Dicembre - Benedetta Bianchi Porro

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Dicembre - Benedetta Bianchi Porro
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NOTIZIARIO «AMICI DI BENEDETTA»
Anno XXIX - n. 2 - Dicembre 2014
Semestrale - Poste Italiane s.p.a. - Sped. abbon. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2 - DCB di Forlì - Aut. Trib. Forlì n. 18/86 Dir. Resp.: Gianfranco Amati - “Amici di Benedetta” Casella postale n. 62 - 47013 Dovadola (FC) - Amm.: Via Benedetta Bianchi Porro, 4 - Dovadola (FC) Tel. 0543 934676 - c.c.p. 1000159051 - Taxe perçue (tassa riscossa) - Stampa Stilgraf Cesena
«Il popolo che camminava nelle tenebre
«vide una grande luce;
«su coloro che abitavano in terra tenebrosa,
«una luce rifulse».
(Is 9,1)
Corrado Catani, Il buio e la luce, 2014
2 ■ l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78
Pagine di diario
a cura di ROBERTA BÖSSMANN
Carissimi tutti,
• inizio queste pagine di
diario con la notizia del
60º di ordinazione sacerdotale di don Alfeo Costa, ripresa il 3 luglio
2014 da «il momento».
Un piccolo articolo, corredato da fotografia, ha
ricordato che il Sindaco
di Dovadola Gabriele
Zelli ha consegnato a
don Costa l’attestato di
Cittadino Benemerito
per il servizio svolto a
favore della comunità e
per l’impegno profuso
per la causa di beatificazione di Benedetta. La consegna è avvenuta il 29 giugno, nell’abbazia di Sant’Andrea. Ancora tanti
cari auguri al nostro caro don Alfeo e un grazie anche da parte
nostra per il suo impegno e la sua fedeltà alla causa di Benedetta.
• Sempre su «il momento», il 12 giugno c’era l’articolo Da Dovadola parte il “Cammino di Assisi”, un percorso per pellegrini, lungo 300 km, diviso in 11 tappe a piedi. Il percorso è ormai conosciuto in tutto il mondo e don Costa ha messo dei locali in canonica a disposizione dei pellegrini. Una bella foto
del nostro don Alfeo era, sempre quel giorno, su un’altra pagina del periodico in cui veniva ricordato, assieme ad altri confratelli, il suo anniversario di sacerdozio.
• Il 12 giugno il gruppo di Amici delle Marche che, bloccato dalla neve non aveva potuto partecipare alla celebrazione di gennaio a Dovadola, e il gruppo di Ostuni hanno partecipato a una
santa Messa celebrata dal Card. Comastri davanti alla tomba di
Pietro a Roma. Siamo particolarmente grati per questo gesto di
squisita amicizia da parte del Cardinale.
• Il 31 luglio, un articolo di Giovanni Amati su «il momento»
informava sulle celebrazioni a Dovadola dell’8 e 10 agosto per
il 78º anniversario della nascita di Benedetta.
Ne parlava anche Quinto Cappelli su «Il Resto del Carlino» il
9 agosto. Il 10 agosto «La Voce» riferiva sulle celebrazioni alla Badia di Dovadola per ricordare Benedetta e poi l’indimenticabile Anna Cappelli nel nono anniversario della sua morte.
• Dal 6 al 10 settembre, a Moneglia (Genova), si è svolta la mostra “Oggi grazie: 7 Parole e 2 dita. La Passione di Cristo in Benedetta Bianchi Porro”. Alla base
della mostra c’è stato un grande
lavoro coordinato da don Massimiliano Pendola. Erano esposte
delle belle opere di Maria Grazia
Rebuzzi, accompagnate da pensieri di Benedetta e di Madre Cànopi. All’inaugurazione Emanuela, sorella di Benedetta, ha portato la sua testimonianza. È stato
poi proiettato il film Oggi grazie
sulla Venerabile. La giornata inaugurale del 6 settembre ha visto così la celebrazione della Festa della Croce 2014 in modo
originale, intelligente, profondamente sentito e partecipato. Un
grazie alla Comunità di Moneglia è davvero doveroso.
• La stessa Comunità si è poi recata a Dovadola il giorno 23 ottobre per attuare una visita ai luoghi di Benedetta.
• Sabato 20 settembre un’interessante mostra fotografica dal titolo
“Affettuosamente Benedetta” è
stata allestita a Dovadola, da
Giulio Sagradini, all’Oratorio di
Sant’Antonio. L’Autore ha ripercorso i luoghi di Benedetta attraverso delle belle e significative
immagini che evocano ed attualizzano il suo percorso di vita.
• Domenica 5 ottobre a Dovadola,
il Club “L’inguaribile voglia di
vivere”, dopo un pranzo insieme,
si è ritrovato alla Badia di
Sant’Andrea per un pomeriggio in ricordo di Benedetta. Erano
presenti anche il gruppo degli Amici delle Marche e gli Amici
Gian Paolo e Nadia di Viareggio. C’è stato un incontro-testimonianza dal titolo: L’amore è
un concime che rende fertile
ogni terra. Tra gli altri è intervenuta Emanuela Bianchi Porro.
La santa Messa, celebrata dal
vescovo Mons. Lino Pizzi ha
concluso la giornata che prevedeva anche una raccolta di fondi
per aiutare Borel, un ragazzo di
14 anni, che necessita di due interventi chirurgici per poter tornare a camminare. Grazie ai soci de “L’inguaribile voglia di vivere” per quanto ci sanno testimoniare con amore, dedizione,
impegno concreto e con i loro
gesti di solidarietà. Anche Benedetta avrà fatto festa con loro
dal cielo. Il club ha anche una bella rivista «Coccinella blu»
che, nel numero di giugno, ha dedicato due intere pagine a Benedetta.
• Il 12 ottobre l’Associazione “Amici di Benedetta” (Associazione per Benedetta Bianchi Porro - onlus) ha organizzato presso il
teatro Diego Fabbri un concerto in ricordo di Benedetta in occasione del cinquantesimo della morte. Daniele Rubboli ha ideato
un percorso dal titolo La redenzione nel melodramma italiano
affidato alle voci del soprano Maria Simona Cianchi, del tenore
Simone Mugnaini, del baritono Carlo Maria Cantoni, con la partecipazione del soprano forlivese Maria Francesca Poggiolini,
accompagnati al pianoforte dal maestro Luca Santini.
• Sabato 18 ottobre viene inaugurata a Dovadola la mostra d’arte, presso la corte San Ruffillo, organizzata dall’Associazione
“Artisti dovadolesi”, dedicata alla Venerabile Benedetta Bianchi Porro in occasione del 50º della morte. All’inaugurazione
erano presenti Serena Venturelli, ideatrice dell’esposizione, e il
l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78 ■ 3
stesso giorno ha portato, come abbiamo visto, la sua testimonianza a Dovadola a 150 persone circa del Club “L’inguaribile voglia di vivere”.
