linee guida per l`uso dei farmaci antiemorragici

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linee guida per l`uso dei farmaci antiemorragici
Tabella 1
Tabella 2
Tabella 3
Bibliografia
LINEE GUIDA PER L'USO DEI FARMACI
ANTIEMORRAGICI
Pier Mannuccio Mannucci e Marco Moia
Centro di Emofilia e Trombosi Angelo Bianchi Bonomi, IRCCS
Ospedale Maggiore e Università di Milano
Via Pace, 9 - 20122 Milano (tel. 02-55035319) e-mail:
[email protected]
La fonte di queste linee guida è una bozza della SISET (3/1998) attualmente in fase di
correzione e non ancora sottoposta a diffusione.
INTRODUZIONE
Quando un'emorragia è il risultato di un difetto specifico del sistema
emostatico, la migliore scelta terapeutica è quella di correggere il difetto,
come avviene nell'emofilia e nelle altre malattie emorragiche ereditarie.
D'altra parte la terapia sostitutiva non è sempre possibile, perché in molte
situazioni cliniche l'emorragia è dovuta a difetti multipli e complessi
dell'emostasi, o perchè non ne viene identificata la causa. In queste
circostanze possono essere indicati agenti non trasfusionali (farmaci
emostatici) che, potenziando i meccanismi emostatici, aiutino ad
arrestare l'emorragia (1). Questi farmaci possono anche trovare
indicazione nei pazienti che rifiutano la trasfusione con emoderivati ed
in quelli sottoposti ad interventi chirurgici gravati da copiose perdite di
sangue.
Nel tempo, a diversi farmaci sono state attribuite proprietà emostatiche,
ma solo alcuni di essi hanno una comprovata efficacia. Allo stato
attuale, quelli sottoposti ad adeguata sperimentazione clinica sono gli
aminoacidi sintetici antifibrinolitici (acido epsilon-aminocaproico ed
acido tranexamico), l'aprotinina, la desmopressina e gli estrogeni
coniugati.
Aminoacidi antifibrinolitici sintetici
Due derivati sintetici dell'aminoacido lisina, l'acido
epsilon-aminocaproico (EACA) e l'acido tranexamico, hanno un'elevata
attività antifibrinolitica nell'uomo (2,3). Entrambi i farmaci si legano
reversibilmente al plasminogeno e quindi bloccano il legame del
plasminogeno stesso alla fibrina e la sua attivazione a plasmina (4,5). La
loro distribuzione nello spazio extravascolare ed il loro accumulo nei
tessuti è alla base dell'efficacia in condizioni emorragiche causate da
iperfibrinolisi locale (6).
L'EACA e l'acido tranexamico (che è circa 10 volte più potente ed ha
una più lunga emivita) risultano efficaci anche quando il sanguinamento
non è associato a segni di laboratorio di iperfibrinolisi (7).
Possono essere somministrati sia per via orale che per via endovenosa;
sono eliminati per via renale in forma attiva, vengono concentrati nelle
urine (sino a 100 volte) e passano in altri liquidi biologici (liquor,
sperma e liquido sinoviale).
Indicazioni cliniche e dosaggi. Vi sono solo pochi studi intesi a
confrontare i due farmaci, ma il comune meccanismo d'azione indica che
la loro efficacia terapeutica è la stessa, purché le dosi somministrate
siano equivalenti.
Menorragia primaria. L'eccessivo sanguinamento mestruale è la più
frequente causa di anemia sideropenica nella donna in età fertile. L'acido
tranexamico riduce le perdite ematiche dal 40 al 50%, come riportato in
uno studio randomizzato su 76 donne (8). Si ritiene che il farmaco agisca
inibendo gli attivatori del plasminogeno presenti in elevate
concentrazioni nell'endometrio in fase secretiva (8). L'acido tranexamico
e l'EACA devono essere presi in considerazione solo quando sono state
escluse lesioni organiche dell'utero e quando i preparati
estro-progestinici, che sono più pratici e probabilmente più efficaci, sono
controindicati. Le dosi raccomandate per via orale vanno da 10 a 15
mg/kg ogni 8 ore, dall'inizio della mestruazione all'arresto del
sanguinamento. Questi dosaggi sono indicati anche nelle emorragie
associate all'uso di contraccettivi intrauterini.
