Teorie di gauge di Chern-Simons e stringhe topologiche
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Teorie di gauge di Chern-Simons e stringhe topologiche
Università degli studi di Genova Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali Tesi di Laurea Specialistica in Fisica Teorie di gauge di Chern-Simons e stringhe topologiche Relatore: Prof. Camillo Imbimbo Candidato: Dario Rosa Correlatore: Prof. Nicola Maggiore Anno Accademico 2010/2011 Ringraziamenti Si ringraziano tutti coloro che hanno contribuito attivamente alla stesura di questo lavoro di tesi. Un ringraziamento particolare và al mio Relatore, il Prof.Camillo Imbimbo, per tutto il bagaglio di insegnamenti che mi ha fornito durante il lavoro e per la costante presenza e disponibilità. iii Indice Ringraziamenti iii Introduzione e conclusioni vii 1 Le teorie topologiche: proprietà di simmetria 1.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2 La simmetria di BRST . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3 Le teorie topologiche: introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3.1 La teoria di Chern-Simons: aspetti classici . . . . . . . . . . . . . . 1.3.2 L’estensione delle simmetrie e teorie topologiche . . . . . . . . . . 1.4 Le teorie di gravità topologica: simmetrie e campi . . . . . . . . . . . . . 1.4.1 Campi e simmetrie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.4.2 Interpretazione geometrica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.5 I modelli sigma topologici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.5.1 Le teorie supersimmetriche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.5.2 I modelli sigma supersimmetrici con una carica di supersimmetria 1.5.3 Interludio matematico: introduzione alle varietà di Kahler . . . . . 1.5.4 I modelli sigma supersimmetrici con due cariche e twist topologico 1.5.5 Il modello A . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.5.6 Il modello B . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 Le teorie di stringa: teoria bosonica e topologica 2.1 La stringa bosonica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.1.1 L’azione per la stringa bosonica e simmetrie . . . . . . . . . . 2.1.2 L’integrale di cammino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.1.3 Lo spazio degli stati di stringa chiusa e carica di BRST . . . 2.1.4 Lo spazio degli stati di stringa aperta e carica di BRST . . . 2.1.5 Le osservabili di stringa bosonica . . . . . . . . . . . . . . . . 2.1.6 Dagli stati fisici alle osservabili . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.1.7 Le ampiezze di scattering . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.1.8 Calcolo di correlatori, fisica del target-space di bassa energia 2.2 La stringa topologica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2.1 I modelli sigma topologici: richiami e ampliamenti . . . . . . 2.2.2 La gravità topologica bidimensionale . . . . . . . . . . . . . . 2.2.3 Le teorie di stringa topologica . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2.4 Fisica di target-space per i modelli di stringa topologica . . . v . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 1 2 6 8 10 11 12 13 14 14 15 16 18 19 21 . . . . . . . . . . . . . . 25 25 26 29 33 38 39 41 44 45 50 50 55 57 60 vi 3 La teoria di Chern-Simons: aspetti quantistici e anomalie 3.1 L’azione effettiva quantistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.1.1 Le simmetrie dell’azione effettiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.1.2 Il problema delle anomalie: perdita dell’invarianza di gauge . . . . . 3.2 L’indipendenza dal gauge-fixing . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.3 L’applicazione alla teoria di Chern-Simons . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.4 Interludio: il metodo di BV . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.4.1 Algebra irriducibile che chiude off-shell . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.4.2 Chiusura on-shell . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.5 La teoria di Chern-Simons in contesto BV e sua struttura supersimmetrica 3.6 Osservabili e deformazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.7 Anomalie topologiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.8 Interpretazione dei risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 La teoria di Chern-Simons olomorfa 4.1 Parametrizzazione di Beltrami della struttura complessa . . . . . . . . . 4.2 Azione dei diffeomorfismi e simmetrie dell’equazione di Kodaira-Spencer. 4.3 Fattorizzazione olomorfa e derivazione covariante . . . . . . . . . . . . . 4.4 Teoria di HCS: simmetrie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.4.1 Introduzione degli anticampi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.5 L’operatore di discesa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.6 Anomalie gravitazionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.6.1 Introduzione al problema . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.6.2 Il modello di Bardeen-Zumino per le anomalie gravitazionali . . 4.6.3 Una variante olomorfa del modello di Bardeen-Zumino . . . . . . 4.6.4 Calcolo esplicito dei possibili cocicli di anomalia gravitazionale . . . . . . . . . . . . 63 64 65 66 68 70 72 72 74 75 77 79 82 85 . 86 . 87 . 89 . 91 . 95 . 96 . 99 . 99 . 101 . 103 . 104 A Superfici di Riemann e il teorema di Riemann-Roch A.1 Definizioni generali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . A.2 Spazio dei moduli e teorema di Riemann-Roch . . . . . . . . . . . . . . . . A.2.1 La sfera e il toro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113 113 115 116 Bibliografia 119 Introduzione e conclusioni Un problema centrale della fisica delle alte energie è la ricerca di una teoria unificatrice che consenta di incorporare al proprio interno tutte le quattro interazioni fondamentali. Dal punto di vista storico si può affermare che il primo risultato in questa direzione si ebbe con Maxwell il quale fornì l’unificazione di elettricità e magnetismo. Ulteriori sviluppi significativi giunsero negli anni quaranta, quando si comprese che la teoria quantistica dei campi (e più in particolare la teoria di gauge abeliana) forniva il contesto giusto con cui realizzare l’unificazione tra la teoria elettromagnetica e la meccanica quantistica. Sempre in questo contesto si raggiunse, negli anni ’70, l’ulteriore unificazione tra l’elettrodinamica quantistica e le interazioni nucleari (sia forti che deboli) costruendo il cosiddetto modello standard che è una teoria di gauge con gruppo di invarianza SU(3) × SU(2) × U(1) [5] [1]. Negli anni successivi il modello standard è stato sottoposto a numerose verifiche sperimentali che ne hanno confermato le predizioni almeno fino a scale di lunghezza dell’ordine dei 10−18 m. Lo stato attuale della conoscenza non si discosta significativamente da questo quadro: tre delle quattro interazioni fondamentali sono unificate attraverso il modello standard e ne rimane esclusa la gravità che classicamente è descritta dalla relatività generale. Una teoria gravitazionale quantistica non è attualmente disponibile, tutti i tentativi in questa direzione conducono infatti a teorie non rinormalizzabili e quindi mal definite nell’ultravioletto (cioè ad altissime energie) [27]. La non rinormalizzabilità di una teoria può indicare che la stessa vada considerata solo come un’approssimazione di bassa energia di una teoria corretta a tutte le scale energetiche: è il caso ad esempio della teoria di Fermi delle interazioni elettrodeboli che ad alte energie è corretta dalla teoria di Glashow, Salam e Weinberg, teoria nella quale l’interazione a quattro fermioni è mediata da bosoni di gauge vettoriali [1]. In quest’ordine di idee la non rinormalizzabilità di tutte le teorie di gravitazione fin qui formulate suggerisce che la teoria dei campi possa essere considerata come un’approssimazione di bassa energia di una teoria più fondamentale, teoria che sia ben definita a tutte le scale energetiche, che incorpori la gravità e che nel limite di bassa energia riproduca i risultati del modello standard. La proposta attualmente più promettente per unificare il modello standard e la relatività generale è costituita dalla teoria di stringa la quale, molto rozzamente, sostituisce le particelle puntiformi presenti in teoria dei campi con oggetti estesi unidimensionali (le stringhe) in moto nello spazio-tempo. In questo contesto le particelle della teoria dei campi sono da considerarsi come particolari modi normali di vibrazione delle stringhe medesime e non più come oggetti fondamentali [27]. Naturalmente, affinchè una teoria siffatta possa riprodurre il modello standard a basse energie (o equivalentemente a grandi lunghezze d’onda), è necessario che la lunghezza delle stringhe stesse sia molto piccola se comparata con le distanze sondabili sperimentalmente. In che modo una teoria di oggetti unidimensionali consente di superare il problema delle divergenze? Intuitivamente questo fatto può essere compreso considerando che le vii viii divergenze compaiono come effetti di alta energia o di piccola distanza. Una teoria di oggetti unidimensionali consente quindi di introdurre una scala minima di distanza — ovvero la lunghezza della stringa — e quindi un cut-off naturale che risolva il problema delle divergenze ad alte energie [27]. La rimozione delle divergenze ultraviolette e la presenza del gravitone sono due proprietà generali della teoria delle stringhe che incoraggiano l’ipotesi che questa teoria fornisca una formulazione quantistica consistente della gravità: non è tuttavia ancora chiaro se l’unificazione della gravità con le altre interazioni fondamentali che emerge nella teoria delle stringhe porti ad un concreto modello teorico consistente con le osservazioni sperimentali. Una caratteristica peculiare delle teorie di stringa è il porre condizioni sulle caratteristiche dello spazio-tempo in cui sono definite: in particolare, affinché queste teorie siano definibili a livello quantistico e non sorgano anomalie, è necessario che lo spazio-tempo abbia un numero fissato di dimensioni (nello specifico 26 per la teoria di stringa bosonica e 10 per le teorie di superstringa). Sorge pertanto il problema di caratterizzare queste dimensioni extra e di spiegare perché, nell’esperienza ordinaria, lo spazio-tempo appaia quadri-dimensionale. Per conciliare le previsioni teoriche e l’esperienza si invoca un fenomeno detto di compattificazione: delle dieci dimensioni che compongono lo spazio-tempo si ritiene che 6 siano compattificate su scale di lunghezza estremamente piccole e che risultino pertanto insondabili direttamente con gli strumenti sperimentali attuali. Un altro aspetto per molti versi insoddisfacente della comprensione attuale della teoria delle stringhe è lo stato molto incompleto di sviluppo della formulazione di seconda quantizzazione della teoria. Le teorie dei campi ordinarie sono normalmente sviluppate in un formalismo di seconda quantizzazione [5]: per ogni particella viene introdotto un corrispondente operatore di campo quantistico, la teoria è poi formulata in termini di un integrale di cammino sui campi. Fissato un background classico della teoria di campo, è possibile comunque calcolare le ampiezze di scattering tra particelle — perturbativamente — in un formalismo di prima quantizzazione. Questa formulazione delle ampiezze di scattering è però intrinsicamente perturbativa: una formulazione di seconda quantizzazione della teoria è essenziale per investigare aspetti non perturbativi della dinamica. Per esempio questioni cruciali del modello standard come il meccanismo di Higgs e la rottura spontanea della simmetria [1] sono investigabili solo con metodi non perturbativi che richiedono una formulazione di seconda quantizzazione della teoria. Per ottenere una formulazione di seconda quantizzazione in teoria di stringa occorrerebbe introdurre un operatore di campo per tutte le particelle che compongono lo spettro fisico e dedurre l’azione corrispondente. Poiché lo spettro delle teorie di stringa è costituito da un’infinità di particelle di massa via via crescente la sua formulazione di seconda quantizzazione deve necessariamente includere un numero infinito di campi locali [28], [29]. Benché delle proposte teoriche in questo senso siano state formulate e studiate, la teoria di campo risultante appare estremamente complessa e, per questa ragione, la sua analisi si è finora limitata ad alcuni aspetti classici. Questo quadro di difficoltà di tipo tecnico è una (ma non l’unica) delle motivazioni che ha portato all’introduzione ed allo studio cosiddette teorie topologiche di campo e di stringa [2], [13]. Una teoria di campo è detta topologica se risulta indipendente dalla metrica della varietà nella quale è definita. In conseguenza di questa indipendenza dalla metrica la teoria non possiede osservabili locali, ossia non possiede osservabili che siano interpretabili come particelle in propagazione nella varietà. In una teoria topologica le sole osservabili sono “globali”, cioè associate alle proprietà di lunga distanza, globali appunto, dello spazio tempo. Di conseguenza lo spettro fisico delle teorie di campo e di stringa topologiche è assai ridotto rispetto alle usuali teorie fisiche. Questo porta ad una drastica semplificazione dello studio ix della loro dinamica. Chiaramente una teoria topologica, non descrivendo particelle propagantisi, non è direttamente rilevante come teoria delle interazioni fondamentali; tuttavia, in virtù dell’estrema semplicità della stessa rispetto alle usuali teorie fisiche, alcune teorie topologiche possono almeno rappresentare utili “toy models” per studiare in maniera esatta aspetti che nelle teorie fisiche ordinarie sono studiabili solo perturbativamente. Contestualizzando il discorso alle teorie di stringa è comprensibile che nelle teorie di stringa topologica, in virtù del ridotto numero di osservabili che contengono, è più semplice ottenere una formulazione di seconda quantizzazione. In particolare mostreremo che per due modelli di stringa topologica, detti modello A e modello B, è possibile ottenere una descrizione di seconda quantizzazione completa ed esatta [28]; più nello specifico mostreremo che la descrizione di seconda quantizzazione del modello A aperto è costituita dala teoria di gauge di Chern-Simons in 3 dimensioni, mentre la descrizione del modello B aperto è costituita da una variante olomorfa della teoria di Chern-Simons, variante che prende il nome di Holomorphic Chern-Simons (HCS). La HCS che è molto meno studiata della teoria di Chern-Simons tridimensionale e lo studio di alcune sue proprietà costituirà la parte originale di questo lavoro di tesi. Notiamo a questo riguardo che questa corrispondenza tra modelli di stringa topologica aperta e teorie di gauge costituisce un esempio esplicito e calcolabile della congettura di ’t Hooft, secondo la quale gli sviluppi N1 delle teorie di gauge (con gruppo di gauge SU(N )) nel limite di accoppiamento forte sono descrivibili attraverso modelli di stringa chiusa debolmente interagenti. Sommario Questa tesi si propone di descrivere alcuni risultati originali concernenti la teoria di HCS, teoria introdotta da Witten a metà degli anni ’90[28]. Molte proprietà di questa teoria di campo non sono ancora studiate. In particolare non è chiara la questione della sua rinormalizzabilità: la HCS infatti è una teoria di gauge definita in uno spazio tridimensionale complesso (e quindi sei-dimensionale reale) e, pertanto, superficialmente non rinormalizzabile per conteggio di potenze. Tuttavia, come mostrato da Witten, la HCS è interpretabile come la formulazione di seconda quantizzazione della teoria di stringa topologica di tipo B aperto, le cui ampiezze sono perfettamente definite nell’ultravioletto ad ogni ordine in teoria delle perturbazioni. Questa corrispondenza spinge ad ipotizzare che la teoria di HCS ammetta un completamento univoco nell’ultravioletto. Preliminarmente allo studio della HCS la tesi intende fornire un’introduzione all’argomento delle teorie topologiche di campo e delle teorie di stringa (sia bosoniche che topologiche). Il capitolo 1 è un’introduzione generale alle teorie di campo topologiche. Come argomento preliminare discuteremo la simmetria di BRST [12], simmetria che costituisce un’estensione dell’ordinaria simmetria di gauge e che è preservata della procedura di gauge-fixing necessaria per definire l’integrale funzionale quantistico. Le osservabili fisiche di una teoria di campo sono identificabili con le classi di comologia dell’operatore s di BRST. La simmetria di BRST è alla base dell’idea di teoria topologica: una teoria topologica è una teoria nella quale la simmetria di BRST è abbastanza ampia da eliminare in maniera completa i gradi di libertà locali, ovvero quelli propagantisi. In generale la richiesta di eliminare i gradi di libertà in propagazione si traduce in un corrispondente requisito geometrico: ossia che la teoria nel suo complesso non dipenda dalla metrica della varietà su cui è definita. Questo x fatto è all’origine del nome topologico che caratterizza queste teorie di campo. In concreto discuteremo tre teorie topologiche che saranno l’oggetto di studio del seguito della tesi: la teoria di Chern-Simons, la gravità topologica e i modelli sigma topologici. In particolare sarà posta particolare enfasi sulle proprietà di simmetria e sull’interpretazione geometrica dei tre modelli. Il capitolo 2 è dedicato all’introduzione e alla definizione delle teorie di stringa. Per introdurre queste teorie ci si riferirà da principio alla teoria più semplice possibile: la teoria di stringa bosonica [27]. Nella prima sezione di natura classica saranno definite le azioni di stringa (di Nambu-Goto e di Polyakov), le simmetrie di queste e la distinzione tra stringhe aperte e stringhe chiuse. Sarà inoltre mostrato che le teorie di stringa vanno in ultima analisi interpretate come modelli sigma (che mappano una superficie di Riemann compatta nello spazio-tempo) accoppiati alla gravità bidimensionale. Successivamente sarà definita la misura funzionale di integrazione (ossia la funzione di partizione) per la teoria bosonica. In questa sezione la discussione si discosterà leggermente dalla trattazione usuale dei testi introduttivi all’argomento: un’ estensione dell’azione dell’operatore di BRST del modello sigma ai parametri di gauge permetterà di mostrare, in maniera semplice, che la misura funzionale di integrazione della teoria è interpretabile come una forma di grado massimo sullo spazio dei moduli delle superfici di Riemann di genere fissato dall’ordine perturbativo dato [17]. La discussione si sposterà poi allo spettro della stringa bosonica e alla definizione delle ampiezze di scattering. La trattazione mostrerà che sia la teoria chiusa sia la teoria aperta presentano un tachione (che puó essere interpretato come un’instabilità perturbativa della teoria) mentre tra gli stati di massa nulla appaiono nello spettro i gluoni delle teorie di Yang-Mills per quanto riguarda le stringhe aperte ed il gravitone per le stringhe chiuse. Lo spettro fisico contiene inoltre una torre infinita di stati massivi. In corrispondenza a ciascuno di questi esistono delle osservabili locali, cioè degli operatori invarianti di BRST, detti operatori di vertice, attraverso i quali è possibile definire le ampiezze di scattering. Per esemplificare il formalismo esposto, saranno calcolate alcune ampiezze di scattering tra tachioni e gluoni a livello ad albero: si mostrerà come le ampiezze tra gluoni coincidono, nel limite di bassa energia, con quelle che si calcolano a partire dall’usuale lagrangiana di Yang-Mills. In definitiva l’azione di Yang-Mills è nel quadro della teoria delle stringhe il termine di bassa energia di un’azione più complessa che riproduce le ampiezze di scattering delle teorie di stringa ad energie arbitrarie. Terminata la trattazione della stringa bosonica sposteremo l’attenzione alle stringhe topologiche: in particolare saranno ripresi i modelli sigma topologici introdotti nel primo capitolo discutendo in maniera completa per questi modelli le osservabili e le funzioni di correlazione [18]. Sarà poi ripresa la gravità topologica per discuterne alcune caratteristiche peculiari del caso bidimensionale: otterremo l’azione (che consiste di un puro termine di gauge-fixing) e mostreremo che le funzioni di correlazione di osservabili si limitano a fornire i valori delle osservabili calcolati nei background scelti per fissare il gauge [16]. La trattazione andrà poi a discutere l’accoppiamento dei modelli sigma topologici con la gravità topologica bidimensionale per costruire le stringhe topologiche, ottenendo una forma esplicita per l’azione accoppiata e per i correlatori di osservabili in entrambi i modelli [18]. In ultimo saranno presentati argomenti che suggeriscono che la teoria di gauge di Chern-Simons tridimensionale sia da interpretarsi come la formulazione di spazio-tempo (o di seconda quantizzazione) della stringa topologica aperta di tipo A mentre la HCS svolge lo stesso ruolo per la teoria di stringa aperta di tipo B. Il capitolo 3 è dedicato all’esposizione di alcuni sviluppi recenti della teoria di ChernSimons [21]. Scopo del capitolo sarà lo studio dell’indipendenza topologica della teoria xi a livello quantistico. A questo scopo la teoria verrà accoppiata alla gravità topologica. L’accoppiamento richiederà una generalizzazione del metodo di BRST, generalizzazione che prende il nome di metodo di Batalin-Vilkoviski (BV) e i cui rudimenti saranno esposti nel capitolo stesso. In virtù della relazione tra teoria di Chern-Simons e stringhe topologiche saranno anche prese in esame alcune generalizzazioni della teoria di Chern-Simons ottenute considerando osservabili dotate di numero di ghost non standard. In ultimo saranno discusse le possibili violazioni dell’indipendenza topologica a livello quantistico della teoria di ChernSimons e delle generalizzazioni prima introdotte, unitamente all’interpretazione di queste anomalie in termini della teoria di stringa topologica soggiacente la teoria di Chern-Simons. Il capitolo 4 contiene i risultati originali di questa tesi ed è incentrato, come preannunciato, sulla teoria di HCS. Come primo obiettivo ci proponiamo di studiare le proprietà della teoria al variare della struttura complessa posta sullo spazio di Calabi-Yau M in cui questa è definita. La ragione di questo interesse risiede nella corrispondenza tra la HCS e il modello B di stringa topologica: come spiegato nei capitolo precedenti della tesi il settore di stringa chiusa del modello B descrive le deformazioni della struttura complessa posta su M [49]; pertanto studiare le proprietà olomorfe della teoria di HCS equivale a descrivere l’accoppiamento tra il settore di stringa chiusa e il settore di stringa aperta del modello B. Nello specifico vedremo che, una volta realizzato l’accoppiamento tra l’azione di HCS e i differenziali di Beltrami, per mantenere le proprietà di simmetria per trasformazioni di gauge e per diffeomorfismi chirali1 della teoria, è necessario introdurre nell’azione ulteriori campi che svolgono il ruolo di moltiplicatori di Lagrange che implementano delle equazioni di consistenza per i background. Otterremo in questo modo un’azione classica invariante per trasformazioni di BRST, che include i termini di sorgente per i campi e per le variazioni di BRST dei campi. Questa formulazione di BRST, valida off-shell, della teoria è un risultato originale presentato in questa tesi che è preliminare allo studio della rinormalizzabilità del modello di HCS, una questione che è lasciata per studi futuri. Successivamente passeremo ad analizzare le possibili anomalie gravitazionali chirali ad un loop della teoria, ossia le possibili violazioni ad un loop della simmetria per diffeomorfismi chirali. L’analisi sarà di tipo comologico, e pertanto consentirà di classificare le possibili anomalie senza però fornire informazioni sui coefficienti di anomalia. Nello specifico il calcolo dei possibili cocicli di anomalia sarà dapprima effettuato con un metodo che generalizza un’analoga costruzione, dovuta a Bardeen e Zumino [56], per classificare le anomalie gravitazionali reali. Questo metodo, anch’esso un risultato originale della tesi, ha carattere generale ed è applicabile a teorie definite su varietà di dimensione arbitraria. Esso individua un certo insieme di cocicli dei diffemomorfismi chirali senza però permettere di stabilire se questa classe di cocicli esaurisca effettivamente la comologia di BRST rilevante. Per questo motivo nella parte finale del capitolo l’analisi sarà ristretta ed approfondita nel caso rilevante per la teoria di HCS, quello di uno spazio-tempo di dimensione complessa eguale a tre. In questo caso specifico arriveremo ad una descrizione esplicita ed esaustiva dei cocicli associati alle anomalie chirali della teoria di HCS. Nel corso dello studio dei cocicli di BRST, verrà individuato anche il cosidetto operatore di discesa per la teoria di HCS, uno strumento tecnico di carattere generale utile per la risoluzione dei problemi comologici di BRST connessi con anomalie e rinormalizzabilità. 1 La nozione di diffeomorfismo chirale sarà introdotta sempre nel capitolo 4. xii Proposte per ulteriori sviluppi La tesi può fornire diversi spunti per degli ulteriori sviluppi. Il primo e forse più immediato sviluppo risiede nel calcolo esplicito dei coefficienti di anomalia gravitazionale chirale [59], [55], [62], coefficienti che ovviamente non sono deducibili con metodi comologici. Un’altra estensione naturale dei risultati presentati in questo lavoro è la generalizzazione dello studio delle anomalie chirali ad ordini perturbativi più alti. Una questione che non è stata approfondita in questa tesi è la relazione precisa tra le anomalie dei diffeomorfismi chirali e l’anomalia olomorfa delle teoria di stringa topologica. L’esistenza di una relazione tra queste due anomalie è suggerita dai risultati validi per le teorie conformi in due dimensioni [63]. Per le teorie conformi in due dimensioni è stato infatti mostrato (da Belavin e Knizhnik) che l’anomalia per diffeomorfismi chirali è equivalente all’anomalia olomorfa. La corretta generalizzazione di questo risultato alla teoria di HCS, non è ancora compresa [59]. Sembra ragionevole pensare che i risultati presentati in questa tesi possano permettere di chiarire questa questione. Anche la connessione tra anomalia olomorfa delle stringhe topologiche chiuse [49] e quella delle stringhe topologiche aperte [65] — un tema che è stato recentemente oggetto di notevole interesse nello studio delle stringhe topologiche [64] — dovrebbe essere elucidata dalla nostra analisi. Infine, come più volte ricordato, alcuni dei risultati esposti in questa tesi sono preliminari per lo studio della rinormalizzabilità della teoria di HCS con metodi comologici: fornire una definizione ultravioletta alla teoria di HCS è un progetto ambizioso e consentirebbe di definire a livello quantistico una teoria di gauge su uno spazio-tempo sei-dimensionale. Raggiungere un tale risultato potrebbe fornire interessanti spunti per ottenere una teoria di gravitazione quadridimensionale che sia rinormalizzabile. Capitolo 1 Le teorie topologiche: proprietà di simmetria In questo capitolo si procederà all’introduzione e alla definizione di cosa sia una teoria di campo topologica; e di quali siano le caratteristiche peculiari che la caratterizzano e la rendono interessante. Terminata la prima sezione storica e di introduzione alle teorie topologiche, seguirà una sezione di introduzione alla simmetria di BRST (introduzione che seguirà da vicino la trattazione svolta in [7]) nelle teorie di gauge, simmetria che sarà utilizzata per tutto il seguito del lavoro. A seguire saranno definite le teorie topologiche, prima in modo generale per poi focalizzarsi su quattro esempi che saranno significativi per tutto il proseguio del lavoro di tesi: la teoria di Chern-Simons, i modelli sigma topologici (modello A e modello B), e la gravità topologica. In tutti questi esempi sarà posta particolare enfasi sulle proprietà di simmetria delle teorie in esame. 1.1 Introduzione Le teorie di campo topologiche furono introdotte nel 1988 da Witten [2], con l’intento di fornire un’interpretazione fisica alla teoria degli invarianti di Donaldson [3] e ad alcune questioni connesse (come la teoria di Floer [4]); per quanto inizialmente studiate per finalità attinenti alla fisica matematica esse hanno poi mostrato la loro indubbia utilità anche nella fisica teorica, e la ragione del loro successo risiede nel fatto che esse sono sufficientemente semplici da consentire lo sviluppo di calcoli espliciti (impossibili da compiere direttamente nelle teorie fisiche ordinarie), ma ancora abbastanza complesse da fornire utili indicazioni circa il comportamento delle teorie fisiche da cui discendono. Le teorie di campo tradizionali possiedono uno spazio delle configurazioni infinitodimensionale, comprendente le fluttuazioni dei campi a tutte le scale di lunghezza. I metodi perturbativi consentono di sviluppare ed analizzare la dinamica delle fluttuazioni attorno alle configurazioni classiche, e le divergenze che insorgono per effetto delle fluttuazioni ultraviolette sono controllate tramite la teoria della Rinormalizzazione [5, 6]. Ciò che tuttavia i metodi perturbativi non sono in grado di cogliere è la struttura complessiva e globale dello spazio delle configurazioni suddetto, come si può capire se si considera che i metodi perturbativi sono sviluppi validi localmente, nelle vicinanze delle soluzioni classiche. Un esempio standard di quanto appena detto si ha nelle teorie di gauge. In questo caso lo spazio delle configurazioni si divide nella somma di diversi componenti disconnesse, corrispondenti a diversi comportamenti all’infinito dei campi di gauge. All’interno di 1 2 ciascuna di queste componenti le configurazioni dei campi che minimizzano l’azione classica, gli istantoni, sono come noto quelle che danno luogo ad un tensore Fij self-duale. In generale gli istantoni sono raggruppati in famiglie identificate tramite un insieme di parametri: lo spazio dei moduli degli istantoni. Nelle teorie fisiche il calcolo delle ampiezze di correlazione comprende sia l’integrazione finito dimensionale sullo spazio dei moduli degli istantoni, sia l’integrazione su tutte le possibili fluttuazioni dei campi attorno ad una data configurazione istantonica; in questo modo il calcolo si presenta immediatamente come estremamente complicato per via della presenza di tutte le scale di lunghezza nell’integrazione; e per questo motivo risulta presto impraticabile a meno di ricorrere alla teoria delle perturbazioni. Al fine di acquisire informazioni sulla struttura globale sarebbe quindi auspicabile congelare i gradi di libertà ultravioletti corrispondenti alle fluttuazioni (ossia i gradi di libertà locali), in modo da concentrarsi sull’integrazione nello spazio dei moduli. Questo è ciò che in effetti avviene in una teoria topologica grazie alla simmetria di BRST, estensione della simmetria di gauge e sintetizzata in una descrizione operatoriale da un operatore nilpotente omonimo, che in una teoria topologica elimina completamente (e non solo parzialmente come al contrario avviene nelle teorie ordinarie) i gradi di libertà locali. Si verifica infatti che le osservabili fisiche sono costituite dalle classi di comologia dell’operatore di BRST, ossia da operatori che sono BRST-chiusi ma non BRST-esatti. La simmetria consente poi di verificare che le fluttuazioni ultraviolette sono BRST-banali e, quindi, non fisiche (l’analoga simmetria di BRST in una teoria fisica è invece meno potente, non eliminando infatti in modo completo queste fluttuazioni dallo spettro e non consentendo quindi in definitiva di concentrarsi esclusivamente sull’integrazione nello spazio dei moduli). Ciò che rimane è dunque l’integrazione sullo spazio dei moduli degli istantoni consentendo così di acquisire informazioni globali sulla teoria come auspicato. Vale la pena infine di rilevare un ultimo aspetto che giustifica l’interesse della fisica teorica verso le teorie topologiche: a dispetto della loro maggiore semplicità esse infatti consentono, in alcuni casi, di studiare in maniera esatta certi aspetti delle teorie di campo supersimmetriche con due cariche di supersimmetria; teorie dalle quali discendono grazie ad un procedimento formale detto di twist topologico [2]1 . Una teoria supersimmetrica ha,in genere, due gruppi di simmetria globali: Il gruppo di Lorentz e il gruppo degli automorfismi dell’algebra supersimmetrica, detta R-simmetria [8]. Il twist topologico consiste nel ridefinire il gruppo di Lorentz in modo tale che il nuovo gruppo di Lorentz sia costituito da una combinazione lineare del vecchio gruppo di Lorentz e della R-simmetria. Il twist ha l’effetto pratico di cambiare lo spin dei campi fermionici, rendendolo intero, in questo modo una delle cariche supersimmetriche diviene uno scalare. Dall’algebra di supersimmetria segue che tale scalare, detto Q, è nilpotente e che il tensore energia impulso della teoria è Q-banale. Ambedue questi fatti consentono da un lato di interpretare Q come un operatore di BRST; dall’altro (come sarà discusso in dettaglio più avanti) il carattere di banalità del tensore energia-impulso è sufficiente a sancire il carattere topologico della teoria twistata. 1.2 La simmetria di BRST Come noto in una teoria di campo quantistica le grandezze fisiche di interesse sono le ampiezze di scattering, le quali sono calcolate tramite la formula di riduzione LSZ, formula che permette di ottenere le ampiezze di transizione a partire dalle funzioni di correlazione di osservabili, quest’ultime vengono quindi ad essere la reale quantità di interesse da calcolare 1 Come vedremo in modo esplicito tramite i modelli sigma topologici. 3 in una teoria di campo. È altresì noto che le funzioni di correlazione sono efficacemente calcolate a partire dall’integrale di cammino di Feynman: Z[J] = Z dµ eı R d4 x φ(x) J(x) (1.2.1) dove la misura funzionale dµ è ottenuta a partire dall’azione tramite la relazione: dµ = dφ (x) eı S(φ) e J è la sorgente del campo; le ampiezze di correlazione sono poi ottenute tramite le derivate funzionali rispetto a J della (1.2.1) [5]. La quantizzazione delle teorie di gauge [9] presenta tuttavia la difficoltà che, in generale, l’integrale funzionale (1.2.1) è mal definito. Denotiamo con F0 lo spazio dei campi, ossia lo spazio delle configurazioni sul quale la teoria di gauge è costruita; l’invarianza di gauge della teoria può essere tradotta in linguaggio geometrico dicendo che F0 è fibrato dalle orbite di gauge O, che in termini più fisici sono l’insieme delle trasformazioni di gauge di una data configurazione. Limitandosi alle sole trasformazioni infinitesime quanto detto è equivalente alla presenza di un sistema di operatori differenziali {X} su F0 , tangenti in ogni punto dello spazio dei campi alla corrispondente orbita; denotando le coordinate generiche in F0 con φa gli operatori possono essere scritti nella forma: XI = PI a (φ) ∂φa (1.2.2) La forma esplicita dell’eq. (1.2.2) in una teoria di gauge non abeliana è data da: XI = ∂µ δ δAµI (x) − gfIKJ AµJ (x) δ δ AµK (x) (1.2.3) dalla quale segue la ben nota legge di trasformazione: δ Aµ = ∂µ θ − g [θ , Aµ ] (1.2.4) La richiesta di integrabilità per il sistema {X} implica: [XI , XJ ] = CIKJ (φ) XK (1.2.5) nelle situazioni più comuni l’algebra (1.2.5) è un’algebra di Lie e le funzioni di struttura sono le costanti di struttura dell’algebra medesima, tuttavia esistono casi in cui si ha la validità della (1.2.5) solo on-shell, ossia solo modulo le equazioni del moto. Nel seguito di questa sezione di introduzione alla simmetria di BRST, supporremo sempre che la condizione (1.2.5) sia verificata off-shell, l’estensione al caso in cui ciò non avvenga và sotto il nome di metodo di Batalin-Vilkoviski (BV) [10] e verrà sviluppata in seguito. La misura funzionale di integrazione è costante lungo le orbite di gauge (come conseguenza ovvia dell’invarianza della teoria), unitamente al fatto che quest’ultime sono non compatte si deduce che l’integrale funzionale risulta mal definito, tale difficoltà è superata grazie al procedimento di Faddeev-Popov [11]. Al fine di esplicare nella maniera più immediata possibile tale metodo, inizieremo col supporre, sebbene questa circostanza non si verifichi nei casi pratici quasi mai, che esista un sistema di coordinate su F0 tale da identificare una sezione globale del fibrato, ossia che esista un sistema di coordinate globali su F0 ; denoteremo quindi con {ξ} le coordinate che sono costanti lungo le orbite (e che rappresentano dunque i reali gradi di libertà fisici del sistema), e con {η} le coordinate verticali lungo le orbite 4 stesse. Per rendere l’integrale ben definito è quindi sufficiente moltiplicare la misura per una opportuna funzione deltiforme di η in modo da selezionare una sezione del fibrato F0 , una scelta spesso utilizzata è rappresentata da: δinv [η − η̄] ≡ δ[η − η̄] det XI η J (1.2.6) dove il determinante serve a rendere la funzione invariante di gauge. Il procedimento di Faddev-Popov è ottenuto con la sostituzione: dµ −→ dµ δinv [η − η̄] (1.2.7) quest’ultima può poi essere n o posta facilmente in forma locale. Introducendo due insiemi di variabili di Grassmann cI e {c̄J }2 e usando i cosiddetti moltiplicatori di Nakanishi-Lautrup {bJ } si può riprodurre il membro di destra della (1.2.6) nella forma: Z Y dbI Y dcJ Y dc̄K eı[bI (η I − η̄ I ) − c̄I cJ XJ η I ] (1.2.8) Da un punto di vista fisico l’equazione (1.2.8) può essere interpretata come un allargamento dello spazio funzionale dei campi: accanto al campo fisico di gauge sorgono ora i campi di ghost c, c̄ e b, denoteremo con FC e con dµC l’ovvia estensione dello spazio dei campi e della misura funzionale rispettivamente. È rimarchevole e degno di nota il fatto che la comprensione e l’analisi delle teorie di gauge abbia richiesto un’estensione del numero di gradi di libertà del problema e, come vedremo, l’introduzione della simmetria di BRST, piuttosto che perseguire la strada, a prima vista più scontata, di ridurre il numero di gradi di libertà essendo come visto questi in sovrannumero, perdendo però così la simmetria. Analizzando i dettagli della formula (1.2.8) osserviamo che l’operatore differenziale cI XI può essere sostituito con l’estensione nilpotente: dV = cI XI − 1 I J K c c CI J (φ) ∂cK 2 (1.2.9) infatti l’addendo aggiunto non produce effetti nella (1.2.8) in quanto l’operatore ∂cK non agisce sulle variabili η I , tuttavia estende l’azione dell’operatore (1.2.9) ai campi cK . L’operatore (1.2.9), nilpotente in virtù della (1.2.5) e della corrispondente identità di Jacobi, è detto operatore di BRST. Identificando quindi il sistema {c} con la totalità delle forme lasciate invariate dal sistema X, l’operatore dV può essere identificato con il differenziale esterno verticale; ossia con l’operazione su F0 che in ogni punto dello stesso corrisponde al differenziale esterno sull’orbita di gauge passante per il punto considerato. Tornando ora al sistema di coordinate che banalizza il fibrato, è chiaro che questo esiste globalmente solo in un numero ristretto di casi, in particolare solo quando la corrispondente fibrazione è banale3 . Comunque il procedimento può essere opportunamente localizzato notando che, al fine di costruire in maniera corretta la misura funzionale, è sufficiente poter identificare una sezione di F0 costituita da carte locali intersecanti ogni orbita in un solo punto. In pratica è sufficiente identificare un atlante in F0 , che denoteremo con {σ}, per 2 Da notare che, a differenza dei primi lavori pionieristici sul gauge-fixing [11], qui non stiamo supponendo che queste variabili siano hermitiane coniugate l’una dell’altra. 