Forlì - Teatro “Diego Fabbri”: i protagonisti del concerto su
“La redenzione nel melodramma italiano” (Foto Conficoni)
Vice Sindaco Kabir Kanal. Gli artisti Corrado Catani, Iris Casamenti, Emanuela Dall’Agata, Aldo Gurioli, Liliana Lefebre,
Foscolo Lombardi, Manuela Mercuriali, Sandra Vaudano, Serena Venturelli, Gabriella Vespignani, Anna Zamparini presentano ciascuno un’opera
«per sottolineare le qualità straordinarie di bontà
e di accettazione del male che durante la sua breve vita Benedetta ha saputo dimostrare».
• Domenica 2 novembre
alle ore 18, nella basilica
di San Mercuriale (Forlì),
si è celebrata la santa
Messa dell’Artista, presieduta dall’Abate don A. Gurioli, Benedetta nel suo studio, 2014
Enrico Casadio, nel cinquantesimo anniversario della venerabile Benedetta Bianchi
Porro. Durante la celebrazione, in memoria e a suffragio degli
Artisti ed Esponenti della cultura forlivesi scomparsi e di tutti
i defunti, è stata eseguita la “Cantata su Pensieri di Benedetta”
di P. Bonaguri per solisti, coro e orchestra, sui seguenti testi:
La sapienza è vedere le cose alla luce di Dio. La pace è Dio
nel cuore. La gioia è il volto della pace. Dio dà la croce poi la
resurrezione. Un giorno capiremo il perché di ogni cosa.
Quando in primavera tutto fiorisce e profuma raccoglierem,
cantando all’amore del Padre. Come preghiere in cammino
verso il cielo.
• Devo ricordare anche i molteplici incontri del 2014 di Emanuela Bianchi Porro che sono davvero tanti. Di alcuni ho già
fatto cenno nel numero di maggio de «l’annuncio» o qui sopra,
sugli altri vi informo ora.
❉ Il 27 aprile, sempre a Dovadola, era assieme a don Walter
Amaducci con la parrocchia di Cesenatico, alla presenza di
80 persone.
❉ Il 17 giugno si è invece recata a Reggio Emilia su invito di
don Gabriele della Parrocchia di San Luigi Gonzaga.
❉ Il 4 agosto Manuela era nella Parrocchia di San Giacomo
Apostolo, su invito di don Pietro Casadei, nell’ambito degli
incontri culturali organizzati dalla parrocchia.
❉ Il 18 settembre a Sirmione parlava su Benedetta a un gruppo di Castiglione Chiavarese.
❉ Il 5 ottobre era a Dovadola con don Mino Flamigni della
parrocchia di San Paolo di Forlì, i catechisti, i ragazzi e i loro genitori per parlare di Benedetta. Nel pomeriggio dello
• Due belle pubblicazioni sono uscite a Dovadola grazie all’impegno dell’“Associazione Artisti Dovadolesi” e della Presidente Serena Venturelli. Il primo volumetto dal titolo Dovadola e i
suoi artisti 2014 presenta le opere esposte a Dovadola sul tema
dell’Acqua nell’Oratorio
settecentesco di Sant’Antonio.
Il secondo testo, Arte per
Benedetta, sempre a cura
di Serena Venturelli e
Nazzareno Giannelli, per
l’“Associazione Artisti
Dovadolesi” presenta le
opere della mostra dedicata quest’anno a Benedetta, in occasione del
50º anniversario della
morte. Sono lavori interessanti che cercano di
farci comprendere come
la venerabile sia “vista”
oggi dagli artisti del luogo e come il suo messaggio di luce e di speranza sia sempre attuale e fonte d’ispirazione. Tra gli artisti vi sono persone che hanno conosciuto Benedetta, altre che ne hanno sentito parlare in famiglia o in paese,
altre ancora che l’hanno avvicinata soltanto attraverso i suoi
scritti. Per tutti è stata ed è motivo di stupore, uno stupore che
gli artisti hanno voluto rappresentare nei loro lavori. C’è chi
l’ha dipinta tra i petali di una rosa, chi si è ispirato a una fotografia, chi ha rappresentato un ambiente o soltanto una luce
che scaturisce da un tunnel. Quasi tutti i lavori trasmettono una
sensazione di pace che prende il sopravvento sulla sofferenza e
sul dolore. La seconda parte del libro presenta poi artisti presenti nel museo dedicato a Benedetta e artisti che hanno donato qualche lavoro in sua memoria. Troviamo a Dovadola opere
di Annigoni, Berti, Fazzini, Messina, Tommasi,
Angelo Ranzi, Franca
Mettica, Tonino Valmori, Romano Stefanelli,
Bruno Innocenti, Aldo
Gurioli, Bunaza (Lino
Battistini), Francesco
Bagnulo e Angelo Biancini che ha scolpito il
sarcofago di Benedetta
su commissione della famiglia Bianchi Porro.
• Sul settimanale «La Madonna di Lourdes», n. 57
pubblicato dall’editore
Hachette, troviamo un
bell’articolo biografico
su Benedetta dal titolo:
Una rosa bianca fuori stagione (pp. 11-14).
• Anche questa volta le notizie sono tante. Ringrazio tutti coloro
che hanno collaborato alla realizzazione di questo numero con
i loro contributi. Gli affezionati amici di Ascoli, guidati da Padre Paolo Castaldo, hanno preparato, con l’apporto determiContinua a pag. 4
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Continua da pag. 3
nante di Rossana, le quattro pagine dell’inserto centrale staccabile di questo numero de «l’annuncio»: è un sussidio utile
per presentare Benedetta ai bambini. Ricordo anche con affetto
e riconoscenza gli altri gruppi che operano, anche nel silenzio
e con fedeltà, per pregare, studiare e meditare con riferimento
a Benedetta.
Mi vengono in mente gli Amici di Ostuni, che hanno seguito
un ricco programma; quelli marchigiani, attorno a Graziella,
sempre fedeli e attenti a Benedetta; gli Amici di Sirmione,
sempre attivi e propositivi, e tutti gli altri Amici che sono come tante piccole luci di speranza che si accendono nel mondo.
Voglio poi ricordare chi ci segue nella preghiera, soprattutto chi
vive nella sofferenza e pure ci resta vicino con un pensiero, una
poesia, uno scampolo di spiritualità che Benedetta ispira. Non
tutto trova spazio in queste pagine, ma nulla va perduto.
Ringrazio con affetto tutte queste persone.
Un abbraccio e un caro augurio di un Natale ricco della gioia
del Signore.
Benedetta in Internet
a cura di Gianfranco A.
Nuova veste per www.benedetta.it
• Dopo un lungo lavoro di aggiornamento ecco come si
presenta il nostro sito www.benedetta.it/. Può essere uno
strumento molto utile per conoscere Benedetta ed anche
per presentarla in occasione di qualche incontro. Scritti
e materiali audio-video significativi sono reperibili nelle varie sezioni che vi invitiamo a scoprire.
Date anche un’occhiata alla nuova sezione in lingua inglese. Buona esplorazione dunque e tante grazie a Claudia e a coloro che hanno reso possibile questo aggiornamento!
