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LA GRANDE SVENDITA
DELLE FORESTE PRIMARIE
Il WTO, liberalizzazione del commercio e le
minacce per le foreste primarie
IL WTO
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
Ricerca a cura di Richard G. Tarasofsky e Stefanie Pfahl (Ecologic - Institute for International and
European Environmental Policy), col contributo di Steven Shrybman and Hedwig Friedrich.
Edizione italiana a cura di Sergio Baffoni.
Un grande ringraziamento a Lidia Nonato, Claudia Grasso e Chiara Cortivo che hanno aiutato a
tradurre questo rapporto.
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IL WTO
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
Greenpeace è una associazione ambientalista
internazionale che si batte per difendere il pianeta.
Il suo obiettivo è salvaguardare la terra e la vita
naturale in tutta la sua diversità.
La campagna foreste di Greenpeace è finalizzata alla protezione delle ultime grandi foreste primarie del
pianeta, e con esse le piante, gli animali e le comunità che le abitano.
investiga sul commercio di legno di provenienza illegale e distruttiva
sostiene di diritti dei popoli nativi e delle comunità tradizionali
sfida i governi e le imprese a mettere fine alla distruzione
promuove alternative reali, quali i prodotti certificati dal Forest Stewardship Council (FSC), che assicurano
che il legno provenga da una gestione forestale responsabile dal punto di vista ambientale e sociale.
http://www.greenpeace.it/
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IL WTO
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
Indice
Indice .............................................................................................................................................. 4
Abbreviazioni .................................................................................................................................. 5
Glossario ........................................................................................................................................ 7
Premessa ....................................................................................................................................... 9
1 INTRODUZIONE – FORESTE E COMMERCIO INTERNAZIONALE...................................... 10
2 WTO E FORESTE .................................................................................................................. 12
3 L’IMPATTO DELLE MISURE WTO SULLE FORESTE .......................................................... 16
4 GLI OBBLIGHI DEL WTO E IL LORO IMPATTO SULLE FORESTE ...................................... 35
5 RIFORMARE IL WTO ............................................................................................................. 47
6 LE ALTRE ISTITUZIONI INTERNAZIONALI ........................................................................... 48
7 RACCOMANDAZIONI ........................................................................................................... 53
Indicazioni bibliografiche ............................................................................................................... 55
Link suggeriti ................................................................................................................................ 59
Schede
Box 1: Cresce la minaccia per le foreste primarie ......................................................................... 16
Box 2: le convenzioni internazionali un ostacolo al commercio? ................................................... 17
Box 3: Clausole del GATT e del WTO........................................................................................... 18
Box 4: La gestione dei conflitti: il Dispute Settlement Body ........................................................... 20
Box 5: il Comitato SPS esamina il caso dei parassiti nelle casse in legno..................................... 21
Box 6: Politiche tariffarie e distruzione delle foreste in Asia .......................................................... 23
Box 7: "Prodotti similari" e "PPM".................................................................................................. 24
Box 8: FSC, i 10 principi e criteri fsc per la buona gestione forestale ............................................ 26
Box 9: Il principio precauzionale e approccio ecosistemico ........................................................... 28
Box 10: il legno illegale ................................................................................................................. 31
Box 11: Investmenti – il caso dell’oleodotto OCP. ......................................................................... 41
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IL WTO
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
Abbreviazioni
ACP African, Caribbean and Pacific countries (vedi glossario)
A0A Agreement on Agriculture (accordo sull’agricoltura del WTO)
APEC Asia-Pacific Economic Cooperation
ATL Accelerated Tariff Liberalisation
CBD Convention on Biological Diversità (Convenzione sulla Biodiversità)
CDM Clean Development Mechanisms (o UNFCCC)
CITES Convenzione Internazionale sul Commercio delle Specie Minacciate (Convention on International
Trade in Endangered Species of Wild Fauna and Flora)
COP Conferenza delle parti (di accordi multilaterali)
CTE Committee on Trade and Environment (organo del WTO)
DSU Dispute Settlement Understanding (organo del WTO)
FAO L’Organizzazione Mondiale per la Sicurezza Alimentare (The Food and Agriculture Organization
dell’ONU)
FLEGT Piano europeo per l’applicazione delle normative, la governance e il commercio nel settore forestale
(Forest Law Enforcement,Governance and Trade)
FSC Forest Stewardship Council (standard di certificazione per la buona gestione forestale)
GATS Accordo Generale sulle Tariffe e sui Servizi (General Agreement on Trade in Services)
GATT Accordo Generale sulle Tariffe e il Commercio (General Agreement on Tariffs and Trade)
GSP Generalised System of Preferences
IFF
Intergovernmental Forum on Forests
ILO
Organizzaione internazionale del Lavoro (International Labour Organization)
IPF
Intergovernmental Panel on Forests
IPPC International Plant Protection Convention
IPR(s) Intellectual property right(s) – diritti di proprietà intellettuale
ITTA International Tropical Timber Agreement
ITTO International Tropical Timber Organization
LDC Least Developed Country (Countries)
MAT Accordi Multilaterali sugli Investimenti (Multilateral Agreement on Investment)
M EA Multilateral environmental agreement – Accordi multilaterali sull’ambiente
MFN Most favoured nation – nazione più favorita (vedi glossario)
NAFTA Accordo di libero scambio nell’area del Nord America (North American Free Trade Agreement)
NTM misure commerciali non tariffarie (Non-tariff Measure)
OCP Oleoducto de Crudos Pesados (progetto di oleodotto OCP in Ecuador)
OECD - OCSE Organizzazione per lo Sviluppo e la Cooperazione in Europa (Organisation for Economic
Co-Operation and Development)
PPM metodi e processi di produzione (Process and production methods)
SBSTTA
Subsidiary Body of Scientific, Technological and Technical Advice (della CBD)
SFM - GFS
Gestione forestale sostenibile (Sustainable forest management)
SPS
Accordo sull’Applicazione delle misure Sanitarie e Fitosanitarie (Agreement on the Application of
Sanitary and Phytosanitary Meaures)
TBT Accordo sulle barriere tecniche al commercio (Agreement on Technical Barriers to Trade)
TRTM Accordo sugli Investimenti (Agreement on Trade-Related Investment Meaures )
TRIPS l’Accordo sulle Proprietà Intellettuali (Agreement on Trade-Related Aspects of Intellectual Property
Rights)
UNCCD
Convenzione dell’ONU per Combattere la Desertificazione (UN Convention to Combat
Desertification)
UNCED
Conferenza dell’ONU sull’Ambiente e lo Sviluppo (UN Conference on Environment and
Development - Rio 1992)
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UNFCCC
Convenzione Quadro dell’ONU sui Cambiamenti Climatici (UN Framework Convention on
Climate Change)
UNFF Forum dell’ONU sulle Foreste (UN Forum on Forests)
WIPO Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale (World Intellectual Property Organization)
WSSD Summit Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile (World Summit on Sustainable Development Johannesburg 2002)
WTO Organizzazione Mondiale del Commercio (World Trade Organization)
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Glossario
Agenda 21
Programma per il 21° secolo, dichiarazione del Summit della Terra tenutosi a Rio nel 1992 (Conferenza
dell’ONU sullo Sviluppo Sostenibile e sull’Ambiente, tenutasi a Rio de Janeiro)
Doha Development Round
Negoziato generale sulla liberalizzazione in ambito WTO, iniziato nel corso della Conferenza Ministeriale di
Doha nel 2001 con l’obiettivo formale di integrare i temi dello sviluppo nel contesto della liberalizzazione
del commercio.
Effetto “Chili”
Situazione in cui una misura o una legge è abolita nel timore possa incorrere in penalizzazione in ambito
WTO.
Escalation tariffaria
Tassa di importazione più alte per i prodotti semi lavorati che non per le materie prime, e ancora più alte per
i prodotti finiti. Questa pratica è volta a proteggere l’industria nazionale e a scoraggiare la lavorazione nei
paesi da cui proviene la materia prima.
Foreste primarie
Foreste naturali con scarso o nullo impatto dell’intervento umano.
GATT (1994)
Accordo Generale sulle Tariffe e il Commercio che, rivisto nel 1994, fa ora parte del WTO. Il GATT
comprende l’Accordo originario, conosciuto come GATT 1994.
Global Ministerial Environment Forum
Vertice dei ministri dell’ambiente sotto gli auspici dell’UNEP. Il primo Global Ministerial Environment
Forum si è tenuto a Malmö, in Svezia il 29 -31 maggio 2000.
National treatment
Articolo III of del GATT 1994 che richiede che tutti i beni di importazione, una volta passata la frontiera,
siano trattate in modo non sfavorevole ai prodotti nazionali.
Misure non tariffarie
Sono misure non tariffarie le quote e le licenze di importazione, le normative sanitarie, i divieti ecc.
Paesi ACP
78 paesi di Africa, Caraibi e Pacifico con relazioni commerciali preferenziali con l’Unione Europea.
Saperi tradizionali
Le conoscenze acquisite da popoli o comunità che vivono in specifici ecosistemi, per esempio su piante
medicinali nei trattamenti medici o cosmetici.
Trattamento della 'nazione più favorita’
Articolo I del GAIT 1994 che richiede ai paesi firmatari di non discriminare tra beni sulla base dell’origine o
della destinazione.
Uruguay Round
Negoziato multilaterale sul commercio lanciato nel vertice di Punta del Este, in Uruguay, il settembre 1986 e
concluso a Ginevra il dicembre 1993. Sottoscritto dai Ministri al vertice di Marrakesh, Morocco nell’aprile
1994.
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IL WTO
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Waiver
Permesso accordato dai dal WTO a propri membri di non rispettare le normali regole. Sono limitati nel
tempo e devono essere giustificati.
WTO - World Trade Organization
Organizzazione Mondiale del Commercio, istituita nel gennaio 1995 come evoluzione ed espansione del
GATT.
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IL WTO
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
Premessa
Vaste aree di foresta in tutto il sono sull’orlo dell’estinzione. Oltre 10 milioni di foreste sono perdute ogni
anno, un campo di calcio ogni due secondi. Questo studio dimostra come le ultime residue foreste naturali
siano minacciate dalle attuali regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (World Trade
Organization – WTO). Malgrado il mandato negoziale del WTO includa esplicitamente le istanze ambientali,
le sue regole minacciano molte delle misure volte a proteggere le foreste dal taglio illegale e distruttivo.
Il WTO viene spesso utilizzato come argomento per contrastare “misure non tariffarie” (non-tariff measures
– NTM) come il divieto di importare legno di origine illegale o la preferenza accordata ai prodotti certificati
per la buona gestione forestale.
Una minaccia aggiuntiva è rappresentata dai negoziati sugli accordi sull’accesso ai prodotti industriali (nonagricultural market access - NAMA). Con l’obiettivo di ridurre o abolire le tariffe, questi negoziati rischiano
di rafforzare la domanda di prodotti a base di legno, moltiplicando l’attuale pressione sulle residue foreste,
incrementando il traffico di legno illegale e riducendo controlli e stimoli ad una buona gestione.
Come istituzione volta a migliorare il flusso del commercio internazionale, il WTO dovrebbe essere
naturalmente interessato all’eliminazione del traffico di legno illegale. La realtà è un’altra. Nessun paese può
esigere di importare solo legno provatamente legale, al contrario il paese importatore deve provare
l’illegalità di ogni singola partita rifiutata, cosa virtualmente impossibile, data la mancanza di trasparenza nel
mercato del legno. Le sue regole inoltre contrastano la certificazione, uno dei metodi più efficaci per
combattere il legno illegale.
Di fronte all’assenza di efficaci strutture amministrative e di controllo in molti paesi produttori, l’ulteriore
liberalizzazione rappresenterà un’accelerazione del saccheggio illegale delle foreste.
Questo non porterà solo a grave conseguenze ambientali, ma risulterà in gravi conseguenze economiche a
medio - lungo termine, in termini di reddito e di occupazione, soprattutto nei paesi produttori. Secondo uno
studio della Banca Mondiale, le foreste contribuiscono direttamente al sostentamento di 1,2 miliardi di
persone, che già versano in condizioni di estrema povertà, rappresentando un essenziale fonte di reddito,
oltre a sostenere indirettamente l’agricoltura, e sono quindi essenziali ad una metà della popolazione nei
paesi in Via di Sviluppo.
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IL WTO
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LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
Introduzione – Foreste e commercio internazionale
Le foreste coprono circa il 30% delle terre emerse, e circa la metà delle foreste si trovano in regioni tropicali
e sub-tropicali, ed un terzo nelle regioni boreali. Non v’è dubbio alcuno sul fatto che le cause della
deforestazione siano principalmente umane: sovrasfruttamento del legname, conversione agricola, operazioni
minerarie, apertura di strade, fenomeni rafforzati da altri fattori quali, il prevalere di interessi a breve
termine, il debito internazionale, la povertà, le guerre finanziate con le risorse forestali.
Nel corso degli ultimi decenni infatti la rivoluzione tecnologica degli ultimi decenni ha reso sfruttabili
foreste un tempo irraggiungibili. Le grandi distanze che fino a pochi decenni fa proteggevano le foreste della
Siberia e dell’Amazzonia oggi non sono più un problema per le compagnie del legno. Grandi compagnie del
legno europee, nord americane e asiatiche stanno distruggendo le ultime foreste rimaste sul pianeta.
Diversi studi dimostrano come ampie fasce di popolazione rurale povera dipenda dalle foreste per la propria
sopravvivenza. Circa un 20% del loro reddito annuale proviene direttamente dalle foreste sotto forma di
carne o combustibili domestici, oltre che come risorse alimentare essenziale in caso di scarsa resa agricola.
Per questo la gestione responsabile delle foreste è direttamente collegata agli obiettivi di riduzione della
povertà enunciati dal Millennium Development Goals.
In questo contesto è necessario osservare come la gestione sostenibile delle foreste non si limita ad assicurare
un prelievo di lungo periodo. Dal punto di vista ambientalista, la gestione sostenibile significa “l’utilizzo
responsabile delle foreste dal punto di vista ambientale e sociale”, nel pieno rispetto dei popoli indigeni e
delle comunità locali, così come di tutte le funzioni ecosistemiche.
Dopo anni di cattive pratiche, nel 2004 la Banca Mondiale ha riconosciuto la diretta relazione tra povertà e
distruzione delle foreste, e la necessità di incoraggiarne una gestione sostenibile, come strumento essenziale
per raggiungere risultati concreti nei programmi volti alla riduzione della povertà. I progetti della Banca
Mondiale ancora non hanno mostrato di aver recepito questa conclusione, ma gli attuali sviluppi del WTO
sembrano addirittura contraddirla.
Il risultato di questa discussione sarà cruciale per le foreste del pianeta. Dalle regole che saranno date al
commercio globale dipenderà la possibilità di salvare o invece di perdere per sempre le ultime grandi foreste
del pianeta.
Dieci anni fa il WTO, riunito a Ginevra si impegnava a “proteggere l’ambiente” ed a raggiungere “l’impiego
ottimale delle risorse mondiali, in armonia con gli obiettivi dello sviluppo sostenibile”. Non è andata così:
nei paesi dove l’influsso del WTO si è fatto sentire maggiormente, le ‘liberalizzazioni’ hanno arricchito i più
ricchi e impoverito i più poveri, mentre lo stato dell’ambiente nel pianeta si è ulteriormente deteriorato. Il
WTO, così come è concepito ora, non sembra fatto per portare ad uno sviluppo sostenibile. Il commercio,
privo di regole, rischia di incrementare la distruzione dell’ambiente, l’esaurimento delle risorse naturali e il
declino delle condizioni di vita delle popolazioni.
Mentre il WTO ancora dibatte se l’organizzazione ambientale dell’ONU (UNEP) abbia il diritto o meno di
assistere alle sessioni dedicate all’ambiente, le regole del WTO vengono utilizzate in tutto il mondo per
smantellare le politiche di protezione ambientale e le pratiche basate sull’approccio precauzionale: valga da
esempio la guerra condotta da Stati Uniti, Canada e Argentina contro l’Unione Europea, che rappresenta un
chiaro attentato al Protocollo sulla Biosicurezza. Il messaggio degli Stati Uniti, suggerito da grandi
multinazionali come Monsanto e Novartis, sembra chiaro: non osate far valere i diritti che vi garantisce il
Protocollo sulla Biosicurezza, altrimenti la pagherete cara con il WTO”.
Gli impegni assunti dal WTO sull’ambiente sono rimasti sulla carta. La liberalizzazione ha portato un
incremento dei flussi commerciali, non certo un commercio più equo. Dietro le parole versate ad ogni
meeting su sviluppo e ambiente, continuano crescere le minacce per entrambi, sempre sancite dal sigillo
delle indiscutibili regole del WTO. I membri del WTO non hanno mai voluto integrare l’ambiente e lo
sviluppo nel paradigma di liberalizzazione del commercio internazionale, né hanno mai adattato i propri
negoziati in modo di assicurare un’effettiva integrazione delle tematiche legate allo sviluppo ed alla
protezione dell’ambiente. Al contrario, i membri dei comitati sull’ambiente e lo sviluppo (Committee on
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IL WTO
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
Trade and Environment - CTE e Committee for Trade and Development – CTD) che sono in genere
rappresentati dai ministeri dell’ambiente e dello Sviluppo, hanno minori poteri decisionali. Anzi, dopo anni
di discussione il CTE non ha neppure ottenuto un consenso sul proprio mandato.
La discussione sul WTO ruota attorno alla crisi delle istituzioni multilaterali. La perdita di credibilità si
evidenzia sul lato politico con la perdita di funzione dell’ONU, tra svuotamento e vero e proprio dismissione,
mentre sul lato economico con l’accentramento delle decisioni in istituzioni poste al di fuori di ogni controllo
democratico, ma in grado di esercitare pesantissime pressioni su ciascuno paese.
Le più probabili conclusioni del nuovo negoziato in ambito WTO rischiano di provocare un’ulteriore
degrado delle foreste. Le osservazioni scientifiche concordano nell’indicare che il tasso di deforestazione
cresce di pari passo con le misure di liberalizzazione del commercio del legname, dei prodotti agricoli e degli
investimenti, se non sono state precedentemente adottate adeguate politiche di gestione e forti sistemi di
controllo nei singoli paesi, in grado di assicurare un controllo sulla legalità e sulla sostenibilità della gestione
forestale. Il problema è che spesso sono proprio le attuali regole del WTO ad impedire politiche di gestione e
regolamentazione, considerate come restrizioni al libero commercio. Gli schemi di certificazione della buona
gestione forestale vengono attaccati come barriere non tariffarie e la maggioranza dei membri del WTO non
prendono nella dovuta considerazione il complesso ruolo della biodiversità forestale.
Questo avviene a causa dei limiti di origine del mandato negoziale, ma anche nelle decisioni relative
all’ambiente (e alle foreste) la sostenibilità appare l’ultima delle preoccupazioni. Il negoziato si gioca sui
settori agricolo e dei servizi, assieme a quello sulle tariffe industriali, sulle politiche di acquisto, sull’accesso
ai mercati e sull’implementazione degli accordi dell’Uruguay Round agreements. Questa complessa
dinamica di negoziati e mercanteggiamenti, spesso segreti, e di scontri tra interessi commerciali, è difficile
che lasci spazio alla salvaguardia dell’ambiente.
La fallita Conferenza Ministeriale di Cancun ha dimostrano un ulteriore sviluppo che potrà influenzare
pesantemente il negoziato sui prodotti forestali: la crescita di un nuovo gruppo di paesi emergenti che
presenta le proprie istanze di sviluppo.
Per questo, per la protezione delle residue foreste primarie e per la promozione di una loro gestione
sostenibile, è essenziale che si tenga debitamente conto delle istanze di sviluppo, soprattutto dei paesi più
poveri. Questo complesso negoziato richiede un approccio più cooperativo e partecipativo. Indicando con
lucidità i limiti dell’attuale sistema WTO ed i pericolosi impatti del negoziato sui prodotti forestali, e
proponendo la promozione di una gestione sostenibile delle foreste, questo studio esplora possibili strade per
tale approccio integrativo.
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IL WTO
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LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
WTO e foreste
Le regole e i meccanismi del WTO rappresentano una minaccia verso le politiche finalizzate alla protezione
delle foreste e ad un loro utilizzo ecologicamente responsabile. La mancanza di un quadro certo nelle
relazioni tra WTO e accordi multilaterali sull’ambiente (MEA) minaccia e mettere in pericolo l’efficacia
delle regole di tali accordi, in particolare quelli legati alle foreste. Allo stesso modo Le regole del WTO non
consentono ai paesi di applicare misure economiche di pressione verso i paesi che distruggono
massicciamente le loro foreste. Oltre a ciò, le regole del WTO impediscono ai paesi si utilizzare divieti
all’esportazione per promuovere l’utilizzo ecologicamente responsabile delle proprie foreste. I principi del
WTO possono inoltre impedire l’applicazione della certificazione indipendente e possono ostacolare la piena
implementazione del principio precauzionale. Le regole del WTO impediscono un’appropriata protezione
delle conoscenze tradizionali legate alle foreste, così come un’efficace lotta al commercio illegale di prodotti
forestali.
Malgrado l’impegno verso uno sviluppo responsabile e verso la protezione dell’ambiente contenuto nel
Preambolo dell’Accordo di Instaurazione del WTO, questo trattato non contiene regole in grado di
salvaguardare le politiche commerciali finalizzate alla protezione delle foreste e di un loro utilizzo
ecologicamente responsabile.
Le relazioni tra WTO e accordi multilaterali sull’ambiente, come la Convenzione sulla Biodiversità, la
Convenzione Internazionale sul Commercio delle Specie Minacciate (CITES) e Convenzione Quadro
dell’ONU sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC) hanno un ruolo importantissimo da giocare nella creazione
di un sistema internazionale coerente, in cui commercio e gestione responsabile delle foreste possano
sostenersi a vicenda. Il commercio è un aspetto importante dell’utilizzo ecologicamente responsabile delle
foreste, ed è necessario raggiungere una relazione equilibrata tra WTO e accordi multilaterali sull’ambiente.
Purtroppo oggi le regole del WTO continuano a rappresentare un ostacolo all’effettiva implementazione di
questi accordi di vitale importanza.
Le regole del WTO non assumono un impegno positivo verso linee guida del commercio in grado di
supportare lo sviluppo responsabile. Esse non consentono preferenze commerciali verso prodotti proveniente
da un utilizzo ecologicamente responsabile delle foreste, se non (solo potenzialmente) nel contesto
dell’accordo sulle tariffe generali preferenziali per i Paesi in Via di Sviluppo (Generalized Tariff
Preferences), mai implementato dai paesi sviluppati.
L’utilizzo della certificazione e dell’etichettatura di prodotti provenienti da foreste gestite in maniera
ecologicamente responsabile, continua ad essere ostacolato dalle regole del WTO. Queste non permettono
sussidi in supporto di nuove regole ambientali. I Paesi in Via di Sviluppo e i gruppi della società civile sono
di fatto esclusi da gran parte del processo decisionale del WTO. La cultura politica nel WTO tiene in così
scarsa considerazione le richieste dei Paesi in Via di Sviluppo, e questo ha portato a bloccare ogni progresso
nell’agenda ambientale.
Molte delle misure proposte dal WTO possono avere un impatto fortemente negativo sulla protezione delle
foreste e su un loro utilizzo ecologicamente responsabile. Tra queste la liberalizzazione delle tariffe sui
prodotti forestali, la riduzione di misure non tariffarie che coinvolgono le foreste, la liberalizzazione
agricola, la liberalizzazione degli investimenti e la liberalizzazione dei servizi. Tutte queste misure sono in
procinto di essere adottate senza alcun correttivo in grado di salvaguardare politiche finalizzate alla
protezione delle foreste o a un loro utilizzo ecologicamente responsabile. Le dinamiche negoziali del nuovo
programma di lavoro del WTO, uscite incontro ministeriale di Doha, rischiano di sacrificare le attenzioni
verso l’ambiente in nome di importanti interessi economici.
2.1 principali raccomandazioni
Per poter sostenere la protezione e l’utilizzo ecologicamente responsabile delle foreste del pianeta, ed in
particolare delle foreste primarie, Greenpeace ritiene che i paesi membri del WTO debbano:
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IL WTO
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
Garantire che gli accordi multilaterali sull’ambiente, e in particolare la CBD e le altre misure commerciali
finalizzate alla protezione delle foreste, non siano svuotati o minacciati dalle regole del WTO..
Garantire che le regole del commercio internazionale siano compatibili con la protezione e con l’utilizzo
ecologicamente responsabile della biodiversità forestale e che promuovano gli strumenti economici ad essa
finalizzati.
Garantire che le iniziative di certificazione forestale indipendente come il Forest Stewardship Council, non
siano ostacolate dalle regole del WTO.
Garantire che le misure finalizzate al controllo del commercio internazionale ed a contrastare l’importazione
di legno tagliato illegalmente, così come di altri prodotti forestali, non siano minacciate ma –al contrariosostenute dalle regole del WTO.
Non intraprendere alcuna ulteriore misura di liberalizzazione del commercio, prima di una piena valutazione
dell’impatto ambientale e sociale sulle foreste.
