Videogioco e identità - Je-LKS
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Videogioco e identità - Je-LKS
Communications Videogioco e identità Filippo Bruni*, Italo Tanoni** *Università del Molise; **Università di Urbino [email protected], [email protected] Lunedi 27 maggio 2008 è stata tenuta una audio conferenza per i soci Sie-L sul tema Videogioco e identità. Sono intervenuti Filippo Bruni, ricercatore Università del Molise, autore del saggio F. Bruni, Identità in gioco, in «Journal of e-Learning and Knowledge Society», 2007, vol. 3, n. 3, pp. 29-37 e Italo Tanoni, Dirigente tecnico ispettivo MIUR, Docente di Tecnologie dell’istruzione presso l’Università di Urbino e autore del libro “Videogiocando s’impara”, Erickson, Trento, 2003. Riportiamo la sintesi dei loro interventi Sei domande sui videogiochi Filippo Bruni Fornire una visione complessiva in relazione al tema dei videogiochi è un compito arduo: tanto la produzione di videogiochi e di mondi virtuali multiutente, quanto gli studi sul tema stanno crescendo in modo decisamente elevato. Una buona strategia può quindi consistere nel provare ad individuare una serie di domande: porre questioni, più che offrire sintesi, può essere di maggiore aiuto nel cogliere alcune possibili linee di ricerca. La prima domanda - perché il videogioco affascina? – è in qualche modo introduttiva: non si tratta di prendere semplicemente atto di un dato, ma di individuare le motivazioni di una così alta attenzione nei confronti del videogioco da parte di una molteplicità di soggetti. E’ tutto riconducibile ad un successo di mercato o sono implicati scenari culturali di più ampia portata? Non solo: che rapporto si viene ad instaurare tra il gioco, fenomeno già di per sé complesso da definire, ed il videogioco? Si può ragionare in termini di discontinuità, come alcuni game designer sostengono, o, come Je-LKS Journal of e-Learning and Knowledge Society — Vol. 4, n. 2, giugno 2008 (pp.127 - 131) Je-LKS — Communications - Vol. 4, n. 2, giugno 2008 più probabile, prevale una linea di continuità in cui alcuni elementi del gioco vengono valorizzati dalla dimensione digitale? La seconda domanda - chi studia i videogiochi e con che metodo? – rinvia alla contesa tra chi ritiene centrale la categoria della narrazione per interpretare il videogioco e chi fa prevalere come fondamentale una capacità configurativa intesa come manipolazione degli elementi del gioco. Nella contesa tra i narratologi, legati ad un approccio semiotico, e i ludologi, che vedono il videogioco come specifico oggetto di studio, che spazi rimangono aperti per ulteriori approcci? La terza domanda – fino a che punto sono condivisibili le tesi di Mark Prensky? – prende le mosse dalle osservazioni dell’ormai noto studioso che sostiene una delle più argomentate teorie a livello internazionale sulla positività del videogioco e della sua centralità nei processi di formazione. Per ricostruire la sua posizione è sufficiente accennare al fatto che la conosciuta distinzione che propone tra digital natives e digital immigrants, utilizzata per indicare lo scarto generazionale legato all’uso delle nuove tecnologie, si basa in gran parte su elementi legati al gioco e al videogioco: il primo elemento che Prensky indica per differenziare i due gruppi è dato proprio dalla contrapposizione tra twitch speed e conventional speed, cioè tra la velocità accelerata propria dei videogiochi e quella convenzionale. Se la proposta di Prensky è per molti aspetti convincente, può essere accettata fino in fondo? Il videogioco è così pervasivo? Le potenzialità formative del videogioco, certamente elevate, sono da recepire senza eccezioni e cautele? E’ possibile individuare una linea evolutiva tra ciò che viene considerato edutainment (che spesso è consistito nel dare una patina di ludicità ad un normale software) e lo stealth learning attribuito ai videogiochi che ci permetterebbero di apprendere in modo non intenzionale, passando magari attraverso i serious games, giochi con una esplicita dimensione educativa? La quarta e quinta domanda – che relazione c’è tra e-learning 2.0 ed identità? che rapporto sussiste tra gioco di ruolo ed e-learning? – ruotano intorno al tema dell’identità e del videogioco. Da un lato il tema dell’identità sta acquisendo un posto centrale nei processi di formazione: se, come da molti sottolineato, l’identità va intesa in termini di molteplicità e dinamicità, si tratta di capire come e quanto i processi di apprendimento formali, non formali ed informali contribuiscano a formare e modificare l’identità. Dall’altro una specifica tipologia di gioco tradizionale, quello di ruolo, si presenta con specifiche potenzialità in relazione alla costruzione/sperimentazione dell’identità. I giochi di ruolo on line riprendono sicuramente tali potenzialità, ma la loro dimensione digitale che valore aggiunto apporta? Che rapporto con le tipologie di gioco di ruolo tradizionali? Quali ulteriori considerazioni possono essere formulate rispetto a quanto già detto, ad esempio, dalla Turkle? Quali le implicazioni identitarie della creazione di avatar? Gli ambienti virtuali multiutente fino a che punto sono un gioco e che sperimentazioni identitarie permettono? Che apprendimento promuvono e realizzano? Quale eventuale rapporto viene ad instaurarsi con la progettazione di percorsi di formazione? La sesta domanda – è possibile intendere il videogioco come una macchina ontologica? – prende spunto da una considerazione di de Mul che ritiene che il videogioco 128 Filippo Bruni et al - Videogioco e identità permetta di strutturare sia il proprio concetto di mondo sia il proprio sé. Tra reale e virtuale in tal senso più che un netto confine, si colloca, per utilizzare la