• Pier Giuseppe Campana ci segnala http://it-it.facebook.com/Rosario.Benedetta/info/. È un pagina su facebook dedicata al
gruppo che recita il “Rosario con Benedetta” tutti i lunedì sera alle ore 21.00 nell’Abbazia di Sant’Andrea a Dovadola.
PAPA PAOLO VI
BEATO
19 ottobre 2014
«In questo giorno della beatificazione
di Papa Paolo VI
mi ritornano alla mente le sue parole,
con le quali istituiva il Sinodo dei Vescovi:
«scrutando attentamente i segni dei tempi,
cerchiamo di adattare le vie ed i metodi...
alle accresciute necessità dei nostri giorni
ed alle mutate condizioni della società»
(Lett. ap. Motu proprio Apostolica sollicitudo).
Nei confronti di questo grande Papa,
di questo coraggioso cristiano,
di questo instancabile apostolo,
davanti a Dio oggi
non possiamo che dire
una parola tanto semplice
o sincera ed importante:
grazie!
Grazie nostro caro e amato
Papa Paolo VI!
Grazie per la tua umile
e profetica testimonianza
di amore a Cristo e alla sua Chiesa!».
PAPA FrANCESCO
l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78 ■ 5
LA NASCITA DI UN LIBRO
All’anagrafe è Mariagrazia Bolzoni Rogora, ma lei preferisce
scrivere Maria Grazia. È l’amica di Benedetta, sua compagna
di studi all’università, nota anche per aver promosso la raccolta delle sue lettere, pubblicate, su iniziativa della famiglia, in
un volume apparso con il profilo spirituale redatto da Padre
Turoldo.
Data anche la caratteristica di puntuale raccoglitrice di notizie
e di dati, da “commissario di polizia”, così le dicevamo scherzosamente, abbiamo chiesto a Maria Grazia di scrivere il suo
percorso di vita, in cui Benedetta ha svolto e svolge ancora un
ruolo importante.
Ci sembrava molto significativo far emergere, almeno un poco,
il contesto di vita in cui si svolgevano la fitta corrispondenza e
gli incontri con l’amica. Dopo molte insistenze e dopo esitazioni, dovute a qualche forma di timidezza, quando affioravano
tracce di amori o di simpatie giovanili, provate a pensare ai
dialoghi tra Agnese e Perpetua nei Promessi sposi, Maria Grazia ha finalmente scritto. È nata così una storia in cui l’autrice
ripercorre dalla nascita, cosa ovvia per lei, un lungo tratto della propria vita, rivelando generosità, attenzione verso i sofferenti, talvolta irruenza, e anche un’altra caratteristica non secondaria. Benedetta la espresse in un incontro dell’estate 1963
con Maria Grazia e con un amico, Umberto, che l’accompagnava. A fatica, a causa della parziale paralisi facciale, gli rivolse alcune parole. Maria Grazia, abituata ad ascoltarla, le
comprese benissimo, ma non le ripeté all’amico per non sembrare immodesta. Benedetta disse: “Maria Grazia è fedele”.
Aveva ragione, non solo in quella circostanza, ma perchè esprimeva il rapporto che Maria Grazia aveva ed ha ancora oggi
con lei.
Ma c’è molto di più in questo libro. Roberta aiuta a scoprirlo
nella breve presentazione del volume.
Gianfranco Amati
I dolci volti di Dio
N
on è da tutti ritrovarsi a 70 anni, ripercorrere la propria vita e accorgersi, immagine dopo immagine, che tutto ciò
che è avvenuto aveva un preciso disegno, il disegno di Dio,
tracciato per noi e solo per noi.
È un disegno che comprende anche tutte le persone che in una
vita abbiamo conosciuto o solo sfiorato in un incontro mancato,
tutti i luoghi che sono stati il paesaggio davanti al quale i tratti
del disegno hanno preso forma e colore.
Sì, sono pennellate di colore quelle che Maria Grazia ci regala
attraverso queste pagine che sono diventate dono. Un dono per
tutti coloro che vorranno accostarsi a questo piccolo libro scritto per rendere grazie alla vita, in tutti i suoi aspetti.
C’è poesia in queste pagine di Maria Grazia. C’è capacità di sorridere ai piccoli “grandi” poblemi che l’esistenza ci chiede di affrontare; c’è tanto amore verso coloro che Dio le ha messo accanto lungo il cammino, e poi c’è Dio stesso, che tesse la tela
con la trama e l’ordito se gli permettiamo di farlo.
“Dio è dove lo si lascia entrare”, dice Martin Buber, uno dei
grandi profeti dell’ebraismo del 20º secolo.
Maria Grazia ha aperto la porta della sua vita e ha fatto entrare
Dio. Lui ne ha approfittato dolcemente e le ha permesso di vivere i suoi giorni in piena libertà, riuscendo a non farle rompere mai il filo invisibile che da sempre la lega a Lui. Ogni conoscente, ogni incontro diventano così il luogo dell’incontro
con Dio e ciascuno viene valorizzato da questo filo invisibile che rende tutto “giusto e buono” e tutto degno di essere vissuto nella pienezza dell’amore.
Grazie, Maria Grazia, per averci fatto partecipi della tua vita, scoperta con gli occhi di bambina prima, di giovane che si apre
all’amore poi; delle tue amiche, di Nicoletta e di Benedetta, della bella amicizia che vi ha legate per sempre l’una all’altra,
di Anna Cappelli, che nessuno può dimenticare, di Mario, tuo marito, che con dolcezza ti sta accanto da tanto tempo.
Roberta Bössmann
* Pubblicato dall’Editrice Stilgraf, Cesena, I dolci volti di Dio può essere richiesto al nostro indirizzo.
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Dovadola, 8 agosto 2014
Celebrazione eucaristica
OMELIA DI PADRE PAOLO CASTALDO
volezza, con la fragilità, con la
paura di quello che ci attende;
eppure, in questa Eucarestia, il
Signore vuol farci dono della
sua grazia, non solo di credere
ma anche di soffrire per Lui.
Sia lodato Gesù Cristo. Non
dovrei mai stupirmi di credere
che la liturgia la fa il Signore.
Questa sera veramente mi stupisce il Signore: innanzitutto le
parole di Marino che non riusciva a trovare un brano sul libro e allora ha fatto “a braccio” e ha colto proprio nel segno con la sua spiegazione del
Sì di Maria, così conforme con
il messaggio che la liturgia
vuol darci stasera perché «Chi
vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua
croce e mi segua». Dire il Sì,
rinnovare oggi il proprio Sì a
questo invito di Gesù… ci
vuole la grazia e Maria è la
grazia.
Infatti, anche il canto al
Vangelo lo ripete: «A voi è stata data la grazia»; ricordiamoci, la grazia non è una parola
comune, ma è il dono sostanziale, personale dello Spirito
Santo in noi. Senza la grazia il
cristianesimo non esiste, non
sarebbe quello che è; è la grazia che ci sostiene, è la grazia
che ci libera dalla nostra inerzia, è l’amore di Dio infuso nei
nostri cuori.