Garantire che le regole del WTO non interferiscano con una piena protezione delle culture e conoscenze
delle popolazioni tradizionali delle foreste e che tali regole non siano utilizzate per come copertura per atti di
bio-pirateria.
Garantire che gli sforzi da parte dei governi finalizzati alla protezione e all’utilizzo sostenibile delle foreste
non siano ostacolati dalle misure di liberalizzazione dei servizi e degli investimenti.
Il WTO può svolgere solo un ruolo parziale nel processo finalizzato ad assicurare la protezione e l’utilizzo
ecologicamente responsabile delle foreste. Organismi internazionali specializzati sulla biodiversità forestale
devono assumere un ruolo propositivo e vincolante nell’indicare misure di regolamentazione del commercio.
Nello specifico, Greenpeace ritiene che:
La CBD deve sviluppare un programma di lavoro action-oriented finalizzato alla protezione della
biodiversità forestale in grado di affrontare i seguanti temi: (a) commercio come minaccia alla biodiversità
forestale, (b) sussidi che promuovono la deforestazione, e (c) finanziamento all’esportazione finalizzati a
sostenere la protezione e l’utilizzo ecologicamente responsabile della biodiversità forestale. La CBD
potrebbe contribuire utilmente allo sviluppo di metodologie per valutare impatti positivi e negativi sulla
biodiversità forestale da parte del commercio internazionale. Nessun accordo in sede WTO deve contraddire
gli obiettivi della CBD sulle foreste.
Devono essere implementati tutti i meccanismi di sviluppo pulito (Clean Development Mechanism - CDM)
stabiliti in ambito UNFCCC (quali l’uso della terra, il cambiamenti di destinazione d’uso della terra e la
gestione forestale), affinché le attività umane non portino al degrado, alla conversione o comunque alla
perdita di biodiversità forestale, in particolare nelle foreste primarie o nelle foreste o in altri sistemi di alto
valore ambientale (HVCF). Queste regole devono assicurare che siano pienamente sostenute le priorità di
sviluppo sostenibile del paese ospitante, finalizzate a promuovere la protezione e l’utilizzo ecologicamente
responsabile delle risorse naturali sulla base dei bisogni locali, anche a costo di non fruttare agli investitori
stranieri il profitto più alto. Piantagioni industriali su larga scala, così come l’impiego di alberi
geneticamente modificati, non devono essere progetti accettabili dal CDM.
Allo scopo di assicurare una gestione globale della protezione della biodiversità e dello
sviluppo sostenibile, Greenpeace ritiene che:
Il World Summit on Sustainable Development deve avviare un processo in grado indicare raccomandazioni
sulle possibili contraddizioni e sinergie tra WTO e accordi multilaterali sull’ambiente.
Tutti i paesi devono valutare la possibilità di risolvere conflitti tra commercio e ambiente in un tribunale
internazionale in grado garantire un giudizio imparziale tra interessi ambientali e interessi commerciali. Oggi
questo giudizio è affidato a tribunali interni del WTO, il cui punto di vista è sbilanciato sul commercio e non
sugli altri aspetti.
La dichiarazione ministeriale e il programma di lavoro concordati a Doha, malgrado la riaffermazione
dell’impegno allo sviluppo sostenibile, indicano poche misure per implementare questo impegno (il
Committee on Trade and Environment e il Committee for Trade and Development hanno tuttora un mandato
indefinito).
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IL WTO
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
D’altro campo, il paragrafo 16 avvia i negoziati sulla riduzione delle barriere tariffarie e non tariffarie sui
prodotti agricoli, senza che sia stata fatta alcuna valutazione sugli impatti ambientali. Anzi, questi negoziati
dovrebbero coprire tutti i prodotti “senza esclusioni a priori” il che preclude l’esclusione di prodotti forestali
dal processo di liberalizzazione. Sullo stesso tema, la dichiarazione si riferisce ad ambiente e sviluppo
sostenibile come “preoccupazioni non legate al commercio”. Il paragrafo 19 istituisce il TRIPS Council per
esaminare tra l’altro il rapporto tra gli accordi TRIP e la Convenzione sulla Biodiversità (CBD) e la
protezione delle conoscenze tradizionali. Ma non c’è alcun chiaro impegno ad un rapporto equo tra i due
trattati, in grado di assicurare la protezione delle conoscenze tradizionali. Basti pensare che il TRIPS Council
ancora non ha neppure accettato la richiesta del Segretariato CBD di essere ammesso come osservatore.
Come primo passo, è necessario modificare le regole del WTO, in modo di consentire misure volte ad
incentivare la protezione delle foreste ed il loro uso sostenibile, anche se tali misure impattano sul
commercio internazionale.
Inoltre è necessario che i governi riconoscano il valore economico, ambientale e sociale delle foreste, e la
minaccia proveniente da uno sfruttamento indiscriminato. I problemi legati alla liberalizzazione dei prodotti
forestali mostrano chiaramente come il commercio internazionale non si può regolare da solo. Il WTO non
deve continuare a rappresentare il pretesto per violare il principio precauzionale e i principi già concordati
nell’ambito di altri accordi internazionali.
Paesi in Via di Sviluppo, Unione Europea e associazioni ambientaliste devono collaborare per assicurare la
protezione delle foreste.
Assieme possono assicurare che il commercio internazionale sostenga - invece di contrastare – l’impegno a
proteggere le foreste del pianeta, senza discriminazione di alcuna parte.
Per questo Greenpeace si appella ai membri del WTO affinché:
• Sia interrotto l’attuale negoziato NAMA e vengano abbandonati i progetti di ulteriore liberalizzazione
dei prodotti forestali sotto il NAMA.
• Assicurare che le gli accordi ambientali multilaterali come la CBD, ma anche la CITES, e il UNFCCC,
così come altre legittime misure commerciali volte ad incoraggiare l’utilizzo sostenibile delle foreste,
non siano pregiudicati dalle regole del WTO.
• Assicurare la centralità degli accordi ambientali multilaterali quali strumenti per integrare istanze
ambientali, sociali ed economiche, nel contesto di una gestione sostenibile delle foreste.
• Assicurare che le regole del commercio internazionale siano compatibili con la protezione e l’utilizzo
sostenibile della biodiversità forestale, e promuovere strumenti economici volti a tal fine.
• Assicurare che le misure volte a controllare il commercio internazionale e l’importazione di legname o
prodotti forestali originari da taglio illegale, non siano pregiudicati dalle regole del WTO.
• Assicurare che iniziative quale il e Forest Stewardship Council (FSC) non siano pregiudicate dalle
regole del WTO, soprattutto di fronte agli interessi di alcune parti interessate ad utilizzare il WTO per
contrastarne la crescita.
• Assicurare che iniziative volte a promuovere la buona gestione forestale, come ad esempio l’adozione di
politiche di acquisto di prodotti forestali di origine sostenibile possano essere pregiudicate dalle regole
del WTO.
• Aprire le deliberazione del WTO alla società civile ad assicurare la piena partecipazione a tutti i Paesi in
Via di Sviluppo.
• Condurre attente valutazioni sugli impatti ambientali e sociali sulle foreste, soprattutto a livello
nazionale e regionale, di tutte le proposte di liberalizzazione nei settori forestale, agricolo, minerario e
dei trasporti. Nessuna liberalizzazione deve essere approvata fino a quanto tali valutazioni siano state
completate e non siano stati messe in pratica le necessarie misure correttive.
• Assicurare che il WTO non interferisca con la piena applicazione del Principio Precauzionale e delgi
altri principi ambientali concordati con la Dichiarazione di Rio.
• Assicurare che il WTO non interferisca con la piena protezione dei saperi tradizionali legati alle foreste,
e nella protezione di tali saperi dalla biopirateria.
• Assicurare che le misure adottate per assicurare un utilizzo sostenibile delle foreste non siano
pregiudicate dalla liberalizzazione del settore dei servizi.
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•
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
Gli organismi internazionali specializzati in materia forestale debbono essere riconosciuti come
strumenti idonei ed efficaci per integrare le istanze ambientali, sociali ed economiche nel contesto di una
gestione sostenibile delle foreste. Greenpeace si appella ai governi afficnhè si impegnino a implementare
e rafforzare tali strumenti nellp’ambito della CBD, della CITES, e del UNFCCC. Per questo è necessario
creare uno strumento legale internazionale volto alla protezione delle foreste ed alla promozione di una
loro gestione responsabile, promuovendo ad esempio un protocollo forestale, da crearsi sotto gli auspici
della CBD.
Greenpeace si appella ai governi affinché promuovano processi regionali FLEG(T) volti a combattere il
taglio illegale ed il commercio di prodotti forestali di origine illegale.
È necessario riconoscere il fallimento del processo UNFF, che deve lasciare il posto ad un ulteriore
sviluppi di altri organismi dimostratisi più efficaci.
Greenpeace si appella ai governi alla Commissione Europea affinché predisponga un rapporto
supplementare al Sustainable Impact Assessment on forests per promuovere lo sviluppo di misure
specifiche in ogni paese, volte a prevenire iu possibili impatti negativi, sociali e ambientali, dei negoziati
in ambito WTO.
15
IL WTO
3
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
L’impatto delle misure WTO sulle foreste
Il commercio non rappresenta in sé una causa di distruzione della foresta, ma se gestito male (o se non
gestito affatto) può rappresentare pericoloso fattore scatenante della deforestazione. Tra le conseguenze
dell’incremento del commercio internazionale in prodotti della foresta si annoverano:
•
Eccessivo sfruttamento delle specie arboree
•
Pressioni che mirano a convertire le foreste naturali in piantagioni
•
Danni ai corsi d’acqua che scorrono nelle foreste
•
Aumento dell’erosione del suolo nelle foreste
•
Danni a comunità locali a causa della perdita di biodiversità forestale
•
Spese per infrastrutture ed altri sovvenzionamenti alle operazioni di taglio
In determinate circostanze, il commercio può incentivare la gestione sostenibile della foresta.
Sfortunatamente, le norme WTO ostacolano i tentativi di controllo della deforestazione causata dal
commercio, e non garantiscono che il commercio sostenga la gestione sostenibile della foresta.
Box 1: Cresce la minaccia per le foreste primarie
L’80% circa delle foreste che nel passato ricoprivano la superficie del pianeta sono state distrutte, e la
maggior parte di queste negli ultimi 30 anni. In media un'area dalle dimensioni di un campo di calcio viene
disboscata ogni due secondi.
Molti scienziati avvertono che il pianeta sta affrontando la più drammatica ondata di estinzioni dalla
scomparsa dei dinosauri, 65 milioni di anni fa. I nostri parenti più stretti: scimpanzé, gorilla, e orangutango
sono destinati ad estinguersi entro i prossimi 5 o 10 anni, se continuiamo a distruggere le foreste che li
ospitano.
Le foreste svolgono servizi insostituibili. Giocano un ruolo fondamentale per le dinamiche del clima a livello
planetario. Esse sostengono sistemi essenziali alla vita del pianeta: regolano il clima, controllando la caduta
della pioggia, l'assorbimento nel suolo e l'evaporazione dell'acqua e conservano grandi quantità di carbonio,
che altrimenti contribuirebbero all'effetto serra.
Le foreste sono inoltre la più ricca espressione di tre milioni di anni di evoluzione della vita sulla terra. Esse
ospitano due terzi delle specie animali e vegetali terrestri, pern on parlare delle migliaia di piante medicinali
ancora sconosciute. Le foreste ospitano anche molti popoli che per secoli, a volte per millenni hanno
sviluppato un rapporto armonioso con la natura, utilizzandola senza depredarla. Essi conoscono i segreti
delle piante medicinali, e praticano con sapienza una gestione sostenibile della foresta. Da questi popoli
potremmo apprendere molto, e invece ne stiamo distruggendo le condizioni di vita.
Secondo l’UNEP le foreste incontaminate sono destinate a scomparire entro pochi decenni (UNEP, 2001:
'An Assessment of the Status of the World's Remaining Closed Forests").
3.1 IL WTO ostacola la lotta alla deforestazione e al degrado della foresta
Le norme WTO sono finalizzate a promuovere la liberalizzazione del commercio. Nonostante nel
preambolo dell’accordo che istituisce l’Organizzazione Mondiale del Commercio siano menzionate altre
linee programmatiche, come lo sviluppo sostenibile e la protezione dell’ambiente, il WTO finora non ha
dimostrato un equilibrio adeguato tra questi diversi interessi. Questo risulta evidente nella struttura delle
regole, come anche nelle discussioni all’interno dell’organizzazione così come nei verdetti dell’organo di
risoluzione delle dispute per quanto riguarda i temi trattati qui di seguito.
3.1.1 Le norme WTO potrebbero ostacolare gli accordi ambientali multilaterali (MEA) che
proteggono le foreste
Diversi accordi multilaterali contengono norme per la conservazione delle foreste, come la Convenzione
sulla Biodiversità (CBD), la Convenzione sul commercio internazionale delle specie di fauna e di flora
selvatica minacciate di estinzione (CITES), e la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti
16
IL WTO
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
climatici (UNFCCCC, o Protocollo di Kyoto). Ma il completo sviluppo di questi importanti strumenti è
ostacolato dall’incertezza tuttora vigente in caso di un’eventuale conflitto con le regole del WTO.
Anche se l’organo per la risoluzione delle dispute del WTO ha regolarmente indicato di preferire un
approccio multilaterale ai problemi ambientali globali, il suo Comitato sul Commercio e l’Ambiente (CTE)
non è stato in grado di raggiungere un consenso sulla relazione giuridica tra regole degli accordi multilaterali
e WTO. Nonostante non si siano ancora verificate dispute WTO in diretto conflitto con un accordo
multilaterale, il rischio non solo esiste, ma è in continuo aumento, in quanto le norme degli accordi
multilaterali continuano a svilupparsi in modo da coinvolgere il comportamento economico. Inoltre, il
rifiuto degli Stati Uniti di sottoscrivere la Convenzione sulla Biodiversità e il Protocollo Kyoto aumenta le
probabilità di un’eventuale conflitto tra WTO e regole di accordi multilaterali: chi non ha sottoscritto tali
accordi, potrebbe utilizzare il WTO per la protezione dei propri interessi economici.
Il problema della gestione delle restrizioni al commercio verso chi non ha sottoscritto gli accordi
multilaterali non si presta ad una facile soluzione giuridica. Dal punto di vista legale, i membri del WTO che
hanno deciso di non sottoscrivere accordi multilaterali hanno comunque facoltà di far valere i propri diritti
dovuti all’appartenenza al WTO, quando essi si sentono danneggiati a causa di un accordo multilaterale.
Questo, naturalmente, costituisce una potenziale minaccia all’integrità di tali accordi. Sarà dunque
necessario trovare una soluzione politica per eliminare o almeno ridurre al minimo la possibilità che il WTO
venga utilizzato per sabotare un accordo multilaterale da parte di in paese che non l’ha sottoscritto.
Le conseguenze di un verdetto WTO contrario ad un accordo multilaterale sarebbero disastrose: in primo
luogo, la natura economica del rimedio WTO probabilmente danneggerebbe tutti gli altri accordi
multilaterali, ed in secondo luogo il WTO perderebbe considerevolmente la sua stessa credibilità politica
legata all’immagine di istituzione che si dichiara in favore dello sviluppo sostenibile.
Box 2: le convenzioni internazionali un ostacolo al commercio?
Un recente studio sul commercio del legname tropicale dell’Organizzazione Internazionale per il Legno
Tropicale (ITTO) indicava la Convenzione Internazionale CITES come una barriera non tariffaria al
commercio internazionale del legname1.
Malgrado l’evidente assurdità giuridica di tale ipotesi (la CITES ha valore legale e vincolante per gli Stati
almeno quanto il WTO, nel nome delle cui regole verrebbero identificate le barriere non tariffarie) questo
caso indica bene il pericolo di sovrapposizione rappresentato dall’univocità con cui vengono interpretate le
regole del WTO. È essenziale ed urgente un processo di armonizzazione del WTO agli altri accordi
multilaterali come la CBD e la CITES, per prevenire il rischio di seri ed insolubili conflitti di diritto in
merito ad importanti tematiche di commercio internazionale.
Ciò che rischia maggiormente di essere portato all’attenzione del WTO sono le misure commerciali non
specifiche, intraprese individualmente allo scopo di soddisfare un obbiettivo di un accordo multilaterale.
Queste sorgono soprattutto perché la maggior parte di tali accordi contengono obblighi di risultato, che
lasciano alle Parti il potere discrezionale di scegliere gli strumenti più appropriati per conformarsi ai propri
obblighi giuridici. Per esempio, il testo della Convenzione sulla Biodiversità non fa menzione esplicita del
termine “commercio”, tuttavia parecchie delle sue misure richiedono azioni che influenzerebbero le politiche
legate al commercio. Queste misure includono l’uso di incentivi, l’accesso alle risorse genetiche e la
condivisione dei benefici, la protezione del know-how tradizionale e l’integrazione della conservazione e
dell’uso sostenibile della biodiversità in tutte le aree di politica.
1
Vedi: ITTO 2005 pag. 11.
17
IL WTO
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
Box 3: Clausole del GATT e del WTO
Le clausole del WTO che possono essere minacciare l’ambiente sono:
L’articolo I del GATT che prevede il principio della 'nazione più favorita’: tutte le parti contrattuali devono
accordare incondizionatamente a tutte le altre parti tutti i vantaggi favorevoli come quelli accordati per
prodotti similari a qualsiasi delle Parti. Questo significa che non c’è discriminazione nel modo con cui
ciascuna delle Parti del trattato GATT tratta le altre Parti del GATT in tutti i temi coperti dal trattato. Quindi,
se un accordo multilaterale contiene misure legate al commercio che distinguono tra paesi (ad esempio tra
paesi sviluppati e Paesi in Via di Sviluppo; o che sono indirizzati a paesi esterni al trattato, allora tale
accordo potrebbe violare l’articolo I del GATT.
L’articolo III del GATT è conosciuto come la 'national treatment' obligation: le Parti contrattuali sono
costrette a trattare i prodotti 'simili' a quelli importati nello stesso modo con cui trattano i prodotti 'simili' a
quelli interni. In altre parole, i prodotti importati dovrebbero competere sul mercato interno nello steso modo
di quelli prodotti internamente. Questa clausola è stata interprestata in modo che la 'similitudine’viene
stabilita sulla base del prodotto finale, e non sul modo con cui è stato prodotto. Su questa base, distinguere il
legno prodotto in modo responsabile rischia di essere considerato in contrapposizione all’articolo III del
GATT.
L’articolo XI proibisce, con alcune eccezioni, restrizioni quantitative sull’importazione e l’esportazione dele
merci. Quindi il divieto di esportazione di tronchi grezzi (applicato in alcuni Paesi in Via di Sviluppo per
stimolare la crescita di imprese di prima trasformazione in loco, o adottato più generalmente per sostenere
politiche di protezione ambientale) viola presumibilmente l’articolo XI.
Quando uno degli articoli menzionati risulta violato, l’analisi legale viene condotta in base all’articolo XX,
che contiene generali eccezioni, per verificare se le misure in questione possono essere “salvate”. L’articolo
XX consente alle parti contrattuali di adottare alcuen misure in deroga agli impegni del GATT se:
“esse non sono applicate in modo di rappresentare una discriminazione arbitraria o ingiustificata tra paesi in
cui vigano le stesse condizioni, o una restrizione al commercio internazionale..
Tra le misure a cui può essere applicata l’eccezione ci sono quelle: “(b) necessarie a proteggere la vita o la
salute di umani, animali o piante" o quelle “(g) legate alla conservazione di risorse naturali esauribili, se tali
misure sono realizzate assieme a similari restrizioni della produzione e del consumo interni”.
Diverse volte misure volte alla protezione ambientale sono state denunciate per violazione alle regole del e
GATT e del WTO, portando ad uno sviluppo di criteri giuridici che aiuta poco a poco a chiarire le modalità
di interpretazione del trattato. Questo sviluppo ha avuto anche aspetti positivi, ama ancora non assicura una
effettiva salvaguardia delle misure volte alla protezione dell’ambiente. In quasi tutti i casi la decisione (quasi
sempre sfavorevole alle misure ambientali) si è basata sull’interpretazione dell’articolo XX. In altre parole,
le misure ambientali incriminate sono state considerate come violazione di articoli fondamentali del
GATT/WTO.
Il primo caso incentrato sull’interpretazione dell’articolo XX, nel decidere se una misura ambientale
rientrasse nelle eccezioni da esso previste (b) o meno (g). Il caso tonni-delfini nel 1991 riguardava le
restrizioni statunitensi all’importazione di tonno messicano, motivate dall’alto numero di mortalità di delfini
nel corso della pesca2. Il Comitato ha stabilito che tali misure non rientravano nelle eccezioni previste
dall’articolo XX(b) dato che esso esclude l’applicazione di misure commerciali volte a proteggere l’ambiente
oltre la legislazione nazionale. Esso ha inoltre sentenziato che le misure ambientali "necessarie", devono
essere le meno "restrittive al commercio". Riguardo l’articolo XX(g), il Comitato ha sentenziato che le
misure in questione devono essere "volte fondamentalmente" alla protezione delle risorse naturali, e di
conseguenza le limitazioni statunitensi all’importazione di tonni messicani non sono state accettate come
valide dal GATT. Il secondo Comitato ha sentenziato che il trattato non ammette l’assoggetazione
dell’articolo XX(b) ad una particolare legge nazionale, ma aggiungeva un nuovo elemento: che l’articolo
XX(b) non consente ai paesi di utilizzare misure commerciali per influenzare le politiche di altri paesi. Il
caso gamberetti-tartarughe ha confermato questa interpretazione, ma piuttosto che applicarla all’articolo
2
Questo caso è stato giudicato sotto il vecchio GATT. Vedi: Stati Uniti ò restrizioni alle importazioni di tonno, noto come il “TunaDolphin case”. Questo caso è stato sollevato dal Messico contro gli Stati Uniti. Il rapporto del comitato è stato pubblicato il 3
settembre 1991, ma non è stato adottato, quindi non ha valore di precedente legale ai sensi del GATT. Messico s Stati Uniti hanno
trovato infatti un accordo extragiudiziale.
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IL WTO
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
XX(b), ha sentenziato come la premessa dell’articolo XX escluda l’impiego di misure commerciali come
forma di pressione verso altri paesi, per forzarli a modificare le loro politiche. L’organo di appello ha
affermato come "l’obiettivo di policy di una misura non può basare la propria razio o giustificazione sulla
base degli standard della premessa all’articolo XX" (paragrafo 149). Il risultato di questa sentenza è che
l’articolo XX(b) e (g) devono ora essere interpretati in modo di conformarsi alla piena formulazione del
trattato –il che rende più facile l’incriminazione di misure ambientali – ma che è nella premessa che si
formula la legittimità delle misure. In teoria questo rappresenta un passo avanti.
Ma a questo punto sorgono due problemi: innanzitutto il quadro tracciato in via giuridica per il
raggiungimento dei termini dell’introduzione può essere troppo alto per essere considerato realistico;
secondo punto, gli accordi multilaterali ambientali contengono articoli che coinvolgono anche i paesi che
non li hanno sottoscritti, proprio perché vogliono eliminare il pericolo di essere svuotati dalle scelte dei
“liberi battitori”, e mirano a ricondurre anche tali paesi alle politiche concordate. Un recente caso positivo è
rappresentato dalla sentenza in un nuovo caso gamberetti-tartarughe, quando la Malesia ha denunciato
l’implementazione da parte degli Stati uniti della sentenza gamberetti-tartarughe del 1998. In questo caso il
Comitato ha sentenziato che le restrizioni statunitensi erano giustificate in quanto erano stati compiuti tutti i
passi per giungere ad una soluzione multilaterale del problema ambientale in questione, anche se tale
accordo non era stato raggiunto. Il Comitato ha sentenziato che: il rapporto dell’Organo di Appello [nel caso
gamberetti-tartarughe] ha rilevato che, mentre un membro del WTO non può imporre ai membri esportatori
gli stessi standard di protezione ambientale che applica al proprio interno, tale membro può legittimamente
richiedere come condizione per l’accesso di alcuni prodotti al proprio mercato che i paesi esportatori si
impegnino di propria iniziativa ad un programma comparabile al proprio...".
Dopo aver riconosciuto che questa richiesta può portare ad una distorsione delle priorità ambientali del
paese esportatore, ha aggiunto che "per come l’articolo XX del GATT 1994 è stato interpretato dal Comitato
di appello, l’accordo WTO non fornisce indicazioni" in questa situazione3.
