Lenhart_1924_linguisticatibetana_trd_Zullo

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Lenhart_1924_linguisticatibetana_trd_Zullo
The Franciscan Educational Conference
VOL. VI
November. 1924
No. 6
REPORT
of the
SIXTH ANNUAL MEETING
MOUNT CALVARY, WISCONSIN
June 27, 28, 29, 1924
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Fr. John M. Lenhart O. M. Cap.
Study of Tibetan and Nepalese Languages pp.96-102
estratto da:
“Language Studies in the Franciscan Order
A HISTORICAL SKETCH”
traduzione di Federica Zullo (1994)
Il 19 giugno 1707 i primi due missionari cappuccini arrivarono a Lhasa la capitale del
Tibet.
I cappuccini operarono in Tibet dal 1707 al 1745 con l'interruzione di nove anni, e sono
stati gli unici missionari con la sola eccezione del gesuita Ippolito Desideri che stette a
Lhasa per cinque anni, dal 1716 al 1721. I cappuccini, si distinsero per il fatto di essere
stati i primi Europei a diffondere la lingua tibetana. Scrissero libri in tibetano,
compilarono dizionari e tradussero opere tibetane nelle lingue europee.
Domenico di Fano, O.M.Cap.(morto nel 1728), che risiedette a Lhasa dal 1709 al 1711 e
dal 1716 al 1720, redasse un dizionario Latino-Tibetano che è conservato alla libreria
nazionale a Parigi, ma non fu mai stampato. M. Pauthier osserva: " Nessuno di tutti i
viaggiatori che visitarono quel paese dal 13° al 18° secolo si è preoccupato di
informarci su quella lingua.
Dobbiamo rifarci a Domenico di Fano, Orazio della Penna e Cassiano da Macerata per
trovare delle precise nozioni riguardo la lingua e l' alfabeto tibetano. Uno dei maggiori
linguisti tra quelli europei è Francesco Orazio di Pennabilli, O.M.Cap. (n. 1680; m.
1745 a Patan in Nepal). Il primo ottobre del 1716 arrivò per la prima volta a Lhasa per
rimanerci ininterrottamente fino al 25 agosto del 1732; il 6 gennaio del 1741 tornò a
Lhasa e vi risiedette sino al 20 aprile del 1745 quando la missione tibetana giunse al
termine. Orazio da Pennabilli dedicò i suoi primi quattro anni a Lhasa esclusivamente
allo studio della lingua tibetana, sia quella dialettale che quella letteraria sotto la
direzione di uno Lama istruito del monastero di Sera; cosìcchè elaborò perfettamente la
lingua. Egli redasse un vocabolario Tibetano-Italiano di circa 35000 parole. I
manoscritti di queste opere sono ancora conservati al Bishop's College di Calcutta. La
parte più ampia di questo dizionario fu pubblicata dal missionario protestante Fred.
Christian Gotthelf Schroeter e stampata in caratteri tibetani sotto la supervisione del
missionario battista Joshua Marshman nella stamperia del Baptist College di Serampore,
India, nel 1826, a spese della Compagnia delle Indie Orientali. Schroeter sostituì
l'inglese all'italiano dell'opera originale.
Orazio da Pennabilli tradusse dal Tibetano all'Italiano quattro ampie opere insieme ad
un numero di libri minori: 1) Shakya Thub-pa Namtar, o storia di Shakyamuni o
Buddha. Questo potrebbe anche essere una delle tante vite leggendarie di Padma
Sambhava, il fondatore del Lamaismo in Tibet (vissuto 777 d.C.),che fu deificato come
Buddha e identificato con il titolo di Budda Sakyamuni; 2) Lam-rim Chembo o “Le tre
grandi vie che conducono alla perfezione”; 3) Chiap su Drova, “Le vie spirituali da
praticare”; 4) Sozor – tharbe – do , o “Il metodo per uscire dalle trasmigrazioni”.
Naturalmente tradusse anche dall'italiano in tibetano numerose opere a carattere
religioso come: 1) Il catechismo del Card. Bellarmino; 2) un grande catechismo di
Turlot. Infine scrisse numerosi libretti di istruzioni per i cristiani convertiti..
Durante il suo soggiorno a Roma nel 1738, fece intagliare i primi caratteri tibetani da
Antonio Fantozzi sotto la sua diretta supervisione. Il set di caratteri rimasto a Roma
servì a stampare libri in lingua tibetana; primo fra tutti l' "Alphabetum Tibetanum" nel
1762.
Comunque Orazio trasportò i caratteri tibetani e una tipografia da Roma a Lhasa, dove i
Cappuccini la sistemarono nel 1741. Una cinquantina di libri lasciati dai Cappuccini a
Lhasa nel 1745 sono stati ritrovati da un orientalista inglese, Brian Houghton Hodgson,
Protestante, e grazie alla disponibilità del Dalai Lama in persona, furono devoluti nello
stesso anno a Papa Pio IX come dono per Roma, dove sono tutt'ora conservati. Queste
opere sono scritte in Latino o Italiano. Il Dalai Lama rifiutò di cedere i libri in cui si
trovavano caratteri tibetani, così potremmo sperare di trovare , un giorno, qualche libro
stampato dai Cappuccini a Lhasa.