Emorragie gastrointestinali. Il razionale per l'uso degli antifibrinolitici
nelle emorragie gastrointestinali si basa sull'osservazione che, in sede di
lesione, la concentrazione di attivatori del plasminogeno è molto elevata
e facilita il sanguinamento (9). I risultati dei trial clinici con acido
tranexamico nei pazienti con emorragie del tratto gastroenterico
superiore sono discordanti (1,7). Una metanalisi, basata sul risultato di
1267 pazienti con ulcera peptica, erosioni della mucosa o altre cause di
sanguinamento, ha dimostrato una riduzione dal 20 al 30% nel
risanguinamento, dal 30 al 40% nella necessità di approccio chirurgico e
del 40% nella mortalità (10). Nonostante questi risultati l'acido
tranexamico non è estesamente utilizzato nel trattamento delle emorragie
del tratto gastroenterico superiore, per l'esistenza di altre terapie mediche
ed endoscopiche efficaci. Uno studio su pazienti tutti sottoposti a
valutazione endoscopica ha dimostrato che l'acido tranexamico non
riduce le recidive emorragiche da ulcera gastrica e duodenale ma che la
richiesta di trasfusioni è minore (11). Due studi eseguiti in pazienti con
emorragie rettali dovute a colite ulcerosa, hanno dato risultati
contrastanti (12,13).
Emorragie delle vie urinarie. L'urina e le mucose dell'apparato urinario
sono molto ricche in attivatori del plasminogeno che facilitano la lisi dei
coaguli (7). L'acido tranexamico e l'EACA sono assai efficaci dopo
prostatectomia transuretrale. Una volta asportata la ghiandola, le urine
vengono in contatto con i coaguli emostatici e tendono a dissolverli,
derivandone un periodo postoperatorio di ematuria relativamente lungo.
Studi clinici controllati hanno dimostrato che l'acido tranexamico e
l'EACA riducono la perdita ematica di circa il 50% se confrontati al
placebo (14-16). Il dosaggio indicato per l'acido tranexamico è da 10 a
15 mg/kg ogni 8 ore per via endovenosa, iniziando immediatamente
dopo l'intervento, seguiti da 20 mg/kg per os ogni 8 ore fino alla
cessazione dell'ematuria macroscopica. Le dosi corrispondenti di EACA
sono da 50 a 60 mg/kg endovena per 6 volte al giorno seguite dalla
somministrazione orale degli stessi dosaggi. Tuttavia non è dimostrato
che questi farmaci riducano la richiesta trasfusionale o la mortalità dopo
prostatectomia, e quindi non vengono impiegati routinariamente.
Emorragie orali nelle malattie emorragiche congenite ed acquisite.
Nei pazienti emofilici gli aminoacidi antifibrinolitici sono utilizzati nella
prevenzione dell'emorragia dopo estrazioni dentarie in base
all'osservazione che la mucosa orale e la saliva hanno un alto contenuto
di attivatore del plasminogeno (17). In due piccoli studi clinici l'EACA e
l'acido tranexamico hanno ridotto le recidive di sanguinamento e la
richiesta di terapia sostitutiva con emoderivati (18,19). Negli adulti sono
raccomandate dosi da 50 a 60 mg/kg di EACA ogni 4 ore, o da 20 a 25
mg/kg di acido tranexamico ogni 8 ore, fino alla guarigione della tasca
gengivale. Gli sciacqui endorali con acido tranexamico (1 g ogni 6 ore)
sono efficaci nel prevenire il sanguinamento orale negli emofilici (20) e
nei pazienti che necessitano estrazioni dentarie in corso di trattamento
con anticoagulanti (21). Le estrazioni possono essere eseguite senza
interrompere o ridurre l'anticoagulante, procedura quest'ultima che
potrebbe incrementare il rischio tromboembolico nei pazienti con
fibrillazione atriale o protesi valvolare meccanica (21).
Emorragie da piastrinopenia. In due studi non controllati su 30
pazienti con trombocitopenia megacariocitica o amegacariocitica,
l'EACA si è dimostrato efficace nell'arrestare il sanguinamento mucoso
(nasale, uterino, gastrointestinale) ed il sanguinamento associato ad
estrazioni dentarie, senza variare il numero delle piastrine (22,23). Nei
pazienti con leucemia acuta è stata valutata l'efficacia dell'acido
tranexamico nel ridurre la necessità di trasfusioni di piastrine durante la
chemioterapia (24). Mentre nell'induzione della remissione non c'era una
significativa differenza tra pazienti trattati e non trattati con il farmaco,
durante la chemioterapia di consolidamento vi era una minore tendenza
all'emorragia nei pazienti trattati con acido tranexamico ed una minore
necessità di trasfusioni di piastrine (24). È necessaria un'ulteriore
conferma di questi risultati prima di poter raccomandare l'uso profilattico
dell'acido tranexamico nei pazienti che presentano piastrinopenia
secondaria alla chemioterapia.