Il CTE (Committee on Trade and Environment), l’organo incaricato di gestire il rapporto tra accordi
multilaterali e WTO dal 1995 ad oggi non ha sciolto i nodi centrali ed ora sembra essere arrivato ad un punto
morto. Per quanto riguarda gli accordi multilaterali, sembra esserci una triplice spaccatura: alcuni paesi
(come gli Stati Uniti e diversi Paesi in Via di Sviluppo) sono dell’opinione che le regole vigenti del WTO
non siano in contraddizione con gli accordi multilaterali; altri paesi (per esempio la Nuova Zelanda4)
trovano che tali accordi costituiscano una minaccia per il sistema di commercio multilaterale, e dunque
cercano di ridurre al minimo il loro impatto sul commercio; infine, alcuni paesi (soprattutto l’Unione
Europea5 e la Svizzera6) temono che il WTO possa danneggiare profondamente tali accordi, e dunque
sostengono soluzioni che proteggano sulla loro integrità. È quindi necessario sostenere gli sforzi di chi tenta
di proteggere gli accordi multilaterali. L’approccio prevalente nel WTO è però un altro:
le relazioni tra esistenti regole WTO e specifici obblighi commerciali stabiliti negli accordi ambientali
multilaterali (MEA). I negoziati saranno limitati all’applicabilità delle vigenti regole WTO alle parti
dell’accordo MEA in questione. I negoziati non pregiudicheranno i diritti WTO di ogni Stato membro che
non sia parte in tale accordo MEA7.
3
Questo caso è stato sollevato dalla Malesia. Vedi: WORLD TRADE ORGANIZATION, WT/DS58/RW, 15 June 2001, UNITED
STATES - IMPORT PROHIBITION OF CERTAIN SHRIMP AND SHRIMP PRODUCTS, Recourse to Articolo 21.5 by Malaysia,
Report of the Panel.
4
Vedi: WORLD TRADE ORGANIZATION, WT/CTE/W/162, 10 October 2000, Committee on Trade and Environment: THE
RELATIONSHIP BETWEEN THE PROVISIONS OF THE MULTILATERAL TRADING SYSTEM AND TRADE MEAURES
FOR ENVIRONMENTAL PURPOSES, INCLUDING THOSE PURSUANT TO MULTILATERAL ENVIRONMENTAL
AGREEMENTS. Comunicazione della Nuova Zelanda
5
Vedi: WORLD TRADE ORGANIZATION, WT/CTE/W/170, 19 October 2000, Committee on Trade and Environment:
RESOLVING THE RELATIONSHIP BETWEEN WTO RULES AND MULTILATERAL ENVIRONMENTAL AGREEMENTS.
Sollevato dall’Unioen Europea.
6
Vedi: WORLD TRADE ORGANIZATION, WT/CTE/W/139, 8 June 2000, Committee on Trade and Environment: THE
RELATIONSHIP BETWEEN THE PROVISIONS OF THE MULTILATERAL TRADING SYSTEM AND MULTILATERAL
ENVIRONMENTAL AGREEMENTS (MEA). Submission by Switzerland. And: WORLD TRADE ORGANIZATION,
WT/CTE/W/168, 19 October 2000, Committee on Trade and Environment: CLARIFICATION OF THE RELATIONSHIP
BETWEEN THE WTO AND MULTILATERAL ENVIRONMENTAL AGREEMENTS. Sollevato dalla Svizzera.
7
Paragrafo 31(i) della Dichiarazione di Doha. Vedi: WTO 2001a.
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IL WTO
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
Questo approccio crea diversi problemi. In primo luogo, i negoziati sembrano limitarsi a misure specifiche
contenute negli accordi multilaterali, ignorando la più pressante e complicata questione delle misure “non
specifiche”. In secondo luogo, sembra che ci si stia limitando alle norme WTO in vigore, il che solleva la
questione delle misure ancora in fase di negoziato. In terzo luogo, lo status di chi non ha sottoscritto gli
accordi multilaterali non deve essere rimesso in questione, il che significa che non ci saranno progressi
nell’affrontare questo difficile problema. Questo esclude una armonizzazione reale del WTO con gli accordi
multilaterali, basato sull’eguaglianza di stato di principi diversi, quali per esempio i regimi del commercio e
l’ambiente.
Box 4: La gestione dei conflitti: il Dispute Settlement Body
Il Dispute Settlement Body del WTO è uno degli organi più rappresentativi del sistema WTO. Non solo può
emettere sentenze vincolanti ogni qual volta un paese membro vi faccia ricorso (caso raro nella
giurisprudenza internazionale) ma può anche imporre sanzioni economiche ad un paese membro scoperto
nell’infrangere le regole del WTO.
In teoria, il Dispute Settlement Body gestisce un sistema commerciale basato su regole, e aiuta i paesi più
piccoli o meno forti quando sono minacciati da quelli commercialmente più potenti. Ci sono però altre
conseguenze. Le sentenze sono espresse da specialisti in diritto commerciale che non necessariamente hanno
il sufficiente background negli altri campi coinvolti dalle regole commerciali (ambiente, sviluppo sostenibile
ecc.). Questo fa sì che –assieme all’ampio mandato del Dispute Settlement Body, i casi vengano affrontati da
un punto di vista meramente commerciale. Anche se il background e le attitudini dei giuristi fossero diverse,
le sentenze non possono in ogni cso compensare eventuali vuoti di decisione politica. Il Dispute Settlement
Body necessita quindi di chiare linee guida politiche per poter affrontare giudizi che coinvolgano commercio
e ambiente, linee guida che al momento mancano. Come se non bastasse, il dibattimento manca di
trasparenza, come per altro in quasi tutte le attività del WTO. Esso è chiuso agli osservatori esterni come le
ONG e gran parte delle organizzazioni della società civile, anche qualora fossero parti coinvolte.
3.1.2 IL WTO “rallenta” il l’adozione di norme per la protezione delle foreste
Le preoccupazioni a proposito di eventuali conflitti tra gli standard ambientali e le regole del WTO hanno
rallentato lo sviluppo di efficaci regole ambientali legate al commercio 8. L’esempio nel riquadro “il
Comitato SPS esamina il caso dei parassiti nelle casse in legno”, proveniente dal sito Internet del WTO,
mostra come un membro WTO possa utilizzare il WTO o la minaccia di una disputa WTO per impedire ad
un altro paese membro di applicare delle misure di regolamentazione legate al commercio.
8
Vedi: Stilwell 1999.
20
IL WTO
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
Box 5: il Comitato SPS esamina il caso dei parassiti nelle casse in legno
'Una proposta di regolamento di emergenza dell’Unione Europea contro la diffusione di parassiti attraverso
gli imballaggi in legno di pino, coinvolgerebbe una larga fascia di commercio di beni, provoca ampie
preoccupazioni nel vertice del SPS del WTO (Committee on Sanitary and Phyosanitary Meaures, Comitato
per le misure Sanitarie e Fitosanitarie) tenutosi l’8-9 novembre 2000.
Il caso è stato sottoposto dal Canada che lamentava come il regolamento avrebbe coinvolto il 69% di tutte le
esportazioni canadesi verso l’Unione Europea.
La proposta di regolamento [EU draft temporary emergency Meaures on wood packaging
(G/SPS/N/EEC/93)] copre un ampio spettro di imballaggi in legno fabbricati da legno di conifera
proveniente Canada, Cina, Giappone e Stati Uniti. È stato proposto per proteggere le foreste europee dal
nematode del pino (Bursaphelenchus xylophilus). I prodotti compresi nel regolamento dovevano essere
trattati 56°C per almeno 30 minuti ed avere un tasso di umidità al di sotto del 20 % o essere trattati in
autoclave.
Il Canada riconosceva la legittima esigenza da parte dell’Europa di proteggere le proprie foreste dal
parassita, ma esigeva che l’Unione Europea aspettasse il risultato di un negoziato internazionale su standard
multilaterali avviato nell’ambito dell’International Plant Protection Convention (IPPC) anche nel caso di
rinvenimento di parassiti. Il Canada esigeva che tutti i partecipanti al negoziato contribuissero ad una sua
rapida conclusione.
Stati Uniti, Corea, Giappone e Cile appoggiavano il Canada. Tutti lamentavano l’eccezionale impatto e la
'brusca’ tempistica della proposta di regolamento, che doveva entrare in vigore a partire dal 1 gennaio 2001.
Il regolamento europeo è stato quindi notificato allo SPS Committee in modo che tutti i membri del WTO
potessero commentarlo. La proposta è stata quindi rivista da parte dell’Unione Europea in modo di spostare
la data originaria, ma data l’emergenza della situazione la UE affermava di non essere in grado di attendere i
lunghi tempi del negoziato IPPC9. Il parassita si sta intanto diffondendo nei boschi europei, creando danni
ingenti, e danni potenziali incalcolabili.
3.1.3 Il WTO limita la capacità di un paese di assumere misure commerciali contro gravi
distruzioni della foresta in un altro paese
Le misure commerciali sono tra i pochi sistemi efficaci ad esercitare pressione su di un paese, incitandolo a
migliorare le proprie politiche ambientali, soprattutto in presenza di un grave processo di distruzione delle
foreste: è per esempio possibile rifiutarsi di importare prodotti forestali dal paese in questione. Tuttavia,
come già accennato, le regole WTO vengono usate per impedire tali misure. Le sentenze del WTO sono
state più volte impiegate contro misure commerciali volte a influenzare le politiche di altre nazioni, sin dalle
prime due dispute legate a problemi ecologici: il caso della benzina venezuelana e quello della pesca dei
gamberetti e delle testuggini. Entrambi si sono conclusi con una sentenza che afferma che l’Articolo XX non
può essere utilizzato per giustificare misure in contraddizione di altri articoli del GATT, se queste ultime
hanno come obbiettivo quello di influenzare le politiche di altri Stati membri 10.
In realtà, il WTO non è il solo responsabile di tali restrizioni. Se la comunità internazionale desiderasse
combattere i casi più gravi di deforestazione, stabilirebbe degli standard internazionali e dei meccanismi
applicando la Convenzione sulla Biodiversità (CBD) per affrontare importanti distruzioni ambientali. Ma
questi sviluppi sono ancora lontani, considerati i tempi del programma di lavoro vincolante sulle foreste in
9
WTO 2000
Vedi: UNITED STATES - STANDARDS FOR REFORMULATED AND CONVENTIONAL GASOLINÈ, WTO CASE NOS. 2
AND 4. Ruling adopted on 20 May 1996. Caso sollevato da Venezuela e Brasile: il caso afferma che gli Stati Uniti avevano il diritti
di adottare lo standard più alto possibile per proteggere la qualità della propria aria pur di non discriminare ai danni delle
importazioni estere. Gli Stati Uniti hanno perso la causa in quanto responsabili di discriminazione. Infatti i requisiti richiesti per i
prodotti nazionali erano meno restrittivi di quelli richiesti per la benzina di importazione (in questo caso venezuelana e brasiliana).
Vedi anche UNITED STATES - IMPORT PROHIBITION OF CERTAIN SHRIMP AND SHRIMP PRODUCTS, THE 'SHRIMPTURTLÈ CASE. WTO CASE NOS. 58 AND 61. Ruling adopted on 6 November 1998. Caso sollevato da India, Malesia, Pakistan e
Thailandia.
10
21
IL WTO
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
ambito CBD11. Per giunta, in questo momento lo sviluppo degli strumenti per evitare gravi casi di
deforestazione da parte di una nazione non è praticabile dal punto di vista politico, dato l’attuale clima di
diffidenza tra il Nord ed il Sud.
L’impiego di misure commerciali per esercitare influenza su altri paesi è certamente uno strumento da
utilizzare con prudenza, e deve essere controllato per evitare abusi, soprattutto in considerazione degli
squilibri economici tra paesi ricchi e poveri. Quindi è giusto che il WTO svolga un attento monitoraggio su
tali misure. Ma impedirle senza tener conto delle circostanze – anche in casi in cui ci siano numerose prove
affidabili di una distruzione ingiustificata e su larga scala delle foreste–priva le nazioni di un importante
strumento e le costringe di fatto a rendersi clienti e complici di chi opera la distruzione.
I verdetti del WTO si sono dimostrati pregiudizialmente contrari alle misure unilaterali. Tutte le dispute
sull’uso di misure commerciali a scopo ambientale hanno riguardato singoli paesi che avevano assunto tali
misure su base unilaterale. Purtroppo gli approcci multilaterali non sono sempre una strada praticabile, e a
volte passi unilaterali rappresentano l’unica strada percorribile. Nonostante un pregiudizio contro le misure
unilaterali ed una preferenza per gli decisioni multilaterali sia comprensibile nell’ottica della creazione di un
sistema commerciale basato su delle regole invece piuttosto che sul potere politico ed economico, il testo del
trattato non contiene elementi che giustifichino un veto assoluto alle misure unilaterali.
Il problema centrale non dovrebbe essere rappresentato dall’unilateralità o multilateralità di una misura
ambientale. Il WTO e le altre istituzioni internazionali coinvolte potrebbero invece adottare un approccio più
costruttivo, esaminando le misure in questione alla luce dei loro effetti tangibili. Se il WTO avesse
veramente a cuore lo sviluppo sostenibile, dovrebbe dotarsi di meccanismi in grado di creare il giusto
equilibrio di interessi, in modo che il fattore determinante sia quello della legittimità o meno della misura in
questione.
3.1.4 Le regole WTO restringono il divieto d’esportazione di tronchi grezzi
Diversi paesi, tra cui il Canada, gli Stati Uniti, il Camerun, la Cina e l’Indonesia hanno fissato dei limiti per
le loro esportazioni di tronchi grezzi. Le loro ragioni variano, ma spesso sono legate anche a politiche di
conservazione e sviluppo sostenibile. In particolare, i Paesi in Via di Sviluppo che cercano di compensare
gli effetti dell’aumento dei dazi sul legno lavorato o di aumentare la redditività delle proprie foreste hanno
vietato l’esportazione di tronchi grezzi per stimolare un’industria interna della prima lavorazione. Tuttavia,
secondo l’articolo GATT XI (Eliminazione generale delle restrizioni quantitative) tali restrizioni
all’esportazione non sono ammesse. Non è chiaro quali possano essere sul lungo termine le conseguenze di
queste esportazioni sulla sostenibilità. Queste dipendono in larga misura dalle circostanze specifiche del
paese in questione. Per esempio, il divieto all’esportazione dei tronchi in Indonesia, incentivando
eccessivamente l’industria locale della prima trasformazione del legno, ha portato ad una riduzione dei
prezzi del 40-50%, che ha ridotto la redditività della gestione sostenibile della foresta, e quindi potrebbe aver
causato un aumento del taglio di alberi12. Inoltre, esiste il rischio di un aumento di pressione sulle foreste di
altri paesi, per compensare la diminuzione di opportunità all’interno del paese cha ha imposto il divieto
(come per esempio nel caso della Cina). Ma è certo che le politiche di riduzione delle tariffe hanno abbassato
il prezzo dei tronchi grezzi, contribuendo a far fallire diverse politiche di afforestazione o di promozione di
buone pratiche forestali (vedi box 6).
11
La perdita di biodiverstià forestale ha rappresentato una priorità nel corso della sesta Conferenza delle Parti della Convenzione
sulla Biodiversità, tenutasi all’Aia, il 8-19 aprile 2002
12
FERN 2000.
22
IL WTO
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
Box 6: Politiche tariffarie e distruzione delle foreste in Asia
Uno studio degli economisti giapponesi M.Shimamoto e Y. Sekidei rivela come in diversi le misure volte
per assicurare la liberalizzazione del commercio abbiano portato ad una minaccia verso la protezione delle
foreste:
Filippine: negli anni ’60 e ’70 le Filippine esportavano importanti quantità di tronchi. A partire dagli anni
’80, esaurite le proprie risorse forestali, sono divenuti importatori. In questo periodo i fabbricanti di
compensato hanno iniziato ad impiegare legno di alberi piantati dagli agricoltori. Ovviamente hanno
utilizzato tale legno per gli strati interni, importando dall’estero tronchi per il rivestimento.
Successivamente, in risposta alla forte pressione internazionale, le Filippine hanno ridotto i dazi sulle
importazioni di compensato dal 50% (1995) al 20% (1997), abbassando i prezzi e togliendo ogni incentivo
per gli agricoltori a piantare alberi.
Thailandia. Tra il 1960 e il 1995 la Thailandia ha perduto oltre la metà delle proprie foreste, e si è
trasformato da paese esportatore a paese importatore di legname. Negli anni ’90 il governo ha
sovvenzionato diversi progetti volti alla restaurazione delle foreste, prevalentemente sovvenzionando gli
agricoltori che piantassero specie autoctone. Ma i progetti sono falliti, perchè nello stesso tempo il governo
aveva ceduto alla pressione verso la liberalizzazione del commercio e tolto ogni impedimento
all’importazione, e le segherie thailandesi hanno preferito acquistare legname di importazione, più
economico e di migliore qualità (i tronchi importati provenivano da alberi centenari di foreste primarie).
Indonesia L’Indonesia dispone ancora di foreste naturali ed è in grado di esportare prodotti per miliardi di
dollari, ma anche le sue foreste stanno rapidamente scomparendo. Nel corso degli anni ’90 il governo ha
abbassato le tasse sull’esportazione di legname, incrementando ulteriormente il taglio nelle residue foreste
primarie, legale e illegale. La corsa all’oro verde non ha risparmiato neppure i parchi nazionali, tanto che
l’Indonesia ha dovuto assumere misure drastiche, vietando prima l’esportazione di tronchi e poi anche
quella di segati.
Finora, non ci sono stati reclami formali presso il WTO contro divieti all’esportazione, basati sull’articolo
XX. È possibile che questo non sia avvenuto perché tali divieti non causano danni economici ai partner
commerciali, ma sembra che il Giappone abbia sollevato il problema del divieto all’esportazione di tronchi
alla Ministeriale di Seattle, sperando di far rimuovere il divieto al taglio di alberi nell’area nordoccidentale
del Pacifico13. È probabile che un giurì del WTO non accetti la tesi secondo cui le restrizioni al commercio
siano necessarie ad aiutare lo sviluppo sostenibile del paese esportatore, nel caso in cui il risultato sia
protezionistico. Visto che è molto difficile utilizzare tali misure senza sconfinare nel protezionismo, questa
regola del WTO minaccia di privare le nazioni di un importante strumento di conservazione o di sviluppo, a
seconda delle circostanze.
3.1.5 Le regole WTO minacciano di contrastare la certificazione volontaria delle foreste
La certificazione volontaria e indipendente delle foreste, se realizzata secondo standard efficaci, è uno
strumento efficace per la promozione della gestione sostenibile della foresta. Tuttavia, il suo status rispetto
alle norme WTO è definito male. È possibile che le norme WTO, se applicate alla certificazione e
all’etichettatura, arrivino a proibire la preferenza di prodotti che assicurano la sostenibilità ambientale o
sociale?
Lo strumento chiave è l’accordo WTO sulle Barriere Tecniche al Commercio (TBT). Nonostante una prima
dichiarazione a favore della protezione dell’ambiente, i membri del WTO non sono riusciti a decidere se
siano consentiti gli standard basati sui processi e metodi di produzione non legati al prodotto (PPM), su cui
non esiste un’intesa a livello internazionale (vedi Box 7).
13
FERN 2000.
23
IL WTO
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
Box 7: "Prodotti similari" e "PPM"
Uno dei temi chiave tra commercio e ambiente è costituito dall’approccio alle misure ambientali legate al
commercio, basate su processi e metodi di produzione di un dato prodotto (process and production methods PPM). Un punto centrale delle misure di non-discriminazione nel sistema commerciale è costituito dal
principio secondo cui tutti i prodotti 'similari' devono essere trattati in modo simile. La logica di questo
principio sembra incontrovertibile dal punto di vista del commercio. Non lo è invece da altri punti di vista
(ambiente, sviluppo ecc.). Innanzitutto bisogna chiarire cosa si intende per prodotti 'similari'.
Le leggi e i regolamenti ambientali spesso trattano non solo le caratteristiche del prodotto finale, ma anche il
modo con cui questo è stato ottenuto, ossia, coinvolgono le PPM.
Per PPM si intende i metodi di produzione o i processi che non hanno un influenza diretta sulla qualità del
prodotto o del servizio, ma che riguardano altri fattore: per esempio la certificazione forestale garantisce la
preservazione della foresta e il rispetto dei diritti di lavoratori e comunità locali, ma questa caratteristica non
influisce direttamente sulla qualità del legnane, e quindi potrebbe essere considerata arbitraria o scorretta
secondo le regole del WTO.
È ovvio che leggi finalizzate alla protezione ambientale si occupino anche di come un dato prodotto è stato
fabbricato (inquinando, distruggendo ecosistemi vitali, minacciando specie protette ecc.) e che il metodo di
produzione costituisca una discriminante tra prodotti accettabili e prodotti non accettabili.
Per esempio, la convenzione internazionale sulla biodiversità (CBD) richiede alle parti contraenti di
utilizzare incentivi per sostenere la protezione e l’utilizzo sostenibile delle risorse (articolo 11) per esempio
incentivando il legname proveniente da una gestione responsabile delle foreste. Mettendo in pratica le
indicazioni della CBD, i paesi potrebbero stabilire degli incentivi per il legname proveniente da buona
gestione forestale, ma in questo modo indicherebbero una preferenza commerciale verso alcuni prodotti, e di
conseguenza una discriminazione verso prodotti considerati 'similari' in base ai principi del WTO (benchè
provenienti dalla distruzione delle foreste) PPM. Ecco che una misura richiesta da una concezione
internazionale di alto livello come la CBD viene potenzialmente a configgere con le regole del WTO.
Il problema e se e in quale misura due prodotti le cui caratteristiche non siano sostanzialmente diverse alla
fine del processo produttivo possano esser trattati in modo diverso nel caso in cui le loro PPM siano diverse
(per esempio abbiano o meno causato gravi danni ambientali o sociali).
Il testo del GATT non contiene una definizione chiara del concetto di 'similare’ né lo hanno fatto le parti
contraenti del GATT o del WTO.
In assenza di una chiara direttiva politica, l’organo incaricato di appianare le dispute ha condotto verifiche di
caso in caso. Sono stati sviluppati diversi criteri per definire cosa è 'similare’ e cosa non lo è, che affermano
come 'similare’ non voglia dire 'identico'14. Ma nel migliore dei casi resta ambiguo se le differenze di PPM,
basate su convenzioni internazionali, siano consentite. Una più recente decisione del WTO sull’articolo III
GATT15 abbia allargato il concetto di 'similitudine’ indicando come sia appropriato prendere in
considerazione il rischio per la salute nel determinare tale 'similitudine’. L’organo di appello ha inoltre
sostenuto che l’estensione con cui i consumatori finali vogliono o potrebbero voler scegliere un prodotto
piuttosto che un altro costituisce una prova fortemente rilevante nel definire la 'similitudine’.
Questa mancanza di chiarezza non sarà pienamente eliminata fino a quando l’Articolo III non sarà esteso per
consentire i PPM, almeno quelli derivati dagli accordi multilaterali. Questo si può verificare solo a livello di
negoziati politici, e non nel contesto di una disputa in seno al WTO.
14
Vedi: JAPAN - TAXES ON ALCOHOLIC BEVERAGES, SPAIN - TARIFF TREATMENT OF UNROASTED COFFEE, 28th
Supp. BISD 102 (1982, JAPAN - CUSTOMS DUTIES, TAXES AND LABELLING PRACTICES ON IMPORTED WINES AND
ALCOHOLIC BEVERAGES, 34th Supp. BISD 83 (1988), Belgian Family Allowances (Allocations Familiales), GATT, 1st Supp.
BISD 59-62, 1953
15
WORLD TRADE ORGANIZATION, WT/DS135/AB/R, 12 March 2001, European Communities - Meaures Affecting Asbestos
and Asbestos-containing Products, AB-2000-11, Report of the Appellate Body.
24
IL WTO
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
L’Accordo TBT prevede delle regole per creare e far rispettare standard tecnici, inclusi quelli relativi alla
biodiversità, nell’ottica della riduzione delle barriere al commercio internazionale. L’Accordo TBT agevola
la creazione di standard internazionali, richiedendo ai membri che adottano regolamentazioni tecniche di
partecipare alla fissazione di standard internazionali per il prodotto in questione16. Viene richiesto ai membri
di adottare gli standard internazionali quando disponibili, a meno che questo non costituisca un sistema
inefficace o inappropriato per il raggiungimento di obbiettivi legittimi, compresi la protezione della salute o
della sicurezza umana, della vita o della salute animale o vegetale, o dell’ambiente17. Esiste quindi un valido
presupposto affinché una regolamentazione tecnica basata su standard internazionali e con uno scopo
legittimo non costituisca un ostacolo superfluo al commercio internazionale18. Nel caso in cui uno dei
membri decida di non seguire gli standard internazionali, l’Accordo impone requisiti procedurali e
sostanziali. Dal punto di vista procedurale, si invoca ripetutamente la trasparenza nella creazione degli
standard19. In pratica però, l’Accordo TBT richiede il rispetto degli obblighi relativi alla nazione più favorita
ed al trattamento nazionale e mira ad assicurare che gli standard non pongano più ostacoli del necessario al
commercio 20.
L’Accordo TBT riguarda i governi centrali, ma i governi sono tenuti ad adottare misure per assicurare che gli
organismi non governativi sotto la propria giurisdizione si adeguino al Codice di Buona Pratica allegato
(Code of Good Practices).
