Le ricette dello stucco - architetto Carmen Natali Presezzo

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Le ricette dello stucco - architetto Carmen Natali Presezzo
LE “RICETTE” DEGLI STUCCHI IN ITALIA SETTENTRIONALE
DAL XV AL XX SECOLO
IL RAPPORTO TRA LE INDICAZIONI CONTENUTE NELLA LETTERATURA ARCHITETTONICA
CON LE INDAGINI DI LABORATORIO.
Carmen Natali*, Giuseppe Lorenzini**
*Specializzanda in Restauro dei Monumenti presso la Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano
**Architetto e Restauratore, Brescia
Abstract
This study makes a comparison between the empirical data taken out of treatises and manuals and the scientific data
obtained by laboratory researches. The appendix report cards collect the data concerning the sources (treatises,
manuals, studies) treating about the “ingredients” which compose stucco.
Introduzione.
Le caratteristiche peculiari dello stucco lo rendono un materiale di difficile classificazione per cui le modalità
di esecuzione e i suoi componenti sfuggono ad una sistematizzazione rigida e schematica.
Lo scopo del presente intervento è quello di confrontare due universi culturali e concettuali tra loro lontani:
da un lato si è tentato di estrapolare dati di matrice empirica, o pseudo-empirica per poterli poi paragonare al
dato scientifico ricavato dalle indagini di laboratorio (si veda il testo di Bugini e Folli in questo stesso
volume).
Anche se può apparire piuttosto arbitrario, per l’intrinseca natura empirica anche della scienza moderna, si è
voluto definire come dato empirico quello contenuto nelle fonti scritte per porre l’accento sull’aspetto
pratico, su un’esperienza non ancora sistematizzata, costruita provando e riprovando.
Trattatistica e manualistica sono ricche di spie, di tracce e segni che rimandano ad un fare che, per la sua
peculiare modalità di trasmissione, non rivela in maniera esplicita i suoi segreti, ma li tramanda
esclusivamente in forma orale.
Quanto veniva riportato era una trascrizione di quello che l’erudito riusciva a cogliere della prassi di
cantiere: ciò nonostante, gli scritti contengono informazioni di certa utilità alla comprensione di un’arte oggi
quasi scomparsa anche se risultano spesso di difficile interpretazione per la nostra incapacità a comprendere
appieno problematiche e procedure legate all’arte del modellare.
Nelle schede in appendice all’intervento, sono raccolte alcune delle fonti che presumibilmente circolavano in
Italia settentrionale: si è cercato di estrapolare da questi testi alcuni dati relativi soprattutto agli ingredienti
che gli autori ci dicono essere alla base della composizione dello stucco.
1. Manuali e trattati: una diversa finalità del sapere.
Le procedure relative all’esecuzione di manufatti in stucco e la prassi operativa empirica sono ben descritte
da Giorgio Vasari nella vita di Giovanni da Udine.
L’emblematica riscoperta della “ricetta” dello stucco alla romana è descritta come il frutto di uno
sperimentalismo quasi alchemico ed è basata su un’esperienza sensibile.
La composizione dello stucco era stata ricercata da altri artisti prima di lui che avevano provato mettendo “al
fuoco lo stucco con gesso, calcina, pece greca, cera e matton pesto, e a metterlo di oro” 1 senza però ottenere
il risultato sperato.
Giovanni da Udine, secondo il resoconto vasariano, cominciò a pensare di formare l’impasto mediante
calcina e pozzolana: questa mistura non sortì l’effetto desiderato poiché la pelle ultima non veniva con quella
gentilezza e finezza che mostravano le antiche, né anco così bianca2. Pensò allora Giovanni di mescolare
G. VASARI, “Vita di Giovanni da Udine”, Vite de‟ più eccellenti pittori scultori e architetti, Venezia: dai Tipi di
Giuseppe Antonelli ed., 1829, Tomo XIII.
2
Ibidem.
1
alla calcina del travertino bianco: fece pestare del marmo e preparò l’impasto, ma ancora era il lavoro livido,
e non bianco e ruvido e granelloso. Era infatti necessario non pestare il marmo bensì macinarlo finemente e
trovò che così veniva fatto, senza dubbio niuno, il vero stucco antico con tutte quelle parti che in quello avea
desiderato3.
E’ palese che il resoconto vasariano è più mitizzato che reale: sappiamo infatti che all’epoca della scoperta
erano già ben note le indicazioni contenute nel trattato di Vitruvio che dal punto di vista delle procedure
appare piuttosto chiaro. E’ inoltre nota la traduzione del testo vitruviano redatta da Fabio Calvo ravennate e
richiesta proprio da Raffaello: è difficile pensare che Giovanni da Udine, ignaro degli studi che venivano
svolti nella cerchia raffaellesca cui apparteneva, disponendo variamente gli ingredienti e apprendendo dai
propri fallimenti, sia giunto a elaborare autonomamente quanto già scritto nel testo latino.
D’altra parte l’attenta descrizione che Vasari fornisce della lavorazione dello stucco è funzionale allo scopo
della sua opera biografica e l’aura mitica creata attorno alla riscoperta della formulazione contribuisce
all’intenzionalità di esaltare talune personalità artistiche.
Così come lo scritto del Vasari, il “trattato” in generale, tende a puntualizzare determinati argomenti solo se
conveniente all’economia del discorso e allo scopo del trattato stesso. Nella vasta produzione rinascimentale
tutte le indicazioni relative alla prassi di cantiere e alla scelta dei materiali, gli indirizzi pratici compresi nel
modello per eccellenza della trattattistica, il De Architectura, vengono man mano espunti per far spazio a
questioni di tipo prevalentemente formale e stilistico. Come sottolinea anche Alvise Cornaro nel suo Trattato
di architettura non vi è alcuna utilità nella disquisizione attorno ad argomenti di ordine pratico sia perché
ogni luogo ha le sue peculiari materie - e artigiani capaci di manipolarle – sia per il fatto che già Vitruvio
tratta l’argomento in maniera esauriente. Scrive infatti il veneziano…E non dirò quale sorte di sabion sia
migliore per impiastrar la calcina, ne‟ quale sorte di calcina sia migliore, perché bisogna che si adopri e
sabia e calcina che si truova nel paese dove si fabrica, e se ve ne dirò qual terra sia buona per far le pietre
cotte, né quale pietra di monte è buona per far massi, e qual per far opere di scalpello, per le medesime
cagioni; né qual legno sia buono per far travature e tavole per porte e finestre, si per le ragioni dette come
perché Vitruvio ne scrive a sufficienzia; e lascirò discorrere d‟altre cose simili.
Differentemente con i manuali si comincia a pensare ad una razionalizzazione del sapere empirico, ad una
visione del lavoro umano ordinato ed idealizzato attraverso l’analisi delle materie prime nonché di tutte le
operazioni disaggregate nelle lavorazioni che portano alla realizzazione del manufatto. Le finalità di questi
manuali sono didattiche, operative e scientifiche: raccolte di voci e di modalità specificatamente tecniche
frutto anche di appunti forniti dai lavoranti e corredati di accorgimenti pratici in merito alla prassi di cantiere.
Nonostante i numerosi manuali tentino di descrivere in maniera molto puntigliosa materiali e fasi di
lavorazione permane anche in questo periodo una certa vaghezza nella terminologia e nella descrizione della
pratica.
Il periodo di sistematizzazione del sapere, a partire dalla seconda metà del XVIII secolo, coincide con il
declino dell’ars plastificatoria che aveva visto al suo apice le elaborate macchine barocche. Se si considera
plausibile la conoscenza da parte degli stuccatori della trattatistica soprattutto quando questa è prodiga di
esemplificazioni riguardanti modelli formali e stilistici, si è propensi ad escludere che le nozioni riguardanti i
materiali, le scelte di questi e le lavorazioni specifiche, non fossero considerate essenziali allo stuccatore che
generalmente conosceva i segreti della propria arte meglio del trattatista.
Da quanto emerge dal confronto con i dati scientifici è stato confermata l’esistenza di un sostanziale gap, una
differenza tra le componenti evidenziate dalle “ricette” trascritte e la prassi dello stuccatore. E’ vero anche
che le materie elencate sono generalmente quelle riscontrate nei campioni analizzati (gesso, calce, polvere di
marmo ad es.) con la sola differenza che nella trattatistica si trascurano tutta una serie di accorgimenti e
raffinatezze capaci di rendere peculiare ogni manufatto.