3 Da notare che la situazione è completamente diversa per i fibrati vettoriali: in questo caso infatti è possibile avere sezioni globali del fibrato anche se questo non è complessivamente banale. L’asserzione nel testo è conseguente alla presenza dell’operazione di prodotto nel gruppo che definisce la fibra standard di F0 . 5 il quale l’espressione det XI σ J non si annulla mai nei punti in cui σ = σ̄ per qualche σ̄ opportunamente selezionato. Assumendo verificata questa condizione l’azione di gauge-fixing può essere riscritta nella maniera seguente: h ı SGF = ı bI (σ I − σ̄) − c̄I dV σ I i (1.2.10) questa formula può poi essere posta in forma più sintetica introducendo un nuovo differenziale esterno s agente sull’algebra generata da b e c̄ in modo da estendere l’azione di dV alla totalità dei campi. s c̄ = b sb = 0 s A = Dc s c = c2 (1.2.11) dove si è indicata con D l’usuale derivata covariante rispetto alla connessione di gauge A. È d’uso comune associare ai campi della teoria un numero detto ghost-number, indicato con gh nella maniera seguente: gh A = 0 gh c = 1 gh c̄ = −1 gh b = 0 (1.2.12) si verifica in maniera elementare che l’operatore di BRST s aumenta di un’unità il numero di ghost per ciascun campo e pertanto si pone: gh s = 1 (1.2.13) s = dV + bI ∂c̄I (1.2.14) Riassumendo, s assume la forma: la quale consente di riscrivere la (1.2.10) nella forma: SGF = s[c̄I (σ I − σ̄ I )] ≡ s ΨGF (1.2.15) e quindi vediamo che il termine di gauge-fixing si manifesta come il risultato dell’azione di s su un funzionale dei campi di numero di ghost −1, funzionale che prende il nome di fermione di gauge. Le scelte più comunemente usate nel gauge fixing sono funzioni lineari nei campi, ossia funzioni del tipo: SGF = Z dx bI (VαI (∂) φα ξ + δ IJ ξJ ) − c̄I VαI PJα (φ) cJ 2 (1.2.16) per esempio rientrano in questa categoria le ben note scelte di gauge di Lorentz e assiale. Raggruppando i risultati l’azione gauge fissata assume la forma: S = Sinv (φ) + SGF = Sinv (φ) + sΨGF (1.2.17) si osserva in maniera elementare che la (1.2.17) è invariante di BRST, essendo s nilpotente e SGF BRST-esatto. La costruzione della misura funzionale appena approntata consente una dimostrazione semplice e diretta dell’identità di Slavnov-Taylor, che avrà diversi risvolti nelle teorie topologiche. Sia infatti Ξ un funzionale misurabile, ne consegue: Z dµC eıS s Ξ = 0 (1.2.18) 6 che si dimostra ricordando che l’azione è s-invariante. Come già preannunciato le conseguenze della (1.2.18) sono notevoli. In primo luogo tale identità dimostra che le funzioni di correlazione contenenti espressioni BRST-esatte sono nulle; congiuntamente al fatto già ricordato che s rappresenta l’estensione naturale della originaria simmetria di gauge, si deduce che le osservabili fisiche devono essere invarianti di BRST. Tirando le somme si conclude che le sole osservabili fisiche interessanti sono costituite dalle espressioni BRST-chiuse ma non BRST-esatte, in altre parole sono formate con la comologia di s. Un’altra conseguenza importante (di fatto essenziale affinchè la teoria abbia fondamento) che si può trarre dalla (1.2.18) è l’indipendenza dal gauge fixing dei correlatori di osservabili. Ricordiamo infine che la simmetria di BRST consente di provare la rinormalizzabilità della teoria di gauge e quindi l’unitarietà della matrice di scattering, tuttavia non ci addentreremo nella discussione di quest’ultimo punto malgrado la sua importanza in quanto non verrà sfruttato nel seguito del lavoro4 . 1.3 Le teorie topologiche: introduzione Vogliamo ora mettere in evidenza i punti principali della discussione fin qui svolta, in quanto l’analisi di questi condurrà in maniera naturale alla definizione di teoria topologica. Nel paragrafo precedente abbiamo visto come, la procedura di gauge-fixing in una teoria di gauge (necessaria al fine di rendere ben definito l’integrale funzionale), rompa la simmetria di gauge della teoria; tuttavia, l’introduzione dei campi dei ghost e l’estensione della simmetria di gauge alla simmetria di BRST, mostra come la teoria gauge-fissata possieda ancora una simmetria (la simmetria di BRST appunto). Simmetria sintetizzata da un operatore s di BRST, nilpotente, scalare (ossia che non porta indici vettoriali), che estende la simmetria di gauge originaria, e dotato di numero di ghost pari a 1; e che rispetto al quale l’azione gauge-fissata assume la forma (1.2.17). Infine abbiamo mostrato l’equazione (1.2.18) la quale consente di concludere che le sole osservabili fisicamente rilevanti nella teoria sono costituiti dalla comologia di s, e che i prodotti di correlazione di osservabili sostanzialmente non risentono del particolare gauge-fixing utilizzato. Vogliamo ora porre l’enfasi sul fatto che l’invarianza di BRST riduce il numero dei gradi di libertà locali della teoria (intesi come i gradi di libertà propagantisi) e, per rendere la discussione più concreta, considereremo l’esempio esplicito delle teorie di Yang-Mills abeliane quadri-dimensionali (l’elettrodinamica ad esempio) in quanto il carattere abeliano o meno della teoria non altera la discussione che faremo. Per mostrare questa proprietà ripartiamo dalle trasformazioni (1.2.11) nelle quali esplicitiamo la dipendenza delle trasformazioni dalle variabili di spazio-tempo: s c̄(x) = b(x) s b(x) = 0 s A(x) = D c(x) s c(x) = 0 (1.3.1) e scegliamo come fermione di gauge l’espressione ΨGF ≡ Z d4 x c̄ 1 η b + ∂ µ Aµ 2 in cui η è un parametro. 4 Per un riferimento in tal senso si rimanda ai lavori originali [12]. (1.3.2) 7 Esplicitando ora l’azione di s sul fermione di gauge, e integrando rispetto al campo ausiliario b, si ottiene l’equazione del moto per b: η b − ∂ µ Aµ = 0 (1.3.3) I campi della teoria possono poi essere espressi nello spazio (tridimensionale) dei momenti in modo da mettere in evidenza i gradi di libertà locali degli stessi A (x) = µ 4 Z X h f µ∗ (k)a (k)eıkx + µ (k)a† (k)e−ıkx dk λ λ λ i λ=1 c(x) = Z f c(k)eıkx + c† (k)e−ıkx dk c̄(x) = Z f c̄(k)eıkx + c̄† (k)e−ıkx dk h i h i (1.3.4) dove abbiamo indicato con i vettori di polarizzazione (a priori abbiamo quattro possibili stati di polarizzazione) del campo A, mentre gli operatori a, a† , c, c† , c̄, c̄† sono gli operatori di creazione e distruzione dei campi; inoltre non abbiamo trasformato l’antighost b in quanto per la discussione non è necessario. Indicando quindi con k µ = (ω, k) = ω(1, 0, 0, 1) il quadrimpulso, scegliamo come vettori di polarizzazione i vettori 1 µ1 = √ (1, 0, 0, 1) 2 1 µ2 = √ (1, 0, 0, −1) 2 1 µ3 = √ (0, 1, −ı, 0) 2 1 µ 4 = √ (0, 1, ı, 0) 2 (1.3.5) Sostituiamo ora le espressioni (1.3.4) nelle (1.3.1) e, utilizzando la (1.3.3) per eliminare la dipendenza da b, otteniamo le trasformazioni di BRST per gli operatori di creazione: √ s a†λ = 2ωδλ,1 c† s c† = 0 √ s c̄† = 2ωa†2 (1.3.6) le quali mostrano che gli operatori di creazione del campo A corrispondenti a polarizzazioni longitudinali (vale a dire quelle indicate con indici 1, 2) non appartengono alla comologia. Ne consegue quindi il fatto ben noto che i soli possibili gradi di polarizzazione del fotone sono gli stati di polarizzazione trasversi. Quanto appena esposto mostra, tramite un esempio, che le simmetrie locali consentono di ridurre il numero dei gradi di libertà locali del sistema quantistico in esame. In questa tesi verrà pertanto focalizzata l’attenzione su questo aspetto, e cercheremo teorie che eliminino in modo completo i gradi di libertà locali, per studiare aspetti globali della teoria in esame; il che equivale, detto in altri termini, ad escludere completamente dalla teoria le particelle propaganti. Definiremo quindi teoria topologica, una teoria nella quale i gradi di libertà locali sono completamente eliminati. L’aggettivo topologico, da un punto di vista geometrico, suggerisce comunque l’idea che la teoria sia indipendente dalla metrica della varietà M sulla quale è definita la teoria: 8 vogliamo quindi mostrare ora come, l’indipendenza dalla metrica dei prodotti di correlazione di osservabili, consenta di dedurre il carattere topologico della teoria in esame (inteso come assenza di particelle in propagazione e con solo osservabili globali) A tal fine, consideriamo un generico prodotto di correlazione di n osservabili O1 , . . . , On inserite nei punti x1 , . . . , xn hO1 . . . On i (1.3.7) l’ipotizzata indipendenza dalla metrica dei prodotti di correlazione, consente di concludere che il correlatore (1.3.7) è anche indipendente dai punti di inserzione delle osservabili; infatti un cambiamento nei punti di inserzione delle osservabili può sempre essere bilanciato mediante un opportuno cambio della metrica, cambio che non altera il valore assunto dalla (1.3.7). Quanto appena esposto permette di concludere che i gradi di libertà locali, in una teoria indipendente dalla metrica, sono completamente eliminati; infatti è sufficiente trasformare la (1.3.7) nello spazio dei momenti per accorgersi che i gradi di libertà locali non contribuiscono al valore dei correlatori e, pertanto, le sole osservabili in una teoria topologica sono globali. Riassumendo, l’analisi appena esposta consente di tradurre la richiesta fisica che i gradi di libertà propaganti siano eliminati dallo spettro, in una corrispondente richiesta geometrica: ossia che i correlatori non dipendano dalla metrica. Andiamo ora a discutere come si possa ottenere nella pratica una teoria topologica. Visto l’esempio dell’elettrodinamica prima discusso, un modo ovvio per eliminare completamente le particelle in propagazione dalla teoria, consiste nel ridurre le dimensioni dello spaziotempo in cui la teoria è definita: nello specifico notiamo che, se la teoria di gauge divenisse bidimensionale (anziché quadridimensionale come è stato supposto), i gradi di libertà locali verrebbero automaticamente rimossi dallo spettro in modo completo. In realtà è possibile trovare una teoria topologica soggetta alle trasformazioni di gauge (1.3.1) anche in dimensione 3; a patto di scegliere un’opportuna azione. La teoria risultante è la teoria di Chern-Simons, della quale ne daremo ora una descrizione classica [13], mentre la discussione quantistica costituirà uno dei capitoli centrali della tesi. 1.3.1 La teoria di Chern-Simons: aspetti classici La teoria di Chern-Simons reale può essere definita su una varietà differenziabile tridimensionale M , orientata e che sia fornita di un gruppo di lie compatto e semplice G. Indichiamo poi con E il fibrato banale costituito dal prodotto cartesiano M × G e consideriamo su di esso una connessione Aaµ , che per semplicità può essere vista come una 1-forma su M a valori in G. Su questa varietà vogliamo costruire una teoria di gauge topologica per la connessione A, le cui trasformazioni di gauge siano date dall’usuale espressione: s A = Dc s c = c2 (1.3.8) Approntate le trasformazioni di gauge è ora necessario cercare un’opportuna azione per il nostro modello (e vogliamo che l’azione abbia carattere topologico): è evidente che l’usuale lagrangiana di Yang-Mills S = Z M F ∧ ∗F (1.3.9) non presenta le caratteristiche richieste in quanto dipende espressamente dalla metrica attraverso l’operatore di dualità di Hodge, e non sarebbe quindi topologica. In tre dimensioni, 9 esiste comunque una possibilità ulteriore offerta dall’integrale della 3-forma di Chern-Simons: 2 A ∧ A ∧ A) 3 M Z k 2 = ijk Tr(Ai ∂j Ak + Ai Aj Ak ) 4π M 3 Stop k = 4π Z Tr(A ∧ dA + (1.3.10) tale azione è topologica: infatti ricordiamo che sulle forme differenziali, il differenziale di Cartan d è un operatore covariante senza la necessità di introdurre una metrica. Tale azione è anche invariante per trasformazioni di gauge infinitesime in quanto si verifica con calcolo diretto che la lagrangiana varia per una derivata totale sotto la trasformazione (1.3.8) 5 . Passiamo ora alla definizione delle osservabili della teoria, osservabili che non dovranno dipendere dalla metrica per non rompere il carattere topologico della teoria stessa: sia dunque C una curva chiusa e orientata in M ; e sia R una rappresentazione irriducibile di G. Si può dunque definire il seguente funzionale WR (C) della connessione A, calcolando l’olonomia di A attorno a C: WR (C) = TrR exp Z C Ai dxi (1.3.11) Proprietà cruciale di questa definizione è che essa mantiene il carattere topologico della teoria non richiedendo la presenza di una metrica. Apparentemente la teoria sembra contraddire quanto appena esposto, circa l’equivalenza tra la richiesta geometrica di indipendenza dalla metrica, e l’assenza di particelle in propagazione. Infatti le trasformazioni di gauge, come già visto, eliminano le due polarizzazioni longitudinali dallo spettro; mentre resterebbe presente la polarizzazione trasversa (la teoria è tridimensionale). Pertanto non sarebbero rimosse in modo completo le particelle in propagazione, e la teoria non sarebbe dunque topologica (nel senso di assenza di gradi di libertà locali). Tuttavia lo stato di polarizzazione trasverso è anch’esso eliminato dallo spettro: per accorgersene consideriamo l’equazione del moto per Ai , considerando la parte libera della lagrangiana L0 0 = δL0 = ijk ∂j Ak δAi (1.3.12) che, riscritta nello spazio dei momenti, diviene k × A(k) = 0 (1.3.13) che dunque elimina dallo spettro anche la polarizzazione trasversa, sancendo così il carattere topologico della teoria. Quanto esposto conclude la trattazione classica, per quantizzare occorre preoccuparsi di definire in maniera corretta l’integrale funzionale, formalmente dato dall’espressione Z = Z [dφ] eıStop (1.3.14) In un apposito capitolo, verrà discussa l’invarianza topologica della teoria quantistica: infatti nella procedura di quantizzazione è naturalmente necessario introdurre un termine di 5 Ricordiamo che, per trasformazioni di gauge che non siano infinitesime, la variazione della lagrangiana contiene un termine che non è una derivata totale ma tuttavia assume valori quantizzati; ne segue pertanto il vincolo che la costante di accoppiamento k sia anch’essa quantizzata in modo che la variazione totale dell’azione sia pari a multipli di 2π, rendendo invariante la funzione di partizione. 10 gauge-fixing, termine che rompe inevitabilmente il carattere topologico dell’azione (infatti dipende necessariamente dalla metrica come vedremo). Pertanto è possibile che tale dipendenza dalla metrica affligga i prodotti di correlazione; rendendo complessivamente la teoria non topologica a livello quantistico. Una teoria topologica a livello classico ma che perde il carattere topologico a livello quantistico sarà detta anomala e, più avanti, il problema delle possibili anomalie topologiche della teoria di Chern-Simons, sarà discusso sistematicamente. 1.3.2 L’estensione delle simmetrie e teorie topologiche Nell’esempio appena discusso abbiamo mostrato così che la riduzione delle dimensioni dello spazio-tempo (da quadridimensionale a tridimensionale), unitamente alla scelta di un’opportuna azione (l’azione di Chern-Simons che è manifestamente indipendente dalla metrica) consente di costruire una teoria senza gradi di libertà locali. La riduzione delle dimensioni dello spazio-tempo, non rappresenta comunque l’unica possibilità per ottenere una teoria topologica: come abbiamo visto infatti, la presenza delle simmetrie locali elimina, almeno in maniera parziale, le particelle in propagazione; pertanto è abbastanza naturale domandarsi se non sia possibile estendere opportunamente la simmetria, in modo da eliminare in maniera completa le particelle propaganti e ottenere così una teoria topologica. D’altra parte abbiamo anche mostrato che, se i correlatori della teoria risultano indipendenti dalla metrica, la teoria assume automaticamente carattere topologico. Stante quest’ultima osservazione, riprendiamo in esame l’esempio della teoria di YangMills, sostituendo la consueta lagrangiana con l’espressione: S = Z F ∧F (1.3.15) apparentemente simile alla (1.3.9), ma che tuttavia ha carattere topologico non essendo presente in questo caso l’operatore di dualità di Hodge. In effetti, essendo la (1.3.15) topologica, la teoria è ora indipendente da variazioni infinitesime arbitrarie del campo di gauge; ne consegue che il gruppo d’invarianza risulta enormemente più grande, e può essere sintetizzato dalla trasformazione di BRST: sA = ψ sψ = 0 (1.3.16) in cui ψ è un campo fermionico, detto gaugino, che tiene conto di uno shift infinitesimo e arbitrario del campo di gauge, mentre la simmetria di gauge originaria (1.3.8) è evidentemente compresa come un caso particolare della (1.3.16)6 . La teoria definita dall’azione (1.3.15) e dalle trasformazioni (1.3.16), è manifestamente una teoria topologica, che prende il nome di teoria di Yang-Mills topologico (TYM) [2, 14], e le trasformazioni (1.3.16) si configurano come trasformazioni di supersimmetria in cui però la carica supersimmetrica assume carattere scalare; tale procedura di ricavare una teoria topologica a partire da una teoria supersimmetrica prende il nome di twist topologico, e sarà analizzato nel dettaglio a proposito dei modelli sigma topologici. Riassumendo, abbiamo mostrato in questa sezione come una teoria di gauge possa essere resa topologica diminuendo le dimensioni dello spazio-tempo, oppure estendendo 6 In realtà, come verificheremo esplicitamente a proposito della gravità topologica, le trasformazioni (1.3.16) vanno modificate in modo da renderle equivarianti, concetto che sarà spiegato sempre in quella sede. 11 opportunamente le simmetrie locali. Caratteristica peculiare di entrambi gli approcci, è che la più generale azione gauge fissata compatibile con la richiesta, è del tipo S = Stop + s ΨGF (g) (1.3.17) nella quale abbiamo indicato con Stop la parte dell’azione topologica (ossia indipendente in maniera esplicita dalla metrica), viceversa il termine s ΨGF (g), in cui l’operatore s governa tutte le simmetrie della teoria, dipenderà in generale dalla metrica dello spazio-tempo tuttavia, in virtù della (1.2.18), tale dipendenza non influirà sui prodotti di correlazione. Notiamo che, il contenuto della (1.3.17) può essere tradotto nella seguente condizione sul tensore energia-impulso della teoria Tµν ≡ δgδSµν : Tµν = s Gµν (1.3.18) per un opportuno operatore Gµν , infatti la validità della (1.3.18) consente di concludere che le variazioni dell’azione per deformazioni della metrica sono s-esatte e quindi, sempre in virtù della (1.2.18), non alterano i prodotti di correlazione. Vogliamo ora rilevare un’ulteriore proprietà delle teorie topologiche, allorché l’azione consista esclusivamente del termine di gauge fixing: i prodotti di correlazione sono indipendenti dai valori delle costanti di accoppiamento [15]; pertanto le funzioni di correlazione possono essere calcolate senza errore sia nel limite di accoppiamento debole che forte. Per mostrarlo esplicitiamo innanzitutto la costante di accoppiamento nell’espressione dell’azione S = 1 s ΨGF g2 per variazioni della costante di accoppiamento 1 g2 → hO1 ...On i → hO1 ...On i + +∆ Z [Dφi ] s O1 ...On ΨGF (1.3.19) 1 g2 − ∆ si ha, al primo ordine: 1 exp − 2 S g = = hO1 ...On i (1.3.20) nella quale abbiamo indicato collettivamente con φ i campi della teoria. Questa proprietà è di fatto fondamentale: infatti, come avremo modo di rilevare nel seguito, ricorrere al limite di accoppiamento debole consente spesso di poter fare dei calcoli espliciti completi sulla teoria e, mentre in una teoria di campo ordinaria i risultati che si ottengono sono sempre approssimati, in una teoria topologica si è garantiti che il risultato è valido per qualunque valore della costante di accoppiamento. Introdotte le teorie topologiche, e descritte le proprietà principali di queste, da qui alla fine del capitolo ci preoccuperemo di fornire esempi espliciti di tali teorie; esempi che saranno ripresi e ampliati successivamente quando necessario. 1.4 Le teorie di gravità topologica: simmetrie e campi Passiamo ora a discutere la gravità topologica [16, 17, 18, 19]. L’interesse verso questa teoria è duplice: da un lato, come vedremo, le teorie di stringa accoppiano teorie di campo a teorie di gravità bidimensionale (e nel caso delle teorie di stringa topologica la teoria di gravità è la gravità topologica bidimensionale); d’altro canto, per studiare l’indipendenza 12 quantistica dal gauge-fixing della teoria di Chern-Simons, sarà necessario studiare la gravità topologica tridimensionale. In questa sezione saranno pertanto introdotte le caratteristiche generali di una teoria di gravità topologica, ossia le caratteristiche che non dipendono dalle dimensioni della varietà in cui si definisce la teoria. 1.4.1 Campi e simmetrie Cerchiamo quindi anzitutto di capire come una teoria di gravità sia costruita: una tale teoria può essere pensata come una teoria di gauge per la metrica; il ruolo del campo di gauge è quindi svolto dalla metrica gµν definita sulla varietà differenziabile M ; mentre il ruolo delle trasformazioni di gauge è svolto dalle trasformazioni per diffeomorfismi, che in linguaggio di BRST sono rappresentati tramite un campo vettoriale cµ fermionico, agente sui campi tramite derivata di Lie, indicata con Lc [20]. Stante questo programma possiamo passare a scrivere le trasformazioni di BRST per la gravità, che dunque assumono la forma: s gµν = −Lc gµν 1 s cµ = − Lc cµ 2 (1.4.1) che danno luogo ad un operatore di BRST nilpotente. Come evidenziato nei precedenti paragrafi, per rendere topologica una teoria, occorre estendere la simmetria di gauge in modo da eliminare completamente i gradi di libertà locali. Per raggiungere tale scopo introduciamo quindi un ulteriore campo fermionico, il gravitino ψµν , avente numero di ghost 1, e che permetta di estendere il gruppo di gauge della teoria alle variazioni arbitrarie della metrica gµν . In analogia con quanto discusso a proposito della teoria di Yang-Mills topologico, si perviene dunque alle trasformazioni: s gµν = ψµν s ψµν = 0 (1.4.2) dove nuovamente l’originaria simmetria di gauge, (1.4.1), viene inglobata nella simmetria più vasta governata dal gravitino. Tuttavia, come verrà spiegato a proposito dell’interpretazione geometrica dei campi, le trasformazioni (1.4.2) non sono corrette e vanno sostituite con le trasformazioni equivarianti, trasformazioni nelle quali i diffeomorfismi sono fattorizzati in maniera esplicita: s gµν = −Lc gµν + ψµν s ψµν = −Lc ψµν 1 s cµ = − Lc cµ 2 (1.4.3) Tuttavia, le trasformazioni (1.4.3) sono evidentemente riducibili (ossia ridondanti); come ci si può convincere osservando che la trasformazione per gµν rimane invariata se si effettuano le trasformazioni ψµν → ψµν + Lω γµν cµ → cµ + ω µ (1.4.4) 13 Per questo motivo estendiamo ulteriormente l’insieme dei campi introducendo il campo ω µ7 , e riscrivendo le trasformazioni (1.4.3) nel modo seguente s gµν = −Lc gµν + ψµν s ψµν = −Lc ψµν + Lω gµν 1 s cµ = − Lc cµ + ω µ 2 s ω µ = −Lc ω µ (1.4.5) che si verificano essere nilpotenti. 1.4.2 Interpretazione geometrica Passiamo ora a discutere un’interpretazione geometrica delle trasformazioni (1.4.5), che fornirà anche l’interpretazione geometrica per lo spazio dei campi su cui la teoria è definita [21]. Sia dunque Met(M ) lo spazio delle metriche gµν su M , e denotiamo con Diff(M ) il gruppo dei diffeomorfismi su M . Pertanto Met(M ) si è uno spazio fibrato B avente come base lo spazio dei moduli Mod definito dalla relazione: Mod = Met(M ) Diff(M ) (1.4.6) e come fibra ovviamente il gruppo dei diffeomorfismi. Procediamo quindi denotando con m ≡ {ma } un sistema di coordinate locali su Mod e con ḡµν (x, m) una sezione di B, che può essere considerata, viste le proprietà di Mod, come una famiglia di metriche inequivalenti per diffeomorfismi. Ovviamente è possibile su Mod definire un’operazione di differenziazione esterna dm nella maniera usuale secondo la relazione: dm ≡ pa ∂ ∂ma (1.4.7) nella quale si sono indicati con pa i differenziali esterni delle coordinate ma , che sono così variabili fermioniche, anticommutanti di numero di ghost 1. Come conseguenza della non banalità del fibrato B, agendo sulla sezione ḡµν (x, m), in generale dm non produce un tensore covariante sotto diffeomorfismi in M , in quanto la sezione ḡµν (x, m) varia anche sotto diffeomorfismi al variare di m8 . Nello specifico si ha che il differenziale di Cartan non definisce un’operazione di differenziazione covariante per effetto della non banalità del fibrato B, e pertanto va sostituito con un’espressione covariante: dm ḡµν (x, m) = ψ̄µν (x, m) − Lc̄ ḡµν (x, m) (1.4.8) nella quale ψ̄µν rappresenta la parte covariante della derivazione, mentre c̄ definisce un termine di connessione sul fibrato B. La richiesta di nilpotenza per dm conduce poi all’equazione: dm ψ̄µν (x, m) = Lω̄ ḡµν (x, m) − Lc̄ ψ̄µν (x, m) 7 (1.4.9) Che nel gergo del metodo di BV, in cui questa procedura si inserisce, prende il nome di ghost per i ghost. In altri termini le varie sezioni locali in cui si divide ḡµν non si congiungono a formare una sezione globale per effetto delle trasformazioni per diffeomorfismi, infatti B è un fibrato principale non banale; da qui nuovamente la necessità che non esista una sezione globale. 8 14 nella quale ω̄ µ , che è un campo vettoriale su M a valori nelle due forme su Mod, è collegato alla curvatura della connessione c̄µ (x, m) tramite: dm c̄µ (x, m) + 1 Lc̄ c̄µ = ω̄ µ (x, m) 2 (1.4.10) e vediamo così che le equazioni (1.4.8), (1.4.9) e (1.4.10) riproducono esattamente le trasformazioni (1.4.5); in quest’ordine di idee possiamo quindi sancire che l’operatore di BRST si identifica l’operatore di differenziazione di Cartan nello spazio dei moduli Mod, mentre le variabili fermioniche pi sono interpretabili come i differenziali esterni nello spazio dei moduli delle variabili mi . 1.5 I modelli sigma topologici Per concludere il capitolo passeremo a discutere due particolari teorie topologiche, che sono basilari nella costruzione delle teorie di stringa topologica: i modelli sigma topologici [22, 23, 18]. Inizieremo dapprima con una discussione generale, atta a mostrare come le teorie supersimmetriche siano candidate naturali a dare luogo a teorie topologiche, per poi indirizzarci sui modelli sigma supersimmetrici, ponendo da subito l’attenzione ai modelli bidimensionali, i soli di interesse in teoria di stringa. 1.5.1 Le teorie supersimmetriche Come si evince da un’analisi della trattazione fin qui svolta, la caratteristica fondamentale di una teoria topologica risiede nella presenza dell’operatore s di BRST, operatore nilpotente e scalare, di numero di ghost 1, rispetto al quale l’azione sia BRST esatta a meno di un eventuale termine topologico (ossia indipendente dalla metrica). Stante questo punto di vista le algebre di supersimmetria (e di conseguenza le teorie supersimmetriche), sono candidate naturali per dare luogo a teorie topologiche: caratteristica comune di queste teorie è infatti la presenza di N operatori spinoriali di simmetria (chiamati operatori di supersimmetria) indicati con Qα,A , dove α è un indice spinoriale mentre A va da 1 a N , che mischiano i gradi di libertà bosonici con i gradi di libertà fermionici e che soddisfano un’algebra del tipo: {Qα,A , Qβ,B } = ZAB α,β n Qα,A , Q̄α̇,B o = −2δAB σαµα̇ Pµ (1.5.1) nelle quali abbiamo indicato con Q̄β,B le cariche hermitiane coniugate delle Qα,A , ZA,B = −ZB,A è una carica centrale, e Pµ è l’operatore impulso [8]. L’algebra (1.5.1), mostra che le cariche Qα,A sono operatori nilpotenti, sarebbe pertanto in prima ipotesi naturale interpretarli come operatori di BRST; tra le teorie supersimmetriche si configurerebbero quindi come topologiche le teorie nelle quali non solo l’azione sia invariante di supersimmetria ma che sia anche Q-esatta. Tuttavia le cariche Qα,A , benché nilpotenti, non possono essere immediatamente interpretate come operatori di BRST; visto che queste sono operatori spinoriali, mentre un operatore di BRST deve essere uno scalare al fine di mantenere l’invarianza di Lorentz della teoria. Per ottenere una teoria topologica da una teoria supersimmetrica occorre quindi procedere ad un’operazione detta di twist topologico, operazione che in termini rozzi può essere considerata come una ridefinizione dello spin dei campi di cui la teoria è composta, effettuata 15 la quale una delle cariche di supersimmetria viene ad essere uno scalare e quindi può essere interpretata come un operatore di BRST. Nel seguito, tramite l’esempio esplicito dei modelli sigma supersimmetrici, andremo a studiare come un tale programma possa essere effettivamente realizzato. 1.5.2 I modelli sigma supersimmetrici con una carica di supersimmetria Passiamo quindi all’introduzione dei modelli sigma supersimmetrici [24, 25], cominciando dal caso più semplice; ossia supporremo inizialmente che sia presente una sola carica di supersimmetria, che indicheremo con Q. I modelli sigma studiano le immersioni Φ : M → X di una varietà di partenza M , in uno spazio ambiente X, che supporremo abbia una struttura di varietà differenziabile Riemanniana n-dimensionale; tuttavia nel seguito, visto l’interesse verso le teorie di stringa, supporremo sistematicamente che lo spazio di partenza sia una superficie di Riemann Σ (che quindi è varietà differenziabile complessa, di dimensione reale 2)9 . Come detto la teoria mappa il world-sheet nel target-space, sorge pertanto naturale introdurre in primo luogo n campi, indicati con φI , che possano essere identificati come la rappresentazione in componenti della mappa Φ; inoltre, la richiesta che la mappa abbia un contenuto geometrico indipendente dai cambi di coordinate su Σ, porta a richiedere che i campi φI siano campi scalari. La richiesta che la teoria abbia una struttura supersimmetrica, comporta la necessità di introdurre anche dei campi spinoriali, dal momento che la supersimmetria mischia gradi di libertà bosonici con gradi di libertà fermionici. A tal proposito supponiamo che sul world-sheet sia fissata una struttura complessa, la quale consenta quindi di distinguere tra coordinata olomorfa ed antiolomorfa (che indicheremo con (z, z̄)) e introduciamo n campi spinoriali ψ I , che geometricamente saranno interpretati come spinori a valori nel fibrato tangente ad X (che indicheremo con Φ∗ (T X)). La presenza della struttura complessa su Σ10 consente poi di distinguere i campi ψ I in componenti left-handed e right-handed, che I e ψ I rispettivamente. indicheremo con ψ+ − Dal momento che i campi ψ sono intepretabili come spinori a valori nel fibrato tangente ad X sorge la necessità di definire una derivata covariante su questi campi: infatti il differenziale esterno non ha le caratteristiche richieste di covarianza, pertanto deve essere accoppiato alla connessione di Levi-Civita Γ, presente su X per effetto del carattere Riemanniano di questo. A tal proposito considereremo quindi le derivate covarianti definite dalle formule ∂ ∂φJ I + Γ ∂ z̄ ∂ z̄ J K ∂ ∂φJ I Dz = + Γ ∂z ∂z J K Dz̄ = (1.5.2) Introdotti i campi con i quali la teoria è costruita, è possibile ora andare a definire l’azione che la carica di supersimmetria (che analogamente ai campi ψ si scinde in componenti Q+ e 9 E useremo spesso, secondo un gergo comune in teoria di stringa, i termini world-sheet e target-space per indicare Σ e X rispettivamente. 10 La definizione di struttura complessa di una varietà sarà fornita tra poco quando discuteremo una breve introduzione alle varietà di Kahler. 16 Q− ) esercita sui campi, ottenendo le trasformazioni I I (− Q+ + + Q− ) ΦI = ı− ψ+ + ı¯+ ψ− I K I M (− Q+ + + Q− ) ψ+ = −− ∂z φI − ı+ ψ− ΓKM ψ+ I K I M (− Q+ + + Q− ) ψ− = −+ ∂z̄ φI − ı− ψ+ ΓKM ψ− (1.5.3) nelle quali − ed + rappresentano i parametri anticommutanti per Q+ e Q− . Approntati i campi e le operazioni di simmetria non resta che cercare un’azione per il modello; visto il carattere scalare dei campi φI , e spinoriale dei campi ψ I , si può in prima istanza ipotizzare un’azione del tipo: S = t Z Σ I J I J d2 z gIJ (φ) ∂z φI ∂z̄ φJ + ıψ− Dz ψ− + ıψ+ Dz̄ ψ+ + ... (1.5.4) dove t è una costante di accoppiamento, mentre con gIJ si è indicata la metrica sul target-space. La presenza della metrica sul target-space (qualora questa non risulti piatta), rende l’azione non quadratica nei campi e la teoria risulta pertanto interagente (da qui il nome di modello sigma non lineare con cui spesso viene indicata la (1.5.4) in letteratura). I punti di sospensione presenti nella (1.5.4) indicano che l’azione appena scritta deve essere completata con ulteriori addendi, al fine di renderla complessivamente invariante rispetto alle trasformazioni (1.5.3). Si può verificare che l’invarianza può essere ottenuta sostituendo la (1.5.4) con l’azione S=t Z Σ d z gIJ (φ) ∂z φ ∂z̄ φ + 2 I J I J ıψ− Dz ψ− + I J ıψ+ Dz̄ ψ+ 1 I J K L ψ+ ψ− ψ− (1.5.5) + RIJKL ψ+ 2 nella quale si è indicato con RIJKL l’usuale tensore di curvatura ottenuto a partire dalla connessione Γ. Come già osservato l’azione fin qui descritta non può essere resa topologica, malgrado la nilpotenza della carica di supersimmetria, per il carattere spinoriale di questa. Al fine di ottenere, a partire dai modelli sigma supersimmetrici, una teoria topologica è necessario avere un maggior numero di cariche di supersimmetria (nello specifico 2) in modo da procedere al twist topologico e rendere una di queste cariche scalare, ed identificarla così con l’operatore di BRST della teoria. Prima di passare a discutere l’estensione della supersimmetria, è però necessaria un’introduzione al concetto di varietà complessa di Kahler, introduzione che sarà fornita nel prossimo sotto paragrafo. 1.5.3 Interludio matematico: introduzione alle varietà di Kahler In questa sottosezione sarà fornita una breve introduzione al concetto di varietà di Kahler, discussione minimale e che può essere completata sfruttando l’ampia letteratura sull’argomento11 [26]. Cominciamo col definire il concetto di struttura complessa di una varietà M , varietà complessa che supporremo di dimensione complessa n. Intuitivamente, fornire una struttura complessa ad M , equivale a fornire una distinzione, sulle 2n coordinate di cui la varietà è composta, tra coordinate olomorfe z i e anti-olomorfe z ı̄ . Quanto esposto può essere forma lizzato nella maniera seguente: si supponga assegnato su M un atlante A ≡ Uα , z i , z ı̄ , 11 In particolare, non sarà qui richiamato uno degli aspetti più noti della geometria delle varietà Kahler: ossia l’equivalenza, a meno di una costante moltiplicativa, tra l’operatore di Laplace costruito a partire dal differenziale di de Rham e l’operatore di Laplace costruito a partire dal differenziale di Dolbeault. 17 diremo che l’atlante A definisce una struttura complessa se, per ogni coppia di carte lo cali Uα , z i , z ı̄ e Uβ , z j , z ̄ le funzioni di transizione tra le due carte locali sono funzioni olomorfe. La presenza di una struttura complessa su M consente evidentemente di scindere i fibrati tangente e cotangente (T (M ) e T ∗ (M ) rispettivamente) nella somma diretta T (M ) = T 1,0 (M ) ⊕ T 0,1 (M ) e analoga decomposizione si applica al fibrato cotangente; in conseguenza di questa decomposizione si può distinguere tra differenziali olomorfi dz i e antiolomorfi dz ı̄ , e più in generale definiremo forma di tipo (p, q) una forma con p indici olomorfi e q indici antiolomorfi. Analogamente la struttura complessa consente di scindere il differenziale d di de Rham ¯ nella quale chiameremo l’operatore ∂¯ (che in notazione estesa nella somma d = ∂ + ∂, ∂ prende la forma ∂¯ ≡ ∂z ı̄ dz ı̄ ) operatore di Dolbeault. Stanti queste definizioni preliminari passiamo a discutere come la struttura complessa interagisca con la metrica su M . Definiremo g una metrica hermitiana se questa può essere posta nella forma ds2 = X gī (z)dz i ⊗ dz ̄ (1.5.6) i,̄ con le componenti gij e gı̄̄ nulle; caso particolare di metrica hermitiana è costituito da una metrica euclidea, nella quale la funzione gī è costante. Si può mostrare che su M è sempre possibile costruire metriche hermitiane, mentre solo in casi particolari (per esempio nel caso del toro) si può approntare una metrica euclidea. In quest’ordine di idee vogliamo ora introdurre il concetto di condizione di Kahler sulla metrica g, una condizione più restrittiva della semplice condizione di hermitianità, ma non così forte come la condizione di euclideità. Stanti queste premesse diremo che la metrica hermitiana gī è di Kahler se questa soddisfa la condizione gī = ∂i ∂̄ K (1.5.7) con K un’opportuna funzione, definita su tutto M , detta il potenziale di Kahler. Stante questa definizione, e denotando con Γ ed R la connessione di Levi-Civita e il tensore di curvatura associati a g, seguono le relazioni [26] Γijk = g il̄ ∂j gkl̄ Rīkl̄ = −gmj̄ ∂l̄ Γm ik Rīkl̄ = −R̄ikl̄ = −Rīl̄k = Rkl̄ī (1.5.8) In particolare, la prima delle relazioni (1.5.8), sta a significare che tutte le componenti di Γ con indici misti (olomorfi ed antiolomorfi) sono nulle. Concludiamo la sezione illustrando in che senso la condizione di Kahler vada interpretata come una condizione più debole della condizione di euclideità. A tal proposito cominciamo con l’osservare che, a livello locale, qualunque metrica hermitiana può essere messa in forma euclidea: vale a dire, scelto un punto z0 ∈ M , è possibile scegliere una carta locale U = (z i , z ı̄ ), centrata in z0 , tale che in U la metrica assuma la forma ds2 = X dz i ⊗ dz ̄ (1.5.9) i,̄ la condizione di euclideità si manifesta quindi come la possibilità di estendere questa proprietà a livello globale. 18 Stanti queste considerazioni di carattere preliminare, diremo che una metrica ds2 oscula all’ordine k la metrica euclidea se, per ogni punto z0 ∈ M , è possibile trovare una carta locale nella quale la metrica assume la forma ds2 = X (δī + gī ) dz i ⊗ dz ̄ (1.5.10) nella quale gī si annulla fino all’ordine k in z0 . Dalla definizione appena fornita, è chiaro che il concetto appena introdotto rappresenta un indebolimento della condizione di euclideità. Quanto appena esposto si lega al concetto di varietà di Kahler attraverso il seguente teorema, la cui dimostrazione può essere trovata in letteratura [26] Teorema 1.5.1. Una metrica ds2 è di Kahler se e solo se questa oscula all’ordine 2 la metrica euclidea. La proprietà sintetizzata nel teorema 1.5.1 è proprio la condizione necessaria e sufficiente per sancire l’equivalenza tra l’operatore di Laplace costruito col differenziale di de Rham e l’analogo operatore costruito col differenziale di Dolbeault. 