Sentite quello che dice San
Paolo, che poi è il canto al
Vangelo che spiega lo stesso
Vangelo: «A voi è stata data la
grazia non solo di credere in
Cristo [è bello credere in Cristo, ma c’è una grazia che si
aggiunge a questa] ma la grazia di soffrire per lui». E guardate, certe volte ci possiamo
avvicinare, accostare alla Santa
Messa proprio con la consape-
Vedete, Gesù dirà oggi, e
Benedetta spesso rifletteva su
queste parole: «Se qualcuno
vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda ogni
giorno la sua croce e mi segua»; e poi: «Cosa potrà dare
l’uomo in cambio della propria
anima, e se perde la propria
anima, cosa avrà in cambio?».
Benedetta spesso rifletteva
su questo tratto di Vangelo. Lo
sappiamo anche da una lettera
che per noi è diventata un canto, ed è questo: «Forse che il
fine della vita è vivere? Forse
che i figli di Dio resteranno
con fermi piedi su questa miserabile terra? Non vivere, ma
morire, e non digrossare la
Croce, ma salirvi, e dare in letizia ciò che abbiamo. Qui sta
la gioia, la libertà, la grazia, la
giovinezza eterna! Che vale il
mondo rispetto alla vita, e che
vale la vita se non per esser
donata? E perché tormentarsi
tanto quando è così semplice
obbedire?», e dire il nostro Sì
come Maria, come Benedetta.
Sapete, sono tanti anni che
vengo qui, con i miei amici, i
miei fratelli, ma qualche volta
sono venuto anche da solo perché magari vivevo momenti in
cui facevo fatica a ripetere il
mio Sì e vi assicuro che ogni
volta, lì accanto a Benedetta,
dentro questa chiesa, indugiando nella preghiera, improvvisamente suonava l’Angelus che
ricorda l’annuncio a Maria e
mi ritrovavo di nuovo capace
di dire il mio Sì. Quante volte
mi è successo in venti, trenta
anni, quante volte mi è successo di venire qui debilitato, im-
paurito, tremante, e tornavo al
mio paese con la forza, con la
pace, con più serenità.
Venire qui era come andare
da Maria, come andare a Lourdes. Quest’anno sono tornato a
Lourdes e anche Benedetta è
andata a Lourdes due volte, nel
’62 e nel ’63. Nella prima volta
ci fu un miracolo, ad una giovane accanto a lei; la seconda
volta avvenne un miracolo a
Benedetta; che tipo di miracolo? Era il ’63, era diventata da
poco cieca, nel ’64 entrerà nella
vita eterna; ce lo dice la stessa
Benedetta nella lettera a Paola
del 5 luglio ’63: «Cara Paola,
eccomi a casa, meno stanca ma
con tanta nostalgia nel cuore
per quel meraviglioso viaggio
di Lourdes; dalla città della
Madonna [e io direi dal paese
di Benedetta, vedete l’analogia]
si ritorna nuovamente capaci di
lottare, ma [attenzione qui] con
più dolcezza, pazienza e serenità». Noi a volte lottiamo, tutti lottiamo, ma quante volte si
arriva al punto che, quando non
è proprio una disfatta, continuiamo a lottare avendo però
perso la nostra dolcezza, la pazienza, la serenità.
Vedete, c’è un brano, nella
Bibbia, dell’Apocalisse dei sinottici (di Luca o Matteo) che
dice: «In quel tempo, per il dilagare dell’iniquità che c’è nel
mondo, in molti si raffredderà
la carità». Che significa? Che
arrivano dei tempi, delle epoche storiche, e noi potremo essere in questo tempo, ma anche
delle epoche dell’anima, personali, nelle quali per il dilagare
dell’iniquità, cioè del male che
c’è intorno a noi, morale, fisico, mettiamoci tutto quello che
volete, si raffredderà la carità,
in molti si potrà raffreddare la
carità. Sapete qual è la tragedia
del cristiano? La tragedia del
cristiano è proprio questa: che
si raffreddi la carità. Magari
lotto ma non c’è più la serenità, magari lotto ma non c’è
più la vera pazienza, perché,
ricordate come dice San Paolo,
la carità è paziente, è benigna,
non è invidiosa, non si vanta,
non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non gode dell’ingiustizia
ma si compiace della verità;
tutto copre, tutto crede, tutto
spera, tutto sopporta. Quante
volte mi è successo di pensare
“eh no, non posso più sperare
nella redenzione di quella persona, che possa cambiare”…
ecco, ho perduto la carità.
Quando io dico “non c’è più
posto in me per quella persona
nel mio cuore, me ne ha fatte
troppe”, ho perduto la carità; è
il momento più doloroso, non
solo per colui che mi sta di
fronte, ma per me, per la mia
anima.
A Lourdes, e qui accanto a
Benedetta, si ritorna di nuovo
capaci di lottare con più dolcezza, pazienza e serenità. Attenzione, questa affermazione
che sto dicendo, vorrei che diventasse oggi la nostra preghiera; tra poco riceviamo
l’Eucarestia e vorrei che oltre
alle preghiere che diciamo formalmente, ci fosse una preghiera oggi: «Signore, fa’ che
io possa tornare a casa capace
di lottare con più dolcezza, pazienza e serenità, che possa
tornare veramente riacceso nella carità. Rimedia tu, Signore,
dal bene che ancora purtroppo
non ho fatto, dalle omissioni
che ho compiuto. Fa’ che tornando io possa riprendere a
lottare»; ed è proprio l’Eucarestia che può darci questo; Maria che ci spinge a questo col
suo Sì… e Benedetta. Immaginate quello che poteva essere la
vita di Benedetta specialmente
gli ultimi mesi: era un lottare
continuo per essere dolce, pa-
l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78 ■ 7
ziente, serena. Ecco, chiediamolo. E poi dice: «Ed io mi sono accorta, più che mai, della
ricchezza del mio stato».
Sarebbe bello per noi che
siamo arrivati qui, magari con
il presentimento di essere quasi
da rottamare, “Signore sono un
rottame”, scoprire invece che
in effetti il nostro stato attuale
è ricco, è ricco della grazia del
Signore che ci permette di offrire con dolcezza, pazienza e
serenità le nostre giornate al
Signore. Questo è importante.
Ecco, allora io vorrei che in
questa Eucarestia si facesse
una richiesta accorata, per intercessione della venerabile
Benedetta, della Vergine Maria, che questa Eucarestia sia
per noi un ritornare in pace, e
continuare a lottare con più
dolcezza, pazienza e serenità.