2. Stucco: quali e quante definizioni?
La trasformazione di un semplice intonaco, costituito da un impasto a base di materie prime piuttosto
“povere”, in una superficie marmorea, che fa così bel vedere come si fosse di pietra viva può essere
considerata una sorta di alchimia: l’artefice della quale non solo era in grado di riprodurre in maniera
mimetica le più belle pietre presenti in natura ma poteva originarne delle nuove, create ad arte dall’abilità del
plastificatore. Sono numerose e ricorrenti le osservazioni che sottolineano tale peculiarità: scrive Leon
Battista Alberti che L‟ultimo strato dovrà esser nei rivestimenti di puro intonaco accuratamente strofinato e
3
Ibidem.
riuscirà lustro come uno specchio; se poi, dopodiché si sarà seccato completamente, se ne spalmerà la
superficie con un miscuglio liquido di cera, mastice e poco olio, riscaldando poi il muro così unto mediante
braci, di modo che esso assorba tale mistura, la sua lucentezza supererà quella del marmo.4 E questa
caratteristica è sottolineata ancora dal Cornaro per il quale lo stucco in meno di doi mesi ritorna di marmoro.
Il Vasari pone l’accento sull’esito estetico ma anche la consistenza marmorea che i manufatti in stucco
assumono: Né si debbe dubitare di lavoro così fatto come di cosa poco durabile, perché e‟ si conserva
infinitamente, ed indurisce tanto nello star fatto, che e‟ diventa col tempo come marmo5.
Dello stesso parere il Cataneo: Bella et utilissima invenzione fu veramente quella dello stucco, col quale
dagli antichi furono fatte et oggi ancora si fanno ogni maniera di statue di animali, maschere, porte,
finestre, cornici fogliami, et ogni altro disegno di più o meno rilievo, secondo la volontà di chi fa fare, o
dello artefice. E si dimostrano le sue opere così vaghe , e ne diventano talmente durabili, come se fussero di
marmo o di travertino con lo scalpello lavorate. Come ne fanno fede più opere antiche in diversi luoghi di
Roma: che, ancora che fussero fatte di stucco, si sono sino a questo giorno mantenute benissimo. 6
Anche i trattatisti ottocenteschi sottolineano le caratteristiche mimetiche dello stucco: Si possono anche
imitare i veri marmi della natura con istudiati intonaci …essa prenderà così bene l‟apparenza del marmo,
che se i colori saranno combinati artificiosamente, in modo da imitare le consuete screziature delle pietre
naturali, il solo occhio de‟ più esperti potrà non restarne ingannato. [....]”7
La definizione di stucco è estremamente diversificata e tutt’oggi vaga, frequentemente manualisti e trattatisti
hanno tentato di stabilire che cosa si potesse intendere per stucco e di fissare quali fossero le sue costituenti
materiali.
Ciò che emerge è una varietà eterogenea non soltanto di materiali ma anche di manufatti: alcuni chiamano
stucco esclusivamente lo strato di finitura che costituisce l’ultimo strato, la sottile pelle del manufatto.
Il Vasari definisce lo stucco, che (…) dicemmo come impastato di marmo pesto e di calce di travertino,
questo va steso sopra l‟ossa predette la prima bozza di stucco ruvido, cioè grosso e granelloso, acciò vi si
possi mettere sopra il più sottile, quando quel di sotto ha fatto la presa8.
Talvolta però per stucco si intende anche un altro tipo di manufatto che è quello realizzato con gesso e colla
forte ed è ben descritto nella voce “stuccatore” del Dizionario delle Arti e de‟ Mestieri compilato da
Francesco Grisellini9: tale manufatto ha caratteristiche molto differenti sia per gli “ingredienti” in esso
composti che per le fasi operative e la tecnica adottata. La scagliola è accomunabile col sottile strato di
finitura dello stucco alla romana - oltre alla costituzione in strati- per la vocazione mimetica a dar vita ad un
materiale nuovo capace di sostituirsi al marmo o ad altre pietre non soltanto dal punto di vista estetico ma
anche da quello strutturale.
Ma per stucco si intende anche l’intero manufatto comprensivo dello strato di corpo in gesso e calce e della
finitura in polvere di marmo oppure scagliola e calce: ampie indicazioni in merito sono fornite dalla
trattazione di Rondelet.
Il Quatremere de Quincy alla voce stucco del suo Dictionnaire definisce una Materia per uso propriamente
di riturar fessure ed appiccicare insieme 10 facendo però una distinzione con lo stucco alla romana il quale
componesi, come abbiamo detto, d‟un miscuglio di calce e polvere di marmo, in variata proporzione
secondo l‟impiego che se ne vuol fare. La prima definizione di Quatremere de Quincy è un’altra tra le
possibili ed è quella che comunemente viene associata alla parola stucco.
Taluni non considerano lo stucco differente dall’intonaco come il Cavalieri San Bertolo che considera Gli
stucchi per la formazione delle cornici, de‟ capitelli, e d‟ogni sorta di ornati possono considerarsi come
4
L. B.ALBERTI, De Re Aedificatoria, 1485, Libro VI. Capitolo IX, ediz. L‟Architettura Milano: Il Polifilo , 1966, pag.
402
5
G. VASARI, Vite de‟ più eccellenti pittori scultori e architetti, ediz. Venezia: dai Tipi di Giuseppe Antonelli ed., 1829
6
P. CATANEO, Dell‟Architettura, 1° ed. 1567, Libro II. Capitolo XI. Trattati, Milano: ed. Il Polifilo, 1985, pagg.285287
7
N. CAVALIERI SAN BERTOLO, Istituzioni di architettura, statica e idraulica, 1° ed. 1832, Mantova: F.lli Negretti,
1845, Volume II, Capo IX, pag.127
8
G. VASARI, Vite de‟ più eccellenti pittori scultori e architetti, Venezia: dai Tipi di Giuseppe Antonelli ed., 1829,
Dell’Architettura, Capitolo VI
9
F. GRISELLINI, Dizionario delle Arti e de‟ Mestieri compilato da Francesco Grisellini e continuato dall‟abate Marco
Frassadoni, Venezia: Modesto Fenzo, 1768,Tomo XVI, voce: “Stuccatore”, pagg.585-586
10
A.C. QUATREMÈRE DE QUINCY, , Dizionario storico di architettura, 1° ed. 1788/1832, Mantova: F.lli Negretti, 1842,
Volume II , pagg.500-501
appartenenti alla classe degl‟intonaci.11 La realizzazione per strati sovrapposti di differente composizione
nonché la finitura con polvere di marmo e calce equipara anche gli ornati in rilievo ai più semplici manufatti
complanari.
Nell’Enciclopedia delle arti e industrie 12 alla voce stucco si può leggere: Si fa spesso uso di una speciale
malta, detta stucco, per rivestire d‟intonaco le colonne, le modanature, i riquadri, i fregi, le parti
ornamentali in genere nell‟interno, principalmente degli edifizi, la quale acquista molta durezza e aspetto di
marmo per la lucentezza che può prendere. E‟ di due sorta, in calce cioè ed in gesso (v. gesso); in
quest‟ultimo caso, quando si adopra solfato di calce puro, prende nome di scagliola. Ma lo stucco per
definizione è quello costituente l‟ultimo strato, che è lo stucco propriamente detto, il quale si forma di calce
e polvere di marmo setacciata in parti uguali. Mentre nel Dizionario ragionato delle voci dell‟arte del
disegno architettura, pittura, scultura ed industrie affini e dei vocaboli usati in senso artistico… del Prof.
Giuseppe A.Boidi13 col termine stucco si definisce un Composto di materie differenti secondo l‟uso, che se
ne vuol fare, e la cosa da stuccarsi. Generalmente però è un composto formante una specie di cemento fatto
con polvere di marmo bianco e calce estinta, di cui si fa uso nell‟arte di edificare per fare intonaci,
rivestimenti, ornati e figure a bassorilievo.
Dalla fine dell’ottocento in poi compare anche un altro materiale che contribuisce a sostituire il gesso nella
composizione degli stucchi: il cemento Portland. Da questo momento tutte le potenzialità plastiche insite
nell’arte dello stucco sono sfruttabili con il nuovo ingrediente, plastico per eccellenza. Nel manuale di
Damaso Frazzoni, L‟imbianchino decoratore - stuccatore 14 è descritta la possibilità di eseguire superfici
lisce e lucide coi cementi colorati e bianchi. Mentre nel Ricettario pratico per l‟edilizia 15 di Lino Gaspari
per la realizzazione di Decorazioni a stucco prescrive un preponderante uso di cemento Portland con
l’aggiunta di piccole quantità di calce e aggregati come polvere di marmo, di tufo e di mattone.