1.5.4 I modelli sigma supersimmetrici con due cariche e twist topologico Tornando ai modelli sigma supersimmetrici, cerchiamo ora di estendere la supersimmetria della teoria, per passare da una formulazione caratterizzata da N = 112 , ad una formulazione che manifesti una supersimmetria di tipo N = (2, 2). Stante questo programma, passeremo ora a verificare che, la presenza sul target-space di una struttura di Kahler, è condizione sufficiente per raddoppiare le cariche di supersimmetria della teoria, e definire quindi una teoria con N = (2, 2)13 . Supponiamo quindi che il target-space sia una varietà di Kahler (di dimensione complessa n e dunque di dimensione reale 2n), possiamo suddividere i campi φI in componenti olomorfe ed antiolomorfe (e tale decomposizione, per la proprietà di Kahler del target-space, è preservata per cambi di coordinate), indicandoli rispettivamente con φi e φı̄ . Analogamente, la struttura di Kahler consente la decomposizione del fibrato tangente, secondo la relazione T X = T 1,0 X ⊕ T 0,1 X, la quale consente di proiettare i campi spinoriali sulle rispettive decomposizioni i ψ+ , i ψ− , ı̄ ψ+ , (1.5.11) ı̄ ψ− con ovvio significato dei simboli. Volgendo poi l’attenzione all’azione, questa assume rispetto alle nuove notazioni la forma (sfruttando le relazioni (1.5.8)) S=t 1 ̄ ̄ i i i ı̄ j ̄ d2 z gij̄ (φ) dφi dφj̄ + ıψ− Dz ψ− + ıψ+ Dz̄ ψ+ + Riı̄j̄ ψ+ ψ+ ψ− ψ− (1.5.12) 2 Σ Z In ultimo passiamo alle simmetrie: avendo introdotto la struttura di Kahler sul targetspace, con conseguente distinzione tra gradi di libertà olomorfi ed antiolomorfi su questo, anche le cariche di supersimmetria della teoria si raddoppiano14 , dando così luogo al sistema 12 O più esattamente con N = (1, 1) visto che la presenza della struttura complessa su Σ consente di distinguere tra componenti left-handed e right-handed 13 In realtà è possibile mostrare anche l’implicazione inversa, ossia che per avere una struttura con due cariche supersimmetriche è necessario che il target-space sia varietà di Kahler; per la dimostrazione si rimanda a [24]. 14 In particolare una tale decomposizione non sarebbe stata possibile in assenza della struttura complessa su X. 19 di cariche N = (2, 2) indicate con Q+ , Q− , Q̃+ , Q̃− e agenti sui campi della teoria nel modo seguente: i i (− Q+ + + Q− ) φi = ı− ψ+ + ı+ ψ− ı̄ ı̄ ˜− Q̃+ + ˜+ Q̃− φı̄ = ı˜ − ψ+ + ı˜ + ψ− j i i m ˜− Q̃+ + + Q− ψ+ = −˜ − ∂z φi − ı+ ψ− Γ jm ψ+ ̄ ı̄ m̄ − Q+ + ˜+ Q̃− ψ+ = −+ ∂z φı̄ − ı˜ + ψ− Γı̄̄m̄ ψ− j i i m ˜+ Q̃− + − Q+ ψ− = −˜ + ∂z̄ φi − ı− ψ+ Γ jm ψ− ̄ ı̄ m̄ + Q− + ˜− Q̃+ ψ− = −+ ∂z̄ φı̄ − ı˜ − ψ+ Γı̄̄m̄ ψ− (1.5.13) nelle quali si sono indicati con (−, + , ˜− , ˜+ ) i parametri, anticommutanti, delle cariche di supersimmetria Q+ , Q− , Q̃+ , Q̃− . Le trasformazioni (1.5.13) assumono sempre carattere spinoriale tuttavia, per effetto di aver raddoppiato il numero delle cariche di supersimmetria, è possibile ora ridefinire in maniera opportuna lo spin dei campi dei quali la teoria è composta in modo da dare luogo a trasformazioni che siano nilpotenti e scalari (e che quindi generino una simmetria di tipo BRST come desiderato), tale ridefinizione prende il nome di twist topologico [23]. In particolare analizzando le (1.5.13) si verifica che sostanzialmente si possono effettuare due scelte inequivalenti, che danno luogo a due modelli sigma topologici distinti, detti modello A e modello B rispettivamente: i e di ψ ı̄ in modo da renderli due campi scalari, e corri1. Si può ridefinire lo spin di ψ+ − ı̄ i spondentemente ψ+ e ψ− divengono uno-forme. In questo modo dalle (1.5.13) si deduce che la combinazione Q̃− + Q+ genera un operatore scalare e nilpotente, che può essere considerato come l’operatore di BRST della teoria; mentre corrispondentemente la combinazione Q̃+ + Q− definisce un operatore vettoriale. ı̄ e ψ ı̄ campi 2. Analogamente, ridefinendo lo spin dei campi in modo da rendere ψ− + i i scalari (e viceversa ψ− e ψ+ uno-forme) si ottiene che la combinazione Q̃+ + Q̃− definisce l’operatore di BRST della teoria; mentre la combinazione (Q+ + Q− ) definisce l’operatore vettoriale. Introdotti i due modelli sigma topologici ci occuperemo ora di studiarne le caratteristiche rilevanti. 1.5.5 Il modello A ı̄ , ψ i Cominciamo con l’analisi del modello A, come preannunciato i campi φi , φı̄ , ψ− + sono i ı̄ son da considerarsi campi scalari dal punto di vista del world-sheet, mentre i campi ψ− , ψ+ da considerarsi uno-forme, e pertanto nel seguito espliciteremol’indice di forma indicandoli con ψz̄i e ψzı̄ rispettivamente. Indicando con s la combinazione Q+ + Q̃− , e combinando i ı̄ e ψ i nell’unico campo χ secondo ψ ı̄ = χı̄ e ψ i = χi , le trasformazioni di BRST campi ψ− + − + 20 della teoria divengono: s φi = ıχi s φı̄ = ıχı̄ s χi = s χı̄ = 0 s ψz̄i = −∂z̄ φi − ıχj Γijm ψz̄m s ψzı̄ = −∂z φı̄ − ıχ̄ Γı̄̄m̄ ψzm̄ (1.5.14) che sono nilpotenti modulo le equazioni del moto15 . Passiamo a discutere la forma assunta dall’azione, che riscriviamo per comodità in funzione delle nuove notazioni introdotte S =t Z Σ d2 z gī dφi dφ̄ + ıgı̄i ψzı̄ Dz̄ χi + ıgı̄i ψz̄i Dz χı̄ + Riı̄j̄ ψz̄i ψzı̄ χj χ̄ (1.5.15) la quale può essere riscritta, in modo da mettere in evidenza il carattere topologico della teoria costruita S = ıt Z Σ d2 z (s V ) + t Z Σ Φ∗ (K) (1.5.16) nella quale V = gī ψzı̄ ∂z̄ φj + ∂z φı̄ ψz̄j Φ∗ (K) = ∂z φi ∂z̄ φ̄ gī − ∂z̄ φi ∂z φ̄ gī (1.5.17) Come preannunciato la (1.5.16) dimostra che la teoria costruita ha carattere topologico: infatti si manifesta come un termine BRST-esatto, più un termine topologico. Il termine che abbiamo indicato con Φ∗ (K), è infatti il pull-back sul world-sheet della forma di Kahler con cui è costruita la metrica gī definita sul target-space; pertanto tale termine, dal punto di vista del world-sheet, dipende solo dalla classe di omotopia della mappa Φ, pertanto è manifestamente topologico visto che le fluttuazioni dei campi all’interno di una data classe di omotopia non influenzano l’azione. Sancito il carattere topologico del modello, e prima di passare all’analoga analisi del modello B, conviene approntare una prima discussione sulle osservabili (discussione che sarà ripresa e ampliata successivamente quando sarà studiato l’accoppiamento alla gravità topologica). Si può intanto osservare che, dal momento che i campi della teoria sono tutti da considerarsi come funzioni o uno-forme sul world-sheet, le uniche osservabili locali che, inserite in un correlatore, avranno valore di aspettazione non nullo sono costituite da osservabili che siano scalari sul world-sheet16 . Si può altresì osservare che, nella formulazione dell’azione, è implicita la scelta di un sistema di coordinate sul target-space; volendo costruire una teoria che risulti indipendente da tale scelta, ne consegue che vanno considerate osservabili del modello le sole classi di comologia di s, ristrette allo spazio degli operatori invarianti per riparametrizzazioni [18]. 15 Questo comportamento è una conseguenza del fatto che, nell’originale modello supersimmetrico da cui il modello A è derivato, erano presenti ulteriori campi ausiliari che sono stati implicitamente integrati. 16 La situazione può essere generalizzata costruendo osservabili non locali, costituite da operatori aventi gradi di forma sul world-sheet e integrati su opportuni cicli. 21 Restringendo pertanto l’attenzione ai soli campi scalari della teoria, φi , φı̄ , χi , χı̄ , notiamo che le prime tre equazioni nella (1.5.14) sono esattamente identiche all’azione del differenziale di de Rham d definito su X, a patto di identificare i campi χ con i differenziali esterni delle coordinate φ. Questa osservazione spinge ad ipotizzare un isomorfismo tra le classi di comologia di de Rham su X e le classi di comologia di s. Stanti queste osservazioni, consideriamo una generica m-forma sul target-space17 V ≡ VI1 ,...,Im (φ)dφI1 . . . dφIn (1.5.18) e in corrispondenza consideriamo l’operatore OV ≡ VI1 ,...,Im (φ)χI1 . . . χIn (1.5.19) s OV = OdV (1.5.20) e sussiste allora la relazione la quale conferma l’isomorfismo tra s e il differenziale di de Rham. Apparentemente le trasformazioni (1.5.14) non darebbero luogo ad osservabili: infatti i campi φ e χ sembrano costituire doppietti di BRST e quindi non dare luogo a comologia. Tuttavia abbiamo già avuto modo di osservare che, vanno identificate come osservabili, le sole combinazioni di operatori che hanno comportamento covariante per cambi di coordinate sul target-space; e i campi φ non godono di questa proprietà. Ne consegue che i campi χ costituiscono comologia non banale per s e, pertanto, possiamo concludere che la (1.5.20) sancisce un isomorfismo tra lo spazio delle osservabili del modello A e il gruppo di comologia di de Rham su X. Quanto appena esposto mostra nuovamente, dal punto di vista delle osservabili, il carattere topologico della teoria: infatti non vi sono osservabili che siano identificabili con particelle in propagazione, tutte le osservabili hanno gradi di libertà prettamente globali e sono pertanto topologiche. 1.5.6 Il modello B Passiamo ora all’analisi del modello B, in analogia a quanto già svolto sul modello A. Per via ı̄ , ψ ı̄ , del twist topologico in questo modello i campi scalari sono rappresentati da φi , φı̄ , ψ+ − i e ψ i sono uno-forme, che quindi nuovamente denoteremo come ψ i e ψ i . E’ poi mentre ψ+ − z z̄ conveniente porre: ı̄ ı̄ η ı̄ = ψ+ + ψ− ı̄ ı̄ θi = giı̄ ψ+ − ψ− (1.5.21) Stanti queste definizioni, e identificando nuovamente con s la combinazione scalare Q̃+ + Q̃− : s φi = 0 s φı̄ = ıη ı̄ s η ı̄ = 0 s θi = 0 s ψzi = −∂z φi s ψz̄i = −∂z̄ φi 17 (1.5.22) Indichiamo in questo caso gli indici con lettere maiuscole in quanto non vogliamo discriminare tra varianti olomorfe ed antiolomorfe. 22 che definiscono un operatore di BRST nilpotente. L’azione riscritta in termini delle nuove variabili è: S = t Z d2 z gī dφi dφ̄ + ıη ı̄ Dz ψz̄i + Dz̄ ψzi giı̄ + Σ + ıθi Dz̄ ψzi − Dz ψz̄i + Riı̄j̄ ψzi ψz̄j η ı̄ θk g k̄ (1.5.23) che può poi essere posta nella forma: S = ıt Z Σ s V + tW (1.5.24) in cui V = gī ψzi ∂z̄ φ̄ + ψz̄i ∂z φ̄ W = Z θi Σ Dz̄ ψzi + Dz ψz̄i ı − Riı̄j̄ ψzi ∧ ψz̄j η ı̄ θk g k̄ 2 (1.5.25) Scritta nella forma (1.5.24) l’azione non mostra completamente il carattere topologico, tale carattere può essere ottenuto in maniera manifesta nella maniera seguente [18]. Introduciamo due campi ausiliari nella teoria, indicati con Fziz̄ e Hi , che sia una due-forma e uno scalare sul world sheet rispettivamente, e modifichiamo la legge di trasformazione (1.5.22) nella maniera seguente s φi = 0 s φı̄ = ıη ı̄ s η ı̄ = 0 s θi = Hi s Hi = 0 s Fziz̄ = Dz̄ ψzi + Dz ψz̄i + s ψzi = −∂z φi 1 l̄ k η ψz (Rl̄k )ij ψz̄j 2 s ψz̄i = −∂z̄ φi (1.5.26) Stante questo ampliamento dello spazio dei campi l’azione può ora essere riscritta nella forma18 S = ıt Z Σ s gī ψzi ∂z̄ φj̄ + gī ψz̄i ∂z φ̄ + Fziz̄ θi ≡ s ΨB (1.5.27) che mostra esplicitamente il carattere topologico della teoria: infatti è BRST-esatta. La teoria, nel suo complesso, dipende comunque dalla struttura complessa definita sul target-space tramite l’operatore di BRST: infatti l’azione di questo sui campi φi e φı̄ è chirale, e dunque dipende dalla struttura complessa definita su X 19 . Passiamo ora alla discussione delle osservabili. Nuovamente, osservando le prime tre equazioni (1.5.26), si può intuire come geometricamente s possa essere interpretato come il differenziale di Dolbeault su X, previa l’identificazione η ı̄ = dφı̄ . Ancora una volta, si In questa seconda formulazione l’azione prende tuttavia il termine aggiuntivo Fziz̄ Hi . Osserviamo inoltre per inciso che, il carattere chirale delle trasformazioni di BRST, rende potenzialmente anomalo il modello [18, 23]. 18 19 23 applicano poi considerazioni identiche a quanto già svolto per il modello A circa il carattere non covariante dei campi φ, dalla quale si deduce che i campi η costituiscono comologia non banale. Tuttavia il discorso non si esaurisce alla sola comologia costituita dai campi η: per convincersi basta considerare che, prima dell’introduzione dei campi ausiliari usati per rendere l’azione BRST-esatta, dalle espressioni (1.5.22) si poteva dedurre che anche i campi θ costituivano comologia per l’operatore di BRST. Quanto appena discusso porta a considerare, per l’operatore di BRST introdotto nelle trasformazioni (1.5.26), la comologia on-shell, rispetto alla quale i campi H soddisfano l’equazione del moto Hi = 0 e pertanto anche i campi θi costituiscono comologia per s. Stanti queste considerazioni consideriamo una p-forma antiolomorfa su M a valori in ∧q T 1,0 M scrivibile quindi nella forma: j j ...j V = dz ī1 dz ī2 . . . dz īp Vı̄11ı̄22...ı̄p q ∂ ∂ . . . jq j 1 ∂z ∂z (1.5.28) Definiamo quindi l’operatore: OV = η ı̄1 ...η ı̄p Vı̄11ı̄22...ı̄p q θj1 ...θjq j j ...j (1.5.29) s OV = −O∂V ¯ (1.5.30) e sussiste quindi la relazione: la quale dunque sancisce un isomorfismo (restringendosi nuovamente agli operatori locali, con considerazioni identiche a quanto già esposto a proposito del modello A) tra il gruppo di comologia di s del modello B (con numero di ghost p + q) e il gruppo di comologia dell’operatore di Dolbeault ∂¯ nello spazio delle (0, q)-forme a valori in T (p,0) X. Consideriamo come esempio il caso in cui si ponga p = q = 1: in questo caso notiamo che l’operatore (1.5.29) assume la forma: Oµ = η ı̄1 µjı̄11 θj1 (1.5.31) in cui µı̄1j1 è un differenziale di Beltrami il quale, come sarà spiegato in dettaglio più avanti, è associato a variazioni della struttura complessa definita sul target-space. Possiamo così renderci conto che tali osservabili del modello B, hanno come significato geometrico le deformazioni della struttura complessa di X. Capitolo 2 Le teorie di stringa: teoria bosonica e topologica In questo capitolo si intende fornire un’introduzione alle teorie di stringa, limitando l’attenzione alle sole teorie di stringa bosonica (il prototipo nonché il modello più semplice e intuitivo da costruire) e di stringa topologica. Nella prima parte, sfrutteremo la stringa bosonica [27] come un esempio per mostrare come si possa costruire una teoria di stringa, partendo dalla descrizione classica dell’azione e delle simmetrie, per giungere ad una descrizione quantistica dell’azione e dello spettro delle osservabili. Terminata questa discussione, affronteremo il calcolo perturbativo (all’ordine più basso) di alcune funzioni di correlazione di osservabili, al fine di mostrare come, queste ampiezze di scattering possono essere calcolate anche in teorie di campo ordinarie. Questa corrispondenza porta a ritenere che, le teorie di campo ordinarie, possano essere viste come le teorie effettive di spazio-tempo (troncate all’ordine più basso) delle teorie di stringa da cui discendono. Terminata la discussione della teoria bosonica, passeremo a considerare le teorie di stringhe topologiche derivanti dai modelli A e B già introdotti nel primo capitolo [18]; in particolare verrà ampliata sia la discussione dei modelli sigma topologici, sia la discussione della gravità topologica bidimensionale, per poi procedere al loro accoppiamento e giungere alla costruzione delle teorie di stringhe topologiche. In ultimo, in analogia con quanto fatto per la teoria bosonica, ci preoccuperemo di fornire una formulazione di spazio-tempo di entrambi i modelli (di stringa aperta) [28]: senza entrare nei dettagli della dimostrazione, ci limiteremo a fornire alcuni elementi di plausibilità per mostrare che, la formulazione non perturbativa di spazio-tempo del modello A è data dalla teoria di Chern-Simons tridimensionale, mentre l’analoga formulazione per il modello B, è data da una variante olomorfa della teoria di Chern-Simons che prenderà il nome di holomorphic Chern-Simons (HCS), il cui studio costituirà la parte originale di questo lavoro. 2.1 La stringa bosonica Cominciamo dall’esempio più semplice: la stringa bosonica. Partiremo, con la formulazione di world-sheet (il senso di questa nomenclatura sarà chiarito più avanti); mentre alla fine del paragrafo saranno fornite alcune idee per giungere ad una formulazione di target-space di bassa energia. 25 26 2.1.1 L’azione per la stringa bosonica e simmetrie Da un punto di vista intuitivo, una teoria di stringa è una teoria in cui gli enti geometrici fondamentali non sono punti (le particelle elementari della teoria di campo) bensì oggetti estesi unidimensionali (le stringhe appunto), in moto nello spazio-tempo (anche detto targetspace) D-dimensionale e con metrica piatta. Le particelle usuali della teoria di campo vengono così viste in questo quadro come particolari modi normali di vibrazione delle stringhe medesime. Come primo obbiettivo otterremo un’azione classica per il moto della stringa nello spazio-tempo1 e, per rendere la discussione di più agevole lettura, svilupperemo un parallelo tra l’azione per una particella puntiforme e una stringa unidimensionale. Cominciando con la particella puntiforme, la sua evoluzione nello spazio-tempo é descritta fornendo la sua legge oraria φI (φ0 ) (ossia fornendo un totale di D − 1 funzioni del tempo φ0 ), ma tale descrizione ha il difetto di nascondere la covarianza della teoria fin dal principio, richiedendo di discriminare tra coordinata temporale e coordinate spaziali. Introduciamo quindi un parametro lungo la linea di universo seguita dalla particella (il tempo proprio τ ), e descriviamo il moto tramite D funzioni φI (τ ). Ovviamente la fisica della particella non deve dipendere dalla particolare parametrizzazione scelta, e ciò si riflette nell’asserzione che le coordinate φI abbiano carattere scalare per riparametrizzazioni del tempo proprio. Occorre esibire un’azione che rispetti anch’essa l’invarianza di Lorentz, e la scelta più semplice è rappresentata da un’azione proporzionale al tempo proprio: Spp = −m Z dτ −φ̇I φ̇I 1 (2.1.1) 2 dove si è indicata con m la massa della particella (mentre con la notazione φ̇I si intende la derivazione rispetto al tempo proprio), e dalla quale si ottengono le equazioni del moto: u̇I = 0 uI ≡ φ̇I −φ̇J φ̇J 1 2 (2.1.2) Malgrado l’azione (2.1.1) sia perfettamente definita a livello classico, in contesto quantistico risulta difficile implementare un integrale di cammino, per la presenza di derivate sotto la radice quadrata. Per questo motivo è utile porla in una forma classicamente equivalente ma più semplice. Introduciamo quindi una metrica sulla linea di universo, indicata con γτ τ (τ ), e definiamo 1 η(τ ) = (−γτ τ (τ )) 2 . e consideriamo la seguente azione quadratica nelle derivate delle coordinate: 0 Spp = 1 2 Z dτ η −1 φ̇I φ̇I − ηm2 (2.1.3) L’equivalenza tra la (2.1.3) e la (2.1.1) si dimostra ricavando le equazioni del moto per η η2 = − φ̇I φ̇I m2 che, sostituita nella (2.1.3), consente di riottenere l’azione originale (2.1.1). 1 In questa sezione di natura classica seguiremo da vicino l’approccio dato in [27]. (2.1.4) 27 Ci preoccuperemo ora di definire un’analoga azione per un oggetto unidimensionale. Ovviamente per una stringa definiamo una coordinata σ che ne identifichi i punti che la compongono. Pertanto l’evoluzione di questa determinerà nello spazio-tempo una corrispondente striscia di universo, definita world-sheet. Vengono quindi introdotte D funzioni φI (σ, τ ) che rappresentano le coordinate dei punti della stringa nello spazio-tempo, e per le stesse ragioni di indipendenza della fisica dalla parametrizzazione, si richiede che tali funzioni abbiano comportamento scalare per riparametrizzazioni delle coordinate sul world-sheet. Per l’azione, la ovvia generalizzazione della (2.1.1) si ha definendo un’azione che sia proporzionale alla superficie spazzata dal world-sheet. Introduciamo quindi la matrice: hµν = ∂µ φI ∂ν φI (2.1.5) che può essere interpretata come il pullback tramite l’applicazione Φ della metrica sullo spazio-tempo. Si ottiene così la cosiddetta azione di Nambu-Goto: SNG = Z (2.1.6) dτ dσLNG Σ con LNG = − 1 1 (− det hµν ) 2 0 2πα (2.1.7) Le simmetrie dell’azione di Nambu-Goto sono costituite dall’ordinario gruppo di Lorentz sullo spazio-tempo e dai diffeomorfismi bidimensionali, ossia in formule: φ0I (τ, σ) = ΛJI φJ (τ, σ) φ0I (τ 0 , σ 0 ) = φI (τ, σ) (2.1.8) in cui la seconda equazione mostra il carattere scalare dei campi φI per diffeomorfismi bidimensionali. la formulazione di un integrale di cammino a livello quantistico per l’azione di NambuGoto si rivela difficoltosa. Introduciamo quindi una metrica di world-sheet indipendente gµν (τ, σ), e rimpiazziamo la (2.1.8) con un’azione equivalente a livello classico (come mostreremo tra un momento), che prende il nome di azione di Polyakov: SP = − 1 4πα0 Z 1 (2.1.9) dτ dσ(−g) 2 g µν ∂µ φI ∂ν φJ Σ nella quale si è indicato con g il determinante di g µν . Per ottenere l’equivalenza con l’azione di Nambu-Goto consideriamo la variazione dell’azione rispetto alla metrica g δg SP = − 1 4πα0 Z X 1 dτ dσ (−g) 2 hµν − 1 gµν g ρη hρη 2 (2.1.10) dalla quale consegue 1 gµν g ρη hρη 2 hµν = (2.1.11) che può essere posta nella forma 1 1 hµν (−h)− 2 = gµν (−g)− 2 (2.1.12) 28 che sostituita nella (2.1.9) consente di riottenere l’azione di Nambu-Goto, dimostrando così l’equivalenza a livello classico delle due formulazioni. L’azione di Polyakov, preserva le ordinarie simmetrie di Lorentz e di diffeomorfismi, e possiede un’ulteriore simmetria che prende il nome di simmetria di Weyl: φ0I (τ, σ) = ΛJI φJ 0 gµν (τ, σ) = gµν (τ, σ) ∂σ 0ρ ∂σ 0η 0 g (τ 0 , σ 0 ) = gµν (τ, σ) ∂σ µ ∂σ ν ρη 0 gµν (τ, σ) = exp(2ω(τ, σ))gµν (τ, σ) φ0I (τ 0 , σ 0 ) = φI (τ, σ) φ0I (τ 0 , σ 0 ) = φI (τ, σ) (2.1.13) Il cui significato é chiaro: nell’azione di Nambu-Goto, g non compariva affatto nell’azione. Da questo punto di vista l’azione di Nambu-Goto é topologica, in quanto non dipende in maniera esplicita dalla metrica sul world-sheet. In quest’ottica la simmetria di Weyl può essere interpretata come ciò che rimane dell’invarianza topologica una volta che si passa dall’azione di Nambu-Goto all’azione di Polyakov. Come conseguenza dell’invarianza per diffeomorfismi si ottiene che il tensore energia impulso della teoria ha divergenza nulla ∂µ T µν = 0, mentre l’invarianza di Weyl consente di concludere che lo stesso ha traccia nulla Tµ µ = 0. Passiamo ora a discutere le equazioni del moto per i campi φI : in particolare supponiamo che la stringa abbia lunghezza finita, ossia restringiamo la regione concessa alle coordinate di world-sheet agli intervalli 0 ≤ σ ≤ l −∞ < τ < ∞ (2.1.14) e la variazione dell’azione per variazioni dei campi φI diviene: δSP ∝ Z ∞ Z l 1 dσ (−g) 2 δφI ∇2 φI dτ −∞ 0 (2.1.15) per quanto concerne l’interno della stringa, più l’ulteriore termine di bordo Z ∞ ∞ 1 dτ (−g) 2 δφI ∂ σ φI |σ=l σ=0 (2.1.16) Dalla (2.1.15) si ottengono le equazioni del moto ∇2 φI = 0 (2.1.17) mentre dal termine di bordo si ottengono le condizioni al contorno sui campi φI affinché questo termine si annulli. In particolare la (2.1.16) è annullata se i campi soddisfano condizioni al contorno del tipo ∂ σ φI (τ, l) = ∂ σ φI (τ, 0) = 0 (2.1.18) che vengono dette condizioni di Neumann, oppure condizioni del tipo φI (τ, l) = φI (τ, 0) gµν (τ, l) = gµν (τ, 0) ∂ σ φI (τ, l) = ∂ σ φI (τ, 0) (2.1.19) che vengono dette periodiche. Notiamo che le (2.1.18) stanno a significare che il world-sheet si immerge nel target-space dando luogo ad una superficie con bordo, e le stringhe che soddisfano queste condizioni prendono il nome di stringhe aperte; mentre le condizioni 29 (2.1.19) danno luogo a superfici chiuse nel target-space, e le stringhe corrispondenti prendono il nome di stringhe chiuse. Passiamo ai dettagli dell’equazione (2.1.9) e alle possibili generalizzazioni di questa. È chiaro che i φI sono D campi scalari e la teoria definita è dunque una teoria scalare (o meglio, una teoria conforme vista l’invarianza di Weyl). Dal punto di vista bidimensionale, l’invarianza di Lorentz è invece una simmetria interna allo spazio dei campi. Per quanto concerne le generalizzazioni del quadro fin qui introdotto, la prima e più scontata generalizzazione consiste nel considerare metriche non piatte sul target-space. Pertanto, denotando con GIJ (φI ) la metrica sul target-space X (che va considerata come una funzione nei campi φI ), sorge naturale considerare la generalizzazione SP = 1 4πα0 Z Σ 1 d2 zg 2 g µν GIJ (φ) ∂µ φI ∂ν φJ (2.1.20) La (2.1.20) è proprio l’azione di un modello sigma non lineare, modello bosonico visto che nella teoria non sono stati introdotti gradi di libertà fermionici2 . La (2.1.20) mostra quindi che i modelli sigma non lineari (e in particolare i modelli sigma topologici introdotti nel primo capitolo), possono essere viste come le teorie di campo bidimensionali che descrivono l’evoluzione della stringa nello spazio-tempo. Tuttavia in una teoria di stringa anche la metrica definita sul world-sheet va considerata una campo dinamico dell’azione. Pertanto le teorie di stringa vanno interpretate come modelli sigma accoppiati alla gravità bidimensionale. 2.1.2 L’integrale di cammino Passiamo a discutere come ottenere una formulazione quantistica della teoria fin qui definita3 . In questo sottoparagrafo definiremo un’integrale funzionale per il modello sigma (2.1.20) accoppiato alla gravità bidimensionale; in seguito saranno discusse le osservabili del modello e i corrispondenti correlatori4 . Da un punto di vista formale, l’integrale di cammino è definito dalla formula (detta di Polyakov, [32]): Z = Z [d g dφ] −SP e Vdiff VWeyl (2.1.21) dove abbiamo formalmente diviso per il volume del gruppo di gauge della teoria (diffeomorfismi e trasformazioni di Weyl), la cui azione sui campi è sintetizzata dalle regole di BRST: s φI = L c φI s gµν = −Lc gµν − ρgµν 1 s cµ = − Lc cµ 2 s ρ = −Lc ρ (2.1.22) 2 Che comunque possono essere inseriti in un secondo momento per dare luogo alle cosiddette teorie di superstringa, per un’introduzione si rimanda alla letteratura [31] oppure [30]. 3 La nostra trattazione in questa sezione, si discosta da quanto normalmente riportato nei testi introduttivi all’argomento (come per esempio [27]); in quanto, in linea con la struttura generale della tesi, si è scelto di costruire l’integrale di cammino con il formalismo di BRST. 4 Nel seguito supporremo sistematicamente, visto che questa è la circostanza di interesse in teoria di stringa, che il world-sheet sia una superficie di Riemann compatta di genere g, con o senza bordo. 30 Approntiamo il gauge-fixing. Da un punto di vista euristico cominciamo con l’osservare che, visto che la metrica bidimensionale g è simmetrica, questa ha complessivamente tre gradi di libertà; d’altro canto i diffeomorfismi bidimensionali sono rappresentati, in linguaggio di BRST, tramite il campo vettoriale fermionico c, mentre l’invarianza di Weyl è governata dal campo scalare ρ; per un totale anche in questo caso di tre gradi di libertà. Sorge pertanto naturale ipotizzare che, almeno localmente, l’invarianza di gauge possa essere fissata vincolando la metrica bidimensionale g ad una metrica di riferimento g̃, eliminando così la libertà di gauge in modo completo. In termini geometrici, quanto appena esposto può essere riassunto dicendo che stiamo assumendo che lo spazio quoziente Mg = [d g] Vdiff VWeyl (2.1.23) si riduca ad un punto, o in altri termini, che tutte le metriche siano equivalenti per opportune trasformazioni di diffeomorfismi e di Weyl. In realtà questa circostanza non è sempre verificata, e lo spazio delle orbite Mg , che chiameremo lo spazio dei moduli, non è in generale puntiforme. La ragione di questo, in ultima analisi, é che l’azione dei diffeomorfismi e delle trasformazioni di Weyl su una superficie di Riemann compatta di genere g, non è transitiva: pertanto non tutte le metriche sono equivalenti ad una particolare metrica di background5 . Dal punto di vista dell’integrale di Polyakov, il carattere non puntiforme dello spazio dei moduli si manifesta con la presenza di zero-modi non fissati dal gauge fixing. Per mostrare questo introduciamo, tramite l’usuale procedura del metodo di BRST, il fermione di gauge ΨGF ΨGF = bµν (g µν − g̃ µν ) (2.1.24) in cui g̃ rappresenta la metrica di background scelta, mentre b è il consueto antighost per la condizione di gauge. Essendo il modello sigma una teoria conforme, le espressioni (2.1.21) e (2.1.22) possono essere semplificate: infatti integrando la (2.1.21) rispetto a ρ6 si può eliminare questo dall’integrale di cammino, giungendo all’espressione: Z = Z dĝ dφ db0 dΓ dc e−SP + s ΨGF (2.1.25) nella quale, come si vede, non compare più il campo ρ mentre il campo b0 sostituisce b e ha traccia nulla, mentre con ĝ abbiamo indicato la metrica privata del fattore di Weyl. Le trasformazioni di BRST della teoria assumono la forma semplificata s φI = L c φI s ĝµν = −Lc ĝµν 1 s cµ = − Lc cµ 2 s b0µν = −Lc b0µν + Γµν s Γµν = −Lc Γµν 5 (2.1.26) Per quanto concerne la caratterizzazione dello spazio dei moduli delle superfici di Riemann di maggiore interesse in teoria di stringa, insieme ad altre questioni connesse come l’importante teorema di Riemann-Roch, si rimanda all’apposita appendice. 6 E supponendo che in questa integrazione non sorgano anomalie conformi, anomalie che in effetti insorgono a meno che il target-space non sia 26-dimensionale, per una dimostrazione si rimanda alla letteratura (ad esempio, come di consueto, [27], oppure anche [33]). 31 L’espressione (2.1.25) presenta degli zero-modi per i campi di gauge fixing non fissati. Consideriamo infatti il fermione di gauge ΨGF : ΨGF = b0µν (ĝ µν − g̃ µν ) (2.1.27) ed esplicitando su questo l’azione dell’operatore di BRST, le equazioni per gli zero-modi sono: Z 0 µν b(0) =0 µν Lc g̃ (2.1.28) interpretabili come variazioni della metrica ortogonali alle trasformazioni per diffeomorfismi o, in altri termini, come variazioni della metrica non ottenibili attraverso un opportuno diffeomorfismo e, pertanto, manifestazioni del carattere non puntiforme dello spazio dei moduli. Tramite un’integrazione per parti, caratterizziamo gli zero modi come le soluzioni delle equazioni 0 Dµ b(0) µν = 0 (2.1.29) Ponendo quindi su Mg , che è una varietà differenziabile µ-dimensionale, coordinate locali mi , questi zero-modi residui possono essere fissati scegliendo, anziché una singola metrica di background g̃µν (x), una famiglia di metriche g̃µν (x, m) che determinino una sezione di Mg , ed estendendo l’azione dell’operatore di BRST (indicando con s̃ l’operatore esteso) della teoria ai moduli definendo le trasformazioni [16] s̃ mi = C i s̃ C i = 0 (2.1.30) che consentono di interpretare i C i come i differenziali esterni delle variabili mi nello spazio dei moduli, e l’operatore di BRST esteso come il differenziale esterno su tale spazio s̃ ≡ dC = C i ∂mi . Il calcolo della funzione di partizione può essere ora svolto in due passaggi: per prima cosa si scrive l’integrale funzionale nel solo settore di materia, ottenendo un funzionale dei background Z̃(mi , C i ) = Z d g dφ db0 dΓ dc e−SP + s̃ΨGF (2.1.31) funzionale che è un monomio di grado µ nei C i , e che soddisfa le identità [16] s̃Z̃ = 0 ⇒ dC Z̃ = 0 ΨGF → ΨGF + XGF ⇒ Z̃ → Z̃ + dC W (2.1.32) che mostrano che Z̃ è s̃-chiusa e per cambi di gauge-fixing cambia per termini s̃-banali; ossia è interpretabile come una forma chiusa, di grado µ ossia di grado massimo, nello spazio dei moduli Mg e che quindi può essere integrata su questo spazio Z = Z Mg Z̃(m, C) (2.1.33) questa caratteristica, ossia il fatto che i correlatori di osservabili nel solo settore di materia siano interpretabili come forme chiuse di grado massimo nello spazio dei moduli, è una peculiarità delle teoria di stringa. 32 Nel caso particolare di superfici di genere 0 o 1, come vedremo in un esempio esplicito, esistono trasformazioni di diffeomorfismi, che lasciano invariata la metrica di background, e che pertanto non sono fissate dal gauge-fixing: trasformazioni che possono essere interpretate come zero modi per il campo c, e che soddisfano evidentemente l’equazione Lc g̃µν = 0 (2.1.34) vista come un’equazione per il campo vettoriale c, soluzioni che in letteratura sono riportate come conformal killing vectors (CKV)7 . Per concludere la sezione, andiamo a calcolare la dimensione dello spazio dei moduli e del conformal killing group. Cominciamo con l’osservare che, le equazioni (2.1.29) (2.1.34), assumono una forma particolarmente semplice se si pongono sul world-sheet coordinate complesse (z, z̄) e se si sceglie come metrica di background la metrica conforme, caratterizzata dagli elementi di matrice 1 2 gz z̄ = gz̄z = gzz = gz̄ z̄ = 0 (2.1.35) in questo caso infatti le (2.1.29) e (2.1.34) assumono la forma [27] 0 (0)0 ∂z̄ b(0) zz = ∂z bz̄ z̄ = 0 ∂z̄ cz = ∂z cz̄ = 0 (2.1.36) le quali consentono dunque di classificare i moduli come due-forme olomorfe globalmente definite, mentre i conformal killing vectors come campi vettoriali olomorfi. La caratterizzazione dei campi vettoriali olomorfi e delle due-forme olomorfe su una superficie di Riemann compatta, è governata dal ben noto teorema di Riemann-Roch; teorema i cui risultati verranno qui solo richiamati per non interrompere il filo del discorso, mentre una descrizione più precisa di questo teorema è disponibile in appendice. Denotiamo quindi con µ il numero dei moduli, mentre con κ il numero dei conformal killing vectors definiti sul world-sheet, il teorema di Riemann-Roch consente di sancire la seguente equazione µ − κ = −3χ (2.1.37) dove abbiamo indicato con χ il numero di Eulero per il world-sheet, numero che vale 2 − 2g per superfici di Riemann senza bordo (dove con g abbiamo indicato il genere), mentre vale 2 − 2g − b per superfici con bordi (in cui b indica il numero di bordi della superficie). Sussiste infine l’ulteriore risultato (per il quale si rimanda nuovamente all’appendice): κ si annulla se χ < 0 mentre µ si annulla se χ > 0. Specializzando quindi alla sfera e al toro il discorso (le due superfici di maggiore interesse in teoria di stringa chiusa come vedremo, così come l’anello e il disco lo sono per le stringhe aperte), si ottiene che la sfera non possiede moduli, mentre possiede 3 CKV; il toro invece possiede un solo modulo complesso e un CKV. Riassumendo, abbiamo in questa sezione mostrato come ottenere la corretta espressione per la funzione di partizione a meno di trasformazioni appartenenti al conformal killing group; ciò che rimane da discutere sono le osservabili della teoria e la costruzione dei correlatori di osservabili. 7 Per una esposizione estesa di questo ed altri concetti si può consultare, ad esempio,[34] 33 2.1.3 Lo spazio degli stati di stringa chiusa e carica di BRST Passiamo ora a discutere lo spettro di particelle possedute dalla teoria bosonica, considerando dapprima le stringhe chiuse. Per quantizzare canonicamente la teoria e analizzare le osservabili consideriamo un world-sheet avente la topologia di un cilindro, e denotiamo con σ 1 la coordinata spaziale sul world-sheet che può essere considerata periodica di periodo 2π: σ 1 ' σ 1 + 2π (2.1.38) mentre la coordinata spaziale τ sarà indicata con σ 2 e varia su tutto l’asse reale (2.1.39) −∞ < σ 2 < ∞ Per proseguire sfruttiamo la caratteristica del world-sheet di essere una superficie di Riemann, accorpando ambedue le coordinate in un’unica coordinata complessa z nella forma z = exp(−ıσ 1 + σ 2 ) (2.1.40) e la corrispondente complessa coniugata z̄; con questa notazione le configurazioni a tempo costante vengono viste come circonferenze, e il tempo scorre radialmente con l’origine corrispondente al lontano passato. Utilizzando quindi il sistema di coordinate (z, z̄), definiremo olomorfo un campo dipendente solo dalla variabile z, mentre definiremo anti-olomorfo un campo che dipenda dalla sola z̄. Il settore di materia In termini del nuovo sistema di coordinate, l’azione per il modello sigma assume la forma 1 SP = 2πα0 Z ¯ I d2 z∂φI ∂φ (2.1.41) da cui derivano le equazioni del moto ¯ I (z, z̄) = 0 ∂ ∂φ (2.1.42) Occorre preliminarmente discutere un modo per definire il prodotto di operatori in uno stesso punto: infatti a livello quantistico, il prodotto di due campi in uno stesso punto è in generale divergente e va regolarizzato. Considerando i campi φI della teoria, introduciamo la definizione di prodotto normale di operatori, indicato con la notazione : :, definito dalla relazione : φI (z, z̄) φJ z 0 , z̄ 0 : ≡ φI (z, z̄) φJ z 0 , z̄ 0 + α0 IJ η ln |z − z 0 |2 2 (2.1.43) in cui η IJ è la metrica di Minkowski, che per semplicità stiamo supponendo ora che sia presente sul target-space; notiamo che questa definizione possiede la proprietà ∂ ∂¯ : φI φJ := 0 (2.1.44) La definizione è poi generalizzata al prodotto di più operatori nella maniera seguente : φI1 (z1 , z̄1 ) . . . φIn (zn , z̄n ) : ≡ φI1 (z1 , z̄1 ) . . . φIn (zn , z̄n ) + X sottrazioni (2.1.45) dove la sommatoria si estende su tutti i modi di scegliere una, due o più coppie di campi e 0 sostituendole con α2 η Ii Ij ln |zi − zj |2 . 