Emorragia da terapia trombolitica. La terapia trombolitica nei pazienti
con infarto del miocardio può essere complicata da emorragie (25). Gli
antifibrinolitici sono potenzialmente efficaci nel controllare queste
emorragie. C'è tuttavia una scarsa evidenza che gli antifibrinolitici (ed
anche l'aprotinina, vedi in seguito) siano utili quando le complicanze
emorragiche si sviluppano durante o a breve distanza dalla trombolisi.
Nella maggioranza dei casi non è peraltro necessario ricorrere a farmaci
antiemorragici, poiché è sufficiente interrompere la somministrazione
degli agenti trombolitici per controllare l'emorragia.
Riduzione della perdita ematica in cardiochirurgia. La chirurgia
cardiaca rappresenta il prototipo degli interventi che necessitano
l'impiego di misure che portino ad un risparmio di sangue. Fattori che
contibuiscono alla elevata perdita di sangue includono la dimensione
della ferita chirurgica, l'esposizione alle superfici artificiali
dell'ossigenatore, il danno meccanico ed enzimatico alle piastrine ed ai
fattori della coagulazione e l'iperfibrinolisi durante e dopo il bypass
cardiopolmonare. I risultati dei trial clinici su oltre 1000 pazienti con
acido tranexamico o EACA hanno solidamente dimostrato che entrambi
i farmaci riducono la perdita di sangue dal 30 al 40% se confrontati al
placebo (26-30). Gli schemi terapeutici dimostratisi più efficaci sono i
seguenti: un bolo endovenoso di 150 mg/kg di EACA prima
dell'intervento, seguito da un'infusione di 15 mg/kg/ora durante
l'operazione (28); 10 mg/kg di acido tranexamico in bolo endovenoso
prima dell'intervento, seguiti da 1 mg/kg/ora durante l'intervento (31).
Tuttavia, la quantità totale di emocomponenti trasfusi (la cui riduzione
costituisce l'obiettivo più importante di tale profilassi) o non è stata
studiata o non è stata ridotta dai farmaci antifibrinolitici (26-31); inoltre
nessuno degli studi aveva un campione sufficientemente numeroso per
rilevare l'eventuale incidenza di gravi eventi avversi dovuti al
trattamento. Altri farmaci non-emoderivati, come l'aprotinina e la
desmopressina, sono stati impiegati in questa indicazione e verranno
trattati in seguito.
Riduzione della perdita ematica nell'artroprotesi di ginocchio. In uno
studio randomizzato e controllato su 86 pazienti sottoposti ad
artroprotesi di ginocchio, ai quali era stata somministrata una singola
dose di 10mg/kg di acido tranexamico per via endovenosa prima di
levare il laccio emostatico alla gamba, si è evidenziata una riduzione
della perdita ematica rispetto a quelli trattati con placebo (730 ± 280 ml
vs 1410 ± 480 ml) ed una diminuita richiesta trasfusionale (32). Questi
risultati sono stati confermati in uno studio simile su 76 pazienti (33).
Nonostante questi risultati i farmaci antifibrinolitici, in genere, non
possono essere raccomandati per la profilassi routinaria nella protesi di
ginocchio: infatti le 2 o 3 unità di sangue richieste nella maggior parte
dei pazienti possono essere facilmente ed altrimenti ottenute con un
programma di autotrasfusione (34). L'uso di farmaci per ridurre il
sanguinamento dovrebbe quindi essere preso in considerazione solo in
quei pazienti nei quali è prevista una notevole perdita, come quelli
sottoposti a doppia artroprotesi e nei re-interventi.
Riduzione della perdita ematica nel trapianto di fegato. I pazienti
sottoposti a trapianto di fegato perdono notevoli quantità di sangue
dovute, in parte, alla pre-esistente coagulopatia ed alla fibrinolisi
intraoperatoria. In un trial clinico su 45 pazienti, che hanno ricevuto alte
dosi di acido tranexamico (da 20 a 30 mg/kg) o placebo durante
l'intervento, i pazienti trattati con acido tranexamico hanno avuto circa il
50% in meno di perdite e minor richiesta trasfusionale (35). Questi
risultati preliminari sono in attesa di conferme.
Considerazioni conclusive sull'uso degli antifibrinolitici. Le
indicazioni terapeutiche per i farmaci antifibrinolitici, ed i corrispondenti
livelli di evidenza, sono riassunte nella Tabella 1. L'EACA o l'acido
tranexamico sono stati usati in altre evenienze emorragiche (come
l'epistassi, il sanguinamento dopo tonsillectomia, l'ipoema traumatico),
ma i dati disponibili sono insufficienti per stabilire precise indicazioni
nel trattamento di queste condizioni. I farmaci antifibrinolitici risultano
controindicati nei pazienti con emorragia subaracnoidea perché possono
determinare vasospasmo ed ictus ischemico (36-38).