L'apprezzamento dell'opera di Orazio da parte di un grande critico quale l'ultimo
missionario della Moravia e lessicografico tibetano, Henrich Augustin Jaeschke,
potrebbe quì non essere fuori posto.
Jaeschke scrive (Dizionario Tibetano-Inglese, Londra 1882, prefazione pp. 4-5 ): "il
moderno linguaggio Tibetano presenta tanti dialetti quante province ha il paese. Il primo
dizionario di lingua tibetana, destinato a studenti europei, fu pubblicato a Serampore nel
1826. Non ci fu niente che avesse potuto aiutare l'autore. Egli aveva a che fare con un
linguaggio interamente non sviluppato.
Evidentemente intraprese l'unica via possibile per acquisire dimestichezza con quel
linguaggio. Ogni parola o frase venne considerata, nel momento in cui veniva ascoltata
o gli veniva suggerito di scriverla da qualche esperto del luogo a cui aveva chiesto aiuto.
Dopo qualche tempo era in grado di redigere un libro intorno a Padma Sambhava.. In
seguito, poco a poco, meglio che poteva, il nostro missionario acquistò egli stesso la
capacità di formulare concetti che dovevano servire come base preliminare di
grammatica. E fu grazie a questo pioniere, che portò i suoi documenti in un sistema
ordinato, preparandoli alla pubblicazione, che la conoscenza del linguaggio tibetano
potrebbe essere stata raggiunta 15 anni prima del livello al quale era già arrivata. Non
c'era nessuno studioso tibetano in grado di correggere i compiti visto che vennero fatti
tantissimi errori nel passaggio attraverso la stampa. Il lavoro ha un vocabolario più ricco
rispetto a quello che può essere trovato negli ultimi dizionari. Qualcuno che conosce,
attraverso l'esperienza, quanto un lavoro del genere possa essere costato, sebbene
rimase in parte incompleto, non sarà così capace di esprimere la propria indignazione
nella maniera in cui J.J. Schmidt di Petersburg ha definitivamente condannato il libro
nella prefazione della sua Grammatica Tibetana : " il mio dizionario persegue l'oggetto e
accetta il piano di lavoro che fu pubblicato da M. Schroeter." In ogni modo possiamo
affermare che, né la Grammatica Tibetana di J. Schmidt, né il dizionario tibetano
furono in grado di giustificare le severe critiche sui lavori di Orazio. Quasi ogni capitale
europea ha ora il possesso di copie complete del Sacro Libro dei Tibetani, chiamati
Kanjur o Kahgjur, che consistono in 108 volumi, contenenti 689 opere. Nella biblioteca
di "Propaganda" è conservata la collezione incompleta dei Kahgjur, la prima inviata in
Europa, proprio nel momento in cui gli studiosi europei non erano ancora interessati
alla ricerca sul Lamaismo e il linguaggio tibetano. Padre Orazio fu il traduttore delle
lettere del Dalai Lama al Papa così come per le risposte (1732-41). Le lettere scambiate
dal capo del lamaismo a quello del Cristianesimo furono pubblicate attorno al 1742 in
traduzione italiana. In ogni modo le notizie storiche testimoniano che non si sapeva
niente di questa amichevole corrispondenza fra Lhasa e Roma. Queste lettere scritte in
linguaggio e fini caratteri tibetani sono ancora conservate a Roma, al Collegio Urbano,
come testimonianza della stima mostrata dal Dalai Lama nei confronti dei Cappuccini.
Nel 1762 il frate agostiniano, Antonio Giorgi, (morto nel 1797 ) pubblicò il suo
"Alphabetum Tibetanum" a Roma, grazie alla stamperia di Propaganda Fide. E' una
ponderosa e confusa compilazione di 820 pagine in quarto, basate su materiale inviato
dai Cappuccini dal Tibet. In questo lavoro i caratteri Tibetani coniati da Orazio furono
usati per la prima volta. Antonio Giorgi conosceva assai limitata della lingua tibetana e
non sapeva come usare il materiale. Dalla pag. 9 alla pag. 642, è presentata una sorta di
grammatica tibetana seguita per la traduzione di "Padre Nostro" , "Ave ", " Credo",
"Decalogo" e "Segno della Croce" e stampata in lingua Tibetana (p.630-650 ). Nella 2°
appendice si trovano sei documenti in carattere tibetano che autorizzano i Cappuccini a
costruire una casa a Lhasa.