34 Dall’equazione (2.1.42) segue che i campi ∂ φ e ∂¯ φ sono olomorfi ed anti-olomorfi rispettivamente, e quindi possono essere espansi in serie di Laurent ∂ φ (z) = −ı I 0 12 α ∞ X I αm z m+1 m=−∞ 2 α0 ∂¯ φI (z̄) = −ı 2 12 ∞ X I α̃m z̄ m+1 m=−∞ (2.1.46) La richiesta che il campo φI sia a singolo valore, comporta quindi l’identificazione = α̃0I ; inoltre, l’invarianza per traslazioni sul target-space, unitamente al teorema di Noether[5], consentono di interpretare l’operatore α0I come l’impulso del centro di massa della stringa, in formule: α0I p = I 2 α0 1 2 (2.1.47) α0I Integrando la (2.1.46), si perviene all’espressione per i campi φI α0 α0 φ (z, z̄) = x − ı pI ln |z|2 + ı 2 2 I I 21 X 1 m6=0 m I I αm α̃m + zm z̄ m ! (2.1.48) I e α̃I possono essere interpretati come operatori di I termini dell’espansione in serie αm m creazione e distruzione, introducendo le relazioni di commutazione canoniche h I I αm , αnJ = αm , αnJ = mδm,−n η IJ i h i h xI , pJ = ıη IJ i (2.1.49) in base alle quali gli operatori con m < 0 divengono gli operatori di creazione, mentre gli operatori con m > 0 sono gli operatori di distruzione, e in cui abbiamo supposto che sul target-space sia posta l’usuale metrica di Minkowski η IJ . In questa rappresentazione lo stato di vuoto viene visto come il ket |0, ki, ossia come lo stato in cui la stringa si sta propagando con impulso k senza gradi interni eccitati, mentre gli stati successivi dello spettro sono ottenuti agendo su |0, ki con i vari operatori di creazione. Passiamo a studiare il tensore energia-impulso T : la simmetria per diffeomorfismi bidimensionale, unitamente alla simmetria di Weyl, implicano che quest’ultimo è a traccia nulla e a divergenza nulla. Queste proprietà, riscritte nel sistema di coordinate (z, z̄), implicano che le componenti Tz z̄ e Tz̄z sono entrambe nulle, mentre le restanti sono olomorfe ed anti-olomorfe rispettivamente T (z) ≡ Tzz (z) T̃ (z̄) ≡ Tz̄ z̄ (z̄) (2.1.50) e sono date dall’espressione 1 : ∂φI ∂φI : α0 1 ¯ I¯ T̃ (z̄) = − 0 : ∂φ ∂φI : α T (z) = − (2.1.51) 35 T (z) e T̃ (z̄) sono olomorfi (o antiolomorfi) e quindi possono essere espansi in serie di Laurent nella forma T (z) = T̃ (z̄) = +∞ X Lm z m+2 m=−∞ +∞ X L̃m m+2 z̄ m=−∞ (2.1.52) nella quale gli Lm sono noti in letteratura con il nome di generatori di Virasoro e si può mostrare sviluppando il prodotto normale di T (z) con se stesso, che soddisfano un’algebra caratteristica che prende il nome di algebra di Virasoro c 3 m − m δm,−n (2.1.53) [Lm , Ln ] = (m − n) Lm+n + 12 I generatori di Virasoro possono essere scritti in termini degli operatori di creazione e distruzione Lm = X 1 +∞ αI αIn 2 n=−∞ m−n (2.1.54) per m = 0, va discusso l’ordinamento tra gli operatori di creazione e distruzione. Secondo una prassi comune in teoria di campi, scriviamo sistematicamente gli operatori di creazione a sinistra dei corrispondenti distruttori (ordinamento normale), e introduciamo una costante di ordinamento L0 = ∞ α 0 p2 X I α−n αIn + aφ + 4 n=1 (2.1.55) Imponendo la validità dell’algebra di Virasoro (2.1.53) si ottiene 2 L0 |0, 0i = [L1 , L−1 ] |0, 0i = 0 (2.1.56) aφ = 0 (2.1.57) e si trova quindi L’espressione per L0 mostra che gli oscillatore αnI abbassano per n > 0 (alzano per n < 0 ) l’autovalore di L0 di −n (n). I generatori di Virasoro e le espressioni in termini di operatori di creazione e distruzione di questi, saranno utilizzati quando discuteremo della carica di BRST, associata alla teoria di stringa bosonica. Il settore di ghost Per effetto del gauge-fixing compare anche nell’azione l’ulteriore termine (scritto in coordinate (z, z̄) e usando la metrica conforme) contenente i campi b e c Sgh ∝ Z d2 z bzz ∂z̄ cz + bz̄ z̄ ∂z cz̄ (2.1.58) dalla quale segue che i campi bzz e cz (indicati semplicemente con b e c per comodità) sono olomorfi, e quindi ammettono direttamente l’espansione in serie di Laurent: b(z) = ∞ X bm m=−∞ z m+2 c(z) = ∞ X cm −∞ z m−1 (2.1.59) 36 mentre i campi bz̄ z̄ e cz̄ (indicati con b̃ e c̃) sono anti-olomorfi ed ammettono un’analoga espansione in serie di Laurent della variabile z̄. Nel seguito della sezione ci riferiremo sistematicamente al settore composto da (b, c), essendo il settore con b̃, c̃ un duplicato esatto. Dalle espressioni (2.1.59), e ricordando il carattere fermionico di questi campi, si ottengono le regole di anticommutazione canoniche {bm , cn } = δm,−n (2.1.60) Per quanto concerne il vuoto dello spazio di Fock degli stati del sistema, abbiamo a priori diverse possibilità. Uno stato di vuoto |0n̄ i è infatti definito scegliendo un generico intero n̄, e definendo stato di vuoto lo stato definito dalla relazione cn |0n̄ i = 0 n > n̄ (2.1.61) che identifica quindi tutti i cn con n > n̄ come distruttori (e i b−n con n > n̄ come distruttori per b). La scelta più ovvia si ha prendendo n̄ = 0, e ottenendo il vuoto |Ωi definito dalla relazione cn |Ωi = 0 n > 0 (2.1.62) Tuttavia, in contesto di teorie di stringa e di teorie conformi, una scelta più conveniente (come mostreremo tra un momento) si ha prendendo come vuoto per lo stato di ghost lo stato |0i definito dalla relazione cn |0i = 0 n > 1 (2.1.63) e il cui legame con lo stato |Ωi è dato da |0i = b−1 |Ωi (2.1.64) |Ωi ha numero di ghost +1 rispetto al vuoto |0i, al quale viene assegnato, convenzionalmente numero di ghost nullo. Il motivo per cui lo stato |0i è quello più conveniente in teorie conformi è che questo è il vuoto che è invariante rispetto alla sotto-algebra SL(2, C) dell’algebra di Virasoro generata da L0 , L± . Grazie a questa proprietà, il vuoto |0i è anche quello invariante sotto l’azione della carica di BRST del sistema materia+ghost, rilevante per la teoria di stringa. L’invarianza del vuoto |0i si dimostra a partire dall’espressione per il tensore energia-impulso del sistema dei ghost: T (z) =: (∂b)c : −2∂ : (bc) : (2.1.65) dove con la notazione : : si intende l’ordinamento normale di operatori. Dal tensore energia-impulso, si ottiene l’espressione per i generatori di Virasoro Lm = +∞ X (2m − n) : bn cm−n : +δm,0 ag (2.1.66) n=−∞ dove la consueta costante di ordinamento ag , può essere determinata in maniera identica a quanto già svolto per il settore di materia, imponendo la validità dell’algebra di Virasoro 2L0 |0i = [L1 , L−1 ] |0i = 0 (2.1.67) 37 Pertanto ag = 0 (2.1.68) L0 |0i = L1 |0i = L−1 |0i = 0 (2.1.69) da cui consegue che |0i soddisfa le relazioni La carica di BRST Vogliamo ora ottenere come le trasformazioni di BRST dei campi φ,b e c (e coniugati) si traducano in corrispondenti trasformazioni sugli operatori di creazione e distruzione. Riscriviamo le trasformazioni di BRST sui campi nella maniera seguente ¯ I s φI = (c∂ + c̃∂)φ ¯ s c = (c∂ + c̃∂)c sb = Tφ + Tg ¯ s c̃ = (c∂ + c̃∂)c̃ s b̃ = T̃ φ + T̃ g (2.1.70) in cui la trasformazione per b e b̃ è stata ottenuta utilizzando le equazioni del moto per il moltiplicatore di Lagrange Γ. Per ottenere l’azione della carica di BRST, indicata con Q (che nel formalismo operatoriale sostituisce l’operatore s, e che agisce tramite (anti)commutazione[5]), sugli operatori di creazione e distruzione per i campi, usiamo le espansioni in serie di Laurent, ed uguagliando i termini di pari grado in z otteniamo: h I Q, αm h i =− i I Q, α̃m =− {Q, cm } = 0 12 α 2 X i αm−n cn n 0 12 α X m pI cm − m 2 m pI c̃m − m X I α̃m−n c̃n n (1 − n) cm−n cn n {Q, c̃m } = X (1 − n) c̃m−n c̃n n {Q, bm } = Lφm + Lgm n o Q, b̃m = L̃φm + L̃gm (2.1.71) L’espressione esplicita della carica di BRST diviene Q = + +∞ X m cn Lm −n + c̃n L̃−n + n=−∞ ∞ X m−n : cm cn b−m−n + c̃m c̃n b̃−m−n : 2 m,n=−∞ (2.1.72) dove Lm indica i generatori di Virasoro nel solo settore di materia. La (2.1.72) mostra, come anticipato, che |0i è Q-invariante Q |0i = 0 (2.1.73) 38 2.1.4 Lo spazio degli stati di stringa aperta e carica di BRST Passiamo quindi all’analisi della teoria di stringhe aperte, e poniamoci immediatamente nel sistema di coordinate (z, z̄), questo è ristretto al solo semipiano superiore del piano complesso (la coordinata spaziale infatti è limitata all’intervallo 0 < σ 1 < π), e pertanto le condizioni al bordo divengono ∂z φI = ∂z̄ φI sull’asse reale. Da ciò ne consegue che, per quanto riguarda i campi φI , vi è una sola famiglia di operatori di creazione e distruzione, visto che le condizioni al bordo impongono sugli stessi la condizione I I αm = α̃m (2.1.74) ∀m quindi, l’espressione in termini di operatori di creazione e distruzione del campo φI diviene 0 12 X I αm −m α (z + z̄ −m ) φ (z, z̄) = x − ıα p ln |z| + ı I I 0 I 2 2 m6=0 m (2.1.75) Un’ulteriore modifica si ha per quanto riguarda lo sviluppo normale di operatori, si può infatti mostrare [27] che la presenza del bordo richiede di modificare il prodotto normale di operatori giacenti sul bordo stesso, giungendo all’espressione seguente, che indicheremo con la notazione ? ? ?φI (y1 ) φJ (y2 ) ? = φI (y1 ) φJ (y2 ) + 2α0 η IJ ln |y1 − y2 | (2.1.76) in cui y indica la coordinata lungo il bordo. Per quanto concerne il tensore energia-impulso, le condizioni al bordo impongono la validità di Tzz = Tz̄ z̄ se Imz = 0 (2.1.77) e, con queste condizioni, è conveniente accorpare Tzz e Tz̄ z̄ in un unico tensore, definito su tutto il piano complesso dalla condizione Tzz (z) ≡ Tz̄ z̄ (z̄) se Imz < 0 (2.1.78) pertanto ne consegue che, in questo caso, vi è un solo insieme di generatori di Virasoro Lm con la consueta algebra [Lm , Ln ] = (m − n) Lm+n + c 3 m − m δm,−n 12 (2.1.79) Passando ai campi di ghost, b e b̃, e analogamente i campi c e c̃, sono ovviamente definiti nel solo semipiano superiore, con la condizione al bordo c(z) = c̃(z̄) b(z) = b̃(z̄) Im z = 0 (2.1.80) questa condizione consente di accorpare le coppie b, b̃ e c, c̃ nei campi b e c definiti in tutto il piano complesso dalle relazioni c(z) ≡ c̃(z̄) b(z) ≡ b̃(z̄) Im z < 0 (2.1.81) ne consegue quindi che, anche in questo caso, abbiamo una sola famiglia di operatori di creazione e distruzione per ciascun campo. 39 La carica di BRST É immediato accorgersi che la carica di BRST per la stringa aperta, ha un’azione non dissimile da quanto già discusso per la stringa chiusa. Con lo stesso metodo si ottiene h i I Q, αm = − 2α0 1 2 m pI cm − m X i αm−n cn n {Q, cm } = {Q, bm } = X n Lφm (1 − n) cm−n cn + Lgm (2.1.82) e l’espressione esplicita della carica di BRST diviene Q = +∞ X cn Lm −n + n=−∞ 2.1.5 ∞ X m−n : (cm cn b−m−n ) : 2 m,n=−∞ (2.1.83) Le osservabili di stringa bosonica Avendo discusso lo spazio di Fock degli stati sia per le stringhe aperte che chiuse, possiamo ora passare a discutere la comologia di Q per entrambe, ossia le osservabili della teoria. La deduzione degli stati fisici è identica nei due casi, tuttavia per le stringhe aperte è meno laboriosa in quanto vi è una sola famiglia di creatori e distruttori per ogni campo. Nel seguito riporteremo quindi la deduzione dei primi livelli di stringa aperta, mentre per le stringhe chiuse riporteremo solo gli analoghi risultati. Lo spettro di stringa aperta Tra la carica di BRST e il generatore L0 , sussiste la relazione [34] [Q, L0 ] = 0 (2.1.84) ricordando l’hermiticità di L0 , è possibile diagonalizzare contemporaneamente sia Q che L0 . In altre parole, gli stati dello spettro (elementi della comologia di Q), sono anche autostati per L0 L0 |ψi = β |ψi (2.1.85) con β un autovalore complesso. Tutti gli autostati con autovalore non nullo sono Q-banali, quindi non appartengono allo spettro: Q b0 L0 |ψi = |ψi = |ψi β β (2.1.86) Pertanto le osservabili devono soddisfare L0 |ψi = 0 (2.1.87) il cui significato può essere dedotto esplicitando l’azione del generatore L0 , e ricordando che il modello sigma in questione è una teoria scalare libera. Si ottiene infatti che la (2.1.87) é un’equazione di tipo Klein-Gordon per lo stato |ψi 0 I α p pI + ∞ X n=1 I α−n αn I + ∞ X n=1 ! n (: b−n cn + c−n bn :) |ψi = 0 (2.1.88) 40 Pertanto la massa invariante m2 ≡ −pI pI degli stati fisici è determinata dal livello totale secondo la relazione 0 αm = 2 ∞ X + I α−n αn I n=1 ∞ X n (: b−n cn + c−n bn :) (2.1.89) n=1 Notiamo ancora che, nel settore soddisfacente la condizione di mass-shell, Q e b0 anticommutano. Ha allora senso restringere l’attenzione al solo settore della comologia di Q relativa a b0 , ossia ai soli stati soddisfacenti8 b0 |ψi = 0 (2.1.90) Passiamo a considerare gli stati dello spettro (limitando la discussione ai soli primi due livelli): lo stato di vuoto si fattorizza nel prodotto tensore tra il vuoto di materia e il vuoto di ghost |VACi = |0mat i ⊗ |0gh i (2.1.91) Lo stato fisico di livello più basso è uno stato di ghost number 1 costituito da una stringa in propagazione con impulso k e lo stato c1 |0i nel settore di ghost. La condizione di fisicità (2.1.88) dice che questo stato è un tachione |0, ki ⊗ c1 |0gh i α0 m2 = −k 2 = −1 (2.1.92) Questo stato, che è evidentemente BRST-chiuso, non è BRST-esatto e pertanto appartiene alla comologia di BRST. Il tachione rappresenta un’instabilità infrarossa della teoria9 , il cui significato fisico sarà spiegato tra poco. Al livello successivo m2 = 0 (e considerando la sola comologia di numero di ghost 1), possiamo considerare D stati linearmente indipendenti |ψ1 i = (e · α−1 ) |0, ki ⊗ c1 |0i k2 = 0 (2.1.93) dove abbiamo introdotto un vettore di polarizzazione D-dimensionale eI . La condizione che questo stato sia BRST chiuso è Q |ψ1 i = 2α0 1 2 (k · e) |0, ki ⊗ c−1 c1 |0i (2.1.94) da cui si deduce che il vettore di polarizzazione eI deve essere trasverso k·e=0 (2.1.95) D’altro canto, è facile verificare che vettori di polarizzazione longitudinali eI ∝ k I corrispondono a stati BRST-esatti. Quindi lo spazio dei vettori di polarizzazione fisici è lo spazio dei vettori trasversi modulo la relazione di equivalenza: eI ' eI + β k I (2.1.96) con β reale arbitrario. 8 Condizione sulla quale è possibile consultare un’ampia letteratura (ad esempio [37]), e che nella terminologia anglosassone prende il nome di semi-relative condition. 9 La presenza, nello spettro di stringa bosonica, del tachione costituisce per inciso una delle ragioni per cui la stringa bosonica non è da considerarsi una teoria realistica, e deve essere estesa alle teorie di superstringa. 41 Riassumendo, a livello di stati a massa nulla, lo spettro è costituito da D − 2 particelle vettoriali, con polarizzazione trasversa e soggette all’invarianza di gauge (2.1.96). Gli stati appena trovati sono proprio i fotoni usuali dell’elettrodinamica. L’analisi può essere ripetuta in maniera analoga per tutti gli stati di massa crescente della stringa aperta. In questo modo si capisce come, in teoria di stringa, lo spettro sia costituito da un insieme infinito di particelle a massa crescente; le particelle a massa nulla sono, nelle stringhe aperte, i fotoni dell’elettrodinamica, che dunque può essere interpretata come un’approssimazione di bassa energia per la teoria di stringa. Stringhe chiuse Passando alle stringhe chiuse, la trattazione è del tutto equivalente. Ovviamente in questo caso vanno imposte due condizioni: b0 |ψi = b̃0 |ψi = 0 (2.1.97) Con metodi identici a quelli giá esposti, si ottengono i seguenti risultati per gli stati fisici a massa più bassa dello spettro e di numero di ghost 2: |0, ki ⊗ c1 c̃1 |0gh i m2 = − 4 α0 I J eIJ α−1 α̃−1 |0, ki ⊗ c1 c̃1 |0gh i m2 = 0 k I eIJ = k J eIJ = 0 (2.1.98) Lo spettro fisico della stringa chiusa bosonico presenta dunque, come quello aperto, un tachione che segnala, anch’esso un’instabilità perturbativa. Gli stati a massa nulla dipendono dal tensore eIJ il quale soddisfa l’equivalenza di gauge eIJ ' eIJ + aI kJ + kI bJ a·k =b·k =0 (2.1.99) e quindi in totale si hanno (D − 2)2 stati fisici. Gli stati a massa nulla sono descritti quindi da: (a) un tensore simmetrico a traccia nulla, che può essere identificato col gravitone; (b) un tensore antisimmetrico a due indici che è un campo peculiare della teoria di stringa. In 4 dimensioni questo campo può essere identificato con un assione. (c) Una particella scalare cui viene dato il nome di dilatone. 2.1.6 Dagli stati fisici alle osservabili Il nostro scopo è calcolare alcune ampiezze di scattering tra gli stati di stringa. Come noto, in teoria di campi, le ampiezze sono calcolate sfruttando la formula LSZ e calcolando le funzioni di correlazione tra le osservabili corrispondenti. Avendo trovato la misura funzionale di integrazione (la funzione di partizione), per calcolare ampiezze di scattering occorre un modo per ”tradurre” gli stati in corrispondenti osservabili. Per questo motivo faremo dapprima una discussione generale sulle osservabili in teoria dei campi, e sulle diverse rappresentazioni di queste, per poi discutere le implicazioni nel caso specifico in esame. Caratterizzazione delle osservabili: introduzione generale Consideriamo una teoria di gauge definita su una varietà n-dimensionale M . Sia s l’operatore di BRST della teoria, che soddisfa la proprietà {s, d} = 0 (2.1.100) 42 (0) sia inoltre Om , un’osservabile della teoria (ossia una classe di comologia per s), e poniamo sia una zero-forma avente numero di ghost m ≥ n. (0) Poniamo ora che Om soddisfi l’equazione (1) (0) d Om = s Om−1 (2.1.101) (1) per un’opportuna uno-forma Om−1 avente numero di ghost m − 1. È allora evidente che, (1) integrata su un ciclo unidimensionale, anche Om−1 definisce una diversa rappresentazione della medesima osservabile. La procedura può essere iterata per dare luogo all’equazione di discesa (n) (n−1) s Om−n = d Om−n+1 (n−1) (n−2) s Om−n+1 = d Om−n+2 ...... (1) (0) s Om−1 = d Om (0) s Om =0 (2.1.102) Specializzando il discorso alle teorie di stringa, esibiremo le osservabili in corrispondenza degli stati trovati nella precedente sezione a partire dal livello di zero forme, per poi cercare le corrispondenti uno e due-forme. Cominciando con le stringhe aperte, lo stato di tachione è il ket (2.1.103) |0, ki ⊗ c1 |0gh i di numero di ghost 1. Lo stato |0, ki, corrispondente al settore di materia, è ottenibile agendo sul vuoto della teoria bosonica attraverso un operatore che generalizza al caso della stringa l’onda piana della teoria dei campi scalari liberi: |0, ki = lim : eık·φ(z) : |0, 0mat i z→0 (2.1.104) dove il segno di ordinamento normale si riferisce all’ordinamento normale della teoria scalare. Per il settore di ghost abbiamo, analogamente c1 |0i = lim c(z) |0gh i z→0 (2.1.105) In definitiva lo stato del tachione |0, ki ⊗ c1 |0i = lim : c(z) eık·φ(z) : |0, 0mat i|0gh i z→0 (2.1.106) si ottiene dal vuoto BRST invariante agendo con l’operatore scalare O(0) ≡: c(z) eık·φ(z) : α0 k 2 = 1 (2.1.107) che è chiamato l’operatore di vertice corrispondente allo stato fisico in questione. La corrispondente uno-forma è data da O(1) ≡: eık·φ : (2.1.108) 43 Per il fotone osserviamo che si ha (a parte un fattore di proporzionalità) ∂φI (z) |0, ki = X αI n n z n+1 (2.1.109) |0, ki così che I α−1 |0, kmat i ⊗ |0gh i = lim ∂φI (z) : eık·φ(z) : |0, 0mat i ⊗ |0gh i z→0 k2 = 0 (2.1.110) Al fotone corrisponde pertanto l’operatore di vertice (zero-forma) (0) O1 (z) =: c(z) e · ∂φ(z)eık·φ : k2 = 0 (2.1.111) mentre la corrispondente uno-forma è (1) O0 =: e · ∂φ(z)eık·φ (2.1.112) Per la stringa chiusa, lo stato di tachione è (2.1.113) |0, ki ⊗ c1 c̃1 |0i di numero di ghost 2 e a cui corrisponde la zero-forma O(0) ≡: c(z) c̄(z) eık·φ : (2.1.114) con la condizione su k k2 = 4 α0 (2.1.115) e la corrispondente due-forma O(2) ≡: eık·φ : (2.1.116) Gli stati successivi sono ottenuti utilizzando la relazione (che si ricava nella stessa maniera di quella mostrata per il fotone) I α−m I α̃−m 2 1/2 1 →ı ∂ m φI (0) 0 α m − 1! 1/2 2 1 ¯m I →ı ∂ φ (0) α0 m − 1! m≥1 m≥1 (2.1.117) In conclusione ad ogni stato fisico della stringa bosonica è possibile associare un operatore locale BRST-invariante di numero di ghost 1 nel caso della stringa aperta o 2 per la stringa chiusa — detto operatore di vertice — a valori nelle 0-forme, il quale, agendo sul vuoto invariante e valutato nel punto z = 0 genera lo stato fisico corrispondente. Le equazioni di discesa associano a queste 0-forme degli operatori di ghost number 0 a valori nelle 1-forme per le stringhe aperte e a valori nelle 2-forme per le stringhe chiuse che sono BRST-invarianti modulo d. Sono quest’ultime che saranno utilizzate per costruire delle ampiezze di scattering invarianti per ogni insieme di stati fisici. 44 2.1.7 Le ampiezze di scattering Avendo definito gli stati fisici della teoria bosonica (quantomeno ai livelli di massa più bassi), vogliamo vedere come assemblare i vari pezzi per costruire delle ampiezze di scattering tra stringhe [32]. Da un punto di vista concettuale, riprendendo un’argomentazione ben nota in teoria dei campi [5, 6] e considerando momentaneamente le sole stringhe chiuse, immaginiamo di avere preparato, nel lontano passato, m stringhe negli stati i1 . . . im e aventi impulsi k1 . . . km , stringhe che considereremo inizialmente libere e molto distanziate tra loro. Gli stati così preparati sono poi lasciati evolvere, fatti interagire, per dare luogo, al termine dell’interazione, ad n − m stringhe negli stati im+1 . . . in e aventi impulsi km+1 . . . kn , che a loro volta evolvono liberamente nel target-space. Per l’aspetto di interazione, la situazione è diversa dalla corrispondente situazione in teoria dei campi: in linea di principio, si puó sommare su tutti i possibili ”vertici” di interazione tra gli stati asintotici così preparati. Ad esempio prendendo due stringhe negli stati asintotici iniziali ed unendole a formare un unico tubo uscente, si costruisce l’equivalente di un vertice a tre gambe in teoria di campo. Peró in teoria dei campi si possono costruire vertici con un numero arbitrario di gambe esterne (la richiesta di invarianza di Lorentz non pone vincoli sui vertici stessi), in teoria di stringa, per via dell’invarianza conforme, qualunque altro tipo di vertice nel world sheet può sempre essere ricondotto ad una somma di “vertici” a tre. Da un punto di vista grafico, le stringhe iniziali e finali, essendo in evoluzione libera, assumono la topologia di un lungo cilindro, con la coordinata spaziale che scorre su una circonferenza e il tempo che scorre lungo l’altezza del cilindro. Negli istanti di interazione, queste invece originano topologie più variegate, corrispondenti ai diversi stati intermedi che nascono con lo scattering. Comunque, per il carattere locale dell’interazione, tutte le topologie corrispondenti all’interazione sono compatte, e si identificano come superfici di Riemann chiuse di genere differente. Passando alle stringhe aperte, la situazione è del tutto analoga, solo che le stringhe iniziali e finali avranno la topologia di una striscia, mentre i world-sheet intermedi assumeranno la topologia di superfici di Riemann compatte con bordi e di genere differenti. Possiamo pensare di calcolare l’ampiezza di scattering inserendo nella funzione di partizione le osservabili corrispondenti agli stati asintotici iniziali e finali nella funzione di partizione (in maniera identica a quanto avviene in teoria dei campi), e sommando su tutte le possibili topologie compatte dei world-sheet intermedi. Somma che assume il significato di uno sviluppo a loop, in cui il genere del world-sheet assume il significato dell’ordine perturbativo10 e, all’ordine più basso, il world-sheet diviene una sfera per le stringhe chiuse e un disco per le stringhe aperte. In generale, per rendere l’ampiezza calcolata indipendente dai punti di inserzione, gli operatori di vertice saranno 2-forme da integrare sul world-sheet nel caso degli operatori di stringa chiusa, oppure 1-forme da integrare sul bordo del world-sheet nel caso degli operatori di stringa aperta. Tutta la discussione si riassume nella seguente espressione per l’ampiezza di scattering 10 Quest’idea, secondo la quale il genere della superficie di Riemann assume il significato dell’ordine perturbativo, e che rappresenta una peculiarità delle teorie di stringa, è stata per la prima volta introdotta in [32]. 45 tra stati di stringa: Sj1 ...jn (k1 , . . . , kn ) = XZ h dΨ i i e −SP + s̃ΨGF Z Σ g≥0 O (2) (ja ; ka ) Z ∂Σ O(1) (ja ; ka ) (2.1.118) dove abbiamo indicato con la notazione collettiva Ψi i campi e i moduli della teoria, mentre con O(2) (ja , ka ) e O(1) (ja , ka ) abbiamo indicato le 2-forme e le 1-forme di numero di ghost nullo che corrispondono agli stati fisici |ja , ka i di momento ka e spin ja . Nei prossimi paragrafi, discuteremo alcune applicazioni della (2.1.118), che forniranno lo spunto per iniziare una discussione sulla possibilità di sviluppare la teoria di stringa fin qui descritta, direttamente a partire dal target-space, senza passare per la formulazione perturbativa di world-sheet qui descritta. 2.1.8 Calcolo di correlatori, fisica del target-space di bassa energia Calcoleremo ampiezze di scattering solamente a tree-level; ossia solo con world-sheet di genere 0: la sfera (nel caso senza bordo cioè di stringa chiusa) e il disco (nel caso con bordo cioè di stringa aperta). Preliminari: la sfera e il disco Cominciamo dalla sfera: dal teorema di Riemann-Roch si ottiene che la sfera non ha moduli, dunque tutte le metriche possono essere condotte con un’opportuna trasformazione di gauge (diffeomorfismi e trasformazioni di Weyl), ad una metrica di background, ad esempio: 4dzdz̄ (2.1.119) 1 + z z̄ utilizzando il metodo della proiezione stereografica, la sfera (escludendo il polo nord) può essere identificata col piano complesso. Sempre dal teorema di Riemann-Roch, segue che la sfera pur non avendo moduli, ha un conformal killing group non banale, ossia la scelta della metrica di background (2.1.119) non fissa completamente tutta la simmetria: in particolare sussiste ancora la simmetria residua data dalla trasformazione αz + β (2.1.120) z→ γz + δ pertanto il conformal killing group dipende da quattro parametri complessi, tuttavia è possibile fissarne uno imponendo che valga la relazione ds2 = αδ − βγ = 1 (2.1.121) così il conformal killing group consta di tre parametri complessi, e può essere fissato fissando la posizione di tre operatori di vertice chiusi posti sulla sfera. In altri termini, per calcolare ampiezze di scattering sulla sfera occorre che tre operatori di vertice siano zero-forme fissate in punti arbitrari del world-sheet, in modo da eliminare la simmetria residua. Passando a discutere il disco, è evidente che questo è isomorfo a metà sfera (la metà superiore ad esempio). Pertanto questo può essere identificato con il semipiano complesso superiore mentre il bordo viene ad identificarsi con l’asse reale. Nuovamente, tutte le metriche sono gauge equivalenti (ossia anche il disco non ha moduli) mentre il conformal killing group ha la medesima forma della (2.1.120), tuttavia in questo caso i parametri sono reali. Ne consegue che anche in questo caso la simmetria residua può essere fissata fissando la posizione di tre operatori di vertice sul bordo del disco (ossia, per l’identificazione prima citata, fissati sull’asse reale). 46 Ampiezze di scattering tra tachioni sulla sfera Iniziamo con il calcolo dell’ampiezza di scattering tra tachioni di stringa chiusa sulla sfera. Consideriamo l’ampiezza di scattering tra n tachioni sulla sfera aventi impulsi k1 . . . kn . Utilizzando la (2.1.118), la (2.1.116) e fissando tre operatori di vertice, otteniamo Sn = Z h i dΨi e−SP + s ΨGF n Z Y eıki ·φ i=4 Σ 3 Y : c c̄eıki ·φ (zi ) : (2.1.122) i=1 Calcoliamo quindi dapprima l’integrale nel solo settore di materia (e trascurando momentaneamente il contributo dato dai ghost) Z 1 [dX] exp − 4πα0 ( Z Σ X √ µν gg ∂µ φI ∂ν φI + ı ki · φ ) (2.1.123) i scriviamo quindi i campi φI nella forma analoga alla (2.1.75) φI = xI + φIcl + Y I (2.1.124) nella quale abbiamo indicato con φIcl la soluzione delle equazioni del moto φIcl = −ı α0 X I k ln |z − zi |2 2 i i (2.1.125) e si perviene all’espressione P ! D D (2π) δ X ki e ı k ·φ i i cl 2 Z i 1 [dY ] exp − 4πα0 Z √ Σ gg ∂µ Y ∂ν YI (2.1.126) µν I e vediamo che l’ultimo termine è una costante ed è indipendente dagli operatori di vertice. Così, a meno di costanti moltiplicative, l’integrale di cammino diviene ! D D (2π) δ X Y ki i 0 |zi − zj |α ki ·kj (2.1.127) i<j Ottenuta la (2.1.127), resta da compiere l’integrazione sulla posizione di inserzione degli operatori di vertice non fissati dal conformal killing group. Pertanto la (2.1.127) va integrata su Z (2.1.128) d2 z4 . . . d2 zn Stante questo, concentriamo l’attenzione verso i due casi più semplici: le ampiezze a tre e quattro tachioni. Iniziando con il caso dei tre tachioni, è evidente che in questo caso non occorre alcuna integrazione, e l’ampiezza è semplicemente data da 0 0 0 |z12 |α k1 ·k2 |z13 |α k1 ·k3 |z23 |α k2 ·k3 (2.1.129) nella quale abbiamo usato la notazione abbreviata zij = zi − zj . La (2.1.129) può comunque essere semplificata, e sfruttando la condizione di mass-shell e la conservazione dell’impulso si arriva a: |z12 z13 z23 |−2 (2.1.130) 47 che, è indipendente dall’impulso degli operatori di vertice, ma dipende dalla posizione di inserzione degli operatori di vertice medesimi. Il risultato vá completato calcolando il determinante fermionico derivante dall’inserzione dei ghost. Il valore assunto da questo determinante può essere dedotto anche senza effettuare calcoli espliciti: l’ampiezza consiste di un termine esclusivamente di gauge-fixing e la (2.1.130) dipende dai punti di inserzione (e quindi in definitiva dipende dal particolare gauge-fixing utilizzato). Si deduce quindi che il determinante fermionico deve essere proporzionale a (2.1.131) J ∝ |z12 z13 z23 |2 in modo da eliminare la dipendenza dal gauge-fixing. Riassumendo, l’ampiezza di scattering per tre tachioni sulla sfera viene ad essere una costante e, la generica ampiezza a n tachioni sulla sfera, può essere scritta, a meno di costanti moltiplicative, nella forma S(k1 . . . kn ) = Z d2 z4 . . . d2 zn |z12 z13 z23 |2 Y 0 |zij |α ki ·kj (2.1.132) i<j visto l’indipendenza dai punti di inserzione degli operatori fissi, è conveniente porre z1 = 0, z2 = 1 e z3 → ∞. Sfruttando la condizione di mass-shell e la conservazione dell’impulso, è possibile cancellare tutti i monomi che coinvolgono z3 , ottenendo così l’espressione (2.1.132) = Z d2 z4 . . . d2 zn 0 |zij |α ki ·kj Y (2.1.133) i<j6=3 Passiamo a discutere il caso di quattro tachioni (ampiezza che prende il nome di ampiezza di Virasoro-Shapiro); in questo caso la (2.1.133) assume la forma Z 0 0 d2 z4 |z4 |α k1 ·k4 |1 − z4 |α k2 ·k4 (2.1.134) integrale che può essere risolto, e così l’ampiezza per quattro tachioni diviene ! (2π)D+1 δ D X ki i Γ (1 + α0 k1 · k4 /2) Γ (1 + α0 k2 · k4 /2) Γ (1 + α0 k3 · k4 /2) (2.1.135) Γ (−α0 k1 · k4 /2) Γ (−α0 k2 · k4 /2) Γ (−α0 k3 · k4 /2) Introducendo poi le variabili di Mandelstam s = − (k1 + k2 )2 , t = − (k1 + k3 )2 , u = − (k1 + k4 )2 (2.1.136) si perviene all’espressione equivalente ! (2π) D+1 D δ X i ki Γ (−1 − α0 s/4) Γ (−1 − α0 t/4) Γ (−1 − α0 u/4) (2.1.137) Γ (2 + α0 s/4) Γ (2 + α0 t/4) Γ (2 + α0 u/4) Come unica osservazione sull’equazione (2.1.137), ci limitiamo ad osservare che l’ampiezza ha poli ogniqualvolta una delle funzioni Γ a numeratore ha un intero non positivo come argomento, ossia ogniqualvolta s,t o u assumono uno dei seguenti valori − 4 4 8 , 0, 0 , 0 , . . . α0 α α (2.1.138) che sono esattamente i valori delle masse al quadrato degli stati di stringa chiusa. 48 Ampiezze di stringa aperta, fattori di Chan-Paton e fotoni Passiamo a discutere le ampiezze di stringa aperta sul disco (che è l’analogo della sfera nella teoria aperta). Il disco può essere pensato come mezza sfera, e quindi può essere identificato con il semipiano complesso superiore, con l’asse reale che si identifica con il bordo. Per questo motivo gli operatori di vertice applicati sul bordo del disco, saranno pensati applicati sull’asse reale del piano complesso (e gli integrali saranno integrali sull’asse reale), asse la cui coordinata sarà indicata con x. Le ampiezze di tachioni sul disco non differiscono significativamente da quanto discusso sulla sfera, e pertanto la discussione non sarà richiamata. Viceversa sono di interesse le ampiezze di scattering tra stati a massa nulla (che nel seguito saranno genericamente denominati fotoni). Ad un fotone, con vettore di polarizzazione e e impulso k, corrisponde l’operatore eI : φ̇I eık·φ : (2.1.139) dove abbiamo indicato con φ̇I la derivata lungo il bordo. Prima di passare a definire e calcolare ampiezze di scattering tra fotoni, è necessario introdurre una generalizzazione della teoria di stringhe aperte, che consenta di trattare le teorie di gauge sul target-space in contesto di stringa; generalizzazione che và sotto il nome di fattore di Chan-Paton. Una stringa aperta ha, ovviamente, i due estremi liberi, e dunque è possibile assegnare ad entrambi gli estremi due ulteriori gradi di libertà, uno per estremo. Chiameremo questo grado ulteriore di libertà fattore di Chan-Paton, e immaginiamo che complessivamente vi siano n fattori distinti. In questo modo il generico stato di stringa aperta verrà denotato con la notazione (2.1.140) |N, k, i, ji dove con i, j abbiamo indicato i fattori di Chan-Paton degli estremi destro e sinistro della stringa, mentre N indica i gradi di libertà interni dello stato, e k è l’impulso dello stesso. In questo modo si vengono così ad avere n2 tachioni, n2 fotoni e così via. Introducendo poi le n2 matrici λaij , che possono essere viste come le funzioni d’onda di Chan-Paton, con la condizione di normalizzazione Tr λa λb = δ ab (2.1.141) possiamo passare alla base in cui è definita λ, ossia in formule |N, k, ai = n X (2.1.142) |N, k, i, ji λaij i,j=1 Stante questa discussione, possiamo valutare il calcolo di un’ampiezza di scattering: nuovamente come già discusso per la sfera, il conformal killing group impone di fissare la posizione di tre operatori sul bordo del world-sheet, pertanto la più semplice ampiezza tra stati a massa nulla che può essere calcolata è l’ampiezza a tre fotoni S (k1 , a1 , e1 ; k2 , a2 , e2 ; k3 , a3 , e3 ) ∝ ∝ |x12 x13 x23 |h: e1 · φ̇e ık1 ·φ(x1 ) :: e2 · φ̇e (2.1.143) ık2 ·φ(x2 ) :: e3 · φ̇e ık3 ·φ(x3 ) :i Tr (λ a1 [λ , λa3 ]) a2 in cui abbiamo usato la notazione compatta h i, per denotare l’integrale di cammino, mentre la traccia sulle matrici di Chan-Paton è stata ottenuta considerando che, visto che i fattori 49 di Chan-Paton non subiscono interazioni, è necessario che lo stato dell’estremo destro del fotone 1 coincida con l’estremo di sinistra del fotone 2 e così via. Per effettuare l’integrale di cammino, occorre contrarre tutti i campi φ̇ presenti, e la contrazione si può fare o tra i campi φ̇ o con gli esponenziali. A seconda di quale contrazione si effettua vi sono due tipi di termini: quelli in cui tutti e tre i φ̇ sono contratti con gli esponenziali, e che dunque danno luogo ad un di ordine k 3 ; e quelli in cui due φ̇ sono contratti tra di loro, e il terzo con un esponenziale, dando così luogo a termini di ordine k. Complessivamente l’ampiezza diviene dunque ! D D S ∝ (2π) δ X ki (e1 · k23 e2 · e3 + e2 · k31 e3 · e1 + e3 · k12 e1 · e2 + i α0 + e1 · k23 e2 · k31 e3 · k12 Tr (λa1 [λa2 , λa3 ]) 2 (2.1.144) Va ora rilevato come, l’ampiezza appena ottenuta, sia ottenibile anche a partire dalla seguente lagrangiana di target-space 0 L ∝ α0 Tr FIJ F IJ + α 2 Tr FI J FJK FKI (2.1.145) in cui il primo termine è l’usuale lagrangiana di Yang-Mills, mentre il secondo è un termine ulteriore che si annulla per valori piccoli di α0 e che serve a riprodurre il termine proporzionale a k 3 nella (2.1.144). Questa osservazione ci porta ad ipotizzare che, le usuali teorie di spazio-tempo, possano essere viste come azioni effettive di bassa energia (sul target-space) della teoria di stringa, e che abbiano in realtà delle correzioni di ordine superiore delle quali il secondo addendo della (2.1.145) rappresenta il primo termine. In quest’ottica, si può pensare di ottenere una formulazione di target-space (o di seconda quantizzazione) per la teoria di stringa bosonica sviluppata in questo paragrafo; ossia una formulazione che, anziché partire dall’integrale di cammino sul world-sheet, sia definita direttamente sul target space, e della quale l’azione (2.1.145) rappresenti i termini di ordine più basso. Tuttavia, visto l’infinità di stati di stringa presenti nello spettro bosonico (come accennato in precedenza), tale programma risulta estremamente arduo da ottenere esattamente in una teoria di stringa bosonica11 . Prima di proseguire và chiarito il senso con cui sono usate le espressioni prima quantizzazione˝e seconda quantizzazione˝. Per chiarire il significato conviene ripartire dall’espressione(2.1.20): questa definisce un modello sigma non lineare, il cui carattere non lineare dipende dalle caratteristiche della metrica posta sul target-space, metrica che quindi può essere pensata un background per la teoria conforme bidimensionale. Dal punto di vista della teoria bidimensionale quindi, un cambio di background corrisponde ad una differente teoria (infatti è la metrica a definirne la parte interagente). D’altro canto, come abbiamo visto discutendo lo spettro di stringa chiusa, tra gli stati di stringa chiusa è presente il gravitone, che va considerato come una perturbazione alla metrica di background scelta, e a partire dalla quale viene sviluppata la teoria. In quest’ottica si inserisce pertanto il concetto di formulazione di prima quantizzazione: infatti tutta la teoria sviluppata può essere vista come uno sviluppo perturbativo, attorno ad una teoria conforme scelta come background (che può essere pensata come lo stato di vuoto da cui viene fatto partire lo sviluppo perturbativo). In questo contesto trova una giustificazione la richiesta che 11 E una teoria completa di seconda quantizzazione alla teoria di stringa bosonica non è attualmente disponibile, studi in questa direzione sono l’oggetto di indagine della cosiddetta string field theory, per la quale si rimanda alla vasta letteratura, ad esempio [36]. 50 le osservabili, a livello di zero-forme, abbiano numero di ghost pari a due: infatti in questo modo le corrispondenti due-forme hanno numero di ghost nullo, e possono essere considerate come deformazioni dell’azione originaria senza violare la conservazione del numero di ghost. Sempre in questo contesto si motiva la presenza del tachione: la presenza di questo infatti segnala un’instabilità del vuoto scelto per lo sviluppo perturbativo. Riassumendo quanto appena esposto, mostra in che senso l’approccio di world-sheet sia da considerarsi un approccio di prima quantizzazione, e che di conseguenza la formulazione ottenuta sia manifestamente dipendente dal background. Viceversa la (2.1.145) definisce una formulazione di seconda quantizzazione (formulazione che tuttavia va considerata solo come un’approssimazione di bassa energia), in quanto questa è direttamente formulata nello spazio-tempo ed è indipendente dal background. Nel prossimo paragrafo, mostreremo come i modelli sigma topologici introdotti nel primo capitolo, in virtù del ridotto numero di stati presenti nello spettro e della validità esatta del limite di accoppiamento debole, possano dare luogo ad un’azione di target-space che non sia un’approssimazione di bassa energia ma che sia esatta a tutti gli ordini. 2.2 La stringa topologica Passiamo dunque a costruire, seguendo l’esempio della scorsa sezione sulla stringa bosonica, le teorie di stringa topologica. Nel primo capitolo della tesi, ci siamo già occupati di definire le caratteristiche salienti dei modelli sigma topologici e della gravità topologica; scopo di questo capitolo sarà pertanto dapprima riprendere quanto esposto e fornire i dovuti ampliamenti necessari (In particolare vedremo come possono essere caratterizzati i correlatori di osservabili), per poi procedere all’accoppiamento delle due teorie. In ultimo cercheremo di fornire una giustificazione alle formulazioni di target-space per entrambi i modelli di sola stringa aperta, non sarà nostra pretesa fornire una deduzione rigorosa e precisa di quest’aspetto (che si inserisce nell’ambito della string field theory), ma ci limiteremo a fornire solo alcune argomentazioni di plausibilità sulla forma assunta dalle azioni di spazio-tempo. 