profondamente radicato nel suo linguaggio. Naturalmente
ciò non stupisce se si pensa che Edmondo Berselli lavora in
contesti editoriali per tutta la sua vita, più di trent‟anni tra
correttori di bozze e libri. Ciò che sorprende, invece, è come
spesso l‟autore riesca a utilizzare questo linguaggio per
esemplificare e metaforizzare ogni tipo di concetto, spesso
paragonando il rigido metodo editoriale, fatto di precise
linee guida, a personaggi o situazioni, fingendo di essere un
“lavoratore alla carlona” per poi rivelare, in realtà, l‟utilizzo
41
Berselli, E.; 1999, Canzoni. Storie dell'Italia leggera, cit., p. 243.
Berselli, E.; 2006, Venerati maestri. Operetta immorale sugli
intelligenti d'Italia, cit., p. 719.
42
190
Le postfazioni: meta progetti editoriali
che lui stesso fa di quelle procedure e di quell‟ordine tipico
di chi segue il rigore dettato dalla pubblicazione editoriale.
191
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
192
Conclusione
Per concludere possiamo affermare che è indubbio vi siano
stati influssi tra la crescita professionale del Berselli e il
gruppo il Mulino e, allo stesso modo, abbiamo dimostrato
come il lavoro di Berselli abbia notevolmente arricchito e, in
alcuni casi, modificato le attività sia della società editrice
che della rivista del medesimo gruppo.
Indubbiamente la provenienza geografica (la cattolica
Emilia rossa) e il medesimo anno di nascita hanno
contribuito a far sì che entrambi i nostri soggetti abbiano
avuto nei primi 25 anni di vita influenze molto simili,
soprattutto in un periodo particolarmente ricco di spunti
sociali, economici e politici come quello che va dai primi
anni cinquanta alla metà dei settanta (il dopoguerra, la
ricostruzione del paese, il boom economico, il 1968).
Un'infanzia, quella del Berselli, scandita dai ritmi di una
famiglia modesta, costretta anche a trasferirsi nel lontano
Trentino per seguire il padre operaio, ma che non ha mai
perso la sua identità emiliana. Il calcio, la politica, la
"cucina grassa" e più avanti con gli anni la musica, quella
che, una volta tornato a Modena, avvolgerà la vita
dell'autore e ne influenzerà profondamente non solo il gusto,
ma anche gli scritti, e quel suo amore non solo per la
politica, ma anche per il costume, passaggio fondamentale,
secondo l'autore stesso, per riuscire a capire meglio una
società in continuo movimento come la nostra.
Da quel che abbiamo potuto osservare sembra chiaro come
il gruppo del Mulino abbia fortemente influenzato la vita,
non solo lavorativa, del Berselli, accolto tra le braccia della
193
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
casa editrice nel 1976 con il suo primo incarico di correttore
di bozze e cresciuto anno dopo anno, incarico dopo incarico,
in un'escalation di mansioni sempre più importanti.
Certamente hanno profondamente inciso in Berselli gli
insegnamenti, all‟inizio, di Giovanni Evangelisti, deus ex
machina della casa editrice, suo primo maestro, che lo ha
accolto non tanto tra le sue braccia quanto tra i suoi artigli,
in un rapporto di amore ed odio che è proprio di ogni coppia
affiatata soprattutto in ambiente lavorativo.
Allo stesso modo hanno influito sulla sua crescita personale
e professionale personaggi come Nicola Matteucci, Ezio
Raimondi, Federico Mancini, Ugo Berti e Ilvo Diamanti,
così come, ne siamo ormai certi, ogni singola persona che
abbia varcato la soglia del Mulino quando Berselli era in
quelle stanze, spugna che ha saputo assorbire quante più
nozioni dotte e quanti più aneddoti irriverenti da chiunque
abbia avuto il piacere di scambiare chiacchiere con lui.
Ne sono dimostrazione le numerose pagine che Berselli
dedica nei suoi saggi al gruppo dei "mugnai", che abbiamo a
lungo citato nelle pagine che precedono queste conclusioni.
Allo stesso modo possiamo affermare che il lavoro
editoriale svolto presso la casa editrice abbia ispirato gli
scritti berselliani, e, in particolare, i suoi saggi. Lo abbiamo
dimostrato per mezzo dell'analisi dei backstage, punto
nevralgico di quasi tutti i saggi dell'autore. Pagine ricche di
spunti, chiarimenti, note a piè di pagina riportate a fine
testo, per non spezzare il fluire del racconto e per non
rendere asettico nemmeno il riordino delle fonti, riportato
con stile scanzonato e irriverente tipico del Berselli, ma
senza dimenticare, mai, la cura per il dettaglio, per un'analisi
194
il più possibile corretta, senza lasciare nulla al caso, perché
se è vero che la memoria è uno dei maggiori pregi
dell'autore, è altrettanto vero che è lui stesso a non voler mai
lasciare spazio a fraintendimenti, a possibili errori, come
ogni editor che si rispetti esige nel suo lavoro.
E come abbiamo affermato poc'anzi, non possiamo certo
dimenticare quanto l'influsso di una personalità carismatica
e professionalmente forte come quella di Edmondo Berselli
abbia incrementato il lavoro e della casa editrice e della
rivista. La prima non solo attraverso i suoi incarichi che
hanno avuto luogo per anni nelle stanze dell'editore, ma in
particolar modo per mezzo dei suoi primi due saggi: Il più
mancino dei tiri e Canzoni, pubblicati proprio con il Mulino,
la seconda, la Rivista, su diversi fronti. Dapprima come
autore di alcuni tra i più interessanti articoli in essa
contenuti, articoli quasi "profetici", in grado non solo di
analizzare con ironica dovizia di dettagli la situazione
politica e sociale che si prospettava in quel determinato
periodo storico, ma spesso anche di suggerire risposte, ai noi
percepite il più delle volte troppo tardi come tali.
Successivamente l'apporto del Berselli alla rivista il
«Mulino» si è reiterato per circa una decina di anni nel suo
ruolo di capo redattore, al fianco di direttori come Matteucci
e Evangelisti, per poi evolversi ulteriormente con la sua
stessa carica a direttore della rivista, avvenuto per due
mandati dal 2003 al 2008.
Una storia, quella del Mulino e di Berselli, che si può dire
abbia proceduto di pari passo, che ha formato un autore e
arricchito un intero gruppo editoriale. Una storia emiliana di
cultura e politica.
195
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
196
Appendice
In appendice abbiamo voluto riportare il testo completo
dello statuto dell‟Associazione di Cultura e Politica «il
Mulino», associazione privata, senza fini di lucro, costituita
con atto pubblico il 27 febbraio 1965, perché esso contiene
non solo i dettami che regolano il gruppo, ma soprattutto
cosa è il mulino, quali sono i suoi valori, quali i principi che
lo ispirano.
Successivamente abbiamo incluso l‟intervista che ci ha
concesso Bruno Simili il 5 febbraio 2011. Simili ci ha
accolti nel suo studio del Mulino e ci ha fatto respirare aria
di Mulino, di carta, di cultura di amicizia, di passione. Aria
di Berselli e del Mulino.
Infine abbiamo voluto includere tre tra i più significativi
articoli che Edmondo Berselli ha scritto per la rivista “il
Mulino”.
Il primo, L'ultima recita dei partiti, del 1991, analizza il
complesso periodo tra la prima e la seconda repubblica, così
simile a quello attuale. Il secondo La tv, la politica e
l'antidoto del mercato del 2003 va a constatare come la
televisione, e in particolare quella pubblica, sia diventata un
vero e proprio problema politico e istituzionale, e come il
futuro pluralismo fatto di web, televisione satellitare e
digitale potrebbero sconvolgere il duopolio creatosi nei
primi anni duemila.
Infine, La società del cinquanta per cento, analizza come
l‟Italia, dopo le elezioni del 2008, sia una società
completamente spaccata in due parti: la forbice sociale che
197
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
si apre sempre più, la povertà che cresce e la ricchezza, dei
pochi, sempre più sfrenata, e si chiede se la destra italiana
potrà davvero reggere la crisi economica che molto presto si
abbatterà su questo “modo di vivere” ormai troppo diffuso
nel nostro paese. E oggi, dopo la caduta del Governo
Berlusconi, Berselli avrebbe le risposte che stava cercando.
198
Statuto dell'Associazione di Cultura e Politica il
«Mulino»
Titolo I, Costituzione e scopi
Art.1
E' costituita, con sede in Bologna, l'Associazione di cultura
e politica «il Mulino».
Art.2
Essa è composta da studiosi e intellettuali di formazione
culturale e di attività professionale diverse, legati fra loro da
un comune impegno civile e democratico.
Essi sanno che la soluzione dei problemi sociali e politici
del nostro tempo impegna in primo luogo la responsabilità
delle autorità pubbliche e delle forze politiche organizzate,
ma giudicano che, in una democrazia pluralistica, sia altresì
importante il contributo di studio e di formazione che può
essere portato alla società e all'opinione pubblica da parte di
gruppi indipendenti.
Essi perché si costituiscono in Associazione per perseguire,
in modo non episodico, fini di studio, di formazione e
orientamento dell'opinione pubblica, di impegno civile
democratico.
Art.3
Per realizzare le proprie finalità, l'Associazione -che non ha
fini di lucro- promuove lo sviluppo di attività di studio e di
ricerca, la pubblicazione di periodici e volumi,
l'effettuazione di manifestazioni pubbliche, uniche o
199
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
collegate, e di ogni altra attività, a proprio nome op in
unione con altri, che possa riuscire utile ai fini indicati
nell'art.2.
L'Associazione persegue i propri scopi promuovendo, ove
occorra, specifiche istituzioni. Di queste istituzioni
l'Associazione detta, per quanto possibile, gli statuti;
designa le persone che la rappresentano; orienta i
programmi e valuta i risultati.
Titolo II, I Soci
Art.4
Il numero complessivo dei soci non può essere superiore a
cento.
Art.5
Il comitato direttivo può, una volta all'anno, sottoporre
all'Assemblea dei soci un rosa di candidati, in un numero
non superiore a dieci, all'ammissione all'Associazione,
individuati fra coloro che hanno contribuito alle attività
dell'Associazione o delle istituzioni ad esse collegate, con
esclusione di chi intrattiene con queste un rapporto di lavoro
dipendente.
Art.6
I soci versano la quota associativa annuale determinata
dall'Assemblea su proposta del Comitato direttivo.
Il socio che, alla chiusura del rendiconto economico
finanziario annuale, non sia in regola con il pagamento della
quota associativa non h diritto di voto nell'Assemblea dei
200
soci e non può essere eletto alle cariche sociali fino
all'avvenuta regolazione.
Art.7
I soci sono tenuti a prestare la loro collaborazione all'attività
dell'Associazione e debbono, quando non sussistano
circostanze che ne giustifichino l'assenza, partecipare
all'Assemblea ordinaria annuale in cui vengono definiti i
programmi dell'Associazione e approvati i rendiconti.
Titolo III, Organi sociali
Art.8
Sono organi dell'Associazione:
L'Assemblea dei soci;
Il Comitato Direttivo;
Il Presidente, il Vicepresidente e il Tesoriere
Il Comitato dei Probiviri
Titoli IV, Assemblea dei soci
Art.9
L'assemblea dei soci:
definisce i programmi di attività dell'Associazione;
dà vita alle istituzioni eventualmente necessarie per
l'attuazione delle attività; compatibilmente con i relativi
statuti ne detta le regole di funzionamento e ne nomina o ne
designa i componenti degli organi direttivi e di controllo;
discute e approva le relazioni consuntive che i
rappresentanti dell'Associazione nelle istituzioni sono tenuti
a presentare periodicamente all'Assemblea;
201
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
approva i rendiconti economici e finanziari annuali:
elegge fra ia soci i membri del Comitato direttivo;
elegge fra i soci i membri del Comitato dei Probiviri
delibera la cooptazione di nuovi soci
delibera le modificazioni del presente statuto
delibera lo scioglimento dell'Associazione.
Art.10
Il Presidente dell'Associazione convoca l'Assemblea dei soci
in sessione ordinaria almeno una volta all'anno.
Sessioni straordinarie possono essere indette dal Presidente
ogni volta che lo stesso lo ritenga opportuno o dietro
richiesta di almeno tre membri del Comitato direttivo o di
un terzo dei soci.
La convocazione e l'ordine del giorno sono trasmessi ai soci
per iscritto, almeno sette giorni prima della riunione.
Nel caso di deliberazioni relative alle istituzioni promosse o
da promuoversi dall'Associazione, le proposte debbono
essere preventivamente illustrate per iscritto e allegate al
documento di convocazione.
Art.11
Non sono ammesse deleghe di voto.
Art.12
L'assemblea può validamente deliberare, in prima
convocazione, con la presenza della metà più uno dei soci.
In seconda convocazione, l'Assemblea può validamente
deliberare qualunque sai il numero dei soci presenti.
202
Art.13
Se non diversamente stabilito dal presente statuto,
l'Assemblea delibera con il voto favorevole della metà più
uno ei presenti.
Per la cooptazione di nuovi soci l'Assemblea delibera con il
voto favorevole di almeno due terzi dei presenti.
Per le elezioni dei membri del Comitato direttivo, del
Comitato dei Probiviri e per la designazione dei
rappresentati dell'Associazione nelle istituzioni di cui al
precedente art. 3, secondo comma, sono eletti o designati i
soci che hanno ottenuto il maggior numero di voti. In caso
di parità di voti è eletto il socio con minore anzianità
nell'Associazione.
Quando si procede al rinnovo integrale dei componenti,
eletti dall'Assemblea, del Comitato direttivo e dei
rappresentanti dell'Associazione nelle istituzioni promosse
dall'Associazione i votanti possono esprimere un numero di
preferenze pari a quello dei membri da eleggere meno due.
Non è immediatamente rieleggibile, nel Comitato direttivo,
il socio che sia stato eletto dall'Assemblea in tale organo per
due mandati consecutivi. La norma non si applica ai
componenti designati dalle istituzioni.
Il socio assente ingiustificato nell'Assemblea convocata per
l'elezione e/o la designazione degli organi previsti dal
precedente articolo, non è eleggibile agli organi medesimi.
Titolo V, Comitato direttivo
Art. 14
203
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
Il Comitato direttivo è composto da undici membri, di cui
quattro
nominati
dalle
istituzioni
promosse
dall'Associazione e sette eletti dall'Assemblea. I componenti
del Comitato direttivo durano in carica per un triennio.
Art.15
Il Comitato direttivo:
elegge nel proprio seno il Presidente, il Vicepresidente e il
Tesoriere dell'Associazione;
sovraintende allo sviluppo dei programmi definiti
dall'Assemblea, coordinando le attività elle istituzioni
promosse dall'Associazione.
Art. 16
Il Comitato direttivo si riunisce di regola ogni due mesi e
ogni volta ce il Presidente dell'Associazione lo ritenga
necessario o su richiesta di almeno tre membri del Comitato
direttivo stesso.
Convocazione e ordine del giorno sono comunicati ai
membri almeno cinque giorni prima della riunione, salvo i
casi di urgenza.
Art.17
Le riunioni del Comitato direttivo sono valide allorché sia
presente almeno la metà più uno dei componenti.
Le deliberazioni vengono prese a maggioranza dei presenti.
In caso di parità decide il voto del Presidente.
204
Titolo VI, Presidente e Tesoriere
Art.18
Il Presidente:
cura l'attuazione ei programmi dell'Associazione e
rappresenta legalmente l'Associazione di fronte ai terzi
anche in giudizio;
convoca e presiede le riunioni del Comitato direttivo;
convoca e presiede l'Assemblea dell'Associazione,
fissandone l'ordine dei lavori, dopo aver sentito il Comitato
direttivo
Art.19
Il Vicepresidente coadiuva il Presidente nell'espletamento
dei suoi compiti e lo sostituisce in caso di impedimento.
Art.20
Il Tesoriere cura l'equilibrio economico-finanziario
del''Associazione. Su mandato del Presidente esegue i
pagamenti controllando che avvengano entro i limiti di
spesa definiti dal rendiconto economico-finanziario
preventivo dell'Associazione.
Titolo VII, Comitato dei Probiviri
Art.21
Il Comitato dei Probiviri è formato da tre soci, eletti
dall'Assemblea triennio per triennio, con scheda limitata a
due nomi.
Il Comitato dei Probiviri è tenuto ad esprimere il proprio
parere in ordine alle proposte di modifica statuaria che il
Comitato direttivo intenda presentare all'Assemblea.
205
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
Al Comitato dei Probiviri è altresì affidato il compito di
segnalare tempestivamente, e comunque almeno sette giorni
prima del giorno in cui è convocata l'Assemblea, l'eventuale
rosa delle candidature pervenute per l'elezione del Comitato
direttivo dell'Associazione e degli organi delle istituzioni
promosse o collegate all'Associazione, raccogliendo a tal
fine tutte le candidature avanzate dai soci, integrate da
eventuali altre ritenute opportune dal Comitato stesso, e
fermo restando che tutti i soci dell'Associazione sono
comunque eleggibili.
Alla decisione inappellabile del Comitato dei Probiviri è
inoltre deferita ogni controversia tra soci e tra soci e
Associazione.
La carica di membro del Comitato dei Probiviri è
incompatibile
con
altre
cariche
negli
organi
dell'Associazione o delle istituzioni da essa promosse o
controllate.
Titolo VIII, Patrionio e rendiconto
Art. 22
Il patrimonio sociale è formato dai conferimenti che
possono essere effettuati dai singoli soci, da oblazioni e
contributi che pervenissero all'Associazione da enti pubblici,
privati e da singole persone, senza alcuna distinzioni di
nazionalità, cittadinanza, nonché da donazioni e lasciti
testamentari.
Le quote e i contributi associativi, non rivalutabili, sono
intrasmissibili. Non è consentito distribuire ai soci, anche in
modo indiretto, utili o avanzi di gestione nonchè fondi o
riserve durante la vita dell'Associazione.
206
Art.23
Ogni anno viene predisposto dal Comitato direttivo il
rendiconto economico-finanziario preventivo da sottoporre
alla discussione e all'approvazione dell'Assemblea dei soci,
assieme al rendiconto economico-fianziario consuntivo
dell'anno precedente. L'approvazione dei due rendiconti
deve effettuarsi entro il 31 gennaio di ogni anno.
Titolo IX, Modificazioni statutarie
Art.24
Il presente Statuto può essere modificato su proposta del
Comitato direttivo con il voto favorevole dei tre quarti dei
presenti all'Assemblea, i cui partecipanti costituiscano
almeno un terzo più uno degli aventi diritto.
Le proposte di modifica dello statuto debbono essere
indicate per esteso nell'ordine del giorno di convocazione
dell'Assemblea e recare in allegato il parere del Comitato
dei Probiviri.
Le modifiche riguardanti le modalità di funzionamento
dell'Assemblea e dei suoi lavori hanno effetto dalla riunione
immediatamente successiva a quella della loro
approvazione.
Titolo X, Scioglimento
Art. 25
L'Assemblea dei soci può deliberare lo scioglimento
dell'Associazione nel rispetto dei quorum costitutivo e
deliberativo previsto dal 1° comma dell'art.24.
207
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
Il caso di scioglimento il patrimonio dell'Associazione verrà
devoluto ad altra Associazione con finalità analoghe o a fini
di pubblica utilità, sentito l'organismo di controllo di cui
all'art.3, comma 190, della legge 23 dicembre 1996, n.662, e
salvo diversa destinazione imposta dalla legge.
208
Intervista a Bruno Simili, Febbraio 2011, Bologna
Incontriamo Bruno Simili, capo redattore della rivista “il
Mulino”, amico e collega di Edmondo Berselli in lunghi
anni di attività, presso la sede storica dell‟Associazione, in
Strada Maggiore.