Effetti collaterali degli antifibrinolitici. Gli effetti collaterali di acido
tranexamico ed EACA sono dose-dipendenti e solitamente riguardano il
tratto gastroenterico (nausea, vomito, dolore addominale, diarrea). Il
principale rischio di questi farmaci è costituito dalle complicanze
trombotiche, attraverso l'inibizione della fibrinolisi che è un meccanismo
naturale di difesa contro la formazione del trombo. Ci sono almeno 10
casi, riportati in letteratura, di formazione di trombi in quantità abnorme
o in sedi insolite associati all'uso di questi farmaci. D'altra parte non è
emerso con chiarezza un incremento del rischio di trombosi quando
questi farmaci sono stati utilizzati in interventi chirurgici gravati da un
elevato rischio tromboembolico venoso o arterioso, come la
cardiochirurgia (26-30) e l'artroprotesi di ginocchio (32-33). Tuttavia
questi studi non erano stati disegnati per valutare complicanze
tromboemboliche ed erano in genere troppo piccoli per rilevare eventuali
differenze in eventi a bassa incidenza, come l'ictus ischemico, l'infarto
miocardico o l'occlusione del bypass coronarico.
Aprotinina
L'aprotinina è un polipeptide, con peso molecolare di 6512 Daltons,
estratto dal polmone bovino. Inibisce diverse proteasi seriniche come la
tripsina, la chemotripsina, la plasmina e la callicreina, attraverso la
formazione di un complesso reversibile enzima-inibitore (39-40).
Inibendo la callicreina, l'aprotinina inibisce indirettamente l'attivazione
del fattore XII, e quindi l'inizio della coagulazione e della fibrinolisi
indotto dal contatto del sangue con superfici estranee (41). Attraverso
l'inibizione della callicreina, l'aprotinina riduce anche l'attivazione del
complemento e del sistema renina-angiotensina e la risposta
infiammatoria scatenata dalla callicreina. L'aprotinina non interferisce
con la funzione delle piastrine (42-44). È inattiva per os e viene
somministrata con una dose da carico iniziale, seguita da infusione
endovenosa continua. L'attività enzimatica è espressa in unità inattivante
la callicreina (KIU), 1 mg di aprotinina essendo equivalente a 7.143
KIU. Concentrazioni di 125 KIU/mL sono necessarie ad inibire la
plasmina e concentrazioni da 300 a 500 KIU/mL sono necessarie per
inibire la callicreina (40).
Cardiochirurgia. La potente azione antiproteolitica dell'aprotinina ha
indotto ad utilizzarla per ridurre la perdita di sangue nei pazienti
sottoposti ad interventi cardiochirurgici, durante i quali c'è un
incremento della proteolisi plasmatica. In uno studio aperto,
randomizzato su 22 pazienti sottoposti ad interventi cardiochirurgici (che
hanno ricevuto 2 milioni di KIU di aprotinina prima dell'intervento ed
un'infusione continua di 500.000 KIU/ora durante l'intervento, con 2
milioni di KIU aggiunti alla soluzione di priming dell'ossigenatore), le
perdite ematiche dei pazienti trattati sono state dell'80% inferiori, e le
richieste trasfusionali del 60% inferiori, rispetto al gruppo di controllo
(45). Successivamente, studi in doppio cieco che hanno arruolato più di
500 pazienti hanno dimostrato che l'aprotinina è efficace nei pazienti
sottoposti ad interventi "semplici", come le protesi valvolari ed i bypass
coronarici (46-51). È anche efficace nelle operazioni caratterizzate da
perdite ematiche particolarmente abbondanti, come nei pazienti che
assumono acido acetilsalicilico (52), nei pazienti con endocardite (53) e
nei trapianti cardiaci (54).
Sono stati proposti anche dosaggi più bassi di aprotinina, per esempio 4
milioni di KIU o 2 milioni di KIU aggiunti solamente al liquido di
priming (55-57). Il dosaggio da 3 a 4 milioni di KIU è altrettanto
efficace da un punto di vista emostatico del dosaggio pieno, ma l'uso nel
solo liquido di priming potrebbe non esserlo (55). L'aprotinina è meno
efficace se data dopo l'intervento. Altri farmaci emostatici utilizzzati in
cardiochirurgia verranno discussi più avanti.