2.2.1 I modelli sigma topologici: richiami e ampliamenti Riportiamo quindi l’attenzione sui modelli sigma topologici (modello A e modello B) discussi nel primo capitolo. In questa sezione ci preoccuperemo dapprima di approfondire l’analisi delle osservabili [18, 23], ossia ci proponiamo di ottenere, a partire dalle osservabili O(0) già trovate nel primo capitolo, le soluzioni della discesa: s O(2) = dO(1) s O(1) = dO(0) s O(0) = 0 (2.2.1) Risolta la discesa ci preoccuperemo di studiare e definire in modo corretto i correlatori di osservabili. Le osservabili del modello A Come abbiamo visto (equazione (1.5.19)), le osservabili del modello A (a livello di zero-forme) sono isomorfe alla comologia del differenziale di de Rham sul target-space X, ossia si ha che (0) OV ≡ VI1 ,...,Im (φ)χI1 . . . χIn (2.2.2) 51 definisce un’osservabile del modello A (di numero di ghost n) se la corrispondente n-forma V appartiene alla comologia di de Rham su X. Stante questo risultato, è ora di verifica immediata che la soluzione dell’equazione di discesa è fornita dall’espressione (1) OV = −nVI1 ,...,Im (φ)dφI1 χI2 . . . χIn n(n − 1) (2) OV = − VI1 ,...,Im (φ)dφI1 dφI2 χI3 . . . χIn 2 (2.2.3) Nello specifico, passando a considerare il caso marginale (ossia di un’osservabile che a livello di due-forma definisce una deformazione dell’azione senza rompere la conservazione del numero di ghost), in cui valga n = 2, si trova la due-forma (2) OV = −VI1 I2 dφI1 dφI2 = −φ∗ (V ) (2.2.4) che rappresenta esattamente la deformazione del termine topologico φ∗ (K) dovuta ad un cambio della classe di Kahler sul target-space. Riassumendo, possiamo concludere che le deformazioni del modello A, sono in relazione con le deformazioni della struttura di Kahler sul target-space. Le osservabili del modello B Come abbiamo già notato nel primo capitolo, nel modello B le osservabili sono definite come la comologia di s modulo le equazioni del moto, tuttavia questa comologia è apparentemente insoddisfacente: infatti, come abbiamo visto, l’azione del modello B consiste esclusivamente di un termine di gauge-fixing, e quindi a priori siamo portati ad ipotizzare che la comologia di s on-shell, e quindi in definitiva le osservabili del modello, dipendano dalla scelta fatta sul fermione di gauge. Si può comunque mostrare [18] che questa arbitrarietà è insignificante, infatti le varie comologie ottenute con diversi fermioni di gauge sono in realtà isomorfe e quindi non danno luogo a differenze significative. Stante questa osservazione, ripartiamo dalla (1.5.29) j j ...j O(0) = η ı̄1 ...η ı̄p Vı̄11ı̄22...ı̄p q θj1 ...θjq (2.2.5) che definisce evidentemente la soluzione della discesa a livello di zero-forme, e proponiamoci di ottenere le corrispondenti O(1) e O(2) che completano la soluzione dell’equazione di discesa. A tal proposito, ricordiamo che, la struttura supersimmetrica da cui derivano i modelli sigma topologici, definisce oltre all’operatore di BRST, anche un operatore vettoriale G, che chiameremo operatore di discesa, e che nello specifico del modello B è dato dalla combinazione G = (Q+ + Q− ) (2.2.6) il quale è caratterizzato dalla seguente regola di commutazione con s [18] {s, G} = D (2.2.7) in cui D è la derivata covariante, e che si riduce all’espressione {s, G} = d sulle quantità invarianti per riparametrizzazioni sul target-space. (2.2.8) 52 La caratteristica sintetizzata nella (2.2.7) consente di risolvere la discesa a partire dalle osservabili a livello di zero-forme, tramite l’applicazione ripetuta di G; infatti ponendo ad esempio O(1) = G O(0) (2.2.9) s O(1) = {s, G} O(0) = d O(0) (2.2.10) si ottiene la quale mostra che tramite l’azione dell’operatore di discesa, l’equazione di discesa è automaticamente risolta, previa la conoscenza della comologia a livello di zero-forme. Specializzando ora il discorso al modello B, e nello specifico all’osservabile (1.5.31) con numero di ghost 2 O(0) = η ı̄ µjı̄ θj (2.2.11) (0) (0)i notiamo anzitutto che O(0) si scompone nel prodotto di due operatori O1i = θi e O2 µiı̄ η (ı̄) [18]; applicando quindi ad entrambi l’operatore di discesa G si ottiene = (0) O1i = θi (1) O1i = −Gī dφj̄ (2) O1i = 0 (2.2.12) e (0)i = µiı̄ η (ı̄) (1)i = µī dφ̄ + Dψ µī η ̄ O2 O2 (2)i O2 1 = Dψ µī dφ̄ + DF µī η ̄ + Dψ2 µī η ̄ 2 (2.2.13) dove abbiamo indicato con D la derivata covariante costruita col pull-back della connessione di Levi-Civita sul target-space, mentre la notazione Dψ è un modo compatto di indicare ψ i Di . Le equazioni (2.2.12) ed (2.2.13), consentono di trovare i discendenti di O(0) nella maniera seguente (0) (0) (1) (0) (0) (1) (2) (0) (1) (1) O(0) = O1 O2 O(1) = O1 O2 − O1 O2 (2) (0) O(2) = O1 O2 − O1 O2 + O2 O1 (2.2.14) il discorso può poi essere ripetuto per le altre osservabili del modello; ricordiamo che avevamo già osservato nel primo capitolo, che le osservabili con numero di ghost 2 sono in relazione con le deformazioni della struttura complessa sul target-space; riprendendo questa osservazione possiamo quindi concludere che a queste osservabili corrisponde una ben definita deformazione dell’azione, e che dunque tali deformazioni sono anch’esse in corrispondenza con le deformazioni della struttura complessa. 53 Le funzioni di correlazione del modello A Discusse le soluzioni dell’equazione di discesa per entrambi i modelli possiamo passare a discutere il calcolo dei correlatori, e cominceremo nuovamente dal modello A. Il carattere topologico del modello consente di passare al limite di accoppiamento debole, pertanto l’integrale di cammino può essere calcolato con la seguente procedura: si sviluppa l’azione all’ordine più basso rispetto alle soluzioni delle equazioni del moto, da questa si calcolano i determinanti fermionici e bosonici derivanti dal calcolo ad un loop, e poi si integra rispetto alle soluzioni delle equazioni del moto. Trattandosi di un sistema supersimmetrico, è comunque ben noto che i contributi ad un loop fermionici e bosonici si cancellano a vicenda, dando dunque come risultato netto 1. Pertanto ciò che rimane è l’integrazione rispetto alle soluzioni delle equazioni del moto. Le soluzioni delle equazioni del moto del modello A si identificano, nel settore bosonico, con lo spazio delle mappe olomorfe di grado n, che indicheremo con Mn ∂z̄ φi = ∂z φı̄ = 0 (2.2.15) mentre per quanto concerne i gradi fermionici, analogo ragionamento conduce alle equazioni Dz̄ χi = Dz χı̄ = 0 Dz ψz̄i = Dz̄ ψzı̄ = 0 (2.2.16) Stante questa discussione di carattere preliminare, vogliamo ora discutere un’anomalia riguardo la conservazione del numero di ghost nei correlatori quantistici del modello A. A tal fine ricordiamo che, i campi χ possono essere interpretati come delle zero-forme a valori in Φ∗ (T X), mentre i campi ψ come delle uno-forme a valori in Φ∗ (T X); d’altra parte, il teorema di Riemann-Roch, fissa le dimensioni di questi due spazi (che indicheremo con H (0) e H (1) rispettivamente) tramite la relazione dim H (0) − dim H (1) = 2d (1 − g) + c1 (X) (2.2.17) nella quale si è indicata con d la dimensione del target-space X, con g il genere della superficie Σ e con c1 (X) la prima classe di Chern del target-space. Dalla (2.2.17) si deduce quindi la relazione (ponendo che X sia spazio di Calabi-Yau12 ) ]χ(0) − ]ψ (0) = 2d (1 − g) (2.2.18) dove abbiamo indicato con χ(0) e ψ (0) gli zero modi. La (2.2.18) esprime l’anomalia di ghost prima citata, ne consegue infatti che qualunque correlatore che non abbia numero di ghost pari a 2d (1 − g) si annulla per la presenza di modi zero non fissati. Le funzioni di correlazione del modello B Per quanto riguarda il modello B, si possono applicare le medesime considerazioni appena esposte per il modello A: anch’esso esibisce un’anomalia nella conservazione del numero di ghost. Il calcolo esplicito, fatto sulla traccia di quello appena esposto, consente di concludere che, in questo caso, il limite di accoppiamento debole sui campi bosonici riduce l’integrale 12 Senza addentrarci nei dettagli delle questioni geometriche, ci limiteremo a ricordare che uno spazio di Calabi-Yau è una varietà di Kahler, con prima classe di Chern nulla, tutti i dettagli a riguardo sono reperibili ad esempio su [26]. 54 funzionale ad un integrale sullo spazio delle mappe costanti da Σ a M ; ossia in un integrale su tutto M ; il teorema di Riemann-Roch stabilisce poi nuovamente la relazione ]η (0) + ]θ(0) − ]ψ (0) = 2d (1 − g) (2.2.19) che sancisce l’anomalia nella conservazione del numero di ghost; sono non nulli infatti solo i correlatori che possiedono numero di ghost totale pari a 2d (1 − g). Come abbiamo già avuto modo di rilevare nel primo capitolo, c’è comunque una sostanziale differenza rispetto al modello A: infatti nel modello B l’azione della simmetria di BRST sui campi bosonici φi e φı̄ è chirale, e quindi, in linea di principio, può sorgere un’ulteriore anomalia dovuta proprio alla chiralità della trasformazione. Vogliamo ora esplorare più a fondo la definizione degli zero-modi per i campi, per mostrare che la condizione di annullamento dell’anomalia porta alla richiesta che il target-space sia spazio di Calabi-Yau [18, 23]. Per procedere in tal senso, notiamo che gli zero-modi dei campi aventi comportamento scalare sul world-sheet (vale a dire gli zero modi per φ, φ̄, η ı̄ e θi ) sono tutti costanti, pertanto scegliendo un punto arbitrario x0 ∈ Σ si ottiene φI0 ≡ φI (x0 ) η0ı̄ ≡ η ı̄ (x0 ) θi 0 ≡ θi (x0 ) (2.2.20) quindi questa definizione fornisce (0,1) η0 ∈ Tφ0 X ∗(1,0) θ0 ∈ Tφ0 X (2.2.21) Per quanto concerne la uno-forma ψ i ≡ ψzi dz+ψz̄i dz̄, gli zero-modi possono essere anch’essi localizzati nel punto x0 : per raggiungere tale obiettivo occorre definire un’opportuna base di uno-cicli {Ca ; a = 1, · · · , 2g} passanti per x0 , e definendo gli zero modi ψai come gli integrali di linea di ψ lungo i cammini Ca . In questo modo si ottiene (1,0) ψai ∈ Tφ0 X (2.2.22) in questa maniera vediamo come, tutti gli zero modi sono identificati con opportuni tensori su uno stesso punto punto φ0 del target-space. Stante questa discussione, la definizione della misura funzionale di integrazione sugli zero modi diviene (presupponendo che il target-space sia tridimensionale, che come vedremo tra non molto è un’assunzione sensata in vista dell’accoppiamento alla gravità topologica) dµ0 = d3 φ0 d3 φ̄0 d3 η0 d3 θ0 d6g ψa (2.2.23) dalla (2.2.23) è possibile vedere l’insorgenza dell’anomalia chirale, infatti per riparametrizzazioni del target-space, indicando con Λji la matrice di riparametrizzazione, si ottiene dµ0 → (det Λ)2−2g dµ0 (2.2.24) ossia che la misura non è invariante e di qui la presenza dell’anomalia. Notiamo tuttavia che, dalla (2.2.24), si ottiene che la misura varia come una sezione di K 2g−2 , in cui con K si è indicato il fibrato canonico su X. Pertanto, se il target-space è spazio di Calabi-Yau, esiste sempre una sezione olomorfa di K mai nulla [26], sezione che indicheremo con Ω; e in conseguenza di questa proprietà, è possibile definire una misura invariante dµ00 ≡ Ω2−2g (φ0 )dµ0 (2.2.25) che risulta invariante per riparametrizzazioni (e visto il carattere olomorfo di Ω preserva l’invarianza di BRST), e che pertanto rimuove l’anomalia. Concludiamo così che, a differenza del modello A, il modello B è definibile a livello di quantistico solo per target-space che siano spazi di Calabi-Yau. 55 2.2.2 La gravità topologica bidimensionale Per ottenere una teoria di stringhe topologiche, occorre ora definire il settore gravitazionale della teoria; dovendo inoltre approntare una teoria topologica, naturalmente anche il settore gravitazionale deve esibire caratteristiche topologiche, ripartiamo dunque dalla trattazione generale svolta nel primo capitolo per approfondirla e specializzarla al contesto bidimensionale. Ricordiamo che i campi di cui la teoria è fornita sono, la metrica bidimensionale gµν posta sul world-sheet, il suo partner supersimmetrico ψµν , il ghost di riparametrizzazioni cµ e il superghost ω µ ; soggetti alle trasformazioni di BRST s gµν = ψµν − Lc gµν 1 s cµ = ω µ − Lc cµ 2 s ψµν = Lω gµν − Lc ψµν s ω µ = −Lc ω µ (2.2.26) Notiamo che abbiamo già escluso il campo di Weyl ρ nella stesso modo già discusso per la stringa bosonica. L’azione Discusse le osservabili, vogliamo ora andare a cercare un’opportuna azione per il nostro modello; vedremo che la discussione non sarà troppo dissimile da quanto già svolto per la stringa bosonica. Siamo quindi indotti, per il carattere topologico del modello costruito, a cercare una lagrangiana che consista esclusivamente di un termine di gauge-fixing L = sΨ (2.2.27) dove si è indicato con Ψ un termine di gauge-fixing avente numero di ghost −1. Per procedere oltre, seguendo la procedura già svolta per la stringa bosonica, poniamo sullo spazio dei moduli, Mg coordinate locali mi . Nuovamente, fissare il gauge per la metrica gµν , richiede di determinare una metrica di background ḡµν (x, m) rispetto alla quale fissare l’invarianza di gauge e, in corrispondenza della scelta della metrica di background, fissare anche il corrispondente campo fermionico ψµν al valore di background ψ̄µν (x, m). Ovviamente, visto il legame che intercorre tra i campi gµν e ψµν già discusso nel primo capitolo (in cui abbiamo mostrato che ψ è il differenziale esterno covariante nello spazio dei moduli di g), il valore di background assunto da ψ̄µν non sarà libero ma ottenuto tramite la relazione: ψ̄µν = dp ḡµν + Lc̄ ḡµν (2.2.28) nella quale dp ≡ pi ∂mi è la derivata esterna nello spazio dei moduli (con i pi definiti come i partner supersimmetrici e anticommutanti delle variabili mi13 , o in altri termini, come i differenziali esterni degli mi ), e c̄ sarà identificato con il background per il ghost c. Stanti queste premesse il gauge-fixing procede in maniera usuale, conducendo alla lagrangiana [16] h L = s bµν (g µν − ḡ µν ) + βµν ψ µν − ψ̄ µν i (2.2.29) 13 Questa asserzione è completamente giustificata se si ricorda che è possibile fornire anche alla gravità topologica un carattere supersimmetrico tramite un twist topologico, con una procedura non troppo dissimile da quanto effettuato per i modelli sigma topologici, procedura che qui non verrà descritta ma che può essere trovata in letteratura [20]. 56 dove, come di consueto, sono stati inseriti gli antighost bµν e βµν , le cui trasformazioni di BRST sono date dalle usuali: s bµν = −Lc bµν + Λµν s Λµν = −Lc Λµν − Lω bµν s βµν = −Lc βµν + Lµν s Lµν = −Lc Lµν − Lγ βµν (2.2.30) nelle quali Lµν e Λµν sono i rispettivi moltiplicatori di Lagrange per la condizione di gauge-fixing. Come già visto in contesto bosonico, la (2.2.29) non fissa completamente l’invarianza di gauge per i campi fisici, deve infatti essere ancora discussa la questione degli zero-modi, che sono definiti dalle equazioni Z µν b(0) = µν Lc ḡ Z (0) βµν Lc ḡ µν = 0 (2.2.31) che, nuovamente, possono essere interpretate come la presenza di modi nei campi di gaugefixing ortogonali rispetto a variazioni per diffeomorfismi della metrica di background. Integrando per parti le equazioni (2.2.31) si perviene alle equazioni soddisfatte dagli zero modi di bµν e βµν : µ (0) Dµ b(0) µν = D βµν = 0 (2.2.32) Nuovamente, la questione degli zero-modi può essere affrontata estendendo l’azione di s ai moduli (e ai loro partner supersimmetrici) nella maniera seguente: s mi = C i s pi = −Γi s Ci = 0 s Γi = 0 (2.2.33) infatti andiamo a verificare come l’estensione appena esposta definisca in modo completo l’integrale funzionale. In primo luogo nasce il termine ovvio: Λµν (g µν − ḡ µν ) + Lµν ψ µν − ψ̄ µν (2.2.34) che, integrati i moltiplicatori di Lagrange, fissa la metrica e il gravitino ai corrispondenti valori di background. Fatta questa prima integrazione funzionale passiamo a considerare il termine dipendente dal ghost bµν , che si riduce a bµν [(dp − dC ) ḡ µν + (Lc̄ − Lc ) ḡ µν ] (2.2.35) e qui si rende evidente l’utilità di aver esteso l’azione di BRST ai background: infatti, per la stessa definizione degli zero-modi del campo b, il secondo addendo non dipende da questi, che resterebbero così indeterminati. Viceversa, grazie all’estensione dell’operatore di BRST ai background, il primo addendo della (2.2.35) permette di integrare gli zero modi per dare luogo al vincolo: C i = pi (2.2.36) che è proprio il requisito che i pi siano i differenziali degli mi ; mentre il secondo addendo forza c ad assumere il valore del background c̄. Trattando in maniera analoga il campo β si perviene all’equazione: h βµν dΓ ḡ µν + Lω − Ldp c̄ − L2c̄ ḡ µν i (2.2.37) 57 che nuovamente conduce ai vincoli Γi = 0 ω̄ = dp c̄ + 1 ¯ Lc̄ ξ 2 (2.2.38) importante in modo particolare è il primo vincolo: infatti è necessario che si abbia Γi = 0 in modo da poter identificare le variabili pi con i partner supersimmetrici delle variabili di background mi e contemporaneamente preservare la nilpotenza dell’operatore s. Le funzioni di correlazione Passiamo quindi al calcolo delle funzioni di correlazione: hOi ≡ Z [dΦ] O (Φ) e− R Σ L (2.2.39) dove con O abbiamo indicato una generaica osservabile della gravità topologica (osservabili che qui non abbiamo discusso in quanto non necessarie negli sviluppi futuri). Dalla discussione della precedente sezione, l’integrale funzionale si limita a fornire il valore dell’osservabile (come funzione dei moduli e dei super-moduli) calcolata per i campi valutati nei background, in formule hO (g, ψ, c, ω)i = O ḡ, ψ̄, c̄, ω̄ . (2.2.40) Osserviamo inoltre che, se l’osservabile O ha numero di ghost N , la conservazione del numero di ghost implica che il suo corrispondente correlatore hOi, è un monomio di grado N nelle variabili pi ; come d’altra parte abbiamo già visto, queste variabili possono essere identificate con i differenziali delle variabili di background mi , quanto detto consente di interpretare hOi localmente come una N -forma su Mg,n inoltre, come mostrato dalle identità (2.1.32) in contesto bosonico, tale forma è chiusa nello spazio dei moduli. 2.2.3 Le teorie di stringa topologica Avendo fornito una discussione dei modelli sigma topologici e della gravità topologica bidimensionale, in quest’ultima parte ci occuperemo del loro accoppiamento, per costruire i modelli di stringa topologica [18]. Nello specifico, l’analisi si soffermerà sulla discussione di come ottenere l’operatore di BRST per la teoria accoppiata, sulla discussione delle osservabili e della lagrangiana, giungendo in ultimo a fornire un’espressione per i correlatori di osservabili. Per quanto concerne quest’ultimo punto, la discussione sarà di natura esclusivamente euristica, in quanto non verrà analizzato il problema del fissare gli zero-modi. L’operatore di BRST accoppiato Cominciamo partendo dalla discussione dell’operatore di BRST. Come già specificato diverse volte, l’operatore di BRST ingloba tutte le simmetrie della teoria. Stante questa affermazione, è evidente che gli operatori di BRST delle teorie rigide (modello A o modello B rispettivamente), che nel seguito indicheremo genericamente con s0 , devono subire delle variazioni, in quanto nei modelli sigma topologici accoppiati alla gravità topologica, compare l’ulteriore simmetria per diffeomorfismi (inoltre la teoria ha un numero maggiore di campi, inglobando sia i campi dei modelli sigma topologici sia i campi della gravità topologica). 58 Ci proponiamo quindi in primo luogo di studiare la modifica da apportare all’operatore di BRST, che indicheremo con s, in modo da comprendere tutte le simmetrie della teoria accoppiata. Per procedere in questa direzione, cominciamo con l’osservare che su tutti i campi (sia di gravità che di materia), s ha in primo luogo il termine banale di diffeormofismi dato da −Lc , termine che agisce su tutti i campi della teoria, sia nel settore di materia che di gravità, Lc è inoltre l’unico contributo del campo cµ presente nell’operatore di BRST. Stante questa osservazione, risulta naturale fattorizzare il termine Lc dall’operatore di BRST e definire quindi l’operatore S identificato dalla relazione S ≡ s +Lc (2.2.41) in termini del quale, la condizione di nilpotenza di s si traduce nella condizione S 2 = Lω (2.2.42) in cui con Lω si intende la derivata di Lie lungo il campo vettoriale ω della gravità topologica. L’accoppiamento dei modelli sigma topologici alla gravità topologica, richiede quindi in primo luogo di trovare un opportuno S che soddisfi la (2.2.42). A tal fine, è sufficiente osservare che la soluzione al problema è già contenuta nella struttura supersimmetrica dei modelli sigma topologici: infatti ricordiamo che, a seguito del twist topologico, in entrambi i modelli risulta definito un operatore di discesa G, che costituisce una uno-forma, e che soddisfa la seguente regola di anticommutazione con s0 (quando agisce sui campi invarianti per riparametrizzazioni sul target-space) {s0 , G} = d (2.2.43) La (2.2.43) è proprio la condizione necessaria a risolvere il problema, è infatti immediato accorgersi che, l’operatore che risolve la condizione (2.2.42) è dato da S = s0 +Gω (2.2.44) in cui, con la notazione Gω abbiamo indicato l’operatore ottenuto saturando l’indice di forma di G con l’indice vettoriale di ω; in formule Gω = i ω G (2.2.45) La (2.2.44) fornisce la definizione dell’operatore di BRST accoppiato agente sul settore di materia, l’analogo operatore sul settore gravitazionale è semplicemente dato dall’operatore di BRST della gravità topologica, privato ovviamente del termine Lc . Notiamo infine che, le osservabili dei modelli sigma topologici rigidi già discusse, sono automaticamente promosse ad osservabili anche nel modello accoppiato. Lagrangiana e funzioni di correlazione Per concludere la costruzione della stringa topologica in formalismo di prima quantizzazione, resta da discutere la costruzione della lagrangiana e la forma assunta dai correlatori14 . 14 Come preannunciato la discussione che svolgeremo sarà leggermente imprecisa, in quanto non prenderemo in considerazione la definizione degli zero-modi nelle due teorie topologiche. 59 Cominciando dalla lagrangiana nel settore di materia, è chiaro, visto il carattere topologico della teoria, che questa assume la forma L = s Ψ = (s0 +Gω ) Ψ (2.2.46) In cui Ψ rappresenta il fermione di gauge per il modello A o B a seconda dei casi. Ricordando la natura supersimmetrica da cui Ψ deriva, è chiaro che sussiste la relazione Gω Ψ = 0 (2.2.47) e quindi la (2.2.46) assume in definitiva la forma µν L = sm 0 Ψ + ψ Gµν (2.2.48) nella quale sm 0 è l’operatore di BRST rigido nel settore di materia, mentre Gµν rappresenta il termine di accoppiamento con la gravità ed è dato da Gµν = δΨ δg µν (2.2.49) Supponendo ora di aver definito un’opportuna misura funzionale di integrazione, in altre parole di aver risolto il problema degli zero-modi per il modello A e B, siamo pronti a discutere la forma assunta dai correlatori di osservabili15 . A tal fine, consideriamo di voler valutare il correlatore, tra n osservabili integrate del modello sigma topologico in questione, (quindi a livello di due-forme e quindi dotate di (2) (2) numero di ghost 0), O1 · · · On ; tale conto procede in due passaggi. Per prima cosa occorre valutare il correlatore nella teoria rigida, correlatore che si presenta quindi come un funzionale dei background ḡ µν e ψ̄ µν (2) hO1 · · · On(2) i|ḡ,ψ̄ = Z (2) d [Φ] O1 · · · On(2) eΓ[g,ψ] (2.2.50) dove con Γ [g, ψ] si intende l’azione ottenuta con la lagrangiana(2.2.46). Il risultato della (2.2.50), come abbiamo visto, è una forma globale nello spazio dei moduli delle superfici di Riemann di genere g, Mg . Della (2.2.50) può quindi essere integrata su Mg la componente avente grado di forma (supponendo world-sheet chiusi e inoltre g > 1) pari a 6g − 6 questa è infatti proprio la dimensione dello spazio dei moduli come già discusso; espandendo quindi in serie l’esponenziale dell’azione per ottenere il grado di forma desiderato si perviene all’espressione per il correlatore C1···n ≡ Z Mg Z h Σ ψ˜µν Gµν 6g−6 O1 · · · On i (2.2.51) in cui il valor medio si intende calcolato con la lagrangiana di materia esclusivamente. Chiaramente la discussione va adattata nel caso che il world-sheet abbia genere 0 o 1: in questo caso infatti, la presenza di un conformal killing group non banale, costringe a considerare anche operatori fissati sulla superficie, come già discusso nella teoria bosonica. Ciò che rimane da discutere è la regola di selezione collegata all’anomalia del numero di ghost dei modelli sigma topologici: ricordiamo infatti che, perché un correlatore nel modello 15 Non è invece necessario discutere la lagrangiana nel settore di gravità in quanto, come abbiamo visto, questa si limita a localizzare i campi di gravità nel corrispondente settore di background 60 sigma topologico rigido non sia nullo è necessario che il numero di ghost sia pari a 2d (1 − g), combinando questo risultato con quanto espresso nella (2.2.51) si perviene all’equazione (6g − 6) = 2d (1 − g) (2.2.52) che è soddisfatta per qualunque g ed n se si ha d = 3, ossia se il target-space è un Calabi-Yau tridimensionale. Otteniamo così il risultato già annunciato in precedenza che, affinché la teoria di stringa topologica consenta il calcolo di qualunque correlatore di osservabile marginale (ossia di osservabili che definiscono le deformazioni del modello sigma topologico rigido), il target-space deve essere uno spazio di Calabi-Yau tridimensionale. Con questo risultato concludiamo la trattazione delle teorie di stringa topologica dal punto di vista di world-sheet, nel prossimo paragrafo ci occuperemo invece di discutere come ottenere una formulazione di target-space. 2.2.4 Fisica di target-space per i modelli di stringa topologica In questa sezione andremo a discutere la possibilità di ottenere una formulazione di targetspace per i modelli A e B discussi fin qui, formulazione scoperta da Witten in [28]. Nello specifico, ci occuperemo dei soli modelli sigma topologici aperti, in cui cioè il world-sheet è una superficie di Riemann con bordo. Come abbiamo visto, una particolarità delle teorie di stringa aperta consiste nella presenza di condizioni al bordo per i campi della teoria e, più importante, nella possibilità di accoppiare tramite i fattori di Chan-Paton sul bordo stesso, le teorie di stringa a teorie di gauge sul target-space (accoppiamento che nella stringa bosonica conduce ad ottenere l’usuale lagrangiana di Yang-Mills, almeno per basse energie). Per questo motivo, andiamo in primo luogo a considerare le condizioni al bordo da imporre nei due modelli. Per quanto concerne il modello A, senza scendere nei dettagli per i quali si rimanda alla letteratura [28], assumeremo che il bordo del world-sheet, che indicheremo con ∂Σ, sia mappato su una varietà tridimensionale reale M3 ; mentre il target-space della teoria complessiva sarà identificato con il fibrato cotangente ad M3 , in formule X = T ∗ M3 , targetspace che quindi è in effetti un Calabi-Yau tridimensionale complesso. In questo modo, restringendoci a considerare le sole stringhe aperte, vogliamo andare a descrivere la fisica di target-space su M3 determinata dal bordo delle stringhe aperte propaganti su questo16 . Per quanto concerne invece il modello B, ancora una volta senza addentrarci nei dettagli, imporremo al contrario delle condizioni al contorno libere, ossia non supporremo che il bordo ∂Σ sia mappato su alcuna sottovarietà del target-space complessivo X, ma ci limiteremo ad imporre le consuete condizioni di Neumann per il bordo della stringa come già trattato in stringa bosonica; pertanto in questo caso concludiamo che, il target-space del modello B aperto, si identifica con l’intero Calabi-Yau tridimensionale complesso X. Discusse le condizioni al bordo caratteristiche per i due modelli, passiamo ora ad analizzare come accoppiare i modelli A e B aperti, a teorie di gauge sul target-space Modello A Iniziando con il modello A, poniamo che in M sia posta una connessione di gauge A = AI dφI (e prendiamo come gruppo di gauge U (N )), in cui φI sono le coordinate reali poste su M . 16 Questa costruzione, in un linguaggio più evoluto, sta sostanzialmente descrivendo una teoria di stringhe aperte i cui estremo sono confinati su una D-brana tridimensionale immersa nel target-space X [31]. 61 L’accoppiamento della connessione di gauge con la teoria di stringa appena formulata, avviene tramite l’usuale fattore di Chan-Paton, e in ultima analisi può essere realizzato tramite il pullback della connessione A mediante l’applicazione Φ che mappa il world-sheet nel target-space. Pertanto si può pensare di realizzare l’accoppiamento tra la teoria di stringa e la connessione di gauge, rimpiazzando l’integrale di cammino di Polyakov che formalmente indichiamo come Z= Z [DΦ] eıSA (2.2.53) in cui con SA abbiamo indicato l’azione del modello A, con l’espressione accoppiata Z R [DΦ] eıSA Tr e M Φ∗ (A) (2.2.54) Ovviamente, è necessario imporre che la modifica appena enunciata all’integrale di cammino, non rompa l’invarianza di BRST; andiamo quindi a valutare l’azione dell’operatore di BRST sul termine di olonomia appena introdotto, azione data dall’espressione dφJ FIJ (τ )dτ · exp Φ∗ (A) (2.2.55) dτ M M M in cui con τ abbiamo indicato la coordinata temporale che corre lungo il bordo del worldsheet, mentre con FIJ abbiamo indicato il pullback della curvatura ottenuta a partire dalla connessione A. Ricordando a questo punto la trasformazione di BRST del modello A s φI = χI , notiamo che l’annullarsi della (2.2.55), e quindi in definitiva la richiesta che il contributo aggiunto di olonomia non rompa l’invarianza di BRST complessiva, implica che la connessione di gauge A sia piatta, ossia che valga la condizione FIJ = 0. Stante questa richiesta, è evidente che la descrizione di spazio-tempo del modello A aperto, deve avere un’azione che localizzi il campo di gauge A su un campo avente curvatura piatta; ossia, in altri termini, deve essere un’azione le cui equazioni del moto diano luogo a connessioni a curvatura piatta. A tal proposito, ricordando che M è reale tridimensionale, è evidente che la lagrangiana di Chern-Simons s Tr exp Z Φ∗ (A) = Tr Z s φI LCS ∝ A ∧ d A + A ∧ A ∧ A Z (2.2.56) realizza la richiesta, in quanto le equazioni del moto di questa sono proprio date da F = 0. In questo modo abbiamo ottenuto un argomento di plausibilità, per giustificare l’asserzione che la lagrangiana di Chern-Simons costituisce la formulazione di target-space per il modello A aperto. Una deduzione rigorosa di questo risultato è ottenibile attraverso i metodi di string field theory, i quali consentono di dedurre che, non solo la lagrangiana di Chern-Simons rappresenta un’azione effettiva di target-space per il modello A aperto (ossia un’approssimazione di bassa energia); ma anche che, in virtù della validità esatta del limite di accoppiamento debole nelle teorie topologiche, tale azione di target-space è esatta a tutti gli ordini perturbativi. Il modello B Passando a considerare il modello B, si applicano le medesime considerazioni che hanno portato a dedurre l’equazione (2.2.55); sostituendo poi in questa la trasformazione di BRST s φi = 0 s φı̄ = η (2.2.57) 62 si ottiene che, affinché il termine aggiunto di olonomia non rompa l’invarianza di BRST, è necessario che si annullino le componenti (1, 1) e (0, 2) della curvatura F . In realtà, la prima condizione, è troppo restrittiva e può essere rimossa, con una procedura piuttosto tecnica che qui non verrà richiamata; rimane pertanto la sola condizione sull’annullarsi della componente (0, 2) di F, che può essere riformulata richiedendo che la componente (0, 1) di A sia olomorfa. In analogia a quanto fatto per il modello A, siamo quindi portati a cercare un’azione di target-space, le cui equazioni del moto riproducano la condizione di annullamento della componente (0, 2) della curvatura. Come prima ipotesi, si può supporre una lagrangiana del tipo LHCS ∝ Ā ∧ ∂¯Ā + Ā ∧ Ā ∧ Ā (2.2.58) che rappresenta evidentemente una generalizzazione olomorfa della lagrangiana di ChernSimons. Tuttavia ricordiamo che il target-space del modello B è tridimensionale complesso, mentre la lagrangiana (2.2.58) definisce evidentemente una forma di tipo (0, 3) che quindi non può essere integrata sul target-space. Il problema può essere aggirato ricordando che il target-space è spazio di Calabi-Yau e, per questo motivo, è dotato di una forma Ω di tipo (3, 0), olomorfa e ovunque non nulla. La presenza di Ω consente di scrivere l’azione di target-space per il modello B nella forma SHCS = 1 2 Z 2 Ω ∧ Tr Ā ∧ ∂¯Ā + Ā ∧ Ā ∧ Ā 3 (2.2.59) con l’invarianza di gauge ¯ + Ā, c s Ā = ∂c h i (2.2.60) La teoria risultante è evidentemente una variante olomorfa della teoria di Chern-Simons, e lo studio della stessa costituirà la parte originale di questo lavoro di tesi. Notiamo due caratteristiche che si rilevano subito a proposito della (2.2.59): per prima cosa notiamo che abbiamo ritrovato per altra via, la condizione che il modello B deve avere per target-space uno spazio di Calabi-Yau, altrimenti non ci sarebbe la forma Ω con cui scrivere l’azione; la seconda è che, essendo il target-space tridimensionale complesso, la teoria non è rinormalizzabile per power-counting [5]. In particolare quest’ultimo aspetto è di particolare interesse: Non essendo la teoria rinormalizzabile superficialmente ci si può aspettare che questa abbia delle divergenze ultraviolette; tuttavia la teoria è in corrispondenza con un modello di stringa topologico (il modello B), e ci sono diversi argomenti di plausibilità17 per cui le teorie di stringa siano ben definite nell’ultravioletto e non soffrano di divergenze, corrispondenza che quindi induce a supporre che l’azione (2.2.59) sia in realtà rinormalizzabile. La questione della rinormalizzabilità della teoria di HCS si presenta come un interessante problema aperto. Con questo risultato, concludiamo la discussione delle teorie di stringhe topologiche. Nel prossimo capitolo saranno esplorati alcuni sviluppi recenti della teoria di Chern-Simons a livello quantistico, per poi cercare di comprendere gli stessi alla luce di questa interpretazione in termini di teorie di stringa. Nell’ultimo capitolo invece, passeremo ad approntare alcuni sviluppi preliminari originali per lo studio della rinormalizzabilità della teoria di HCS. 17 Principalmente per via del fatto che in teoria di stringa esiste una scala di cut-off naturale data dalla dimensione della stringa stessa. Capitolo 3 La teoria di Chern-Simons: aspetti quantistici e anomalie In questo capitolo riprenderemo in esame la teoria di Chern-Simons tridimensionale, che come abbiamo visto nel precedente capitolo, può essere pensata come una formulazione di target-space per il modello A aperto accoppiato alla gravità topologica bidimensionale, per discuterne gli aspetti quantistici. In modo particolare, ci proponiamo di indagare la questione delle anomalie topologiche; ossia andremo a studiare se l’indipendenza topologica dell’azione classica sia preservata in contesto quantistico1 . Per raggiungere tale scopo, dopo una prima parte di introduzione generale all’azione effettiva quantistica e alla questione delle anomalie nelle teorie di gauge [6], provvederemo ad accoppiare la teoria di Chern-Simons alla gravità topologica tridimensionale; tale accoppiamento ci permetterà di studiare la questione dell’indipendenza dalla metrica a livello quantistico con metodi comologici, gli stessi metodi normalmente approntati per studiare le anomalie di gauge. Per realizzare l’accoppiamento sarà necessario, come vedremo, sviluppare un’estensione del metodo di BRST che permetta di studiare algebre di gauge che chiudano solo on-shell, estensione che è nota come metodo di Batalin-Vilkovisky (BV), e che verrà sviluppata nei suoi aspetti essenziali in un apposito paragrafo all’interno del capitolo. Come primo risultato, l’accoppiamento consentirà di fornire un’interpretazione più naturale alla cosiddetta supersimmetria vettoriale della teoria di Chern-Simons2 . Una volta ottenuto l’accoppiamento con la gravità topologica tridimensionale, potremo studiare la questione delle anomalie topologiche della teoria di Chern-Simons; in particolare l’analisi permetterà di ottenere nuovamente un risultato già ottenuto da Witten con metodiche diverse alcuni anni fa [13], risultato noto in letteratura col nome di framing anomaly [38], che dunque costituisce una conferma della correttezza del metodo approntato. Parallelamente a questo programma, saranno passate in rassegna diverse generalizzazioni della teoria di Chern-Simons, generalizzazioni ottenute aggiungendo alla teoria osservabili con numero di ghost positivo; in particolare, l’aver realizzato l’accoppiamento alla gravità topologica tridimensionale, consentirà di studiare l’indipendenza topologica anche di queste generalizzazioni evidenziando, come vedremo, tutta una serie di generalizzazioni di numero di ghost maggiori della framing anomaly. 1 Seguendo uno studio portato avanti in [21]. Nello specifico, questo risultato sarà solo citato, mentre tutti i dettagli sono reperibili nell’articolo originale [21]. 2 63 64 Nella parte finale del capitolo, saranno esposte alcune argomentazioni circa l’interpretazione delle anomalie trovate, interpretazione in termini di teorie di stringa. 