Parliamo un po’ di Edmondo Berselli e del suo rapporto
con il Mulino…
Edmondo Berselli non a caso è laureato in filosofia; questo
ha segnato buona parte della sua attività e del suo pensiero.
Se vogliamo entrare nella vicenda di Edmondo al Mulino…
Edmondo ha iniziato facendo la gavetta e ha finito come
componente della direzione editoriale della Società editrice,
che è un organo composto da una decina o ventina di
persone, a seconda dei periodi.
Quindi è mai stato direttore editoriale ma in coda alla sua
relazione con il Mulino ha ricoperto il ruolo di direttore
della rivista per due mandati, insieme a me. Io sono capo
redattore da quando Edmondo ha smesso di esserlo.
Ha lavorato alla Rivista del Mulino dalla metà degli anni 80
alla fine del 1999 e nel corso di questi quindici anni si è
impegnato in primo luogo per la Rivista ma anche nella
direzione editoriale, con colui che Edmondo stesso nei suoi
libri definisce il Deus ex machina della casa editrice:
Giovanni Evangelisti, morto un anno prima di lui e con il
quale ha sempre avuto un rapporto conflittuale per tanti
aspetti, ma anche di grande affetto.
209
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
Secondo molti Edmondo era l‟unico qui al Mulino che
avrebbe potuto sostituire Evangelisti e svolgere il ruolo
determinante che egli aveva. Questo per una semplice
ragione: Edmondo era una delle poche persone che
conosceva bene sia la macchina editoriale che
l‟Associazione.
La Struttura gruppo il Mulino è piuttosto curiosa.
Pochi sanno che la Società editrice è solo una delle quattro
parti che fanno capo all‟Associazione di Politica e Cultura «
il Mulino». È, certo, comprensibile, in quanto è il ramo più
noto, più importante e più significativo del gruppo, anche in
termini economici. Essa, infatti, fattura da sola più di venti
milioni di euro all‟anno e ha più di settanta dipendenti.
Numeri indubbiamente di grande portata.
Ma all‟origine c‟è la rivista, che nasce nel 1951. Pochi anni
dopo inizia la sua attività la Società editrice e,
successivamente, per coordinare il lavoro del gruppo, nasce
l‟Associazione di cultura e politica che in origine si
chiamava Associazione “Carlo Cattaneo” (oggi il Cattaneo è
un istituto di ricerca, patrocinato dal Presidente della
Repubblica. Ha sede qui a Bologna in Piazza Santo Stefano
e attualmente fa capo all‟Associazione del Mulino).
La Rivista de “il Mulino” è gestita interamente
dall‟assemblea dei soci; la società editrice, invece, è
controllata per un pacchetto azionario di maggioranza
(64%) da una finanziaria, che a sua volta è subordinata
all‟Associazione e si chiama Edifin. Di fatto l‟Associazione
è quindi a capo anche della Società editrice, però per statuto
gli utili di quest‟ultima vengono reinvestiti e non possono
essere distribuiti ai soci.
210
Nel 2009 la finanziaria che controlla la società editrice è
anche diventata proprietaria del 60% di Carocci editore di
Roma che quindi è entrata a far parte de “il Mulino”, anche
se indirettamente. C‟è poi una società che si occupa di
promozione in libreria che si chiama Promedi, che ha una
certa consistenza. Anch‟essa è controllata da Edifin e oltre
al Mulino e a Carocci, distribuisce molti altri editori. E‟ di
fatto un piccolo gruppo editoriale, anche se un po‟
mascherato dietro alla sobrietà che da sempre ha
caratterizzato l‟azione di Evangelisti e di tutto il gruppo
Mulino. Sono tante scatole una dentro l‟altra, ma al vertice
rimane sempre l‟Associazione.
La Fondazione Biblioteca nasce come emeroteca e negli
ultimi anni ospita anche i volumi della Casa editrice, mentre
l‟Istituto Cattaneo è sicuramente il più importante istituto
italiano per quel che riguarda le analisi elettorali e cicliche
sulla società italiana, anche se entrambe soffrono questo
periodo di vacche magre per finanziamenti e quant‟altro.
Alla fine tutto è connesso, perché per statuto gli organi
direttivi vengono eletti dall‟Associazione e molti dei soci
dell‟Associazione si occupano anche alle ricerche e dei
lavori dell‟Istituto.
Torniamo a Berselli…
Il lavoro a “il Mulino” di Edmondo si è svolto in gran parte
in queste stanze, ma anche nella direzione editoriale (per la
scelta dei volumi, soprattutto nei settori che lui controllava
meglio, ovvero le scienze politico-sociali); da un certo punto
in avanti, ha collaborato con molti quotidiani; c‟è in atto un
211
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
tentativo di raccogliere tutto questo, ma l‟operazione è un
po‟ velleitaria, perché il materiale è tantissimo; tuttavia
l‟impresa non è irrealizzabile. Lui era ordinatissimo, teneva
tutto, e la moglie vorrebbe mettere ordine in questo
materiale, ma ci vogliono risorse, ci vuole tempo.
Ha iniziato con i giornali locali, con varie testate; in
particolare ha lavorato con Anselmi che poi è diventato
direttore dell‟Espresso, e che alla fine del 1999 lo ha
chiamato nella figura di “assistente al direttore”, ruolo del
tutto nuovo in quella testata; poi è finita l‟esperienza di
Anselmi, ma Edmondo è rimasto dentro al gruppo
editorialista «L‟Espresso». Tutto ciò, contemporaneamente
a una serie di collaborazioni con la Rai e ai libri che, senza
nulla togliere al Mulino, ha iniziato a scrivere con
Mondadori.
Come mai da un certo punto in avanti Berselli inizia a
pubblicare con Mondadori?
Ha iniziato a scrivere con Mondadori semplicemente perché
amico di Beppe Cottafavi, uomo del mestiere stimatissimo
da Berselli, che all‟epoca era occupato in quella casa
editrice. Negli anni, poi, era entrato in confidenza con Gian
Arturo Ferrari, che fino a poco tempo fa era il capo
editoriale di Mondadori.
Io sono capo redattore della Rivista dal 1999, ovvero da
quando Edmondo ha abbandonato questo incarico. Nei
cinque anni precedenti, però, ho lavorato in Società editrice,
a capo della redazione dei libri, così come anche Edmondo.
Dico questo per sottolineare che più o meno entrambi
212
sappiamo come avviene la produzione dei libri. Berselli mi
raccontava che la relazione che lui aveva con la redazione di
Mondadori era ottima,con molto interesse e stima da parte di
entrambi. Pur avendo di fronte un autore molto preciso e
puntiglioso come era lui, il quale prima di scrivere
verificava ogni cosa, non si perdeva occasione per fare una
telefonata e riverificare. In tempi in cui purtroppo le
redazioni vanno sempre più rapide sui testi e, anzi, spesso
gli autori decidono di auto prodursi, è una cosa importante
avere una redazione meticolosa. Lui aveva trovato un
editore che curava benissimo il suo lavoro e perciò non ha
mai avuto motivo di cambiare.
Ma Mondadori appartiene alla famiglia Berlusconi, uno dei
principali bersagli di Berselli…
Edmondo non è mai stato sensibile a questo tipo di
congetture e credo si sarebbe fatto delle grasse risate se
avesse assistito alla polemica tra Saviano e Marina
Berlusconi dei mesi scorsi.
Di questa cosa egli non si era mai preoccupato, anzi,
l‟accusa di essere, assieme ad altri autori “di sinistra”, la
foglia di fico che permetteva a un editore come Mondadori
di affermare la sua natura bipartisan non lo ha mai toccato e
credo avesse ragione. Lui ha sempre riconosciuto una
grandissima qualità nelle persone che lavoravano a
Mondadori e questo era ciò che contava.
Edmondo ha pubblicato con il Mulino in una collanina di
nome Tendenze che riprendeva tre articoli estratti dalla
rivista del Mulino; questi erano saggi critici, piccolini e
213
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
leggibili. Il libro si intitolava L’Italia che non muore. Poi
sono venuti Il più mancino dei tiri e Canzoni.
Questo è l‟altro filone di Edmondo, quello che io chiamo
Beat. Il lavoro con Shel Shapiro per lui era in effetti un
momento molto importante non solo per la sua biografia ma
anche per capire i cambiamenti di questo paese.
Berselli ha pubblicato libri con il Mulino, poi però ha
iniziato scriverli anche per altri.
Fatti della vita.
Uscirà a breve un altro libro a firma Berselli e edito dal
Mulino, che conterrà 15 articoli scritti da Edmondo per la
Rivista “il Mulino”. Si intitolerà L’Italia nonostante tutto.
L’Italia nonostante tutto dice molto della capacità di
Berselli di leggere in prospettiva questo paese e i suoi
problemi. Non tutte, ma molte delle questioni centrali degli
articoli spiegano, infatti, il blocco che l‟Italia sta soffrendo
in questo momento. Dal ruolo del Presidente della
Repubblica, alla Bicamerale, all‟imbarbarimento della
televisione e al suo controllo politico e ancora dal
decadimento della cultura civile sino allo scontro senza
civiltà tra destra e sinistra, sempre concentrato sulla figura
di Berlusconi, senza rendersi conto che anche se per lo più si
parla di decadimento della politica, oggi viviamo soprattutto
un decadimento culturale che, capiamoci, non è solo quello
del Grande Fratello.
Nel 1991 ci avrebbe fatto ribrezzo quel che leggiamo oggi
sui giornali, ma poco alla volta, quei titoli sono entrati nella
sgradevole normalità.
Questa sua grande capacità di lettura dipende sì dalla sua
intelligenza, dal fatto che era fatto così, aveva talenti che
214
altri non hanno, ma anche dallo scrupolo che osservava
sempre nel suo lavoro. Edmondo non era solo un
instancabile lavoratore; in tutto ciò che realizzava metteva
sempre una grandissima attenzione, che è rimasta tale anche
quando è diventato “Edmondo Berselli”, cioè anche quando,
almeno teoricamente, l‟etichetta ti autorizzerebbe, chissà
perché, a un minor rigore, nonostante la maggiore
autorevolezza.
Edmondo no; si prendeva qualche libertà: definizioni
buffe, battute, però nel momento in cui doveva mettersi lì e
scrivere un pezzo, lo faceva esattamente come alla metà
degli anni 80, chiunque fosse il suo lettore, qualunque fosse
la testata, dalla “Gazzetta di Modena” al “Sole 24 Ore”.
Aveva un‟etica del lavoro e del rispetto di chi gli dava la
possibilità di scrivere molto alta, che mi ha trasmesso
dicendomi: «se tu inizi a scrivere sui giornali, nel momento
in cui ti chiedono un pezzo, tu lo devi fare, qualunque
argomento sia».Edmondo non ha mai detto di no, dando
spessore a qualsiasi cosa, perché fondamentalmente la sua
origine „popolare‟ gli faceva capire bene la fortuna che
aveva in mano. Lui diceva che noi in realtà non lavoriamo,
siamo privilegiati, facciamo una cosa che ci piace questo di
per sè spiega anche una sua certa reticenza ad apparire.
Spesso ci si chiede, infatti, perché non andasse molto in tv.
Beh, innanzitutto perché era abbastanza intelligente per
capire che è molto difficile, per quanto tu sia in gamba,
sfruttare al meglio i tempi televisivi e poi perché doveva
dosare le sue energie: se Ezio Mauro gli avesse chiesto un
editoriale alle sette di sera da pubblicare sul giornale del
215
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
mattino seguente, Edmondo non si sarebbe mai permesso di
dire «no, non posso».
Per chi conosceva Edmondo da molto tempo,
l‟atteggiamento da lui tenuto nei confronti della politica da
un lato è sempre stato il medesimo: grande rigore, equilibrio
e equidistanza rispetto alle parti; dall‟altro, però, è
profondamente mutato e questo cambiamento si rispecchia
nella metamorfosi del nostro paese e del suo scenario
politico.
Chi ha conosciuto Berselli negli anni ‟90, infatti, mai
avrebbe pensato che sarebbe diventato un editorialista di
punta di un quotidiano come « la Repubblica», giornale che
è palesemente schierato in opposizione all‟attuale governo,
un governo di centrodestra! Edmondo nasce come un
cattolico,
bravo,
intelligente,
preparato,
ma
fondamentalmente democristiano, il padre degasperiano, la
madre di origini socialiste...
Questa storia di Edmondo mi ricorda la canzone “libertà
obbligatoria” di Giorgio Gaber, dove si dice che la nonna
ogni volta che va a votare vota sempre più a sinistra, ma
non è la nonna che si sposta, sono i partiti che slittano, e il
caso di Berselli mi par essere il medesimo.
Edmondo è rimasto sempre molto coerente con i suoi valori
e i suoi principi, e solo chi non ha voluto capire questo nello
scenario politico parlamentare lo ha potuto accusare di
essere passato dalla parte del vincitore, per chi scrive e fa
critica.
I suoi valori, in buona parte cattolici, che forse dovrebbero
essere tendenzialmente condivisi, al di là della religione che
professiamo, in una democrazia basata su una bella
216
costituzione come la nostra, dovrebbero essere tenuti alti.
Era questo che desiderava e cercava di spiegare Edmondo:
la necessità che un governo faccia politiche per il Pubblico.
Come ha affermato lo stesso Edmondo nel suo ultimo libro,
scritto con molta fatica e in buona parte dettato alla moglie
Marzia, chiunque abbia delle responsabilità pubbliche deve
lavorare per una economia giusta. Questo è fondamentale.
La rivista è cambiata da quando Edmondo ne è stato
direttore?
Edmondo entra alla Rivista come redattore capo con
Matteucci. Da lui impara molte cose, soprattutto per mezzo
della sua presenza fisica in queste stanze. Matteucci era
direttore autoritario e di polso e faceva una rivista di un
certo livello, anche abbastanza difficile: lo si può notare dai
sommari dei numeri da lui diretti.
Ma negli anni 90 la Rivista ha il suo maggiore
cambiamento. Con direttore Evangelisti, il periodico assume
un taglio davvero diversissimo: pezzi più brevi, si decide
(cosa che rimane fino al 2008) di creare il blocco, ovvero
alcuni articoli su un tema definito per ogni numero, un focus
tematico. Inoltre, essendo Evangelisti non solo direttore
della Rivista, ma anche direttore editoriale della Società
Editrice, non ha difficoltà a mettere a disposizione un po‟ di
risorse per la produzione, la ricerca, la pubblicità.
Questi sono gli anni d‟oro anche in termini di diffusione e
visibilità, anni in cui si vince il premio “Parlamento”;
durano fino a metà anni 90 e la esperienza dell‟Ulivo ed il
prodismo è un momento di particolare importanza. Il
217
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
Mulino, infatti, si caratterizza ancora una volta per la solita
equidistanza, il consueto equilibrio rispetto alle parti
politiche che sono in campo; dall‟altro però Prodi è un
“prodotto della casa”, nel senso che è un altro non
bolognese che viene dalle sue parti, è un socio
dell‟Associazione e soprattutto fa parte della storia del
Mulino perché in un periodo di difficoltà
-in cui
l‟indipendenza economica che ha sempre contraddistinto la
società editrice e che per fortuna ha anche oggi, sembra
essere in pericolo- riesce a lavorare per una
ricapitalizzazione e tra l‟altro diviene il presidente della
Società editrice per qualche anno, quindi non è uno dei tanti
intellettuali che passa di qui due volte l‟anno, che scrive
qualcosa e va via, ma è un uomo di macchina. Nel momento
in cui scende in campo, si aspetta che il Mulino prenda le
sue parti, cosa che però non accade, c‟è un editoriale in cui
si dicono delle cose sulla situazione politica italiana, lui si
aspetta una presa di posizione di un certo tipo, ciò non
avviene.
Questo naturalmente per chi conosce il Mulino non diventa
un casus belli, per cui ancora oggi Prodi è un socio
dell‟associazione: partecipa alle riunioni che facciamo (io
oltre a essere redattore sono anche segretario
dell‟associazione, così come lo era Edmondo) e però questo
è un altro passaggio chiave, perché il Mulino inteso come
laboratorio politico guarda con molto interesse
all‟esperienza dell‟Ulivo e soprattutto mette a disposizione
delle risorse, nel senso che ci sono alcuni giovani (oggi
meno) che accompagnano questa esperienza e che si sono
formati qui, come Franco Mosconi.
218
La rivista con quella impostazione prosegue sino al 2008;
c‟è un cambio di grafica nel 2001, quando la rivista
festeggia i 50 anni, viene organizzato un convegno qui a
Bologna sulle riviste di cultura e politica in Europa. Questa
è una cosa grande, fatta bene, grazie al lavoro di Alessandro
Cavalli che in quegli anni era il direttore della rivista. Di
fatto la rivista è sempre la stessa.
Il cambiamento forte è quello che c‟è con l‟attuale
direzione: a metà del 2008 viene proposto un progetto,
approvato dalla direzione, che porta la rivista a essere come
la vediamo oggi.
(L‟associazione è proprietaria della testata, ogni tre anni si
elegge il comitato di direzione della rivista, elezione che
però avviene qualche mese prima).
Nel 2008 il comitato di direzione elegge il direttore, si mette
a punto la linea editoriale nuova, con un cambio di formato
molto forte, una scommessa che non sappiamo dove ci
porterà.
Il tentativo è di catturare un pubblico più giovane e diverso,
ma i vincoli della rivista intellettuale continuano ad esserci.
E‟ vero che adesso il tentativo è di avere più pezzi e più
rubriche, pezzi che sono commissionati, come durante la
direzione di Edmondo, e si fa fatica a fare stare tutto in sei
numeri l‟anno di 180 pagine.
Il cambiamento vero è con il web.
Nel febbraio del 2009 abbiamo deciso di entrare anche sul
web e questa è stata una scommessa con risorse
praticamente nulle.
Ciò nonostante, grazie al blasone de “il Mulino”, stiamo
riuscendo a mettere insieme un gruppo di collaboratori,
219
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
diverse decine, in giro per il mondo, che gratuitamente
lavorano, e lavorano anche bene, facendo cose di buona
qualità. E qui bisogna dire che le risposte ci sono state.
Il sito serve anche per mettere alla prova le persone.
Qualche risorsa però ci vuole. Il sito, quindi, è solo un costo,
però risponde meglio allo statuto rispetto alla rivista scritta.
E‟ certo che l‟esperienza dei quotidiani ti dice che è
fallimentare la richiesta economica sul web.
Noi possiamo contare su una grande quantità di autori e
l‟editrice ha pubblicato 315 novità. Fortunatamente non è in
passivo perché ha una coda alta di libri strumentali. La
battuta di Evangelisti era che “i manuali sono la battona
delle monografie” nel senso che tu puoi permetterti di
pubblicare dei libri che sai saranno in perdita, soprattutto
oggi come oggi con i grandi gruppi editoriali .
Scontiamo un peso aziendale forte e delle difficoltà. Poche
librerie e quasi tutti acquisti on line,
Tornando alla rivista, il punto chiave è stato il 1991, lì c‟è il
passaggio della formula e il lavoro che Edmondo svolge qui
è crucial; siccome lui ha già in quegli anni rapporti
consolidati con la stampa e con i giornalisti, riesce a fare in
modo che la rivista abbia un minimo di visibilità negli anni
della sua direzione (due mandati di 3 anni ciascuno).
Edmondo era il direttore ideale perché non era per nulla
invadente, perché avendo fatto lui stesso questo lavoro,
sapeva come muoversi e allo stesso tempo se io avevo
bisogno, lui era sempre presente.
E da direttore si è aperto verso i giornalisti di qualità che
invece dagli intellettuali sono visti come meno qualificati, e
questo è stato poi il punto più delicato. Edmondo, infatti,
220
non veniva percepito da molti intellettuali come uno di loro.