E concludo, un testimone
della fede, Enrico Medi, scriveva: «Le grazie che per Benedetta il Signore concede» [ecco ritorniamo alla grazia, ricordiamo che esiste la grazia, senza
la grazia dello Spirito Santo noi
siamo veramente da compiangere, ma con la grazia dello
Spirito Santo noi possiamo veramente raggiungere la piena
maturità in Cristo], parlo nella
mia esperienza, entrano in punta di piedi, come gli amici che
andavano a trovarla nel suo
letto di dolore. [È vero: le grazie che il Signore ci concede
attraverso Benedetta entrano in
punta di piedi, magari torno a
casa e mi dico “ma guarda co-
me sono cambiato”]. Esse non
fanno rumore. Se non si sta attenti non ci si accorge neppure
che sono delle grazie; sono
prodigi essenziali per la nostra
povera vita, concatenati l’uno
all’altro come una paziente tessitura d’amore, al tempo giusto
e al posto esatto; vi è una commovente continuità in questa
catena di grazia che assomiglia
al ritmo di un respiro».
Ecco, Benedetta intercede
per noi presso il Signore per
queste grazie, quelle che forse
possono sembrare meno appariscenti ma più essenziali, perché
attraverso queste grazie Dio
concatena una paziente tessitura
d’amore al tempo giusto e al
posto esatto, al tempo giusto e
al posto esatto. Ecco, vorrei ri-
A Dovadola da Benedetta
Sono sotto lo stesso tuo soffitto,
questo Cielo di eterna bellezza,
che ruba gli sguardi nella certezza dell’Infinito.
Questo Cielo di sole raggiante,
che non ti offende mai con la sua lontananza;
solo qualche volta strizza l’occhio e si vergogna,
e si copre la faccia con le nuvole.
Questo Cielo che, affacciato tra gli alberi,
a volte te la restituisce un’occhiata, brillante di luna,
regalandoti il sussulto, per una stella d’agosto che cade,
di voci calde e piane
nel rosario di ogni sera recitato a testa in su.
Non si è mai ciechi quando si guarda il Cielo,
quando si rimira fin d’ora
quella che sarà la nostra sola e vera Patria,
come a cercarvi quel Posto che ci è Promesso.
Sono tra le stesse tue pareti,
queste pareti che fermano ancora tutto
all’atmosfera polverosa di altri tempi e altre usanze,
di parole antiche e sempre attuali,
di gesta sconosciute e drammatiche,
di memorie semplici e toccanti.
Queste pareti che profumano del mistero
di un’amicizia che vive e si rinnova
in una presenza celata, silenziosa e potente.
Queste pareti che, prese in prestito alla pace di una chiesa,
abbracciano il letto rifatto di gioia e di bianca rosa,
di un’anima consumata e fedele,
che riposa un po’ qui,
e anche un po’ là, accanto a Lui.
E non c’è chiasso e non c’è clamore.
Solo il silenzio, intorno, di una stanca estate
in un paesino che sonnecchia all’ora media
cullato da braccia di verdi colline,
e mi lascia immaginare,
mentre dondolo i piedi nell’acqua del suo fiume,
sbirciata da papere indiscrete e dal guardingo avanzare:
petere un pensiero di Milosz
che diceva: «Tutto è dove deve
essere, e tutto va dove deve andare, al luogo assegnato da
una sapienza che, il Cielo sia
lodato, non è la nostra».
Se avessimo questa pazienza
e questa fede nel credere in tutto ciò! Ed il Signore è così buono che magari ci dà anche qualche segno esterno di questa grazia che ci comunica continuamente. Ecco, oggi preghiamo
per tutti, per rinnovare con Benedetta, con Maria, il nostro Sì
al Signore, un Sì importante
che permette l’irruzione di Cristo nella nostra esistenza.
[Testo dalla registrazione dell’omelia, non rivisto dall’Autore.
Ringraziamo l’amica Rossana per la
trascrizione].
Rossana Castelli ci regala questa composizione
liberamente ispirata al disegno, che qui riproponiamo.
È di Marino della piccola Carovana di Gesù.
Grazie a Rossana e grazie a Marino!
chissà se anche tu, Benedetta, ti bagnavi i piedi in quest’acqua…
Siamo nella stessa stanza io e te, Benedetta,
oggi come allora,
tra soffitto e pareti di azzurro Cielo,
di profumati fiori, di nobile e leggiadro Creato,
tra nuvole di Croci e certa brezza amica.
E tu che in alto aleggi come farfalla…
Stanza di dolore e di morte?
No, stanza di Vita e d’Amore.
Stanza di ricordi accartocciati e di prospettive inaspettate.
Stanza di umana miseria e di sublime consolazione.
Stanza di pauroso silenzio e di loquace conforto.
Stanza di faticoso deserto e di provvidente approdo.
Stanza di inutile solitudine e di dolce compagnia.
Stanza di delusa impotenza e di insolito coraggio.
Stanza di pesante buio e di luminoso cammino.
Stanza di rinnovata sofferenza e di fiducioso abbandono.
Stanza di sogni spezzati e di serena SPERANZA!
Rossana
8 ■ l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78
L’amicizia di Anna Cappelli
Chi ha conosciuto
bene Anna Maria Cappelli, la nostra Anna,
dice che lei aveva
paura della malattia. E
Anna ha incontrato
Benedetta che ha vissuto la malattia nel
senso, potremmo dire,
più radicale, perché il
male l’ha privata progressivamente di funzioni sensoriali e motorie, fino alla paralisi
quasi totale.
Che Benedetta riuscisse a trovare nella
sua situazione anche
la gioia e ad occuparsi
con totale partecipazione alle vicende piccole e grandi di coloro che incontrava
è straordinario.
Anna fu così rassicurata interiormente, probabilmente anche rispetto alle sue paure. E la gioia che, grazie a Dio, Benedetta riuscì a trasmetterle, segnò la sua scelta di vita: farla conoscere. Ci riuscì nel modo profeticamente intuito da
mons. Scaccini che disse ad Anna che avrebbe fatto conoscere Benedetta in tutto il mondo. Così infatti avvenne.
Pensiamo che la chiave dello straordinario successo comunicativo di Anna sia costituita dalla centralità dell’amicizia. Anna lo imparò, come abbiamo accennato, da Benedetta stessa.
Cosa significa amicizia? Dare innanzitutto spazio agli altri nel proprio cuore, con amore disinteressato. Non si finirà
mai di chiosare il pensiero di Benedetta, che trova nel Vangelo la sua radice, La carità è abitare negli altri.
“Abitare negli altri” è possibile soltanto se non viviamo
come se fossimo davanti a uno specchio in cui noi vediamo
soltanto noi stessi, mentre gli altri servono soltanto per dirci quanto siamo bravi, caritatevoli e così via, in una continua celebrazione del nostro narcisismo, che ha sempre bisogno di essere alimentato dagli altri.
Ecco perché il card. Comastri non manca di sottolineare
l’importanza dell’umiltà, nel mettere al centro di noi stessi il
Signore.
Anche Benedetta lo fece e trovò la sua pace e la straordinaria capacità di stare vicino agli altri: «Sono lenta nelle
preghiere e nei colloqui e mi offro ugualmente così con
umiltà. Lui, che è in me, mi guiderà a Sua Volontà, fino in
fondo» (a P. Gabriele Casolari, 14 agosto 1963).