3.1 L’azione effettiva quantistica In questa sezione vogliamo occuparci di esplorare sistematicamente come ottenere l’estensione quantistica delle teorie di gauge definite a livello classico, per poi specializzare la discussione alla teoria di Chern-Simons. Per procedere in tal senso, introdurremo l’azione effettiva quantistica [6], discutendo inoltre come, a meno di anomalie, le simmetrie dell’azione classica si traducano in corrispondenti simmetrie dell’azione effettiva. Stante questo programma ripartiamo dalla definizione dell’integrale di cammino di Feynman (1.2.1), in cui esplicitiamo l’azione classica S e la dipendenza dalle sorgenti dei campi (indicati collettivamente con la notazione φr (x), e che inizialmente supporremo sistematicamente siano bosonici per semplicità): Z [J] = Z "Y # dφ (y) exp ıS(φ) + ı s Z φr (x) Jr (x) (3.1.1) s,y È d’uso comune riscrivere l’integrale di cammino nella forma Z [J] ≡ exp(ıW [J]) (3.1.2) nella quale ıW [J] si identifica quindi con la somma di tutti i diagrammi di Feynman del vuoto (a tutti gli ordini perturbativi) connessi. Tuttavia, per il calcolo delle ampiezze di scattering (che come abbiamo accennato rappresentano le grandezze fisiche di interesse in teoria dei campi), sarebbe preferibile sostituire W con la somma di tutti i diagrammi del vuoto connessi e irriducibili (indicati di consueto con la sigla 1PI), ossia con tutti i diagrammi che restano connessi dopo aver tagliato una qualunque linea interna [5]. Per questo motivo si definisce l’azione effettiva quantistica nella maniera seguente: indichiamo anzitutto con φrJ (x), il valore di aspettazione del campo φr (x) in presenza della sorgente J φrJ (x) = − ı δ δW [J] Z [J] = Z [J] δJr (x) δJr (x) (3.1.3) Il punto di vista può essere poi invertito, definendo Jφr (x) come il valore della sorgente per cui l’aspettazione del campo φr (x) assume il valore dato dalla (3.1.3). Stanti queste premesse possiamo definire l’azione effettiva quantistica Γ [φ] con la relazione: Γ [φ] ≡ − Z φr Jφr + W [Jφ ] (3.1.4) L’azione effettiva Γ [φ] può essere considerata l’estensione quantistica dell’azione classica, e il senso di questa affermazione è formalizzato dalle seguenti proprietà, le cui dimostrazioni sono reperibili in letteratura [6]: 1. Le equazioni del moto quantistiche per i campi φr , in assenza delle sorgenti, sono date dai punti di stazionarietà di Γ [φ]; così come le equazioni del moto classiche sono date dai punti di stazionarietà dell’azione classica: δΓ [φ] = 0 δφs (x) J = 0 (3.1.5) 65 2. La somma dei diagrammi di Feynman connessi W [J] è data dai diagrammi, a tree-level, ottenuti usando Γ [J] al posto dell’azione classica. Entrambe le proprietà mostrano così che l’azione effettiva tiene conto delle correzioni quantistiche da apportare all’azione classica. Definita l’azione effettiva, e sancite le sue principali proprietà, nel resto del paragrafo appronteremo una discussione su come le simmetrie possedute dall’azione classica S, diano luogo a corrispondenti simmetrie dell’azione quantistica; facendo ovviamente particolare riferimento alla simmetria di BRST. 3.1.1 Le simmetrie dell’azione effettiva Supponiamo quindi che l’azione classica S sia invariante per trasformazioni infinitesime dei campi nella forma φn (x) → φn (x) + F n [x; φ] (3.1.6) nelle quali F n è un funzionale dei campi e delle derivate di questi. Supponiamo inoltre, che oltre all’azione classica, anche la misura funzionale sia invariante per le trasformazioni suddette, ossia Y d (φn (x) + F n [x; φ]) = n,x Y dφn (x) (3.1.7) n,x in realtà, come vedremo trattando le anomalie di gauge e come abbiamo già visto nel caso esplicito del modello B, questa assunzione è tutt’altro che scontata, se nella teoria sono presenti campi fermionici chirali. Tenendo conto della (3.1.7), la richiesta di invarianza dell’integrale di cammino Z [J] conduce all’espressione Z hF n (y)iJ Jn (y) = 0 (3.1.8) che può essere posta nella forma (ricordando la (3.1.5)) 0 = Z hF n (y)iJφ δΓ [φ] δφn (y) (3.1.9) la quale permette di concludere che la simmetria dell’azione classica si traduce nella seguente simmetria dell’azione quantistica: φn → φn + hF n iJφ (3.1.10) che coincide con la simmetria dell’azione classica qualora la trasformazione F n sia lineare nei campi. Visto il particolare rilievo che la simmetria di BRST riveste nelle teorie di gauge (e visto il carattere non lineare di questa), passeremo ora a discutere nel dettaglio come questa simmetria si traduca in una simmetria dell’azione quantistica. L’equazione di Zinn-Justin Passiamo quindi a discutere nello specifico la simmetria di BRST, indicandola con la notazione s φn (x) = ∆n (x) (3.1.11) 66 e dunque l’equazione (3.1.9) prende la forma 0 = Z h∆n (y)iJφ δΓ [φ] δφn (y) (3.1.12) la quale può essere posta in una forma più utile nella maniera seguente. Introduciamo, per ogni trasformazione di BRST dei campi della teoria, una corrispondente sorgente, che indicheremo con φ∗n per futura utilità, e indichiamo con W [J, φ∗ ] l’espressione: ıW [J,φ∗ ] e ≡ Z "Y # dφ (x) exp ıS + n Z ∆n φ∗n + ı Z φn Jn (3.1.13) n,x Si può quindi mostrare che, la nuova azione effettiva Γ [φ, φ∗ ], soddisfa la condizione analoga alla (3.1.12): 0 = Z h∆n (y)iJφ ,φ∗ δΓ [φ, φ∗ ] δφn (y) (3.1.14) che può essere posta nella forma seguente, che prende il nome di equazione di Zinn-Justin [6]3 : Z δΓ [φ, φ∗ ] δΓ [φ, φ∗ ] = 0 δφ∗n δφn (3.1.17) Sancite le simmetrie a cui obbedisce l’azione effettiva quantistica, come conseguenza delle corrispondenti simmetrie dell’azione classica, passeremo ora ad analizzare, con qualche dettaglio ulteriore, l’assunzione sintetizzata dalla (3.1.7), la cui validità non è garantita. E vedremo come, l’eventuale non validità della (3.1.7), introduca il problema delle anomalie quantistiche di gauge. 3.1.2 Il problema delle anomalie: perdita dell’invarianza di gauge Come abbiamo già citato, per descrivere le violazioni dell’equazione (3.1.17) di Zinn-Justin, e quindi il problema delle anomalie quantistiche, occorre analizzare con maggiore dettaglio la misura funzionale di integrazione, in modo da comprendere in quali casi questa preserva l’invarianza di gauge e in quali casi no. Per illustrare i problemi che insorgono, supponiamo di avere come esempio una teoria di gauge quadridimensionale in cui compaiano un campo di gauge Aµ , e un campo fermionico ψ 4 ; supponiamo inoltre per cominciare, che tra questi due campi vi sia un interazione di tipo non chirale (ossia che nel termine di interazione non compaia mai la matrice γ5 ). 3 La formula (3.1.17), come già anticipato in introduzione, è valida per campi bosonici; la generalizzazione valida per campi bosonici e fermionici è data da Z δR Γ [φ, φ∗ ] δL Γ [φ, φ∗ ] = 0 δφ∗n δφn (3.1.15) dove i suffissi R ed L indicano le derivate destre e sinistre, che sono legate dalla relazione: δR F δL F ≡ (−1)campo (F + 1) δ(campo) δ(campo) in cui è la parità e F è un generico funzionale dei campi. 4 Seguendo un esempio standard presente ad esempio in [6] oppure [5]. (3.1.16) 67 Stante questo quadro, sottoponiamo ora il sistema ad una trasformazione di gauge, parametrizzata dalla matrice U (x) e andiamo a studiare come varia la misura funzionale di integrazione fermionica. Dal momento che ψ(x) e il suo hermitiano coniugato ψ̄(x), sono fermionici, ne consegue che la misura funzionale di integrazione non varia come il determinante della matrice di trasformazione, ma come la sua inversa, ossia in formule h i [d ψ] d ψ̄ → det U det Ū −1 h [d ψ] d ψ̄ i (3.1.18) dove abbiamo indicato con Ū la matrice data da γ4 U γ4 , e in cui γ4 = ıγ0 è la matrice usata per definire ψ̄ = ψ † γ4 . Come anticipato, supponiamo ora che la matrice di trasformazione non contenga la matrice γ5 , ossia che la trasformazione sia unitaria e non chirale, matrice che rappresentiamo nella forma U (x) = exp [ıα(x)t] (3.1.19) con t una matrice hermitiana, e α(x) una funzione reale arbitraria. Se U (x) si presenta nella forma (3.1.19), allora ne consegue Ū U = 1 (3.1.20) che, sostituita nella (3.1.18), mostra che in questo caso la misura funzionale fermionica è anch’essa invariante e quindi la teoria non porta anomalie quantistiche, e quindi in ultima analisi l’equazione di Zinn-Justin non viene rotta a livello quantistico. Supponiamo ora che, al contrario, la matrice di trasformazione sia chirale: ossia consideriamo, in luogo della (3.1.19) la matrice di trasformazione U (x) = exp [ıγ5 α(x)t] (3.1.21) in questo caso allora, U soddisfa, anzichè la (3.1.20) la relazione Ū = U (3.1.22) pertanto la misura non è invariante, e la (3.1.18) diviene in questo caso h i h [d ψ] d ψ̄ → (det U )−2 [d ψ] d ψ̄ i (3.1.23) Stante quanto appena esposto, specializziamo la discussione a trasformazioni infinitesime: in questo caso si ottiene 1 − U = ıαγ5 t (3.1.24) usando poi la relazione det M = exp Tr ln M e la formula ln (1 + x) → x (3.1.25) otteniamo h i Z [d ψ] d ψ̄ → exp ı 4 d xα(x)A(x) h [d ψ] d ψ̄ i (3.1.26) in cui, con la notazione A(x), abbiamo indicato l’anomalia; che si presenta quindi come una violazione dell’invarianza di BRST a livello quantistico, violazione che come abbiamo mostrato va imputata alla non invarianza della misura funzionale per trasformazioni di BRST. 68 Condizioni di consistenza e impostazione del problema comologico Riassumendo, abbiamo mostrato che, sebbene l’azione classica sia invariante di BRST, è possibile che la corrispondente azione effettiva quantistica non goda della stessa proprietà e che presenti dunque un’anomalia. Anomalia che riassumiamo con la formula (valida per una generica varietà M , di dimensione n, in cui sia definita la teoria di campo) sΓ = Z M Anm+1 6= 0 (3.1.27) in cui Anm+1 è un funzionale locale dei campi (che è n-forma in modo da essere integrabile), avente numero di ghost m + 1, supponendo che l’azione effettiva abbia numero di ghost m, e ricordando che s porta numero di ghost pari a 1. Dalla (3.1.27) ci si accorge immediatamente che, al fine di rispettare la nilpotenza dell’operatore di BRST, l’anomalia deve rispettare la condizione s Anm+1 = d An−1 m+2 (3.1.28) condizione che prende il nome di condizione di consistenza di Wess-Zumino [39]; il processo si può poi iterare come abbiamo fatto per le osservabili per dare luogo ad un’equazione di discesa. Stante questa discussione, concludiamo che le anomalie di una teoria, sono necessariamente s-chiuse modulo d; si può però mostrare il risultato ulteriore: supponiamo infatti che si abbia Anm+1 = s Anm (3.1.29) per qualche funzionale Anm di numero di ghost m. Notiamo che, per la nilpotenza di s, la (3.1.29) rispetta la condizione di consistenza. Tuttavia un cociclo della forma (3.1.29) non rappresenta una reale anomalia: infatti notiamo che Anm può essere aggiunto all’azione effettiva e si ha s Γ̃ = s Γ + Z M Anm =0 (3.1.30) Concludiamo così che, per la ricerca delle possibili anomalie di una teoria di gauge, può essere impostato un problema comologico per l’operatore di BRST modulo d, e che le anomalie di gauge sono BRST-chiuse modulo d ma non BRST-esatte. 3.2 L’indipendenza dal gauge-fixing Discusse le possibili anomalie di gauge di una teoria (intese quindi in ultima analisi come violazioni dell’equazione di Zinn-Justin), vogliamo ora analizzare più in dettaglio un altro aspetto, direttamente collegato al mantenimento del carattere topologico di una teoria a livello quantistico: l’indipendenza della teoria dal gauge-fixing. In altre parole vogliamo analizzare più in dettaglio l’indipendenza dei correlatori dal particolare gauge-fixing utilizzato per definire l’integrale funzionale5 . Consideriamo quindi una teoria di gauge, e consideriamo l’azione gauge-fissata S(αi ) = Sinv + s ΨGF (αi ) 5 (3.2.1) Indipendenza che finora abbiamo solo sancito euristicamente nella sezione di introduzione alla simmetria di BRST. 69 dove abbiamo indicato con la notazione collettiva αi , l’insieme di parametri (commutanti) da cui dipende il termine di gauge-fixing, parametri dai quali invece risulta indipendente l’azione classica Sinv . Indicando quindi con la notazione Z(α ) = i Z ı i (3.2.2) e ~ S(α ) la funzione di partizione quantistica della teoria, ci proponiamo di studiare l’indipendenza o meno di Z αi dai parametri αi usati per fissare il gauge. Stante questa premessa notiamo subito che la situazione si presenta a primo impatto assai diversa rispetto alle anomalie di gauge: in questo caso infatti non esiste a priori un’operazione di BRST sui parametri αi , pertanto in questo frangente l’anomalia (cioè la dipendenza dai parametri αi ) non si presenta inizialmente come una violazione di una simmetria di BRST a livello quantistico. La questione può comunque essere studiata in maniera analoga a quanto viene svolto per le anomalie di gauge: per procedere in tal senso, come abbiamo mostrato a proposito della gravità topologica bidimensionale, è necessario estendere l’azione di BRST ai parametri αi , introducendo quindi l’operatore di BRST modificato s̃ dato dall’espressione s̃ = s + β i ∂αi (3.2.3) nella quale i parametri β i sono anticommutanti di numero di ghost 16 . Il passaggio dall’operatore s all’operatore s̃, si manifesta anche nell’azione gauge-fissata, che assume quindi la forma S̃(αi , β i ) = Sinv + s̃ ΨGF (αi ) (3.2.4) e, in ultima analisi nella funzione di partizione, che diviene in questo caso Z(α , β ) = i i Z ı i e ~ S̃(α ,β i) (3.2.5) Il passare dalla (3.2.2) alla (3.2.5), consente di impostare matematicamente il problema della ricerca delle anomalie topologiche come un problema comologico: infatti, avendo esteso l’azione dell’operatore di BRST ai background αi , la (3.2.5) soddisfa ora, a meno di anomalie, l’identità s̃ Z(αi , β i ) = 0 (3.2.6) Sviluppando la funzione di partizione (3.2.5) in potenze dei parametri anticommutanti β i7 (1) (2) Z(αi , β i ) = Z (0) (αi ) + βi Zi (αi ) + β i β j Zij (αi ) + . . . (3.2.7) (k) l’identità (3.2.6) si traduce in una corrispondente identità per ciascuno degli Zi1 ...ik (αi ), delle quali la prima βi ∂ (0) Z = 0 ∂αi (3.2.8) 6 Questo metodo di estendere l’azione dell’operatore s ai background usati per fissare il gauge, è una tecnica che risale a diversi anni fa. Alcuni esempi si possono trovare ad esempio in [40] oppure [41], anche se in quei frangenti è utilizzato esclusivamente come uno stratagemma tecnico. 7 In cui il primo termine rappresenta proprio l’originaria funzione di partizione Z (0) cui eravamo interessati. 70 è esattamente la richiesta di indipendenza della funzione di partizione originaria dai background αi . Notiamo quindi che l’aver esteso l’azione dell’operatore di BRST ai background consente di tradurre la condizione di indipendenza dagli αi , in una corrispondente condizione di cociclo espressa dalla (3.2.6); condizione che, può essere indagata con metodi comologici, come vedremo più in dettaglio a proposito della teoria di Chern-Simons. Prima di passare a trattare il caso concreto della teoria di Chern-Simons, spendiamo (k) ancora qualche commento circa il significato fisico dei termini Zi1 ...ik con k > 0: nelle teorie fisiche ordinarie questi non hanno di norma significato fisico, e tipicamente si annullano per via della conservazione del numero di ghost, e visto che i parametri β i portano numero di ghost +1. Vedremo invece che, per quanto riguarda la teoria di Chern-Simons (e come abbiamo già visto per le teorie di stringa), la presenza di osservabili con numero di ghost non nullo consentirà di fornire un significato fisico anche a queste componenti con k > 0. In particolare l’identità di BRST (3.2.6), si traduce, nel caso che lo spazio dei parametri αi sia continuo e possa essere fornito di una struttura di varietà differenziabile, in una condizione di chiusura della k-forma Z (k) ,definita nella varietà parametrizzata dagli αi8 , in formule (k) β i1 β i2 . . . β ik β ik+1 ∂i1 Zi2 ...ik+1 = 0 (3.2.9) ad esempio abbiamo già discusso questo aspetto nelle teorie di stringa: lo spazio degli αi è identificato in questo caso con lo spazio dei moduli delle superfici di Riemann di genere g; e il k di rilievo è quello che consente di interpretare la corrispondente Z k in una forma chiusa di grado massimo su questo spazio, in modo da poter essere integrata. 3.3 L’applicazione alla teoria di Chern-Simons Stante questa discussione di carattere preliminare, passiamo ora al caso specifico della teoria di Chern-Simons, e vediamo come la procedura spiegata nella precedente sezione possa essere adeguata al contesto in esame. Come rimarcato in precedenza, la teoria a livello classico è indipendente dalla metrica tridimensionale gij definita sulla varietà M ; tuttavia il termine di gauge-fixing, necessario al fine di definire correttamente l’integrale funzionale, dipende necessariamente dalla metrica e rompe quindi il carattere manifestamente topologico dell’azione. Per convincerci di questo consideriamo ad esempio il consueto gauge di Landau ∂ i Ai = ∗ d ∗ A = √ g g ij ∂j Ai = 0 (3.3.1) e la dipendenza dalla metrica è manifesta. Pertanto ci accorgiamo che la situazione è esattamente analoga a quella descritta nel precedente paragrafo, in cui la metrica gij è interpretabile come i parametri αi prima citati. Studiare quindi le anomalie topologiche della teoria, equivale a studiare la dipendenza eventuale dalla metrica tridimensionale della funzione di partizione Z(gij ). In linea con quanto discusso nel precedente paragrafo, estendiamo quindi l’azione di s alla metrica e, in prima istanza, consideriamo una trasformazione del tipo: s̃ gij = ψij s̃ ψij = 0 che rappresenta l’esatto analogo dell’estensione ipotizzata nel precedente paragrafo. 8 E in cui i parametri β i si identificano con i differenziali esterni degli αi . (3.3.2) 71 Tuttavia le trasformazioni (3.3.2) non sono corrette e vanno leggermente modificate: notiamo infatti che gij e ψij , sono esattamente i campi di gauge che compaiono nella teoria della gravità topologica; e abbiamo già discusso a riguardo che le trasformazioni corrette della gravità topologica fattorizzano in maniera esplicita i diffeomorfismi. Per questo motivo, siamo portati a sostituire le (3.3.2) con le trasformazioni (1.4.5), ottenendo s̃ gij = −Lξ gij + ψij s̃ ψij = −Lξ ψij + Lω gij 1 s̃ ξ i = − Lξ ξ i + ω i 2 i s̃ ω = −Lξ ω i (3.3.3) Il passaggio dalle (3.3.2) alle (3.3.3), introduce in maniera esplicita la simmetria per diffeomorfismi della teoria, pertanto occorre esplicitarne l’azione anche sui campi di materia Ai e c, ossia in formule: s̃A = D c − Lξ A + . . . s̃c = c2 − Lξ c + . . . (3.3.4) tuttavia, come indicato dai punti di sospensione, aver modificato le trasformazioni di BRST, rompe la nilpotenza dell’operatore medesimo9 . Pertanto le (3.3.4) vanno ulteriormente modificate in modo da ripristinare la nilpotenza (almeno on-shell ossia modulo le equazioni del moto). Cominciamo pertanto considerando l’azione di BRST sul campo c, con calcolo diretto si ottiene: s̃2 c = Lω c (3.3.5) pertanto su c s̃ non è nilpotente, ma la nilpotenza può essere ripristinata modificando l’operatore come segue s̃ c = c2 − Lξ c + iω (A) (3.3.6) dove abbiamo indicato con iω la contrazione col vettore ω i , in formule iω (A) = ω i Ai (3.3.7) Passando a considerare il campo di gauge Ai , si giunge a: s̃2 A = iω (F ) (3.3.8) e dunque vediamo che su A l’operatore di BRST è nilpotente solo on-shell (F = 0 sono infatti le equazioni del moto per il campo A). Riassumendo, abbiamo mostrato come estendere l’azione di BRST alla metrica di background, in modo da poter studiare in seguito l’indipendenza topologica della teoria a livello quantistico con metodi comologici. Tuttavia, la corrispondente deformazione nel settore di materia, conserva la nilpotenza di s̃ solo on-shell sul campo A. Per affrontare e risolvere la questione è necessario approntare una 9 E il motivo di questa rottura risiede nel carattere riducibile on-shell delle trasformazioni complessive date dai diffeomorfismi più trasformazioni di gauge. 72 generalizzazione del metodo di BRST, che và sotto il nome di metodo di Batalin-Vilkoviski (BV). Nella prossima sezione sarà quindi presentata dapprima una descrizione generale di tale metodo, per poi applicarlo alla situazione specifica in esame10 . 3.4 Interludio: il metodo di BV Si pone quindi il problema di trovare un modo per generalizzare il metodo di BRST, che consenta di trattare anche trasformazioni di gauge che chiudono solo on-shell (responsabili, in ultima analisi, della nilpotenza solo on-shell di s); e vedremo che il metodo di BV consente in effetti di ottenere la generalizzazione cercata (in realtà il metodo di BV consente anche di trattare casi più generali, in cui sia presente la riducibilità tra le trasformazioni di gauge). Per introdurre in maniera più semplice la procedura, considereremo dapprima il caso in cui l’algebra di gauge chiuda off-shell e sia irriducibile; ossia il caso che già sappiamo trattare efficacemente col formalismo di BRST, e che tuttavia fornirà lo spunto per studiare il problema da un punto di vista diverso, punto di vista che consentirà di trovare la generalizzazione al caso in cui l’algebra chiuda solo on-shell. 3.4.1 Algebra irriducibile che chiude off-shell Consideriamo quindi una teoria di gauge, e indichiamo con L0 la lagrangiana mentre con s il corrispondente operatore di BRST (che ,per l’ipotesi di chiusura off-shell dell’algebra di gauge, risulta nilpotente su i campi φA11 che compongono la teoria). Traendo spunto dalla discussione svolta a riguardo dell’azione effettiva quantistica, consideriamo l’azione ottenuta aggiungendo ad L0 (φ) le sorgenti per le trasformazioni di BRST dei campi12 S = Z h L0 (φ) + φ∗A s φA i (3.4.1) dove le sorgenti φ∗A d’ora in avanti, in linea con la nomenclatura abitualmente in uso, saranno collettivamente chiamati anticampi. Andiamo ora a valutare come varia S sotto l’azione dell’operatore di BRST: sS = = Z h i s L0 (φ) + (s φ∗A ) s φA + φ∗A s2 φA = Z " L δ L0 (φ) δ φB # sφ B + (s φ∗A ) s φ A (3.4.2) dove abbiamo tenuto conto della nilpotenza di s sui campi, e dove abbiamo fatto agire l’operatore di BRST anche sugli anticampi; possiamo quindi definire le trasformazioni di BRST degli anticampi, in modo da ristabilire l’invarianza di S per trasformazioni di BRST. A tal fine, la trasformazione a prima vista più ovvia per porre a zero l’espressione (3.4.2), è data da δ L S0 s φ∗A = − A (3.4.3) δφ 10 La discussione non avrà pretesa di completezza o eleganza, essendo incentrata esclusivamente alla ricerca di una soluzione al problema in esame. Per una trattazione completa e dettagliata del metodo di BV si segnalano, oltre ai lavori originali già citati, le referenze [42], [43] oppure, per l’impostazione geometrica [44]. 11 Da notare che con la notazione φA , abbiamo inteso tutti i campi della teoria, compresi i campi di ghost e i ghost per i ghost presenti in caso di eventuali riducibilità. 12 L’aggiunta di questi termini è necessario qualora si desideri studiare gli aspetti di rinormalizzabilità della teoria. 73 infatti, sostituita nella (3.4.2), annulla la variazione di BRST dell’azione. Osserviamo inoltre che, in base alla (3.4.1), le trasformazioni di BRST dei campi si possono scrivere come s φA = δLS δφ∗A (3.4.4) manifestamente analoga alla (3.4.3), eccetto per il fatto che per gli anticampi abbiamo utilizzato la sola azione classica S0 . Tuttavia, l’analogia tra le due espressioni può essere resa completa, sostituendo alla (3.4.3) l’espressione s φ∗A ≡ δLS δφA (3.4.5) che, sostituita nella (3.4.2), aggiunge l’ulteriore termine Z " ∂(s φB ) φ∗B ∂φA # sφ A = Z h i φ∗B s2 φB = 0 (3.4.6) che quindi non altera l’invarianza dell’azione sotto s. Con calcolo diretto, e sfruttando un’integrazione per parti, si può infine mostrare che la (3.4.5) definisce un’operazione nilpotente sugli anticampi. Quanto fin qui svolto,nell’ambito di un’algebra che chiuda off-shell come abbiamo supposto fin dal principio, definisce esclusivamente un modo per introdurre i termini di sorgente: siamo infatti partiti da un’azione invariante di BRST, l’abbiamo modificata aggiungendo un pezzo ulteriore e dei campi aggiuntivi (gli anticampi), e abbiamo infine definito le trasformazioni di BRST su questi in modo da ripristinare l’invarianza di BRST. Da notare comunque che, posto il problema in questo modo, l’invarianza dell’azione estesa per trasformazioni di BRST e la nilpotenza dell’operatore medesimo sono legate, e la richiesta di invarianza per l’azione estesa ha accorpata al suo interno la condizione di nilpotenza. Per procedere notiamo inoltre che, nello spazio dei campi allargato a comprendere gli anticampi, è possibile introdurre una struttura geometrica addizionale, simile alla struttura simplettica presente nello spazio delle fasi della meccanica classica, che nella terminologia anglosassone prende il nome di antibracket: (F, G) = δR F δLG δR F δLG − δφA δφ∗A δφ∗A δφA (3.4.7) nella quale F e G sono da intendersi come due funzionali generici dei campi e degli anticampi. Ciò posto è ora possibile rovesciare il punto di vista adottato fin qui: si può infatti notare che, una volta ottenuta l’azione estesa S, le trasformazioni di BRST della teoria per i campi e gli anticampi sono univocamente determinate dalle relazioni: s φA = φA , S s φ∗A = (φ∗A , S) (3.4.8) inoltre la condizione di invarianza dell’azione estesa (che come abbiamo già discusso contiene al suo interno la richiesta di nilpotenza per s) è sintetizzata dall’equazione (S, S) = 0 (3.4.9) 74 equazione che prende il nome di master equation. In quest’ordine di idee è quindi possibile riformulare il problema: anziché cercare le trasformazioni di BRST a cui assoggettare gli anticampi della teoria, occorre trovare la soluzione della master equation, dalla quale sarà poi possibile ottenere le trasformazioni di BRST cercate. Si può poi dimostrare che la soluzione della master equation può sempre essere trovata nella forma S = S0 + S1 + S2 + . . . (3.4.10) in cui S0 si identifica con l’azione classica di partenza, e il pedice indica il numero di anticampi presenti. In questa notazione, notiamo che la chiusura off-shell dell’algebra di gauge, consente di fermare la soluzione della master-equation ai soli termini lineari negli anticampi: S = S0 + S1 = S0 + φ∗A s φA (3.4.11) considerando ad esempio il caso della teoria di Chern-Simons non accoppiato alla gravità topologica, l’azione estesa assume in questo caso la forma (dove abbiamo indicato con s0 l’operatore di BRST non accoppiato alla gravità) S0 = S1 = Z ZM M Tr 1 1 A dA + A3 2 3 Tr [A∗ (s0 A) + c∗ (s0 c)] (3.4.12) con le traformazioni di BRST per gli anticampi date da s0 A∗ = F + {A∗ , c} s0 c∗ = D A∗ + [c∗ , c] (3.4.13) Il punto di vista qui esposto costituisce il metodo di Batalin-Vilkovisky, metodo che si rivela equivalente all’ordinario formalismo di BRST nel caso qui discusso, ma che consente di trattare algebre più generali (con chiusura on-shell). Nella prossima sottosezione sarà quindi posto il problema di una teoria con algebra di gauge che chiuda solo on-shell, e andremo a studiare come il metodo di BV consenta di affrontare e risolvere efficacemente il problema. 3.4.2 Chiusura on-shell Passiamo quindi a considerare un problema in cui si abbia la nilpotenza solo on-shell (che è proprio il caso di nostro interesse come abbiamo visto). Supponiamo cioè che sussista la relazione s2 φA = M AB δS0 δφB (3.4.14) vogliamo dunque capire come estendere la procedura appena approntata per trattare anche questo caso. A tal fine, ripartiamo dalla (3.4.2), che in questo caso diviene sS = = Z h i s L0 (φ) + (s φ∗A ) s φA + φ∗A s2 φA = Z " L δ L0 (φ) δ φB sφ B + (s φ∗A ) s φ A + φ∗A M AB ∂L0 ∂φB # (3.4.15) 75 notiamo quindi che, per ripristinare l’invarianza dell’azione estesa, occorre aggiungere alle trasformazioni dei campi il termine s φB → s φB + φ∗A M AB (3.4.16) D’altro canto, come abbiamo rilevato nella precedente sezione, nel metodo di BV la condizione di nilpotenza per s e l’invarianza dell’azione estesa sono in realtà accorpate in un’unica condizione data dalla master equation. Per questo motivo, andiamo ora a verificare quale sia l’azione che risolve la master equation in questo caso di nilpotenza on-shell. Per procedere in questa direzione, è sufficiente notare che, la trasformazione (3.4.16), può essere ottenuta aggiungendo all’azione estesa il termine (quadratico negli anticampi) 1 ∗ ∗ AB φ φ M 2 A B S2 = (3.4.17) concludiamo così che, la soluzione completa della master equation, è data in questo caso dall’espressione S = S0 + S1 + S2 (3.4.18) Discussa questa breve introduzione al metodo di BV, andiamo ora ad applicare la procedura appena approntata alla teoria di Chern-Simons. 3.5 La teoria di Chern-Simons in contesto BV e sua struttura supersimmetrica Tornando quindi alla teoria di Chern-Simons, notiamo che le equazioni (3.3.8) denotano che l’algebra di BRST chiude solamente on-shell, pertanto può essere trattata con i metodi di BV appena esposti. Accanto ai campi fisici A e c, introduciamo quindi i rispettivi anticampi A∗ e c∗ , dotati di numero di ghost −1 e −2 rispettivamente, e definiti come una due-forma e una tre-forma rispettivamente, e ripetiamo il medesimo procedimento su tutti i campi di gravità della teoria (introduciamo quindi gli anticampi ψ ∗ , g ∗ , ξ ∗ e ω ∗ ). Come studiato nel caso generale, l’azione estesa assume ora la forma data dall’espressione (3.4.18) che, adattata al caso in esame, diviene (indicando con la notazione collettiva Φ i vari campi della teoria) SBV = SCS + Z M " Tr X Φ 1 (s Φ) Φ + iω (A∗ ) A∗ 2 # ∗ (3.5.1) nella quale con SCS abbiamo indicato l’azione classica di Chern-Simons. Ricordando poi le relazioni s Φ = (Φ, SBV ) s Φ∗ = (Φ∗ , SBV ) (3.5.2) otteniamo le trasformazioni di BRST complessive su campi e anticampi di materia (d’ora in avanti indicheremo sistematicamente s̃ con la sola notazione s) s c = c2 − Lξ c − iω (A) s A = D c − Lξ A − iω (A∗ ) s A∗ = F − Lξ A∗ + [A∗ , c] − iω (c∗ ) s c∗ = D A∗ − Lξ c∗ + [c∗ , c] (3.5.3) 76 mentre sui campi di gravità s continua ad agire nella forma data dalla (3.3.3). Prima di procedere oltre, è interessante notare ancora un punto che metta in evidenza in modo differente la natura topologica della teoria che stiamo approntando. A tal fine ricordiamo che, in gravità topologica, la nozione di comologia di BRST di interesse è data dalla comologia equivariante [45], il che significa restringere l’attenzione ai soli elementi della comologia che siano indipendenti dal ghost di riparametrizzazione ξ. Come già rimarcato a più riprese, in questo contesto, è utile introdurre l’operatore S = s +Lξ (3.5.4) che, su tutti i campi eccetto ξ, soddisfa la relazione S2 = Lω (3.5.5) e risulta quindi nilpotente quando agisce sui funzionali dei campi invarianti per riparametrizzazioni (ossia scalari), e indipendenti da ξ. Come di consueto, S si filtra in una parte indipendente da ω e in una parte lineare in ω, parte che indicheremo Gω : S = S0 +Gω (3.5.6) in cui S0 è la parte indipendente da ω, mentre Gω è l’operatore nilpotente definito dalle trasformazioni Gω c = iω (A) Gω A = −iω (A∗ ) Gω A∗ = −iω (c∗ ) Gω c∗ = 0 Gω g = 0 Gω ψ = Lω g Gω ω = 0 (3.5.7) S0 e Gω soddisfano dunque un’algebra di supersimmetria twistata S20 = 0 G2ω = 0 {S0 , Gω } = Lω (3.5.8) che è una conferma del carattere topologico della teoria di Chern-Simons: in questa costruzione, si rende infatti manifesta la struttura supersimmetrica con due cariche di supersimmetria della teoria accoppiata alla gravità topologica, e dunque la natura topologica della stessa. È ancora interessante ricordare (sebbene questo aspetto non sarà sviluppato, e per il quale si rimanda all’articolo originale), che recentemente questa struttura supersimmetrica della teoria accoppiata, ha permesso un’interpretazione più completa della supersimmetria vettoriale della teoria di Chern-Simons in gauge di Landau [46]: ricordiamo infatti che la teoria di Chern-Simons sviluppata su varietà piatte, esibisce un’ulteriore supersimmetria vettoriale globale, oltre all’ordinaria simmetria di gauge, quando quantizzata in gauge di Landau. Grazie alla struttura (3.5.8) (e alla presenza nell’azione accoppiata del termine d’accoppiamento tra i campi di gauge e il super-ghost ω), è possibile mostrare che, tale supersimmetria, è da considerarsi come una reminiscenza su varietà piatte, dell’originaria struttura supersimmetrica (3.5.8) presente nella teoria equivariante accoppiata. 77 3.6 Osservabili e deformazioni In questa sezione andremo a studiare delle particolari generalizzazioni della teoria di ChernSimons fin qui approntata, nel dettaglio andremo a studiare la possibilità di costruire osservabili dotate di numero di ghost non nullo e positivo, e le corrispondenti deformazioni all’azione. Inoltre studieremo come queste osservabili possano avere valori di aspettazione non nulli qualora inserite in un correlatore. Per procedere in questa direzione, cominciamo col definire la forma generalizzata A ≡ c + A + A∗ + c∗ (3.6.1) di grado di forma e di numero di ghost indefinito, ma che ha grado totale (di forma più numero di ghost) uguale a 1. Come già ribadito in precedenza a proposito delle stringhe topologiche, la comologia di rilievo in gravità topologica è la comologia equivariante, e in questo frangente la comologia di s modulo d è equivalente alla comologia assoluta dell’operatore δ ≡ S +iγ − d (3.6.2) sullo spazio delle forme generalizzate indipendenti da ξ [18]. Prima di procedere è ancora da notare che, in virtù delle equazioni (3.5.7), su A sussiste anche l’identità (Gω − iω ) A = 0 (3.6.3) grazie alla quale, su A, l’azione di δ è equivalente all’azione dell’operatore δ0 ≡ S0 −d δA = δ0 A (3.6.4) in cui si è indicato con S0 l’operatore di BRST non accoppiato al settore di gravità la cui azione è data da S0 A = D c S0 c = c2 S0 A∗ = F + [A∗ , c] S0 c∗ = D A∗ + [c∗ , c] (3.6.5) dove con le parentesi quadre abbiamo indicato indifferentemente un commutatore o un anticommutatore a seconda della statistica cui obbediscono i campi. La comologia di δ0 è abbondantemente studiata in letteratura e, specializzando la discussione al caso in cui il gruppo di gauge sia SU (N ), si trova il risultato seguente [47] Teorema 3.6.1. Sia τa1 ...am un tensore G-invariante e completamente antisimmetrico con m indici ai in qualche rappresentazione R di G. Allora la forma generalizzata hAm i ≡ τa1 ...am Aa1 . . . Aam (3.6.6) appartiene alla comologia di δ0 . Nel caso particolare di G = SU (N ) se m = 3, 5, 7, . . . , 2N − 1 (3.6.7) la dipendenza di τ dalla rappresentazione si riduce ad un fattore di normalizzazione moltiplicativo. 78 Grazie alla validità della condizione (3.6.3) i cocicli di δ0 sono poi automaticamente cocicli di δ. Il più piccolo valore di m è m = 3 per il quale la scelta è unica ed è data da τ = fabc , con fabc le costanti di struttura del gruppo, la corrispondente osservabile diviene dunque 1 (0) (2) (1) (3) Ω3 ≡ TrA3 ≡ Ω3 + Ω1 + Ω2 + Ω0 3 (3.6.8) le cui componenti Ω sono date da (0) Ω3 (1) Ω2 1 Tr c3 3 = Tr A c2 = h i (2) = Tr A∗ c2 + A2 c (3) = Ω1 Ω0 1 Tr [A3 + 3c∗ c2 + 3 {A , c} A∗ ] 3 (3.6.9) (3) Dal momento che Ω0 è s-invariante modulo d questo può essere aggiunto all’azione, per dare luogo ad una versione deformata dell’azione di Chern-Simons S̃BV (t) = SBV + t (3) come abbiamo visto, in Ω0 relazione Z (3) M Ω0 (3.6.10) compaiono esplicitamente gli anticampi pertanto, vista la s Φ = S̃BV , Φ (3.6.11) si ottiene che la deformazione genera delle trasformazioni di BRST a loro volta deformate. Quanto appena esposto può essere generalizzato a numeri di ghost maggiori di 3; in particolare, scegliendo nuovamente m = 3, 5, 7, . . . , 2N − 1 (3.6.12) otteniamo le osservabili a traccia singola [21] Ωm = 1 (1) (2) (3) Tr Am ≡ Ω(0) m + Ωm−1 + Ωm−2 + Ωm−3 m (3.6.13) le cui componenti sono date dall’espressione 1 Tr cm m = Tr A cm − 1 Ω(0) m = (1) Ωm−1 1 2 m−2 (A c + A c A cm−3 + .... + A cm−2 A)] 2 1 (3) Ωm−3 = Tr[c∗ cm−1 + A∗ (A cm−2 + c A cm−3 + .... + cm−2 A) + 2 X + A cm−i A cj A ci−j−3 ] (3.6.14) (2) Ωm−2 = Tr[A∗ cm−1 + i,j≤m−3 nelle quali la tre-forma ha, come si vede, numero di ghost m − 3. 79 (3) In maniera analoga al caso m = 3 le tre-forme Ωm−3 possono essere aggiunte all’azione, dando luogo alla deformazione13 S̃BV (ti ) = SBV + N −1 X i=1 Z (3) ti M Ω2i (3.6.15) che nuovamente deformano corrispondentemente le trasformazioni di BRST dei campi della teoria. Si rende ora necessario compiere un commento riguardo il significato delle deformazioni appena introdotte [28]. Apparentemente la procedura appena approntata, con l’introduzione delle osservabili con numero di ghost positivo, può sembrare non particolarmente significativa: infatti la teoria di Chern-Simons conserva il numero di ghost, e pertanto in prima analisi qualunque correlatore in cui sia inserito un’osservabile avente numero di ghost positivo dovrebbe annullarsi per la conservazione del numero di ghost; ricordando quanto già affermato nel primo capitolo, ossia che in teoria dei campi la grandezza fisicamente di rilievo è costituita dai prodotti correlazione, la costruzione appena mostrata sembra non avere particolare importanza. Tuttavia mostreremo ora in maniera molto semplice come, l’accoppiamento alla gravità topologica, fornisca osservabili di numero di ghost negativo, che inserite in un correlatore possono bilanciare il numero di ghost totale e quindi fornire significato alle osservabili appena introdotte. Si consideri a tal fine il termine di gauge fixing utilizzato (nel quale esplicitiamo le dipendenze dalla metrica) SGF k = s 2π Z M √ (0) g Tr c̄ g ij Di Ãj (3.6.16) ricordando che in questo frangente l’operatore di BRST agisce anche sulla metrica il termine di gauge-fixing contiene ora l’ulteriore termine (trascuriamo, per semplicità la parte equivariante della trasformazione di g): k 2π Z M √ g Tr ψ ij − 1 ij k (0) g ψ k c̄Di Ãj 2 (3.6.17) che ha numero di ghost −1 nel settore di materia, e che dunque può essere inserito in un correlatore per bilanciare il numero di ghost delle osservabili con numero di ghost positivo, concludiamo pertanto che le osservabili con numero di ghost non nullo sono da considerarsi significative nella teoria accoppiata. Notiamo infine che, un correlatore contenente osservabili per numero di ghost totale 2n, una volta effettuata l’integrazione funzionale sui campi di gauge darà luogo ad un funzionale delle variabili gravitazionali avente ancora numero di ghost totale 2n, per effetto della presenza delle 2n variabili ψ ij presenti nel correlatore originario. Ricordando quanto già esposto a riguardo della gravità topologica, in cui abbiamo mostrato che ψ è una uno-forma nello spazio dei moduli, concludiamo che tale funzionale và interpretato come una 2n-forma nello spazio dei moduli stesso. 3.7 Anomalie topologiche Vogliamo ora andare a studiare la questione delle anomalie topologiche della teoria di Chern-Simons originale, e delle deformazioni appena introdotte. Come abbiamo visto, l’aver 13 Nella quale i vari ti hanno numero di ghost negativo in modo da compensare il numero di ghost delle osservabili. 80 accoppiato la teoria di Chern-Simons alla gravità topologica tridimensionale, ci consentirà di studiare questa questione con metodi comologici. In particolare, consideriamo l’azione effettiva gravitazionale ottenuta compiendo l’integrale funzionale sul solo settore di gauge dell’azione deformata S̃BV Z = ıW [g,ψ,ω,ti ] e [d Φ] eıS̃BV (ti ) (3.7.1) in cui, come previsto dall’equivarianza, non si ha dipendenza dal ghost di riparametrizzazione ξ, mentre abbiamo indicato con Φ la totalità dei campi del settore di gauge; notiamo inoltre che W , per la conservazione del numero di ghost, si decompone nella somma di componenti con diverso numero di ghost W = X (3.7.2) W2n n nella quale i singoli W2n hanno numero di ghost pari a 2n. In assenza di anomalie topologiche, l’azione effettiva soddisfa l’identità di Slavnov-Taylor S W [g, ψ, ω, ti ] = Z δW δW ψ− Lω g = 0 δg δψ (3.7.3) vediamo pertanto che, a seguito dell’accoppiamento, lo studio delle anomalie topologiche si manifesta come una violazione della (3.7.3) S W2n [g, ψ, ω] = Z M (3) A2n+1 [g, ψ, ω] (3.7.4) (3) in cui A2n+1 è un funzionale locale dei campi di gravità che soddisfa le condizioni di consistenza di Wess-Zumino (3) (2) S A2n+1 = d A2n+2 (3.7.5) dalla quale è possibile ricavare tutta l’equazione di discesa, equazione come sempre sintetizzata nella forma δA2n+4 = 0 (3.7.6) dove, come di consueto, A2n+4 è la forma generalizzata definita dalla relazione (3) (2) (1) (0) A2n+4 = A2n+1 + A2n+2 + A2n+3 + A2n+4 (3.7.7) Occorre quindi trovare le soluzioni della (3.7.6) modulo δ, il che equivale a cercare le osservabili della gravità topologica tridimensionale. A tal proposito, in analogia a quanto già visto nel caso bidimensionale partiamo dal tensore di curvatura su M , che denoteremo con R, e che considereremo come una due forma a valori matriciali R(2) i j ≡ d Γ + Γ2 i j (3.7.8) dove Γ è la connessione di Levi-Civita, vista come una uno forma a valori matriciali. Dalla (3.7.8)14 , si ottiene quindi l’equazione di discesa a valori matriciali δ̂R = 0 14 E sfruttando l’identità Lω Γ = D R(0) − iω R(2) . (3.7.9) 81 dove abbiamo introdotto come di consueto R ≡ R(2) + R(1) + R(0) (3.7.10) avendo definito i 1h Dψ i j + Dj ψ i k dxk − Di ψkj dxk = S (Γ)i j 2 ≡ Dj ω i (R(1) )i j ≡ (R(0) )i j (3.7.11) mentre l’operatore δ̂ è dato da δ̂ ≡ S +iω + D (3.7.12) δ̂ 2 X = [R, X ] (3.7.13) che soddisfa e dunque è nilpotente sugli scalari per riparametrizzazioni. Stante questa discussione, è chiaro che gli scalari costruiti a partire da R A2k = Tr Rk k = 1, 2, . . . (3.7.14) in cui la traccia si intende sugli indici di matrice, sono δ̂-chiusi δ̂A2k = 0 (3.7.15) rimane invece da verificare se siano, δ̂-esatti o meno. Senza entrare nella dimostrazione [21], ci limitiamo a citare il risultato che i cocicli non banali nella (3.7.15) sono dati dall’espressione A4p = Tr R2p p = 1, 2, . . . (3.7.16) ossia dalle potenze pari di R. Ritornando quindi alla ricerca delle anomalie topologiche delle teorie di Chern-Simons deformate otteniamo quindi l’equazione S W4(p−1) [g, ψ, ω] = c2(p−1) (t) Z M Tr R2p p = 1, 2, . . . (3.7.17) nella quale l’integrazione su M seleziona la componente dell’anomalia con grado di forma pari a 3, e in cui abbiamo indicato con c2(p−1) (t) i coefficienti di anomalia (coefficienti che non sono deducibili con metodi comologici ovviamente). In particolare, per p = 1 si ritrova un risultato che era già noto in letteratura da diversi anni, la cosiddetta framing anomaly scoperta da Witten [13] (3) A1 = Tr R(2) R(1) = −ijk Rkl Di ψjl (3.7.18) anomalia che nei lavori originali era stata comunque scoperta con metodi differenti (tramite regolarizzazione dell’integrale funzionale). Notiamo quindi che il metodo approntato in questo capitolo, ci ha permesso di riottenere il risultato noto in letteratura con metodi comologici, insieme a tutta una serie di generalizzazioni di questo, generalizzazioni che risultano rilevanti per lo studio delle deformazioni della teoria di Chern-Simons illustrate in questo capitolo. 