3. Difficoltà di codifica e negligenze della letteratura artistica e architettonica.
Di fronte a manufatti polimorfi e di differente composizione come quelli descritti è difficoltoso pensare ad
una sistematizzazione capace di spiegare, in maniera certa e inequivocabile, quali fossero le componenti dei
numerosi nonché eterogenei manufatti che l’arte del plastificare ha saputo produrre. E’ indubbio che per
quanto pervasi di empirismo, parziali e approssimativi, i testi della letteratura architettonica ed artistica ci
forniscono indizi -per quanto spesso nebulosi e confusi- di quali componenti potremmo aspettarci di ritrovare
negli stucchi. Questi ultimi possono essere genericamente intesi come manufatti complanari e aggettanti
realizzati con impasto di composizione variabile, pastoso ed adesivo, la cui vocazione è quella di costituirsi
ad mimesis di altri materiali.
Attraverso le indagini di laboratorio, si sono chiarite anche alcune indicazioni e accorgimenti che, seppur
poco chiari ai trattatisti, erano perfettamente noti ed utilizzati dalle maestranze che si dedicavano all’arte
dello stucco.
4. Le “ricette” dello stucco: ingredienti indicati dalla letteratura e rintracciati dalle indagini di
laboratorio.
Una delle caratteristiche comuni alle ricette trascritte dalla letteratura architettonica e artistica è quella di
descrivere l’esecuzione dei manufatti in stucco come basata sulla sovrapposizione di strati successivi di
differente composizione. Così come gli intonaci, che presentano strati sovrapposti, l’Alberti osserva che “Per
qualsiasi tipo di rivestimento occorre l‟applicazione di almeno tre strati d‟intonaco. Il primo ha il compito di
fare la massima presa sulla superficie del muro e di sostenere i rimanenti strati ad esso applicati; funzione
dell‟ultimo è dispiegare le attrattive delle decorazioni, dei colori e delle linee; gli strati intermedi hanno
l‟incombenza d‟impedire o di porre riparo ai difetti dell‟uno e dell‟altro.” 16
11
N. CAVALIERI SAN BERTOLO, Istituzioni di architettura, statica e idraulica, 1° ed. 1832, Mantova: F.lli Negretti,
1845, Volume II , Capo IX, pag.127
12
R. PARETO, Enciclopedia delle arti e industrie, Torino: Unione Tipografica, 1878-1898 Volume III , Voce: Gesso
curata dall‟Ing. G. Carpacci, pag. 1118
13
G. A. BOIDI, Dizionario ragionato delle voci dell‟arte del disegno architettura, pittura, scultura ed industrie affini e
dei vocaboli usati in senso artistico con nozioni etimologiche, storiche, artistiche e tecniche, Torino: Vincenzo Bona,
1888, pagg. 479-480
14
D. FRAZZONI, L‟imbianchino decoratore – stuccatore, Milano: Hoepli, 1911
15
L. GASPARI Ricettario pratico per l‟edilizia, Bologna, 1942
16
L.B. ALBERTI, De Re Aedificatoria, 1485, Libro VI. Capitolo IX, ediz. L‟Architettura Milano: Il Polifilo , 1966
Gli elementi decorativi aggettanti sono caratterizzati dalla esecuzione in fase preliminare di un’armatura
spesso polimaterica, cui viene sovrapposto uno strato di corpo che viene in seguito ricoperto da un sottile
strato di finitura.
Da quanto è emerso dalle analisi di laboratorio questa composizione per strati sovrapposti è sempre verificata
per i modellati e le modanature di grosso spessore: le modanature che hanno un rilievo poco considerevole
(sino a 4 o 5 cm) sono talvolta realizzate soltanto con l’impasto di finitura. Ciò è emerso anche dalle fonti
che descrivono il ricorso ad un unico impasto spesso associato alla tecnica dello stampo o alla realizzazione
di cornici e modanature tirate a raffetto.
5. …Dipoi nel lavorarlo si fanno l’ossa dentro di quel disegno o scultura cornice, o altro ornamento… 17:
le armature.
Purtroppo, le armature che costituivano l’ossatura dell’elemento decorativo in stucco ci sono note, più che
per essere trascritte nella trattatistica e nella manualistica in genere, per essere portate alla luce dal degrado e
dai danneggiamenti che i manufatti in stucco hanno subito nel tempo.
Già negli intonaci era d’uso aumentare la resistenza mediante l’introduzione nell’impasto di paglia, stoppie o
crine animali a seconda della disponibilità e della reperibilità del materiale.
Scrive infatti il Milizia che Per gli intonaci de‟ muri e delle volte è assai buona una malta bianca, composta
di pelo di bue mescolato con calce e con acqua senz‟altra arena.18
Spesso le indagini di laboratorio hanno rilevato la presenza di paglia: tale costituente era fortemente
sconsigliato dalla letteratura poiché la calcina mescolata colla paglia, non può per la sua forza disseccarsi
senza fare delle crepature.19
Nel caso di stucchi in rilievo di piccola entità, laddove era necessario, si predisponevano chiodi di ferro con
capocchia, piegati a T oppure ad anello, isolati dallo strato di stucco, ma aderenti ad esso grazie alla
introduzione di fasci di cannucce legati con spago oppure da garze opportunamente trattate.
Come ci informa il Vasari: Quando vuole, adunque, l‟artefice condurre in muro piano un‟istoria di
bassorilievo, conficca prima in quel muro i chiodi spessi, dove meno dove più in fuori, secondo che hanno a
stare le figure; e tra quegli serra pezzami piccoli di mattoni o tufi, a cagione che le punte o capi di quegli
tengano il primo stucco grosso e bozzato …
La realizzazione di cornici e mensole in genere prevedeva invece una predisposizione dell’architettura stessa
mediante la posa in opera di spaccatoni in tufo o aggetti in laterizio che costituivano la base all’esecuzione
degli elementi aggettanti.
Indubbiamente più complicate e polimateriche erano le armature che costituivano l’anima delle opere
figurative e, ancor di più, dei grandi impalcati barocchi: a seconda del luogo dove queste opere venivano
collocate, si predisponeva l’armatura che poteva essere di legno, nel caso di statue da collocarsi in alto,
oppure di verghe metalliche e laterizio, per quelle da collocarsi in basso20. Per gli arti e i particolari si
utilizzavano fili di ferro o bacchette metalliche di diametro ridotto, o ancora rametti di salice che erano
collegati all’armatura mediante filo metallico o spago: il tutto era accuratamente rivestito con tela in modo da
evitare il contatto diretto del metallo con lo strato di corpo della statua che in alcuni casi conteneva gesso.
Anche nel caso delle armature lo stuccatore si adattava alla loro realizzazione in base ai materiali che aveva a
disposizione e che riteneva più idonei allo scopo: tutto stava alla sapienza e all’esperienza dell’operatore che,
a seconda della situazione ricorreva all’uso degli elementi più impensati ma nel contempo efficaci: dalla
cartapesta, alle ossa animali, dal legno alle barre metalliche sempre opportunamente collegate tra loro.
La presenza di tele e bende che ricoprono le armature metalliche è stata osservata in manufatti degradati: in
letteratura non sono presenti indicazioni relative al trattamento dell’interfaccia ferro-strato di corpo.
Negli scritti sono quasi assenti le descrizioni degli accorgimenti che permettevano di isolare le armature
metalliche dallo strato di corpo che spesso conteneva gesso. Soltanto il Breyman21 fornisce una indicazione
17
P. CATANEO, Dell‟Architettura, 1° ed. 1567, Libro II. Capitolo XI. Trattati, Milano: ed. Il Polifilo, 1985, Libro II,
Capitolo XI
18
F. MILIZIA, Principj di architettura civile, Finale 1781, ed. a cura di L. Masieri, Milano: 1847, Parte III, Capitolo V
19
C. AMATI, Dell‟architettura, Milano:1830, Libro II, cap. IV. Un utile glossario cui si rimanda in merito alla
terminologia e alle definizioni che sono state date delle differenti tecniche è il Glossario dei materiali, delle tecniche e
degli strumenti per l‟edilizia storica nella trattatistica tra XV e XIX secolo NORMAL – 36/92
20
G. BEARD, Stucco and decorative plasterwork in Europe, Great Britain: Thames and Hudson, 1983
21
G. A. BREYMAN, Trattato generale di costruzioni civili, trad. it. dell’Ing. Carlo Valentini, con note di A. Cantalupi, L.