Anna fece suo questo
atteggiamento di umiltà che fece fiorire
l’amicizia. Anna la testimoniò nell’ascolto
delle persone, nell’aprire la sua casa a tanti amici, nel dedicare
tempo, tanto tempo, ai
problemi che le venivano confidati, nell’aiutare anche economicamente, con suo
personale sacrificio,
persone in difficoltà o
impegnate ad assistere
i più poveri, da Annalena Tonelli a Suor
Magda, “missionaria
felice”.
Tutto questo fece Anna in modo costante, instancabilmente, sostenuta com’era da un ideale e dall’esempio di Benedetta. Le persone con cui condivideva l’amicizia si sentivano profondamente accolte ed erano quasi naturalmente indotte ad aiutarla nel suo apostolato e stimolate a mettere a
disposizione risorse economiche, tempo e creatività.
E così nacquero gruppi di amici nel mondo, proposte e
traduzioni del fondamentale Oltre il silenzio, i viaggi con
pesanti valigie da Ostuni a Dovadola delle amiche che portavano i materiali per i mercatini. L’elenco potrebbe proseguire.
Con queste premesse, non c’è da stupirsi che l’Associazione “Amici di Benedetta” ebbe come prima finalità, nello
statuto del 1976, redatto con l’apporto essenziale di Anna:
«vivere il dono dell’amicizia in Cristo come soprannaturale
ricchezza e come “ineffabile legame” che unisce nel nome
di Benedetta».
Non c’è da stupirsi che un’anziana amica abbia fatto mettere, dalla Sicilia, due mazzi di fiori sul sarcofago di Benedetta nella Badia di Dovadola il giorno anniversario della
morte di Anna.
Non c’è nemmeno da stupirsi che don Alfeo Costa, al termine della Messa di suffragio del 9 agosto 2014, con l’abituale schiettezza abbia detto: «Benedetta sarebbe indubbiamente in paradiso senza Anna, mentre noi, senza Anna, non
saremmo oggi riuniti qui».
Don Costa conferma la profezia di mons. Scaccini.
A noi resta il messaggio di umiltà e amicizia di Anna, necessario per far conoscere Benedetta a noi stessi e agli altri.
Gianfranco
l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78 ■ 9
A Dovadola con mons. Lino Pizzi
Da gennaio 2014 tutti i mesi hanno visto a Dovadola e Forlì un susseguirsi di manifestazioni per
il 50º della salita al cielo della Venerabile Benedetta. Con esse la Diocesi ha concentrato in un
certo modo la sua vita pastorale attorno alla sua
grande figura. Il Vescovo ha in un certo senso mobilitato la Diocesi perché Benedetta fosse meglio
conosciuta proprio dove è nata e dove è vissuta
per metà della sua vita.
Sono nate così molte iniziative sul piano liturgico-pastorale, editoriale, culturale, con una complessiva animazione del territorio. Da esse potremo attingere con frutto idee e riflessioni. Ne renderemo partecipi i lettori.
La celebrazione del 10 agosto a Dovadola, preceduta dalle liturgie eucaristiche dell’8, contemporanea a Sirmione, e del 9 a Dovadola, in suffragio
di Anna Cappelli, ha avuto allora, in un certo modo, un carattere intimo e familiare, incastonata tra
gli eventi precedenti e le successive iniziative.
Il momento centrale, come sempre è stata la santa Messa nella Badia di Dovadola, presieduta dal vescovo di Forlì-Bertinoro Mons.
Lino Pizzi. Nella sua omelia, incentrata sull’episodio della tempesta sedata (Mt 14, 22-23), anche Benedetta «per le sue condizioni fisiche, per le limitazioni progressive, per la malattia e così via è stato un mare agitato, ma ha riconosciuto la presenza del Signore. È stata serena, è stata tranquilla proprio perché diceva: “Il Signore mi è vicino, il Signore non mi abbandona. Lo so che è
con me”. Questa è fede».
E così l’esempio di Benedetta diventa un segno per tutti.
Al termine della santa Messa si è svolta la preghiera attorno al sarcofago di Benedetta (vedi foto). L’incontro poi degli amici
sul sagrato e il pranzo alla “Rosa bianca” hanno completato la giornata.
A lezione con Benedetta
Per conoscere Benedetta è sempre importante ascoltare chi l’ha conosciuta direttamente. Questa volta, a Dovadola, abbiamo incontrato Zelinda Monti Giannelli, che ha superato
gli “anta”. Non vi diciamo quali, ma sono veramente tanti. Lucidissima nel suo eloquio e nei
ricordi, ci racconta ambientando il suo racconto durante l’ultimo periodo della seconda guerra mondiale:
«Dopo il passaggio del fronte mi ero diplomata come maestra della scuola materna ed
ho cominciato a dare lezione durante le vacanze a bambini della scuola elementare. Ne
avevo raccolto una trentina. Venivano il pomeriggio in via Guido Guerra dove abitavo. Nella mia ampia cucina c’era un tavolo grande
che veniva allungato e i bambini facevano i
compiti. Benedetta veniva a fare i compiti
La signora Zelinda Monti Giannelli
[pensiamo nell’estate del 1945; NdR] con le
sue cugine di Roma. Venivano da sole a lezione, allegre. Allora non c’era pericolo. Si mettevano con le seggioline attorno al tavolo. Era vispa, intelligente, vivace».
Quando la vicenda di Benedetta è diventata più nota, ha sempre seguito le vicende della sua antica allieva. Ricorda Anna Cappelli
e conserva con molta cura tutti i numeri de «l’annuncio». Ricorda anche un episodio legato alla traslazione di Benedetta dal cimitero di
Dovadola alla Badia il 22 marzo 1969: «Quando ci fu la traslazione, mio figlio Carlo, con don Aldo Bandini, aiutò il muratore a
mettere Benedetta nel sarcofago».
La signora Zelinda non abita più in via Guido Guerra, ma il tavolo su cui Benedetta si appoggiò per fare i compiti è ancora lì, nella nuova cucina (vedi foto). Non è una reliquia, ma è un’occasione per ricordare quella bambina.
G.
10 ■ l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78
Stare con loro
di ARIANO BACCARINI
Ariano Baccarini è un diacono permanente che dal 2006 incontra ammalati e loro familiari
all’Hospice di Dovadola intitolato, da alcuni anni, a Benedetta Bianchi Porro. Ci dona alcuni
flash di questi incontri in cui Benedetta sembra dare un po’ di luce a solitudini e paure dei
suoi assistiti.
Ariano Baccarini
La solitudine
• Entro nella stanza dell’Hospice dove una signora anziana è
ricoverata da alcune settimane.
È molto grave, spesso sola e
assopita. Oggi è sveglia, risponde al mio saluto, mi chino
verso di lei; mi dice con voce
debole ma comprensibile: «La
vita è brutta quando si è soli».