Dunque ancora una volta il problema è quello della definizione dei “prodotti simili”. Se l’Accordo TBT si
applica alla certificazione volontaria indipendente (e su questo non c’è accordo tra membri), potrebbe
escludere distinzioni basate su processi e metodi di produzione non legati al prodotto, cioè misure su PPM
che non fanno riferimento solamente alle qualità del prodotto finale, come la sostenibilità ambientale e
sociale. Tuttavia, le distinzioni basate processi e metodi di produzione non legati al prodotto sono
fondamentali per una certificazione credibile. Una recente relazione del FERN esprime così la questione:
Se la certificazione deve influenzare le scelte d’acquisto dei consumatori, il processo di certificazione deve
seguire un articolo attraverso l’intero processo di produzione, dalla foresta al banco di vendita. Afficnhé un
prodotto proveniente da una foresta certificata possa portare un marchio che garantisce la provenienza da
una foresta gestita in modo responsabile, è necessario certificare la “catena di custodia”(il processo lungo
tutta la filiera), compresi il trasporto dei tronchi, il trattamento preliminare, la spedizione ed i successivi
trattamenti. Per permettere ai consumatori di fare una scelta avente un impatto positivo, è essenziale una
catena di custodia affidabile. Senza di essa, non esiste niente che colleghi il prodotto alla foresta
certificata21.
Questi argomenti, come tanti altri, non si riferiscono alle caratteristiche del prodotto finale, ma piuttosto ai
metodi e ai processi produttivi non legati al prodotto.
Il Parlamento olandese si sta confrontando con questo problema. È infatti in discussione un progetto di legge
che richiede un marchio ecologico per tutti i prodotti in legno. Questi sarebbero dotati di un’etichetta verde
o rossa a seconda che siano stati prodotti o meno secondo i criteri di sostenibilità previsti dalla legge. Questi
criteri sono basati sugli standard Forest Steward Council (FSC) ed i consumatori sono liberi di decidere se
vogliono acquistare legno con etichetta verde o rossa. Tuttavia non è chiaro se questa proposta di legge
supererà il vaglio della seconda camera, il senato olandese. Uno degli ostacoli, sollevato dalla Commissione
Europea, sembra proprio consistere il eventuale incompatibilità di questa legge con le norme WTO. Allo
stesso modo il governo britannico ha varato una legge per gli acquisti pubblici finalizzata a combattere il
legno illegale e promuovere i prodotti sostenibili. Tale legge di basa sugli standard del Forest Steward
Council, e c’è già chi minaccia di fare ricorso al WTO.
16
Articolo 2.6 dell’Accordo TBT.
Articolo 2.2 and 2.4 dell’Accordo TBT.
18
Articolo 2.5 dell’Accordo TBT.
19
Articli 2.9, 2.11, 5.6, 5.8 e 10. dell’Accordo TBT.
20
Articles 2.1, 2.2 e 5.1 dell’Accordo TBT.
21
FERN 2001: 25.
17
25
IL WTO
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
IL WTO deve eliminare urgentemente e la una volta per tutte l’incertezza sulla compatibilità con le norme
WTO con schemi di certificazione come l’FSC. Il FSC raccoglie crescente consenso in tutto il mondo, e
persino programmi di approvvigionamento dei governi locali e nazionali sui prodotti forestali di paesi
membri del WTO hanno adottato i suoi standard. L’Accordo TBT può non riguardare questi schemi, o in
alternativa dovrebbe consentire le “PPM non legate al prodotto”.
Box 8: FSC, i 10 principi e criteri fsc per la buona gestione forestale
Il Forest Stewardship Council (FSC) basa la certificazione su un set di Principi e Criteri che devono
caratterizzare il prodotto. In una foresta certificata FSC la gestione rispetta i seguenti principi:
1.
2.
3.
4.
Rispetto delle leggi nazionali in vigore nonché dei trattati e degli accordi internazionali.
Riconoscimento e tutela della proprietà e dei diritti d’uso della terra e delle risorse forestali.
Riconoscimento e tutela dei diritti delle popolazioni indigene che dipendono dalla foresta.
Rispetto dei diritti dei lavoratori e delle comunità locali, con attenzione alla sicurezza sul lavoro e al
benessere economico e sociale.
5. Promozione di un uso efficiente dei molteplici prodotti, servizi e benefici ambientali e sociali che
derivano dalla foresta.
6. Conservazione della biodiversità, tutela del paesaggio, delle funzioni ecologiche, della stabilità e
dell’integrità della foresta.
7. Attuazione di un piano di gestione forestale adatto alla scala e all’intensità degli interventi, con chiari
obiettivi di lungo periodo.
8. Monitoraggio e valutazione della foresta, delle attività di gestione e dei relativi impatti.
9. Conservazione delle foreste di grande valore ecologico-naturalistico, con importanti funzioni
protettive o di grande significato storico-culturale.
10. Gestione delle piantagioni forestali in accordo con i Principi precedenti, in modo da ridurre la
pressione sulle foreste naturali e di promuoverne il ripristino e la conservazione22.
3.1.6 Le norme WTO non sostengono pienamente il Principio Precauzionale alla
protezione delle foreste, in particolare delle foreste primarie.
Nonostante asseriscano di favorire lo sviluppo sostenibile, le norme WTO non lasciano molto margine di
manovra per applicare uno dei principi di base dello sviluppo sostenibile: il Principio Precauzionale.
Questo risulta evidente nell’applicazione dell’Accordo sui regolamenti sanitari e fitosanitari (SPS). Tale
accordo disciplina le misure che i membri WTO possono adottare per proteggere la propria biodiversità da
specie aliene, che minacciano anche le foreste. L’accordo SPS stabilisce il diritto dei membri di assumere
misure SPS, e norme disciplinari miranti a prevenire il protezionismo economico ed a minimizzare l’impatto
negativo sul commercio. Queste norme disciplinari dovrebbero basarsi sulla valutazione dei rischi, e
potrebbero non risultare coerenti con il principio di precauzione. È importante notare che l’SPS non
contiene gli abituali principi GATT di “nazione più favorita” e “trattamento nazionale”, il che significa che
non concede ai paesi il diritto di discriminare contro prodotti d’importazione. Ecco perché cerca di
disciplinare la portata delle misure assunte dalle nazioni, ed il processo su cui esse si basano. Tuttavia,
queste norme disciplinari si spingono troppo oltre, in quanto non assicurano alle nazioni il diritto di adottare
misure precauzionali per proteggere la propria biodiversità.
L’Accordo SPS richiede che le misure SPS siano applicate solo nella stretta misura necessaria e mai in
assenza di sufficienti prove scientifiche23. L’Articolo 3 presuppone la coerenza tra gli standard
internazionali; i membri hanno un certo margine di manovra per l’adozione di standard più rigidi di quelli
vigenti a livello internazionale “se vi è giustificazione scientifica, o in conseguenza del livello di protezione
sanitaria o fitosanitaria che un paese membro giudica appropriata in seguito alle procedure di valutazione dei
22
Vedi: FSC Principles and Criteria
http://www.fscoax.org/principal. htm.
23
Accordo SPS, Articolo 2.
26
for
Forest
Stewardship,
Versione
del
2000.
Disponibile
presso
:
IL WTO
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
rischi24. L’Articolo 5 stabilisce i requisiti per le procedure di valutazione dei rischi e disciplina le modalità
con cui i membri determinano il livello di protezione appropriato. Sono concesse delle misure provvisorie
quando le prove scientifiche non sono sufficienti, ma devono essere riviste dal entro un ragionevole lasso di
tempo 25. Nel 1997 fu trattato al WTO il primo caso riguardante l’Accordo SPS: si trattava delle misure della
Comunità Europea sulla carne e sui prodotti derivati dalla carne (relative alla presenza di ormoni). Il ricorso
proveniva dagli Stati Uniti e dal Canada e riguardava il divieto d’importazione all’interno della Comunità
Europea di manzo trattato con ormoni promotori della crescita. Secondo l’accusa, questa misura violava, tra
gli altri, l’Accordo SPS. La giuria sentenziò che la CE non soddisfaceva i requisiti minimi procedurali e
sostanziali per la valutazione dei rischi, previsti dall’Articolo 5.1. Non venne ritenuta valida la linea di difesa
della CE secondo basata sul principio precauzionale. Inoltre, in quanto non basate su standard internazionali
in vigore, le misure furono giudicate in violazione dell’Articolo 3.126.
24
Accordo SPS, Articolo 3.3.
Accordo SPS, Articolo 5.7.
26
WORLD TRADE ORGANIZATION, WT/DS26/R/USA, 18 August 1997, EC Measures Concerning Meat and Meat Products
(Hormones), Caso sollevato dagli Stati Uniti.
25
27
IL WTO
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
Box 9: Il principio precauzionale e approccio ecosistemico
Uno dei fondamenti dell’approccio ecologista, è rappresentato dal 'principio precauzionale’. Questo principio dovrebbe
però essere riconosciuto universalmente, in quanto riaffermato in diversi ambiti internazionali27. Il principio è stato
innanzitutto adottato dalla Conferenza delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo (Rio de Janeiro, 1992): "Al fine di
proteggere l' ambiente, l'approccio precauzionale sarà ampiamente applicato dagli Stati secondo le loro capacità.
Quando vi sono minacce di danni seri o irreversibili, la mancanza di una piena certezza scientifica non sarà adottata
come una ragione per posporre misure efficaci in rapporto ai loro costi che prevengano il degrado ambientale"
(principio 15) 28.
La dichiarazione di Rio riprende in buona misura la dichiarazione adottata a Bergen nel 1990 dai ministri di 34 paesi
della regione della Commissione Economica delle Nazioni Unite per l'Europa e dalla Comunità Europea: "Al fine di
raggiungere uno sviluppo sostenibile, le politiche devono essere basate sul principio precauzionale. Le misure
ambientali devono prevedere, prevenire e attaccare le cause del degrado ambientale. Quando vi sono minacce di danni
seri o irreversibili, la mancanza di una piena prova scientifica non dovrebbe essere usata come una ragione per posporre
misure che prevengano il degrado ambientale" (principio 7).
Il principio precauzionale è stato ulteriormente ridefinito nel gennaio 98 nell'incontro scientifico di Wingspread, (presso
la Johnson Foundation): "quando un'attività comporta pericoli per la salute umana o per l'ambiente, deve essere adottato
l'approccio precauzionale anche se qualora diversi rapporti di causa effetto non siano stati scientificamente chiariti. In
questo contesto, chi promuove
Il Principio precauzionale entra in vigore non appena venga rilevata la presenza di un forte rischio, ma non prescrive
esattamente quali azioni debbano essere intraprese in una data situazione. In genere il compito di fornire prove
scientifiche è a carico di chi contesta la validità scientifica del rischio stesso.l'attività è tenuto a fornire le prove, non il
pubblico".
Quest’ultimo aspetto non si ritrova nelle regole del WTO. Al contrario, in molti casi è il paese membro che ha adottato
una specifica misure di protezione a dover fornire prove scientifiche che dimostrino come tali misure siano in accordo
dell’articolo XX del GATT. Il WTO deve riconoscere pienamente la validità del principio precauzionale, e sancire che
il carico della prova scientifica ricada sul membro che fa ricorso contro misure stabilite da altri membri per proteggere
la salute o l’ambiente. Nel caso di restrizioni al commercio verso un prodotto o sostanza che non dovrebbe essere
impiegata (per esempio sostanze indicate da accordi multilaterali ambientali), il membro che fa ricorso contro tali
restrizioni deve provarne la piena sicurezza.
L'approccio ecosistemico
L'approccio ecosisemico è stato adottato dalla Convenzione sulla Biodiversità nel maggio 2000. Si tratta di una
approccio strategico alla gestione del suolo, dell'acqua e delle risorse viventi, finalizzato alla promozione di un utilizzo
sostenibile in forma equa. Il suo scopo è bilanciare i tre obiettivi della Convenzione sulla Biodiversità: conservazione,
uso sostenibile e condivisione giusta ed equa dei benefici ricavati dalle risorse genetiche
L'approccio ecosisemico si basa sull'applicazione di appropriate metodologie scientifiche, focalizzate sul piano
dell'organizzazione biologica, comprendente la struttura essenziale, i processi, le funzioni, e le interazioni tra gli
organismi e il loro ambiente. Riconosce inoltre l'uomo, con tutta la sua diversità culturale, come parte integrante di
molti ecosistemi.
Questo significa che tutte le decisioni e i progetti debbono essere valutati su base ecosistemica (appendice 1).
L'approccio ecosisemico consiste in 12 principi e 5 linee guida operazionali, che devono essere tenute in considerazione
nell'elaborazione di progetti e politiche (per es. progetto di sviluppo).
L'approccio ecosisemico non è un progetto, ma uno strumento per valutare la correttezza ambientale di tutte le decisioni
e politiche intraprese da un'agenzia governativa, da un ente sopranazionale, o da qualsiasi altro soggetto.
Successivamente, n sede d’appello, l’organo di appello del WTO ha sentenziato che l’Accordo SPS consente
alla CE di stabilire, su basi scientifiche, un livello di protezione del consumatore più elevato rispetto agli
standard internazionali e che queste misure non “escludono a priori dal campo della valutazione dei rischi
fattori non compatibili con analisi quantitative...”. L’Organo di Appello ha anche revocato l’imposizione
della giuria che aveva voluto che l’onere della prova pesasse sul querelante, che doveva dunque dimostrare
che le misure CE non erano conformi agli standard internazionali. L’Organo di Appello ha sentenziato che la
valutazione dei rischi non deve necessariamente costituire una procedura monolitica, ma può tenere in
27
Vedi:1987 Conferenza ministeriale per la protezione del Mare del Nord, Convenzione di Londra (London Dumping Convention),
Convenzione per la Protezione dell’Ambiente Marino nel Nord Est Atlantico, Convenzione per la Protezione dell’Ambiente Marino
nell’Atlantico Nord-orientale, Convenzione sulla Biodiversità, Protocollo di Kyoto, Protocollo di Cartagena sulla Biosicurezza,
Accordo sulle Specie Marine Migratorie (Agreement on Straddling and Highly Migratory Fish Stocks).
28
Vedi: Principio 15 della Dichiarazione di Rio sull’Ambiente e lo Sviluppo del 1992.
28
IL WTO
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
considerazione sia il punto di vista sia della scienza ufficiale sia le “voci fuori dal coro”, soprattutto in caso
di rischio elevato. L’Organo di Appello ha espresso l’opinione secondo cui il Principio Precauzionale non
potesse prevalere sull’Accordo SPS per giustificare obblighi che altrimenti avrebbero mancato in coerenza
ma che, comunque, tale principio si rifletteva in diverse disposizioni dell’Accordo. Nonostante questo
parziale riconoscimento del Principio Precauzionale nel WTO, l’Organo di Appello non rovesciò la
conclusione finale della giuria, e giudicò che il bando alle importazioni CE infrangeva l’Accordo SPS29.
Nel 2000, le Comunità Europee sottoposero una comunicazione sul Principio Precauzionale ai diversi
organismi WTO, inclusi i comitati CTE, TBT e SPS30. Le reazioni sollevate sono significative. Osservando
che il Principio Precauzionale costituisce un principio di diritto internazionale, la CE notò che esso riguarda
decisioni sull’ambiente e sulla salute umana, animale o vegetale. Nella comunicazione si sosteneva che ogni
MEA ha il diritto di stabilire il livello di protezione che considera appropriato, e che il principio di
precauzione è uno strumento chiave in questa ottica, soprattutto per quanto riguarda la gestione dei rischi e la
valutazione del livello di rischio appropriato. Nella comunicazione viene delineata una serie di criteri a cui
dovrebbero adeguarsi le misure basate sul principio di precauzione: proporzionalità, non-discriminazione,
coerenza, rapporto utile costi/benefici (inclusa la possibilità della non-azione); esse devono essere soggette
ad esami, e in grado di assegnare la responsabilità della produzione delle prove scientifiche necessarie. La
Commissione Europea pubblicava nel luglio 2001 un secondo documento sul Principio Precauzionale, in cui
si afferma che un nuovo ciclo di negoziati commerciali multilaterali dovrebbe chiarire la relazione tra norme
WTO e regole cautelative31.
Nel corso delle discussioni che seguirono, il Giappone si dichiarò incerto sulla relazione tra il principio di
precauzione e l’accordo sanitario e fitosanitario WTO; inoltre, il Giappone e Honk Kong sottolinearono la
necessità di chiarire su chi pesi l’onere della prova in caso di misure cautelative. Questo dimostra
l’ambiguità del rapporto principio di precauzione e regole del WTO.
Di fatto, nonostante la chiara posizione negoziale dell’Unione Europea, ancora manca una posizione chiara
del WTO in merito all’applicazione del Principio Precauzionale. L’unica implicazione potenziale del
Principio Precauzionale è un’affermazione contenuta nell’introduzione del programma di lavoro del WTO,
che riconosce ai membri il diritto di prendere misure per proteggere la salute umana, animale o vegetale,
purché queste non provochino distorsioni al commercio o contravvengono le norme WTO 32. Anche se
queste includessero misure basate sul Principio Precauzionale, non è chiaro quanto questa affermazione sia
giuridicamente vincolante. Nel frattempo, il Commissario al Commercio UE Pascal Lamy ha scritto al
Rappresentante al Commercio USA Robert Zoellick il 14 novembre 2001, per assicurare che l’UE non
cercherà di alterare il rapporto diritti/obblighi dei membri WTO per quanto riguarda il principio
precauzionale33.
3.1.7 Le norme WTO limitano la piena protezione del sapere tradizionale dei popoli e delle
comunità delle foreste
Diversi strumenti internazionali affermano il valore del sapere tradizionale, come la convenzione 169 sui
popoli indigeni dell’Ufficio Internazionale del Lavoro (ILO) ed il progetto di Dichiarazione ONU sui popoli
indigeni. Come riconoscono il Gruppo di esperti Intergovernativo sulle Foreste (IPF) ed il Forum
Intergovernativo sulle Foreste (IFF), queste conoscenze costituiscono una importante componente della
gestione sostenibile delle foreste, e dunque vanno salvaguardate34. Gli indigeni e le comunità locali sono
29
WORLD TRADE ORGANIZATION, WT/DS26/AB/R, WT/DS48/AB/R, 16 January 1998, , EC Meaures Concerning Meat and
Meat Products (Hormones), Report of the Appellate Body.
30
WORLD TRADE ORGANIZATION, WT/CTE/W/147, G/TBT/W/137, 27 June 2000, Committee on Trade and Environment:
COMMUNICATION FROM THE EUROPEAN COMMISSION ON THE PRECAUTIONARY PRINCIPLE. Sollevato dalle
Comunità Europee.
31
Commissione Europea, DG Trade: Precaution in the WTO - EC position paper, 24 July 2001. Disponibile presso
http://europa.eu.int/comm/trade/miti/envir/prec.htm.
32
Paragraph 7 of the Doha Declaration. See: WTO 2001a.
33
Multilateral Environment Agreements and Precaution, Corrispondenza di Pascal Lamy con Robert Zoellick, Benny Haerlin,
Greenpeace
International,
Brussels,
novembre-dicembre
2001.
Disponibile
presso
http://europa.eu.int/comm/trade/miti/envir/ustr.htm. Secondo l’Unione Europea, l’approccio precauzionale si riflette nel WTO,
benché molti Stati Membri siano di parere diverso.
34
Più generalmente, l’articolo 8(j) della CBD riconosce l’importanza dei saperi tradizionali nella protezione della diversità biologica.
29
IL WTO
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
spesso custodi della biodiversità, e proteggere le loro conoscenze è un incentivo importante per far sì che
continuino a preservare la biodiversità. Tuttavia, il WTO non solo non prevede alcun meccanismo per
proteggere le conoscenze tradizionali, ma addirittura limita gli strumenti disponibili per il riconoscimento e
la protezione delle conoscenze tradizionali, attraverso l’Accordo sulle Proprietà Intellettuali (TRIPS). Tale
accordo rischia di coprire la biopirateria da parte di individui privi di scrupoli che richiedano brevetti per
invenzioni basate su conoscenze tradizionali. In effetti, molti paesi sviluppati stanno usando l’Accordo
TRIPS per impedire alle nazioni di richiedere il consenso del paese d’origine in caso di richieste di brevetto
basate su risorse genetiche.
L’Accordo TRIPS si basa su diritti di proprietà intellettuale convenzionali (secondo la logica occidentale,
ossia basate sulla conoscenza individuale) che non sono adatti a proteggere la natura collettiva e spesso orale
delle conoscenze tradizionali di molti popoli indigeni. Mira a creare una serie di regole minime ma forti e
approvate a livello internazionale per la tutela ed il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale (IPR). Gli IPR
di competenza dell’Accordo TRIPS includono brevetti, copyright, segreti commerciali ed indicazioni
geografiche.
L’Articolo 27(2) richiede che siano disponibili brevetti per tutte le invenzioni, ma aggiunge che
I membri possono escludere dalla brevettabilità invenzioni nel caso in cui si renda necessario impedire lo
sfruttamento commerciale all’interno del proprio territorio, per proteggere l’ordine pubblico o la moralità,
compresa la tutela della vita o salute umana, animale o vegetale, o per evitare seri danni all’ambiente, a
condizione che questa esclusione non venga sanzionata esclusivamente perché lo sfruttamento è proibito
dalla legge.
Questa misura usa la soglia della necessità e dell’emergenza, che probabilmente crea uno standard troppo
elevato la maggior parte delle misure ambientali. Secondo precedenti casi nel GATT, per essere
“necessaria” una misura deve impiegare le misure “meno restrittive possibile verso il commercio”35. In teoria
esistono sempre strumenti con minore impatto sul commercio, ma spesso non sono efficaci. Permettere ad
un forum sul commercio, come il WTO, di assumere questa decisione significa che nella maggior parte dei
casi i criteri del commercio avranno la prevalenza su sui criteri ambientali.
Particolarmente importante per la biodiversità forestale è l’articolo 27.3(b), che afferma che i membri hanno
facoltà di escludere dalla brevettabilità anche
“piante ed animali diversi dai microrganismi, e processi essenzialmente biologici per la produzione di
piante o animali diversi dai processi non-biologici e microbiologici. Tuttavia, i membri dovranno stabilire
delle misure per la tutela delle varietà vegetali, tramite brevetto, o tramite un sistema sui generis efficace, o
tramite una combinazione dei due”.
I criteri per determinare cosa si intende per “efficace” in questo contesto non sono ancoraq stati definiti.
Resta da vedere se il WTO interpreterà come “efficaci” misure che portano alla protezione della biodiversità
forestale e delle conoscenze indigene.
Nella Dichiarazione di Doha si prevede che il Consiglio TRIPS esamini il rapporto tra l’Accordo TRIPS e la
Convenzione sulla Biodiversità (CBD)36. Tuttavia, non è scontato che si giunga ad un accordo su questa
questione, viste le discussioni che si sono svolte in passato in seno al WTO, ed inoltre, manca un
riconoscimento di equivalente status giuridico della CBD per quanto riguarda questi problemi.
3.1.8 Le regole WTO potrebbero ostacolare misure contro il taglio illegale del legname
Il taglio illegale del legname, ed il commercio di prodotti forestali tagliati illegalmente, sono un problema
internazionale di importanza crescente37.
35
Vedi il caso “Tuna-Dolphin”
Paragrafo 19 della Dichiarazione di Doha. Vedi: WTO 2001a.
37
Vedi Greenpeace 2001a.
36
30
IL WTO
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
Box 10: il legno illegale
Il commercio di legno illegale, oltre ad essere il frutto di pratiche forestali irresponsabili, è divenuto un
vero e proprio motore della distruzione delle foreste. Difatti, mentre le attività illegali distruggono preziosi
ecosistemi, la presenza sul mercato di stock di legname a basso prezzo impedisce uno sfruttamento
sostenibile delle foreste perché risulta troppo caro sul mercato. Per esempio, diversi legni provenienti da
foreste millenarie non costano di più di legni similari di casa nostra. Secondo l'OCSE il giro d'affari legato
ai traffici internazionali di legno illegale si aggira intorno ai 150 miliardi di dollari annui 38.
Combattere il legno illegale è un primo passo per fermare la distruzione delle foreste primarie e avviare un
utilizzo ecologicamente sostenibile delle risorse forestali. La diffusione del legno illegale è causata purtroppo
anche dalla mancanza di scrupoli in larghe parti del mercato internazionale del legno. Il nostro paese è il
primo esportatore mondiale di mobili in testa a testa con la Cina (esportazioni nel 2002 1.932.230 di
tonnellate pari a 8.409.638 dollari 39).
Attorno a questa industria girano in Italia oltre miliardi di Euro ogni anno (37.170 milioni di Euro di
fatturato alla produzione nel 200340). Oltre l’80% del legno che impiega è di importazione e i prodotti
forestali sono la terza voce dell’import nazionale (dopo i comparti agroalimentare ed energetico). Nel 2003
l’Italia ha importato legname tropicale per oltre 700.000 metri cubi tra tronchi e segati41. Oltre la metà del
legno proveniente dai paesi di produzione è probabilmente legato a pratiche illegali42.