Comunque, la prima vera grammatica Tibetana venne pubblicata da Cassiano Beligatti
di Macerata, O.M.Cap. (morto nel 1791), nella stampa Propaganda di Roma nel 1773,
porta il titolo: Alfabeto Tangutanum sive Tibetanum. Sebbene sia stato chiamato nella
prefazione un compendio del caotico "Alfabeto Tibetano" di Georgi, è nientedimeno che
un lavoro intermanete stampato con i caratteri Tibetani disegnati da Orazio nel 1738,
anche se rimpiccioliti. La grammatica Tibetana vera e propria comprende 112 pag. in
ottave seguite da 26 pag. di testo Tibetano (segno della croce, "Pade Nostro", "Ave
Maria", "Angelus", Credo e comandamenti). Il frate Cassiano da Macerata aveva
accompagnato Orazio in Tibet, arrivando alla frontiera Tibetana, nell'ottobre del 1740, e
a Lhasa il 6 gennaio 1741. Qui ricevette lezioni in lingua Tibetana per qualche tempo da
3 Lama specialmente da Settni-Rimpoce, un Lama rinato, un insegnante espertissimo. Il
31 agosto 1742 lasciò Lhasa a causa della persecuzione imminenete e attraversò l' India
dove lavorò fino al suo ritorno in Italia nel 1756. Egli è ricordato per la traduzione del
Vangelo di S. Matteo nell'Hindostani e per una grammatica Sanskrita.
Quindi Alex Csoma de Koros, la cui grammatica Tibetana e il dizionario furono
pubblicati nel 1834, non può essere visto come il fondatore della filologia Tibetana.
Inoltre i cappuccini sono, allo stesso modo, i fondatori della filologia Nepalese. Dal
1707 fino al 1769 operarono in Nepal in tre residenze a Kathmandù, Patan, Bhatgaon.
Le tribu separate del Nepal hanno la propria lingua, in modo che nove lingue principali
vi sono parlate tutt'oggi. I cappuccini operarono piu ampiamente tra i Newari e ne
studiarono la lingua, il newari, la lingua del Nepal vera e propria. Questa lingua è scritta
in tre alfabeti, Bhanjin Mola, Ranja e Newar. l'ultimo dei quali è l'unico usato oggi. Al
College Bishop's a Calcutta è conservato un vocabolario Italiano-Indi anche questo
opera di un missionario italiano del XVIII secolo. E' un dizionario completo di 350
pagine con piu di 9500 parole. Quest'opera giunse al Bishop's College di Calcutta nel
1824. L'autore era Giuseppe Maria Bernini, un cappuccino che risiedette anche a Lhasa
con Orazio dal maggio 1742 fino alla fine della missione, il 20 aprile 1745. In seguito
fondò la missione di Bettiah. studiò anche il tibetano, ma per quanto ne sappiamo non
scrisse mai nulla in quella lingua. Un manoscritto anonimo conservato negli archivi di
Propaganda Fide in Roma contiene fra l'altro una spiegazione dei 10 comandamenti, un
dialogo polemico sulla religione cattolica, una vita di Cristo, ecc. Nel 1771 fu portato a
Roma da Padre Anselmo da Ragusa. assieme ad altri manoscritti che trattano gli stessi
argomenti. Anselmo li donò all'allora segretario di Propaganda Fide, Stefano Borgia.
Nel Collegio Urbano sono conservati altri manoscritti che raffigurano le divinità indu,
riti, abiti e costumi con spiegazioni in termini e caratteri newari. Costantino da Loro,
che era stato con Orazio in Tibet, portò questo codice con se dall'indostan nel 1749 e piu
tardi aggiunse una traduzione italiana.
Nel 1769, dopo la la guerra dei Gurka che terminò nella conquista del Nepal, i
cappuccini furono costretti a lasciare il Nepal
I discendenti dei nuovi cattolici Newari vivono ancora in questo posto e parlano la
lingua Newari dei loro antenati. Non prima che questo paese, così come la vicina catena
montuosa del Tibet venisse chiusa agli Europei, i Cappuccini hanno lasciato il Nepal,
così sono entrambe ancora " Le grandi terre chiuse". Prima della missione dei
Cappuccini in Nepal, i missionari cattolici avevano già attraversato la regione, ma solo
una volta, quando i Gesuiti passarono attraverso il Nepal nel loro viaggio di ritorno dalla
Cina ad Agra in India. I Cappuccini furono i primi ed ultimi missionari nel Nepal.
Furono anche i primi Europei che elaborarono il linguaggio Nepalese e scrissero libri in
quella complessa lingua e peculiare scrittura. Nessun missionario cattolico è mai
riuscito a parlare e scrivere il linguaggio Newari e solo pochi scolari hanno tentano di
studiarlo scientificamente. Il grande missionario e studioso dell'oriente Francesco
Orazio di Pennabilli è sepolto in qualche luogo del Patan in Nepal, nel cimitero
cattolico, il cui luogo preciso è sconosciuto alle generazioni moderne, così le vestigia di
una grandiosa missione cappuccina sono state definitivamente cancellate.