Mazzocchi, P. Boubée, R. Ferrini, Milano: Vallardi, 1885
in merito: consiglia infatti di spalmare di catrame, pece ed olio di lino colorato i chiodi per preservarli dalla
ruggine altrimenti lo stucco con facilità di macchia22.
In tempi più recenti, Damaso Frazzoni23 ci informa che Essendo necessari maggiori sbalzi ci si può
arrivare aggiungendo della pasta sopra ad altra già applicata ed asciutta. Con l'aiuto poi di qualche
proporzionata e opportuna armatura di legno verniciato o canna valliva o filo di zinco infissa nella pasta
già applicata in tempo di presa, si possono far forme e sbalzi completamente staccati dalla superficie.
Alla voce “Decorazioni a stucco” del Ricettario pratico per l‟edilizia di Lino Gasparri viene descritta la
realizzazione di armature con fettucce di tela da sacchi, juta, canapa, stoppa, legno o ferro stagnato o
ottone. (…) Per sporgenze un po‟ forti, occorre piantare ad intervalli elementi di sostegno, quali chiodi di
ottone e di ferro stagnato; si ottiene un‟armatura ancor più robusta avvolgendo, fra chiodo e chiodo,
fettucce di juta e canapa attorcigliata.24
6. I leganti nell’impasto dello stucco.
Per legante attualmente si intende un materiale che impastato con acqua forma una massa plastica che serve
a collegare vari materiali usati in un manufatto e che, aderendo ad essi ed indurendo, forma un insieme
monolitico atto a resistere a sollecitazioni meccaniche. Un legante può essere aereo o idraulico a seconda
che il processo di presa ed il processo di indurimento avvengano solamente in ambiente subaereo oppure
anche in ambiente subacqueo. La calce è il tipico legante aereo; la calce idraulica e il cemento sono tipici
leganti idraulici.25
In base a quanto riportato dalle fonti storiche lo strato di corpo risulta composto prevalentemente da calce
variamente miscelata con gesso e/o materiali a comportamento pozzolanico. Lo scopo di questa fase della
lavorazione era quello di creare un abbozzo, che fosse in grado di asciugare velocemente, sul quale poter
stendere il sottilissimo strato di finitura che era realizzato sempre a base di calce aerea.
Nel caso di stucchi realizzati con un unico impasto generalmente si riscontra l’utilizzo nella miscela oltre che
di calce anche di gesso. L’utilizzo di tali miscele è descritto tanto più frequentemente nei manuali
ottocenteschi essendo questi impasti particolarmente adatti ad una razionalizzazione delle operazioni e alla
realizzazione a stampo. Il gesso viene presto sostituito dai cementi che meglio si prestano alla modellazione
a stampo dando luogo a miscele più malleabili ma soprattutto alla esecuzione di manufatti più resistenti.
6.1. …ma quella che si farà di spugnosa, farà buona nelle intonicature… 26: la calce.
La calce risulta essere in tutte le ricette trascritte l’ingrediente base sia dello strato di corpo che della finitura:
su questo dato tutte le fonti concordano.
Le analisi di laboratorio hanno però evidenziato una peculiarità che nessun trattato o manuale rileva: la
presenza di magnesio negli impasti fa supporre l’utilizzo di calci magnesiache, derivanti dalla cottura di
calcare dolomitico e le indagini hanno infatti evidenziato come, oltre alla calcite, spesso prevalente, vi sia la
presenza di magnesio.
La Dolomite27 è un carbonato di calcio e magnesio della composizione Ca,Mg (CO3)2, minerale che
cristallizza nel sistema trigonale, in cristalli limpidi e trasparenti. Durante la cottura di questo calcare, ossido
di calcio e ossido di magnesio si dissociano dando luogo ad una calce viva con ossido di magnesio.
In opera, durante la fase di carbonatazione, gli ossidi ottenuti dallo spegnimento della calce danno luogo alla
formazione di carbonato di calcio -reazione questa maggiormente favorita- e carbonato di magnesio,
riconoscibili attraverso l’esame diffrattometrico ai raggi X. Le dolomie e i calcari dolomitici, sono rocce
diffuse in tutta la fascia prealpina.
L’uso di calci magnesiache è in netto contrasto con quanto ci è tramandato dalla manualistica ottocentesca.
Fonti autorevoli dissuadono dall’uso di questo tipo di calce considerandolo più impuro: la calce magnesiaca
è generalmente definita calce magra28, sconsigliata per il basso rendimento del grassello.
22
ibidem
D. FRAZZONI, L‟imbianchino decoratore – stuccatore, Milano: Hoepli,1911
24
L. GASPARI, Ricettario pratico per l‟edilizia, Bologna, 1942, pagg.66-67
23
25
Definizione NorMaL – 36/92 Glossario per l‟edilizia storica nei trattati dal XV al XIX secolo
D. BARBARO, I dieci libri dell‟architettura, Venezia 1556, ed. Milano:1987
E. SCIELE, L. BERENS, La calce. Calcare - calce viva - idrato di calcio, Milano: Edizioni Tecniche ET, 1976, pag.11
28
si leggano le definizioni di G. VIVARELLI, L‟arte di costruire, Milano: Ulrico Hoepli Editore, 1913; L. BERTELLI,
Cementi e calci idrauliche, Milano: Ulrico Hoepli Editore, 1912; L. MAZZOCCHI, Calci e Cementi, Milano: Hoepli,
1922
26
27
Secondo le indicazioni del Bertelli infatti è da definirsi magra una calce con un contenuto di magnesio del
10%, mentre quando questo contenuto raggiunge il 25/30 % la calce non può essere impiegata.
Un calce magra reagisce meno energicamente della grassa con acqua, dà minor rendimento ed è
leggermente colorata di giallo. Le calci magre contengono magnesia e queste, abbiamo accennato è la
causa delle loro deficienze di rendimento. Inoltre l‟idrossido di magnesio si idrata più lentamente e, per la
sua debole funzione basica, compie più difficilmente le operazioni che producono l‟indurimento delle calci
grasse. Queste calci vengono generalmente rifiutate dai costruttori29
Più recentemente il Bolis sembra essere di parere diverso, in quanto scrive che le calci con più del 20% di
magnesia (MgO) prendono il nome di “calci aeree magnesiache; una piccola percentuale di magnesia
smagrisce la calce, una del 40-50% fornisce invece un‟ottima calce paragonabile alla grassa. 30
Anche il Piepoli31 pare dello stesso avviso poiché le calci grasse, ottenibili da calcari con non oltre il 10% di
impurità (fra silice, magnesia ed allumina), oppure anche da dolomie con quantità pressoché equimolecolari
di calce e magnesia, si spengono rapidamente e con forte sviluppo di calore, dando un grassello bianco,
omogeneo, dolcissimo al tatto e all‟incirca il triplo, sia in peso che in volume, della calce viva adoperata.
Studi recenti ed analisi su manufatti storici hanno dimostrato che la calce magnesiaca era ampiamente
utilizzata negli edifici costruiti in Italia Settentrionale.
Inoltre, è stato dimostrato32 che le calci magnesiache presentano buone caratteristiche generali, il loro alto
contenuto di magnesio non influisce negativamente sull’utilizzo pratico e data la sua elevata plasticità ed
aderenza, esse sono particolarmente indicate per la realizzazione di stucchi ed affreschi.
Il Curioni33 scrive che “La calce magnesiaca [...] era molto ricercata quando mancavano in Lombardia le
calci idrauliche, possedendo alcune proprietà di esse”34.
6.2. … può essere considerato come una specie di calce che non ha bisogno della mistura di un’altra
materia, tranne l’acqua, per formare un corpo solido…35: il gesso.
L’uso del gesso negli impasti, soprattutto per la realizzazione dello strato di corpo, oltre ad essere prescritto
dalle ricette, è stato riscontrato nelle indagini di laboratorio. La maggior parte dei campioni prelevati da
elementi sagomati realizzati in interni presentavano gesso, variamente miscelato con calce nello strato di
corpo. Campioni provenienti da manufatti sagomati collocati in facciata o, in luoghi umidi, non presentano
l’uso di gesso così come lo strato di finitura sia di elementi realizzati per interno che per esterno, tranne che
per deboli tracce.