metafora di Castronova, una membrana che rende tale rapporto dominato da processi di osmosi. Ma il videogioco, sia pure in alcune sue specifiche tipologie, ha sempre e comunque potenzialità così elevate? Quali possono essere i percorsi di sperimentazione che possono farci uscire da forme non feconde di contrapposizione tra apologeti e detrattori del videogioco? Italo Tanoni Ho trattato del rapporto tra Videogiochi e identità nel volume Videogiocando s’impara (Erickson, 2003) evidenziando innanzitutto alcuni elementi interattivi come l’effetto morphing che consiste nel «trasformare forme e dimensioni di qualsiasi persona o oggetto fisico, sia fisso che in moto, riprogrammandone lo spazio virtuale e il contenuto» (p.31). Assieme a questo aspetto che potremmo definire “manipolativo”, nel mio lavoro ho cercato di mettere in evidenza come il clima coinvolgente di continua azione e competizione messo in moto dal videogioco, rappresenti un pretesto per misurarci con noi stessi dando prova della nostra abilità nello sconfiggere l’avversario. Infine ho ripreso una riflessione di Wallace che ritengo sia alquanto illuminante per spiegare il rapporto tra videogame e identità: tema centrale trattato nell’articolo di Filippo Bruni (Je-LKS, 3, 2007, 30-37). L’autore de La Psicologia di Internet (Wallace, 1999), sostanzialmente afferma che l’origine del rapporto tra videogame e ricerca di identità vada individuata nella crisi di anomia della società industriale avanzata che porta il soggetto a vivere una situazione di continua moratoria caratterizzata da dubbio e confusione circa la propria identità. Questo vissuto critico e ambiguo, attraverso il ricorso ai game online – secondo Wallace - ci porta «ogni notte a rientrare nello stato di moratoria “sperimentando” alcune identità che ci eravamo lasciati alle spalle ai tempi dell’adolescenza e che ci erano state precluse per ragioni logistiche» (p.66-67). In definitiva condivido ma senza troppo entusiasmo la correlazione tra videogame e identità che mette in risalto Filippo Bruni nel suo articolo. La simulazione, i giochi di ruolo e gli avatar rappresentano un sicuro volano per mettere in moto certi processi identificativi. Rimarrei però sul piano della “sperimentazione”, nel senso che il videogioco è un banco di prova, non uno strumento per la costruzione del sé identitario che avviene attraverso processi in cui entrano in gioco una molteplicità di altre variabili (figure parentali, rapporti sociali con i coetanei, auto percezione di sé et al). Se affermassimo la stretta correlazione tra videogioco e costruzione dell’identità, daremmo ragione a tutti coloro (gli apocalittici) che affermano che i videogame violenti producono personalità violente. Mi sembra che questo sia un problema ormai superato anche dai più strenui detrattori dei videogiochi. Fatta questa premessa, ritengo che debba essere operata una netta distinzione tra identità e identificazione o immedesimazione in un altro soggetto anche se quest’ul- 129 Je-LKS — Communications - Vol. 4, n. 2, giugno 2008 timo viene rappresentato in modo simulato. L’identità è un processo più complesso rispetto all’identificazione che al contrario avviene in modo più epidermico e meno coinvolgente la personalità. Un conto è l’identificazione nel personaggio di Superman che scatta nel vedere un film o partecipando alle adventures di un videogame, diverso è affermare che attraverso questo processo costruisco dei frames per la mia identità: un percorso complesso in cui entrano in gioco una pluralità di variabili di carattere sociale e culturale. Sempre mantenendoci su questa lunghezza d’onda, una seconda considerazione andrebbe fatta tra identificazione o immedesimazione e livello di età del fruitore perché l’impatto del fenomeno identificativo è differente tra un bambino, un giovane e un adulto. Se un bimbo o un ragazzo hanno bisogno di sperimentare attraverso il videogioco la “moratoria” nella costruzione dell’identità (alter ego antropomorfizzato), nell’adulto l’assunzione di un diverso ruolo nel mondo virtuale e simulato rispetto a quello che esercita nella realtà, assume un significato differente: di fuga, di trasgressione fino alla più vieta perversione della pedofilia, di cui è piena la cronaca nera. In definitiva, ritengo che l’articolo di Bruni che lui stesso ha così brillantemente chiosato in questa multi conferenza su Skype, abbia eccessivamente sovraesposto il rapporto tra identità e videogame, in particolare quando i giochi di ruolo in ambienti virtuali multiutente, vengono definiti “macchina ontologica di particolare efficacia” per la costruzione dell’identità. BIBLIOGRAFIA Bonaiuti G. (a cura di) (2006), E-learning 2.0. Il futuro dell’apprendimento in rete, tra formale e informale, Trento, Erickson. Bruni F. (2007), Identità in gioco, in «Journal of e-Learning and Knowledge Society», 3 (3), 29-37. Castronova E. (2007), Universi sintetici. Come le comunità online stanno cambiando la società e l’economia, Milano, Mondadori. de Mul J. (2007), The game of life: narrative and ludic identity formation in computer game, in: J. Raessens, J. Goldstein (a cura di), Handbook of Computer Games Studies, Cambridge, MIT, 251-266. Paciaroni M. (2008), Gioco, virtualità, simulazione. Nuove prospettive tra cultura videoludica e apprendimento, Macerata, Eum. Prensky M. (2008), Digital game-based learning, New York, McGraw-Hill. Prensky M. (2006), “Don’t bother me Mom, I’m learning!” : how computer and video games are preparing your kids for twenty-first century success and how you can help!, St. Paul, Paragon House. Raessens J., Goldstein J. (a cura di) (2007), Handbook of Computer Games Studies, Cambridge, MIT. Tanoni I. 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