Greenpeace chiede l’adozione di misure che vietino l’importazione di legno illegale, con controlli alla
frontiera legati all’obbligo di dimostrare l’origine legale dei prodotti a base di legno, ed il diritto di sequestro
dei carichi di origine illegale o incerta. L’argomentazione favorita da parte dei commercianti di legno illegale
è che tale legge contrasterebbe i principi del WTO 43.
In quanto organizzazione basata interessata a regolamentare e armonizzare il commercio internazionale, il
WTO dovrebbe avere un sincero interesse nella lotta al commercio del legno illegale, ma sembra vero
l’opposto. Più volte gli analisti del settore hanno denunciato il traffico di legno illegale come una vera e
propria piaga per il commercio internazionale: la presenza massiccia di stock di legname a basso costo crea
un vero e proprio effetto dumping, e mette in seria difficoltà tutti gli operatori che non vi partecipano, oltre a
rendere praticamente impossibile qualsiasi progetto di gestione sostenibile della foresta, o anche il solo
rispetto pieno della legalità.
Certo, il WTO non obbliga i paesi membri ad importare prodotti illegali, ma impedisce loro di mettere in
pratica diverse misure per combattere il commercio di legno illegale, il che significa indirettamente favorirlo,
dato che il legno illegale è di per sé molto più competitivo sui mercati.
Per esempio, anche in presenza di prove che dimostrano che la maggioranza di esportazioni di legname di
una nazione proviene dal taglio illegale, un paese non può vietarne l’importazione, a rischio di violare le
norme GATT. Anche se tale misura costituirebbe un modo efficace per combattere il taglio illegale –
togliendo lo sbocco sul mercato a coloro che tagliano il legno illegalmente – il paese importatore
rischierebbe una denuncia presso il WTO da parte del paese esportatore, per avere posto restrizioni in modo
arbitrario. Il risultato è che un paese che desidera combattere il taglio illegale del legname si trova
confrontato all’onere irrealistico di dover provare che ogni singolo particolare carico di legname provenga da
fonte illegale, prima di vietargli l’ingresso, cosa praticamente impossibile, data la mancanza di trasparenza
38
OECD Environmental Outlook (Parigi: OCSE, 2001), p. 122.
USDA - GAIN REPORT 3003 http://www.fas.usda.gov/gainfiles/200312/146085461.pdf
40
Centro Studi Cosmit / Federlegno Arredo 2004
41
Dati ISTAT elaborati da Fedecomlegno – Statistiche anno 2003
42
Duncan Brack and Gavin Hayman (2001) Intergovernmental Actions on Illegal Logging. Royal Institute of International Affairs;
Duncan Brack, Gavin Hayman and Kevin Gray (2002) Controlling the International Trade in Illegally Logged Timber and Wood
Products. Royal Institute of International Affairs. Entrambi disponibili all’indirizzo www.riia.org/sustainabledevelopment
43
Vedi comunicato stampa di 6 decembre 2001: “il governo brasiliano blocca il commercio di mogano in seguito alle investigazioni
condotte dal Greenpeace” e del 31 ottobre 2001: ,“sequestrati in Amazzonia sette milioni di dollari di oro verde”:
http://www.greenpeace.it e http://www.greenpeace.org/amazon.
39
31
IL WTO
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
che circonda i traffici di legno illegale. Inoltre, come già spiegato, le regole WTO possono anche sabotare
uno degli strumenti più efficaci per combattere il taglio illegale: la certificazione forestale.
3.2. IL WTO non sostiene politiche commerciali volte ad una gestione sostenibile della
foresta
Oltre ad interferire con le misure miranti ad una gestione sostenibile delle foreste, le norme WTO limitano
nei fatti le politiche commerciali volte a favorire una gestione sostenibile delle foreste.
Questo in parte è intenzionale, ed in parte risultato della più generale “ideologia” del WTO della
liberalizzazione del commercio ad ogni costo. Ma anche le politiche di lungo periodo possono portare
ricadute dannose: per esempio, la riduzione dei prezzi spesso causata dalla liberalizzazione del commercio,
sembra favorire il consumatore nel breve periodo, ma porta al sovrasfruttamento delle foreste, e al loro
esaurimento nel lungo periodo, per non parlare dei costi ambientali che saranno presto o tardi scaricati sulla
collettività. Il problema è che non esiste alcun meccanismo in grado di legare il valore reale di beni e servizi
forestali sui prezzi. Il risultato è che le transazioni di oggi vanno a scapito dei consumatori di domani.
Inoltre, la liberalizzazione del commercio è spesso accompagnata da una riduzione del potere di gestione e
degli introiti dello Stato, il che priva i paesi, soprattutto quelli in via di sviluppo, di mezzi necessari per
realizzare un’efficace politica di conservazione forestale, così a combattere l’illegalità e a promuovere
politiche di sviluppo di lungo periodo.
3.2.1 Le regole WTO non consentono di accordare un trattamento commerciale
preferenziale a prodotti provenienti da fonti gestite in modo responsabile
Affinché il commercio abbia un impatto positivo sull’ambiente, deve essere sostenuto da un più vasto
pacchetto di incentivi verso un comportamento ecologicamente o socialmente responsabile. Nell’ambito
forestale, questo significa concedere maggiori opportunità commerciali a prodotti della provenienti da
foreste gestite in modo sostenibile che generino benefici per le comunità locali e per gli altri custodi della
biodiversità forestale.
Purtroppo il sistema del WTO non è proprio non concepito per questi obiettivi. L’Articolo III GATT
proibisce di discriminare un prodotto importato rispetto a prodotti locali “simili”, e allo stesso modo vieta di
garantirgli un trattamento favorevole. Inutile dire che il criterio di “similarità” è considerato solo dal punto
di vista commerciale: un metro cubo di legno proveniente da foreste certificate ed uno (della stessa specie)
estratto illegalmente o con metodi comunque distruttivi, per il WTO sono da considerarsi “simili”. In pratica
si impedisce ai governi di concedere un trattamento preferenziale a prodotti forestali provenienti da foreste
gestite in modo responsabile.
Una eccezione è il sistema di preferenza generalizzato (GSP), che può essere offerto ai Paesi in Via di
Sviluppo dai paesi sviluppati. Per esempio, il programma GSP dell’Unione Europea è definito dal
Regolamento del Consiglio (CE) N° 2820 del 21 dicembre 1998, che stabilisce uno schema pluriennale di
agevolazioni tariffarie generalizzate per il periodo 1 luglio 1999 – 31 dicembre 2001. Il Titolo II stabilisce
degli accordi incentivi speciali di agevolazione aggiuntiva fino al 35% a seconda del prodotto, per paesi che
applicano degli standard per la protezione dei lavoratori e dell’ambiente. Ma questa eccezione non consente
di individuare sul mercato e di premiare il legname estratto secondo principi di buona gestione forestale.
Nonostante gli unici criteri ambientali stabiliti nel regolamento si riferiscano alle foreste (e rimandino ai
criteri per la gestione forestale sostenibile dell’Organizzazione Internazionale del Legno Tropicale, ITTO),
questi non sono mai stati applicati. Solo tre paesi hanno richiesto le agevolazioni in virtù della clausola sulla
protezione dei lavoratori. Ciò potrebbe essere dovuto alla complessa trafila necessaria per la richiesta.
La Commissione Europea ha già presentato delle proposte per nuovo regolamento44 che non citano più in
modo specifico i criteri dell’ITTO, il che rappresenta un progresso, perché è assai improbabile che i criteri
ITTO siano sufficienti a valutare una buona gestione forestale. La Commissione propone di concedere le
agevolazioni a legislazioni interne che applicano in modo efficiente la giurisdizione interna incorporando gli
44
Proposta di Regolamento in applicazione allo schema di preferenze tariffarie per il periodo dal 1 gennaio 2002 al 31 dicembre
2004 (presentata dalla Commissione, Brussels, 12.6.2001, COM(2001)293 final, 2001/0131(ACC)).
32
IL WTO
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
standard e le linee guida sulla gestione sostenibile delle foreste riconosciuti a livello internazionale45, e che
incoraggia ulteriormente l’impiego di sistemi di certificazione forestale indipendente46.
3.2.2 IL WTO non consente maggiori sussidi per adattare l’economia ai nuovi regolamenti
ambientali
Il sovvenzionamento dell’industria forestale è uno dei maggiori motori di sfruttamento, sovrasfruttamento e
distruzione delle foreste. D’altra parte il sostegno governativo i progetti di buona gestione forestale
dovrebbe essere accolto con favore. Ancora una volta, l’Accordo WTO su sussidi e misure compensative si
guada bene dal proibire i sussidi a progetti distruttivi per l’ambiente, mentre vieta i sussidi a progetti
improntati alla sostenibilità. L’Articolo 8.2(c) era abbastanza promettente, in quanto permetteva l’assistenza
per sostenere l’adattamento delle strutture esistenti ai nuovi requisiti ambientali richiesti dalla legge e/o da
regolamenti che impongono limitazioni ed oneri finanziari alle industrie. Sfortunatamente, questa misura era
temporanea, e non è stata più prorogata. La Decisione assunta a Doha sulle politiche di implementazione,
prende in considerazione una proposta da parte dei Paesi in Via di Sviluppo mirante a raggiungere degli
obbiettivi legittimi a livello sviluppo, per esempio per fare in modo che “sviluppo ed applicazione di metodi
di produzione ecologici siano considerati non perseguibili” (il che significa che nessun MEA può presentare
reclamo contro di essi)47. Questo sarà oggetto di discussione in seno al Comitato WTO sui sussidi e sulle
misure compensative.
3.2.3 IL WTO manca di trasparenza:
partecipazione di tutte le parti interessate
il processo decisionale non prevede la
Nonostante miglioramenti significativi rispetto al GATT, il WTO resta ancora tutt’altro che trasparente.
Questa mancanza di trasparenza è un evidente ostacolo allo sviluppo sostenibile, che prevede che tutte le
parti interessate partecipino al processo decisionale (vedi, per esempio, il Principio 10 della Dichiarazione di
Rio sull’Ambiente e sullo Sviluppo, e l’Agenda 21). Il segretariato WTO ha intraprese delle misure per
facilitare l’accesso alla documentazione – per esempio attraverso il sito internet, o convocando dei incontri
con le ONG. In effetti, la Dichiarazione di Doha richiede di promuovere una maggiore cooperazione tra il
WTO e le principali organizzazioni ambientaliste e di sviluppo48. Tuttavia, il meccanismo di funzionamento
dell’organizzazione continua a non consentire ad osservatori di assistere alle delibere, il che diverge
sostanzialmente dalla normativa che regola l’amministrazione internazionale. In effetti, non solo si nega
l’accesso alle ONG, ma anche organismi intergovernativi, come il Segretariato CBD, non sono ammessi ai
consigli WTO ed ai comitati che riguardano specificamente i loro mandati, come il Comitato Agricoltura ed
il Consiglio TRIPS. Molti Paesi in Via di Sviluppo sono esclusi da importanti processi decisionali che si
svolgono nella Green Room, nonostante il fatto che il WTO dovrebbe lavorare come istituzione basata sul
consenso ed i Paesi in Via di Sviluppo sono la maggioranza. Questo si è reso stato particolarmente evidente
nel corso dei vertici ministeriali di Seattle e di Cancan, dove i Paesi in Via di Sviluppo, sentitisi esclusi,
hanno contribuito a bloccare il lancio di un nuovo ciclo di negoziati.
Di recente, hanno infuriato le controversie riguardanti la presentazione all’organismo di risoluzione delle
dispute, di memorie da parte di soggetti esterni alla trattativa (amicus curiae). La pratica di ammettere
queste memorie – per esempio da parte di associazioni e organizzazioni della società civile - è comune in
molti paesi. Tuttavia, quando l’organismo di risoluzione delle dispute ammise, in linea di principio, questi
contributi, molti Paesi in Via di Sviluppo protestarono, facendo notare che venivano garantiti più diritti alle
ONG che a gran parte degli Stati membri WTO. È ben comprensibile la frustrazione dei Paesi in Via di
Sviluppo, molti dei quali non hanno la capacità di seguire ed intervenire in tutte le tribune WTO che li
riguardano. Tuttavia, ridurre il diritti di intervento delle ONG è stato più un auto-goal che una soluzione:
infatti le organizzazioni della società possono apportare dei preziosi punti di vista. È altrettanto reale però
l’urgenza di migliorare la capacità dei Paesi in Via di Sviluppo di rappresentare efficacemente i propri
interessi presso tutti gli organismi WTO. Purtroppo, benché l’organismo per la risoluzione delle dispute
45
Articolo 23(2) della Proposta di Regolamento in applicazione allo schema di preferenze tariffarie.
Articolo 24(1) della Proposta di Regolamento in applicazione allo schema di preferenze tariffarie
47
Paragrafo 10.2 della “WTO DECISION ON IMPLEMENTATION-RELATED ISSUES AND CONCERNS”. Vedi WTO 2001b.
48
Paragrafo 6 della Dichiarazione di Doha. Vedi: WTO 2001a.
46
33
IL WTO
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
abbia consentito interventi per il caso “gamberetti-testuggini”, ha misteriosamente escluso le ONG nel
recente caso Amianto – un ripensamento diplomatico alla luce delle controversie politiche.
3.2.4 La filosofia operativa WTO non sostiene gli interessi dei Paesi in Via di Sviluppo, e
dunque impedisce una reale intesa sui problemi ambientali.
La natura del WTO fa sì che gli accordi siano basati sulla contrattazione. Troppo spesso principi ambientali
e sociali diventano mero oggetto di mercanteggiamento. Un caso tipico di questo fenomeno è rappresentato
dall’Accordo di partenariato tra UE e Paesi in Via di Sviluppo dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP)
di Cotonou, che per un lungo periodo non ha ricevuto un sostegno sufficiente per un atto di rinuncia WTO,
necessario per renderlo attivo. Questo era dovuto alla disputa UE-USA sulle banane ed al fatto che l’UE
voleva assicurarsi il sostegno dei paesi ACP in vista dei un nuovo ciclo di contrattazioni WTO. Dunque, uno
strumento chiave che potrebbe, tra l’altro, migliorare la gestione forestale nei paesi ACP è usato come
ostaggio all’interno del WTO in vista di negoziati su altre questioni.
Questo modo di trattare qualsiasi tema con un approccio esclusivamente commerciale rappresenta un grave
ostacolo il raggiungimento di intese sulle questioni ambientali. I Paesi in Via di Sviluppo sembrano a volte
considerare l’ambiente come un interesse dei paesi sviluppati, ed utilizzano le concessioni in questo ambito
come merce di scambio. Questo in parte è dovuto ai timori che la normativa ambientale venga utilizzata
come “protezionismo verde”, per chiudere il mercato ai prodotti dei Paesi in Via di Sviluppo. Ma la vera
causa di tale diffidenza è che di norma le questioni considerate prioritarie dai Paesi in Via di Sviluppo non
vengono affrontate in maniera adeguata. A causa delle pressioni dei Paesi in Via di Sviluppo e della loro
resistenza verso un nuovo ciclo di negoziati, il WTO è stato di recente costretto ad affrontare le questioni
dell’implementazione. Queste nascono dal fatto che molti Paesi in Via di Sviluppo non hanno beneficiato
dei vantaggi promessi dell’Uruguay Round, come il miglioramento dell’accesso ai mercati dei paesi
sviluppati. Tuttavia, come mostra la Decisione assunta a Doha su questioni e problemi relativi
all’implementazione, tali discussioni non hanno finora portato a risultati concreti.
34
IL WTO
4
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
Gli obblighi del WTO e il loro impatto sulle foreste
Il sistema del WTO è in costante aggiornamento, sia nel quadro della propria agenda interna, che in seguito
al lavoro di commissione o al ciclo di negoziato sul commercio in piena regola. Gran parte delle misure
previste oggi dal WTO mostrano forti rischi di ricadute negative sulle foreste.
4.1 Il NAMA - Negoziato sull’accesso ai prodotti industriali. La riduzione delle tariffe nel
settore forestale
Il gruppo negoziale del Doha Development Round che si occupa dei prodotti forestali è quello dei prodotti
industriali (NAMA – non-agricultural market access negotiations).
Nonostante le tariffe sul legname siano già piuttosto basse, ulteriori riduzioni tariffarie e altre misure di
liberalizzazione su legnami e sottoprodotti contribuiranno ad impoverire le foreste. Resta un solo punto in
aperto: quanto sarà depauperata la foresta e quali saranno le foreste colpite per prime. L’impoverimento sarà
ancora maggiore in seguito alle proposte alle riduzioni di misure non tariffarie attinenti alla gestione delle
foreste nazionali.
Nessuno ritiene che l’attuale struttura tariffaria sia ideale. Assistiamo anzi ad un fenomeno conosciuto come
“escalation delle tariffe”, che danneggia i Paesi in Via di Sviluppo e limita le loro scelte verso uno sviluppo
sostenibile. L’escalation delle tariffe è un processo in virtù del quale i paesi importatori applicano un
prodotto tassi tariffari più gravosi ad ogni stadio successivo di produzione. Per esempio, prima che
l’Uruguay Round sviluppasse l’Accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio (GATT), le parti
contraenti applicavano una tariffa del 4,7% sul legname e una del 9,4% sui pannelli di legno, mentre sui
prodotti di legno semilavorati la tariffa era solo dello 0,9%. In seguito all’Uruguay Round questi tassi sono
scesi a 1,6% per il legname, 0,4% per gli articoli semilavorati e a 6,5% per i pannelli di legno 49. L’escalation
delle tariffe costituisce un pesante fardello per i Paesi in Via di Sviluppo che esportano principalmente
materie prime perché manca loro la capacità finanziaria, tecnica e scientifica per costruire industrie di
lavorazione in grado di essere competitive. Inoltre, molti Paesi in Via di Sviluppo sono colpiti anche
dall’escalation delle tariffe per prodotti intermediari e semilavorati quali pannelli, sfogliati e compensato 50.
Ma in mancanza di efficaci leggi in grado di assicurare la protezione delle foreste, smantellare l’escalation
delle tariffe causerà un ulteriore impoverimento forestale, se i paesi non riusciranno a costruire industrie di
trasformazione che aumentino il valore del legno e ad esportare tali prodotti. Uno dopo l’altro potrebbero
essere costretti ad aumentare il loro output di prodotti di legno primari in modo da mantenere le entrate del
loro reddito provenienti dalle esportazioni. D’altro canto anche una eccessiva incentivazione della
trasformazione si può trasformare in una minaccia per le foreste, come dimostra ciò che è avvenuto in
Indonesia, dove una industri di prima trasformazione sovradimensionata a creato una richiesta non
sostenibile di tronchi grezzi all’interno del paese.
La sezione NAMA della Dichiarazione ministeriale sulla riduzione delle tariffe, conferma che non sono state
prese in considerazione misure di salvaguardia ambientale:
“Conveniamo che il negoziato debba essere finalizzato, in modalità da concordare,
alla riduzione o meglio all’eliminazione di tariffe massime, tariffe onerose e
escalation delle tariffe come pure ostacoli non tariffari, in particolare su prodotti
d’interesse nell’ambito delle esportazioni di paesi in via di sviluppo. La copertura dei
prodotti deve essere esauriente e senza esclusioni a priori” 51
Il negoziato NAMA si è sviluppato fino all’agosto 2005 concentrandosi su una formula comune di riduzione
tariffaria, ma alcuni membri come Stati Uniti e Canada sostengono un approccio diverso settore per settore.
Tra i nove settori suggeriti per specifiche soluzioni di riduzione tariffaria, figura quelli dei prodotti
forestali52. Negoziati informali sono ospitati dalla Nuova Zelanda.
49
CUTS 1998.
Vedi: Sizer et. al 1999.
51
Paragroafo 16 della Dichiarazione di Doha. See: WTO 2001a.
52
Gli altri settori di interesse sono pesca, prodotti chimici e materie prime.
50
35
IL WTO
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
La liberalizzazione nel settore forestale è stata fin’ora portata avanti nell’ambito dell’iniziativa
“Liberalizzazione accelerata delle Tariffe” (Accelerated Tariff Liberalisation, ATL) avviata in preparazione
della Conferenza Ministeriale WTO di Seattle nel 1999. La ATL è stata proposta dalla Cooperazione
economica Asia Pacifico (APEC) nel 1997 e si sviluppa in otto punti, di cui uno concernente i prodotti
forestali53.
Uno studio condotto dalla United States Trade Representative (USTR) ha stimato che sul piano
internazionale l’ATL può portare ad un incremento massimo del commercio di prodotti forestali del 2% e in
una crescita del prelievo di legname dello 0,5% entro il 2010. Tenendo conto del fatto che il commercio di
materie prime e di alcuni beni semilavorati è in declino, l’incremento sarebbe particolarmente importante per
prodotti manufatti con valore aggiunto (fino al 6% in più). Secondo le previsioni, avrebbero dovuto
verificarsi aumenti del prelievo di legname in Australia (9,2%), Cile (0,5%), Cina (1,4%), Finlandia (11,0%),
Indonesia (4,4%), Malesia (2,6%), Nuova Zelanda (3,8%) e Svezia (7,6%).
Secondo questo studio l’impatto ambientale della liberalizzazione delle tariffe sul settore forestale nella
regione dell’APEC è limitato. Tuttavia bisogna tenere conto che tra il 1970 e il 1996 la domanda mondiale di
legno grezzo è cresciuta del 40%; ciò fa apparire le stime dell’USTR fin troppo conservatrici.
Indubbiamente, lo studio dell’USTR può essere criticato sotto molti punti di vista. Le ONG richiamano
l’attenzione sul fatto che esso non ha preso in considerazione l’impatto locale dell’aumento delle operazioni
di taglio (per esempio del 4% in Indonesia) che probabilmente avrà luogo principalmente nelle foreste
primarie. Inoltre, non esiste nessuna verifica riguardo all’estensione delle piantagioni nelle foreste naturali e
all’impatto della gestione forestale intensiva. Ed infine, lo studio non include un’analisi della conseguenza
della riduzione delle misure non tariffarie (non-tariff Measures) che verosimilmente seguirebbe in
combinazione con la riduzione delle tariffe54.
Nel 2004 l’Unione Europea ha commissionato uno studio sugli impatti dei negoziati WTO sul settore
forestale. Malgrado il carattere limitato ed empirico dello studio, esso conferma che:
…in tutti i casi studio la liberalizzazione del commercio ha ampliato i problemi già
esistenti (per esempio il taglio illegale in Indonesia ed in parti di Brasile e Messico)
Lo studio indica inoltre il potenziale disastroso legame tra la liberalizzazione del settore agricolo e la
deforestazione. In tre dei cinque casi studio, questi impatti negativi sulle risorse forestali sembrano
Eccedere gli impatti negativi della liberalizzazione del commercio dei prodotti forestali.
La situazione è probabilmente simile nei paesi dell’Africa Occidentale con una
agricoltura orientata alle esportazioni55.
La più probabile conseguenza della riduzione delle tariffe è una crescita della domanda, del flusso
commerciale e di conseguenza una intensificazione dello sfruttamento forestale. È anche probabile che le
imprese forestali decidano di compensare il calo dei prezzi e la perdita di sussidi intensificando la
produzione. Al tempo stesso un calo dei prezzi del legname avrà presumibilmente l’effetto di far crescere la
domanda56.
Dato che non è possibile ridurre l’escalation delle tariffe aumentando quelle sulle materie prime, può darsi
che alcune tariffe dovranno essere ridotte. Tuttavia, questa riduzione dovrebbe essere inserita in un piano
equilibrato, che includa la sostenere una gestione sostenibile delle foreste – ciò può essere realizzato
soltanto nel caso in cui tale riduzione sia preceduta da valutazioni globali d’impatto ambientale. Ma la
53
L’APEC nell’estate 1999 ha portato al WTO il proprio piano di riduzione delle tariffe in diversi settori, tra cui quello forestale. I
paesi APEC chiedevano una riduzione delle tariffe nel settore forestale ed in altri settori, con una procedura chiamata 'Accelerated
Tariff Liberalisation (ATL)'. L’iniziativa ATL non è che una versione ridotta dell’ 'Early Voluntary Sectoral Liberalisation (EVSL)',
il più massiccio piano di liberalizzazione condotto dai paesi APEC nel 1997, che include i NTMs. I paesi APEC hanno però avuto
problemi nell’implementazione della loro iniziativa volontaria nella regione APEC, soprattutto a causa delle resistenze del Giappone.
54
FERN 2000.
55
Vedi: Katila / Simula 2005, p. 22 e 23 Cfr. Greenpeace 2005.
56
Sizar, 1999.
36
IL WTO
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
dichiarazione di Doha non prevede un tale approccio. Vi compare soltanto un’esortazione a condividere le
conoscenze e le esperienze di esame ambientale svolte a livello nazionale57.