Secondo alcuni non era un vero intellettuale, ma soprattutto
un funzionario della casa editrice che mano a mano e un po‟
furbescamente - occupandosi di sport e di canzonette - era
riuscito a ritagliarsi uno spazio. Non è così, Edmondo è
stato tutt‟altro, ma per onestà anche questo va detto
Edmondo non ha mai avuto un titolo accademico, perché
non ha mai voluto averlo, altrimenti, visti tutti gli ottimi
rapporti che aveva, non avrebbe certo faticato ad avere una
cattedra. Si percepiva, invece, in lui la voglia di essere più
un tecnico che un intellettuale. Un tecnico che aveva però la
fortuna di aver studiato negli anni giusti e che quindi poteva
disporre di una visione ampia, perché il problema che io
riscontro oggi è che chi dovrebbe trasmettere il sapere agli
altri livelli, non ha più quello sguardo complessivo che
invece è fondamentale per argomentare la realtà. Ci sono
degli iper-specialismi, come quelli di tendenza
dell‟università italiana.
Edmondo aveva una memoria impressionante. Per esempio
se tu gli dicevi la data di nascita di qualcuno, lui se la
ricordava per sempre.
Filippo Ceccarelli, in un articolo apparso su la
«Repubblica» dopo la morte di Berselli, celebra l’autore
ricordandone le doti di mediatore. Lei lo definirebbe tale?
Non era un uomo di mediazione, un democristiano vecchio
stampo, che riesce a gestire le cose. Tuttavia Edmondo era
riuscito a tenere negli anni buoni rapporti con quasi tutti e
quindi poteva e sapeva innanzitutto tirar fuori il meglio dalle
221
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
persone sia umanamente che professionalmente. E nel
momento in cui gli serviva un‟informazione magari per
spiegare una cosa in un pezzo, era in grado di andare dalla
persona giusta, chiedere nel mondo corretto e farsi dire le
cose importanti, quelle fondamentali. Ci riusciva perché
aveva un bel rapporto paritario anche nella sua
autorevolezza nel porsi. E‟ “il Mulino”, invece, che è aconflittuale. Arrivi qui e ti confronti con i problemi. Che
questo sia vero lo dimostra lo stato attuale
dell‟Associazione.
222
Appendice
Articoli da la rivista “il Mulino”
L'ultima recita dei partiti
Contenuto nel numero 6, (novembre-dicembre) 1991,
pp 1031-1044
Un'atmosfera da ultima spiaggia si è diffusa durante il 1991
nel nostro Paese. È stata stupefacente e brutale la rapidità
con cui la tendenza generale si è rovesciata. Il passaggio dal
clima di festa collettiva degli anni Ottanta ai poveri saldi di
fine stagione dei Novanta ha fatto mozzare il fiato, e ha
riportato in primo piano il plumbeo clima dei tempi della
stagnazione. Sono bastati pochi mesi, a partire dalla guerra
del Golfo, perché quasi tutti gli indicatori economici
assumessero un segno negativo; la cattiva congiuntura
mondiale ha cominciato ad assomigliare minacciosamente
alla recessione; i timidi segnali di ripresa nel corso dell'anno
sono apparsi via via più contraddittori e deludenti. Alla fine,
la situazione italiana si è configurata come una perfida
combinazione di crisi economica conclamata e di marasma
politico pericolosamente vicino al collasso del sistema. Quel
che forse è peggio, l'idea che l'Italia è un malato terminale si
è diffusa irresistibilmente, permeando la collettività con
quella che si potrebbe chiamare senza retorica una cultura
del pessimismo. Aspettative tutte di carattere negativo sono
divenute l'unico orizzonte visibile. Non è un caso che lo
scrollone più appariscente, quello che è sembrato innescare
l'alterazione di un sistema di equilibri ampiamente
collaudati, sia venuto dai settori geneticamente
filogovernativi, quelli dell' imprenditoria e dell'industria. Ma
223
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
diverse altre linee di crisi, svariate linee di faglia di possibili
sconvolgimenti tellurici, si erano manifestate sul piano
politico con cruda nitidezza nel corso dell' anno.
Il referendum sterilizzato
Il primo bruciante caso di shock politico si è registrato
ovviamente con il referendum sulla preferenza unica alla
Camera svoltosi il 9-10 giugno 1991. A distanza di tempo, e
quindi dopo avere assistito a mente fredda al modo in cui la
«Repubblica dei partiti» è riuscita finora a metabolizzare
l'esito referendario, a ingoiare il rospo senza per il momento
strozzarsi, il festoso plebiscito, quel 95,6 per cento dei
votanti che ha detto «sì» alla liquidazione del sistema delle
preferenze, sembra assumere le spoglie definitive di una
solo temporanea rivincita, o vendetta, politica dei cittadini
sui corridoi romani, sulle auto blu, sulla prevaricazione
esercitata per via tangentizia o captando il consenso per via
spartitoria e concessione monetaria.
In ogni caso, a voler seguire lo schema iper-razionale che di
solito viene applicato alle scelte elettorali espresse
dall'opinione pubblica, se ne poteva dedurre che di fronte
allo schiaffo di giugno i partiti avrebbero dovuto cercare di
proporre come minimo una finzione riformatrice, per non
esporre se stessi al rafforzamento dell' accusa che li bolla
come agenti tutt'altro che segreti dell'immobilismo:
altrimenti il capo di imputazione di miopia, insensibilità,
chiusura, manipolazione della volontà popolare ne sarebbe
disceso fin troppo naturalmente. Inutile dire che non è stato
così.
224
Appendice
Come forse si ricorderà, il primo a cercare di mettersi in
tasca l'attraente patrimonio politico del referendum fu il
presidente della Repubblica: a poche ore dall'esito del voto
popolare, Francesco Cossiga si presentò alla televisione di
Stato, sostenendo con un certo inatteso vigore due tesi
piuttosto discutibili, una probabilmente tattica, l'altra forse
di maggiore portata. Secondo la prima tesi, il risultato del
referendum e il conseguente cambiamento delle regole
elettorali poteva delegittimare retroattivamente la Camera
dei deputati (e fin qui si poteva semplicemente sospettare
che le parole del capo dello Stato facessero parte di quella
trama di dispetti e cattive relazioni che ha contrapposto
Quirinale e Parlamento negli ultimi due anni di legislatura).
Invece la seconda argomentazione presidenziale era più
capziosamente suggestiva, più insidiosa,e poteva
prospettarsi nelle sembianze di una strategia sofisticata e
ambiziosa.
Dalla soluzione referendaria, infatti, il presidente della
Repubblica faceva discendere immediatamente, come
conseguenza automatica e necessaria, che il destino delle
riforme istituzionali dovesse imboccare una strada
plebiscitaria, praticata a colpi di consultazioni dirette del
«popolo sovrano». Si trattava ancora una volta di una
proposizione intrinsecamente discutibile, dal momento che,
anche in una fase di tipo costituente, niente vieterebbe che
proprio i partiti si presentassero tradizionalmente
all'elettorato, ognuno chiedendo il consenso sulla base delle
rispettive ipotesi riformatrici. E dunque l'indicazione
accuratamente tempestiva della via referendaria per
consentire ai cittadini di decidere «direttamente e
225
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
immediatamente» sulle modalità della trasformazione
istituzionale non costituiva affatto un dogma democratico.
In quel momento, anzi, il sillogismo del capo dello Stato
appariva soprattutto come la sponsorizzazione di progetti di
parte, e non era molto difficile individuare quella parte nel
Psi, e i progetti costituzionali nel presidenzialismo craxiano.
I passi successivi dell' azione presidenziale sembravano
confermare la consapevolezza di un disegno, non del tutto
precisato ma per sommi capi intuibile. Tanto per
cominciare, il messaggio del capo dello Stato sulle riforme
istituzionali, più volte annunciato, rinviato, limato
assiduamente, ma in buona sostanza ispirato alla scelta che a
«convalidare, ratificare o scegliere» la Costituzione della
Seconda Repubblica fosse l'immancabile «popolo sovrano»,
piombava sulle Camere proprio alla vigilia del congresso
straordinario socialista di fine giugno, confortando un
Bettino Craxi reduce dalle due pesanti sconfitte ~
referendum sulle preferenze e alle elezioni regionali
siciliane della settimana successiva, ma sempre convinto di
poter restare ancorato alla propria scommessa, secondo cui
esisterebbe una distanza crescente fra la maggioranza del
Parlamento, legata a criteri di tipo rappresentativo, e la
maggioranza dell'opinione pubblica, qualificata da una
vocazione presidenzialista mortificata dalla resistenza
vischiosa dello schieramento dei partiti.
Si dà il caso, tuttavia, che in politica non tutti i conti tornino
automaticamente: «Ai quadrati di De Mita - esemplificò una
volta Giulio Andreotti a proposito di una presunta
determinatissima volontà democristiana di "fare quadrato"
contro gli avversari - manca sempre un lato»; a Cossiga e a
226
Appendice
Craxi erano destinate a mancare le condizioni che avrebbero
potuto dimostrare l'esistenza in Parlamento di uno scontro
così forte, di una divisione talmente lacerante da poter
giustificare il ricorso alla sanzione dirimente della volontà
popolare.
Il presidenzialismo sarà pure maggioritario nell' opinione
pubblica, ma in Parlamento risultò fortemente minoritario.
Di fatto, la prospettiva delle riforme istituzionali, riaccesa
nelle aspettative generali dalle cifre parlanti del referendum,
sfumava tristemente, almeno per questa legislatura, per
schietta responsabilità dei partiti, proprio nel pieno del
dibattito alla Camera sulle 86 cartelle del messaggio
presidenziale. È stato il segretario del Partito democratico
della sinistra, Achille Occhetto, a contribuire a questo
risultato, mentre si proponeva di tendere volonterosamente
la mano al Psi: «Non solo non stiamo preparando accordi
strategici con la Dc - affermò Occhetto nel suo intervento ma anche per quanto riguarda la legge elettorale ci
presentiamo con una prospettiva completamente diversa da
quella che si configura attraverso la proposta
democristiana».
In realtà, si trattava di una tesi avanzata per banali questioni
di politica politicante, dal momento che invece, a giudizio
della quasi totalità degli osservatori, i progetti riformatori
della Dc e del Pds apparivano, se non certamente identici,
perlomeno analoghi, ispirati da una medesima logica di
fondo. Si comprese in quel momento, senza neppure troppa
sorpresa, che per l'ennesima volta al segretario del Pds non
interessava tanto affermare un'ipotesi di riforma coerente ed
efficace, funzionale a tutto il sistema politico, ma soltanto
227
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
richiamare sentimentalmente «le ragioni della sinistra», e
quindi rammendare a parole il consunto vestito dell'
alternativa entro l'immaginario atelier in cui si confezionano
le mitologie politiche italiane.
Per dirla tutta, il neonato Pds immolava senza contropartite,
con un atto di generosità non richiesto, il suo progetto di
riforma sull' altare dell' alternativa di sinistra; come
compenso di questo imprevidente olocausto ricavava il
consueto miraggio del «disgelo» con i socialisti. Senza
minimamente pensare, o perlomeno senza valutare fino in
fondo, che l'unica leva che può realisticamente fare scattare
l'alternanza, nel nostro sistema politico, è solo ed
esclusivamente la riforma elettorale. Come conseguenza,
alla fine della estenuante discussione parlamentare sul
pensiero istituzionale di Francesco Cossiga, il tema delle
riforme era ricondotto definitivamente entro le regole non
auree ma certamente classiche del mercato e soprattutto del
mercanteggiamento politico: Craxi contro la Dc, a cui aveva
segnalato con vigore che il perseguimento della proposta
fondata sul Cancellierato e il premio di maggioranza sarebbe
stato recepito come la volontà di considerare esaurito il ciclo
ormai trentennale di collaborazione con i socialisti; isolata
drammaticamente l'ipotesi presidenzialista, con il presidente
della Repubblica affiancato soltanto dal Psi e dal Msi;
erratico e incerto il Pds, in bilico faticoso fra l'ossequio
formale al principio della rigidità costituzionale (e quindi
favorevole a un moderato revisionismo della Costituzione),
e le evasioni di fantasia a sinistra, che impongono di
prendere in debita considerazione la volontà socialista di
228
Appendice
passare con uno spettacolare salto istituzionale alla Seconda
Repubblica.
In questo ritorno della tematica istituzionale dentro la
contrattazione politica c'erano tutte le condizioni per capire
che ormai la macchina politica italiana era divenuta un
ferrovecchio frenato dalle proprie ruggini, in cui ogni
manovra sui comandi portava solo all'aumento dei giri del
motore senza alcuna conseguenza che non fosse un rumore
sgangherato; qualsiasi tentativo di accelerazione provocava
soltanto il surriscaldamento delle parti più esposte e usurate.
Ma si dispiegavano anche diversi indizi, piuttosto coerenti a
volerli leggere tutti insieme, che dovevano risultare
vagamente ma sensibilmente destabilizzanti per la
psicologia politica che regna nella penombra dei corridoi
romani. Per la prima volta dall'avvio del centrosinistra si
ponevano le condizioni e il problema dell'interruzione del
rapporto fra la Dc e il Psi. Non un incidente di percorso,
come accadde con l'Andreotti-Malagodi nel 1972-73, un
breve ritorno al centrismo, e neppure la sostanziale perdita
di peso governativo del Psi (un Psi drammaticamente sotto il
10 per cento dei voti) durante la vicenda della solidarietà
nazionale con i comunisti nel 1976-79, ma una vera e
propria questione di fondo, lungo la quale l'equilibrio
politico del nostro Paese potrebbe essere alterato in termini
strutturali.
Governare senza accordo
Le conseguenze del surplace che da questa constatazione è
seguito fra i due maggiori alleati di governo ha avuto
229
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
conseguenze nefaste sulla qualità dell' amministrazione.
Occorrerebbe essere ciechi per non osservare che l'ultimo
governo Andreotti ha come base di sopravvivenza una sola e
sovrana regola: non toccare nessun nodo politico che esca
dall'immediato. Lo si era notato fin dal momento della sua
formazione, quando la questione istituzionale, che era stata
posta (o imposta) da presidente della Repubblica al centro
della trattativa per la formazione dell'esecutivo, all'ultimo
momento era stata «sfilata» e rimandata a tempi migliori,
dato che sull'argomento non esisteva la minima possibilità
di accordo fra i due partner principali della maggioranza.
L'immobilità costituiva quindi una connotazione per così
dire costitutiva dell' alleanza. Case o necessità, infatti, la
medesima trionfante tecnica è stata usata nei giorni convulsi
che hanno portato alla redazione da parte del governo della
legge finanziaria; l'unica manovra strutturale che avrebbe
dovuto affiancare la legge di bilancio, vale a dire la riforma
del sistema pensionistico, è stata messa da parte dopo un'
opposizione del Psi in cui molti hanno visto il pese decisivo
di valutazioni di stampo elettoralistico. In termini di bassa
cucina politica, è lecito pensare che alla fine il «no socialista
al progetto del ministro del Lavoro Franco Marin avesse
fatto comodo anche ai democristiani (le pensioni
costituiscono un argomento che brucia, sotto elezioni), come
anche che il Psi avesse scommesso su un definito calcolo
politico secondo cui nessuna decisione di un certo peso va
presa da un governo che non sia contrassegnato da un più
distinguibile marchio socialista.
Dunque si deve rilevare che una percepibile linea di crisi
passa dentro il centrosinistra. Craxi tiene il Psi nell'
230
Appendice
esecutivo ma solo per l'obbligo morale di «assicurare la
governabilità». Nello stesso tempo, cresce il risentimento
del Psi verso metodo e stile di Andreotti (lo si è visto
benissimo nel corse del congresso straordinario barese, con
la platea dei delegati che invocava una netta sterzata a
sinistra). Da parte demo cristiana, analoga acredine viene
nutrita verso l'alleato, insieme con il disagio provocato dal
diffondersi di un umore politico che vede nella Dc il
«regime», l'intreccio istituzionalizzato d corposi interessi
clientelari, di grandi corporativismi garantiti politicamente,
oltreché di minimi privilegi distribuiti a pelle d leopardo per
ancorare l'opinione pubblica al consenso. Ma ci sono anche
aspetti meno soggettivi che accentuano la tendenza
all'instabilità: la fine del pregiudizio ideologico verso l'ex
Pci esalta la fluidità del sistema politico; e se è vero che la
politica, come la natura, ha orrore del vuoto, sul fronte di
sinistra si apre un arco di opportunità politiche inedite,
dovute al fatto che in prospettiva le formule delle alleanze di
governo non appaiono più dettate implacabilmente da dogmi
politico-ideologici stringenti. Finiscono le dighe, le rendite,
ma finiscono anche le formule di coalizione obbligate.
In sostanza, almeno fino a settembre siamo di sicuro entro
una situazione caratterizzata da una immobilità parossistica,
ma le vie d'uscita appaiono ancora praticabili. Tutto
potrebbe ancora essere giocato en politique, se i protagonisti
della politica decidessero di assumere una iniziativa.
231
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
Quando un patto storico entra in crisi
Ma non lo fanno. La classe politica italiana sembra
assoggettarsi senza resistenza a due spinte esattamente
opposte, l'istinto di conservazione e un'oscura volontà di
auto annientamento. Mentre cominciano a cedere a uno a
uno i pilastri che avevano sorretto l'evoluzione politica del
Paese e accompagnato il suo sviluppo socioeconomico,
comincia all'improvviso ad allentarsi anche il patto che
aveva unito gruppi d'interesse e partiti di governo. A metà
settembre, il «partito dell'industria» alza il tiro cominciando
a bombardare il quartier generale: fa sapere che ormai
l'apparato industriale non riesce più a tollerare i costi del
disfunzionamento. L'amministratore delegato della Fiat,
Cesare Romiti, evoca la necessità di un imprecisato trauma,
che possa schiodare il meccanismo politico. Eppure, benché
i toni confindustriali diventino via via ultimativi, non si
sente circolare una sola parola sul «come» l'attacco alla
paralisi governativa possa tradursi in una spinta al
cambiamento. La diagnosi fa aggio come sempre sulla
terapia. Dal punto di vista del «regime», in assenza di
indicazioni concrete, la storia degli ultimi decenni, da parte
sua, autorizza a pensare che l'irritazione imprenditoriale non
sia molto più che un episodio; malgrado infatti le ricorrenti
lamentele delle associazioni imprenditoriali, che hanno
costituito una sorta di basso continuo nella vicenda
repubblicana, l'esperienza italiana è stata segnata da un
accordo sostanziale fra ceto produttivo e classe di governo.
Nulla di strano, com'è ovvio in una società avanzata. Dietro
la parola d'ordine della ripartizione di competenze,
232
Appendice
«l'industria agli industriali, la politica ai politici», si è
dispiegato un tavolo il cui si sistemava l'intreccio degli
interessi comuni: gli industriai contrattavano sgravi fiscali,
misure di sostegno agli investimenti ( all'innovazione,
politiche monetarie favorevoli alla competitività dei prodotti
italiani, cassa integrazione e prepensionamenti, e I politici
ricevevano un contributo diretto e indiretto dell'industria al
mantenimento del sistema di consenso su cui si è basato il
nostro Paese. La chiave di questo matrimonio d'interesse era
data dalla premessa di perpetua immutabilità degli equilibri
politici. In una convivenza obbligata, è opportuno ridurre al
minimo l'intensità dei conflitti, e la mediazione, in una
democrazia bloccata, diventa la regola primaria. Ma se la
situazione si fa all'improvviso più fluida, in sé e per sé non
ci sono più ragioni decisive perché il patto storico venga
rinnovato come è sempre tacitamente stato rinnovato finora,
insomma perché venga rinnovata gratuitamente la cambiale
alla costellazione di potere fondata sulla Dc.