Non possiamo con esattezza risalire all’area di provenienza del gesso contenuto nei diversi manufatti:
esistono limitati orizzonti gessosi anche nei sedimenti triassici delle Prealpi lombarde ma è assai arduo
stabilire se fossero utilizzati i materiali di tali giacimenti oppure se il gesso fosse importato dalla Francia o
ancora dalla più estesa formazione gessosa affiorante nell’Appennino emiliano.
Vitruvio esclude di utilizzare gesso nell’esecuzione degli intonaci: Non vi si deve affatto mescolare gesso,
ma vanno tirate con marmo ben setacciato in modo uniforme affinché il tutto si asciughi gradualmente e in
modo omogeneo; ciò nonostante, nella esecuzione dello stucco, molti trattatisti concordano sulla possibilità
di introdurre nell’impasto un certo quantitativo di gesso.
Questo non soltanto per manufatti che dovevano essere eseguiti all’interno ma anche per quelli che dovevano
essere realizzati su facciate: riprendendo la formulazione descritta dall’Alberti, il Cataneo sottolinea che
pigliano giesso stato nel forno caldo bene spolverizzato di mano in mano quella quantità che sia di bisogno
a fare conveniente pasta, perché facendo altrimenti si guasterebbe. E questo dicono che molto meglio resiste
all‟aria scoperta, ai venti, alle piogge, et ai ghiacciati36.
29
L. BERTELLI, Cementi e calci idrauliche, Milano: Ulrico Hoepli Editore, 1912
B. BOLIS, Calci e cementi. Nozioni fondamentali ad uso degli Ingegneri, Architetti, Geometri, Capomastri ed
Assistenti di cantiere, Milano: Hoepli,1961
31
P. PIEPOLI, Calci, cementi e gesso, in Manuale del costruttore Civile e del Geometra, Firenze: ed. Cremonese, 1980
32
M. BRUSA, M. MAMOLI, Le calci delle prealpi varesine. Cave, flussi commerciali, caratteristiche tecnologiche, modi
d‟utilizzo. Tesi di Laurea Rel. Di Battista Valerio, Milano, 1994
33
G. CURIONI, Geologia applicata delle province lombarde, Milano: Hoepli, 1877
34
Ibidem, pag.37
35
J. RONDELET Trattato teorico pratico dell‟arte di edificare, 1° ed.1802-1817, Mantova: F.lli Negretti, 1834, Libro I,
sez.I, Capitolo IV, pag.98
36
P. CATANEO, Dell‟Architettura, 1° ed. 1567, Libro II. Capitolo XI. Trattati, Milano: ed. Il Polifilo, 1985, Libro II,
Capitolo XI
30
Lo Scamozzi sottolinea che è molto necessario l‟uso de gessi per far ornamenti di stucco37, mentre tutta la
manualistica ottocentesca consiglia l’uso del gesso non soltanto nella realizzazione dello strato di corpo ma
anche per lo strato di finitura: il Rondelet annota che si diminuisce la dose di gesso così che per l‟ultima
forma dello sbozzo basta uno di gesso su tre di malta38.
6.3. Il cemento Portland.
Come si è già avuto modo di sottolineare, nella seconda metà dell’ottocento, si assiste all’introduzione di un
nuovo legante che viene utilizzato nella realizzazione di elementi decorativi a stampo e che lentamente
soppianta l’uso dell’impasto più tradizionale.
Con il termine pietra artificiale si indicava un conglomerato realizzato con cemento, sabbia, ghiaia e
graniglia che veniva colato in appositi stampi per dare luogo ad elementi decorativi.
Questo tipo di manufatto, di facile lavorazione non può che essere considerato l’ultimo traguardo, l’arrivo di
tutta una serie di elaborazioni a stampo che da tempi lontani venivano eseguiti dagli stuccatori per
velocizzare il loro lavoro. Era il caso di elementi piccoli e ripetitivi (ad es. le rosette) che venivano realizzati
attraverso la colatura in stampi di miscele composte in prevalenza da gesso.
Con l’introduzione di un legante plastico per eccellenza come il cemento Portland, si coglie l’opportunità di
poter eseguire attraverso una serie di operazioni piuttosto semplificate, non soltanto piccoli elementi ma
interi manufatti modellati. Al cemento Portland naturale, che, a causa del contenuto di ferro, presentava una
colorazione giallognola, si preferisce il cemento Portland bianco.
7.Gli aggregati
Anche per gli aggregati, come per i leganti, è d’obbligo una precisazione terminologica: il termine indica un
materiale che viene aggiunto ad un legante al fine di ridurre i fenomeni di ritiro dell‟impasto e modificare le
proprietà meccaniche. Può provenire da materiale sedimentario incoerente derivante dalla disgregazione di
rocce in seguito a processi naturali oppure da frantumazione meccanica di rocce.39 Una delle variabili più
significative e rilevanti nella esecuzione dei manufatti in stucco è l’introduzione di aggregati differenziati,
diversi a seconda dello strato. Per lo strato di corpo ed i primi strati d’intonaco (arenato) è generalmente
riscontrato l’uso di sabbia quarzosa, quella raccomandata da Vitruvio che gettata su un lenzuolo bianco non
lascerà tracce di terra né di sporco dopo essere stata scossa via.40 Per lo strato di finitura invece oltre alla
polvere di marmo, ampiamente raccomandata dai trattatisti e manualisti, le indagini di laboratorio hanno
evidenziato l’uso di calcite in grossi cristalli singoli con bordi netti di sfaldatura (calcite spatica).
7.1. … sed quibusdam loci glebae ut salis micas perlucidas habentes nascuntur…41 : la Calcite spatica
La presenza di calcite spatica, caratterizzata da singoli cristalli di grandi dimensioni, con netti bordi di
sfaldatura è stata riscontata in numerosi campioni dello strato di finitura. Non si tratta di calcite proveniente
dalla frantumazione dei marmi a grana grossa ma le sue caratteristiche fanno pensare invece ad una calcite da
vena, aggiunta all’impasto per rendere più candido il manufatto.
Tale accorgimento getta nuova luce sul passo che Vitruvio dedica al Marmor, ovvero alla scelta
dell’aggregato da utilizzarsi nella finitura, nella pelle ultima degli intonaci che così recita: Marmor non
eodem genere omnibus regionibus procreatur, sed quibusdam loci glebae ut salis micas perlucidas habentes
nascuntur, quae contusae et molitae praestant ope|ribus utilitatem. Quibus autem locis eae copiae non sunt,
cementa marmorea, sive assulae dicuntu, quae marmorarii ex operibus utuntur…42 ovvero…In alcune zone
si hanno dei blocchi che presentano le stesse caratteristiche di trasparenza dei grani di sale, che una volta
pestati e triturati si rivelano di grande utilità nella posa in opera. Ma laddove manca questo tipo di
materiale, vengono pestate e triturate le schegge di marmo, resti della lavorazione, che sono usate dopo
esser state opportunamente setacciate.
V. SCAMOZZI, L‟idea dell‟architettura universale, Venezia, 1615, Libro II, Cap.VII
J. RONDELET Trattato teorico pratico dell‟arte di edificare, 1° ed.1802-1817, Mantova: F.lli Negretti, 1834, Libro I,
sez.I, Capitolo IV, pag.98
39
Definizione NorMaL – 36/92 Glossario per l‟edilizia storica nei trattati dal XV al XIX secolo
40
VITRUVIO, De Architettura Libri X, I secolo d.C., ediz. a cura di L. Mingotto, Pordenone: Studio Tesi, 1992, Libro
secondo, Capitolo IV, pag. 77
41
Ibidem, Libro VII, Capitolo VI
42
Ibidem
37
38
Il passo risulta alquanto ambiguo anche ai traduttori rinascimentali del testo latino che non riescono a
comprendere la natura del marmor: in particolare così lo traduce e commenta il Cesariano.