Rimango sgomento, cerco di
balbettare qualcosa di positivo,
lei mi guarda con occhi sgranati e poi non mi risponde più,
non vuole parlare: mi ha consegnato il suo messaggio estremo di solitudine. L’ho rivista
ancora qualche volta, sempre
assopita, finché ha lasciato
questo mondo. La vita è brutta,
è triste quando si è soli, quando non instauriamo relazioni
significative, quando non possiamo condividere le gioie e i
dolori della nostra esistenza.
Quante solitudini attorno a noi
causate dalla malattia, dall’anzianità, dalla disabilità, dall’essere soli fisicamente o presso
Case di Riposo, dall’essere
stranieri non sempre accettati e
accolti...
Carità
• «La carità è abitare negli altri». Questo pensiero di Benedetta ci indica una via concreta
nel nostro rapporto con gli altri. La carità non è un gesto
sporadico per acquietarci la coscienza, ma uno “stile di vita”
che trasforma ed informa il nostro essere e il nostro agire.
Come cristiani, cioè seguaci di
Gesù Cristo che ci ha amato fi-
no a dare la vita per noi, non
possiamo sentirci tranquilli o
neutrali di fronte alla persona
sofferente, sola, emarginata.
L’altro che soffre non è uno fra
tanti ma è mio fratello che mi
interpella con la sua presenza e
il suo bisogno. È il fratelloprossimo che incontro, bisognoso del mio aiuto, come il
malcapitato ferito, soccorso dal
buon samaritano. Dio vuole
abbracciare tutti i suoi figli,
specialmente chi soffre, e ci
chiede di poterlo fare concretamente attraverso di noi. Possiamo essere noi le braccia di
Dio, il cuore di Dio. È bellissimo e dà gioia profonda scoprirsi figli di Dio ma questo
comporta anche scoprirsi continuamente fratelli fra noi,
chiamati ad un amore vicendevole. «La carità è abitare negli
altri», è sentire nella mia carne
la sofferenza, la solitudine, la
richiesta d’aiuto dell’altro. E
allora freno il mio egoismo e
mi tuffo nell’avventura della
carità.
Il senso della vita
• «La vita è una fregatura!»:
questa frase è rimbalzata tante
volte da malati e loro familiari,
anche cristiani, in questi anni.
Mi dà tristezza e sofferenza
questa affermazione che sembra porre un sigillo negativo ad
un’esistenza che ormai volge
al termine. Malati stremati dalla malattia che nonostante una
vita piena di lavoro, di impegni, di affetti familiari, di fronte all’epilogo finale sentono
azzerati tutti i valori umani e si
ritrovano in un buio totale. Familiari, anche di persone molto
anziane, che non accettano la
morte del loro congiunto e se
la prendono con Dio, con la
crudeltà della vita che ci tradi-
sce. La malattia e la morte
sembrano annullare completamente il valore e lo spessore
della vita umana.
• «Io penso che cosa meravigliosa è la vita (anche nei suoi
aspetti più terribili) e la mia
anima è piena di gratitudine e
di amore verso Dio per questo». Parole scandalose queste
di Benedetta che rovesciano
completamente un modo di
pensare molto diffuso. È lo
scandalo del Vangelo, di Gesù
Cristo che è venuto per dirci
che siamo figli di Dio, per salvarci da ogni male, per essere
il Dio con noi, per sempre.
«Ecco io sono con voi tutti i
giorni fino alla fine del mondo». L’uomo ha bisogno di
Dio, è fatto per Dio, solo Dio
riempie il suo cuore e dà consistenza e valore a tutti gli aspetti della vita umana. Senza Dio,
giunti alla sera della vita, tutto
precipita in un tunnel oscuro;
con Dio, riconosciuto come datore di vita e presenza salvifica,
tutto viene conservato, purificato, trasfigurato (anche gli
aspetti più terribili della vita).
La morte - L’eternità
• Verso la fine del 2013 ho avuto la grazia di incontrare una
persona straordinaria di 80 anni,
con la quale si è instaurato da
subito un rapporto di fiducia e
amicizia fraterna. Lo chiamerò
Amico. Amico, conscio della
gravità della sua malattia ma
amante della vita e desideroso
di vivere, esternava così i suoi
sentimenti: «Voglio vivere, amo
la vita, non voglio morire!». È
il grido dell’uomo che non accetta la sua finitudine, che ha
sete di vita e vorrebbe sconfiggere la morte. Quante volte ho
sentito quest’angoscia prorompere dal cuore di tanti fratelli!
• «Non muoio, ma entro nella
vita», sono le parole di Santa
Teresa di Lisieux incise sul
sarcofago di Benedetta; parole
che riassumono la vita di Benedetta con il suo anelito di
eternità, desiderio di Dio, certezza che niente va perduto
della nostra esistenza, consapevolezza che la vita è una marcia verso il cielo, la nostra sola
e vera patria. È la risposta cristiana nella lotta immane contro la morte; è la vittoria di
Gesù Cristo che con la sua
morte e resurrezione ha definitivamente sconfitto l’ultima
nemica dell’umanità, la morte,
per riammetterci nella pienezza
della vita di figli di Dio, nell’eternità dove vedremo Dio “faccia a faccia”.
Amico credeva in Dio, era
conscio della sua povertà creaturale, si abbandonava fiducioso alla misericordia di Dio perché diceva (in dialetto): «Da
me il Signore ha poco da prendere sù». Abbiamo pregato insieme, ha ricevuto i sacramenti,
ha accettato il suo declino pensando serenamente alla morte:
«Pensa che vedrò il Signore
faccia a faccia e questo deve
essere bellissimo!». E mi ha lasciato un saluto straordinario:
«Quando sarò in Paradiso pregherò per te, perché un giorno
possiamo ritrovarci».
Chiediamo a Benedetta che
ha amato tanto la vita, ha amato tanto Dio, ha amato tanto gli
altri fino a dimenticare se stessa, che ci aiuti con la sua preghiera a sentire la nostra vita
come il dono più grande che
Dio ci ha fatto e la consapevolezza che se sapremo donarci
agli altri, avremo la pienezza
della vita adesso e per l’eternità.
l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78 ■ 11
A SIRMIONE
Fa bella mostra “Cinquant’anni con Benedetta”
di MAURIZIO TOSCANO
I
festeggiamenti del 50° della
morte di Benedetta si sono
conclusi a Sirmione con una
mostra nella prestigiosa cornice di Palazzo Callas, nel cuore
della cittadina termale, dal titolo “Cinquant’anni con Benedetta. Foto, ricordi, immagini
della Venerabile Benedetta
Bianchi Porro”. Precedentemente, lo ricordiamo, la locale
Associazione Amici per Benedetta Bianchi Porro aveva allestito la sera dell’8 marzo al PalaCreBerg (il palazzo congressuale di Sirmione) il tradizionale Concerto di Primavera. La
rassegna espositiva, inaugurata
davanti alle autorità locali, è
stata inaugurata il 18 ottobre
per poi concludersi il 2 novembre. Due settimane in cui sono
stati molti i visitatori che hanno fatto il loro ingresso nelle
sale dello storico palazzo sirmionese, dove erano stati affissi i maxi pannelli che ripercorrono la breve, ma intensa e dolorosa, esistenza di Benedetta.