82 3.8 Interpretazione dei risultati Per concludere il capitolo, cercheremo ora di fornire un’interpretazione15 alle anomalie topologiche appena trovate, alla luce del legame dimostrato nel capitolo precedente tra la teoria di Chern-Simons e i modelli di stringa topologica. Come abbiamo avuto modo di rilevare in quel frangente, la teoria di Chern-Simons con gruppo di gauge SU(N ), da un punto di vista di teoria di stringa, descrive una teoria di stringhe aperte, i cui i estremi sono vincolati a giacere su N D-Brane, oggetti estesi in propagazione nello spazio sei-dimensionale X6 = T (M )16 . Scoperta tale interpretazione, Witten formulò l’ipotesi che la framing anomaly della teoria di Chern-Simons potesse essere rimossa accoppiando il settore di stringa aperta (che in formulazione di target-space è la teoria di CS), col settore di stringa chiusa, stringhe chiuse in moto nel target-space complessivo X6 . Si può quindi ipotizzare che tale accoppiamento possa cancellare non solo la framing anomaly, ma anche tutte le altre generalizzazioni appena evidenziate. Ad oggi, questa descrizione rimane ancora a livello di ipotesi, dal momento che la teoria di target-space del modello A chiuso è tutt’ora poco conosciuta, sebbene alcuni progressi in questa direzione sono stati compiuti in [48]17 . In questa sezione ci preoccuperemo allora di illustrare alcune caratteristiche che la teoria di campo chiusa dovrebbe soddisfare, per poter cancellare le anomalie topologiche trovate. Come abbiamo visto a proposito delle osservabili del modello A, le osservabili fisiche per la teoria chiusa, sono le due-forme su X6 appartenenti alla comologia di de Rham. Risulta pertanto naturale ipotizzare che, la teoria di target-space, debba contenere un campo k (2) che sia una due-forma in X6 e che l’azione conduca alle equazioni del moto d k (2) = 0 (3.8.1) e le cui proprietà di gauge diano luogo ad un’equazione di discesa soddisfatta dall’operatore S0 di BRST (del solo settore di gauge) del tipo S0 k (2) = d k (1) S0 k (1) = d k (0) S0 k (0) = 0 (3.8.2) Come già discusso poi per la teoria di Chern-Simons, si arriva alla conclusione che anche la teoria chiusa vada accoppiata alla gravità topologica (ovviamente 6-dimensionale), come di consueto introdurremo allora l’operatore equivariante s = S −Lξ (3.8.3) che soddisfa la consueta equazione di discesa modificata S k (2) = d k (1) S k (1) = d k (0) − iω (k 2 ) S k (0) = −iω (k (1) ) (3.8.4) che comunque, come già successo per la teoria di Chern-Simons, è nilpotente solo on shell S2 = Lγ + iω d k (2) 15 δ δk (2) (3.8.5) Interpretazione comunque di natura qualitativa e assolutamente non definitiva. Un’introduzione alle D-brane si può trovare, come sempre, in [31]. 17 A differenza ad esempio di quanto avviene per il modello B, in cui invece è disponibile una teoria di target space per il modello chiuso, teoria che và sotto il nome di teoria di Kodaira-Spencer [49]. 16 83 Per risolvere il problema, introduciamo nuovamente la forma generalizzata K = k (0) + k (1) + k (2) + k(3) + k (4) + k (5) + k (6) (3.8.6) e, come di consueto, introduciamo l’operatore nilpotente off-shell δ che soddisfa δK = (S −d − iω ) = 0 (3.8.7) In analogia a quanto fatto per la teoria di Chern-Simons, siamo poi portati ad interpretare k (4) con p = 0, 1, 2 come campi, e k (p) con p = 3, 4, 5 come anticampi; un ulteriore vincolo imporrebbe poi l’annullarsi di k (6) . Vediamo ora come questo quadro qui delineato si modifichi in presenza di D-brane topologiche. Come noto in contesti più tradizionali (come ad esempio la teoria di stringa bosonica o le teorie di superstringa), le D-brane agiscono non solo come oggetti geometrici su cui si propagano le stringhe aperte, ma anche come sorgenti stesse per le stringhe chiuse [31]. In quest’ordine di idee, è naturale modificare la (3.8.1) in presenza di una D-brana, per includerci anche un termine di sorgente d k (2) = αδM (3.8.8) in cui α è una costante di accoppiamento e δM , che in termini tecnici è il duale di Poincaré della brana M , può essere rozzamente interpretata come un analogo della delta di Dirac avente supporto sulla D-Brana. Corrispondentemente anche la (3.8.7) subisce la modifica δK = αδM (3.8.9) δ 2 K = αδδM = 0 (3.8.10) con la condizione di consistenza In questo contesto, è possibile introdurre nella teoria chiusa i termini che cancellino le anomalie della teoria aperta. Basta infatti che nell’azione della teoria di campo chiusa, sia presente un termine del tipo Ip = − c2(p−1) (t) α Z A4p K X6 (3.8.11) di modo che, sfruttando la (3.8.10) e le proprietà di δM , si ottenga S Ip = −c2(p−1) Z M A4p = − S F4(p−1) (3.8.12) cancellando così le anomalie. Come già anticipato ad inizio sezione, la costruzione qui delineata rimane per ora a livello speculativo; l’unica conferma in tal senso si ha per la framing anomaly, per la quale sono stati avanzati argomenti che evidenziano la presenza nella teoria chiusa del corrispondente termine I1 [50]. Capitolo 4 La teoria di Chern-Simons olomorfa In questo capitolo verranno studiati alcuni aspetti quantistici della teoria di holomorphic Chern-Simons. Come abbiamo già avuto modo di rimarcare al termine del capitolo 2, la teoria di HCS è una teoria di gauge in sei dimensioni reali, pertanto non rinormalizzabile superficialmente per conteggio di potenze. Tuttavia la corrispondenza con il modello B aperto, spinge a ritenere che alla HCS possa essere attribuito un significato quantistico che la renda ben definita a tutte le scale energetiche. La questione della rinormalizzabilità della teoria di HCS è un problema che ancora non è stato completamente risolto, e al quale la presente tesi intende fornire alcuni sviluppi preliminari originali. Sempre in termini della corrispondenza tra modello B e teoria di HCS, verrà discusso come l’azione di HCS debba essere riscritta in modo da evidenziare la sua dipendenza dalla struttura complessa dello spazio di Calabi-Yau sei-dimensionale M in cui è definita. Nel linguaggio del modello B, il risultato che otterremo descrive l’accoppiamento tra il settore di stringa aperta (che è descritto dalla HCS) e il settore di stringa chiusa (che descrive le variazioni della struttura complessa del target-space [49]). Otterremo quindi un’azione nella quale l’accoppiamento con i differenziali di Beltrami è realizzato in maniera esplicita e nella quale tutte le simmetrie (sia di gauge sia di diffeomorfismi chirali1 ) sono realizzate off-shell. Introdurremo infine, come sviluppo preliminare in vista dello studio della rinormalizzabilità, i termini di sorgente per tutte le trasformazioni di BRST dei campi che compongono la teoria. Successivamente passeremo allo studio delle possibili anomalie gravitazionali chirali della teoria. Nello specifico ci preoccuperemo di classificare tutti i possibili cocicli di anomalia ad un loop in teoria delle perturbazioni. L’analisi sarà dapprima di natura generale (e sfrutterà una variante olomorfa di un modello, introdotto da Bardeen e Zumino [56], per studiare le anomalie gravitazionali reali), per poi specializzarsi al caso specifico di interesse. Contestualmente deriveremo l’operatore di discesa per la teoria di HCS, che permetterà di studiare i problemi comologici connessi con le anomalie a solo livello di zero-forme, rivelandosi dunque uno strumento utile per lo studio dei problemi comologici. 1 Che saranno introdotti nella prima parte del capitolo. 85 86 4.1 Parametrizzazione di Beltrami della struttura complessa In questa sezione ci occuperemo di mostrare la parametrizzazione di Beltrami per la struttura complessa di una varietà M , varietà complessa n-dimensionale[51], [52]2 . Come già spiegato a proposito delle varietà di Kahler, fornire una struttura complessa ad una varietà M , equivale a fornire una distinzione tra coordinate olomorfe e antiolomorfe, in modo che le funzioni di transizione tra carte locali abbiano carattere olomorfo. Indicheremo quindi con J la struttura complessa di cui M è fornita, in base alla quale scriveremo un generico sistema di coordinate posto su M con la notazione z i , z ı̄ , sistema di coordinate che in seguito sarà denominato sistema di coordinate piccole. Accanto al sistema di coordinate piccole è possibile considerare il sistema di coordinate adattato alla struttura complessa J, sistema che sarà denominato sistema di coordinate grandi, che sarà indicato con la notazione Z i , Z ı̄ e che può essere considerato come il sistema di coordinate su M rispetto al quale la metrica assume la forma (4.1.1) ds2 ∝ |dZ|2 Naturalmente, il sistema di coordinate grandi dipende strettamente da J, nel senso che al variare della struttura complessa anche il sistema di coordinate grandi varia corrispondentemente; per questo motivo un’altra nomenclatura che sarà spesso usata è sistema di i ı̄ coordinate fissoper indicare il sistema z , z e sistema di coordinate mobile per indicare il sistema Z i , Z ı̄ . Vogliamo ora discutere un particolare modo di descrivere la struttura complessa J, descrizione che va sotto il nome di parametrizzazione di Beltrami. Consideriamo a tal proposito il cambio di coordinate dal sistema di coordinate piccole al i i l l̄ sistema di coordinate grandi, rappresentato in componenti dalle funzioni Z = Z z , z (e analoga espressione vale per le complesse coniugate) e vediamo la corrispondente trasformazione sui relativi differenziali: d Z i = d z j + d z ̄ µ̄j Λji d Z ı̄ = d z ̄ + d z j µj̄ Λ̄ı̄ (4.1.2) dove abbiamo indicato ∂Z i ∂z j ∂z j ∂Z l = ∂Z l ∂z ̄ Λji = µ̄j (4.1.3) Nella (4.1.3) µ̄j , e il corrispondente complesso coniugato, sono i cosiddetti differenziali di Beltrami, e la (4.1.2) mostra che le variazioni della struttura complessa di M sono parametrizzate proprio dai differenziali di Beltrami e dai fattori Λji (da cui il nome di parametrizzazione di Beltrami della struttura complessa). Avendo definito i differenziali di Beltrami, e i fattori integranti Λji , notiamo anzitutto che, stanti le (4.1.3), la richiesta di integrabilità conduce alle equazioni ∂k Λij = ∂i Λkj ∂k̄ Λji = ∂j µk̄l Λli ∂[k̄ µj̄] − µi[k̄ ∂i µj̄] = F(µ)ik̄ ̄ = 0 2 (4.1.4) In seguito, quando specializzeremo i discorsi alla teoria di Holomorphic Chern-Simons, M sarà da considerarsi spazio di Calabi-Yau tridimensionale; tuttavia quanto stiamo per esporre ha validità generale. 87 in particolare la seconda e la terza prendono il nome di equazioni di Beltrami e di KodairaSpencer rispettivamente. Analizzando ora il contenuto delle equazioni (4.1.4), notiamo che l’equazione di KodairaSpencer è interpretabile come un vincolo sui differenziali di Beltrami. In altri termini possiamo affermare che, affinchè una forma di tipo (0, 1) a valori in T 1,0 M sia una deformazione della struttura complessa, questa deve risolvere l’equazione di Kodaira-Spencer; viceversa si può mostrare che, posto che µ soddisfi l’equazione di Kodaira-Spencer, l’equazione di Beltrami è risolta da un unico Λ. Pertanto le due equazioni combinate mostrano che le strutture complesse su M sono parametrizzate esclusivamente dai differenziali di Beltrami, che sono 1-forme a valori nel fibrato tangente soluzioni dell’equazione di Kodaira-Spencer. 4.2 Azione dei diffeomorfismi e simmetrie dell’equazione di Kodaira-Spencer. Stante la discussione precedente, andiamo ora a valutare l’azione dei diffeomorfismi sui differenziali di Beltrami appena introdotti[20]. Cominciamo intanto ponendoci nel sistema di coordinate piccole e ricordiamo che, in contesto di BRST, i diffeomorfismi sono rappresentati tramite un campo vettoriale fermionico cI 3 , avente numero di ghost +1 e definito dalla relazione s f z i z ı̄ = ∂f i ∂f ı̄ c + c i ∂z ∂z ı̄ (4.2.1) il quale agisce sui campi di materia tramite derivata di Lie e la cui variazione per diffeomorfismi è data dalla relazione s cI = cJ ∂J cI (4.2.2) L’azione dei diffeomorfismi sui differenziali di Beltrami, si ottiene a partire dall’azione dei diffeomorfismi stessi sulla metrica gIJ . Restringiamo l’analisi al solo settore indipendente dalla classe di Kahler ĝ ī = d Z i ∧ d Z ̄ (4.2.3) Le equazioni (4.1.2) e (4.1.1) conducono all’espressione a blocchi 1 ĝ = 1 − µµ̄ 2µ̄ 1 + µµ̄ 1 + µµ̄ 2µ ! (4.2.4) da cui deriva la variazione di BRST per µ[52] s µı̄ j = ci ∂i µı̄ j + cı̄ ∂ı̄ µı̄ j + ∂ı̄ − µı̄ l ∂l cj + ∂ı̄ − µı̄ l ∂l cr̄ µr̄ j (4.2.5) che, sfruttando l’equazione di Kodaira-Spencer, assume la forma più semplice s µı̄ j = ci ∂i µı̄ j + ∂ı̄ cl̄ µl̄ j 3 − ∂l cl µı̄ j − µı̄ l ∂l cr̄ µr̄ j + ∂ı̄ cj (4.2.6) Dove adottiamo la convenzione di indicare con indici maiuscoli le coordinate ogniqualvolta non si faccia distinzione tra indici olomorfi ed antiolomorfi. 88 Passiamo al sistema di coordinate mobili: questo può essere visto come un sistema di i i l l funzioni Z = Z z , z̄ e analoga espressione per le complesse coniugate. Pertanto la trasformazione per diffeomorfismi diviene s Zi = ∂Z i ∂Z i l̄ l l̄ l l s z = c + c µ Λl i s z + l̄ l̄ ∂z l ∂z (4.2.7) definendo quindi ξ i = ci + c̄ µ̄i ξ ı̄ = cı̄ + cj µjı̄ (4.2.8) la (4.2.7) diviene: s Z i = ξ j Λji s Z ı̄ = ξ ̄ Λ̄ı̄ (4.2.9) che consente così di interpretare i ghost ξ e ξ¯ come i ghost per diffeomorfismi associati al sistema di coordinate mobili. La richiesta di nilpotenza per s conduce quindi alle espressioni = ξ j ∂j ξ l Λli + s ξ j Λji = = ∂̄ ξ j Λji s ξ j Λji s µ̄j Λji s ξ j − ξ l ∂l ξ j Λji = 0 = ξ j ∂j µ̄l Λli + ∂̄ ξ j Λji = µ̄j ∂j ξ l Λli + s µ̄l Λli (4.2.10) dalle quali si ottengono: s ξ i = ξ j ∂j ξ i s µı̄j = ∂ı̄ ξ j − µı̄l ∂l ξ j + ∂l ξ j µı̄l (4.2.11) e analogamente per il settore antiolomorfo. Le equazioni (4.2.11) esprimono la fattorizzazione olomorfa dell’azione dei diffeomorfismi ¯ µ, µ̄ [53]. Per ottenere queste equazioni si è fatto uso delle condizioni ristretta al settore ξ, ξ, di integrabilità (4.1.4). La proprietà di fattorizzazione olomorfa dell’algebra di diffeomorfismi richiede pertanto la validità dell’equazione di Kodaira-Spencer per i differenziali di Beltrami µ e µ̄. D’altra parte è immediato osservare che le trasformazioni di BRST (4.2.11) sul multipletto olomorfo (ξ, µ) sono nilpotenti indipendentemente dalla validità dell’equazione di KodairaSpencer. Le (4.2.11) possono infatti essere dedotte dalle (4.2.5) ponendo c̄ ≡ 0 (e quindi conseguentemente c ≡ ξ), senza supporre alcuna restrizione su µ. Nel seguito ci riferiremo a tali trasformazioni sul settore olomorfo (ξ, µ) come diffeomorfismi chirali. La relazione tra l’operatore di BRST schir associato ai diffeomorfismi chirali e sdiff relativo ai diffeomorfismi tout court è : sdiff µ = Lξ µ + i(c̄) F ≡ schir µ + i(c̄) F (4.2.12) dove L indica la derivata di Lie, mentre i(c̄) rappresenta la contrazione col vettore c̄. L’analisi delle proprietà olomorfe della HCS che svilupperemo nel resto di questo capitolo, nella quale µ svolgerà il ruolo di sorgente esterna per il tensore energia-impulso, farà uso di schir . 89 4.3 Fattorizzazione olomorfa e derivazione covariante In questa sezione deriveremo l’estensione dell’azione dei diffeomorfismi chirali (che d’ora in avanti per comodità indicheremo sistematicamente con s qualora non vi sia possibilità di fraintendimenti) a campi di materia (scalari, forme o vettori) definiti sulla varietà M . L’estensione delle (4.2.11) che otterremo costituisce un risultato originale che sarà essenziale per lo studio delle proprietà olomorfe della teoria quantistica di HCS. La strategia che adotteremo sarà basata sulla seguente osservazione: la sostituzione ci ≡ ξ i cı̄ = 0 (4.3.1) nelle regole di trasformazioni per diffeomorfismi non-chirali per i campi da materia è un troncamento consistente che preserva la nilpotenza dell’operatore di BRST associato. Naturalmente questa sostituzione non è compatibile col carattere reale dei parametri cI , ovvero con la condizione (ci )∗ = cı̄ . Per questa ragione i diffeomorfismi chirali non hanno la stessa interpretrazione geometrica dei genuini diffeomorfismi. Essi devono piuttosto essere pensati come una simmetria di gauge che controlla la struttura olomorfa delle teorie chirali. L’azione dei diffeomorfismi chirali sui campi scalari è dunque s φ = ξ j ∂j φ (4.3.2) La sostituzione (4.3.1) non è però sufficiente a generare delle trasformazioni fattorizzate per campi con indici tensoriali. Per esempio nel caso di un campo con indice di forma otteniamo s Aī = ∂ī ξ l Al + ξ l ∂l Aī s Ai = ∂ i ξ l Al + ξ l ∂ l Ai (4.3.3) Come si vede la (4.3.3) non fattorizza le coordinate olomorfe ed antiolomorfe, e a seguito della trasformazione queste si mischiano. Il problema può essere risolto ridefinendo opportunamente le componenti olomorfe e antiolomorfe nella maniera seguente Ai −→ Aei = Ai Aı̄ −→ Aeī = Aī − µīl Al (4.3.4) s Aeī = ξ l ∂l Aeī (4.3.5) sulla quale si ottiene: e la 1-forma modificata Ae fattorizza le componenti, più in dettaglio vediamo che per diffeomorfismi chirali trasforma come uno scalare. Il discorso può essere esteso ad una generica n-forma, definendo gli indici antiolomorfi tramite prodotto esterno di uno-forme: Aei¯1 i¯2 ....i¯n = Aei¯1 ∧ Aei¯2 ∧ ..... ∧ Aei¯n (4.3.6) s Aei¯1 i¯2 ....i¯n = ξ l ∂l Aei¯1 i¯2 ....i¯n (4.3.7) che ovviamente soddisfa: 90 Passiamo a grandezze contenenti indici vettoriali, V i ≡ V i diffeomorfismi nella maniera seguente: ∂ . ∂ zi Questi trasformano per s V i = ξ l ∂l V i − ∂l ξ i V l − ∂l̄ ξ i V l̄ s V j̄ = ξ l ∂l V j̄ (4.3.8) e le componenti olomorfe a non fattorizzano; poniamo quindi: Ve i ≡ V i + µij̄ V j̄ (4.3.9) e utilizzando le (4.3.8) si ottiene: (4.3.10) s Ve i = ξ l ∂l Ve i − ∂l ξ i Ve l e anche in questo caso la fattorizzazione olomorfa è mostrata; nuovamente il discorso si estende in maniera ovvia a tensori di grado generico tramite prodotto esterno. Per concludere questa sezione mostriamo che è possibile introdurre un’operazione di derivazione sui campi di materia, che sia covariante rispetto alle trasformazioni di diffeomorfismi appena considerate. Consideriamo anzitutto l’operatore, indicato con ∇, definito dalla relazione: ∇ = ∂¯ − µ · ∂ ≡ dxı̄ ∇ı̄ (4.3.11) e verifichiamone l’azione sui campi fin qui discussi. Omettendo sistematicamente il simbolo ~per comodità, si ottiene: s (∇ı̄ φ) = ξ j ∂j (∇ı̄ φ) s (∇̄ Aı̄ ) = ξ j ∂j (∇̄ Aı̄ ) (4.3.12) le quali mostrano che, rispetto alle forme antiolomorfe e agli scalari, l’operatore ∇ si comporta come una derivata covariante. Sulle grandezze contenenti componenti olomorfe il comportamento covariante può essere ottenuto aggiungendo a ∇ un pezzo di connessione: ∇ ≡ ∇ + ∂ · µ ≡ dx b ı̄ ∇ı̄ + Γ̂ı̄ i j (4.3.13) dove si è posto Γ̂ı̄ i j ≡ ∂j µı̄i (4.3.14) agente sui campi nella maniera seguente j i ... ˆ φi ... i ... i j ... ∇ k̄ ı̄̄...;k... = ∇k̄ φı̄̄...;k... + ∂j µk̄ φı̄̄...;k... − ∂k µk̄ φı̄̄...;j... + · · · (4.3.15) La necessità di costruire una teoria che non contenga esplicitamente il campo µ̄ 4 , impedisce di costruire in maniera analoga un operatore di differenziazione covariante olomorfo; tuttavia, sui campi aventi comportamento scalare per diffeomorfismi (sugli scalari e sulle forme), la derivazione olomorfa ordinaria è sufficiente per avere la covarianza: s (∂i φ) = ∂i ξ j (∂j φ) + ξ l ∂l (∂i φ) 4 Ci riferiamo qui esplicitamente all’applicazione alla teoria di HCS. (4.3.16) 91 vedremo che questo è sufficiente per gli scopi successivi. Riassumendo, in questa sezione abbiamo mostrato che l’azione dei diffeomorfismi chirali, può essere estesa ai campi di materia con cui una teoria di campo su M è costruita. Inoltre abbiamo anche mostrato come sia possibile costruire un’operazione di derivazione antiolomorfa covariante rispetto ai diffeomorfismi, operazione che sfrutta il solo campo µ, ma non il campo µ̄. Pertanto si conclude che ad una teoria di campo su M è possibile attribuire carattere semi-topologico (nel senso di indipendenza da µ̄), purchè la teoria in questione includa la sola derivazione antiolomorfa (o al più una derivazione olomorfa agente sui campi scalari). Nella prossima sezione verificheremo come questa circostanza si verifichi in effetti per la teoria di HCS. 4.4 Teoria di HCS: simmetrie Ritorniamo all’azione di Holomorphic Chern-Simons che, come abbiamo ricavato in precedenza, è da considerarsi come la formulazione di seconda quantizzazione del modello B nel settore delle stringhe aperte5 . La formula (2.2.59) è da considerarsi riferita al sistema di coordinate olomorfo adatto ad una particolare struttura complessa. Il nostro obiettivo è lo studio delle proprietà della teoria al variare struttura complessa del background. Per rendere esplicita la dipendenza della teoria dalla struttura complessa faremo uso della parametrizzazione di Beltrami. Il problema che risolveremo in questa sezione sarà dunque quello dell’accoppiamento della teoria di HCS ai differenziali di Beltrami in maniera da preservare, insieme all’invarianza di gauge, l’invarianza per diffeormorfismi chirali del background. La derivazione di questa azione costituisce uno dei risultati originali della presente tesi. In termini della teoria di stringa topologica soggiacente la HCS, l’azione che deriveremo descrive l’accoppiamento tra il settore di stringa aperta e il settore di stringa chiusa6 . Nel paragrafo precedente si è già studiato come modificare la derivata antiolomorfa in modo da renderla covariante rispetto a diffeomorfismi chirali. Pertanto denotiamo con S0 l’azione di HCS abeliana, in cui l’operatore di Dolbeault è stato sostituito con la derivata covariante antiolomorfa7 : S0 = Z M Ω ∧ A∇A = Z M d6 x ρ ı̄̄k̄ Aı̄ ∇̄ Ak̄ (4.4.1) dove ricordiamo la forma esplicita di ∇: ∇ ≡ ∂¯ − µi ∂i ≡ dxı̄ ∇ı̄ ≡ dxı̄ ∂ı̄ − µı̄i ∂i (4.4.2) e la sua relazione con la curvatura di Kodaira-Spencer 1 [∇ı̄ , ∇̄ ] = − Fı̄̄ (µ) = 0 2 5 (4.4.3) Nel seguito del capitolo l’analisi sarà ristretta alla sola teoria abeliana. Per il quale è disponibile un’azione non-locale che va sotto il nome di azione di Kodaira-Spencer [49]. 7 Ricordiamo che sulle forme la derivata covariante è data esclusivamente dal termine (4.3.11) senza la necessità di considerare l’ulteriore termine di connessione 6 92 In definitiva S0 è invariante per diffeomorfismi chirali, che agiscono sui campi e sui background nella maniera s Aı̄ = ξ k ∂k Aı̄ ˆ s µı̄i = ∂ı̄ ξ i + ξ j ∂j µı̄i − µı̄j ∂j ξ i = ∇ξ s ξ i = ξ j ∂j ξ i (4.4.4) s ρ = ∂i ξ i ρ L’azione dei diffeomorfismi sul background ρ è stata ottenuta ricordando che questo si comporta come una densità (visto che è proprio la densità tensoriale associata alla tre-forma Ω). Passiamo ora a discutere le simmetrie di gauge, il cui operatore di BRST sarà denotato con il simbolo sg per distinguerlo dall’analogo operatore di diffeomorfismi, che agiscono sul campo Aı̄ secondo la relazione sg A = ∇c sg c = 0 (4.4.5) dove c è il consueto campo di ghost ed è una zero-forma di numero di ghost +1. Notiamo che, anche in questo caso, la derivata antiolomorfa è stata sostituita con la corrispondente derivata covariante. Occorre ora andare a calcolare la variazione della lagrangiana (che indicheremo con L0 ) rispetto alla trasformazione appena scritta: sg L0 = ρ ı̄̄k̄ (∇ı̄ c∇̄ Ak̄ + Aı̄ ∇̄ ∇k̄ c ) = = ρ ı̄̄k̄ { ∇k̄ (Aı̄ ∇̄ c) + Aı̄ [ ∇k̄ , ∇̄ ]c} (4.4.6) La trasformazione in oggetto è una simmetria dell’azione purchè valgano le condizioni ˆ ρ = 0 ∇ k̄ (4.4.7) [ ∇k̄ , ∇̄ ] = ∂[k̄ µj̄] − µi[k̄ ∂i µj̄] =0 (4.4.8) il cui significato geometrico è chiaro. La prima delle (4.4.7) è la condizione di olomorfia della tre-forma Ω rispetto alla struttura complessa deformata, mentre la seconda è l’equazione di KS per µ. Si viene quindi a creare una situazione per cui, nella teoria aperta che stiamo sviluppando, la richiesta di invarianza di gauge richiede che i campi di background ρ e µ, che dal punto di vista della teoria di stringa descrivono il settore chiuso della teoria, soddisfino delle equazioni di vincolo. Per ottenere un’azione che sia invariante di gauge per background generici, introduciamo dei moltiplicatori di Lagrange in corrispondenza dei vincoli. Cominciamo con l’aggiungere all’azione un termine che implementa il vincolo di olomorfia della tre-forma di background[54] S= Z M Ω ∧ (A ∇ A + ∇ B = Z M d6 x ρ ı̄̄k̄ Aı̄ ∇̄ Ak̄ + ∇ı̄ B̄k̄ (4.4.9) dove B è una (0, 2) forma B ≡ dxı̄ dx̄ Bı̄̄ (4.4.10) 93 la cui trasformazione di BRS è data da: sg B = −c ∇ A (4.4.11) aggiungiamo inoltre l’ulteriore termine che implementi l’equazione di Kodaira-Spencer: S1 = Z M Ω ∧ F(C) = Z M (4.4.12) d6 x ρ ı̄̄k̄ Fı̄̄i Cik̄ dove C è una (1, 1) forma (4.4.13) C ≡ Cī dxi dx̄ la cui variazione di BRST è sg C = 1 −c ∂ A + ∂ c A 2 (4.4.14) In questo modo Z 0 S = S + S1 = M Ω ∧ (A ∇ A + ∇ B + F(C) (4.4.15) è BRST-invariante per costruzione sg S 0 = 0 (4.4.16) mentre riassumendo la trasformazione di BRST sui campi associata è: sg A = ∇ c sg c = 0 sg B = −c ∇ A 1 sg C = (−c ∂ A + ∂ c A) 2 (4.4.17) L’azione (4.4.15) possiede comunque un’ulteriore simmetria: infatti, ricordando la (4.4.3) e l’identità di Bianchi per F ı̄̄k̄ ∇ı̄ , ∇̄ , ∇k̄ = 0 (4.4.18) che può essere scritta nella forma ˆ ı̄ F = 0 ı̄̄k̄ ∇ ̄k̄ (4.4.19) si ottengono le trasformazioni di BRST più generali8 : sg A = ∇ c sg c = 0 sg B = −c ∇ A + ∇ d − F(f ) 1 ˆf sg C = −c ∂ A + ∂ c A + ∂ d − ∇ 2 8 1 2 (4.4.20) Da notare il differentesegno di ∇ f nella variazione di C quando scritto in componenti: sg Ci ı̄ = −c ∂i Aı̄ + ∂i c Aı̄ + ∂i dı̄ + ∇ı̄ fi − ∂i µjı̄ fj 94 in cui d ≡ dxı̄ dı̄ f ≡ dxi fi (4.4.21) sono forme, di numero di ghost 1, di tipo (0, 1) e (1, 0) rispettivamente, che a priori supporremo invarianti di BRST. Le trasformazioni (4.4.20) sono comunque riducibili, come si può verificare sottoponendo i campi d ed f alle trasformazioni sg d = ∇ e 1 sg f = − ∂ e + y c ∂ c 2 (4.4.22) dove y è un numero reale. Inoltre l’operatore sg risulta non nilpotente sui campi B e C: 1 s2g B = + c ∇ ∇ c = − c F (∂ c) 2 s2g C = + c ∂ ∇ c − ∂ c ∇ c (4.4.23) Si può quindi usare la libertà insita nella scelta del valore di y per ottenere la nilpotenza di sg 2 s2g B = c ∇ c − y F(c ∂ c) = 1 = − c F(∂ c) − y F(c ∂ c) 2 1 c ∂ ∇ c − ∂ c ∇ c − y ∇ (c ∂ c) − y ∂ µ(c ∂ c) = s2g C = 2 1 = c ∂ ∇ c − ∂ c ∇ c − y ∇ c ∂ c − y c ∇ ∂ c − y ∂ µ(c ∂ c) 2 (4.4.24) Prendiamo quindi y=− 1 2 (4.4.25) ottenendo 1 1 s2g B = − c F(∂ c) + F(c ∂ c) = 0 2 2 1 1 1 2 sg C = c ∂ ∇ c + c ∇ ∂ c + ∂ µ(c ∂ c) = 0 2 2 2 (4.4.26) Raccogliendo i risultati ottenuti, l’azione S 0 in (4.4.15) è invariante sotto l’azione dell’operatore s̃ = s + sg (4.4.27) 95 che include sia le trasformazioni di gauge che quelle per diffeomorfismi chirali e la cui azione su campi e backgrounds è s̃ A = ξ i ∂i A + ∇ c s̃ c = ξ i ∂i c s̃ B = ξ i ∂i B − c ∇ A + ∇ d − F(f ) 1 s̃ C = ξ i ∂i C + ∂ ξ i Cī + −c ∂ A + ∂ c A + ∂ d − ∇ f 2 s̃ d = ξ i ∂i d + ∇ e 1 1 s̃ f = ξ i ∂i f − ∂ (ξ i ) fi − ∂ e − c ∂ c 2 2 i s̃ e = ξ ∂i e s̃ ξ j = ξ i ∂i ξ j ˆ ξi s̃ µi = ∇ s̃ Ω = ∂ iξ (Ω) (4.4.28) La nilpotenza di s̃ è manifesta se si tiene conto che s e sg sono singolarmente nilpotenti, inoltre tutte le trasformazioni di gauge sono scritte in termini di derivate covarianti 9 e i campi ξ e µ non subiscono l’azione delle trasformazioni di gauge. Questi due fatti combinati sono sufficienti a garantire l’annullarsi dell’anticommutatore {s, sg } e quindi a garantire la nilpotenza di s̃. Va ancora rilevato il carattere semi-topologico della teoria, questa infatti può essere formulata in maniera consistente senza avere alcuna dipendenza dal campo µ̄, dipendendo solo dal campo µ. 4.4.1 Introduzione degli anticampi Per concludere la sezione introduciamo il termine di sorgente o di anticampo per le trasformazioni di BRST della teoria, come sviluppo preliminare al fine di studiare la questione della rinormalizzabilità. Si ottiene quindi: Γ= Z M Ω ∧ A ∇ A + ∇ B + F(C) + A∗ s̃ A + c∗ s̃ c + B ∗ s̃ B + (C ∗ )i s̃ Ci + +d∗ s̃ d + (f ∗ )i s̃ fi + e∗ s̃ e (4.4.29) 9 Le derivate parziali olomorfe, che compaiono nelle trasformazioni di gauge, agiscono infatti sempre su grandezze che hanno comportamento scalare per diffeomorfismi e, come detto, su queste grandezze la derivata parziale olomorfa è covariante 96 con le trasformazioni di BRST per gli anticampi ottenute nella maniera usuale10 : s̃ A∗ = ξ i ∂i A∗ + 2 ∇ A + 1 ∇ (log ρ) A − ∇(B ∗ ) + ∇ (log ρ) B ∗ c + B ∗ ∇ c + 2 1 ∂i (C ∗ )i + ∂i (log ρ) (C ∗ )i c + (C ∗ )i ∂i c 2 s̃ c∗ = ξ i ∂i c∗ − ∇ A∗ + (∇ log ρ) A∗ − B ∗ ∇A + 1 − ∂i (C ∗ )i + (∂i log ρ)(C ∗ )i A − (C ∗ )i ∂i A + 2 1 + ∂i (f ∗ )i + ∂i (log ρ) (f ∗ )i c + (f ∗ )i ∂i c 2 s̃ B ∗ = ξ i ∂i B ∗ − ∇ log ρ + s̃ (C ∗ )i = ξ j ∂j (C ∗ )i − ∂j ξ i (C ∗ )j + F i 1 s̃ d∗ = ξ i ∂i d∗ + ∂i (C ∗ )i + ∂i (log ρ) (C ∗ )i − ∇ B ∗ + ∇(log ρ) B ∗ 2 s̃ (f ∗ )i = ξ j ∂j (f ∗ )i − ∂j ξ i (f ∗ )j + B ∗ F i + ∇ (C ∗ )i + (∇ log ρ) (C ∗ )i 1 s̃ e∗ = ξ i ∂i e − ∂i (f ∗ )i + ∂i (log ρ) (f ∗ )i + ∇ d∗ + ∇ (log ρ) d∗ 2 (4.4.31) dove questi sono stati interpretati come forme piuttosto che come densità11 . 4.5 L’operatore di discesa Il nostro scopo successivo è lo studio delle anomalie dei diffeomorfismi chirali. Come ricordato nel capitolo precedente questo si riduce allo studio della comologia dell’operatore di BRST modulo d sullo spazio delle forme di grado massimo con numero di ghost uguale ad 1. È 10 Nel seguito, a meno di possibili fraintendimenti, con ∇ si intenderà la derivata covariante su tutti i campi, con il termine di connessione ∂ · µ quando necessario, ad esempio: ¯ ∇ρ ¯ ∇logρ = − ∂i µi ρ (4.4.30) 11 Infatti, per come normalmente vengono definiti, gli anticampi si presenterebbero in questo caso come densità tensoriali, ad esempio: ∂ S0 = ı̄̄k̄ 2 ρ∇̄ Ak̄ + ∇̄ ρ Ak̄ ∂Aı̄ ∂ S0 =− = ı̄̄k̄ ∇ı̄ ρ ∂B̄k̄ s̃ (A∗ )ı̄ = − s̃ (B ∗ )̄k̄ s̃ (C ∗ )ik̄ = − ∂ S0 i = −ρ ı̄̄k̄ Fı̄̄ ∂Cik̄ (4.4.32) tuttavia è utile definire gli stessi come forme, piuttosto che come densità: 1 1 (A∗ )ı̄ (A∗ )ı̄ = ρ ı̄̄k̄ A∗̄k̄ ρ ı̄̄k̄ 2 1 1 Bı̄∗ = ı̄̄k̄ (B ∗ )̄k̄ (B ∗ )̄k̄ = ρ ı̄̄k̄ Bı̄∗ ρ 2 1 1 (C ∗ )iı̄̄ ≡ ı̄̄k̄ (C ∗ )ik̄ (C ∗ )ik̄ = ρ ı̄̄k̄ (C ∗ )iı̄̄ ρ 2 A∗̄k̄ ≡ (4.4.33) nel seguito, a meno che non sia diversamente specificato, si intenderanno sistematicamente gli anticampi come forme. 97 di solito più agevole studiare la comologia di BRST sullo spazio delle 0-forme con numero di ghost appropriato. Abbiamo visto che le teorie topologiche generalmente ammettono l’esistenza di un operatore di discesa b̂ che permette di ottenere una classe di BRST modulo d a partire da una classe di BRST a valori nelle 0-forme. La proprietà che caratterizza b̂ è quella di “trivializzare” il differenziale esterno d: n d = b̂, s o (4.5.1) L’esistenza di b̂ riflette il carattere topologico della teoria. In effetti se O(x) è un osservabile s O(x) = 0 (4.5.2) e se esiste un operatore di discesa, allora d O(x) = s b̂ O(x) (4.5.3) Questa relazione implica che le derivate dei campi BRST-invarianti sono s-triviali come è appropriato per una teoria che non ha gradi di libertà locali[35]. Nelle teorie topologiche pertanto il problema delle anomalie (e più in generale qualunque problema comologico) si traduce nello studio della comologia di BRST di numero di ghost appropriato sulle 0-forme. In questa sezione discuteremo l’esistenza di un tale operatore nel contesto della teoria di HCS. A tal fine cominciamo con il definire un operatore b tramite la relazione[52] b= Z d6 x dxi + µiı̄ (x) dxı̄ δ δξ i (x) (4.5.4) nella quale la derivata funzionale è intesa operare su ξ ma non sulle sue derivate. Si può osservare che, su tutti i campi eccetto µ e Ω (o equivalentemente ρ), b soddisfa la relazione ∂ = {b, s} = {b, s̃} (4.5.5) Per quanto concerne l’azione di b sui campi µ e ρ, per calcolo diretto (ed effettuando in entrambi i casi un’integrazione per parti) si trovano le relazioni: {b, s} µi = ∂µi + F i {b, s} ρ = ∂ρ − ∇logρ (4.5.6) che possono essere comunque poste off-shell sfruttando gli anticampi: i termini che violano la (4.5.5) per µ e per ρ, non sono altro che le equazioni del moto su B e C, e quindi le espressioni (4.5.6) possono essere riscritte nella forma {b, s} µi = ∂µi + sg (C ∗ )i {b, s} ρ = ∂ρ + sg B ∗ (4.5.7) Pertanto concludiamo che la relazione (4.5.5) è verificata su tutti i campi della teoria, modulo eventuali termini sg -esatti. L’esistenza di un b̂ che soddisfi (4.5.1) è pertanto equivalente all’esistenza di un operatore covariante G che soddisfa ∇ = {G, sg } (4.5.8) 98 ponendo b̂ = b + G (4.5.9) In effetti è possibile trovare tale operatore su tutti i campi della teoria ad eccezione di B e Ci 12 : Gc = A G A = A∗ + B ∗ A − d∗ c G A∗ = −3 c∗ + 2 B ∗ A∗ + (B ∗ )2 A − B ∗ d∗ c G c∗ = 0 G d = 2 B + 2 C ∗i fi + A∗ c + B ∗ A c Ge = d G fi = Ci G µi = C ∗i G C ∗i = 3 f ∗i + 3 B ∗ C ∗i G f ∗i = 0 G log ρ = −B ∗ G B ∗ = −2 d∗ + (B ∗ )2 G d∗ = 3 e∗ + B ∗ d∗ (4.5.11) La ragione per cui non si riesce ad estendere la definizione di G ai campi B e C è che la teoria non è completamente topologica ma dipende dai background fisici µ e Ω, cui sono in effetti collegati i campi B e C. Per trivializzare d è necessario pertanto allargare lo spazio dei backgrounds. L’azione dell’operatore di BRST di gauge sg sui campi di background µ e ρ è naturalmente triviale, in quanto la teoria dipende da µ e da ρ. È conveniente, come abbiamo visto in altri contesti, trattare i background classici in maniera formalmente analoga ai campi quantistici 12 Un modo per mostrare la (4.5.11) è di porre inizialmente tutti gli anticampi e i campi ausiliari a zero, e iniziare con il solo settore composto da (A, A∗ , c, c∗ ); per poi progressivamente liberare gli ulteriori campi e anticampi di cui la teoria è composta, e apportare le correzioni necessarie a conservare la validità dell’identità (4.5.1). Si ricordino inoltre le identità GF i = −2∇C ∗i G(∇ log ρ) = ∇B ∗ − ∂i C ∗i + ∂i (log ρ)C ∗i ≡ ∇B ∗ − Di C ∗i (4.5.10) 99 e pertanto introdurre i corrispondenti anticampi µ∗i e ρ∗ . In definitiva sg ρ = 0 ∂S 0 = A ∇ A + ∇ B + F i Ci ∂ρ sg µ = 0 ∂S 0 ˆC + sg µ∗i = = A ∂i A − ∂i B + 2 ∇ i ∂µi sg ρ∗ = ˆ B∗ f + −A∗ ∂i c − B ∗ (c ∂i A − ∂i d − 2 ∇fi ) − 2 ∇ i −C ∗j ∂[i fj] + Dj (C ∗j ) fi − d∗ ∂i e (4.5.12) ˆ e D includono le connessioni ∇ log ρ e ∂ log ρ nelle quali le derivate covarianti ∇ j j rispettivamente. In questo modo è possibile estendere l’azione dell’operatore G ai campi B e Ci G B = 3 ρ∗ − A∗ A − 2 C ∗i Ci + d∗ c A G Ci = µ∗i + 2 B ∗ Ci − 2 d∗ fi (4.5.13) In altri termini, la ragione per cui è necessario includere ρ∗ e µ∗ per estendere l’azione di G a tutti i campi, è che la teoria non è completamente topologica: è topologica a meno dei backgrounds che definiscono le osservabili fisiche della teoria. Le osservabili associate alle deformazioni di ρ e µ, sono precisamente quelle che impediscono di scrivere G su tutti i campi. L’aver esteso le trasformazioni di BRST alle costanti di accoppiamento fisiche (e ai corrispondenti anticampi), consente di scrivere formalmente queste osservabili come s-triviali, e quindi di ottenere un operatore di discesa su tutti i campi. Questa strategia di estendere l’azione dell’operatore di BRST alle costanti di accoppiamento è una pratica sostanzialmente originale. 4.6 Anomalie gravitazionali Come già discusso, le anomalie gravitazionali sono cocicli, del solo operatore gravitazionale s, di numero di ghost 1 e grado di forma 6, costruiti coi campi gravitazionali della teoria: ossia µ, ρ e ξ. Inoltre l’aver trovato nella sezione precedente l’operatore di discesa, consente di (0) ridurre il problema all’identificazione dei cocicli scalari di numero di ghost 7 Ω7 ; applicando (0) poi sei volte l’operatore di discesa otterremo le anomalie cercate corrispondenti agli Ω7 . Prima di passare al calcolo esplicito dei cocicli occorre comunque fornire alcuni commenti circa il significato del calcolo che vogliamo effettuare. 