Il marmore in ogni regione no de una medema generatione fu procreato: ma in alcuni loci le glebe (como di
sale ) havedo le mice perlucide: nasceno: quale contuse & masinate praestano utilitate a la tectorie &
coronarie opere. Ma in quilli loci dove no sono queste copiè li cementi marmorei: o vero assule sono dicte:
lequale da le opere li marmorari le diiceno: in le ferrae pile se cotundeno:& con li cribi sono excernute. 43
Secondo Cesariano il brano che Vitruvio dedica al marmor è frutto di un errore: cum siano in queste lectione
molti texti stati depravati: non di meno al melio che ho potuto ho considerato li errori quali credo siano
viciati piu per invidia & per qualche avaro alchimista che per li scriptori: (…) questo tractato dil marmore
con quello de la descriptione del minio e sta commixto & adulterato per la descriptione del argento vivo. Il
che mi saria extesoa molte cose apertinente a li aurefici & alchimisti & ad altri arcani artefici pervenienti
da epsi…
Non si spiega il Cesariano come possa essere il marmor in ogni regione di differente generazione
(effettivamente la calcite spatica si forma nelle interstizi di pietre di diversa natura) inoltre sottolinea che se
ne trova anchora di marmore michante como sale dal quale alcuni dicono si po cavare l‟argento vivo: ma
penso sia cocolto al modo de la cenerede li tinctori & per il modo si cococe la tucia argentea vel pr parata
dal marmo le quale glebe ut diximus molte ne sono di tale genaratione in li monti di Como. Ma non so se
abbiano di questa proprietate naturale: di emitere lo argento vivo.
Ben più comprensibile ed esplicativa è invece la descrizione riportata da Leon Battista Alberti per il quale
Nelle rocce montane si possono trovare certe venature, assai simili a diafano alabastro, le quali non sono
marmoree né gessose, bensì di una qualità che partecipa ad ambedue, di natura molto friabile. Tale
materiale, ridotto in polvere e mescolate alla calcina al posto della sabbia, risulterà di un candore e di una
lucentezza sorprendenti, simili a quelli del marmo[....]44
Dalle indagini petrografiche45 è stata riscontrata la presenza di calcite spatica da venatura: si tratta di un
materiale raro, non molto diffuso in natura, riconoscibile per il fatto che contiene dei cristalli particolarmente
lucenti sulle facce dovute alla sfaldatura e che costitusce le venature di alcuni tipi di rocce (come ad es. nelle
Dolomie).
Questo “ingrediente” era assai diffuso nonostante fosse praticamente sconosciuto alla trattatistica e alla
manualistica: in tutte le epoche, e nei diversi manufatti, la pelle ultima era realizzata con calce, polvere di
marmo e calcite spatica.
L’uso di calcite da venatura era alquanto diffuso soprattutto in epoca romana nella preparazione anche degli
intonaci per pitture murali. Ciò detto è ben documentato da un contributo riportato negli Atti del Convegno
di studi di Bressanone46 del 1990, dove sono stati analizzati numerosi campioni di intonaci di finitura e
policromi di varia provenienza che presentano tutti la medesima caratterizzazione petrografica: in tutti i
campioni sono stati riscontrati in quantità più o meno abbondante cristalli costituiti da facce di romboedro
isorientate. Le descrizioni riportate evidenziano la presenza di calcite spatica con preferenziale abito
romboedrico che appare riferibile per le caratteristiche tessiturali a calcite di venatura.
L’intervento sottolineava la complessità di trarre conclusioni sull’utilizzo della calcite spatica negli intonaci
romani anche a causa di una confusione etimologica: esaminando la letteratura relativa alla pittura parietale
romana si trovano indicati come inerte del “tectorium” più frequentemente il marmo, in minor misura la
calcite, la calcite spatica e l’alabastro. Questi ultimi hanno identica composizione chimica (CaCO3) ma
differente genesi, quindi sono di fatto materiali diversi. La disinvoltura con cui vengono citati, a volte
scambiando l’uno per l’altro, è la chiara riprova di una evidente confusione che ha come conseguenza
l’impossibilità di utilizzare, almeno da un punto di vista analitico, la letteratura sull’argomento.
L’uso di calcite spatica è evidenziabile anche nei manufatti in pietra artificiale, aggregata al cemento.
43
C. CESARIANO, De Architectura, Como:1521, ed. a cura di A. Brusch, A. Carugo, F.P. Fiore, Milano: Il polifilo,
1981, Libro VII, Capitolo VI.
44
L.B. ALBERTI, De Re Aedificatoria, 1485, Libro VI. Capitolo IX, ediz. L‟Architettura Milano: Il Polifilo , 1966
45
R. BUGINI – L. FOLLI Le ricette degli stucchi in Italia settentrionale dal XV al XX secolo. Indagini scientifiche sui
caratteri composizionali, in questo stesso volume.
46
P.L. BIANCHETTI - M. CAMPISI - C. GRATZIU, - MELUCCO VACCARO, “La calcite spatica dell’intonaco romano” in Atti
del Convegno di Studi di Bressanone, 26-29 Giugno 1990, Superfici dell‟architettura: le finiture, Padova: Libreria
progetto editore, 1990, pagg. 251- 260
7.2. … Si alcuno de fragmenti figulini pisti e setazati per una tertia parte adiungerà in la calce fara la
temperatura de la materia meliore al uso …47 : materiali a comportamento pozzolanico, il cocciopesto.
La necessità di garantire la presa anche in strati piuttosto profondi oltre che in luoghi umidi ha spesso portato
ad aggiungere alle malte dello strato di corpo materiali a comportamento pozzolanico. Si tratta di materiale,
naturale o artificiale, capace di combinarsi, a temperatura ambiente e in presenza d‟acqua, con la calce
dando luogo a composti stabili del tutto simili a quelli che si ottengono con l‟idratazione del clinker
Portland.48
Il Cataneo sottolinea che Quando qualche parte della fabbrica, nel quale si lavorasse di stucco, per causa
delle grotte, terreno, o altri accidenti sentisse umido, overo per i lavori delle fontane, saria in tal caso molto
a proposito non solo murare l‟ossa sotto di calcina albazzana, ma ancora la prima coverta più grossa sopra
tali ossa farla di stucco impastato con tale albazzana: quando questa, come abbiamo detto, fa l‟umido
meravigliosa presa; ma, per essere molto livida, si farà sopra quella la coverta di fuore di stucco
impastando di calcina bianca. 49 Anche il Cavalieri di San Bertolo raccomanda che Il gesso però deesi
scrupolosamente escludere nei lavori esposti all‟aria ed alle intemperie; ed allora conviene sostituire ad
esso una malta pozzolana o laterizi polverizzati(…)50 In Italia settentrionale, l’idraulicizzazione delle malte
avveniva mediante l’utilizzo di cocciopesto: ciò è stato riscontrato anche attraverso le indagini che hanno
evidenziato come questo aggregato venisse utilizzato prevalentemente nella realizzazione di manufatti in
esterni.
Achille Lenti riporta una interessante annotazione relativamente all’uso della creta nei composti: Formando
un impasto con otto misure di sabbia in polvere, a cui si aggiungono senza addizione d‟acqua, due parti di
calce viva ed una misura di creta ridotta in polvere.
D‟ordinario cioè, lo stucco si fa con la malta di calce e polvere calcare o creta che si mescolano con altre
sostanze, in modo da ottenere un corpo facile ad indurirsi e solidificarsi come i cementi, i quali sovente
vantaggiosamente vi si sostituiscono51.
7.3 Altri componenti: granuli di vetro, cenere, pomice e materiale da comminuzione (graniglia).
Le ricette scritte consigliano anche l’uso di altri aggregati come lo Scamozzi che raccomanda l’uso di
polvere di vetro pesto Laonde si vede, che è molto nessario l‟uso de gessi per far ornamenti di stucco misto
con polvere di marmo, e fior di calcina, e polvere di vetro pesto; la qual compositione fa una presa
grandissima, e riceve molto pulimento, e lustro, ad uso delle fabbriche52. Anche il Viola Zannini sottolinea
che “Si fanno ancora le smaltature di calcina bianca di lucido splendore, dentro alla quale in cambio di
arena si pone granzolo di vetro, qual si compra a Murano”53. Le indagini effettuate non hanno confermato la
presenza di scaglie di vetro negli impasti realizzati in area lombarda; è però probabile che questo aggregato
fosse utilizzato in area veneta.