Anche la recente adesione della Cina al WTO avrà conseguenze dirette sulle foreste. Attualmente le tasse
d’importazione in Cina sono piuttosto alte per legname e prodotti derivati; per esempio 10,6% sui prodotti di
cellulosa, 27,6% sulla carta, 14,8% sul legno solido, 28,8% su assi e 20,4% su trucioli e compensato. Nel
contempo la Cina applica severi divieti di taglio e trasporto del legname in zone d’imbrigliamento delle
acque dei grandi fiumi, per controllarne l’erosione e le piene58. Una volta abbattute le tariffe sui prodotti
forestali in seguito all’entrata della Cina nel WTO, una crescita economica continua in Cina può causare un
incremento nel consumo di questi prodotti.
4.2 Riduzione delle misure non tariffarie (Misure non tariffarie )
Il nuovo programma di lavoro del WTO sarà incentrato sulla riduzione delle misure non tariffarie, che
includono norme ambientali e misure necessarie ad assicurare pratiche sostenibili di gestione forestale. Come
dimostreremo in seguito, molte misure non tariffarie sono strumenti molto importanti per assicurare la
protezione dell’ambiente ed un utilizzo sostenibile delle foreste. Di conseguenza, la riduzione delle misure
non tariffarie potrebbe risultare dannosa per le foreste delle riduzioni delle tariffe59.
Nella maggior parte di paesi importatori ed esportatori di prodotti in legno, diverse misure che regolano il
prelievo, la lavorazione ed il commercio del legname. Una panoramica preliminare ha identificato oltre 200
misure attualmente in vigore nei principali paesi che commerciano legname60. Le conseguenze della
riduzione delle misure non tariffarie sulle foreste è difficile da stimare perché fino ad ora non esiste nessuna
esauriente visione d’insieme delle misure non tariffarie esistenti. È pressoché impossibile stabilire l’esatto
ammontare delle misure non tariffarie in vigore nei vari paesi, perché spesso queste non sono soltanto legate
ai prodotti forestali ma anche alla produzione di legname61. Dato che non esiste alcuna corrente definizione
delle misure non tariffarie, non è del tutto chiaro quali tra le misure non tariffarie costituiscano barriere non
tariffarie nell’ambito del WTO.
Generalmente, le misure non tariffarie possono essere descritte come:
leggi, norme, politiche e/o pratiche governative che proteggono i prodotti nazionali dal
peso della competizione straniera o che stimolano artificialmente le esportazioni di
determinati prodotti nazionali62.
Alcune tipiche misure non tariffarie sono:
• Restrizioni quantitative su importazione ed esportazioni (per esempio, il divieto d’importare o
esportare tronchi grezzi)
• Requisiti sull’etichettatura
• Incentivi tributari
• Politica delle concessioni pubbliche e requisiti di riciclaggio
• Norme ambientali riguardanti il rimboschimento
• Standard sanitari e fitosanatori in materia di lotta contro le infestazioni delle culture
• Standard sanitari riguardanti l’utilizzo o il consumo di prodotti in legno
• Misure di rimboschimento o imboschimento
Alcune particolari misure non tariffarie sono state identificate in uno studio realizzato dall’APEC:
• Sovvenzioni a medie e piccole imprese per lo sviluppo delle esportazioni, volte a favorire la
creazione di nuovi mercati in Australia;
• Riduzioni dei dazi, sul valore aggiunto e sul reddito per prodotti manufatti destinati all’esportazione
in Indonesia;
57
Paragrafo 33 della Dichiarazione di Doha. Vedi: WTO 2001a.
FERN 1999: 9.
59
Vedi anche: Sizer et al 1999, APEC 1999.
60
APEC, 1999.
61
Vedi APEC, 1999: 21-41.
62
APEC 1999: i.
58
37
IL WTO
•
•
•
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
In Corea, un programma d’investimenti per lo sviluppo e la protezione di nuovi terreni forestali
finanziato dal governo e un programma di prestiti per aiutare le imprese del settore forestale;
Concessioni su dazi e tassi, insieme a prestiti a tasso ridotto per lo sviluppo delle industrie
specializzate nelle esportazioni per tutti i prodotti di legno manufatti in Malesia;
Programmi di garanzia dei crediti per le esportazioni per incoraggiare le esportazioni presso
compratori in paesi dove il credito è necessario per mantenere o incrementare le vendite di prodotti
americani.
Certamente, la maggior parte delle misure non tariffarie nel settore forestale sono una risposta ai timori
economici e sociali dell’industria del legname. Ciononostante, lo studio dell’APEC conclude che:
Fino ad ora, misure non tariffarie motivate da preoccupazioni ambientali ed altre misure
ambientali non hanno un considerevole impatto sul commercio. Tuttavia, l’incertezza che
si è venuta a creare rappresenta un pericolo per il sistema commerciale mondiale perché
la della linea di demarcazione tra commercio, sviluppo e ambiente continuerà ad essere
una faccenda controversa 63.
Quest’affermazione rivela la debolezza di fondo dello studio dell’APEC, ossia l’importanza degli impatti
delle misure non tariffarie sul sistema commerciale e non sulle foreste. Inoltre le conseguenze di misure non
tariffarie motivate da preoccupazioni ambientali sono esagerate, dato che la maggioranza di misure non
tariffarie citate nello studio dell’APEC ha origini economiche o protezionistiche. Il rischio di un sistema
commerciale multilaterale ha le sue origini in un diritto economico acquisito piuttosto che in provvedimenti
ambientali.
Tra le misure non tariffarie più tipiche finalizzate alla protezione dell’ambiente ci sono gli schemi di
certificazione del legname e delle pratiche di buona gestione forestale. Sebbene queste misure non tariffarie
rappresentino solo una frazione delle misure non tariffarie nel settore forestale – secondo lo studio
dell’APEC – le loro conseguenze commerciali sono state discusse a fondo dopo che negli anni ’80 l’Austria
e i Paesi Bassi avevano varato leggi nazionali per vietare l’importazione di legname tropicale, ad eccezione
di quello certificato come legno estratto con metodi sostenibili64. Queste iniziative sono state revocate dopo
che gli esportatori di legname tropicale, e in particolare l’Indonesia, hanno minacciato di impugnare tali
misure in seno al GATT.
Alcune casi di misure non tariffarie ambientali citate dallo studio misure non tariffarie sono:
Nell’ambito delle Olimpiadi del 2000 a Sydney, l’Australia ha limitato l’impiego di legno tropicale e ha
limitato approvvigionamenti del governo solo a prodotti di legno certificati;
• Il Giappone ha adottato un programma di marketing per tutti i prodotti sotto il marchio giapponese
“Eco Mark and Forest Certification”;
• La Tailandia ha sovvenzionato il rimboschimento di circa 800.000 ettari di foresta collettiva durante
la celebrazione dei cinquant’anni dall’ascesa al trono del re;
• Gli Stati Uniti hanno varato l’Etichetta Ecologica per prodotti in carta secondo i requisiti di
certificazione FSC;
Le conseguenze effettive sull’ambiente della riduzione proposta delle Misure non tariffarie dipendono in
gran parte dalla struttura delle singole linee di condotta nazionali e internazionali. I negoziati WTO
sull’accesso ai prodotti industriali (Non-Agricultural Market Access - NAMA) saranno quindi decisivi.
In questo ambito, che comprende le certificazioni ambientali e categorie merceologiche tra cui i prodotti
forestali e derivati, diversi paesi hanno già presentato ricorso. Diversi ricorsi nell’ambito delle barriere non
tariffarie (NTB) sono già stati presentati da paesi del Sud e del Bord, ma in particolare dagli Stati Uniti.
Paese
Procedura
Categoria
Stati Uniti
Standards /
regulations
Beni ambientali
63
64
APEC 1999: 92.
GATT 1992.
38
Oggetto del ricorso
Diversi paesi membri mantengono proprie procedure di test
e di certificazione, e diversi standard e regolamentazioni
(tra cui quelle che governano l’etichettatura)
IL WTO
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
Stati Uniti
Standards /
regulations
Prodotti forestali
Stati Uniti
Standards /
regulations
Prodotti forestali
Diversi paesi membri mantengono proprie procedure di test
e di certificazione, e diversi standard e regolamentazioni
(tra cui quelle che governano l’etichettatura)
Impiego nelle leggi che regolano le costruzioni e in
generale, di standard prescrittivi e non basati sulle
performance, che discriminano prodotti a base di legno
Altri governi si riservano il diritto di presentare ricorsi sui NTB, benché fosse prevista una scadenza per il 31
ottobre 2004. Il Giappone, che mira alla protezione delle proprie barriere tariffarie, sta facendo ricorso contro
tutte le misure che implicano restrizioni delle esportazioni (tra cui leggi che vietano l’esportazione di
legname o di tronchi grezzi)
Un’ulteriore conseguenza della riduzione delle misure non tariffarie sarà la diminuzione dei controlli sul
traffico illegale. La lezione può essere tratta dell’esperienza indonesiana, dove il divieto di esportare tronchi
grezzo al fine di penalizzare il taglio e promuovere invece il processo di trasformazione interna, è stato
rimpiazzato da onerose tasse per l’esportazione. Una conseguenza è stata che le società di taglio e trasporto
del legname senza impianti di trasformazione hanno aumentato il ritmo di disboscamento ancora di più per
compensare le perdite finanziarie. Parallelamente sono aumentate in modo considerevole le attività illegali di
taglio e trasporto di legname65. Misure di politica ambientale volte a contrastare simili attività illegali ed il
commercio illegale di legname devono essere promosse tanto dai paesi importatori che dai paesi esportatori.
Entrambi devono disporre norme che definiscono chiaramente quali sono le attività illegali di taglio e
trasporto di legname e in cosa consista il commercio illegale di legname altrimenti le restrizioni sulle
importazioni ed esportazioni corrono il rischio di violare le regole del WTO66.
Un altro grande rischio della riduzione o abolizione delle misure non tariffarie fitosanitarie è il pericolo
dell’aumento delle malattie delle piante o l’invasioni di specie aliene. Prodotti forestali importati possono
introdurre specie che sono estranee nel paese importatore destabilizzando ecosistemi e mettendo in pericolo
la biodiversità indigena. Per esempio nel 1981, una specie di tarma proveniente dall’Europa ha raggiunto gli
Stati Uniti tramite l’importazione di prodotti in legno europei, causando un danno ai pini americani stimato
attorno ai 746 milioni di dollari67.
Prima della Conferenza Ministeriale WTO di Seattle, la Commissione Europea ha promosso uno studio
sull’impatto sostenibile di un nuovo round commerciale del WTO. Secondo tale studio, uno scenario di
liberalizzazione, basata sull’eliminazione di tutte le forme di misure di sostegno nazionali e dei sussidi per le
esportazioni, avrebbe portato a vantaggi economici a fronte di perdite ambientali nel settore forestale, se le
norme ambientali non fossero applicate sufficientemente68. In mancanza di politiche di gestione forestale
implementate in modo serio, è molto probabile che un ulteriore grado di liberalizzazione causi nuovi
fenomeni di erosione delle foreste. Oltre alle conseguenze ambientali, gli effetti economici negativi e medio
e lungo termine di questo degrado sono regolarmente ignorati da molti governi e molte inprese.
4.3 La liberalizzazione dell’agricoltura
Una voce fondamentale dell’ordine del giorno del WTO è la liberalizzazione dell’agricoltura. Il rapporto tra
politica agraria e deforestazione tanto importante quanto complesso. Il fine ultimo dovrebbe essere ottenere
una ricca produzione agricola diversificata in modo tale da essere di sostegno alle circostanti risorse
biologiche, foreste incluse. Le attuali regole del commercio ostacolano il raggiungimento di quest’obiettivo,
assieme ad altri fattori quali il regime di proprietà e la mancata tutela delle conoscenze indigene e locali. In
assenza di un politica globale di sfruttamento sostenibile del territorio, questi fattori tendono a combinarsi e a
creare un quadro che incoraggia l’espansione del terreno coltivato, portando alla deforestazione. Spesso le
pratiche agricole arrecano danno ulteriore alla biodiversità attraverso l’uso di pesticidi e di organismi
geneticamente modificati, il cui impatto sull’ambiente è tuttora ignoto.
65
APEC 1999: 67-69.
Ecologic 2001.
67
Downes 1999: 2.
68
Kirckpatrick and Lee 2000: 66.
66
39
IL WTO
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
L’Accordo sull’Agricoltura del WTO (Agreement on Agricolture, AOA) è stato uno dei più ardui documenti
da negoziare durante l’Uruguay Round e rimane tutt’ora uno dei più complessi. Esso deroga a molti principi
della liberalizzazione del mercato del WTO, ma cerca di muoversi progressivamente verso un sistema
commerciale agricolo orientato sul libero mercato ed avvia un processo di riforma volto a quest’obiettivo.
Per ora consente alcuni tipi di sovvenzioni statali ad attività agricole che possono includere pratiche dannose
per la biodiversità (agricola e non). Come tale, quest’Accordo è in contrasto con l’Articolo 11 della
Convenzione sulla Biodiversità (CBD) che fa appello alle parti contraenti perché adottino incentivi per
incoraggiare la conservazione e l’uso sostenibile. L’Articolo XX dell’Accordo stabilisce che questo debba
essere rinegoziato in direzione di una ulteriore accentuazione della liberalizzazione (ossia la progressiva
riduzione di sovvenzioni agricole) ma anche tenendo conto di “interessi non legati al commercio, inclusa la
protezione ambientale”. Sebbene le trattative siano state lanciate all’inizio del 2000, è difficile giudicare il
loro impatto sulle foreste69. Certo è che non è stato individuato il giusto equilibrio tra interessi ambientali e
agricoli.
Le attuali norme commerciali in campo agricolo non sostengono a sufficienza la diversità biologica, foreste
incluse, ma i procedimenti volti ad aumentare la liberalizzazione potrebbero peggiorarle ulteriormente. Le
regole del WTO comportano due conseguenze principali che mettono in pericolo le foreste: (a) la presenza di
sovvenzioni che incoraggiano le pratiche agricole nocive per la biodiversità e che aumentano il valore di
terreni dediti all’agricoltura rispetto agli appezzamenti forestali, e (b) la liberalizzazione di prodotti agricoli
che può far diminuire i prezzi e di conseguenza aumentare la pressione per un utilizzo più intensivo del
terreno agricolo (contrariamente a quanto si potrebbe pensare, questi due fenomeni non sono
necessariamente antitetici. Invece di bilanciarsi spesso lavorano in sinergia in quanto il crollo dei prezzi sui
mercati internazionali spinge i grandi coltivatori a chiedere al proprio governo nuove facilitazioni per lo
sfruttamento di vaste aree di foresta). Inoltre, dato che l’AOA non proibisce esplicitamente l’esportazione
sottocosto di prodotti agricoli, questa pratica continua, causando un’intensificazione dell’attività agricola nei
Paesi in Via di Sviluppo che tentano di mantenere competitività. La Dichiarazione di Doha ha rivisto il
mandato per i negoziati sulla riforma delle politiche agricole, confermando che “interessi non legati al
commercio saranno presi in considerazione”. Ma vista la profonda discordanza su tali questioni, non è chiaro
come possa essere raggiunto un consenso concreto.
L’impatto della liberalizzazione dell’agricoltura sulle foreste dipenderà da come il taglio delle sovvenzioni e
l’abolizione delle misure non tariffarie influenzeranno i prezzi del mercato globale dei prodotti agricoli. Per
esempio, se i prezzi saranno relativamente alti, verranno creati incentivi perché un paese aumenti le
esportazioni e quindi in un modo o nell’altro converta altre aree boschive alla produzione agricola. Un ruolo
importante è giocato anche dalle sovvenzioni governative alla deforestazione, sia per fornire terra ai coloni,
che per promuovere la coltivazione di colture finalizzate all’esportazione. Si verificheranno probabilmente
impatti negativi per le foreste in seguito all’incentivazione di merci quali carne di manzo, soia, oli di palma
ed altri oli vegetali, tutte colture che sostituiscono le foreste naturali nei paesi tropicali. L’effetto sarà ancor
più vasto dato che questi beni sono stati finora sottoposti a tariffe elevate nei paesi sviluppati. La crescente
espansione di piantagioni d’olio di palma è per esempio una delle principali cause di perdita di foreste in
Indonesia ed in Malesia, e si espande, in Africa centrale e in America Latina (qui assieme all’allevamento di
bovini70.
69
Informazioni più dettagliate sul negoziato agricolo sono reperibili presso il sito web
http://www.wto.org/english/tratop_e/agric_e/negoti_e.htm.
70
FERN 2001: 22.
40
IL WTO
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
Box 11: Investimenti – Esperti della Banca Mondiale negano la sicurezza ambientale
di investimenti italiani e tedeschi nell’Amazzonia equadoregna.
Il progetto di oleodotto in Equador non rispetta gli standard ambientali minimi stabiliti dalla Banca
Mondiale. Questo è il risultato di un rapporto redatto Amazon Watch e sottoposto agli investitori tedeschi e
italiani del progetto (Westdeutsche Landesbank e Banca Nazionale del Lavoro).
Anche l'autorevole agenzia di rating Moody's ha retrocesso il progetto OCP nella sua lista di valutazione.
Moody's si focalizza sui rischi finanziari per i finanziatori dell'oleodotto legati proprio alla campagna di
protesta internazionale ed ai rischi associati agli impatti socio-ambientali. Un altro motivo di rischio, per
l'agenzia di rating, è l'eventualità che l'oleodotto non possa essere riempito totalmente e che funzioni solo per
metà, altro elemento spesso evidenziato dalle associazioni ambientaliste. Sembra infatti che le riserve delle
multinazionali in Ecuador serviranno a riempire l'oleodotto solo per i primi 7 anni, e non 20 come dice il
consorzio, a meno di non usare, nei primi anni, il petrolio d proprietà dell'impresa nazionale Petroecuador
con notevoli ricadute economiche negative sull'intera economia del paese.
La costruzione dell'oleodotto, che attraverserà l'Ecuador per una lunghezza di 500 km, sta già provocando
ingenti danni socio-ambientali, che non faranno che aumentare una volta che l'opera sarà completata. A
pagarne le conseguenze sono soprattutto le popolazioni indigene e la foresta amazzonica71.
4.4 La liberalizzazione degli investimenti
La liberalizzazione degli investimenti è una delle questioni più controverse del WTO. I paesi che
propongono un nuovo accordo in materia d’investimenti in seno al WTO (in particolare l’Unione Europea)
hanno ottenuto una vittoria parziale a Doha, con la decisione di avviare trattative solo dopo la Conferenza
Ministeriale72. Purtroppo le misure che all’esame dei membri del WTO fino ad ora non includono
l’ambiente.
L’Accordo sulla tutela degli investimenti connessi al commercio (Agreement on Trade-Related Aspects of
Investment Meaures, TRIM) contiene alcune rudimentali clausole sugli investimenti. Unione Europea,
Giappone e altri stanno tentando di ottenerne un miglioramento. Ad ogni modo, fino a quando gli interessi
degli investitori non saranno equilibrati con i principi di conservazione e di uso sostenibile delle risorse (e
delle foreste in particolare), permane un rischio molto concreto che la liberalizzazione degli investimenti
provochi un’ulteriore della distruzione delle foreste.
4.5. L’esperienza del NAFTA (Accordo di libero scambio nord-americano)
L’esperienza del NAFTA dimostra come il controllo degli investimenti inciderà su un programma
ambientale volto alla conservazione delle foreste e alla protezione della biodiversità. Le regole degli
investimenti previste dal NAFTA impongono importanti restrizioni alla capacità dei governi di adottare o
mantenere “misure” nei confronti di investitori di una parte contraente all’Accordo. Tali misure includono
“qualsiasi legge, norma, procedura, requisito o pratica”. Anche il concetto di investimento è definito in modo
molto ampio fino ad includere praticamente qualsiasi azione, obbligo o interesse contrattuale di una società
che svolge i suoi affari uno dei paesi membri. La disciplina degli investimenti del NAFTA si applica
integralmente anche alle autorità locali e provinciali, eccezione fatta per un numero molto limitato di casi, e
anche in questi casi le autorità devono attenersi a molti degli obblighi più onerosi stabiliti dalle regole
d’investimento del NAFTA.
Queste regole riguardano per esempio “lo standard minimo di trattamento”, “l’espropriazione e
compensazione” e “la risoluzione delle controversie”. L’aspetto più pericoloso della disciplina degli
investimenti del NAFTA è il diritto straordinario che consente agli investitori stranieri di citare in giudizio i
governi nazionali per qualsiasi presunta violazione dei tanti diritti degli investitori, dettagliatamente descritti
in questo accordo commerciale. Le controversie non sono più giudicate tribunali del paese né dai loro
giudici, ma da commissioni internazionali di arbitraggio che operano sotto gli auspici d’istituzioni quali la
71
Vedi: Amazon Watch, NEWS RELEASE 27 November 2001: “Ecuadorian Pipeline Fails to Comply with World Bank Policies".
www.amazonwatch.org Altre informazioni su www.greenpeace.it.
72
Paragrafo 20 della Dichiarazione di Doha. Vedi: WTO 2001a.
41
IL WTO
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
Banca Mondiale73. Questi “tribunali” non operano in accordo con le leggi e le pratiche di ciascun paese, ma
si basano sull’ordinamento internazionale e sulle procedure stabilite per la risoluzione delle controversie
commerciali internazionali74. Queste procedure vanno spesso contro l’etica del diritto, e contro i principi
partecipativi e di responsabilità posti alla base di ogni società democratica. Per esempio, le regole d’arbitrato
che si applicano a tali controversie stabiliscono che:
Le decisioni del Tribunale dovranno essere assunte in privato e rimanere segrete.
La segretezza di questi processi arbitrali internazionali è spesso descritta come uno degli aspetti più attrattivi
per il mondo degli affari75 e l’imposizione dello status dell’investitore rappresenta una radicale deviazione
dalle norme dell’ordinamento internazionale:
Attribuiscono alle imprese il diritto di applicare direttamente un trattato internazione del quale non sono parti
contraenti e che non li vincola ad obbligo alcuno;
Estendono le procedure di arbitrato in materia commerciale internazionale a diritti che non hanno il loro
fondamento in nessun contratto e che possono essere considerati solo indirettamente di carattere
commerciale.
Le regole sugli investimenti del NAFTA sono ora invocate al fine di impugnare e annullare leggi ambientali
e le norme in tutti i paesi del NAFTA. In almeno tre casi questo ricorso è stato accolto. Il primo caso verteva
su Parchi, Aree protette e Altri Impedimenti agli Investimenti Esteri. Recentemente la Corte Suprema della
Columbia Britannica (Canada) ha ottenuto la revisione di uno di questi giudizi arbitrali in una causa che
verteva sulla costruzione di un rischioso impianto di scarico da parte della società americana Metalclad Inc
in Messico. Un caso che dimostra come questo sistema d’investimenti rappresenti una minaccia per le
politiche e le norme leggi nazionali volte protezione delle foreste.
Il verdetto del tribunale nel caso della Metalclad contro il Messico ha stabilito che le autorità municipali non
avevano diritto di rifiutare alla società il permesso di costruire una discarica di rifiuti pericolosi, a causa di
rischi per l’ambiente o per la salute pubblica, né sulla base del fatto che il progetto è stato elaborato (ed ha
iniziato a raccogliere investimenti) prima ancora di richiedere le necessarie autorizzazioni alle autorità locali.
Il tribunale ha inoltre negato a un governo nazionale il diritto di stabilire una riserva ecologica che includeva
il sito della società. Questo perché, secondo i diritti del NAFTA, la riserva ambientale rappresentava
un’espropriazione dell’investimento della Metalclad.
Il ricorso messicano alla Corte Suprema della Columbia Britannica presenta la prima opportunità per una
corte di una delle giurisdizioni del NAFTA di considerare un giudizio arbitrale pronunciato conformemente
alle regole per gli investimenti del NAFTA. Quantunque il giudice sia stato critico riguardo al modo in cui il
tribunale aveva svolto il proprio lavoro, alla fine ha sentenziato che creando una riserva ecologica, le autorità
locali avevano effettivamente espropriato l’investimento della società in una discarica di rifiuti pericolosi pur
costruita senza i necessari permessi! La sentenza ha condannato il Messico a pagare alla società oltre di 15
milioni di dollari di danni per aver consentito ad una propria autorità locale di opporsi agli impegni assunti
con il NAFTA.
Il giudice ha descritto la sentenza del tribunale riguardante la condizione d’espropriazione del NAFTA nel
seguente modo:
Il Tribunale ha dato una definizione molto ampia dell’espropriazione ai sensi dell’Articolo 1110.
Oltre alla più convenzionale nozione di espropriazione che implica l’assunzione di proprietà, il
Tribunale ritiene che l’espropriazione ai sensi del NAFTA includa interferenze occulte o fortuite
nell’assetto e nell’uso della proprietà, con l’effetto di privare il proprietario, interamente o in
parte cospicua, dell’uso dei benefici economici ragionevolmente supposti della proprietà. Tale
definizione è sufficientemente ampia da includere un legittimo piano regolatore da parte delle
autorità municipali o altre autorità locali. Tuttavia la definizione di espropriazione è una questione
73
Per esempio l’International Centre for the Settlement of Investment Disputes (ICSID) istituito nell’ambito della Convenzione sulle
dispute sugli investimenti (Convention on the Settlement of Investment Disputes between States and Nationals of Other States) è
sottoposto alla supervisione di un consiglio amministrativo (Administrative Council) e di un segretariato. L’Administrative Council è
presieduto dal Presidente della Banca Mondiale e consiste in un rappresentante per ogni paese che ha ratificato la Convenzione.