Fino a pochi mesi fa, il sistema politico era irrigidito
dall'inutilizzabilità del Pci. Oggi è ingessato dall'assenza di
alternativa. Il «trauma» elettorale atteso e quasi auspicato da
Romiti, come pure altre espressioni critiche verso il regime
partitocratico, finisce inevitabilmente per precipitare entro
l'assurda perfezione del congegno politico così com'è: un
eventuale shock provocato da un voto di protesta
significherebbe la crescita abnorme dell'ingovernabilità; il
ricambio viene impedito dalle rigide norme di autori
produzione che regolano l'esistenza dei partiti.
La drammaticità della situazione politico-economica
consiste allora nella somma di due fattori di segno negativo:
233
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
da un lato c'è l'impossibilità di trasferire al livello della
decisione politica le scelte essenziali per orientare
nuovamente allo sviluppo la società italiana, in quanto il
sistema dei partiti negozia ogni istanza smembrandola fino
alla dissoluzione; dall'altro lato fa sentire i suoi ipnotici
effetti l'incapacità di allestire quello schema di competitività
politica, proprio delle democrazie adulte, che è l'alternanza.
Tuttavia ciò che risulta alla fine più preoccupante è che in
Italia non si sta combattendo una facilmente identificabile
partita manichea fra i buoni e i cattivi. Il «contratto»
stipulato nel tempo fra amplissime fasce sociali e la classe
politica di governo è sempre operante, ed è basato su una
generosa redistribuzione senza contropartite (attraverso i
titoli di Stato, gli stipendi pubblici, il regime previdenziale,
cioè attraverso una creazione fittizia di ricchezza e
benessere) che ha colpito al cuore le regole fondamentali a
cui dovrebbe attenersi una collettività. Sarebbe ingenuo non
registrare che gran parte della società italiana è divenuta in
tal modo speculare alla classe politica, perfettamente
«irresponsabile» di fronte a se stessa, incapace di accettare il
profitto come indicatore della buona imprenditorialità allo
stesso modo in cui non sa più concepire lo stipendio
pubblico come il corrispettivo di una prestazione, bensì solo
come una erogazione automatica o un diritto dovuto.
Date queste condizioni, comincia piano piano a chiarirsi il
paradosso tipicamente italiano che vede un sistema allestito
pezzo su pezzo per rastrellare consenso attraverso la magia
della redistribuzione raccogliere alla fine il maleficio del
disprezzo e del rancore dei beneficati; ma si ha l'impressione
234
Appendice
che i partiti di governo non siano nemmeno in grado di
elaborare la risposta della protervia: cioè, state zitti voi, che
ci avete guadagnato abbondantemente. Ascoltare il
segretario della Dc Arnaldo Forlani che parla delle
prospettive italiane equivale a un'overdose di Valium, che
tuttavia non riesce più a risultare rassicurante. Tutto si
intorpidisce, e il crampo della politica produce asfissia e
spasmi tetanici. Il famoso disgelo a sinistra, atteso a ogni
primavera per convogliare in una forza di governo i
fiumiciattoli riformatori, si rivela come sempre un'illusione;
l'azione degli altri partiti, se si esclude l'exploit contestatore
di La Malfa, sul quale ritorneremo, è ininfluente. Così,
durante il lungo autunno del '91, il rivolo del mugugno
diventa un torrente impetuoso, lo sgocciolio della protesta
una cascata.
Tre tentativi di cambiamento
In novembre, a Brescia, le elezioni amministrative,
convocate dopo una spaccatura all'interno della Dc che
aveva reso la città ingovernabile, danno luogo a un risultato
che appare immediatamente come il paradigma futuro e
finale della dissoluzione del sistema politico. Anche se per
poche decine di voti, la Lega lombarda diventa il primo
partito. Perdono tutti i grandi partiti, Dc e Pds evaporano.
Non si tratta più dei soliti «campanelli d'allarme», come per
anni i giornali hanno titolato dopo le elezioni non appena
aumentava l'astensionismo o qualche altra leggera forma di
protesta. Quella di Brescia non è una febbricola, è
potenzialmente una malattia letale. Il pensiero che alle
235
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
prossime elezioni questo risultato possa essere duplicato su
scala nazionale dovrebbe fare scattare le oligarchie di
partito, indurre all'invenzione di contromisure. E invece,
come al solito, sotto la paura niente. In Parlamento la
discussione sulla legge finanziaria continua a rivelarsi quella
trafelata disavventura fatta di ricerca di fondi attraverso
misure come minimo problematiche e di assalti alla
diligenza che era stata annunciata con largo e sconsolato
anticipo. Sul piano delle contromosse politiche, il Psi
propone nuovamente la soglia di sbarramento al5 per cento
(con una serie di correttivi piuttosto complicati), che tutti
interpretano come un provvedimento ad personam contro il
senatore Bossi. Tra la fine di novembre e l'inizio di
dicembre, la Democrazia cristiana tiene dopo dieci anni una
nuova conferenza programmatica, nella quale la
riorganizzazione del partito viene modulata in chiave
(auto)illusionistica, come se esistesse ancora un terreno
comune fra partito e società. Il Pds, in assenza di una
politica, si attesta su un ruolo di difesa della legalità
costituzionale minacciata dal presidente della Repubblica, e
apre la controversa e discutibile (e contestata di fatto anche
a Botteghe Oscure) pratica dell' impeachment contro
Cossiga.
Siamo paurosamente vicini al risultato definitivo della
politica afflosciata su se stessa, implosa, pronta a precipitare
nel collasso che la ridurrà a materia amorfa. Eppure
qualcosa si muove. Si possono vedere almeno tre novità
politiche di un certo peso: in primo luogo, anche per la sua
platealità, il ruolo assunto dal presidente della Repubblica;
poi, la posizione in cui si è collocato il Pri di Giorgio La
236
Appendice
Malfa; e infine la coalizione referendaria, che sta maturando
una trasversalità inattesa e assume dimensioni e livelli di
consenso inaspettati.
Cominciamo dal Quirinale. La contabilità politica dice che il
capo dello Stato, sotto il profilo politico, è da tempo uno
sconfitto. Teneva a liquidare il Parlamento attuale, verso cui
non ha perso occasione di manifestare la sua ostilità, e non
c'è riuscito. Ha puntato alle elezioni anticipate, e invece la
legislatura ha resistito. Ha cercato di fare saltare Andreotti
imponendo una crisi di governo centrata sui temi
costituzionali, e ha dovuto sopportare sia la formazione
claudicante dell' Andreotti settimo sia che le riforme
istituzionali venissero «sfilate» dagli accordi che hanno
portato all'ultimo governo. Ha tentato di scuotere la scena
con il messaggio alle Camere sulle istituzioni, e il risultato
finale ha visto le ipotesi della Seconda Repubblica e del
presidenzialismo confinate in una limitata minoranza del
Parlamento. Ha varato l'operazione Curcio, cioè la soluzione
di una grazia politica verso il fondatore delle Brigate rosse
per chiudere i conti con le ombre del passato, provocando la
ribellione non solo della classe politica ma soprattutto di
quella «gente comune» a cui Cossiga ama riferirsi contro le
oligarchie del potere. Il suo poker contro la corporazione dei
giudici, che avrebbe potuto guadagnargli un piatto politico
di eccezionale rilievo, è stato dissipato per la sua incapacità
di uscire dalla logica della denuncia tonitruante e di
stringere con pazienza alleanze ragionevolmente fruttuose.
Non si è ancora capito del tutto che cosa abbia indotto il
presidente, dopo cinque anni da notaio, a trasformarsi nel
grande esternatore. Chi sottolinea il suo continuo oscillare
237
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
fra pathos e prudenza, fra insulto e riconciliazione, fra
attacco a freddo e successiva pacificazione ha considerato la
frenetica loquela di Cossiga o come un caso psicologico (il
che non ha alcun rilievo politico), oppure come una serie
clamorosa di infrazioni del galateo politico. Tuttavia sarebbe
una sottovalutazione consegnare l'uomo del Quirinale al
puro folklore. Tanto più che, preso di per sé, il contenuto di
molti pronunciamenti presidenziali è ampiamente
condivisibile. E dunque occorrerebbe cercare di capire se
esiste da parte dell'uomo politico Francesco Cossiga - non
del suo alter ego che si dedica allo spettacolo - un disegno
razionale che non sia stretto calcolo difensivo (alzare il
polverone per esorcizzare i fantasmi che gli sono stati
evocati contro come Gladio, il Piano Solo, la P2) né
attribuibile ad alti e bassi dell'umore, né dovuto a un'urgenza
di comunicare così spasmodica da abbattere le formalità
della carica che ricopre.
Se fosse uscito dal Quirinale dopo un settennato incolore,
Cossiga sarebbe rientrato nei ranghi democristiani confinato
in un notabilato senza gloria. Può darsi che in passato abbia
nutrito qualche speranza di raddoppiare il mandato, cosa che
oggi sarebbe impossibile senza accettare candidature e
investiture vagamente imbarazzanti come quelle espresse sui
manifesti pubblicitari dal Movimento sociale. Ma i mesi
vissuti pericolosamente da «Externator», nonostante la
«catastrofe stilistica» che gli è stata ripetutamente
rimproverata, devono averlo convinto che il suo destino è
tutto nella politica, altro che ritornare alla polvere degli studi
universitari. Prima ha nutrito un rapporto simbiotico con il
Psi, che però, pur facendogli continuamente da supporto, ha
238
Appendice
via via maturato una posizione di prudenza. Poi ha avviato
una strategia di aggressione spregiudicata contro quello che
chiama «il mio ex partito», cioè la Dc. Ormai potrebbe
importare poco delle ragioni per cui il Cossiga presidente
parla e agisce come ci ha abituati; forse sarebbe più
interessante giudicare le sue azioni e le sue parole come le
premesse di una sua nuova avventura politica.
Non senza qualche ragione, benché suffragata soprattutto
dagli effimeri dati degli indici televisivi di popolarità e dalle
ambigue cifre dei sondaggi, egli si sente sorretto da un
ampio consenso popolare. Intravede un proseguimento di
carriera che lo sottrarrebbe all' anonimato politico. Forse
non ci si dovrebbe stupire più di tanto se dal Cossiga
presidente dovesse nascere il Cossiga capo-fazione.
Potrebbe diventarlo addirittura di una nuova corrente
democristiana, se cambiasse nuovamente idea sul partito da
cui proviene e decidesse di scuoterlo dall'interno; ma anche
fuori dalla Dc, come emulo populista di Leoluca Orlando in
un movimento dai pronunciati caratteri antisistema e
antipartito, o in una sorta di «Rassemblement du peuple
italien» che si proponesse di coagulare la protesta in chiave
cripto-gollista. Ma per giungere a una soluzione di questo
genere (che forse potrebbe risultare non implausibile dato il
tifo calcistico che riscuote ormai il «partito del piccone»),
per sciogliere il tortuoso rapporto di amore-odio per la Dc,
occorre appunto la determinazione di passare decisivamente,
come Cossiga ebbe a dire una volta, «dalla commedia al
dramma, dalla farsa alla tragedia», e finora invece abbiamo
conosciuto soltanto il Cossiga a giorni alterni, oggi che
promette di non firmare il decreto che prolunga l'attività
239
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
della Commissione stragi, domani che all'ultimo minuto
appone la firma, oggi volutamente a un passo dalla farsa,
domani rischiosamente in bilico sulla tragedia. Per ora si
può solo registrare che si è di fronte a una rappresentazione
a sipario strappato, senza fine, in cui il capocomico fa
vedere agli spettatori la mediocrità dei trucchi che animano
la commedia.
Un secondo fattore con ragguardevoli connotati di novità,
nel corso di questa anonima crisi, è l'inedita posizione
assunta dal Partito repubblicano. Giorgio La Malfa era
uscito tempestosamente dalla compagine di governo proprio
nel momento in cui Giulio Andreotti stava per annunciare la
composizione del suo settimo gabinetto. I giudizi della
prima ora avevano posto in rilievo che il ritiro della
pattuglia repubblicana dall'esecutivo e dalla maggioranza
nasceva impreparato, dal momento che era il frutto di un
calcolo politico interno al Pri (centrato sulla sostituzione di
Oscar Mammì al ministero delle Poste), che avrebbe
determinato senza dubbio ripercussioni a cascata sulla
situazione politica, ma appariva ancora dettato da una
situazione contingente. Nei primi tempi dopo il ritiro dal
governo, le valutazioni sulla decisione assunta dal segretario
repubblicano erano state piuttosto dibattute, e la
controversia si era sviluppata anche all'interno del partito. L'
«opposizione di centro» inventata da La Malfa era apparsa
eccessivamente estemporanea per il partito a più forte
vocazione governativa presente in Parlamento. Secondo
alcuni, per il Pri sottrarsi al compito di governare poteva
equivalere di fatto a un'abdicazione politica. E invece
almeno per ora il progetto elaborato a posteriori da La Malfa
240
Appendice
sulla trama di equivoci dell' Andreotti settimo sembra
attrarre consensi e guadagnare peso. Ciò si è verificato a
Brescia, dove la contestazione repubblicana nei confronti
della Dc è risultata pagante; ma soprattutto è opportuno
prendere atto che la guerriglia che La Malfa conduce contro
il governo, soprattutto a colpi di interviste giornalistiche, in
qualche forma e misura intercetta l'insoddisfazione espressa
dalle organizzazioni degli imprenditori, dall'Italia che si
richiama ostentatamente a criteri di onestà, da quel mondo
insomma che ha sempre guardato al Pri come custode di
quel tanto di rigore amministrativo che era residualmente
possibile nel clan della contrattazione.
La Malfa e Bruno Visentini hanno tentato più volte di
puntare forte su una roulette politica ancora in movimento,
formulando l'auspicio che il governo del Paese potesse
essere assunto da un governo di competenti, capaci, onesti.
Il segretario ha addirittura manifestato l'opinione che il Pri
potrebbe dissolversi in un più ampio schieramento
alternativo, capace di sfidare il «regime» per consegnare
l'Italia in mani più efficienti. Come per miracolo della
dimenticanza si è ricominciato a parlare del fantomatico
«partito degli onesti», dimenticando per l'ennesima volta
che nessuna alternativa realistica si può costruire su
fondamenta extrapolitiche. Si è anche dimenticato, solo per
citare ad esempio uno degli onesti più sovente evocati, che
Norberto Bobbio ebbe a definire più volte il partito degli
onesti come una «truffa reazionaria».
Si deve anche segnalare che l'ipotesi «ideologica» su cui La
Malfa ha scommesso nel lungo periodo è assolutamente
eroica, ed è fondata sulla spaccatura in due tronconi del
241
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
sistema politico italiano, da una parte coloro che si
riconoscono nel mercato (e quindi in criteri di efficienza,
compatibilità economica ecc.), e coloro che invece sono
legati a principi e umori di tipo populistico: eccellente sul
piano della astrazione, per essere calata nella realtà questa
idea strategica dovrebbe essere confortata dalla simultanea
spaccatura in due blocchi della Dc: un'ipotesi che anche in
questo momento continua a prospettarsi scarsamente
plausibile. Su basi più realistiche, è ragionevole aspettarsi
che la grande fuga di La Malfa dalla Dc possa portare al Pri
qualche punto percentuale alle prossime elezioni politiche,
ma è assai dubbio che possa catalizzare uno schieramento di
alternativa.
Il terzo caso di contestazione interna al sistema dei partiti
viene dal fronte referendario. Il Comitato Segni, sulla scia
della grande vittoria riscossa i19-10 giugno, incarna la
volontà di porre fine al sistema consociativo, alla lunga
stagione trasformista prodotta dal sistema elettorale
proporzionale; il Comitato Giannini aggredisce più
direttamente l'occupazione partitocratica dell' economia. Ma
ciò che sembra farsi più evidente di giorno in giorno sul
piano generale è che l'esperienza referendaria tende
irresistibilmente ad assumere una forma che prelude a un
più diretto coinvolgimento nella lotta fra i partiti. Sono state
formulate esplicite proposte affinché lo schieramento che
promuove i referendum possa diventare una forza politica
trasversalmente antagonista alle vecchie e compromesse
forze politiche. Anche in questo caso, il progetto di un
partito dei referendum sarebbe più o meno un' assurdità,
considerata l'amplissima varietà di posizioni politiche
242
Appendice
presenti nello schieramento referendario, e concordi soltanto
sul tentativo di sbloccare i cardini del sistema facendo leva
sulla consultazione popolare.
Tuttavia il successo del fronte referendario, sia di critica sia
di pubblico, tanto fra le aristocrazie quanto a livello
popolare, appare comunque innegabile. Ma anche se gli
obiettivi di Segni e Giannini appaiono ragionevoli e
condivisibili, lo spettacolo schizofrenico di un'Italia buona e
onesta che attende ansiosamente i referendum, separata
dall'Italia maligna dei partiti, chiusa nel proprio irriducibile
mutismo e dedita alle proprie perfide liturgie, risulta ancora
una volta irrealistica. Un gioco delle parti tipicamente da
società di corte fa sì che i salotti dell'alta borghesia milanese
si aprano ai promotori dei referendum. Ma se è concesso
formulare un'ipotesi consapevolmente impopolare, si può
prevedere che non sarà l'incongruo partito trasversale dei
referendum a modificare la situazione politica e a riportarla
su un sentiero di razionalità, a costituire la nuova
maggioranza o la nuova opposizione. Dai referendum
elettorali dobbiamo aspettarci solo (ed è già moltissimo) una
vigorosa spallata alle regole attuali, e un impulso fortissimo
a una riforma complessiva delle istituzioni. Invece, e non si
scappa, la questione politica dovrà essere elaborata
politicamente. Non sarà la Lega nazionale vagheggiata da
Eugenio Scalfari, non sarà l'improbabile partito degli onesti,
non sarà il supergoverno dei tecnici a trarre la politica
italiana dalle secche in cui è incagliata: ammesso che ne
siano capaci, saranno ancora una volta i partiti, o nessun
altro.
243
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
L'ultimo trasformismo
Numerosi indizi e molti dati di fatto lasciano pensare che i
partiti politici italiani non abbiano ancora assorbito
completamente l'ondata d'urto provocata dalle rivoluzioni
del 1989 e dalla decomunistizzazione nell'Europa centrale e
orientale. Nel momento in cui l'Unione Sovietica si dissolve
e ogni residuo ideologico viene estinto, il Pds si ritrova
finalmente come un partito davvero «nuovo», purificato
magari senza troppo merito dal peccato originale leninista; e
di conseguenza vengono necessariamente a cadere gran
parte delle convenzioni politiche che hanno retto il nostro
sistema, a partire dalla prima e fondamentale: vale a dire la
scelta di parte anticomunista, che ha inciso in profondità
tutta la vicenda repubblicana e che oggi non riveste più
alcun significato effettivo.
Cambia quindi l'ambiente dell'agire politico, il copione della
commedia si trasforma radicalmente: la Dc non può fare
conto ulteriormente sulla rendita di posizione garantita dalla
scelta di civiltà, occidentale e liberaldemocratica, contro il
Pci stalinista di Palmiro Togliatti, e nemmeno
sull'intonazione moderata che aveva fatto valere contro i
tratti fortemente antagonistici assunti dopo la solidarietà
nazionale dalla segreteria Berlinguer. Ma nessuno è immune
dal flusso di trasformazione. Per il Psi svanisce il ruolo
corsaro esercitato con evidente consapevolezza e
determinazione nell'ultima parte del quindicennio craxiano,
caratterizzato da un'alleanza «obbligata», in nome della
governabilità, con la Dc e da un aspro anticomunismo che
bilanciava a sinistra la rissosa rivalità esercitata nei
244
Appendice
confronti
del
partito
di
maggioranza
relativa.