4.6.1 Introduzione al problema Come rimarcato una teoria viene detta anomala se nel passaggio dalla teoria classica alla teoria quantistica questa perde parte delle simmetrie possedute classicamente. Le anomalie di una teoria sono in generale un effetto di alta energia (ossia ultravioletto) che però, come illustrato nell’articolo di Coleman e Grossman [57], possono essere comprese e valutate correttamente anche facendo uso di un’azione efficace di bassa energia (ossia in regime infrarosso). Questo fatto fu compreso per la prima volta da ’t Hooft negli anni ’80 [58] e poi sviluppato da diversi autori (tra cui proprio Coleman e Grossman) successivamente. In 100 particolare è possibile discutere la questione delle anomalie gravitazionali della teoria di HCS, vista come teoria effettiva di bassa energia, pur senza aver discusso la questione della rinormalizzabilità dell’azione classica corrispondente. Per lo studio delle anomalie gravitazionali della HCS, l’oggetto di studio è l’azione effettiva gravitazionale, che si può immaginare come il risultato dell’integrazione funzionale nel settore di materia (cioè di gauge) della HCS, opportunamente definito nell’ultra-violetto ıW (ρ,µ) e = Z [d Φ] eı S (4.6.1) dove abbiamo indicato con la notazione collettiva Φ i campi di gauge della teoria. W (ρ, µ, ξ) è un funzionale non-locale di µ e ρ, che, a livello classico è invariante sotto l’azione dell’operatore di BRST associato ai diffeomorfismi chirali ˆ s µı̄i = ∂ı̄ ξ i + ξ j ∂j µı̄i − µı̄j ∂j ξ i = ∇ξ s ξ i = ξ j ∂j ξ i s ρ = ∂i ξ i ρ (4.6.2) Come abbiamo discusso nel Capitolo 3, a livello quantistico W (ρ, µ) può presentare delle anomalie s W (ρ, µ, ξ) = A(µ, ρ, ξ) = Z M (6) Ω1 (µ, ρ ξ) (4.6.3) (6) dove A(µ, ρ, ξ) è un funzionale locale ed Ω1 è una 6-forma sulla varietà di Calabi-Yau M , di ghost number 1, s-invariante modulo d (6) (5) s Ω1 (µ, ρ, ξ) = −d Ω2 (µ, ρ, ξ) (4.6.4) Sappiamo che l’anomalia non è rimovibile attraverso una ridefinizione dell’azione effettiva se non è la s-variazione di un funzionale locale. Il problema che ci occuperà nelle prossime sezione sarà pertanto quello di risolvere il problema comologico associato ad Eq. (4.6.4). Si osservi che ρ si presenta nella (4.6.1) a moltiplicare complessivamente l’azione e pertanto scala come l’inverso di una costante di accoppiamento. Sfruttando questa considerazione notiamo ora che, se consideriamo un generico diagramma di Feynmann connesso, ogni propagatore è moltiplicato per 1/ρ, ogni linea esterna è moltiplicata per ρ e ogni vertice è moltiplicato anch’esso per ρ. Ne consegue che, indicando con P , V e E il numero di propagatori, di vertici e di linee esterne rispettivamente, un generico diagramma di Feynmann risulta moltiplicato per il fattore ρV +E−P . D’altro canto sappiamo anche che vale la relazione P −E−V = L−1 (4.6.5) dove L indica il numero di loop presenti nel diagramma [5]. Quanto appena esposto mostra che, a tree-level, tutti i diagrammi sono lineari in ρ, a un loop tutti i diagrammi sono indipendenti da ρ e così via. Ne consegue così che i cocicli di BRST indipendenti da ρ corrispondono alle anomalie gravitazionali generate ad 1-loop in teoria delle perturbazioni. Il problema che risolveremo nel seguito sarà quello di calcolare i cocicli non-triviali di questo tipo. 101 4.6.2 Il modello di Bardeen-Zumino per le anomalie gravitazionali Preliminarmente allo studio dei cocicli dell’operatore di BRST di diffeomorfismi chirali, vogliamo richiamare l’attenzione su un modo di ricavare le possibili anomalie gravitazionali (quindi relative all’operatore di BRST per i genuini diffeomorfismi non chirali) di una teoria, dovuto a Bardeen e Zumino [56]. Sia dunque s l’operatore di BRST di diffeomorfismi non chirali e, come di consueto, indichiamo con cI i ghost associati, con I = 1, . . . d = 2 n dove d è la dimensione della varietà Riemaniana M su cui è definita la teoria di campo. Le anomalie sono rappresentate dalle classi di comologia di s modulo d, nello spazio delle forme di grado massimo con numero di ghost 1. Tale classi possono essere studiate cercando la comologia dell’operatore (s +d) Ω̃2 n+1 = 0 (4.6.6) nello spazio delle forme generalizzate (anche dette poliforme) Ω̃2 n+1 di grado totale (ghost + grado di forma) 1 + 2 n dove abbiamo denotato con 2 n la dimensione di M (reale): (2 n+1) (0) Ω̃2 n+1 = Ω̃2 n+1 + · · · Ω̃0 (4.6.7) (2 n) L’anomalia cercata è la componente di numero di ghost 1 e grado di forma 2n, Ω̃1 , di questa poliforma. Assumeremo ovunque che s e d anti-commutino. Il modello di Bardeen-Zumino è associato al seguente operatore ∆ ≡ S +d (4.6.8) in cui S ≡ s − ic , d (4.6.9) Questo modello è equivalente al modello originale in quanto si ha che S +d = e−ic s +d eic (4.6.10) Questa relazione implica che i cocicli Ω2 n+1 del modello di Bardeen-Zumino non contengono il campo cµ non derivato e sono legati ai cocicli Ω̃2 n+1 di s + d dalla relazione Ω̃2 n+1 = eic Ω2 n+1 (4.6.11) Il vantaggio di passare alla comologia di ∆ è dovuto al fatto che per questo operatore è possibile ottenere un’espressione esplicita per i cocicli: a tal fine, consideriamo la superconnessione di grado totale 1 µ G ν = (Γ̂)µν + ∂ν cµ = (Γ̂)µν + M µν (4.6.12) dove Γ̂µν = dxλ Γµλν è la connessione di Levi-Civita. In corrispondenza si ottiene la supercurvatura che è interamente bosonica: R = ∆ G + G2 = R̂ + S Γ̂ + d M + {M, Γ̂} + S M + M 2 = = R̂ = d Γ̂ + Γ̂2 (4.6.13) 102 dal momento che si ha S Γ̂ = −d M − {M, Γ̂} S M =h−M 2 i S R̂ = R̂, M (4.6.14) Pn+1 (R̂) = Pn+1 (R) (4.6.15) Ne consegue che, se è un polinomio invariante e simmetrico di grado n + 1 della curvatura S Pn+1 (R̂) = d Pn+1 (R̂) = 0 (4.6.16) Pn+1 (R̂) = Pn+1 (R) = d Q2n+1 (Γ̂, R̂) = ∆ Q2n+1 (G, R) (4.6.17) si ha in cui Q2n+1 (Γ̂, R̂) è il polinomio di Chern-Simons, associato a Pn+1 (R̂) tramite la formula Q2n+1 (Γ̂, R̂) = (n + 1) Z 1 0 dt Pn+1 (Γ̂; R̂t ) R̂t = t dΓ̂ + t2 Γ̂2 (4.6.18) La notazione Pn+1 (Γ̂; R̂t ) denota il polinomio invariante simmetrico nel quale un argomento è rimpiazzato da Γ̂ e gli altri n sono rimpiazzati con R̂t . La decomposizione della poliforma Q2n+1 (G, R) in componenti con grado di forma definito è (2n+1) Q2n+1 (G, R) = Q0 (2n+1) Q0 (2n) (Γ̂, R̂) + Q1 (0) (Γ̂, R̂, M ) + · · · + Q2n+1 (Γ̂, R̂, M ) (Γ̂, R̂) = Q2n+1 (Γ̂, R̂) (4.6.19) La (4.6.17) implica pertanto le equazioni di discesa (2n+1) Pn+1 (R̂) = d Q0 0= 0= (Γ̂, R̂) (2n+1) (2n) S Q0 (Γ̂, R̂) + d Q1 (Γ̂, R̂) (2n) (2n−1) S Q1 (Γ̂, R̂) + d Q2 (Γ̂, R̂) ··· (0) 0 = S Q2 n+1 (2n) (4.6.20) La 2 n forma di numero di ghost 1, Q1 , è pertanto un cociclo di S modulo d. È facile (2n) mostrare che il fatto che Q2n+1 (G, R) non sia ∆-chiuso assicura che Q1 non è S-triviale (2n) modulo d. Q1 è pertanto una anomalia gravitazionale in dimensione 2 n. È meno agevole dimostrare che le anomalie costruite in questa maniera esauriscano la comologia di S, un risultato per il quale rimandiamo alla letteratura [56]. 103 Esempio: anomalie in due dimensioni Consideriamo il caso esplicito bidimensionale (ossia con n = 1) per vedere come nella pratica funzioni l’algoritmo approntato. Per n = 1 abbiamo un solo polinomio invariante di secondo grado P2 (R) = 1 2 Tr R 2 (4.6.21) Il corrispondente polinomio di Chern-Simons è h1 1 1 i Tr R2 = δTr G δ G + G3 . 2 2 3 (4.6.22) L’anomalia è la componente di numero di ghost 1: (2) Q1 = Tr i 1 1 1 M dΓ + Γ §Γ + ΓdM + M Γ2 = Tr(M dΓ) , 2 2 2 2 h1 (4.6.23) dove si è fatto uso della (4.6.14). 4.6.3 Una variante olomorfa del modello di Bardeen-Zumino In questa sezione s indicherà l’operatore di BRST dei diffeomorfismi chirali. Presenteremo una variante della procedura di Bardeen-Zumino che genera le anomalie dei diffeomorfismi chirali; si tratta di un contributo originale finora non disponibile in letteratura13 . L’ingrediente essenziale di questa costruzione è la definizione del seguente operatore nilpotente che agisce sulle poliforme ˆ δ ≡ S +∂ + ∇ (4.6.24) con S ≡ s − iξ , ∂ ˆ ≡ ∇ + i = ∂¯ − µ∂ + i ∇ ∂µ ∂µ (4.6.25) dove ∂ µ deve essere pensata come una (1, 1) forma a valori nel fibrato tangente olomorfo. La maniera più semplice per vedere che δ è effettivamente nilpotente è osservare che ˆ = e−iξ+µ s +d eiξ+µ S +∂ + ∇ (4.6.26) Questa relazione mostra anche che δ e s +d hanno comologia isomorfa sullo spazio delle poliforme. Per costruire dei rappresentativi della comologia di questo modello tipo BardeenZumino consideriamo la super-connessione, di grado totale 1 (g)ij = ∂j µi + ∂j ξ i ≡ γ ij + mij (4.6.27) La corrispondente super-curvatura r, a differenza del caso reale, non è completamente bosonica ma è omogenea di grado 1 nel grado di forma olomorfo: ˆ γ + γ2 + ∂ m + S γ + ∇ ˆ m + {m, γ̂} + S m + m2 = r = δ g + g2 = ∂ γ + ∇ (1,1) = ∂ γ + ∂ m ≡ r0 13 (1,0) + r1 Malgrado alcuni risultati parziali in questa direzione siano dizponibili nell’articolo [59]. (4.6.28) 104 dove si è usato ˆ m − {m, γ̂} S γ = −∇ S m = −m2 ˆ γ + γ2 = 0 ∇ (4.6.29) Pn+1 (r) = Pn+1 (∂γ + ∂m) = δ Q2n+1 (γ + m, r) (4.6.30) Abbiamo pertanto in cui il membro di sinistra è una poliforma di grado di forma olomorfo n + 1. L’espansione di Q2n+1 (γ + m, r) 2 n in componenti di grado di forma definito è (2n+1) Q2n+1 (γ + m, r) = Q0 (2n+1) Q0 (2n) (γ) + Q1 (0) (γ, m) + · · · + Q2n+1 (γ, m) (γ) = Q2n+1 (γ, ∂γ) (4.6.31) (2 n) Nella quale la componente di numero di ghost 1, Q1 è proprio l’anomalia gravitazionale chirale. In definitiva, la costruzione illustrata associa un cociclo di numero di ghost 1 dell’operatore S dei diffeomorfismi chirali a ciascun polinomio caratteristico Pn+1 (r) di grado n + 1 in r. La costruzione non permette però di determinare quali di questi cocicli siano effettivamente indipendenti e se essi esauriscano la comologia corrispondente. Va inoltre tenuto presente che la procedura delineata costruisce cocicli di § sullo spazio funzionale dei campi (ξ, µ). Abbiamo chiarito come lo spazio rilevante per la teoria di HCS sia quello dei campi (ξ, µ, ρ). Benché per quanto riguarda le anomalie ad 1 loop, il cociclo corrispondente non dipende ρ, è possibile che cocicli ρ-indipendenti che sono non-triviali nello spazio (ξ, µ) siano s-triviali nello spazio esteso (ξ, µ, ρ). Dovremo pertanto identificare quali fra i cocicli prodotti dalla costruzione à la Bardeen-Zumino sono trivializzati dall’inclusione del campo ρ nello spazio funzionale. Nella prossima sezione completeremo pertanto l’analisi delle anomalie per HCS restringendo la nostra analisi al caso particolare n = 3. 4.6.4 Calcolo esplicito dei possibili cocicli di anomalia gravitazionale Il calcolo esplicito dei cocicli di BRST sarà portato avanti tramite il cosiddetto metodo delle filtrazioni [60], il cui procedimento può essere sintetizzato nel seguente [35]: Teorema 4.6.1. Sia N un operatore di filtrazione, che mappa lo spazio delle forme F in se stesso, e poniamo che gli autovalori di N siano gli interi non negativi. Espandiamo le forme Ωqp e l’operatore di BRST per diffeomorfismi s in accordo con questi autovalori: Ωqp = X q Ωp(n) N Ωqp(n) = nΩqp(n) (4.6.32) n s = X sn [N , sn ] = n sn n≥0 Assumiamo inoltre che l’operatore N commuti col differenziale esterno d allora: - s0 è nilpotente; (4.6.33) 105 - la comologia di s è isomorfa ad un sottospazio della comologia di s0 e analogo discorso si applica alla comologia di s modulo d. L’utilità del teorema (4.6.1) è evidente: grazie a questo sarà infatti possibile approntare degli opportuni operatori di filtrazione che diano luogo a degli operatori di BRST s0 semplificati, il cui calcolo della comologia risulti semplice, per poi ottenere i cocicli dell’operatore s originale; ai quali i cocicli dell’operatore s0 risultano (eventualmente) isomorfi. Nella prossima sotto-sezione affronteremo preliminarmente il caso semplificato n = 1, in cui quindi cercheremo i cocicli di BRST ottenuti tramite i campi ξ,µ e ρ; questo conto verrà effettuato per diverse ragioni: in primo luogo ci consentirà di fornire un esempio concreto molto semplice dell’uso del teorema (4.6.1); in secondo luogo, malgrado un problema analogo sia stato affrontato e risolto in letteratura (fornendo il ben noto cociclo di Gel’fandFuchs), non è disponibile alcun articolo in letteratura che consideri la situazione in cui è presente, oltre al Beltrami µ ed al ghost ξ anche con il campo ρ che è specifico della teoria di HCS. Pertanto si metteranno in evidenza, in quanto segue, le differenze che si ottengono considerando l’aggiunta di questo campo. Inoltre, anche per quanto riguarda il cociclo di Gel’fand-Fuchs, il metodo che presenteremo è più semplice di quello normalmente rintracciabile in letteratura [35]. Infine, alcune delle idee sviluppate per n = 1, saranno generalizzate al caso di reale interesse con n = 3. Il caso unidimensionale Nel caso n = 1 i campi a disposizione sono dunque ξ, µ e ρ, per utilità successiva definiamo anche φ ≡ ln ρ, inoltre le anomalie di una teoria unidimensionale sono, a livello di zero-forme, scalari di numero di ghost 3. Ricordiamo le leggi di trasformazione per diffeomorfismi dei campi suddetti: s ξ = ξ∂ξ; ¯ + ξ∂µ − ∂ξµ; s µ = ∂ξ s ρ = ∂ξρ + ξ∂ρ; s φ = ξ∂φ + ∂ξ. (4.6.34) Definiamo l’operatore di filtrazione N : N = Z d2 z ξ(z, z̄) δ δ δ + µ(z, z̄) + φ(z, z̄) δξ(z, z̄) δµ(z, z̄) δφ(z, z̄) (4.6.35) e si verifica direttamente: s = s0 + s1 ; s0 ξ = 0; ¯ s0 µ = ∂ξ; s0 φ = ∂ξ (4.6.36) Nel seguito useremo le notazioni: ξn,m ≡ ∂ n ∂¯m ξ µn,m ≡ ∂ n ∂¯m µ φn,m ≡ ∂ n ∂¯m φ n + m > 0; (4.6.37) 106 Le trasformazioni per s0 delle espressioni appena introdotte sono: s0 ξn,m = 0 s0 µn,m = ξn,m + 1 s0 φn,m = ξn + 1,m (4.6.38) Dalla (4.6.38) si deduce che (ξn,m + 1 , µn,m ; ξn + 1,m , φn,m ) costituiscono doppietti di BRST e quindi la comologia non può dipendere da questi. Concludendo la comologia di s0 è costituita dal solo campo ξ che però non permette di costruire delle funzioni di ghost-number 3 come voluto. Concludiamo così che, nel caso n = 1, non vi sono cocicli di BRST con le caratteristiche richieste. Per concludere vogliamo ora trovare a quale cociclo dell’operatore di BRST completo s corrisponda il cociclo di s0 che abbiamo appena trovato (ammesso che tale corrispondenza esista visto che il teorema (4.6.1) non garantisce che ad ogni cociclo di s0 corrisponda necessariamente un cociclo di s). A tal fine, notiamo che il prodotto ξ · ρ costituisce comologia per l’operatore s completo; pertanto l’isomorfismo dalla comologia di s0 alla comologia di s, citato dal teorema (4.6.1), viene in questo caso identificato dal prodotto con ρ. Notiamo che in un contesto in cui il campo ρ è assente le derivate olomorfe di ξ diventano comologia per s0 ; i cocicli di numero di ghost 3 e grado di forma 0 devono contenere 3 ξ e tre derivate. L’unica possibilità è (0) a3 = ξ∂ξ∂ 2 ξ (4.6.39) che è in effetti il celebrato cociclo di Gel’fand-Fuchs. Il caso tridimensionale Passiamo ora a discutere il caso di interesse n = 3, e restringiamo da subito l’attenzione alla sola ricerca dei cocicli scalari di numero di ghost 7 (che definiscono le possibili anomalie della teoria); l’operatore di filtrazione introdotto per n = 1 si può esportare al contesto tridimensionale: s0 ξ i = 0 s0 µi = ∂¯ ξ i s0 φ = ∂i ξ i (4.6.40) nelle quali nuovamente abbiamo definito φ ≡ logρ. La (4.6.40) mostra che le derivate antiolomorfe di ξ i sono BRST-banali così come le divergenze di ξ i , pertanto concludiamo che, per la ricerca dei possibili cocicli, ci si può restringere al solo insieme costituito da: n ξ i , ∂j1 ξ i , ∂j1 ∂j2 ξ i , ∂j1 ∂j2 . . . ∂jn ξ i · · · o (4.6.41) con la restrizione: ∂i ∂j1 . . . ∂jn ξ i ≡ 0 (4.6.42) per procedere introduciamo quindi la notazione Cii1 i2 ...in = ∂i1 ∂i2 · · · ∂in ξ i (4.6.43) 107 con i vincoli Ciii 2 ,...in ≡ 0 (4.6.44) Al fine di cercare la comologia di s nello spazio dei funzionali di numero di ghost 7 e (0) scalari Ω7 , è conveniente introdurre una nozione di grado in questo spazio, che sia dato dal numero di ghost non derivati presenti nel funzionale considerato (ovviamente, vista l’anticommutatività degli ξ, si potrà avere al più funzionali di terzo grado); pertanto, il (0) generico funzionale Ω7 si scinde nella somma (0) Ω7 = Ω7,3 + Ω7,2 + Ω7,1 + Ω7,0 (4.6.45) Per procedere, restringiamo ora l’attenzione ai soli cocicli con carica 3: è evidente che questi assumono la forma Ω7,3 = ξ i1 ξ i2 ξ i3 Ωi1 i2 i3 (4.6.46) in cui con Ωi1 i2 i3 si è indicata una tre-forma avente numero di ghost 4 e carica 0. Ne consegue dunque che Ωi1 i2 i3 deve essere il prodotto di 4 Cii1 i2 ...in con n > 0, e così la struttura generale degli Ω7,3 è del tipo l Ω7,3 = ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 ··· Cij2 ··· Cik3 ··· C··· (4.6.47) dove con i puntini di sospensione si sono indicati i possibili punti dove possono essere inseriti gli indici i,j,k,l da saturare. l per via del vincolo (4.6.44), poniamolo Dal momento che l’indice l non può stare in C... k 14 arbitrariamente in Ci3 .... , ottenendo dunque: l Ω7,3 = ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 ··· Cij2 ··· Cik3 l··· C··· (4.6.48) l è necessario porre almeno un indice (altrimenti il cociclo in questione Ovviamente in C... avrebbe carica 4 anzichè 3 come necessario), e le due scelte a priori inequivalenti sono costituite da: (I) l Ω7,3 = ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 ··· Cij2 ··· Cik3 l··· Ci··· (II) l Ω7,3 = ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 ··· Cij2 ··· Cik3 l··· Ck··· (4.6.49) Con la prima scelta vi sono ancora da decidere dove mettere gli indici j e k. Con la seconda sono invece ancora da piazzare i e j. Dal momento che ogni indice ha tre possibili posti in cui può essere piazzato ci si aspetta a prima vista 9 strutture tensoriali per ogni l vi è un tipologia (I o II). Comunque consideriamo la struttura I: se j è posto sotto Ci... ulteriore simmetria per scambio di i1 con i2 , concludiamo quindi che vi sono 2 e non 3 scelte inequivalenti per k. Pertanto i cocicli di tipo I inequivalenti sono 8, come di seguito 14 Le altre possibili scelte sono equivalenti grazie all’antisimmetrizzazione rispetto a i1 , i2 e i3 . 108 riportato: (I1) Ω7,3 = ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 jk Cij2 Cik3 l Cil (I2) Ω7,3 = ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 j Cij2 k Cik3 l Cil (I3) l Ω7,3 = ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 j Cij2 Cik3 l Cik (I4) Ω7,3 = ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 k Cij2 Cik3 jl Cil (I5) Ω7,3 = ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 Cij2 k Cik3 jl Cil (I6) l Ω7,3 = ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 Cij2 Cik3 jl Cik (I7) l Ω7,3 = ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 Cij2 Cik3 l Cijk (I8) l Ω7,3 = ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 k Cij2 Cik3 l Cij (4.6.50) Mentre invece, in prima analisi, le possibili scelte inequivalenti di tipo II sono rappresentate dai tensori: (II1) = ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 j Cij2 i Cik3 l Ckl (II2) = ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 Cij2 i Cik3 lj Ckl (II3) l = ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 Cij2 i Cik3 l Ckj (II4) = ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 j Cij2 Cik3 li Ckl (II5) = ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 Cij2 Cik3 lij Ckl (II6) l = ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 Cij2 Cik3 li Ckj (II7) l = ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 j Cij2 Cik3 l Cki (II8) l = ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 Cij2 Cik3 lj Cki (II9) l = ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 Cij2 Cik3 l Ckij Ω7,3 Ω7,3 Ω7,3 Ω7,3 Ω7,3 Ω7,3 Ω7,3 Ω7,3 Ω7,3 (4.6.51) tuttavia con calcolo diretto si verificano le equivalenze: (II2) Ω7,3 (I6) (II4) ∼ Ω7,3 (II6) Ω7,3 ∼ Ω7,3 (II9) Ω7,3 (I3) (II8) ∼ Ω7,3 (I7) ∼ Ω7,3 (II3) Ω7,3 ∼ Ω7,3 (II7) ∼ Ω7,3 (4.6.52) e dunque le strutture di tipo II realmente inequivalenti si riducono a 3 (II1) = ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 j Cij2 i Cik3 l Ckl (II2) = ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 Cij2 i Cik3 lj Ckl (II5) = ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 Cij2 Cik3 lij Ckl Ω7,3 Ω7,3 Ω7,3 (4.6.53) 109 Passiamo ora a valutare l’azione di s sugli 11 monomi Ω7,3 appena scritti. Ancora una volta decomponiamo l’azione di s sui tensori C (n) ≡ Cii1 i2 ...in in s0 e s1 , in accordo alla carica prima introdotta: s = s0 + s1 (4.6.54) in cui s0 e s1 incrementano la carica di 0 e 1 rispettivamente: s1 ξ i = 0 i s1 Cii1 = ξ j Cji 1 ··· i s1 Cii1 ...in = ξ j Cji 1 ...in (4.6.55) e s0 ξ i = −Mji ξ j = RM (ξ i ) 1 1 s0 Cii1 = −Mji Cij1 = RM (Cii1 ) = RM (Cii1 ) − RM (Cii1 ) = RM (Cii1 ) − (M 2 )ii1 2 2 j j j i i i i s0 Ci1 i2 = −Mj Ci1 i2 + Mi2 Ci1 j + Mi1 Ci2 j = RM (Cii1 i2 ) s0 Cii1 i2 i3 = −Mji Cij1 i2 i3 + Mij2 Cii3 i1 j + Mij1 Cii2 i3 j + Mij3 Cii1 i2 j + i i i +Cij1 i2 Cji + Cij2 i3 Cji + Cij2 i3 Cji = 3 1 1 i i i = RM (Cii1 ...in ) + Cij1 i2 Cji + Cij2 i3 Cji + Cij2 i3 Cji 3 1 1 (4.6.56) nelle quali Mji = Cji e si è indicato con RM la rotazione con la matrice M . Pertanto sul generico tensore C (n) l’azione di s prende la forma: sC (n) = iξ C (n+1) + RM (C (n) )+ n−1 X C (k) C (n+1−k) n≥2 (4.6.57) k=2 nella quale si è indicato con iξ la contrazione col vettore ξ i iξ (C (n+1) ) = ξ · C (n+1) (4.6.58) Con calcolo diretto si può osservare che si ha: s21 = 0 (4.6.59) e così, la richiesta di nilpotenza di s, conduce all’espressione: {s1 , s0 } + s20 = 0 (4.6.60) tuttavia, dal momento che s1 ed s0 portano cariche diverse (0 e 1), la (4.6.60) dà luogo alle due equazioni più restrittive s20 = 0 = {s1 , s0 } (4.6.61) notiamo che le equazioni (4.6.59) e (4.6.61) sono esattamente le stesse relazioni algebriche soddisfatte tra l’operatore s e l’operatore d, le quali sono alla base della possibilità di scrivere equazioni di discesa per la comologia di s modulo d. Questo fatto avrà ripercussioni in seguito, quando cercheremo di trovare i cocicli di s corrispondenti ad un particolare cociclo 110 di s1 ; ci troveremo infatti di fronte ad equazioni di discesa non dissimili da quanto già studiato nelle teorie precedenti per la comologia di s modulo d. Stanti queste premesse, passiamo a calcolare l’azione di s1 sugli 11 monomi Ω7,3 (a) (I7) (II5) l P8,4 = s1 Ω7,3 = −iξ (C i ) iξ (C j ) iξ (Clk ) iξ (Cijk ) = s1 Ω7,3 2 (b1) (II1) (b2) (I2) (c1) (I1) (I4) (I8) (c2) (I3) (I5) (II2) P8,4 = s1 Ω7,3 = −iξ (Cji ) iξ (Cij ) iξ (Clk ) iξ (Ckl ) = − Tr F̂ 2 P8,4 = s1 Ω7,3 = −iξ (Cji ) iξ (Ckj ) iξ (Clk ) iξ (Cil ) = −Tr F̂ 4 i ) iξ (C j ) iξ (Clk ) iξ (Cil ) = s1 Ω7,3 = s1 Ω7 P8,4 = s1 Ω7,3 = −iξ (Cjk l P8,4 = s1 Ω7,3 = −iξ (Cik ) iξ (C j ) iξ (Cji ) iξ (Clk ) = s1 Ω7,3 = s1 Ω7,3 (d) (I6) k l P8,4 = s1 Ω7,3 = −iξ (C i ) iξ (C j ) iξ (Cjl ) iξ (Cik ) (4.6.62) e pertanto il kernel di s1 sullo spazio generato dagli Ω7,3 , è formato dai monomi: (I7) ker s1 = {Ω7 (I3) Ω7 (I5) − Ω7 (II5) (I1) − Ω7 , Ω7 (I3) (II2) , Ω7 − Ω7 (I4) − Ω7 (I1) , Ω7 (I8) − Ω7 , (4.6.63) } In linea di principio si possono avere due tipi di cocicli di s1 : il primo tipo corrisponde a cocicli appartenenti al kernel penta-dimensionale appena scritto, che però non siano s1 -banali. Il secondo tipo corrisponde invece a monomi, la cui immagine giaccia nello spazio sei-dimensionale generato dai monomi P8,4 di numero di ghost 8 e carica 4 prima introdotti. Non vi sono cocicli del primo tipo. Questo asserto può essere mostrato verificando che tutti i generatori che appaiono nella (4.6.63) sono s1 -esatti: (I1) (I8) i l Ω7,3 − Ω7,3 = −iξ (Cjk ) iξ (C j ) iξ (Clk ) Cil + iξ (Cki ) iξ (C j ) iξ (Clk ) Cij = i = − s1 Cjk iξ (C j ) iξ (Clk ) Cil (I1) (I4) i k Ω7,3 − Ω7,3 = −iξ (Cjk ) iξ (C j ) iξ (Clk ) Cil + iξ (Cki ) iξ (C j ) iξ (Cjl ) Cil = k = s1 Cki iξ (C j ) iξ (Cjl ) Cil (I3) (I5) l k Ω7,3 − Ω7,3 = −iξ (Cji ) iξ (C j ) iξ (Clk ) Cik + iξ (C i ) iξ (Ckj ) iξ (Cjl ) Cil = k = s1 iξ (C i ) iξ (Ckj ) Cjl Cil (I3) (II2) Ω7,3 − Ω7,3 l = −iξ (Cji ) iξ (C j ) iξ (Clk ) Cik + iξ (C i ) iξ (Cij ) iξ (Cljk ) Ckl = k = s1 iξ (C i ) iξ (Cij ) Cjl Ckl (I7) (II5) Ω7,3 − Ω7,3 l k = −iξ (C i ) iξ (C j ) iξ (Clk ) Cijk + iξ (C i ) iξ (C j ) iξ (Clij ) Ckl = k = s1 iξ (C i ) iξ (C j ) Clij Ckl (4.6.64) pertanto concludiamo che la comologia di s1 è generata interamente dai cocicli del secondo tipo. Discusso il problema comologico di s1 a livello degli Ω7,3 , andiamo a vedere come questa (0) comologia sia legata alla comologia dell’operatore s completo. La richiesta che l’Ω7 completo 111 sia s chiuso (modulo i vincoli) è matematicamente formulabile nell’equazione di discesa: s1 Ω7,3 = P8,4 s0 Ω7,3 = − s1 Ω7,2 s0 Ω7,2 = − s1 Ω7,1 s0 Ω7,1 = − s1 Ω7,0 s0 Ω7,0 = 0 (4.6.65) nella quale, se P8,4 è nullo si ha un cociclo di primo tipo, in caso contrario si ha un cociclo di secondo tipo. Dalle prime due equazioni otteniamo la relazione s1 s0 Ω7,3 = 0 = − s0 P8,4 (4.6.66) pertanto una condizione necessaria affinchè ad Ω7,3 corrisponda un cociclo di s (del secondo tipo) è che il corrispondente P8,4 sia s0 invariante (senza i vincoli). (b1) (b2) P8 e P8 dipendono solo da tensori di tipo C (2) , sui quali l’azione di s si riduce a s = s1 + RM : pertanto questi sono s0 invarianti e corrispondono quindi a cocicli di s. Considerando ora i rimanenti s1 cocicli, si ha (a) s0 P8,4 = A3,1,0,1 + A2,2,1,0 (c1) s0 P8,4 = B2,2,1,0 + A1,4,0,0 (c2) s0 P8,4 = C2,2,1,0 + B1,4,0,0 (d) s0 P8,4 = A3,0,2,0 + D2,2,1,0 (4.6.67) nella quale An1 ,n2 ,n3 ,n4 denotano monomi del tipo (C (1) )n1 (C (2) )n2 (C (3) )n3 (C (4) )n4 e similmente per B,C e D. Poichè nè A3,1,0,1 nè A3,0,2,0 si annullano, la sola combinazione lineare che può essere (c1) (c2) s0 -invariante coinvolge P8,4 e P8,4 : (c1) q q q i i i s0 P8,4 = ξ p Cpj Cqk + Ckp Cqj + Cjk Cqp iξ (C j ) + i +iξ (Cjk ) ξ p Cqj Cpq iξ (Clk ) iξ (Cil ) (c2) q q q l l l s0 P8,4 = ξ p Cpi Cqk + Ckp Cqi + Cik Cqp iξ (C j ) + l +iξ (Cik ) ξ p Cqj Cpq iξ (Cji ) iξ (Clk ) (4.6.68) Così i k l B2,2,1,0 = ξ m ξ p ξ n ξ r Cmjk Cnl Cri Cqj Cpq l i k C2,2,1,0 = ξ m ξ p ξ n ξ r Cmik Cnj Crl Cqj Cpq = i k l = ξ m ξ p ξ n ξ r Cmlk Cnj Crk Cqj Cpq (4.6.69) dalla quale si vede che le due strutture tensoriali sono inequivalenti. In conclusione solamente (II1) Ω7,3 (I2) = ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 j Cij2 i Cik3 l Ckl Ω7,3 = ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 j Cij2 k Cik3 l Cil (4.6.70) 112 (b1) (b2) che corrispondono rispettivamente a P8,4 e P8,4 possono essere cocicli (del secondo tipo) di s. (II1) (I2) Ω7,3 e Ω7,3 definiscono effettivamente dei cocicli di s se esistono dei corrispondenti Ω7,2 , Ω7,1 e Ω7,0 che soddisfano la discesa (4.6.65). Per dimostrare questo fatto, osserviamo che le catene (4.6.70) sono polinomi invarianti delle matrici Mij ≡ Cij Fij ≡ ξ k ∂k ∂i ξ j (4.6.71) L’azione di s si chiude sulle matrici M e F s M = M2 + F s F = [M, F ] (4.6.72) ed, in particolare, s1 M = F s1 F = 0 s0 M = RM (M ) − M 2 s0 F = RM (F ) (4.6.73) Pertanto sullo spazio dei polinomi invarianti di M ed F s1 è evidentemente triviale. Questo (II1) (I2) garantisce che la (4.6.66) per Ω7,3 e Ω7,3 ammette la soluzione (II1,I2) s0 Ω7,3 = − s1 ΩII1,I2 7,2 (4.6.74) e, continuando, permette di risolvere la discesa (4.6.65). In conclusione la comologia di s di (b1) (b2) ghost number 7 è associata ai due cocicli P8,4 e P8,4 . Appendice A Superfici di Riemann e il teorema di Riemann-Roch In questa appendice ci preoccuperemo di raccogliere alcuni risultati riguardo le superfici di Riemann, risultati che sono stati enunciati ed utilizzati in vari punti della tesi in modo sparso. Scopo dell’appendice non sarà quindi tanto di provvedere ad un’introduzione organica e completa all’argomento delle superfici di Riemann (per la quale si rimanda alla vasta letteratura), bensì di fornire una collezione dei vari risultati utilizzati nella tesi, in modo che possa servire per rapide consultazioni durante la lettura della tesi stessa (insieme ai richiami bibliografici per i necessari approfondimenti quando necessario). Scendendo nel dettaglio, in queste pagine forniremo la definizione precisa di superficie di Riemann, contestualmente ad alcune definizioni di carattere topologico e differenziale come la nozione di genere di una superficie di Riemann compatta, e la definizione di spazio dei moduli e di conformal killing group. Approntate queste definizioni, verrà enunciato l’importante teorema di Riemann-Roch, il quale costituisce uno strumento utile per determinare la dimensione dello spazio dei moduli e del conformal killing group di una superficie di Riemann. In ultimo, mostreremo esplicitamente come ricavare la dimensione dello spazio dei moduli e del conformal killing group per le due superfici di Riemann di maggiore interesse in teoria di stringa: la sfera e il toro. Non sarà invece richiamata in questa appendice la costruzione esplicita dello spazio dei moduli del toro; per questo argomento (e molto altro) si rimanda ad esempio, al testo [61]. A.1 Definizioni generali Cominciamo col ricordare che definiremo superficie di Riemann una qualunque varietà differenziabile che abbia dimensione reale 2 (e quindi corrispondentemente dimensione complessa 1), e sulla quale sia possibile porre una struttura complessa, ossia sulla quale sia possibile distinguere tra coordinata olomorfa e antiolomorfa (z, z̄) in modo che questa distinzione sia preservata percambi di carte locali; ossia, date due qualunque carte locali complesse α α (z , U ) e z β , U β , se le funzioni di transizione fαβ sono olomorfe (ossia dipendenti dalla sola z). Stante questa definizione, vogliamo ora addentrarci nel problema della classificazione, ossia vogliamo andare a valutare quando due superfici differenti M e M 0 siano identificabili e, più in dettaglio, vogliamo distinguere tra quando l’identificazione sia solo a livello topologico, 113 114 e quando sussista pure l’identificazione a livello differenziale. Nel discutere questo aspetto vedremo che sorgono naturali le definizioni di genere topologico e di spazio dei moduli. Da un punto di vista topologico, diremo che M e M 0 sono identificabili se esiste un applicazione bigettiva e bicontinua ψ tra le due ψ : M → M0 (A.1.1) un’applicazione con le caratteristiche richieste verrà detto omeomorfismo, e due superfici identificabili dal punto di vista topologico saranno dette omeomorfe. Dal punto di vista invece analitico (o differenziale) due superfici M e M 0 saranno considerate equivalenti se l’applicazione ψ della (A.1.1) non solo costituisce un omeomorfismo, ma è anche differenziabile rispetto alle due strutture complesse poste su M e M 0 , ossia diremo se ψ costituisce un diffeomorfismo. Come si vede immediatamente, l’identificazione analitica pone restrizioni più forti sull’applicazione ψ rispetto alla sola identificazione topologica, pertanto è possibile che due superfici equivalenti dal punto di vista topologico non lo siano dal punto di vista analitico. Come abbiamo già discusso nel corso del capitolo sulle teorie di stringa, definiamo spazio dei moduli l’insieme delle superfici di Riemann equivalenti dal punto di vista topologico ma inequivalenti dal punto di vista differenziale, oppure equivalentemente l’insieme delle superfici di Riemann omeomorfe ma che non possono essere rese diffeomorfe tramite un’opportuna trasformazione conforme, ossia lo spazio definito dal quoziente (2.1.23) Mg = [d g] Vdiff VWeyl (A.1.2) Stante la caratterizzazione del problema, ci preoccuperemo per prima cosa di fornire un criterio che consenta di classificare le superfici omeomorfe, restringendoci per semplicità nel seguito a considerare solamente superfici chiuse e compatte. Da un punto di vista intuitivo, due superfici sono topologicamente equivalenti se queste hanno, a meno di deformazioni, la medesima forma. D’altro canto, se si pensa alle sole superfici chiuse e compatte, è piuttosto evidente che, a meno di deformazioni, due superfici hanno la medesima forma se e solo se queste hanno lo stesso numero di buchi ˝; per esempio una superficie priva di buchi potrà essere deformata in una sfera, ma non potrà essere deformata fino ad assumere la forma di un toro e così via. Questa argomentazione di carattere intuitivo, ci porta a comprendere che, da un punto di vista topologico, le superfici chiuse e compatte possono essere classificate a seconda del numero di buchi presenti; nel seguito andremo quindi a definire in maniera più rigorosa questo concetto, introducendo la nozione di genere topologico g, che è un intero che conta il numero di buchi presenti nella superficie di Riemann in questione. Per procedere in questa direzione, daremo alcune nozioni di omotopia, tramite la quale riusciremo a fornire una definizione precisa di genere topologico. Stante questo programma consideriamo una superficie di Riemann M e consideriamo due punti su questa p e q. Definiamo quindi un cammino α da p a q una qualunque applicazione continua α:I→M t.c. α(0) = p, α(1) = q (A.1.3) approntata questa definizione, definiremo loop un qualunque cammino chiuso ossia un cammino i cui punti iniziale e finale coincidono. Nello spazio di tutti i possibili cammini da p a q (o equivalentemente nello spazio di tutti i possibili loop da p in se stesso) introduciamo poi una relazione di equivalenza, considerando equivalenti due cammini che possano essere deformati in maniera continua l’uno nell’altro; stante questa equivalenza, definiremo classe di omotopia una classe di equivalenza tra cammini o loop. 115 Restringendo ora l’attenzione ai soli loop con base nel punto p, definiamo il gruppo fondamentale di M rispetto a p denotandolo con la notazione π (M, p), l’insieme dato da tutte le classi di omotopia di loop con base nel punto p. Sfruttando la composizione di cammini, si può poi mostrare che π (M, p) è fornito di una struttura di gruppo (da cui il nome di gruppo fondamentale) e che inoltre i vari gruppi fondamentali con basi in punti diversi sono tutti isomorfi tra loro; in particolare, grazie a quest’ultima proprietà, si può di fatto parlare di gruppo fondamentale di M senza specificare il punto base π(M ). Definito il concetto di gruppo fondamentale, è ora piuttosto evidente che in esso è contenuta l’informazione sul numero di buchi presenti nella superficie: ad esempio, in una superficie priva di buchi come una sfera, è evidente che qualunque loop è equivalente a tutti gli altri e che in particolare può essere contratto ad un punto; mentre ad esempio in un toro vi sono tre classi di equivalenza distinte (l’identità e due cammini non banali) e così via. In particolare, ci si accorge immediatamente che, al crescere del numero dei buchi, cresce anche il numero di loop inequivalenti per omotopia, e che nello specifico ogni buco aggiuntivo incrementa di due il numero di cammini inequivalenti per omotopia. Stante questa considerazione, e ricordando che per ogni superficie di Riemann vi è sempre almeno la classe di equivalenza banale costituita dall’identità, e denotando con n il numerod i classi di equivalenza presenti nel gruppo fondamentale di M , otteniamo la seguente equazione per il genere topologico g della superficie M g = n−1 2 (A.1.4) Riassumendo, in questa sezione abbiamo introdotto le superfici di Riemann, e fornito le bassi del problema della loro classificazione topologica ed analitica, discutendo anche come, la classificazione analitica, ponga condizoni più restrittive della classificazione topologica, e che pertanto in generale vi sono superfici equivalenti dal punto di vista topologico ma inequivaenti dla punto di visa analitico, abbiamo anche visto come questa disitnzione definisca naturalmente lo spazio dei moduli. Infine ci siamo preoccupati di analizzare più in dettaglio la classificazione topologica, definendo il gruppo fondamentale e di conseguenza il genere topologico di una superficie compatta e chiusa. Nella prossima sezione ci preoccuperemo di analizzare meglio lo spazio dei moduli di una superficie di Riemann compatta di genere g e, per questo motivo, introdurremo l’importante teorema di Riemann-Roch. A.2 Spazio dei moduli e teorema di Riemann-Roch Passiamo quindi a discutere lo spazio dei moduli di superfici di Riemann, come abbiamo visto nel capitolo sulle teorie di stringa, gli elementi dello spazio dei moduli sono identificabili con lo spazio delle due-forme olomorfe globalmente definite sulla superficie M , contestualmente abbiamo anche visto come caratterizzare i conformal killing vectors, che identificano le trasformazioni di gauge non fissate dal gauge-fixing, e che possono essere visti come campi vettoriali olomorfi globalmente definiti. Le dimensioni di questi due spazi, sono date dal teorema di Riemann-Roch, teorema che assume la forma dimH 0 (X, T ) − dimH 1 (X, T ) = −3g + 3. dove con H 0 (X, T ) abbiamo indicato lo spazio dei campi vettoriali olomorfi, mentre con H 1 (X, T ) si intende lo spazio delle due forme olomorfe. 116 In altri termini il teorema di Riemann-Roch fornisce informazioni sulla differenza tra il numero di moduli e il numero di CKV per una superficie di un dato genere topologico. L’utilità del teorema risiede nel fatto che, in generale, è piuttosto semplice identificare il numero dei campi vettoriali olomorfi globalmente definiti su una data superficie compatta, ottenuta questa informazione il teorema di Riemann-Roch consente poi di dedurre la dimensione dello spazio dei moduli. Stante il teorema appena enunciato ne mostreremo l’uso esplicito nel caso della sfera e del toro. A.2.1 La sfera e il toro Analizziamo in dettaglio la costruzione dei campi vettoriali globali ed olomorfi per g = 0 e per g = 1 ossia per la sfera di Riemann e il toro rispettivamente. Partendo con la sfera siano z e w le coordinate nelle carte U0 := P1 \{∞} e U1 := P1 \{0}, con trasformazione tra le due data dalla relazione 1 w= z Si verifica banalmente che dz è un differenziale meromorfo (ossia olomorfo eccetto che per un nu) globalmente definito rappresentato dalla coppia di funzioni meromorfe: 1, − 1 w2 pertanto la coppia di funzioni inverse definisce un campo vettoriale che risulta ovviamente olomorfo in quanto non presenta poli: (1, −w2 ) diventa ora molto facile, tramite moltiplicazione, ottenere altri due campi olomorfi linearmente indipendenti (z, −w) e (z 2 , −1) che descritti localmente su U0 sono: ∂ ∂z z ∂ ∂z z2 ∂ ∂z ovviamente la procedura non può proseguire poich� ulteriori moltiplicazioni farebbero sorgere singolarità in una delle due carte locali. Notiamo, per calcolo diretto, che i commutatori di questi tre campi soddisfano un algebra chiusa: ∂ ∂ ∂ z , =− , ∂z ∂z ∂z ∂ 2 ∂ ∂ ,z = z2 , ∂z ∂z ∂z z ∂ ∂ ∂ z , = −2z ∂z ∂z ∂z 2 la quale, a meno di semplici moltiplicazioni per fattori costanti, è la ben nota algebra di SL (2, C) che è proprio il ricoprimento universale del gruppo dei diffeomorfismi olomorfi su tutta la sfera. 117 Passando al toro ricordiamo che esso si può descrivere come il piano complesso identificando i punti secondo le relazioni: z ≡ z + 2π ≡ z + 2πτ dove τ è il modulo complesso del toro. Pertanto si vede immediatamente che tutti i campi vettoriali del tipo ∂ c c∈C ∂z sono globalmente definiti ed olomorfi; altri campi non possono essere costruiti in quanto non soddisferebbero le richieste condizioni di periodicità. Riassumendo, abbiamo mostrato che sulla sfera sono presenti tre campi vettoriali olomorfi globalmente definiti, mentre sul toro vi è un solo campo vettoriale. Combinando questi risultati col teorema di Riemann-Roch, e ricordando che per g ≥ 2 non vi sono campi vettoriali olomorfi e globalmente definiti, otteniamo la seguente tabella riassuntiva per la dimensione dello spazio dei moduli Mg dim Mg = 0 g=0 dim Mg = 1 g=1 dim Mg = 3g − 3 g>1 (A.2.1) Bibliografia [1] C. M. Becchi e G. Ridolfi, An introduction to relativistic processes and the standard model of electroweak interactions, Milano, Italia: Springer (2006) 139 p. [2] E. Witten, Topological Quantum Field Theory, Commun. Math. Phys. 117 (1988) 353. [3] S. K. Donaldson e P. B. Kronheimer, The Geometry of Four-Manifolds, Clarendon Press, Oxford, 1990. [4] A. Floer, Morse Theory for Fixed-Points of Symplectic Diffeomorphisms, Bull. AMS 16:2 (1987) 279. [5] M. Srednicki, Quantum Field Theory, Cambridge University Press, Cambridge, 2007. [6] S. Weinberg, The Quantum Theory of Fields, Cambridge University Press, Cambridge, 1995. [7] C. Becchi, Introduction to BRS Symmetry, hep-th/9607181v2. [8] Per un introduzione alla supersimmetria e alle teorie supersimmetriche si veda ad esempio: J. Wess e J. Bagger, Supersymmetry and supergravity, Princeton, USA: Univ. Pr. (1992). [9] Per un riferimento specifico sui fondamenti delle teorie di gauge si veda: L. D. Faddeev e A. A. Slavnov, Gauge Fields. Introduction to quantum theory. Second edition, AddisonWesley Publishing Company (1991). [10] I. A. Batalin e G. A. Vilkovisky, Gauge Algebra and Quantization, Phys. Lett. B02 (1981) 27. I. A. Batalin e G. A. Vilkovisky, Quantization of Gauge Theories with Linearly Dependent Generators, Phys. Rev. D28 (1983) 2567. [11] L. D. Faddeev e V. N. Popov, Feynman Diagrams for the Yang-Mills Field. Phys.Lett. B25 (1967) 29. [12] C. Becchi, A. Rouet e R. Stora, Phys Letters. B32 (1974) 344. C. Becchi, A. Rouet e R. Stora, Commun.Math. Phys. 42 (1975) 127. L. V. Tyutin, Lebedev preprint FIAN n.39 (1975). C. Becchi, A. Rouet e R. Stora, Ann. Phys. 98 (1976) 287. [13] E. 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