Differentemente si è rilevata in alcuni campioni provenienti dall’area comasca la presenza di carbone:
secondo quanto riportato dal Milizia “La polvere di carbon fossile mescolata con ugual quantità di calce
viva fa anche un intonaco impenetrabile all‟acqua”.”54
Per quanto riguarda le pietre artificiali il desiderio di riprodurre le pietre naturali ha portato ad introdurre
nell’impasto, oltre a materie coloranti, anche la graniglia finemente frantumata delle rocce che si volevano
imitare.
Frammenti vari di rocce sedimentarie di diversa natura sono state riscontrate nei campioni analizzati: granito,
sienite, diorite, basalto, gneiss, arenaria e vari tipi di calcare.
L’uso di graniglia è consigliata anche nel Ricettario di Lino Gaspari in cui si forniscono le “ricette” per
l’esecuzione di un “Intonaco imitazione del marmo venato. Per costruire circa 20 mq di questo intonaco si
47
C. CESARIANO, De Architectura, Como:1521, ed. a cura di A. Brusch, A. Carugo, F.P. Fiore, Milano: Il polifilo,
1981, Libro II, Capitolo V.
48
Definizione NorMaL – 36/92 Glossario per l‟edilizia storica nei trattati dal XV al XIX secolo
49
P. CATANEO, , Dell‟Architettura, 1° ed. 1567, Libro II. Capitolo XI. Trattati, Milano: ed. Il Polifilo, 1985, pagg.285287
50
N. CAVALIERI SAN BERTOLO, Istituzioni di architettura, statica e idraulica, 1° ed. 1832, Mantova: F.lli Negretti,
1845, Volume II , Capo IX, pag.127
51
A. LENTI, Corso pratico di costruzioni, Alessandria, 1877-188, Volume I, Capitolo II
52
V. SCAMOZZI, L‟idea dell‟architettura universale, Venezia, 1615 Libro II. Cap. VII
53
G. VIOLA ZANNINI, Dell‟Architettura, Padova, 1629, Libro I, cap. XVI
54
F. MILIZIA, Principj di architettura civile, Finale 1781, ed. a cura di L. Masieri, Milano: 1847
mescolano: Polvere di marmo…kg.150 Calce spenta da tempo …kg.50 Cemento Portland …kg. 50 Cera fusa
…kg. 50 Colore …(quanto basta) Appena si è fatto l‟impasto, lo si applica con forza sulla parete; indi si
lucida a ferro ben caldo, in modo da far affiorare la cera. Ad essiccamento avvenuto, si lucida a cera a
somiglianza di un mobile”55. Oltre che per la realizzazione di un “Intonaco imitazione del tufo rosso. …E‟
costituito dalla seguente malta: Cemento Portland …kg. 450 Marmo giallo …mc. 0,200 Tufo macinato
…mc 0,500 Mattone tritato mc.0,200 acqua di calce …litri 150 L‟aspetto un po‟ arido dell‟intonaco prende
grande vivezza se si ha la cura di sprizzare acqua alla lancia, prima che sia avvenuto il definitivo
indurimento; in tal modo scompare il velo superficiale di cemento, mentre le pietre acquistano maggior
rilievo”56.
8. Gli additivi.
Gli additivi, costituiscono uno dei maggiori interrogativi per quanto riguarda l’antica arte del fare lo stucco:
questi elementi aggiunti sono di difficile individuazione ma venivano certamente utilizzati per le loro
proprietà riconosciute dall’uso empirico.
Nella esecuzione dei manufatti per i quali è necessario un ritardo della presa venivano usate sostanze capaci
di rendere l’impasto più adesivo e di conferire una maggiore solidità e resistenza.
Il rallentamento della presa favoriva lo svolgimento delle operazioni di applicazione della malta permettendo
all’operatore di manipolarla e modellarla con facilità e comodità prima dell’indurimento.
I ritardanti della presa possono essere suddivisi in tre nuclei57:
1. Sostanze organiche di peso molecolare elevato che agiscono come colloidi protettori: colle, caseine,
albumina d’uovo, gomma arabica, gelatina, proteine idrolizzate, melassa, prodotti di decomposizione
degli albuminoidi, prodotti d’idrolisi da residui di natura animale, polvere e radici di altea, tannino. Tali
sostanze permettono di ottenere assieme al ritardo della presa il miglioramento delle resistenze
meccaniche del manufatto senza alterarne le caratteristiche del gesso ed ostacolare i trattamenti di
finitura.
2. Sostanze che diminuiscono la solubilità del gesso: glicerina, alcole, acetone, etere, zucchero, acido
citrico, acetico fosforico, borico, lattico, e loro sali, carbonato di sodio.
3. Sostanze modificanti la struttura cristallina del gesso: acetato di calcio, carbonato di magnesio e di
calcio.
Alla luce di tali indicazioni risulta spiegata la curiosa mistura descritta Francesco di Giorgio Martini così
formulata “… Anco piglierai bucce d‟olmo, fien greco, malva simita. E di tutte far decozione. Pigliasi
calcina di marmo staia due, solfo vivo quarti uno, polvar di pomice staia mezzo, gesso crudo messo al calore
nel forno ben polvarizzato. E di tutte queste cose metterai con detta dicozione, dal gesso infuore. E così per
otto o dieci dì di detta acqua imbeverando si rimeni. Dipoi quando oprar vorrai, mesticherai el gesso per
quella quantità che ti bisogna e non più, che subito si guasterebbe. E questo per ornamenti al ghiaccio e „l
vento en ogni luogo esercitar si può. E quando la calcina del marmo mancasse, la povere d‟esso o d‟altra
calcina adoperar si può.58
Secondo quanto osservato già da Carla Arcolao59 l’infusione di corteccia d’olmo, fieno greco e radici di
malva, per il suo contenuto di amido, tannino e zucchero ha potere astringente e irrigidente pertanto se
addizionata all’impasto gli conferisce una maggiore lavorabilità e migliora le sue caratteristiche di resistenza.
La radice di malva infatti contiene amido, tannino, zucchero e il 25-30% di mucillagine, quest’ultima è una
sostanza organica la cui caratteristica è quella di rigonfiarsi a contatto con l’acqua 60: quando la polvere di
radice di malva essiccata è mischiata col gesso essa agisce da ritardante della presa61.
Inoltre, il tannino, sostanza organica a peso molecolare elevato agisce come colloide protettore ottenendo,
insieme al ritardo della presa un miglioramento sensibile delle resistenze meccaniche dei manufatti senza
alterarne le caratteristiche o danneggiare ed ostacolare i trattamenti di finitura.
55
L. GASPARI Ricettario pratico per l‟edilizia, Bologna, 1942, voce “Intonaci decorativi”, pag.113
Ibidem, pag.114
57
T. TURCO, Il gesso. Lavorazione, trasformazione, impieghi. Milano: Hoepli, seconda edizione ampliata, 1990
58
L.B. ALBERTI, De Re Aedificatoria, 1485, Libro VI. Capitolo IX, ediz. L‟Architettura Milano: Il Polifilo , 1966
59
C. ARCOLAO, Le ricette dello restauro. Malte, intonaci, stucchi dal XV al XIX secolo, Venezia: Marsilio, 1998
60
M. CORDARO, M. NIMMO, - L. RISSOTTO, “Stucchi”, cap.III, in DIMOS, parte I, modulo I, Corso sulla manutenzione
dei dipinti murali - mosaici - stucchi, Roma, 1978, pag.70
61
T. TURCO, Il gesso, Milano: Hoepli, 199, pag.51
56
Infine, la pietra pomice, grazie alla sua struttura spugnosa, globulare a cavità chiuse che trattengono
l’umidità, permettono alla malta di asciugarsi più lentamente.