Trapianto di fegato. Una dose relativamente bassa di aprotinina (2
milioni di KIU) ha determinato circa il 35% di riduzione delle perdite
ematiche ed il 50% della richiesta trasfusionale, se confrontata a nessun
trattamento, in 20 pazienti sottoposti a trapianto di fegato (59). In un
successivo studio su 24 pazienti con una dose più elevata (2 milioni KIU
dopo l'induzione dell'anestesia, seguiti da un'infusione di 0,5 milioni
KIU/ora durante l'intervento), le richieste trasfusionali sono state meno
di un terzo rispetto ai controlli (60). Questi studi non erano né
randomizzati né controllati. In un piccolo studio randomizzato su 20
pazienti, l'aprotinina non è risultata efficace se confrontata al placebo
(61).
Effetti collaterali. I potenziali effetti collaterali dell'aprotinina sono
legati all'origine eterologa; essa, quindi, può causare ipersensibilità,
soprattutto dopo ripetuta esposizione. In uno studio su 240 pazienti che
hanno ricevuto aprotinina due o più volte, 7 pazienti hanno manifestato
reazioni da ipersensibilità (da flush cutaneo fino a grave ipotensione
sistemica). La maggior parte di tali eventi avversi sono avvenuti quando
l'aprotinina è stata somministrata entro 6 mesi dalla prima esposizione e
non sono risultati di entità clinica grave (62). L'aprotinina può causare
trombosi venosa ed arteriosa, ed anche occlusione di bypass coronarici
ed altre protesi vascolari. Tuttavia, in studi controllati con valutazione
coronarografica, l'aprotinina non ha determinato un aumento della
reocclusione precoce dei bypass da safena o da mammaria interna
(51,63-65). Analogamente, in un piccolo studio, non si è manifestato
alcun incremento del rischio di tromboembolismo venoso dopo
artroprotesi d'anca nei pazienti trattati con aprotinina (66). In studi
prospettici randomizzati, controllati con placebo, di pazienti trattati con
aprotinina per intervento di bypass aorto coronarico, non è stato
registrato alcun incremento di infarto o di mortalità (55). L'analisi
cumulativa di 6 studi sul bypass aorto coronarico, che ha valutato 861
pazienti trattati con aprotinina o placebo (67), ha rilevato una riduzione
della prevalenza di ictus nei pazienti trattati con aprotinina.
Recentemente in Italia il fatto che l'aprotinina sia estratta da polmone
bovino, e possa in teoria trasmettere l'agente responsabile
dell'encefalopatia spongiforme bovina e la nuova variante della malattia
di Cretzfeldt-Jacob, ha portato ad una temporanea sospensione del
farmaco dal mercato. Nessun altro Paese europeo o extraeuropeo ha, per
ora, adottato una misura analoga. I produttori di aprotinina affermano
che l'estrazione avviene su bovini provenienti da aree geografiche
immuni dall'encefalopatia spongiforme bovina.
Desmopressina
Il fattore VIII plasmatico (fattore della coagulazione carente, o anormale,
nell'emofilia A) ed il fattore von Willebrand (la proteina adesiva carente,
o anormale, nella malattia di von Willebrand) possono essere
transitoriamente aumentati dall'1-deamino-8-D-arginina vasopressina
(desmopressina), un analogo dell'ormone antidiuretico (68). Questi effetti
mimano la terapia sostitutiva con emoderivati e costituiscono la base
razionale per l'uso clinico della desmopressina in queste malattie
emorragiche congenite (69-71). L'evidenza dell'efficacia è risultata così
chiara che non è stato ritenuto necessario alcun trial clinico controllato.
Successivamente la desmopressina è stata anche utilizzata in pazienti
con altre malattie congenite o acquisite dell'emostasi (70,72,73). In tali
pazienti, l'effetto della desmopressina può essere mediato
dall'ottenimento di concentrazioni plasmatiche sopra-normali di fattore
von Willebrand e dalla comparsa in circolo di multimeri a peso
molecolare più elevato di questo fattore (74), che aumentano l'adesione
piastrinica al sottoendotelio (75). Altri mediatori dell'incrementata
attività emostatica potrebbero essere le alte concentrazioni di fattore VIII
con conseguente aumento nella velocità di formazione della fibrina (76).
Malattie emorragiche congenite. La desmopressina può essere
somministrata per via endovenosa, sottocutanea ed intranasale. La dose
raccomandata per via endovenosa o sottocutanea è 0,3 mcg/kg, per via
intranasale di 300 mcg nell'adulto e 150 mcg nel bambino (77,78). Le
concentrazioni plasmatiche di fattore VIII e di fattore von Willebrand
aumentano approssimativamente da 2 a 4 volte, con picco da 30 a 60
minuti dopo l'infusione endovenosa, e da 60 a 90 minuti dopo la
somministrazione sottocutanea o intranasale (77,78). Queste dosi
possono essere ripetute, se clinicamente indicato, ad intervalli da 12 a 24
ore, ma problemi di tachifilassi possono intervenire dopo 3 o 4 dosi (79).