74
Questi sono i regimi stabiliti ai sensi della convenzione ICSID e le regole di arbitraggio dell’UNCITRAL Arbitration Rules, il cui
ricorso è previsto dall’Articolo 1120.
75
Redfern et al. 1999: 430-432.
42
IL WTO
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
di diritto con cui questa Corte non ha il diritto di interferire ai sensi dell’International Commercial
Arbitration Act.
Il caso Metalclad è esemplare per due ragioni. Innanzi tutto, essa dimostra estensione illimitata del principio
di espropriazione ai sensi del NAFTA. Inoltre essa dimostra con quale libertà i tribunali d’arbitrato
internazionali potranno interpretare le discipline degli investimenti del NAFTA. Se la legge non viene
cambiata, tutti e tre i paesi aderenti al NAFTA (Canada, Messico e Stati Uniti) saranno vulnerabili a simili
rivendicazioni anche solo per attuare misure che non sarebbero mai state considerate atti di espropriazione
dai loro rispettivi ordinamenti interni. Oltre alle implicazione ovvie di questo giudizio arbitrale per i governi
che tentano di istituire parchi, riserve naturali o aree protette, sono ben poche le leggi ambientali che non
rientrano nella vasta definizione di espropriazione ormai accettata dalla giurisprudenza canadese.
Il caso Metalclad dimostra come la protezione dell’ambiente naturale sia ormai intesa come mera
espropriazione. Non importa se una legge ambientale sia finalizzata a preservare l’habitat del salmone o
proteggere specie in via di estinzione: l’imposizione di misure di protezione dell’ambiente naturale rischia di
avere conseguenze gravi sull’utilizzo del territorio soggetto a tali misure protettive. Per esempio, misure di
protezione dei fiumi possono limitare notevolmente il volume ed il tipo di attività di taglio di legname in una
foresta. Analogamente, leggi locali sull’utilizzo del terreno, protezione del terreno agricolo, creazione di
parchi ed altre simili iniziative possono incidere sullo sviluppo dell’attività, sia in aree rurali che in aree
urbane di una regione. Le misure di protezione dell’ambiente necessariamente limitano gli usi di un terreno e
possono ridurre il valore della proprietà o la profittabilità delle licenze di taglio di legname o altri permessi, e
di conseguenza rischiano tutte di essere considerate espopriazioni. Insomma, con le regole
sull’espropriazione previste dal NAFTA, qualsiasi azione governativa che interferisca anche solo
indirettamente con la profittabilità di un investimento può giustificare una causa per danni ed un
risarcimento. Non esistono eccezioni a questo divieto nei confronti di simili azioni governative. Mentre
misure analoghe sono consentite quando messe in atto per legittimi scopi pubblici, ogni caso di
espropriazione di investimento straniero deve essere indennizzato completamente e prontamente nel suo
pieno valore di mercato. E questo indipendentemente dall’urgenza o dalla ragione effettiva che ha portato
l’amministrazione pubblica a violare i diritti degli investitori.
Le conseguenze di questo e di altri diritti di investitori stranieri rispetto alle politiche e alle leggi forestali
vanno oltre gli scopi di questo rapporto, ma a prima vista appaiono diversi elementi di conflitto:
Un trattamento preferenziale riguardo il diritto di possesso di foreste della collettività, o un diritto della
Nazione più Favorita violerebbero gli impegni del NAFTA che preclude la discriminazione nei confronti di
investitori stranieri. La regola dei Requisiti di Rendimento del NAFTA proibisce ogni misura governativa
che esiga un investimento con produzione di valore aggiunto come condizione per ottenere una licenza
forestale o un appezzamento boschivo; perfino i controlli sulle esportazioni di tronchi grezzi violerebbero
questa regola. Infine, al requisito che accorda agli investitori stranieri uno Standard Minimo di Trattamento è
stata data una lettura talmente estesa che la sua portata può essere ancora più ampia della regola
dell’espropriazione del NAFTA.
Questo breve quadro generale è sufficiente a mostrare gravità delle conseguenze delle discipline sugli
investimenti del NAFTA verso un programma di uso sostenibile delle foreste. È inquietante che società
straniere abbiano la possibilità di mettere in atto queste discipline direttamente.
È necessario opporsi ad un’ulteriore liberalizzazione degli investimenti nel WTO perché re-introdurrebbe
indirettamente nel WTO l’Accordo multilaterale sugli investimenti (Multilateral Agreement on Investment,
MAI). Il MAI era stato affondato sul nascere (non era stato ratificato dai paesi dell’OCSE) a causa delle
gravi conseguenze sul piano sociale ed ambientale76. Il MAI si basava su una definizione molto ampia
d’investimento. Norme unilaterali che si rivolgono a beni pubblici come quelle di protezione ambientale
avrebbero potuto essere considerate incompatibili con il MAI nel caso avessero impedito investimenti diretti
dall’estero. Il MAI è stato un tentativo di applicare i principi della liberalizzazione agli investimenti, senza
consentire misure di controllo per interessi non commerciali (sociali e ambientali). La ragione principale del
fallimento del MAI è che esso non equilibrava i diritti degli investitori con il perseguimento del bene
pubblico. Esso avrebbe impedito ai governi di applicare norme ambientali severe, per paura di provocare
76
F0EE 2001, WWF 2001.
43
IL WTO
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
lunghi e costosi contrasti con gli investitori o più semplicemente di perderli. Un rischio ben dimostrato dal
caso del NAFTA (vedi sopra).
In seguito ad una intelligente campagna delle associazioni per l’ambiente e lo sviluppo, il MAI è stato
collocato in secondo piano. Nel 1998, l’iniziativa del MAI è stata abbandonata dopo che la Francia si era
ritirata, temendo che le sue industrie culturali sarebbero potuto cadere sotto il controllo straniero. Anche la
Germania aveva deciso di esigere maggiori garanzie sociali ed ecologiche.
La decisione del WTO in Indonesia – alcuni Provvedimenti concernenti l’Industria dell’Automobile – è un
esempio allarmante di come perfino regole di investimento relativamente blande nell’Accordo sulle misure
in materia di investimenti in relazione al commercio (Trade Related Investment Meaures, TRIM) del WTO
possano influenzare la graduatoria delle priorità di sviluppo nazionale77. In quel caso, un credito a livello di
imposte che aveva come scopo quello di incoraggiare la produzione manifatturiera locale è stato ritenuto
incoerente con l’Articolo 2.1 dell’Accordo TRIM. Quest’articolo obbligava ad applicare il principio del
trattamento nazionale del GATT che non consente di favorire dell’industria locale. La cosa straordinaria è
che la misura in questione in quel caso non richiedeva neanche un’azione specifica, ma era un incentivo per
perseguire spontaneamente un obiettivo nazionale.
Gli ambientalisti dovrebbero preoccuparsi anche per le conseguenze di una liberalizzazione degli
investimenti sugli accordi ambientali multilaterali e sulla loro implementazione. Fino a quando le norme
dell’ordinamento internazionale che regolano il rapporto tra accordi ambientali multilaterali e il WTO non
saranno chiarite, e fino a quando non ci sarà un quadro di sicurezza giuridica, gli investimenti liberalizzati
rischiano di interferire con la piena applicazione della Convenzione sulla biodiversità (Convention on
Biological Diversity, CBD) e la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico
(United Nations Framework Convention on Climate Ch’ange, UNFCCC).
Questi contrasti sono destinati a cresce quando il commercio dei prodotti forestali sarà liberalizzato su scala
mondiale. La concorrenza internazionale sempre più agguerrita e la facilità sempre maggiore a riallocare i
capitali già rendono i paesi poco inclini a sviluppare unilateralmente standard elevati per la conservazione
forestale. La riduzione di misure fitosanitarie e dei requisiti tecnici volti a rendere sostenibile la gestione
delle foreste, in concomitanza col regime di liberalizzazione degli investimenti che privilegia delle società
multinazionali, rende sempre più arduo mantenere efficaci norme ambientali sulle foreste.
4.6. La liberalizzazione dei servizi
La liberalizzazione dei servizi rischia di avere un grave impatto sulle politiche nazionali volte alla
conservazione delle foreste. Simili misure non possono essere considerate come esenzioni legittime in base
all’Accordo generale sul commercio dei servizi (General Agreement on Trade in Services, GATS), nel
processo di liberalizzazione dei servizi che riguardano le foreste. Manca ancora sufficiente esperienza su
come la liberalizzazione dei servizi possa intaccare la protezione e l’uso sostenibile delle foreste. Ma
considerato il raggio d’azione molto esteso del GATS e c’è il rischio concreto che le misure normative
possano essere considerate inaccettabili barriere al commercio, sono motivi d’inquietudine.
Analogamente ai negoziati sul settore agricolo, quelli sulla liberalizzazione del commercio dei servizi sono
cominciate nel 2000 come parte dell’ordine del giorno integrato del WTO. Inizialmente, i servizi sono stati
inclusi nella struttura dell’Accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio (GATT). Nel corso
dell’Uruguay Round è stato delineato l’Accordo generale sul commercio dei servizi (GATS). Il GATS è un
accordo senza eguali perché prescrive le linee generali per la liberalizzazione del commercio che riguarda
potenzialmente tutti i servizi di tutti i settori. Il risultato è che il GATS, sebbene sia spesso diretto
principalmente al commercio internazionale dei servizi, rappresenta un programma ambizioso per allargare
l’applicazione delle discipline commerciali internazionali ad un vasto assortimento di politiche interne,
programmi e leggi che possono avere poco, e spesso niente a che fare con il commercio internazionale.
Tuttavia per raggiungere lo scopo di una copertura globale, molte discipline del GATS si applicano a misure
governative che concernono i servizi, poco importa se connessi o meno al commercio.
77
Vedi: WORLD TRADE ORGANIZATION, WT/DS54/R, WT/DS55/R, WT/DS59/R, WT/DS64/R, 2 July 1998: INDONESIA CERTAIN MEAURES AFFECTING THE AUTOMOBILE INDUSTRY. REPORT OF THE PANEL
44
IL WTO
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
Un’indicazione di quanto sia esteso il raggio d’azione del GATS può essere data dalla definizione del
termine “misura” che include qualsiasi misura da parte di un MEA, sia sotto forma di legge, norma,
regolamento, procedura, decisione, azione amministrativa o qualsivoglia altra forma. Concentrandosi sulle
“misure” governative, il GATS fornisce una lista di azioni che le autorità non possono più mettere in atto per
governare nel pubblico interesse.
Secondo il GATS, il commercio dei servizi è definito in modo da includere la fornitura di un servizio in una
qualsiasi delle seguenti quattro modalità:
Fornitura transfrontaliera (prima modalità: dal territorio di un membro nel territorio di un altro membro);
Consumo all’estero (seconda modalità: nel territorio di un membro a colui che fruisce del servizio in un altro
Stato membro);
Presenza commerciale interna al paese (terza modalità: dal fornitore di un servizio di un membro attraverso
la presenza commerciale nel territorio di un altro membro);
1) Presenza di una persona fisica (quarta modalità: dal fornitore di un servizio, attraverso la presenza di una
persona fisica di un membro nel territorio di un altro membro).
Le discipline del GATS si applicano solo a quei servizi che vengono specificatamente e volontariamente
sottoposti. Questo viene realizzato grazie ad un processo di classificazione dei servizi in liste specifiche per
paese che delineano esattamente fino a che punto gli obblighi del GAT saranno osservati per quel particolare
settore di servizi. Per far fronte alla grande quantità di servizi professionali, i membri del WTO si attengono
al cosiddetto approccio di domanda e offerta, secondo il quale i membri del WTO chiedono o offrono agli
altri membri alcune iniziative di apertura per quanto concerne particolari servizi in tutti i settori. I negoziati
sono entrati in una fase concreta all’inizio dell’estate 2001.
Con quest’approccio alla liberalizzazione del commercio dei servizi, il GATS influenza ampie sfere della
politica interna, programmi e leggi che possono avere poco e niente a che fare con il commercio
internazionale e molto con i servizi. Inoltre, il diritto stesso di stabilire una presenza commerciale è in gran
parte una misura d’investimento. Questi punti sono fondamentali per comprendere l’importanza del GATS
per le leggi e le politiche di gestione forestale. Tutti i servizi che emanano direttamente dal governo, come i
contributi previdenziali e la sanità e servizi collegati sono esenti dagli obblighi del GATS, in base
all’Articolo VI sulle Norme Interne. I servizi forniti e amministrati da enti o istituzioni private sono invece
soggetti al GATS. Dal momento che un numero sempre crescente di governi privatizza i servizi pubblici, una
volta che il settore è stato liberalizzato questi diventano soggetti alla competizione internazionale. Ciò
riguarda l’applicazione ed il controllo di misure nazionali e professionali o di standard tecnici in tutti i settori
in cui sono di grande importanza gli aspetti della qualità e della sicurezza. Può essere considerata barriera al
commercio dei servizi la richiesta ai fornitori (e quindi anche ai fornitori stranieri) di soddisfare requisiti e
procedure supplementari al fine di conformarsi ai criteri di controllo tecnici e della qualità.
Al momento con il WTO o col GATS non sono state ancora state definite le procedure compatibili nella
gestione delle misure di controllo di qualità secondo gli obiettivi politici nazionali. Nel corrispondente
Articolo VI, 4 del GATS si dichiara che:
Con l’obiettivo di assicurare che provvedimenti attinenti ai requisiti e procedure di
qualificazione, standard tecnici e requisiti per autorizzazioni non costituiscano barriere
inutili al commercio dei servizi, il Consiglio per il Commercio dei Servizi dovrà, tramite
oergani che ha il potere d’istituire, sviluppare tutti i provvedimenti necessari. Lo scopo
di tali provvedimenti è di assicurare che, inter alia:
I requisiti siano basati su criteri oggettivi e trasparenti, quali la competenza e l’affidabilità a fornire il
servizio;
I requisiti non siano più gravosi del necessario nell’assicurare la qualità del servizio;
Nell’eventualità di procedure per l’ottenimento di autorizzazioni, che queste non siano un motivo di
limitazione della fornitura del servizio.
La clausola più importante del GATS per le leggi e le politiche ambientali è quella che riguarda la Norma
Interna; questa stabilisce alcuni criteri di valutazione gravosi cui è soggetta la regolazione ambientale, inclusi
i seguenti requisiti:
45
IL WTO
•
•
•
•
•
•
•
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
Deve essere stata concepita in maniera ragionevole, obiettiva ed imparziale;
Deve essere stata sottoposta entro un lasso di tempo ragionevole;
Deve essere necessaria;
Deve basarsi su criteri oggettivi e trasparenti;
Non deve essere più gravosa del dovuto per assicurare la qualità dei servizi;
Le procedure di concessione delle licenze non devono limitare la fornitura di servizi;
Infine, deve aver tenuto conto degli standard internazionali pertinenti.
Come nell’Articolo XX del GATT, nell’Articolo XIV (b) del GATS vengono prescritti i criteri necessari
senza fare riferimento alla protezione dell’ambiente. Enuncia:
Eccezioni generali:
Soggette al requisito che tali misure non siano applicate in modo da costituire un mezzo di discriminazione
arbitraria o ingiustificata tra paesi dove simili condizioni prevalgono, o una limitazione dissimulata sul
commercio dei servizi, nulla nel presente Accordo dovrà essere interpretato dalle Parti contraenti al fine di
prevenire l’adozione o l’applicazione di:
(…)
b) misure necessarie a proteggere la vita e la salute di essere umani, animali e piante.
Viceversa, un governo che tenti di difendere un provvedimento per l’ambiente dovrà dimostrare:
• che ha passato al vaglio ogni altra possibilità plausibile con la quale potrebbe, per esempio,
migliorare la qualità dell’aria in un ambiente urbano inquinato;
• che ha valutato attentamente gli effetti sul commercio internazionale sia di beni che di servizi di ogni
possibilità;
• che, mettendo da parte altre considerazioni, ha optato per l’approccio meno restrittivo verso il
commercio internazionale.
Chiunque abbia qualche familiarità con il processo formazione di linee di condotta e leggi ambientali e sullo
sviluppo– anche supponendo che vi sia una disponibilità illimitata di risorse per attuare questo processo –
individuerà immediatamente quali sono le difficoltà poste da questi requisiti. Sono condizioni quasi
impossibili da soddisfare perché la legge del mercato ignora che le pressioni competitive economiche e
politiche coinvolgono l’iter legislativo in una rete di compromessi che non può sempre tenere conto dei
requisiti di limitazione minima del commercio. Le attuali proposte nei settori dell’energia, dell’industria
estrattiva, del turismo e dei servizi ambientali probabilmente avranno delle conseguenze sul destino delle
foreste. Il loro impatto ambientale dipende dalla definizione che i membri del WTO daranno dei
provvedimenti: se essi richiedono l’uso di tecnologie e misure per raggiungere gli obiettivi ambientali e di
conservazione o di sviluppo sostenibile avrà buon esito. Alcune proposte (per esempio, da parte di Stati Uniti
e Venezuela sulla liberalizzazione dei servizi nel settore dell’energia, o del Canada e della Svizzera nel
turismo) accennano a questi timori in modo molto generale, chiedendo che le misure di riduzione non
vadano a scapito delle politiche ambientali o dello sviluppo sostenibile.
Questa breve panoramica del settore dei servizi mostra che il GATS, con il suo esteso orientamento
settoriale, rischia di mettere in pericolo la conservazione delle foreste. Le conseguenze ambientali della
liberalizzazione dei servizi sembrano essere meno nocive per l’ambiente delle regole del WTO in altri
settori, ma visto che gli organi stabiliti per regolare le dispute tra paesi membri interpretano le regole
dell’organizzazione, è assai improbabile che le misure politiche ambientali vengano opportunamente
protette. Fino ad oggi, i paesi hanno poche indicazioni chiare su come garantire un grado adeguato di
protezione ambientale nel settore dei servizi senza violare le regole del WTO. Al contrario, questi
provvedimenti poco chiari contribuiscono ad intralciare gli sforzi verso politiche ambientali innovative ed
efficienti. La Dichiarazione di Doha conferma l’indicazione fornita nella Decisione Ministeriale del 1994 sul
Commercio in Servizi e l’Ambiente78 per chiarire la relazione tra il GATS e l’ambiente, rapporto che fino ad
ora non è ancora stato troppo cordiale79.
78
79
Decision on Trade in Services and the Environment adottata dai ministri a Marrakesh il 15 aprile 1994.
Paragrafo 15 della Dichiarazione di Doha. Vedi: WTO 2001a.
46
IL WTO
5
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
Riformare il WTO
Invece di seguire un approccio di liberalizzazione del commercio non responsabile e pericoloso, il WTO
dovrebbe impegnarsi a rendere il commercio internazionale più favorevole allo sviluppo sostenibile, e –ove
questo non avviene- predisporre delle misure correttive. Questo richiede il coordinamento e la cooperazione
tra diversi soggetti, dentro e fuori il WTO, e implica seri studi di impatto e la creazione di incentivi alla
protezione delle foreste e ad un utilizzo sostenibile.
Ma la sostenibilità non può essere raggiunta attraverso il processo decisionale del WTO se le sue procedure
non diventeranno più trasparenti. I Paesi in Via di Sviluppo devono vedere il pieno accesso a tutti i negoziati,
ed il WTO dovrebbe accettare la pratica ormai comune nelle istituzioni internazionali di consentire l’accesso
come osservatori alle associazioni della società civile.
I membri del WTO devono combinare il loro approccio alla liberalizzazione del commercio internazionale
alla valutazione degli impatti ambientali. Questo significa un equilibrio tra liberalizzazione del commercio e
obiettivi sociali e ambientali, e non un primato del valore monetario sui benefici e gli interessi sociali e
ambientali della società. Questo significa inoltre che la liberalizzazione del commercio non può ridursi ad
una mera deregulation, significa abbandonare l’approccio che considera ogni misura nazionale una supposta
barriera commerciale. Nel contesto di uno sviluppo sostenibile, la liberalizzazione del commercio significa
trovare nuove forme di regolazione in grado di bilanciare in modo equo obiettivi economici, sociali e
ambientali. Questo significa che la soluzione più economica e meno restrittiva del commercio non deve
essere necessariamente la più compatibile col WTO specie se il proprio costo sociale o ambientale è più alto
dei benefici economici ottenuti.
Il WTO deve assicurare che il commercio sostenga la gestione sostenibile delle foreste. Questo significa
sostenere nell’accesso al mercato per i prodotti provenienti da buona gestione forestale, e la promozione di
prodotti forestali non legnosi originari da buona gestione forestale, possibilmente prodotti direttamente dalle
comunità locali. Significa inoltre che i membri del WTO accettino la certificazione forestale e la relativa
etichettatura come strumenti legittimi. Gli accordi TBT debbono essere chiariti in modo di non prevedere
discipline o strumenti volti a discriminare standard non relativi alle caratteristiche del prodotto (PPM) e a
riconoscere il FSC ad altri schemi similari.
Il WTO deve assicurare che le sue norme non acuiranno le cause indirette di deforestazione, né contrastare
con i principi e gli approcci di sostenibilità concordati internazionalmente. Devono inoltre avviare analisi,
che sulla base del Principio Precauzionale e dell’approccio ecosistemico, valutino i possibili impatti sociali
ed ambientali di ciascuna misura di liberalizzazione..
I membri del WTO devono creare una sorta di "scatola forestale” analoga alle proposte di eccezione
finalizzate allo sviluppo in ambito degli accordi sull’agricoltura. Questo strumento dovrebbe definire misure
commerciale in ambito WTO volte a promuovere la protezione delle foreste, quali ad esempio:
•
una lite di misure volte a rispondere all’articolo XX del GATT,
•
regole che consentano misure governative volte a sostenere la gestione sostenibile delle foreste, e
•
misure governative che sostengano i piccoli produttori e le comunità forestali che si adeguano a
pratiche sostenibili di gestione forestale o nella produzione di prodotti forestali non legnosi.
Potrebbero inoltre essere adottate specifiche misure per combattere il fenomeno del taglio illegale e del
relativo commercio internazionale.
Infine i membri del WTO dovrebbero coordinare il proprio lavoro con altre iniziative e istituzioni che già
seguono le tematiche fresali, per prevenire potenziali conflitti fra le proprie regole e quelle di tali istituzioni.
Questo significherebbe sviluppare un approccio più ampio e globale, che armonizzi la protezione delle
foreste e lo sviluppo sostenibile con la liberalizzazione del mercato, i programmi di aiuto allo sviluppo
bilaterali e multilaterali, e le politiche di aggiustamento strutturale della Banca Mondiale e del Fondo
Monetario Internazionale.
47
IL WTO
6
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
Le altre istituzioni internazionali
Oltre ad una profonda riforma del sistema del WTO, è ovviamente necessario rafforzare altre istituzioni che
possono contribuire ad armonizzare il sistema internazionale, e ad integrare le istanze ambientali, sociali ed
economiche.
6.1
Gli accordi ambientali multilaterali devono essere in grado di svolgere pienamente il
loro mandato anche sugli aspetti legati al commercio.
Come già accennato, diversi accordi ambientali multilaterali coprono anche ambiti di politica commerciale. I
più importanti sono la Convenzione sulla Biodiversità (CBD), Convenzione di Washington sul commercio
internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione (CITES), e la Convenzione sul Clima
dell’ONU (UNFCCC)80.
6.1.1 Convenzione sulla Biodiversità (CBD)
La CBD è un trattato internazionale volto ad assicurare:
• la conservazione della diversità biologica
• l’utilizzo sostenibile delle sue componenti, e:
• una giusta ed equa condivisione dei benefici originati dall’accesso alle risorse genetiche [84].
Il testo della CBD non contiene la parola "commercio", ma la piena implementazione di numerose dei
vincoli previsti, e delle decisioni assunte dalla Conferenza delle Parti (COP), richiedono azioni legate a
politiche commerciali. Questo è dovuto all’approccio globale della convenzione, finalizzato agli obiettivi di
conservazione della diversità biologica, dell’utilizzo sostenibile delle sue componenti, e di un’equa
condivisione dei benefici originati dall’accesso alle risorse genetiche Il commercio è un’importante e spesso
essenziale aspetto dell’uso sostenibile. I provvedimenti della CBD comprendono fra l’altro:
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Articolo 7 su monitoraggio e identificazione;
Articolo 8(a), 8(b) sulle aree protette;
Articolo 8(c), 8(d) sulla gestione delle risorse biologiche e la protezione di ecosistemi, habitat e specie;
Articolo 8(e) sullo sviluppo di aree adiacenti alle aree protette;
Articolo 8(h) sulle specie invasive;
Articolo 8(j) sui saperi tradizionali;
Articolo 10(b) sull’impiego di risorse biologiche per impedire impatti negativi sulla biodiversità;
Articolo 10(c) sull’impiego tradizionale di risorse biologiche;
Articolo 11 sulle misure di incentivazione;
Articolo 14 sulla valutazione degli impatti.