Anche la ricetta di Plinio che prevede la preparazione della calce aggiungendovi grasso suino e fichi
potrebbe avere una logica spiegazione. L’aggiunta di sostanze grasse all’impasto sortisce l’aumento di
lavorabilità evitando l’eccessiva aggiunta d’acqua, mentre la polpa di fichi oltre a contenere zuccheri di cui
è nota l’azione fluidificante, è per sua natura in grado di fermentare; fenomeno questo in grado di incidere
nel processo d’indurimento. La raccomandazione di Plinio è ripresa dal Milizia, il quale riferisce che Gli
antichi smorzavano una gleba di calce fresca nel vino; la tritavano poi con il grasso di porco e con il latte di
fico, e ne risultava una massa più dura di qualunque marmo. Che gagliarda malta non sarebbe questa per
gli acquedotti e per le cisterne, specialmente se si mescolasse della pece liquida, e dopo applicata si
lavorasse con olio di lino? 62
Ma, che dire dei tanto numerosi, quanto bizzarri accorgimenti suggeriti dal Milizia nella lavorazione di calce
e gesso tra i quali “Se al gesso o alla calce viva si unisce un coagolo di latte sbutirrato, o bianco d‟uova, si
ha un glutine tenacissimo” 63o anche “l‟olio o il catrame si metta a poco a poco, e vi si aggiunga di tempo in
tempo dell‟acqua affinchè s‟impasti meglio” e, non senza riserve riporta che “ Pretendono alcuni, che la
fuliggine stemperata nell‟orina e frammista con quell‟acqua che serve a stemperar la calce, sia efficace a
fare più sollecita presa. Quello ch‟ è certo si è, che il sale ammoniaco sciolto nell‟acqua di fiume e misto
colla malta le fa fare una presa pronta al pari del gesso. ”64
Oltre agli additivi utilizzati nella lavorazione degli impasti, numerose sono le indicazioni di sostanze da
applicarsi sulla finitura dei manufatti per ottenere un particolare trattamento superficiale. Tali sostanze, oltre
ad una funzione protettiva, erano capaci di conferire, attraverso una sapiente trattamento, un aspetto liscio
come il marmo.
In merito il Breyman riporta una di queste ricette per la lucidatura: Si cuociono insieme nel modo, che ora si
accenna, due litri di acqua, da 90 a 120 gr. di cera gialla (o bianca se si tratta di lavori bianchi), 60 gr di
sapone leggero, e 30 gr di cremor di tartaro. Prima si fa bollire bene l‟acqua sola, poi vi si versa la cera
ridotta in pezzi ed il sale tartaro spolverizzazto, agitandoli finche sono stemperati ambedue; poi vi si
aggiunge pure il sapone tagliato a pezzettini e ve lo si fa sciogliere. La pulitura si ripete per qualche volta,
finché non vi sono più punti oscuri. 65
Il ricorso all’uso di scaglie di sapone nella fase di lucidatura mediante ferro caldo è riportato anche dal
Frazzoni nel seguente passo: L'intonaco o la superficie così coperta sarà pulita e levigata con ferro freddo,
magari col dorso della cazzuola, e dopo due ore circa, se ne continuerà la levigatura per ottenere il lucido,
con un ferro caldo (il quale può essere di forma parallelepipeda con base concoide a testate smussate, con
manico fisso all‟estremità e condotto da un'impugnatura di legno da incastrarsi in due denti fissi sulla parte
opposta alla base), avvertendo però che, dopo eseguita questa prima operazione, con pennello morbido si
passa sull'intonaco due o tre volte l'acqua di sapone bianco oleoso, o tipo Marsiglia, elemento principale
per una buona lucidatura. Più si ripeteranno, occorrendo, questi strati d‟acqua, e più si insiste col ferro
caldo, si otterrà miglior grado di lucidezza e durezza66.
11. Dosaggio dei componenti.
Un altro argomento piuttosto complesso è quello del dosaggio dei vari elementi nell’impasto: anche se, di
riflesso, la trattatistica riporta alcuni quantitativi e rapporti tra leganti ed aggregato, questi non risultano
essere particolarmente attendibili. Questi dosaggi erano spesso eseguiti in base all’esperienza del
plastificatore: il criterio è spesso quello del q.b., quanto basta. Un’esperienza basata sulla percezione
sensoriale, sull’osservazione, sulla tattilità: termini questi che, laddove vengono indicati, sono di difficile
62
F. MILIZIA, Principj di architettura civile, Finale 1781, ed. a cura di L. Masieri, Milano: 1847, Parte III, Capitolo V,
pag. 422
63
Ibidem. pag.423
64
Ibidem. pag. 421
65
G. A. BREYMAN, Trattato generale di costruzioni civili, trad. it. dell’Ing. Carlo Valentini, con note di A. Cantalupi, L.
Mazzocchi, P. Boubée, R. Ferrini, Milano: Vallardi, 1885, Volume I, Capo VII
66
D. FRAZZONI, L‟imbianchino decoratore – stuccatore, Milano: Hoepli, 1911, Capo X, “Superficie liscia e lucida”,
pag.175
interpretazione ed è certamente molto problematico attribuire al dato empirico un dato scientifico. In questo
caso, anche lo studio scientifico incontra alcune difficoltà.67
L’approccio è ben descritto dal Rondelet: Bisogna avere abbastanza pratica per prevedere la quantità
necessaria per coprire l‟opera abbozzata. Si formerà esso di una quantità eguale di polvere di marmo se ne
adopera qualch‟altra, la quantità di calce può variare secondo che la polvere è più o meno grassa ed
assorbente; e si mescolerà finché la mistura è perfettamente eseguita. Molti stuccatori, e lo stesso Vitruvio,
pensano che il miscuglio sia abbastanza agitato e le dosi proporzionate, quando la cazzuola o qualch‟altro
strumento di ferro ne esce netto; ma l‟occhio di un abile pratico è molto più sicuro, perché lo stucco non si
attacca al ferro che quando è grasso, e ne uscirebbe sempre netto se fosse troppo magro, cioè se non
contenesse la sufficiente quantità di calce.68
10. Conclusioni. Ognuno vede ciò che sa…
La ricerca scientifica va stimolata attraverso il sapere che emerge anche attraverso la lettura delle fonti:
sarebbe pertanto auspicabile tentare dar voce, oltre alla tradizionale letteratura architettonica e artistica, agli
innumerevoli documenti di cantiere che attendono di fornire attraverso la loro peculiare scrittura dati nuovi,
che attraverso confronti e paragoni possono essere trasformati in interessanti “input” alla conoscenza.
Anche l’ascolto delle ultime maestranze capaci di raccontare le loro personali ricette può essere un’ulteriore
possibilità di approfondimento della conoscenza di una manualità oggi quasi perduta.
In particolare, se leganti ed aggregato sono oggi facilmente determinabili, si conosce ben poco della varietà
di additivi e soprattutto dei dosaggi: pertanto, se domande devono essere poste all’indagine scientifica,
queste devono riguardare soprattutto l’individuazione di sostanze organiche oltre che la definizione del
rapporto tra legante e aggregato.
R. BUGINI –L. FOLLI Le ricette degli stucchi in Italia settentrionale dal XV al XX secolo. Indagini scientifiche sui
caratteri composizionali, in questo stesso volume.
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J. RONDELET Trattato teorico pratico dell‟arte di edificare, 1° ed.1802-1817, Mantova: F.lli Negretti, 1834, Libro I,
sez.I, Capitolo IV, pag.98
67
Appendice
Schede riassuntive dei dati estrapolati dalla letteratura architettonica.
Nelle colonne sono indicate le seguenti informazioni:
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FONTE :
DATA :
TIPO:
STRATO:
LEGANTE:
autore e titolo del trattato o manuale;
nella colonna è riportato, oltre alla data, anche il luogo di pubblicazione;
tipologia del manufatto: intonaco, modellato, sagomato;
strato o fase di lavorazione;
materiale che impastato con acqua forma una massa plastica che serve a collegare vari
materiali usati in un manufatto e che, aderendo ad essi ed indurendo, forma un insieme
monolitico atto a resistere a sollecitazioni meccaniche. Un legante può essere aereo o
idraulico a seconda che il processo di presa ed il processo di indurimento avvengano
solamente in ambiente subaereo oppure anche in ambiente subacqueo. La calce è il tipico
legante aereo; la calce idraulica e il cemento sono tipici leganti idraulici;69
AGGREGATO : materiale che viene aggiunto ad un legante al fine di ridurre i fenomeni di ritiro
dell’impasto e modificare le proprietà meccaniche. Può provenire da materiale sedimentario
incoerente derivante dalla disgregazione di rocce in seguito a processi naturali oppure da
frantumazione meccanica di rocce;70
DOSAGGI: sono riportate indicazioni relative al proporzionamento di legante, aggregato e additivi
nell’impasto;
ADDITIVI: sostanze aggiunte all’impasto per garantirne una maggiore lavorabilità o per rallentare la
presa, ma anche quelle utilizzate per operazioni di lucidatura e per il trattamento superficiale
finale.
Per completezza sono stati trascritti i passi da cui sono state estrapolate le informazioni.
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70
Definizione NorMaL – 36/92 Glossario per l‟edilizia storica nei trattati dal XV al XIX secolo
ibidem