La desmopressina per via sottocutanea offre il vantaggio di poter essere
autosomministrata a casa, per prevenire emorragie negli emofilici che
praticano sport, ed in donne con malattia di von Willebrand che hanno
mestruazioni eccessive (80). Altri Autori preferiscono, in queste
situazioni, la somministrazione per via intranasale, anche per portare a
termine interventi chirurgici e per trattare episodi emorragici gravi (81).
La maggior parte dei pazienti con bassi livelli di fattore von Willebrand
normalmente funzionante (malattia di von Willebrand di tipo 1)
rispondono alla desmopressina con un incremento di fattore VIII simile o
anche migliore di quelli con emofilia lieve (79) ed il loro tempo di
emorragia si accorcia fino a normalizzarsi (74,79). Tuttavia il tempo di
emorragia di pazienti con malattia di von Willebrand grave (tipo 3) (80)
o quelli con fattore von Willebrand disfunzionale (tipo 2) generalmente
non viene accorciato (74).
La desmopressina è il trattamento di scelta per pazienti con emofilia A
lieve o malattia di von Willebrand di tipo 1 che hanno emorragie
spontanee o devono essere sottoposti ad intervento chirurgico. Accorcia
o normalizza il tempo di emorragia anche in alcuni pazienti con
alterazioni congenite della funzione piastrinica (82). Si osserva di solito
una buona risposta nei difetti della reazione di rilascio delle piastrine o
nel deficit di ciclo-ossigenasi, ed in quelli caratterizzati da un
prolungamento isolato ed inspiegabile del tempo di emorragia (83). La
maggior parte dei pazienti con "storage-pool deficiency" e con sindrome
di Bernard-Soulier risponde alla desmopressina ma alcuni non
rispondono, per cui si raccomanda una dose test per selezionare i
responder (83).
Non è ben definito se l'effetto su un test di laboratorio, come il tempo di
emorragia, corrisponda ad un effetto emostatico clinico. Alcuni casi
indicano peraltro che la desmopressina può essere utilizzata in
alternativa ai derivati del sangue, durante o dopo un intervento o dopo il
parto, assicurando un'emostasi soddisfacente (86). I pazienti con
trombastenia di Glanzman di solito non rispondono alla desmopressina
(73).
Anche se un effetto su un test come il tempo di emorragia può non
corrispondere ad un reale effetto emostatico, i risultati di pochi studi ben
condotti suggeriscono che la desmopressina possa essere un'alternativa
agli emoderivati nella chirurgia o nel parto in questi pazienti (84).
Alterazioni emorragiche acquisite. La desmopressina è stata utilizzata
in pazienti uremici che hanno una complessa anomalia dell'emostasi, in
parte caratterizzata da un allungamento del tempo di emorragia (85). In
un gruppo di questi pazienti che hanno ricevuto infusione di
desmopressina, il tempo di emorragia, prolungato, è stato normalizzato
per 4-6 ore in circa il 75% dei casi (72). La desmopressina
somministrata prima di manovre invasive (biopsie e chirurgia maggiore)
sembra prevenire il sanguinamento (72), ma mancano studi controllati.
Al momento, quindi, l'uso clinico della desmopressina nei pazienti
uremici si basa sul legame tra l'entità del prolungamento del tempo di
emorragia e la tendenza del paziente ad un eccessivo sanguinamento
(85). Gli estrogeni coniugati (vedi in seguito) sono un'alternativa alla
desmopressina nei pazienti uremici con problemi emorragici.
Cirrosi. Nonostante i pazienti con cirrosi abbiano elevati livelli
plasmatici di fattore VIII e di fattore von Willebrand, essi hanno un
tempo di emorragia prolungato che viene accorciato dalla
somministrazione di desmopressina (73,86). Pertanto la desmopressina
può costituire un mezzo di profilassi per i pazienti che necessitano
manovre invasive ed hanno un tempo di emorragia prolungato. Tuttavia
la desmopressina non si è dimostrata efficace nel controllare l'emorragia
gastrointestinale acuta nel paziente cirrotico (87).