Contemporaneamente, nel momento in cui lo show di fine
secolo a Mosca e a San Pietroburgo spazza via ogni tara
ideologica, il Pds può salutare la propria mutazione genetica
e la propria resurrezione sotto legittimate spoglie liberal, ma
vede simultaneamente sbrecciarsi la sua comoda posizione
di oppositore coatto, di fisiologico raccoglitore di tutte le
proteste, niente affatto preoccupato di tradurre in
programma potenzialmente governativo l'antagonismo
sociale e politico di cui si faceva portavoce.
Se queste premesse sono accettabili, la prima conclusione
consiste nell' attestare che oggi tutti i maggiori partiti
appaiono nudi. Ognuno di essi dovrebbe misurarsi sui
programmi, presentare proposte amministrative e su queste
chiedere il giudizio degli elettori, competendo per porsi alla
guida del Paese. Ed è proprio su questo punto che la
pletorica macchina politica italiana rivela tutti i suoi deficit
di qualità. I partiti, infatti, sono abituati a confrontarsi sul
terreno che va dal più gretto clientelismo e dai tatticismi
negoziali alle più sesquipedali e barocche questioni
ideologiche, ma non sulla buona amministrazione della cosa
pubblica. Fino a pochi mesi fa, più che su progetti concreti,
hanno chiesto il consenso su una Weltanschauung, oppure
hanno offerto pensioni e impieghi nel parastato. Adesso che
devono abbandonare il piccolo cabotaggio, e navigare in
alto mare senza più la precisa stella polare della
contrapposizione ideologica, non possono non trovarsi
drammaticamente disorientati, legati a una serie di
comportamenti che non hanno più riscontro con la realtà, a
245
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
dichiarazioni di principio che sembrano prodotte da una
morbosa coazione a ripetere.
Le elezioni della primavera prossima [1992] saranno le
prime che si svolgeranno senza la condizione base che ha
contraddistinto la politica dell'Italia repubblicana, e cioè la
conventio ad excludendum nei riguardi del principale partito
di opposizione. La sclerosi della politica attuale tende a
smorzare il significato di questa prospettiva inedita. Ma
anche Luigi XVI annotava cinicamente «Rien» sulla pagina
di diario del 14 luglio 1789, a Bastiglia appena presa. Se si
prendono le distanze dallo scetticismo con cui i santuari
politici della capitale registrano le novità, non si può
ignorare che l'acquisita normalità del Pds significa che una
moltitudine di potenzialità politiche finora ibernate sotto una
campana di vetro vengono liberate, ed è insensato pensare
che ciò non si ripercuota sulle strategie dei partiti, sulla
formazione delle alleanze, sugli accordi di prospettiva.
Certo, si è legittimati a pensare che il gioco al suicidio dei
partiti possa proseguire inesorabilmente; ma accettare questa
ipotesi comporterebbe accettare l'ineluttabilità di un
cammino di decadenza avviato dal Paese, con un inevitabile
destino sudamericano, nel cui orizzonte si configurano la
perdita progressiva di legittimità, l'iperinflazione, le
aspettative irrazionali che al posto della politica qualcuno,
un uomo, un gruppo, sia capace di assumere un ruolo
provvidenziale.
Il fatto è che per tentare l'ardua impresa di uscire dal
trasformismo occorre paradossalmente un ulteriore esercizio
trasformistico. È proprio necessario che il Barone di
Miinchhausen si afferri per il codino della parrucca e
246
Appendice
depositi se stesso e il cavallo dall' altra parte della palude.
Chi nega questa ipotesi, e invoca spallate e traumi, sembra
ignorare che le capacità di assorbimento del sistema politico
sono enormi. Già il Pds non rappresenta più fortunatamente
un'alternativa di sistema, e quindi potrà essere cooptato nel
governo non appena ciò sarà ritenuto necessario: costituisce
una delle primarie forme di difesa di qualsiasi organismo
complesso la soluzione di associare nella gestione i soggetti
più conflittuali, per ridurre al minimo il tasso di scontro. Ma
perfino la Lega lombarda, una volta emersa come forza
politica di una certa consistenza in un Parlamento
fortemente frammentato, potrebbe essere coinvolta nelle
pratiche di governo. Angelo Panebianco ha parlato del
sistema sociopolitico italiano come di una «maionese
impazzita», nella quale tutti gli ingredienti perdono coesione
e degradano senza scampo; tuttavia, a pensarci bene,
potrebbe darsi che la maionese sia perfettamente riuscita,
che riesca a integrare attraverso chimismi misteriosi
qualsiasi nuovo componente si butti nell'impasto. D'accordo
che il sapore risulta pessimo, ma la formula funziona con
diabolica perfezione e promette anzi minacciosamente di
resistere per l'eternità.
D'altra parte, risulta difficile contraddire il pessimismo sulla
capacità dei partiti e del Parlamento di giungere
concordemente a una invenzione alchemica che permetta di
scomporre razionalmente maggioranze e minoranze, per
arrivare insomma a uno schema di tipo europeo, quello
stesso che permette alla Cdu di governare con il 43,8 per
cento dei voti, ai conservatori inglesi con il 42,3, ai socialisti
spagnoli con il 39,6, ai socialisti francesi con il 37,5 (tutte
247
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
percentuali che vengono poi esaltate dal congegno elettorale
dei vari Paesi, e portate oltre la maggioranza assoluta o alle
soglie di essa).
Toccherà in primo luogo alla Dc dimostrare se la sua
proposta istituzionale è stata avanzata semplicemente per
dovere di ufficio oppure per impegnare effettivamente il
partito su di essa. E toccherà di conseguenza al Psi decidere
come comportarsi di fronte a un'eventuale presa d'iniziativa
democristiana. Durante i mesi di novembre e dicembre,
Bettino Craxi è sembrato piuttosto deciso nell'affermare che
la prossima legislatura vedrà una maggioranza di governo
ancora fissata sull' asse Dc-Psi. L'unica novità che si
potrebbe intravedere è il ritorno del leader socialista a
Palazzo Chigi. E resta da notare che in questa politicamente
tranquillizzante, anzi narcotica, prospettiva politica non c'è
alcun elemento di novità, alcuna risposta che non sia
personalistica o volontaristica, e quindi arbitraria, ai
problemi del Paese.
Ad ogni modo, per il momento non rimane altro che
aspettare l'esito delle elezioni politiche: perché sulle
percentuali della primavera prossima si misurerà il grado di
consapevolezza dei partiti riguardo alla crisi del sistema, e
se essi mostreranno la volontà di adeguarsi a un principio di
razionalità (oltre che allo scadenziario dettato dalla
Conferenza europea di Maastricht, che di per sé imporrebbe
l'abbandono della computisteria di fazione in favore di una
strategia nazionale improntata all'impegno richiesto).
Sappiamo già che nel caso di una frantumazione della
rappresentanza avremo di fronte una sola alternativa: il
proseguimento, da un lato, della grande coalizione
248
Appendice
trasformistica, con la cooptazione assicurata a chiunque
prometta di alimentarla nei limiti di una conflittualità interna
accettabile e di uno sperimentatissimo gioco di
contrattazioni, veti, ricatti, negoziati, risarcimenti, scambi;
oppure, dall' altro, la ripresa di iniziativa dei partiti, una
scommessa civile che si decida a mettere a rischio il capitale
per non vederlo eroso giorno per giorno. A malincuore, e
con la consapevolezza che la condizione di questi partiti è
tale da non autorizzare speranze troppo complesse, i
cittadini italiani dovrebbero augurarsi un altro paradosso
politico, e cioè che - per paura - i responsabili del degrado
riescano a diventare i restauratori, gli autori dello sperpero i
risanatori, gli scialacquatori della morale i moralizzatori. Per
garantirsi una sopravvivenza, è l'ultima strada che hanno di
fronte. Nel pessimismo di quest'ora così inquieta, in assenza
di strategie coerenti, dovremmo essere disposti a credere per
l'ultima volta alla più imbarazzante delle risorse e abitudini
italiane, il colpo di teatro.
249
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
La tv, la politica e l'antidoto del mercato
Contenuto nel numero 2, (marzo-aprile) 2003
pp 317-325
Nello marzo 2003 si è constatato senza possibilità di dubbio
come la televisione rappresenti un problema politico; e
subito dopo come questo problema politico si sia dilatato
fino a rivelarsi un severo problema istituzionale. Non che
prima potessero esserci tante incertezze in proposito. Ma
l'autentica nevrosi che ha sovreccitato tutto il sistema
politico durante i giorni che hanno condotto alla nomina del
nuovo Consiglio d'amministrazione della Rai è
l'esemplificazione più chiara della portata politica che viene
attribuita al controllo della televisione pubblica, nel contesto
della situazione patrimoniale che investe il presidente del
Consiglio; e il processo decisionale che ha condotto alla
soluzione del caso creatosi con la caduta del Cda
precedente, presieduto da Antonio Baldassarre, costituisce la
prova che la questione politica si proietta inevitabilmente, e
non proprio con riflessi positivi, sulle presidenze delle
Camere, a cui la legge del 1993 assegna la titolarità della
nomina.
Perché la televisione è una risorsa politica
Nell'attesa di conoscere l'esito parlamentare della cosiddetta
legge di sistema, messa a punto dal ministro delle
Comunicazioni, Maurizio Gasparri, e a cui l'Ulivo oppone i
soliti duemila emendamenti, conviene provare a definire
alcuni aspetti di fondo, riguardanti l'orizzonte
250
Appendice
contemporaneo della televisione generalista, nei quali si può
riscontrare come agisca l'intreccio fra politica e struttura
televisiva.
Prima di tutto, è utile chiarire le ragioni per cui oggi la
classe politica considera il sistema della televisione, e in
particolare l'apparato della televisione di Stato, come una
risorsa cruciale per la formazione e il mantenimento del
consenso politico. C'è in primo luogo l'evidenza secondo cui
l'assetto proprietario delle reti Mediaset, in quanto
riconducibile a Silvio Berlusconi, «scarica» sul secondo
ramo del duopolio, la Rai, l'interesse essenziale di tutto il
sistema politico. Una metà sostanziale della televisione
italiana, infatti, non è né contendi. bile sul mercato né
negozia bile in termini politici. Al di là della correttezza
giornalistica e dell' equilibrio professionale delle principali
figure che gestiscono l'informazione di casa Mediaset,
dovrebbe essere chiaro che l'indirizzo culturale, il contenuto
e l'orientamento politico delle reti berlusconiane
appartengono a una sfera larghissimamente discrezionale.
Ciò vuol dire che non esiste nessuna garanzia formale e
sostanziale che i telegiornali e i programmi d'informazione
debbano rispondere a criteri di imparzialità. Il privato è il
privato, e il fatto che la proprietà di mezzo duopolio sia da
ricondurre al capo del governo è un semplice incidente della
storia politica italiana. È vero che sono state create le norme
sulla «par condicio», ma esse sono state attive soltanto
durante le campagne elettorali. A sua volta, il pluralismo dei
contenuti politici delle reti Mediaset è garantito, ammesso
che si possa usare questa espressione, da fattori impalpabili.
Nel 1994, conferendo l'incarico di formare il governo a
251
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
Berlusconi, il presidente della Repubblica Oscar Luigi
Scalfaro si assunse un ruolo di garanzia informale, come se
dovesse essere paradossalmente il sovrano a coprire la
responsabilità politica del capo del governo; in seguito la
legge sulla par condicio ha tamponato il problema alla meno
peggio, ma al prezzo di ulteriori rigidità al dibattito
pubblico, tali da recare danno alla stessa libertà di
informazione, e di favorire ulteriori processi manipolativi.
Nel 2002 Carlo Azeglio Ciampi è ricorso allo strumento non
proprio ovvio del messaggio alle Camere, e in seguito a
interventi tutti ispirati da una preoccupazione acuta per la
tenuta del pluralismo nell'informazione.
Su questo terreno è arduo immaginare rimedi, se non
radicali. Ma poiché il radicalismo dell'eventuale terapia
entrerebbe in conflitto con l'interesse di una parte del
sistema politico, è più conveniente per il momento limitarsi
all' aspetto diagnostico. Un approccio meno scontato
potrebbe ad esempio prendere in considerazione le altre
ragioni (altre rispetto a un rischio monopolistico
conclamato) per cui l'informazione televisiva riveste
un'importanza essenziale per la politica italiana.
Ora, se è evidente che i grandi numeri dell'audience
televisiva costituiscono un fenomeno di rilievo immediato,
tale da testimoniare con nettezza il peso potenziale della
televisione nella formazione delle opinioni, meno evidente
risulta tuttavia per quale motivo dovrebbe esserci una
congruenza così forte tra il controllo del medium televisivo
e la formazione del consenso politico. Occorre una visione
pessimistica della società italiana per immaginarla come una
252
Appendice
sudditanza indistinta, dominata dalla potenza intrinseca del
medium stesso. E in realtà anche le indagini che hanno
cercato di misurare l'influsso della televisione
sull'espressione del voto, come quelle del gruppo di ricerca
ITANES, mostrano una platea segmentata, su cui non è il
caso di immaginare un imprinting deterministico delle
visioni del mondo proiettate dal sistema televisivo.
È vero che ITANES ha mostrato un particolare parallelismo
fra il voto per il centrodestra di alcune fasce sociali, in
genere «marginali», e la loro esposizione ai programmi
Mediaset; ma questo aspetto semmai offrirebbe una
spiegazione supplementare dell' accanimento mostrato dalle
parti politiche nella battaglia per il controllo dello spazio
televisivo residuale, ovvero la Rai. E non spiegherebbe
affatto per quale motivo i ceti più moderni e preparati
dovrebbero essere inerti davanti al piccolo schermo fino a
risultare succubi della sua influenza politica.
Un pessimismo di questo tipo è forse concepibile sul piano
di una critica sociale di tipo antropologico, o filosofico: le
masse televisive «implose nella privacy» si stagliano come
una suggestiva immagine di Carlo Galli (La guerra globale,
Laterza, 2002), che allude a un universo sociale amorfo, e in
quanto tale strumentalizzabile e manipolabile dalla ratio
implicita nel processo complessivo della postmodernità.
Tuttavia, prima degli esiti finali della grande omologazione,
non è inutile concentrarsi su aspetti più circoscritti,
attraverso i quali sia possibile una spiegazione almeno
parziale del dominio televisivo sulla formazione dell'
opinione pubblica.
253
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
Anche la spiegazione di Giovanni Sartori, secondo il quale
la ricerca obbligata dell' audience innesca un meccanismo
qualitativamente al ribasso, appare di taglia troppo ingente
per essere efficacemente esplicativa di processi più parziali.
Sul terreno empirico in questo momento non è in gioco la
televisione «cattiva maestra», bensì il complesso di ragioni
che designano il peso politico dell'informazione televisiva in
una società come quella italiana.
Sotto questo profilo, un'ipotesi da valutare è che l'incombere
dei messaggi televisivi vada di pari passo con la perdita di
autorevolezza della stampa quotidiana. Le ragioni che
possono spiegare questo dato di percezione sono numerose,
ma una di esse ha un contenuto più «politico» delle altre.
Nei quotidiani d'opinione, la necessità dettata da
comprensibili motivi di marketing di apparire il più
possibile neutrali rispetto al conflitto politico contingente, e
generalmente in posizione «terza» riguardo al confronto fra i
due schieramenti ufficiali, tende a stemperare le posizioni o
a renderle percettivamente irrilevanti: in questo senso, la
denuncia delle viziosità intrinseche al centrodestra e al
centrosinistra si qualifica agli occhi di molti lettori non tanto
come una posizione sopra le parti, ma come un
patteggiamento continuo, una compensazione manieristica e
alla lunga irritante.
Ancora: l'attenzione meticolosa alle minuzie quotidiane
della vita politica romana, la spettacolarizzazione del gossip,
il retroscenismo, fanno perdere di vista la portata reale del
confronto politico; mentre il logorio inevitabile dei
commentatori principali, ciascuno preoccupato di non essere
identificabile come una figura sbilanciata verso uno
254
Appendice
schieramento, può rendere irrilevanti le loro posizioni, e
condurre il pubblico a una sostanziale diffidenza verso i loro
giudizi.
Detto a margine, ciò contribuisce inoltre a spiegare il
successo - ovviamente di critica - di un giornale come «lI
Foglio», in quanto il quotidiano di Giuliano Ferrara si
propone come il campione di un'informazione partisan,
senza dissimulazioni retoriche. O viceversa spiega il
successo di mercato dell'«Unità» diretta da Furio Colombo e
Antonio Padellaro, che ostenta un atteggiamento critico più
estremizzato di quanto non sia la linea del suo partito di
riferimento.
Su questo sfondo, pur tratteggiato con sommarietà, la
brutalità espressiva dell'informazione televisiva assume un
segno di forza grandissima. Mentre la carta stampata
approfondisce e moltiplica, senza per questo risultare
autorevole e credibile, il piccolo schermo seleziona e
intensifica, diventando nel medio periodo molto più
persuasivo. Oltretutto, si nota facilmente che la televisione
si appropria con prontezza degli elementi di novità che
appaiono sui giornali, e li proietta in tempo reale
nell'opinione pubblica, facendoli diventare ulteriori schegge
della propria sfera di contenuti politici e di immagini
pubbliche.
Quando la televisione «produce» li assetto politico
In televisione il pluralismo è una condizione necessaria ma
non sufficiente ad assicurare un'informazione distaccata o
255
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
«corretta». Le possibilità discorsive offerte dal montaggio,
dalla titolazione, dalle scalette dei telegiornali, dalla scelta
degli argomenti e dal taglio e dal contesto delle
dichiarazioni pubbliche sono talmente numerose per cui la
faziosità si può esprimere anche in un prodotto ineccepibile
dal lato professionale.
Ma non è tutto. Si è dato con bella chiarezza almeno un caso
in cui è stato lo stesso formato di una trasmissione politica a
sovrapporsi in modo prepotente sul processo politico in
corso, assecondando e nello stesso tempo influenzando
l'esito di una fase politica. Si ricorderà infatti che nella
campagna elettorale del 1994 esistevano tre entità politiche
in competizione. Il bipolarismo era ancora in formazione, e
sulla scena politica erano presenti l'alleanza capeggiata da
Berlusconi, la «gioiosa macchina da guerra» guidata da
Achille Occhetto, e il Patto per l'Italia siglato da Mario
Segni e Mino Martinazzoli.
Ebbene, il clou di quella campagna fu rappresentato dal
confronto, quello sì «bipolare» fra Berlusconi e Occhetto
negli studi di Canale 5. Con ogni probabilità il polo centrista
era stato già sconfitto da un sentimento collettivo, suggerito
dai mezzi d'informazione e da molti improvvisati
fondamentalisti del maggioritario, secondo cui nel nuovo
schema elettorale lo slogan di fondo era «o di qua o di là»,
senza la possibilità di sfumature intermedie; tuttavia il
confronto fra il capo dei moderati e il leader dei progressisti
esprimeva anche plasticamente la necessità o l'obbligo di
adeguarsi a un principio alternativo, a una scelta esclusiva,
alla cogenza aristotelica del «tertium non datur».
256
Appendice
In chiave di sistema, questo rende manifesta l'importanza
strategica dell'accesso all'informazione; d'altronde, è noto
che, sottoposti a un test demoscopica, numerosi elettori
inglesi negli ultimi decenni dichiaravano la propria
disponibilità almeno astratta a votare per il «terzo partito»,
uscendo dalla gabbia del confronto bipartitico fra Labour e
Tory, «se i liberaldemocratici avessero una possibilità di
vittoria»: il che dice qualcosa sull' esistenza di barriere all'
ingresso del mercato politicoelettorale, dal momento che le
chance di successo nelle urne dipendono anche dalla
presenza e dalla visibilità nel dibattito pubblico, ovvero dall'
accesso alla risorsa dell' informazione di massa e dal modo
in cui il sistema dell'informazione presenta la competizione
elettorale.