In occasione del quinto vertice del 2000, la Conferenza delle Parti (COP) della CBD, ha adottato l’approccio
ecosistemico come strumento per implementare la convenzione. L’approccio ecositemico è uno strumento
decisionale basato su 12 principi e 5 linee guida operative: una strategia completa per la gestione integrata di
terra, acqua e risorse viventi, e include aspetti decisionali legati al commercio. Esso fa chiaro riferimento ai
sussidi economici ad attività dannosi (sussidi perversi) ed esprime il principio dell’internalizzazione dei costi
e dei benefici della conservazione della biodiversità.
Secondo la CBD, de decisioni anche in materia di politica commerciale, devono sostenere gli obiettivi della
Convenzione e controllare gli impatti sulla biodiversità. La piena implementazione della CBD ha chiare
80
L’ International Tropical Timber Agreement (ITTA) non è considerato in questo capitolo. Benché nella dichiarazione 'Year 2000
Objective' l’ITTA dichiara di impegnarsi affinché tutte le esportazioni di legname tropicale provengano da fonti sostenibili,
l’International Tropical Timber Organization (ITTO) non ha intrapreso azioni sostanziali per trasformare questa dichiarazione in
realtà. Il reali interesse dell’ITTO è mostrato da un recente studio, in cui indica come barriere commerciali non tariffarie la
certificazione FSC per la buona gestione forestale e perfino la Convenzione Internazionale CITES, finalizzata a proteggere le specie
minacciate (vedi Box 2).
48
IL WTO
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
conseguenze sulla politica commerciale, soprattutto ora che – in seguito all’Uruguay Round, la materia di
politica commerciale è stata decisamente espansa.
Il Programma di Lavoro sulle foreste della CBD, concordato nel 1998, invita alla ricerca di un’ampia gamma
di tematica, tra cui i fattori economici che causano la perdita di biodiversità. Il Programma si basa su tre
fattori: la gestione degli aspetti biofisici nella riduzione delle minacce alla biodiversità, che prevede
l’istituzione di aree protette, la gestione degli aspetti istituzionali, politici e socio-economici, ed infine la
valutazione ed il monitoraggio.
La CBD ha inoltre approvato un Piano Strategico della Convenzione sulla Biodiversità che prevede
l’obiettivo ridurre significativa mente la perdita di biodiversità entro il 2010. Questo obiettivo è stato poi
approvato dal Summit dei capi di Stato del Summit Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile di Johannesburg del
2002 (WSSD). Per implementare il Programma, la CBD ha stabilito obiettivi e target verificabili. Questi
mostrano una crescente consapevolezza dello stretto legame tra biodiversità e politiche commerciali 81.
La Decisione VI/22 fa esplicito riferimento alla promozione alla “promozione dell’implementazione delle
leggi forestali ed affrontare il relativo commercio”. Essa inoltre:
• Invita le Parti, i Governi e le organizzazioni relative ad assicurare informazioni su base volontaria per
assicurare una migliore comprensione degli effetti di un prelievo non sostenibile.
• Valutare e riformare di conseguenza la legislazione, allo scopo di includere una chiara definizione delle
attività illegali e di mettere in atto effetti deterrenti
• Sviluppare metodi e capacità per una effettiva applicazione della legge
Nello stesso programma vengono affrontati gli aspetti socio-economici e le decisioni risultate in una perdita
di biodiversità. Le azioni stabilite sono:
• Istituire incientivi di mercato o di altro genere volte a sostenere le pratiche sostenibili, a sviluppare fonti
di reddito alternative e a sostenere programmi volti all’auto-sufficienza di comunità locali o popoli
indigeni
• Promuovere leggi nazionali e politiche del commercio internazionale compatibili con la protezione e
con l’utilizzo sostenibile della biodiversità forestale.
Nel 2004 la settima Convenzione delle Parti della CBD ha continuato a sviluppare il Programma sulle
Foreste, richiedendo un rafforzamento dell’impegno sugli obiettivi verificabili e sul raggiungimento dei
traguardi previsti per il 2010.
Decisione sulla lotta al traffico di legno illegale82
Alla settima Convenzione delle Parti della CBD, i firmatari anno concordato di “adottare ulteriori passi,
individualmente e collettivamente, per eliminare li sfruttamento illegale ed il relativo commercio delle
risorse, soprattutto relativamente alle aree protette e alle aree di grande importanza per la protezione della
biodiversità.
La COP 7 ha inoltre sviluppato un quadro per la valutazione dei risultati e dei progressi
nell’implementazione del Piano Strategico e per il raggiungimento degli obiettivi prefissati per il 2010
(paragrafo 1 decisione VII/30). Questo quadro prevede:
• Promuovere l’utilizzo sostenibile della biodiversità forestale.
• Affrontare le maggiori minacce alla biodiversità, tra cui quelle provenienti dalle specie aliene invasive,
dal cambiamento climatico, dall’inquinamento e dalle modifiche dell’habitat.
• Mantenere l’integrità degli ecosistemi, e stabilire i servizi di beni e servizi assicurati dalla biodiversità
negli ecosistemi, in supporto al genere umano
• Proteggere i saperi tradizionali, le innovazioni e le pratiche
• Assicurare una condivisione giusta ed equa delle risorse e
• Mobilitare risorse tecniche e finanziarie, soprattutto nei Paesi in Via di Sviluppo e nei piccoli Stati
insulari e nei paesi dalle economie in transizione – per l’implementazione del Piano Strategico della
Convenzione.
81
82
Vedi: UNEP/CBD/SBSTTA/7/6, 20 settembre 2001
UNEP/CBD/COP/7/L.32
49
IL WTO
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
Una nuova convenzione sulle foreste?
Nel corso degli ultimi cinque anni, è emerso con chiarezza come gli strumenti esistenti non siano sufficienti
ad una efficace protezione della biodiversità forestale. Per questo è emersa l’esigenza di una convenzione
sulle foreste con calore legale vincolante, con lo scopo di generare i finanziamenti e la volontà politica
necessari, e di richiamare l’attenzione internazionale sull’urgenza della protezione delle foreste. Il carattere
vincolante di tale convenzione sarebbe essenziale, per rendere efficaci gli impegni assunti in tale sede.
Non vi è però alcuna certezza che un nuovo strumento vincolante sia in grado di mobilitare effettivamente la
necessaria volontà politica. Per questo sarebbe più praticabile l’istituzione di un protocollo nell’ambito della
Convenzione sulla Biodiversità. La CBD già fornisce un quadro concettuale ed istituzionale per tale
strumento, il cui impiego d’altro canto, assicurerebbe coerenza e integrazione con gli approcci della CBD.
6.1.2 la Convenzione Internazionale sul Commercio delle Specie Minacciate (CITES)
La Convenzione Internazionale sul Commercio delle Specie Minacciate (CITES) è volta ad assicurare che il
commercio non minacci le specie protette. Essa proibisce la vendita e il trasporto di specie minacciate, per le
quali il commercio rappresenta una minaccia alla sopravvivenza (Appendice I della CITES). Essa inoltre
controlla il commercio di specie non ancora minacciate ma che potrebbero diventarlo se il loro traffico non
fosse posto sotto controllo (Appendice II). Ogni esportazione di individui i prodotti a base di specie elencate
nella II deve essere accompagnato da un permesso di esportazione che garantisce come il commercio e
l’esportazione del singolo carico non rappresenti una minaccia per la specie. Singoli Stati possono inoltre
inserire le proprie specie dell’Appendice III, determinando così che tutte le esportazioni da tale paese
saranno accompagnate da un permesso CITES.
Ad oggi 20 specie di alberi da legno sono incluse nelle appendici I e II della CITES., ma uno studio condotto
nel 1998 su 255 specie di alberi, sulla base dell’attuale tasso di deforestazione, era giunto alla conclusione
che almeno 15 specie dovrebbero essere aggiunte all’Appendice I ed altre 100 all’Appendice II. Le proposte
di inserire specie arboree, soprattutto quelle sfruttate per il legname, sono sempre state molto controverse. In
occasione della COP-9, nel 1994, le Parti hanno deciso di stabilire un Gruppo di Lavoro sul legno (Timber
Working Group - TWG) per affrontare e risolvere le controversie relative a teli specie. Il TWG ha formulato
diverse raccomandazioni per l’applicazione della CITES in forma più adeguata al mercato internazionale del
legnane. Nel corso della COP-11, nel 2000, i compiti del Gruppo di Lavoro sono stati ampliati alla revisione
delle normative che regolano le specie listate nell’Appendice III ed in generale il mercato del legname.
La tredicesima Conferenza delle Parti (COP-13) tenutasi a Bangkok nell’ottobre del 2004, ha segnato un
significativo passo avanti, inserendo il Ramino nell’appendice II. Questa specie, già inserita nell’Appendice
III dall’Indonesia, era contrabbandata illegalmente attraverso Malesia e Singapore. La CITES in questo
modo ha dimostrato di poter divenire uno strumento di lotta al traffico di legno illegale.
La principale debolezza della CITES consiste nei meccanismi di voto a maggioranza qualificata (i due terzi)
che molto facilmente consente a forti interessi commerciali di bloccare l’inserimento di una specie di valore
commerciale. Inoltre le singole Parti hanno facoltà di riserva entro 90 giorni, ed in tal caso non saranno
forzati a rispettare le limitazioni della specie in questione. Da ultimo, l’applicazione della Convenzione è
lasciata ai mongoli Stati, e questo crea dei forti vuoti nell’implementazione, specie nei paesi dove le strutture
amministrative sono più deboli, dove manca la volontà politica.
Per questo sarebbe necessaria un’autorità di enforcement coordinata internazionalmente, in coordinamento
con similari processi in via di sviluppo in ambito FLEG e FLEGT. Messe assieme, queste iniziative possono
rappresentare una forte istanza in grado di individuare ed eliminare i filoni di traffico illegale, e promuovere
una gestione responsabile delle foreste.
6.1.3 Convenzione Quadro dell’ONU sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC)
La Convenzione Quadro dell’ONU sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC) persegue la protezione e l’uso
responsabile della foreste, a causa della loro capacità di sequestrare carbonio. La COP-6, tenutasi in due
sezioni, nel 2000 e nel 2001, ha affermato che le foreste possono essere utilizzate nel calcolo dei crediti di
carbonio nell’ambito del Protocollo Kyoto.
La UNFCCC e il Protocollo di Kyoto hanno indirettamente affrontato tre temi di carattere commerciale
legati alle foreste. Il primo riguarda la liberalizzazione degli investimenti. Per operare con efficacia, il Clean
50
IL WTO
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
Development Mechanism (CDM) del Protocollo di Kyoto – uno strumento chiave per la promozione della
protezione elle foreste e della riforestazione nei Paesi in Via di Sviluppo – può avere la conseguenza di
creare distinzioni tra gli investimenti stranieri. Tali distinzioni – per esempio, l’ammontare dei crediti di
carbonio –sono stabiliti in base alla capacità del paese di origine di adempiere agli obblighi del Protocollo.
Secondo il Protocollo inoltre, il paese ospitante può in piena legittimità usare il CDM per sviluppare capacità
locale, esigendo un contenuto locale nel carattere degli investimenti.
Il Protocollo inoltre consente ai paesi sviluppati di impiantare piantagioni nei pese del Sud. I paesi sviluppati
possono acquistare crediti di carbonio ai sensi del CDM, fino all’1% delle proprie emissioni del 1990.
Secondo le decisioni assunte in seguito dalla COP-10, un comitato indipendente sarà incaricato di valutare
questi progetti, e verificare il loro reale impatto in termini di riduzione delle emissioni. Fino ad oggi i
progetti ai sensi del CDM non hanno avuto influenza sulle politiche di gestione forestale, anche se da più
parti è stata espressa la preoccupazione che i crediti di carbonio possano risultare in piantagioni a crescita
rapida, causa di erosione del suolo e di riduzione della biodiversità.
6.2 Il Forum Foreste dell’ONU (UN Forum on Forests - UNFF)
Tra il 1995 i il 2000 l’ONU ha creato tre istituzioni relative alle policy gestione delle foreste: un Comitato
Intergovernativo sulle Foreste (Intergovernmental Panel on Forests - IPF), attivo tra il 1995 e il 1997, un
Forum Intergovernativo sulle Foreste (Intergovernmental Forum on Forests - IFF), attivo dal 1998 al 2000,e
il Forum dell’ONU sulle Foreste ( UN Forum on Forests - UNFF), attivo dal 2000.
Questi tre organismi sono stati creati per discutere ed armonizzare le politiche forestali, tra cui i temi legati al
commercio, ma non hanno realizzato sostanziali progressi. I’UNFF è stato creato per un periodo di cinque
anni (tra il 2000 e il 2005) come organo sussidiario del consiglio Economico e sociale dell’ONU (ECOSOC).
Il suo mandato costituivo consisteva nel promuovere la gestione, la protezione e lo sviluppo sostenibile di
tutti i tipi di foresta, sostenendo l’implementazione di accordi in materia forestale e promuovendo la
reciproca comprensione e rafforzando l’impegno verso la gestione sostenibile delle foreste.
L’UNFF in realtà non è stato in grado di funzionare, ed è stato per questo fortemente criticato dalle
associazioni ambientaliste e da numerosi Stati membri. Difatti forti interessi economici hanno prevalso sulle
decisioni, impedendo all’UNFF di divenire effettivamente uno strumento politico in grado di influenzare in
alcun modo le politiche forestali. Il quinto vertice dell’UNFF, finalizzato alla riforma di questo organismo
sulla base delle funzioni per le quali era stato creato, si è rivelato un fallimento, in quanto mancavano
addirittura le informazioni necessarie ad avviare il processo di revisione e riforma. Solo i paesi europei ad
altri 14 paesi su 191 hanno risposto al questionario inviato loro dal Segretariato UNFF, e nei cinque anni di
mandato, solo 8 Stati hanno mantenuto l’impegno di informare il Segretariato sui progressi realizzati in
ambito forestale. I negoziati per un nuovo accordo sulle foreste sono naufragati sul nascere, e sono oggi in
molti (non solo le associazioni ambientalista, ma anche la FAO) a richiedere la fine di tale processo.
6.3 i processi FLEG e FLEGT
L’Iniziativa FLEG della Banca Mondiale
Nel 1998 i ministri degli esteri dei paesi G8 hanno concordato un “Programma di Azione sulle Foreste”.
Questo conteneva 5 elementi:
• Valutazione e monitoraggio
• Programmi nazionali sulle foreste
• Aree protette
• Settore privato
• Taglio illegale
Il programma sul taglio illegale era considerato l’iniziativa più rilevante. Questo programma ha segnato
l’inizio dei processi “FLEG”(Forest Law Enforcement and Governance)83 volti a rafforzare il rispetto della
legislazione forestale e la governance.
I processi FLEG sono stati fin’ora avviati in Asia, Africa e Russia, ed hanno visto vertici, dichiarazioni ed
accordi informali, ma fino ad oggi non hanno ancora sviluppato strumenti efficaci nella la lotta al legno
illegale, né tanto meno risultati concreti.
83
Vedi: World Bank, 200b.
51
IL WTO
LA GRANDE SVENDITA DELLE FORESTE PRIMARIE
L’Iniziativa europea del FLEGT
Nel maggio 2003 la Commissione Europea ha presentato un Pano di Azione FLEGT (Forest Law
Enforcement, Governance and Trade84 volto ad affrontare il fenomeno delle importazioni di legno di origine
illegale. Il piano si basa su quattro punti:
• Sostenere e promuovere la buona governance e la formazione delle capacità necessarie nei paesi
produttori di legname
• Sviluppare accordi volontari di partenariato con i paesi produttori del legname importato dall’Unione
Europea (Voluntary Partnership Agreements)
• Valutare le opzioni per ulteriori misure legislative tra cui una legge che proibisca l’importazione di
legname di origine illegale nell’Unione Europea.
• Impegnasi a ridurre il consumo europeo di legname di origine illegale e scoraggiare gli investimenti di
istituzioni dell’Unione Europea che possano incoraggiare il taglio illegale.
Il FLEGT stabilisce una serie di misure per raggiungere questi obiettivi:
Sostegno all’incremento della govenrnance: il Piano di Azione si pone l’obiettivo di sviluppare un sistema
di verifica della legalità in grado di distinguere il legno illegale da quello legale, aiutando i governi dei paesi
produttori nello sviluppo di sistemi di controllo efficaci, nel migliorare la coordinazione tra le forze di
polizia, di dogana e le istituzioni giudiziarie e nel sostenere il processo di riforma del settore forestale.
Sviluppo di accordi volontari di partenariato con i paesi produttori del legname pensati come accordi
bilaterali tra i singoli paesi e l’Unione Europea. Nel lungo periodo questi accordi dovrebbero trasformarsi in
accordo regionali o perfino in un accordo di collaborazione internazionale. Essi dovrebbero prevedere
l’istituzione di sistemi di tracciabilità in grado di distinguere il prodotto legale da quello illegale. Questi
accordi coprono il legname grezzo, i segati e i compensati.
I paesi partner beneficerebbero del sostegno nello sviluppo della governance, avrebbero accesso ai mercati
dell’Unione Europea e godrebbero dell’integrità dei redditi fiscali legati al settore forestale, ora
massicciamente evasi.
Accordi volontari e rotte di mercato. Il commercio con i paesi che sottoscriveranno tali accordi sarà
ovviamente fortemente influenzato dal loro contenuto. Malgrado i benefici per i paesi produttori, nel caso in
qui questi non riescano ad assicurare la legalità, potrebbero venire penalizzati nel loro accesso al mercato
europeo, e da parte di diverse imprese si sostiene che questo rappresenti una restrizione commerciale in
violazione alle regole del WTO 85.
Nel frattempo il processo FLEGT si sta sviluppando molto lentamente, e ancora non vi sono garanzie sulla
sua efficacia. Il coinvolgimento della società civile, soprattutto nei paesi produttori, è ancora molto scarso, il
che non lascia troppe speranze sullo sviluppo di un sistema basato sui principi della trasparenza e della
responsabilità nella gestione delle risorse forestali e nella lotta alla corruzione. Inoltre gli accordi saranno
applicabili esclusivamente ai paese che decideranno di aderire al progetto, e copriranno esclusivamente i
prodotti diretti al mercato europeo e neppure tutti, dato che il sistema non è ancora in grado di evitare
triangolazioni attraverso paesi terzi. Per esempio in Europa sono crescenti le importazioni di legname e
derivati dalla Cina, paese che negli ultimi anni è stato uno snodo importante del legname di origine illegale.
La Commissione Europea ha riconosciuto questi limiti e si è impegnata a valutare ulteriori passi, tra cui
misure legislative tra cui una legge che proibisca l’importazione di legname di origine illegale nell’Unione
Europea. La regolamentazione fin ora approvata però è ancora lontana da questi obiettivi.
Nel luglio 2005 il Parlamento Europeo ha votato una risoluzione che critica fortemente la Commissione
Europea ed i Pesi Membri per la loro inazione e per la lentezza con cui marcia il processo FLEGT 86. Il
Parlamento ha richiesto di intraprendere senza esitazioni ulteriori passi verso una legge che proibisca
l’importazione di legno illegale.
84
Vedi: Commissione Europea, 2003.
Vedi: Bodard / Pallemarts 2005 p. 66.
86
Parlamento Europeo, 2005.
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Raccomandazioni
Malgrado anni di negoziati sulla relazione tra commercio e protezione dell’ambiente, e oltre un decennio di
studi scientifici sugli impatti ambientali della liberalizzazione, l’attitudine di molti membri del WTO non è
cambiata. Oggi il legame tra liberalizzazione e le funzioni ambientali, economiche e sociali delle foreste è
chiaro a tutti, ed è altrettanto ovvio che le attuali regole del WTO e l’ulteriore liberalizzazione avviata dal e
Doha Round minacceranno fortemente la biodiversità forestale.
Come primo passo, il WTO deve effettivamente consentire misure volte alla protezione delle foreste, anche
ove tali misure potessero essere considerate come una “distorsione” del commercio internazionale. È inoltre ,
chiaro che il valore economico, ambientale e sociale della biodiversità forestale è permanentemente
minacciato da uno sfruttamento non sostenibile. Le conseguenze causate dalla liberalizzazione del
commercio dei prodotti forestali mostra chiaramente come il commercio non possa essere finalizzato a sé
stesso, e non possa avere priorità su valori internazionalmente accettati e riconosciuti, quali la protezione
dell’ambiente e lo sviluppo sostenibile. Il WTO non deve continuare a violare principi chiave ed approcci di
sviluppo sviluppati in altre convenzioni internazionali.
È necessario che tutte le parti si uniscano per contrastare la visione unilaterale fin’ora prevalente nel WTO.
In passato l’azione comune di associazioni ambientaliste, ONG, Paesi in Via di Sviluppo e Unione Europea è
riuscita a sconfiggere le potenti opposizioni alla Convenzione di Basilea contro il traffico di rifiuti tossici,
così come al Protocollo sulla Biosicurezza. Una simile alleanza potrebbe assicurare un futuro alle foreste del
pianeta ed a proteggerle dalle discriminazioni interessate di alcune parti.
Per promuovere la protezione e l’utilizzo sostenibile delle foreste del pianeta, assieme alllo sviluppo
sostenibile nei paesi ricchi di foreste, Greenpeace invita i membri del WTO a:
• Fermare il negoziato NAMA ed abbandonare i progetti di una ulteriore liberalizzazione dei prodotti
forestali in ambito NAMA.
• Assicurare che le misure commerciali volte a promuovere la conservazione delle foreste ed un loro
impiego responsabile (come ad esempio il divieto di importazione di legno di origine illegale o
distruttiva, o a sostenere le importazioni di prodotti certificati Forest Stewardship Council) non siano
ostacolate dalle regole del WTO.
• Sostenere con forza il principio secondo cui gli accordi multilaterali ambientali siano gli strumenti più
idonei ed efficaci per integrare le istanze ambientali, sociali ed economiche nel contesto di una gestione
sostenibile delle foreste.
• Assicurare che eventuali misure di controllo sul commercio internazionale e sulle importazioni di di
legname proveniente da operazioni forestali illegali o distruttive non siano ostacolate dalle regole del
WTO.
• Assicurare che le istituzioni ed i processi internazionali specializzati in tematiche forestali, quali CBD,
CITES, UNFCCC and FLEG(T) siano promossi, rafforzati e possano acquisire maggiore iniziativa e
mandato nell’affrontare tematiche del commercio. Per questo è necessario creare uno strumento legale
internazionale volto alla protezione delle foreste ed alla promozione di una loro gestione responsabile,
promuovendo ad esempio un protocollo forestale, da crearsi sotto gli auspici della CBD.
• Assicurare che iniziative quali il Forest Stewardship Council (FSC) non siano minacciate dal WTO,
soprattutto ora che tali iniziative indipendenti si stanno rafforzando, malgrado il tentativo di parti
interessato di utilizzare il WTO per evitarne la diffusione.
• Assicurare che le politiche di acquisto responsabili di legno e prodotti forestali non siano ostacolate dalle
regole del WTO.
• Aprire il WTO alla piena partecipazione della società civile e di tutti i Paesi in Via di Sviluppo.
• Condurre attente valutazioni sugli impatti ambientali e sociali sulle foreste, soprattutto a livello
nazionale e regionale, di tutte le proposte di liberalizzazione nei settori forestale, agricolo, minerario e
dei trasporti.
• Assicurare che il WTO non impedisca la piena applicazione del Principio Precauzionale e di altri
principi ed approcci strategici concordati nella Dichiarazione di Rio.
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Assicurare che le regole del WTO non interferiscano nella piena protezione dei saperi tradizionali legati
alle foreste e che non vengano utilizzate per coprire operazioni di biopirateria.
Assicurare che le politiche nazionali volte ad un impiego sostenibile delle foreste non siano minacciate
dalla liberalizzazione del settore dei servizi.
Istituzioni e trattati internazionali su materie relative al settore forestale devono divenire più attivi
nell’affrontare tematiche relative al commercio internazionale. In particolare, Greenpeace chiede ai
governi in impegnarsi maggiormente nell’implementare e nel rafforzare istituzioni quali la CBD, la
CITES e il UNFCCC. Uno strumento internazionale di cooperazione volto alla protezione ed alla
gestione sostenibile delle foreste, così come al controllo sul mercato dei prodotti a base di legno, deve
essere creata sotto gli auspici della CBD.
Greenpeace si appella ai governi affinché appoggino e promuovano i processi regionali FLEG(T) volti a
combattere il taglio illegale ed il commercio di legno illegale.
È necessario riconoscere il fallimento del processo UNFF, che deve lasciare il posto ad un ulteriore
sviluppi di altri organismi dimostratisi più efficaci.
Greenpeace si appella ai governi alla Commissione Europea affinché predisponga un rapporto
supplementare al Sustainable Impact Assessment on forests per promuovere lo sviluppo di misure
specifiche in ogni paese, volte a prevenire iu possibili impatti negativi, sociali e ambientali, dei negoziati
in ambito WTO
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