Riduzione delle perdite chirurgiche. In uno studio su 70 pazienti
sottoposti ad interventi cardiochirurgici "complessi" la desmopressina,
somministrata al momento della sutura toracica, ha ridotto la perdita
ematica e la richiesta trasfusionale di circa il 30% (88). Tuttavia in 3
studi condotti in 330 pazienti sottoposti ad interventi cardiochirurgici
meno complessi non si è rivelata alcuna differenza fra desmopressina e
placebo (89-91). In una metanalisi su 17 trial clinici, che hanno incluso
1171 pazienti, la desmopressina ha ridotto significativamente la perdita
post chirurgica del 9%, un valore di scarsa importanza clinica (92). Forse
la scarsa efficacia della desmopressina nella cardiochirurgia è dovuta
alla sua attività fibrinolitica (68), una prerogativa sfavorevole in una
condizione già caratterizzata da iperfibrinolisi.
Le principali indicazioni terapeutiche per la desmopressina, ed i
corrispondenti livelli di evidenza, sono riassunti nella Tabella 2.
Effetti collaterali. Frequenti effetti collaterali includono modesto flush
al volto e cefalea. A causa del potente effetto antidiuretico, la
desmopressina può determinare ritenzione idrica e iponatremia (93). Nei
pazienti che ricevono più di una dose, la natremia ed il peso corporeo
dovrebbero essere misurati quotidianamente ed andrebbe evitato un
sovraccarico di liquidi. Trombosi arteriosa (talvolta ictus fatale o infarto
miocardico) è stata descritta in alcuni pazienti trattati con desmopressina
(94). In pazienti ad alto rischio tromboembolico (come quelli sottoposti a
bypass aorto-coronarico nei trial con desmopressina) non si è però
verificato un aumento di complicanze trombotiche legato al trattamento
con desmopressina (95).
Efficacia emostatica dei farmaci in cardiochirurgia
L'EACA, l'acido tranexamico, la desmopressina e l'aprotinina sono stati
valutati in pazienti cardiochirurgici. Analizzando direttamente gli studi
disponibili (96-98), o tramite metanalisi (99), si osserva che in tutti i 4
studi viene ridotta la perdita ematica intraoperatoria. L'ordine di
efficacia, in termini di riduzione della perdita (dal maggiore al minore),
è: aprotinina, acido tranexamico, EACA e desmopressina (99). L'ordine
di costo, alle dosi attualmente raccomandate, è lo stesso. In termini di
riduzione delle richieste trasfusionali (che è il criterio di efficacia più
iportante) il risultato è in favore dell'aprotinina. In termini di sicurezza,
solo per l'aprotinina disponiamo di dati solidi da trial clinici che non
dimostrino aumentata frequenza di occlusione del bypass. L'evidenza
cumulativa porta alla scelta dell'aprotinina, ma quest'ultima dovrebbe
essere riservata ai pazienti che abbiano probabilità di essere trasfusi con
sangue da donatore. Tali pazienti sono principalmente quelli sottoposti a
re-intervento, quelli con preesistente difetto emostatico o che assumano
antiaggreganti, piastrinici, e quelli con sepsi. Inaspettatamente, una
preventiva valutazione dell'emostasi non si rivela utile. La ragione per
non raccomandare l'uso dell'aprotinina in tutti i pazienti è che molte
procedure cardiochirurgiche non sono attualmente gravate dalla necessità
di emotrasfusione da donatore e, d'altra parte, che reazioni da
ipersensibilità possono accadere alla seconda esposizione al farmaco.
Timori circa la trasmissione dell'encefalopatia spongiforme appaiono
invece attualmente ingiustificati.
Estrogeni coniugati
Gli estrogeni coniugati accorciano il tempo di emorragia prolungato e
migliorano l'emostasi, o arrestano il sanguinamento, nei pazienti uremici
(100,101). Il meccanismo attraverso il quale gli estrogeni coniugati
influiscono sul tempo di emorragia in questi pazienti è ignoto, e non è
neppure noto se altre preparazioni di estrogeni abbiano tale azione. Gli
estrogeni coniugati possono essere somministrati per via endovenosa o
orale. Nei pazienti uremici una singola infusione giornaliera di 0,6
mg/kg, ripetuta giornalmente per 4 o 5 giorni, accorcia il tempo di
emorragia di circa il 50% dei casi per almeno 2 settimane (101). Una
dose giornaliera di 50 mg si è rivelata in grado di accorciare il tempo di
emorragia dopo una media di 7 giorni di trattamento (102).