Come si sa, il polo centrista alle elezioni del '94 vide
sacrificati sull' altare del bipolarismo nascente i propri sei
milioni di voti. In seguito, i casi sono stati meno clamorosi,
dal momento che la macchina bipolare si era andata
assestando, e il confronto si imperniava sui due schieramenti
principali:
tuttavia
non occorre
una
mentalità
particolarmente incline alla dietrologia per accorgersi che
l'ampio spazio dedicato dai talk show a Fausto Bertinotti
non rispondeva soltanto all'interesse giornalistico per l'
oltranzismo sofisticato del capo di Rifondazione comunista,
ma aveva come sottoprodotto anche la conseguenza di
recare danni seri alla compattezza e alla capacità di
attrazione dell'Ulivo. E forse è di qualche rilievo che alle
elezioni del 2001 alcuni partiti come L'Italia dei valori di
Antonio di Pietro, la Lega di Bossi, il cartello
postdemocristiano Ccd-Cdu, e il movimento di Sergio
257
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
D'Antoni Democrazia europea non siano riusciti a
raggiungere la soglia di sbarramento del 4 per cento al
proporzionale: un segno della loro irrilevanza numerica o,
anche, un prodotto della semplificazione informativa?
La lottizzazione di maggioranza
Una delle conseguenze più palesi del «bipolarismo non
temperato» deriva dal fatto che la formula maggioritaria si è
impressa a forza su un' architettura istituzionale, e su quella
serie di convenzioni che i giuristi riferiscono alla
costituzione materiale, investendone profondamente la
tenuta. Ai tempi della scoppoliana «Repubblica dei partiti»,
la spartizione politica delle posizioni di vertice nell'
establishment pubblico e i suoi criteri di attuazione
costituivano un sub-sistema pervasivo. Se i partiti di
governo gestivano in regime di monopolio pratico gli enti di
Stato, con l'Iri e l'Eni che esemplificavano la logica della
coabitazione democristiana e socialista, esistevano ampi
settori, a cominciare dall' elezione del capo dello Stato per
venire agli istituti parlamentari, dalla presidenza delle
Camere alle commissioni parlamentari, in cui il ruolo
dell'opposizione comunista era riconosciuto e negoziato.
La Rai era l'esempio forse più plateale di quella che Alberto
Ronchey definì «lottizzazione». La spartizione avveniva per
aree di influenza, si delineava nel controllo delle reti, nella
direzione dei telegiornali, nelle nomine di tutta la
costellazione dell'emittenza pubblica, nelle assunzioni dei
giornalisti. Una volta che il metodo maggioritario ebbe
258
Appendice
travolto il sistema di pesi e contrappesi, risarcimenti e veti
su cui si basava la convivenza politica e parlamentare, le
ripercussioni furono vistose. Mentre in precedenza la
televisione di Stato garantiva un pluralismo contrattuale, in
cui il servizio pubblico si qualificava come la camera di
compensazione della trattativa politica, la durezza implicita
del sistema maggioritario non poteva non squilibrare anche
il balance / power televisivo.
All' epoca della proporzionale le convenzioni accettate
consentivano una rappresentanza sufficientemente congrua
con la consistenza dei partiti. Il calcolo dei rapporti di potere
permetteva ad esempio una divisione «verticale» delle reti e
dei telegiornali, ancorandoli al ruolo dei tre pilastri
principali del sistema politico di allora (Dc, Psi e Pci). Sotto
i cartelli di appartenenza politica dei vertici, la logica della
spartizione e della compensazione dava luogo a una trama
fittissima che alla fine produceva un rispecchiamento degli
equilibri politici generali.
Che il sistema fosse perverso è fuori discussione; ma sembra
altrettanto chiaro che l'impatto del maggioritario abbia
prodotto l'effetto dell' elefante nella cristalleria. Come se la
dittatura della maggioranza si fosse sommata al manuale
Cencelli. Il primo presidente del Cda nominato dal Polo
delle libertà (con !rene Pivetti e Carlo Scognamiglio al
vertice delle Camere), ovvero Letizia Moratti, è passato alla
cronaca per avere esplicato un programma di gestione della
Rai orientato a rendere la televisione pubblica
«complementare» alla programmazione delle reti Mediaset.
Il che significa che dal duopolio formalmente competitivo si
passava automaticamente a un duopolio collusivo. Quanto al
259
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
Cda nominato dall'Ulivo, il suo presidente, Roberto
Zaccaria, ha interpretato la sua parte proponendosi in modo
esplicito all'incirca come un leader politico vicario (per un
disinibito editoriale del «Foglio» il suo Cda «è affondato
nella più bestiale faziosità elettorale»).
Infine, il Consiglio d'amministrazione nominato dopo le
elezioni del 2001 ha reso manifesto che la lottizzazione era
divenuta doppia, interessando sia le posizioni attribuite alla
maggioranza sia le nomine riferibili all' opposizione. La
formula del «3+2» ha esordito con la soluzione di per sé
grottesca di un presidente che elegge se stesso, sciogliendo
lo stallo fra consiglieri di maggioranza e d'opposizione con
il proprio personale voto. In seguito la lunga, lenta,
interminabile caduta del Cda presieduto da Baldassarre,
dopo le dimissioni dei consiglieri di centrosinistra Carmine
Donzelli e Luigi Zanda, e poco dopo del centrista ago-dellabilancia Marco Staderini, ha messo in pubblico
l'insostenibilità perfino estetica dei criteri di nomina, dei
loro risultati pratici e dei loro esiti politici e istituzionali.
Il destino della terzietà
Per reagire al discredito suscitato dalla fine ingloriosa del
Consiglio d'amministrazione dei «giapponesi», del Cda
«Smart», i presidenti di Camera e Senato avevano una sola
carta: riunirsi in separata sede e uscirne solo con il foglietto
con la cinquina dei designati. Ma questa è un'ipotesi astratta,
eroica nel modo in cui viene esposta e ragionevolmente
impraticabile sul piano empirico. Quando Marcello Pera ha
escogitato la trovata di replicare nel Cda la formula che vige
260
Appendice
alla Commissione parlamentare di vigilanza (con la
presidenza affidata a un membro dell'opposizione), almeno
in un primo tempo è sembrato che essa non fosse più che un
escamotage causidico per sparigliare il gioco. Ma, subito
dopo, su quell'intenzione dei vertici parlamentari è sceso un
clima di trattativa clandestina.
Che cosa fosse accaduto è presto spiegato. Mentre la parte
diessina dell'opposizione tentava di tenere ferma una
posizione che rivendicava la totale e assoluta responsabilità
di Pera e Casini nelle designazioni, il vertice della
Margherita si faceva coinvolgere nel negoziato («Sarebbe
un errore politico chiudere la porta», secondo le
indiscrezioni attribuite a Francesco Rutelli): avanzava terne
di candidati, discuteva in silenzio, intravedeva la possibilità
di incamerare un vantaggio politico frazionale. Tanto che a
nomina avvenuta il diessino Vincenzo Vita avrebbe
sintetizzato in questo modo: «Siamo caduti dalla brace nella
padella».
La designazione a presidente di Paolo Mieli è stata il
tentativo estremo di uscire da un groviglio in apparenza
inestricabile e ad un tempo lo sbocco politico di questo
negoziato condotto sottotraccia. La composizione del
Consiglio era stata studiata con una certa accortezza, almeno
nel senso che gli altri quattro consiglieri (Francesco
Alberoni, Angelo Maria Petroni, Giorgio Rumi, Marcello
Veneziani) rappresentavano più che altro un contorno
intellettuale alla figura professionale di Mieli. La
scommessa consisteva nell'ipotesi che una personalità come
quella del direttore editoriale del gruppo Rizzoli -Corriere
della Sera potesse incarnare il ruolo di garante di tutti gli
261
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
equilibri politico-culturali intrinseci alla Rai, di gestore
diplomatico dei prevedibili conflitti futuri, di ispiratore
culturale di una televisione sopra le parti (o meglio, in cui le
parti trovassero una continua mediazione).
A posteriori, è netta la sensazione che l'attribuzione a una
sola persona dell'insieme di queste funzioni fosse all'origine
della debolezza della designazione. La nomina del Consiglio
inoltre appariva inevitabilmente squilibrata se si considera
che, al di là della proclamata autonomia dai partiti dei suoi
componenti, non si vedeva nessuna figura che potesse
«garantire», secondo il normale codice spartitorio, uno dei
partner di governo, ossia la Lega. Non appare un caso che il
primo e più violento attacco contro il presidente designato
sia venuto dalla prima pagina della «Padania», mentre
Umberto Bossi non nascondeva diffidenze spirituali
significative rispetto a «Mielig»: «E un sessantottino, e io
non dimentico». Tutto il resto, comprese le scritte
antiebraiche alla sede Rai di Milano, ha contribuito più che
altro ad agitare le acque. La diffidenza se non l'ostilità di
Silvio Berlusconi per il direttore che nel 1994 aveva
pubblicato la notizia dell'invito a comparire spedito al
premier dal pool di Milano, e che nella campagna elettorale
del 1996 aveva scritto sul «Corriere» un editoriale
inequivocabilmente avverso al Cavaliere, costituiva un
ostacolo forse non insuperabile, se si tiene conto delle
sperimentate capacità equilibratrici Mieli; mentre i punti
subito rivendicati dal presidente «con riserva», cioè la
nomina di un nuovo direttore generale, richieste retributive e
l'annuncio del ritorno in prima sera! di giornalisti
chiaramente d'opposizione come Enzo Biagi Michele
262
Appendice
Santoro («Cominciamo bene», aveva commentato
Berlusconi), che in un primo momento erano sembrate un t
per misurare preventivamente il raggio della propria
autonomi! in pochi giorni hanno contribuito a bruciare una
designazione che sotto l'apparenza di una solidità
ineccepibile conteneva evidentemente una criticità politica
rilevante.
La caduta della designazione di Mieli, per «difficoltà O
ordine tecnico e politico» assecondate dal ticket BossiTremanti è comunque significativa anche per alcuni effetti
collaterali Secondo le interpretazioni più ottimistiche, l'
«invenzione» de Cda presieduto da una personalità
d'opposizione ha fatto compiere un passo avanti alla politica
italiana. Lo ha sottolineato li stesso Mieli: «lI mio stato
d'animo è quello di uno scienziato che ha assistito ad un
esperimento in provetta assolutamente inedito il cui risultato
sarebbe stato utile per tutti». E ancora: «ln questa settimana
è come se nel Paese si fosse manifestato un bisogno
generale di professionalità e terzietà. È un segnale positivo e
fruttuoso. Resta in piedi un metodo nuovo: per una volta mi
è sembrato di vedere venir fuori le parti responsabili dei due
schieramenti». Secondo questa tesi, con una decisione di
questo genere il bipolarismo italiano dimostrerebbe di non
essere più in una fase di «guerra civile». Si sarebbero
individuati settori della vita nazionale tutelabili rispetto alla
logica dell'occupazione politica maggioritaria. Ma si può
immaginare che abbia un futuro una concessione dall'alto
determinata da un momentaneo calcolo di opportunità? Che
cosa resterebbe delle convenzioni nel momento dell'acuirsi
del conflitto politico?
263
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
Secondo una visione più venata di pessimismo, la rinuncia
forzosa di Mieli ha messo in chiaro invece un aspetto
ulteriore del rapporto fra politica e informazione televisiva.
Questo aspetto ulteriore è la concreta impotenza di quelle
posizioni politico-culturali che si fanno ascendere all'idea di
«terzietà» cioè di dichiarata distanza dal conflitto fra gli
schieramenti non appena esse vengono a contatto con
quell'ambito in cu la politica esprime la durezza delle sue
decisioni. La terzietà o il «terzismo», di cui Mieli è uno dei
teorizzatori più assidui e convinti, è un' eccellente
disposizione intellettuale, che può esprimersi nelle scelte
culturali, nell' osservazione analitica del confronto politico,
nella sollecitazione alla maggioranza affinché non cada in
tentazioni sfrontate, e all'opposizione perché non si
rattrappisca in un aventinismo ostruzionistico. Ma non regge
allorché l'esercizio del potere, con le sue divisioni così nette,
e con gli attriti anche sul piano personale che implica, porta
alla scelta fra un sì e un no, allo sciogliersi traumatico di un'
alternativa netta.
Per completezza descrittiva si può aggiungere che, in modo
simile, si è rivelata illusoria l'idea che a contatto stretto con
la politica potessero avere un ruolo prevalente le reti di
solidarietà culturale e professionale di cui Mieli è uno degli
snodi più importanti nell'informazione italiana attuale.
Secondo le prime ricostruzioni, poteva sembrare che la
designazione del direttore editoriale del gruppo Rcs fosse il
risultato dell'appoggio e del lavorio di un network che oltre
a Mieli si estendeva agli ambienti marcati dall'iniziativa
politica e di indirizzo ideologico di Giuliano Ferrara e del
«Foglio». Anche in questo caso si è visto che il potere di
264
Appendice
queste reti (di solidarietà professionale, di «complicità»
giornalistica con i suoi giochi di sponda) sarà sicuramente
utile per costruire un consenso nell' opinione pubblica e
anche in alcuni settori della realtà politica, ma si arresta di
fronte al primato della decisione politica.
Una soluzione radicale
Ciò che si è subito dimenticato è che la rinuncia di Mieli e la
nomina della Annunziata erano state precedute dalla trovata
estemporanea del Cda Baldassarre-Albertoni di spedire
Raidue a Milano; dalla resistenza accanita fino alla
provocazione dei due consiglieri, che per andarsene hanno
dovuto subire la minaccia di una mozione di sfiducia nella
Commissione di vigilanza da parte An e Udc; da una sfilata
impressionante di candidature, da Enzo Cheli a Ottaviano
Del Turco, e nel mezzo da un pazzesco ballon d'essai
berlusconiano, che per il Cda spiattellava una cinquina
capeggiata dal presidente di McDonald's Italia, Mario
Resca, e alla direzione generale un tale «leghista di
governo», ex presidente della provincia di Varese,
parcheggia da Bossi alla direzione del centro di produzione
Rai di Milano (funzione che svolgeva da sette mesi).
Una «vicenda lunga e grottesca», quella del Cda della R
secondo «L'Osservatore romano». Sulla scia di questi
avvenimenti si è avuta la conferma implicita e definitiva che
nelle condizioni date è illusorio pensare che siano sufficienti
buon motivazioni di carattere comportamentale per risolvere
un stringente problema politico sistemico. Vale a dire che
anche la soluzione individuata con esatto tempismo e con
265
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
chirurgica esattezza politica dai presidenti delle Camere
dopo la rinunci di Mieli (cioè la designazione come
presidente di Lucia Annunziata che si è aggiunta ai quattro
consiglieri già nominati con il via libera di Piero Fassino e
la fierissima e ormai inutili opposizione di Francesco
Rutelli, costretto ad accettare a denti stretti il colpo della
risposta diessindalemiana) segnala una far mula che affida
alla personalità dei designati, e in special modo della
neopresidente, la tutela di tutto ciò che parlando della Rai si
associa a termini come «servizio pubblico», pluralismo
autonomia dalla catena di comando politico.
Con tutto questo, forse è venuto il momento delle soluzioni
radicali, ed è ovvio che come si è accennato in apertura le
soluzioni radicali siano politicamente impegnative.
Occorrerebbe'ac esempio mettere a frutto l'idea che nel
nostro Paese il processo di privatizzazione dell'economia
pubblica è stato utile non sole e non tanto nel tentativo di
snellire un apparato economico e industriale che per molti
aspetti era una macchina inefficace; ma soprattutto perché
ha sottratto ai partiti un sistema feudale, una manomorta che
era il campo ideale per la spartizione e lo scambio
consortile.
Qualcuno sa immaginare, in uno scenario controfattuale, che
cosa sarebbe accaduto se il sistema maggioritario avesse
invaso anche il sistema di norme non scritte che prima
presiedeva alle nomine nell'economia pubblica, nelle
banche, nell'industria di Stato? La domanda grazie al cielo è
irrealistica, ma solo perché nel frattempo si è largamente
privatizzato. Tuttavia, seguendo la logica che sottostà a
questa domanda, è pressoché impossibile resistere alla
266
Appendice
suggestione che oggi, per ciò che riguarda l'informazione
televisiva e la televisione tout court, la «cosa» che
assomiglia di più alla libertà, al pluralismo, alla garanzia che
posizioni politicamente e culturalmente diverse siano
adeguatamente rappresentate è il mercato. Non regole
imposte dall'alto, ma il principio della concorrenza, della
ricerca di un proprio pubblico, della possibilità di accesso
paritario alle risorse pubblicitarie.
Se ciò significa una inevitabile diffidenza verso la difesa di
«valori» difficilmente precisabili come il servizio pubblico,
va tenuto presente, a scanso di equivoci, che mercato
significa mercato, e concorrenza significa concorrenza. È
vero che alla privatizzazione della Rai si accennava anche
nelle «88 tesi» che costituivano l'embrione programmatico
dell'Ulivo di Prodi nel 1996. Ma il corollario della richiesta
di mercato è che non si risolve il problema del duopolio
imperfetto, o del duopolio collusivo, semplicemente
mettendo sul mercato la metà del duopolio medesimo. Se
mercato dev'essere, che mercato sia. E se questo contiene
implicitamente anche la prospettiva dello smantellamento
della posizione di Mediaset, non è il caso di menare
scandalo per l'attacco alla proprietà privata «inviolabile» o
arrestarsi di fronte alla definizione preventiva
dell'intrattabilità della pratica.
Ciascuno può valutare anche intuitivamente che cosa
significherebbe un sistema televisivo con sei - sette
protagonisti liberi da filiazioni politiche certificate. È vero
che in prospettiva la legge Gasparri modifica le modalità di
nomina, prevedendo che il presidente sia indicato dall'
azionista pubblico, il ministro dell'Economia, con la ratifica
267
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
della Commissione parlamentare di vigilanza con la
maggioranza «di garanzia» dei due terzi (salvo nuovi
interventi riduttivi già profilatisi nell' iter parlamentare). Ed
è vero che il futuro può essere segnato da un sistema
dell'informazione in cui satellitare, digitale, procedure web,
sistema generale delle telecomunicazioni modificheranno le
condizioni di mercato attuali, rendendo forse obsolete le
considerazioni sul mercato imperfetto della televisione
generalista. Eppure, se si accetta la nozione che il
pluralismo costituisce una questione di principio, conviene
prenderla alla lettera: e cominciare, per l'appunto, dal
principio.
268
Appendice
La società del cinquanta per cento
Contenuto nel numero 5, (settembre-ottobre) 2008,
pp 801-808
La politica possiede ragioni che non possono essere nascoste
o mascherate a lungo, a dispetto delle dichiarazioni
fuorvianti dei protagonisti. Nei primi mesi dopo
l'insediamento, con alle spalle la vittoria a valanga nelle
elezioni del 13 -14 aprile 2008, il governo presieduto da
Silvio Berlusconi e sostenuto dall'ampia maggioranza
composta dai parlamentari del Popolo della libertà ha
cercato di diffondere l'idea che la sua azione andava
considerata di matrice interclassista; e talvolta alcuni
esponenti del governo e della maggioranza, specialmente
coloro che hanno una radice nell' antica area culturale del
Psi, esponevano volentieri l'enunciato, senza celare l'intento
di una certa provocazione, secondo cui la politica del Pdl si
configurerebbe come una politica «di sinistra», capace di
surrogare, se non addirittura di sostituire, le manchevolezze
progettuali e propositive dell' opposizione.