Il valore clinico degli estrogeni coniugati nei pazienti con uremia (come
quello della desmopressina) si basa su dati che indicano che la tendenza
emorragica di questi pazienti è direttamente correlata all'entità del
prolungamento del tempo di emorragia (85). Il principale vantaggio degli
estrogeni coniugati sulla desmopressina è la più lunga durata dell'effetto
sul tempo di emorragia (da 10 a 15 giorni vs da 6 a 8 ore). Quindi gli
estrogeni coniugati andrebbero usati quando è richiesto un prolungato
effetto sull'emostasi, come per interventi di chirurgia elettiva o ripetuti
episodi di sanguinamento gastrointestinale o nasale. D'altra parte la
desmopressina andrebbe somministrata quando è richiesto un effetto
immediato sull'emostasi (per esempio per arrestare il sanguinamento
acuto o prevenire il sanguinamento in chirurgia d'emergenza) (Tabella
3). I due farmaci possono essere dati insieme, sfruttando il diverso
timing del loro massimo effetto.
Nei pazienti con insufficienza renale cronica l'eritropoietina
ricombinante causa un incremento dose-dipendente dell'ematocrito ed
elimina la necessità di emotrasfusioni (103). Il progressivo incremento
dell'ematocrito è accompagnato da un pronunciato accorciamento del
tempo di emorragia e miglioramento dell'adesione piastrinica (104).
Poiché la maggior parte dei pazienti con insufficienza renale cronica è
attualmente trattata con eritropoietina, farmaci ad azione di breve durata
come la desmopressina e gli estrogeni coniugati sono indicati solo in
pazienti con insufficienza renale acuta o sub acuta.
Gli estrogeni coniugati sono ben tollerati e gli effetti collaterali sono
scarsi o assenti. Poiché non sono indicate più di 5 o 7 dosi totali in giorni
successivi, l'attività ormonale estrogenica è generalmente assente.
Conclusioni. I farmaci antifibrinolitici EACA ed acido tranexamico
sono utili nei pazienti con diverse situazioni emorragiche, in particolare
quando vi è un eccessivo sanguinamento dalle mucose. La
desmopressina è il trattamento di scelta nei pazienti con emofilia lieve e
malattia di von Willebrand di tipo 1. È stata anche utilizzata con
successo per trattare o prevenire il sanguinamento in altre malattie
emorragiche, inclusi i difetti della funzione piastrinica, l'epatopatia
cronica ed i difetti indotti dall'uso terapeutico di farmaci antitrombotici
come aspirina e ticlopidina (70,73), ma non esistono ancora trial
conclusivi che ne dimostrino l'efficacia clinica in tali indicazioni. In
cardiochirurgia gli antifibrinolitici (EACA, acido tranexamico e
l'aprotinina) sono più efficaci della desmopressina, con preferenza per
aprotinina in quanto è stata maggiormente valutata per efficacia e
sicurezza. Tuttavia l'aprotinina dovrebbe essere utilizzata in profilassi
del sanguinamento solo quando è prevedibile una richiesta trasfusionale
da donatore o nei pazienti che rifiutino le trasfusioni.
In queste linee-guida non sono stati presi in considerazione gli agenti
emostatici per uso topico, i cosiddetti adesivi o colle tessutali, perché
mancano ancora sufficienti dati sulla loro efficacia e sicurezza (105).
Tabella 1. Indicazioni per i farmaci antifibrinolitici (acido
tranexamico ed EACA) nel trattamento delle emorragie
Situazione clinica
ALIGN=CENTER
Menorragia primitiva (9)
A
Emorragie del tratto gastroenterico
superiore (10)
A
Estrazioni dentarie
nelle coagulopatie (18-21)
A
Sanguinamento associato a
trombocitopenia (22,23)
B
Grado A, il valore terapeutico di acido tranexamico o
EACA è stato dimostrato in trial clinici che hanno valutato
sicurezza ed efficacia.
Grado B, studi ben condotti, ma non trial clinici.
Grado C, studi di casistiche o report su singoli pazienti, ma
non studi ben condotti.
Tabella 2. Indicazioni per l'uso della desmopressina nel trattamento
delle emoragie
Grado di
Situazione clinica
evidenza
Emofilia A lieve (69-71)
B
Malattia di von Willebrand tipo 1 (69-71)
B
Difetti congeniti della funzione piastrinica
(83-84)
C
Uremia (72)
C
Cirrosi (73,86)
C
Sanguinamento indotto da farmaci (aspirina,
ticlopidina) (70,73)
C
Tabella 3. Trattamento non trasfusionale delle emorragie nel
paziente uremico
Inizio
Durata
Farmaco
Indicazioni*
dell'effetto dell'effetto
Desmopressina immediato 6-8 ore
- Sanguinamento
acuto
- Prima di biopsia
o chirurgia
d'emmergenza
Estrogeni
coniugati
10-15
giorni
- Sanguinamento
cronico o ricorrente
- Prima di chirurgia
elettiva
prolungato
Prevenzione del
sanguinamento
ritardato
Eritropoietina ritardato
*tutte le indicazioni sono di grado C (100, 101, 104)
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