Non è necessario sottolineare più di tanto la strumentalità
partigiana di enunciati come questi. Invece è indubitabile
che la primissima parte della legislatura è stata interpretata
da Berlusconi e dai suoi collaboratori più stretti come una
sfida durissima al Partito democratico e a tutte le
opposizioni residue. Per prenderne nota, è sufficiente
riandare ad alcune dichiarazioni con cui il ministro
dell'Economia, Giulio Tremanti, ha accompagnato la
presentazione della manovra finanziaria: «L'Italia possiede
un punto di forza: la stabilità politica; che resterà per cinque,
269
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
dieci, forse quindici anni». Questa considerazione nasce
senza alcun dubbio da una valutazione adeguata del voto
politico dell'aprile scorso, dei suoi dati numerici e della sua
distribuzione geografica; più sottilmente, e in modo più
interessante in una prospettiva programmatica, proviene da
un'interpretazione strettamente «sociale» del risultato delle
urne, vale a dire da un rigoroso riscontro della constituency
effettuale e potenziale del Popolo della libertà. .
La scommessa di un'Italia spaccata
Il primo a lanciare l'allarme, nel senso di un allarme politico
chiaro e netto, era stato Massimo D'Alema. Nelle condizioni
attuali, aveva detto, il Pd rischia di divenire una «minoranza
strutturale» all'interno del sistema italiano. Si può
certamente valutare con freddezza un richiamo di questo
tipo, attribuendolo alle intenzioni più varie: ai disegni
personali del leader ex comunista, alla sua convinzione che
esistano altre strade oltre a quelle disegnate da Walter
Veltroni, oppure anche a quel suo realismo che talvolta
rasenta la ferocia intellettuale. Eppure è difficile sottrarsi al
riconoscimento che almeno su un punto D'Alema ha
ragione: per la prima volta si assiste in Italia al profilarsi di
una specie di politica fortemente discontinua con il passato e
con la tradizione: con un programma che ha messo al centro
della sua iniziativa qualcosa che assomiglia a una nuova
guerra di classe, e che può aggregare un fronte politico ed
elettorale tale da costituire una sorta di «maggioranza
permanente». Qualcosa di simile a un bipartitismo ancora
più imperfetto di quello descritto a metà degli anni Sessanta
270
Appendice
da Giorgio Galli, in cui la maggioranza permanente e la
minoranza strutturale disegnano un sistema perennemente
bloccato da uno squilibrio troppo forte fra destra e sinistra.
Si conviene di solito che di fronte alla politica italiana non è
opportuno usare parole troppo impegnative. Tuttavia la
novità è nel suo genere straordinaria proprio perché non
sono esistiti storicamente in Italia partiti di chiaro stampo
neoconservatore, determinati a soddisfare il proprio
elettorato e a giocare le proprie chance politiche puntando
su provvedimenti sostanzialmente punitivi per l'elettorato
degli avversari. Infatti la Democrazia cristiana, vale a dire il
pilastro centrale di mezzo secolo di equilibri politici, era un
partito di mediazione, articolato in varie correnti distribuite
su un' ampia gamma di riferimenti politici, «poliarchico»
nella sua struttura interna e territoriale, a cui non si può
negare a posteriori una riconoscibile sfumatura pro labour, e
che rivendicava comunque una programmatica vocazione
interclassista.
Invece, il governo di Berlusconi e Tremanti sembra ispirato
da un progetto molto diverso, al cui termine si intravede la
volontà di trasformarsi in un basamento politico su cui
fondare
una maggioranza elettorale permanente, selezionando senza
inibizioni gli interessi da rappresentare e i ceti da
privilegiare.
Proprio perché l'iniziativa politica è assai spregiudicata e
innovativa, per capire le linee di fondo di questo programma
è necessario fuoriuscire dal coacervo dei singoli
provvedimenti, soprattutto quelli di tipo elettoralistico. Ad
271
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
esempio, per quanto sia apparsa a molti irrazionale anche in
vista di un obiettivo «federale», l'abrogazione dell'Ici
costituiva un atto dovuto perché era stata promessa durante
la campagna elettorale come un evento rivoluzionario dal
punto di vista fiscale; a sua volta, la detassazione
(parzialissima fin quasi all'irrilevanza) degli straordinari è
una misura insignificante nella quantità e riveste un
contenuto più che altro indiziario, alla stregua di un segnale,
un messaggio in codice alle imprese che per il futuro
aspettano maggiore discrezionalità nel rapporto con la forza
lavoro e vincoli operativi meno stretti.
Su un altro piano, distinto dall'economia, la campagna su
immigrazione e sicurezza (anzi, sul cortocircuito
volutamente innescato, con unforcing mediatico, fra
immigrazione e sicurezza) ha avuto durante la campagna
elettorale e detiene tuttora un valore simbolico fortissimo:
basta osservare i telegiornali che mostrano l'esercito in
strada e le vecchiette che dicono «vi vogliamo bene» ai
soldati. Ma i suoi contenuti, chiarissimi nel tentativo di
guadagnare il consenso dell'Italia più anziana e spaventata,
saranno da valutare più avanti, fuori dai rumori della
cronaca (e dagli incidenti di percorso come i turisti olandesi
massacrati nella periferia romana in un casale abbandonato):
quando sarà possibile cioè verificare se la politica della
destra, dopo avere sollevato allarme sociale, sarà stata in
grado di se darlo con le sue misure di contrasto alla
criminalità e all'illegalità urbana; oppure se queste stesse
misure, dimostratesi poco inefficaci, non avranno elevato la
percezione di insicurezza da parte dei cittadini, innescando
il classico circolo perverso dei provvedimenti «esemplari»
272
Appendice
che contribuiscono a creare, o a rafforzare, ciò che
intendevano esorcizzare. Il modello delle gride manzoniane
infatti è sempre dietro la porta di casa, con l'infinita serie di
complicazioni che esso comporta.
Ma è soprattutto con il lavoro condotto dal governo dietro la
prima linea, riscontrabile nell' articolazione della legge
finanziaria triennale e nelle decisioni prese nei singoli
ministeri,
che si delineano gli elementi del progetto politico e sociale
del Popolo della libertà: un lavoro che nasce da una
concezione della politica marcatamente di destra, senza
inibizioni né remore culturali.
In sintesi: il Pdl registra con chiarezza una perdita di peso
del lavoro dipendente e di tutti i ceti riconducibili nel
perimetro del reddito fisso, e quindi la possibilità di creare
un blocco sociale di maggioranza che possa confermarsi,
come ha ribadito Tremonti, «a tempo indeterminato». Si
tratta di una dinamica già in atto da tempo, che fra l'altro ha
spostato gli equilibri finanziari a favore della rendita e a
scapito del lavoro dipendente, ha esaltato le differenze di
reddito, ha ripudiato le tendenze redistributive.
Evidentemente Berlusconi e la sua maggioranza hanno
deciso consapevolmente di farsi imprenditori degli interessi
della parte di società che intendono rappresentare. Si
prospetta in questo modo un circuito politico che copre
all'incirca la metà della società, tanto da poter essere
definito come «la società del cinquanta per cento», a
differenza della «società dei due terzi» descritta a suo tempo
dal socialdemocratico tedesco Peter Glotz, che identificava
la blockierte Gesellschaft della Germania e similmente delle
273
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
società capitalistiche avanzate; e in quanto tale, dentro
rapporti di forza non scalfibili da un'opposizione indebolita
e incapace di produrre un progetto politico-culturale
alternativo, in grado di governare agevolmente contro tutti
gli altri ceti dispersi e perdenti.
Per conseguire questo obiettivo, a suo modo «storico» nel
suo malthusianesimo sociale, Berlusconi si è premunito da
ogni possibile sorpresa garantendosi l'immunità giudiziaria,
utilizzando in prima battuta la classica operazione del
provvedimento «bloccaprocessi», che è servito a introdurre
poco dopo la «mediazione» del Lodo Alfano. La tecnica è
nota: prima si minaccia l'introduzione di una sorta di arma
totale che prefigura la completa paralisi della giustizia, e
poi', con il Quirinale assediato e l'opposizione impotente, si
tratta da posizioni di forza. Per molti aspetti si è consumato
un formidabile atto di distorsione delle istituzioni. Utile
comunque, a questo punto, per passare alla fase successiva
con le retroguardie inattaccabili, ossia per provvedere al
processo di creazione di
una maggioranza politica e sociale stabile, coerente,
soprattutto non aggredibile dalle opposizioni.
Due linee di divisione
Con un esemplare ragionamento da economista, Francesco
Giavazzi sul «Corriere della Sera» del 17 agosto scorso ha
scritto che con la sua politica economica il ministro
Tremonti, che pure ha evocato spesso lo spettro della crisi
del Ventinove, «rischia di ripetere gli errori di Herbert
274
Appendice
Hoover, il presidente che, nel tentativo di raggiungere il
pareggio di bilancio nel mezzo di una recessione, creò le
premesse per la grande depressione». Tremonti, ha
argomentato Giavazzi, mantiene la pressione fiscale
invariata per il triennio di programmazione economica, «al
livello elevatissimo al quale l'aveva lasciata Prodi». Si tratta
di per sé di una variazione di linea singolare, per una
formazione politica che aveva sempre, e gloriosamente,
puntato sul «meno tasse per tutti». Tanto più, ha aggiunto
l'editorialista del «Corriere», che in questo momento «come
ha spiegato con grande chiarezza Guido Tabellini [ ... ] ciò
che servirebbe è un'energica riduzione delle tasse sul
lavoro».
Ora, sarebbe superfluo sottolineare che Giavazzi è uno dei
più stimati economisti italiani, tanto che le sue proposte di
liberalizzazione dell' economia nazionale hanno incalzato
gli ultimi governi fino a condensarsi in quella che i media
hanno definito «1'Agenda Giavazzi»; e che Guido Tabellini
figura spesso (a differenza di suoi colleghi economisti che
hanno assunto cariche di governo e che alludono qua e là
nostalgicamente ai tempi in cui venivano considerati in
corsa per le migliori attestazioni di merito nella ricerca
economica), nella rosa dei candidati al premio Nobel. E
allora, date queste semplici premesse, si può davvero
immaginare che Tremonti sia uno sprovveduto, talmente
inesperto di variabili e tendenze macroeconomiche da varare
un complesso di riduzioni di spesa che, durante una fase di
stagnazione e inflazione, avrebbe evidenti effetti «prociclici», cioè con una seria probabilità di aggravare la
recessione?
275
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
Non sembra proprio un'ipotesi plausibile. Un'interpretazione
più realistica, almeno in parte, è quella offerta
polemicamente
dall'esponente del Pd, e ministro ombra per l'Economia, Pier
Luigi Bersani: il governo sta procurandosi una provvista per
affrontare i costi inevitabili della futura struttura federalista,
che almeno in una prima fase, anziché i risparmi indotti in
avvenire dalla nuova virtuosità dei comportamenti
amministrativi sul territorio, provocherà un incremento di
apparati e quindi di spesa pubblica.
Ma per certi versi sarebbe possibile anche un'interpretazione
più forte sotto l'aspetto politico, che attiene proprio all'
«ideologia» di destra del governo presieduto dall' onorevole
Berlusconi. Sotto questo profilo, la recessione in atto, quale
che sia la sua entità, può costituire un fenomeno inquietante
sotto l'aspetto economico generale, ma entro certi limiti
potrebbe perfino risultare funzionale al disegno politico del
Pdl.
È sufficiente rinunciare alla pretesa, o all'illusione,
interclassista di governare per il benessere di tutta la
comunità nazionale. Il bene comune è una finzione.
Conviene invece dividere in due, con una linea netta, la
società: da una parte, sommariamente, il già citato reddito
fisso, ossia lavoro dipendente e pensionati; dall'altra imprese
e lavoro autonomo (professioni, commercio, artigiani ecc.).
Per queste ultime categorie sociali, né l'inflazione né la
stagnazione devono rappresentare un'inquietudine. Alle
imprese è stato subito lanciato il messaggio sulla
contrattazione da flessibilizzare, sul lavoro precario da
mantenere come risorsa di flessibilità, e perfino su aspetti
276
Appendice
tipicamente premoderni del rapporto fra imprenditori e
lavoratori come la cancellazione della legge che impediva la
pratica delle dimissioni firmate in bianco.
Alle categorie del lavoro autonomo, che Bersani da ministro
aveva tentato con qualche limitato successo di sottoporre a
un regime di concorrenza, è riservata di fatto la possibilità di
manovrare prezzi e tariffe. Non che il mercato si possa
comprimere con i calmieri; ma la scomparsa del
contenimento dell'inflazione dalle priorità vere del governo
mette allo scoperto la pesante sfasatura, per il reddito fisso e
per i contratti, fra l'inflazione programmata, del tutto
irrealistica rispetto agli andamenti reali, e l'inflazione reale.
In ogni caso è difficile non vedere che i pilastri dell' azione
del governo sono due: da un lato l'attacco a tutti gli apparati
pubblici, dall' altro il tendenziale smantellamento del
contrasto all'evasione. Il primo aspetto ha connotati
spettacolari (così come è diventata uno show quotidiano
l'azione evidentemente intimidatoria del ministro Renato
Brunetta indirizzata verso il pubblico impiego): i trenta
miliardi in tre anni di tagli alla macchina pubblica incidono
direttamente su scuola, università, sanità, sicurezza, e su
tutti gli enti locali, in maggioranza di centrosinistra, che
avranno difficoltà consistenti nell' assicurare i servizi
programmati.
L'altro aspetto, il ritiro dalla lotta all' evasione, è più
strisciante. Si compone di provvedimenti invisibili, che non
fanno titoli sui giornali, e che non accendono la fantasia dei
commentatori. Tanto per chiarire questo aspetto, si può
notare che sul «Sole-24 Ore» un osservatore competente
come Stefano Micossi ha riconosciuto al governo di avere
277
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
avviato per il Paese un percorso di «riforme strutturali,
capaci di liberarne il potenziale di crescita e modernizzarne
le istituzioni obsolete». Prima di accertare se l'osservazione
è condivisibile, converrebbe intanto capire se fra queste
riforme va compresa anche l'istituzionalizzazione politica
dell' evasione, che l'ex viceministro dell'Economia, il
detestatissimo ma efficiente Vincenzo Visco, ha riassunto in
questo modo: «Ormai si è convinti che le tasse le debbano
pagare solo i lavoratori dipendenti».
Modernità o arcaicità? Secondo Visco, per chi volesse farsi
un'idea delle misure «anti-antievasione» non c'è che
l'imbarazzo della scelta: abolizione della tracciabilità dei
compensi, indebolimento delle norme di personalizzazione
degli assegni bancari, eliminazione dell' elenco dei fornitori,
con l'aggiunta dello smantellamento dello staff ministeriale
che aveva lavorato con il governo precedente nel settore
della lotta all'evasione fiscale.
Sono tutti provvedimenti che lasciano intendere a prima
vista un chiaro via libera al sommerso. Spesso giustificati
addirittura con la spiegazione secondo cui la difficoltà
procedurale degli adempimenti è «criminogena», ossia
rischia di produrre ulteriore evasione. Siamo più o meno
nell'universo narrativo dello storico Carlo M. Cipolla,
quando raccontava che i velieri degli spagnoli trasportavano
in Europa dalle Americhe quantitativi di argento due o tre
volte superiori a quanto riportato sui documenti di bordo: al
che, stanco dell' andazzo, ma incapace di mettere sotto
controllo i profittatori, il re di Spagna abolì la bolla di
accompagnamento.
278
Appendice
Quindi, sotto la coltre fumogena di operazioni come la
«social card» e di un esproprio patrimoniale con annessa
strizzata d'occhio no global come la «Robin Tax», comincia
a delinearsi una sterzata violenta rispetto al governo
precedente. Brutale nei contenuti ma affidata alla prassi più
che alla teoria. La teoria parla con espressioni nobili di
economia sociale di mercato, richiamando Wilhelm Ropke,
gli «ordoliberali» di Friburgo e la politica economica di
Ludwig Erhard, ministro del cristiano-democratico Konrad
Adenauer (e poi cancelliere della Repubblica Federale
Tedesca); la prassi conduce a una strategia sotterranea a
favore delle categorie e delle corporazioni autonome.
Così sotterranea, questa strategia, così scarsamente
dichiarata che nell'opposizione pochi sembrano in grado di
cogliere la portata dello choc sociale che è stato innescato.
Vale a dire un trasferimento di ricchezza potenzialmente
gigantesco, mascherato dietro le filosofie di Tremanti sulla
Soziale Marktwirtschaft, sul federalismo fiscale, sulla
resistenza «di comunità» alla globalizzazione (va detto che
ormai i migliori economisti di destra citano spessissimo con
soddisfazione l'economia sociale di mercato, dopo avere
citato per decenni i testi sacri della scuola liberista di
Chicago; al massimo, quando citano in tedesco l'economia
sociale di mercato, si permettono il lusso tutto intellettuale
di sbagliare variamente la grafia).
Ci sono insomma, e sarebbe opportuno che diventassero
assai più visibili, in modo da diventare oggetto di
discussione, due linee di confronto, e potenzialmente di
scontro durissimo, dell'opposizione con la maggioranza: una
corre sul binario di questa redistribuzione regressiva,
279
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
assimilabile a una qualità intrinseca che non si sa come
definire se non come «castale». L'altra sull' operazione
«istituzionale» di tipo federalista. Se volessimo ricorrere a
un linguaggio geografico, potremmo dire che a dispetto
delle dichiarazioni sulla propria azione «di sinistra», il
governo in carica progetta di dividere in longitudine la
società italiana fra lavoro autonomo e reddito fisso, e in
latitudine le regioni fra il Centro Nord e il Sud.
È chiaro che entrambe le iniziative di fondo del governo
sono destinate a innescare tensioni fortissime nel tessuto
sociale e nazionale. Con la prima, l'attacco al lavoro
dipendente e al reddito fisso, il Pdl ha cominciato a
costruirsi il suo blocco politico e sociale, e con un approccio
paradossale ma vicino alla genialità lo fa con i soldi dell'
opposizione, cioè con i soldi degli elettori del centrosinistra.
Con la seconda, il federalismo, aprirà verosimilmente un tiro
alla fune di drammatica intensità fra Centro Nord e Sud, che
potrà essere gestito o lasciando il Mezzogiorno a estinguersi
in una penosa carenza di risorse, oppure invece aprendo i
rubinetti delle casse pubbliche, cioè a spese del bilancio
dello Stato. Nel primo caso sarebbero fortissime le spinte
verso una prospettiva che la Lega di Bossi non ha mai
abbandonato, almeno psicologicamente, ovvero la
tentazione separatista. Nel secondo caso, l'allargamento dei
cordoni della borsa, si verificherebbe un attentato materiale
alla crescita e quindi al benessere generale della collettività
italiana.
280
Appendice
Conclusioni più o meno keynesiane
A fronte di questa politica ci sono alcuni elementi da
chiarire. Va da sé che un'analisi come quella esposta nelle
pagine precedenti non dovrebbe portare la sinistra a
identificarsi semplicemente come il luogo di rappresentanza
politica del lavoro dipendente. Sarebbe un calcolo miope,
più vicino alla difesa di un'identità, per quanto ormai vaga,
che non alla creazione di una strategia politica competitiva.
Ma non è affatto miope individuare con chiarezza quali sono
le linee di contrapposizione fra destra e sinistra, a
cominciare proprio dagli interessi materiali in gioco.
E sotto questa luce sarebbe anche il caso che la comunità
intellettuale, in particolare i political economist, trovassero
sedi e ragioni per formulare un giudizio autonomo sulle
politiche in atto e sulle loro conseguenze. Di recente si è
osservata una sostanziale abdicazione, un atteggiamento che
non si sa come definire se non come una rinuncia
intellettuale, per esempio rispetto alle posizioni
«antimercatiste» espresse da Giulio Tremanti nel suo
fortunato pamphlet La paura e la speranza.
Può anche darsi che alla fine il calcolo sia miope in realtà
anche per la destra: nel senso che la possibilità di
sopravvivere, e bene, alla stagflazione può essere stata
sopravvalutata. Finora il Popolo della libertà ha avuto buon
gioco nel presentare la propria azione secondo un format
apparentemente infallibile, che prevede da una parte la
stragrande maggioranza degli italiani buoni, lavoratori,
attenti al bene comune, e dall'altra parte una esigua
minoranza di fannulloni, buoni a nulla, sabotatori.
281
Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
Lo schema è irrisorio per chiunque abbia soltanto una vaga
idea dei processi di secolarizzazione, modernizzazione,
burocratizzazione descritti da Max Weber, ma tuttavia serve
per generare consenso e ammortizzare i dissensi. Eppure
può sempre verificarsi qualche inciampo, che rende queste
narrazioni mitico-magiche inadatte a fronteggiare i problemi
reali.
Oggi si ha l'impressione che le scelte politiche della destra
recuperino il vecchio lassismo democristiano, il
clientelismo, il particolarismo, la distrazione fiscale e li
proiettino in una dimensione inedita, in cui il voto
economico di scambio e di interesse diviene un fortissimo
fattore di stress politico e di identificazione quasi-militante
per gli elettori. Ma se è vero che gli interessi hanno sconfitto
le passioni, il darwinismo sociale può contenere i germi del
proprio fallimento: ad esempio, nel momento in cui flette la
domanda aggregata, potrebbe osservare un keynesiano, cioè
in presenza di consumi gravemente cedenti, anche interi
settori del lavoro autonomo e del commercio subiscono
ripercussioni violente dalla crisi. Se si concede soltanto a
una parte della società il diritto di arricchirsi ai danni dell'
altra, i consumi crollano, l'economia si inceppa. Chissà se
questa prospettiva è chiara e presente, nella mente dei
migliori cervelli della destra, e di tutti coloro che pensano
che il reale è tutto razionale, e che questo, evidentemente, è
il migliore dei mondi possibili: a dispetto della recessione,
della stagnazione, dell'inflazione, e anche di un Paese che
non riesce più a crescere.
282
Bibliografia Edmondo Berselli
Articoli
Berselli, Edmondo; 1989a, Tre dogmi uguali e indistinti.
Autoritarismo, democrazia, partecipazione, «rivista il
Mulino», n°6
Berselli, Edmondo; 1989b, Vertone al capolinea Europa,
«rivista il Mulino», n°5
Berselli, Edmondo; 1990, L’estinzione della classe operaia,
«rivista il Mulino», n°4
Berselli, Edmondo; 1991, L’ultima recita dei partiti, «rivista
il Mulino», n°6
Berselli, Edmondo; 1992, La musica del Quartetto. Il
quadripartito al canto del cigno, «rivista il Mulino», n°3,
Berselli, Edmondo; 1994, Gruppo di famiglia in
Televisione, «rivista il Mulino», n°4
Berselli, Edmondo; 2002, Nudo come un pallone.
Telenovele e barzellette del calcio italiano, «rivista il
Mulino», n°5
Berselli, Edmondo; 2003a, La tv, la politica e l’antidoto del
maercato, «rivista il Mulino», n°2
Berselli, Edmondo; 2003b, Matteucci coscienza liberale, «la
Repubblica», 11 ottobre
Berselli, Edmondo; 2004, Radiografia del follinismo, «la
Repubblica», 17 luglio
Berselli, Edmondo; 2005, Ma a farci patire è il football, «la
Repubblica», Bologna, 05 giugno
283
Berselli, Edmondo; 2007, Addio Andreatta, padre dell'
Ulivo, «la Repubblica», 27 marzo
Berselli, Edmondo; 2008a, Addio Evangelisti, anima del
Mulino, «la Repubblica», 05 ottobre
Berselli, Edmondo; 2008b, Pedrazzi, amico di una vita, «la
Repubblica», 05 ottobre
Berselli, Edmondo; 2008c, Se il Pd cambia musica, «la
Repubblica», 25 agosto
Berselli, Edmondo; 2008d, La società del cinquanta per
cento, «rivista il Mulino», n°5
Berselli, Edmondo; 2009, La scomparsa del tuttologo
assassinato da Internet, «la Repubblica», 18 novembre
Volumi
AA.VV; 1999, La pace e la guerra: i Balcani in cerca di
futuro, Milano, Il Sole 24 ore – Con un contributo di
Berselli Edmondo
AA.VV; 2009, Falsa testimonianza e altri racconti, Faenza,
Mobydick - Con un racconto inedito di Berselli Edmondo,
introduzione di Bertoni Alberto
Berselli, Edmondo, 1995a, L’Italia che non muore,
Bologna, il Mulino
Berselli, Edmondo; 1995b, Il più mancino dei tiri, Bologna,
il Mulino
Berselli, Edmondo; 1999, Canzoni. Storie dell'Italia
leggera, Bologna, il Mulino
Berselli, Edmondo; 2003, Post-italiani. Cronache di un
paese provvisorio, Milano, Mondadori
284
Berselli, Edmondo; 2004, Quel gran pezzo dell'Emilia.
Terra di comunisti, motori, musica, bel gioco, cucina grassa
e italiani di classe, Milano, Mondadori
Berselli, Edmondo; 2006, Venerati maestri. Operetta
immorale sugli intelligenti d'Italia, Milano, Mondadori
Berselli, Edmondo; 2007a, Adulti con riserva. Com’era
allegra l’Italia prima del Sessantotto, Milano, Mondadori
Berselli, Edmondo; 2007b, Il più mancino dei tiri, Milano,
Mondadori, 2° Ed.
Berselli, Edmondo; 2007c, Storie, sogni e rock’n roll,
Bologna, Promo Music
Berselli, Edmondo; 2007d, Venti di Striscia, Milano, Electa
Mondadori
Berselli, Edmondo; 2007e, L'Italia di Cipputi, Milano,
Mondadori
Berselli, Edmondo; 2008, Sinistrati. Storia sentimentale di
una catastrofe politica, Milano, Mondadori
Berselli, Edmondo; 2009a, Liù. Biografia morale di un
cane, Milano, Mondadori
Berselli, Edmondo; 2009b, Miss Italia 1939-2009. Storia,
protagoniste, vincitrici, Milano, Electa Mondadori
Berselli, Edmondo; 2010, L'Economia Giusta, Torino,
Einaudi
Berselli, Edmondo; 2011a, L’Italia nonostante tutto,
Bologna, il Mulino
Berselli, Edmondo; 2011b, Quel gran pezzo dell’Italia,
Milano, Mondadori
Berselli, Edmondo, Paccaguidi, E.; 1999, Mille libri per il
Duemila, Milano, Il Sole 24 ore
285
Berselli, Edmondo, Shapiro, S.; 2009, Sarà una bella
società con dvd, Bologna, Promo Music
Gàbici, Franco; 2007, Una canzone al giorno: memorie
musicali dal 1955 al 1965 e dintorni, Milano, Simonelli Introduzione di Berselli Edmondo
Grasso, Aldo, Scaglioni, Massimo; 2003, Piccolo schermo
fra cultura e società: i generi, l'industria, il pubblico,
Milano, Garzanti - In appendice saggi di Berselli Edmondo,
Freccero Carlo
Guccini, Farcesco; Pattavina, Valentina a cura di; 2007,
Stagioni: tutte le canzoni, Torino, Einaudi - Con uno scritto
di Berselli Edmondo
Johansson , Ewa-Mari, Mastorillo, Massimo; 2008,
Attraverso Rovereto, Rovereto, Egon - Testo di Berselli
Edmondo
Magistà,Aurelio; 2007, Dolce vita gossip: star, amori,
mondanità e kolossal negli anni d'oro di Cinecitta, Milano,
Mondadori - Premessa di Berselli Edmondo, con un saggio
di Eva Grippa
Ortega y Gasset, Josè; 2005, La disumanizzazione dell'arte,
Roma, Sossella - Con una nota introduttiva di Berselli
Edmondo.
Serri, Andrea; 2008, Roma-Sassuolo: biglietto di sola
andata. Piccola storia dell'industria italiana delle piastrelle,
Modena, Arbe editoriale - Prefazione di Berselli Edmondo,
postfazione di Turrini Leonardo
286
Bibliografia Generale
AA.VV; 1926, La libreria del Littorio, in «Bibliografia
fascista», I, 30 novembre 1926, n. 9
AA.VV; 1932, Il Convegno degli Editori e Librai a
Firenze,26-29 Maggio 1932-X, in «Giornale della libreria»,
XLV, 4 giugno 1932, n.23, intervento di F.Ciarlantini
Abbagnano, Nicola; 1948, Verso un nuovo illuminismo:
John Dewey, «Rivista di Filosofia», n.2
Ajello, Nello; 2001, Il Mulino. Compie cinquant'anni la
rivista-laboratorio dell'Italia che cambia, «la Repubblica»,
9 Aprile
Ajello, Nello, 2004, Un italianista cresciuto nella scuola di
Longhi, «la Repubblica», 24 marzo
Anselmi, Gian Mario, Bertoni Alberto; 1989 , Letteratura
italiana: storia e geografia, III, L’età contemporanea,
diretto da Alberto Asor Rosa, Torino, Einaudi
Arton, Raymond; 1955, The Opium of the Intellectuals ,
New York, Norton
Asor Rosa, Alberto; 1982, Lo stato democratico e i partiti
politici, in Letteratura italiana, I, Il letterato e le istituzioni,
Torino, Einaudi
Asor Rosa, Alberto; 2000; Letteratura italiana del
Novecento. Bilancio di un secolo, Torino, Einaudi
Avellini, Luisa; 1997, Cultura e società in Emilia Romagna,
in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi, Emilia
Romagna, a cura di R.Finzi, Torino, Einaudi
Banfi, Antonio; 1954, I neoilluministi del «Mulino»,
«l‟Unità», 25 gennaio
287
Barbera, Piero; 1904, Editori e autori, Studi e passatempi di
un libraio, Firenze, Barbèra
Bechelloni, Barbara; 2010, Università di carta, Milano,
Franco Angeli
Berselli, Aldo, a cura; 1991, Università a Bologna tra
Ottocento e Novecento, Comune di Bologna, Istituto per la
Storia di Bologna
Berti Arnoaldi, Ugo; 1987, L’impresa dei «giovani» del
Mulino nella nuova stagione dell’Ateneo bolognese, in lo
studio e la città: Bologna 188-1988, a cura di W.Tega,
Bologna, Nuova Alfa Editrice
Berti Arnoldi, Ugo; 2010, Artigiano d’idee, «la
Repubblica», 13 Aprile
Bobbio, Norberto; 1969, Profilo ideologico del Novecento,
in Storia della letteratura italiana, IX, Il Novecento,
Milano, Garzanti
Cavazza, Fabio Luca; 1993, La riconquista dell’Italia,
Milano, Longanesi
Ceccarelli, Filippo; 2011, L'Italia vista da Berselli quello
sguardo unico tra ironia e profondità, «la Repubblica», 1
aprile
Contessi, Pier Luigi; 1986, Un critico tra poesia e politica,
Bologna, Il Mulino
Covilli, Barbara, 1998,
Tra impegno culturale e
ripensamento della politica: i giovani post-universitari
bolognesi de «il Mulino» 1951-1955, «Rassegna di storia
contemporanea», n. 1
Crosetti, Maurizio; 2002, Mercato, affari e la grande lobby
tutti i colpi dei signori dieci per cento, «la Repubblica»,
p.38
288
Damiano, Marco; 2011; Quando Berselli previde B., Roma,
«l‟Espresso»
Dursi, Massimo, 1954, Dagli scrittori del “Mulino” nasce il
neo-illuminismo, «Resto del Carlino», 11 gennaio
Forgacs, David, Lumley, Robert; 1996, Italian Cultural
Studies. An Introduction, Oxford, Oxford UP
Forgacs, David; 2000, L’industrializzazione della cultura
italiana, Bologna, il Mulino (ed. or. Manchester 1990).
Galli Della Loggia, Ernesto; 2008, Addio a Giovanni
Evangelisti, il guardiano del «Mulino», «Corriere della
sera», 05 ottobre
Galli, Carlo; 1995, I quarant’anni della casa editrice il
Mulino, «Lettera dall‟Italia», n. 37
Galli, Giorgia; 2000, Passato prossimo. Persone e incontri
1949-1999, Milano, Kaos edizioni
Gulotta Carlo, 2008, Pedrazzi e l’amico di una vita fu lui a
dirci diventiamo editori, «la Repubblica-Bologna», 5
ottobre, p.5
Ignazi, Pietro, Katz, Richard, a cura; 1996, Italian Politics.
The Year of the Tycoon, Westview Press
Iurlano, Giuliana; 1983, La cultura liberale americana in
Italia: “Il Mulino” (1951-1969), «Nuova rivista storica»,
57, n. V-VI
Jacoby, Russell, 1999, The end of Utopia. Politics and
culture in an age of apathy, Basic Books, New York,
Laurenzi, Carlo, 1954, Come i giovani «laici» giudicano
l’Italia d’oggi, «La Nuova Stampa», 12 gennaio
Lodevole, Matteo; 2003, Intervista a Giovanni Evangelisti,
la nuova cultura italiana «oltre Croce e oltre Gramsci»,
Milano, Fondazione Mondadori
289
Lodevole, Matteo; 2003, Intervista a Luigi Pedrazzi, la
nuova cultura italiana «oltre Croce e oltre Gramsci»,
Milano, Fondazione Mondadori
Lovato, Giuseppe, Traldi, Maria Elia; 2004, il Mulino
1951-2004, Bologna, il Mulino
Mancini, Federico; 1954, Relazione introduttiva, I
Convegno degli Amici e collaboratori del «Mulino»,
Bologna, il Mulino
Marozzi, Marco; 2010, Addio al genio di Edmondo che
illuminò questi portici, «la Repubblica-Bologna», 12 Aprile
Montale, Eugenio, 1954, Strani giovani occhialuti fanno
andare un «Mulino» a Bologna, «Corriere della sera» 13
Gennaio
Padoa-Schioppa, Tommaso, Graubard, Stephen R., a cura
di; 2001, Daedalus, tradotto in Italia nel volume: Il caso
italiano 2, Milano, Garzanti
Papa Aldo, 1954, I piccoli mugnai, «L‟Avvenire d‟Italia»,
14 gennaio
Pasquino, Gianfranco; 2008, Addio infaticabile e curioso
cittadino Evangelisti, «la Repubblica», 07 ottobre
Pedrazzi, Luigi; 2001, Gli inizi del Mulino 1951-1964,
Assindustria-Bologna, Bologna
Ragone, Giovanni; 1999, Un secolo di libri. Storia
dell’editoria in Italia dall’Unità al post-moderno, Torino,
Einaud
Sechi, Simone a cura di; 1995, Deconstructing Italy: Italy in
the Nineties, University of California
Sereni, Sandro; 1990, Vestivamo all’americana giocavamo
a tennis e a ping-pong, «Wimbledon», n. 5,
290
Serra, Michele; 2010, L'intellettuale ironico che raccontava
il pop, «la Repubblica», 27 Aprile
Smargiassi, Michele; 2003, Il Mulino adesso studierà le
radici del centro-destra, «la Repubblica-Bologna», 20
Febbraio
Solmi, Renato; 1952, Il Mulino, «Notiziario Einaudi», n. 3
Tranfaglia, Nicola; 1986, Stampa e sistema politico
nell’Italia Unita. La metamorfosi del quarto potere, Firenze,
Le Monnier
Tranfaglia, Nicola, Vittoria. Albertina; 2000, Storia degli
editori italiani, Bari, Editori Laterza
Turi, Gabriele; 1997, Cultura e poteri nell’Italia
repubblicana,, Firenze, Giunti
Vertone, Sandro; 1989, Penultima Europa, Bologna, Rizzoli
Vittoria, Albertina; 1991, Organizzazione e istituti della
cultura, in Storia dell’Italia repubblicana, vol. II, La
trasformazione dell’Italia: sviluppo e squilibri, Torino,
Einaudi
Sitografia
http://www.cattaneo.org - Ultima consultazione 25/11/2011.
http://www.corriere.it - Ultima consultazione 25/11/2011.
http://www.ilsole24ore.it -Ultima consultazione 25/11/2011.
http://www.lacropoli.it - Ultima consultazione 25/11/2011.
http://www.mulino.it - Ultima consultazione 25/11/2011.
http://www.rai.it - Ultima consultazione 25/11/2011.
http://www.repubblica.it - Ultima consultazione 25/11/2011.
http://www.rivistailmulino.it - Ultima consultazione
25/11/2011.
http://www.treccani.it - Ultima consultazione 25/11/2011.
291
292
Ringraziamenti
Grazie alla mia family, tutta quanta, senza la quale tutto
questo non sarebbe stato possibile: Franco, Chiara, Papio,
Gio, Didi, Giovi (tnx per la copertina!), Ada... ma non solo,
perché il vostro appoggio, quello di tutti, è stato
fondamentale... e allora grazie a Isa, Leo, Paolo, Anna,
Marco, Mari, Giacomo (speciale correttore di bozze), Lori,
Luca, Mari, Franci, Robbi, Giovi, Ivi, Anto e Ludo, Alba,
Lauretta e Cioncio, e a tutta la squadra dei cugini, quelli
che… tutti insieme facciamo paura e guai a voi se qualcosa
in futuro cambierà: Fra, Eli, Pepo, Robby, Simo, Deeh,
Pesca, Cri, Andre, Alle, Dami, Anna, Lore, Sere, Dindo e
Pietro.
Grazie a Marzia Barbieri, Bruno Simili e Ilvo Diamanti per
l‟infinita disponibilità.
Grazie alla pazientissima professoressa Foà senza di lei non
ce l‟avrei mai fatta.
Grazie alla professoressa Capelli per quello che mi ha
insegnato e perché fa venir voglia di credere che il futuro sia
migliore. Grazie, infinite, al professor Mennella che mi ha
regalato consigli anche solo con uno sguardo ogni volta che
mi incrociava per i corridoi del Palazzo.
Grazie alle amiche che negli anni si perdono per strada (che
poi perché?) e alla fine le ritrovi lì, più belle che mai,
Marika, Mila e a quelle che sempre ci sono, e sempre ci
saranno: Ele, Amne, Ale, grazie!
Grazie a Massimo e Franci, che sopportano le mie nevrosi, i
miei scazzi, le mie indecisioni, i miei schizzi, le mie
blaterate senza filtri!
293
Grazie a tutte le persone bellissime che Roma mi ha
regalato: Simo, Giò, Giulietta, in primis e poi tutti i
montemurresi, gli amici dell‟università, Lauretta, Luca, le
risate in aula, i caffè.
Grazie a Leana. Perché ci crede. Grazie a tutto l‟ufficio
stampa PD del Senato che mi ha fatta sentire a mio agio fin
dal primo istante in cui ho usurpato la prima scrivania.
Grazie ai lassociati per questi mesi spensierati.
Grazie a tutti quelli che ho dimenticato, ma che sanno di
essere stati fondamentali per me in questi due anni.
Grazie a Edmondo, per avermi fatto capire un po‟ di più
questa Italia, per avermi spinta a guardare al di là delle
apparenze, per avermi regalato migliaia di sorrisi, perché
ogni volta che ti leggo imparo qualcosa in più.
294