In una sala, inoltre, è stato
proiettato a ciclo continuo il
docu-film “Oggi grazie. Un
giorno con Benedetta” firmato
dal regista Franco Palmieri e
realizzato dalla Diocesi di
Forlì-Bertinoro.
Molti visitatori erano turisti
di passaggio e la curiosità di
vedere il nome di Benedetta li
ha spinti a varcare il portone
del palazzo comunale. Il taglio
del nastro ha visto la partecipazione di due assessori e di numerosi consiglieri del Comune
che, come sempre, ha contribuito e patrocinato la manifestazione, insieme all’Istituto
Tecnico Superiore “Bazoli-Polo” il quale, a sua volta, ha
messo a disposizione le hostess
e gli steward durante tutta la
rassegna.
Alla cerimonia di apertura
erano presenti anche la preside
del citato istituto, professoressa
Francesca Subrizi, affiancata
dal vice preside professore
Franco Ottonelli. Toccanti gli
interventi di Luisa Lavelli, assessore comunale, sempre vicina alla nostra associazione, e
di Manuela Bianchi Porro, infaticabile animatrice del locale
sodalizio e messaggera del
“verbo” di Benedetta. «Bene-
detta non è solo di Sirmione»
ha detto Lavelli «ma del mondo, per la nostra cittadina ella è
una risorsa morale infinita. Benedetta ha la capacità di trasmettere la fede a tanti, vi invito per questo a farlo anche
voi». Manuela, infine, ha ringraziato «tutti quelli che hanno
lavorato, o in qualche modo,
hanno fatto sì che questa mostra si potesse realizzare. Perché è giusto che la fede non sia
immobile e inoperosa, ma che
la stessa si renda operosa per
mezzo della carità». Evidente
il riferimento al messaggio lasciato da Benedetta.
Sirmione - inaugurazione della Mostra “Cinquant’anni con Benedetta”
12 ■ l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78
Sirmione
Nell’ambito delle celebrazioni in onore della Venerabile Benedetta Bianchi Porro è stata celebrata l’8 agosto 2014, nella
Chiesa Parrocchiale di Sirmione una santa Messa, presieduta da Mons. Claudio Stagni, Vescovo della Diocesi di FaenzaModigliana. Riportiamo la sua omelia.
Abbiamo conosciuto il Vescovo Stagni nel 2007 a Dovadola. Adesso è arrivato quasi al termine del suo mandato episcopale.
Augurandogli ogni bene, ci piace ricordarlo sempre come un amico attento, discreto e fedele di Benedetta.
La liturgia di oggi ricorda San Domenico, fondatore dell’Ordine dei
predicatori. In questo giorno, 8 agosto 1936 Benedetta Bianchi Porro
nasceva a Dovadola, provincia di Forlì, e morirà poi il 23 gennaio
1964 qui a Sirmione. Siamo dunque nell’anno 50° della sua morte.
Il ricordo di San Domenico non vuole essere solo un accostamento
nella data, ma mi piace fare un piccolo confronto tra la nostra Venerabile e quel grande Santo, non tanto perché tra di loro tutti i santi un po’
si rassomigliano, ma perché mi pare che entrambi abbiano avuto a cuore il far conoscere il più possibile il Signore Gesù, mediante un apostolato che poi ha assunto in Benedetta una modalità tutta singolare.
Papa Francesco sta sollecitando la Chiesa sulla nuova evangelizzazione. Ha iniziato la sua esortazione con le parole: «La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con
Gesù». Se questa fu l’esperienza che fece a suo tempo San Domenico
con i suoi frati nel portare il Vangelo ai nuovi eretici che allora si stavano diffondendo in Europa, questa è stata anche la testimonianza di
Benedetta quando si è resa conto che sarebbe stata quella la sua missione voluta dal Signore. La nuova evangelizzazione non comporta
certamente un messaggio evangelico nuovo, ma il sapere andare incontro alle situazioni nuove di oggi e alle domande che anche l’uomo
di oggi si pone, soprattutto quelle drammatiche sul perché del dolore,
sul senso della sofferenza, sulla realtà di Dio.
La vita di Benedetta in una famiglia benestante, pur avendo dovuto
attraversare il periodo della guerra e del dopoguerra, trascorre come
quella delle ragazze della sua età. È sui 16/17 anni che inizia a manifestarsi la sordità, il primo sintomo del male che la bloccherà completamente. Le prime reazioni non furono facili, soprattutto quando progressivamente si rese conto che doveva abbandonare tutto ciò che sperava di poter fare nella vita, a cominciare dagli studi di medicina che
le servirono solo, dirà poi, a diagnosticare la sua malattia.
Alcuni anni passano negli studi, nel cercare di affrontare i mali mano a mano che si manifestano, e nel coltivare le amicizie, in particolare di alcune ragazze di Gioventù studentesca che le sono vicine. Di
una di esse, Nicoletta Padovani, dirà un giorno: «È lei che ha acceso
in me la fiaccola della fede».
Nell’estate del 1959 un sacerdote di Ferrara, don Elios Giuseppe
Mori, che veniva qui a Sirmione per cure, mette per iscritto alcuni
pensieri frutto di vari colloqui: «Cara Benedetta, voglio affidare a
questo foglio quello che avrei dovuto dirti poco fa… Dio può ben capirti. Anche Gesù in croce non poteva più agire né parlare. Ma la sua
croce era il momento più valido della sua vita. Anche la tua croce assomiglia alla sua; ne è una continuazione…Non desiderare di morire,
ma di vivere. Lascia che Dio conduca la tua vita, ma non pensare che
la tua vita sia inutile perché non puoi agire, parlare e fare…».
L’anno dopo Mons. Mori le scriverà ancora: «Non misurare la tua
vita col metro della sofferenza, pensando che abbia valore solo quello
che ti costa. Il valore di ogni cosa è l’amore. Cerca di amare Dio con
l’amore di una figlia. Quando stai bene gli sei vicina come quando
stai male… non sei al mondo per soffrire ma per amare. Offri ogni pena come ogni gioia. La tua condizione attuale è la più vicina a Dio»
(settembre 1960).
Insieme a un cammino nella fede, per Benedetta c’è anche un cammino nella consapevolezza di ciò che Dio le stava chiedendo, cioè
della sua vocazione, e di conseguenza della sua missione.
Nel cammino di fede le furono di molto aiuto il dialogo e la corrispondenza con le ragazze di G.S., con le quali condivideva problemi,
scoperte e ricerca sui misteri di Dio, aiutandosi con il Vangelo e lettu-
re degli scrittori sacri. Dirà un giorno alla mamma: «Mammina, io
credo all’Amore disceso dal Cielo, a Gesù Cristo e alla sua Croce
gloriosa!! Sì, io credo all’Amore. Mi sembrava di avere qualcosa di
altro da dirti: infatti… tu mi dirai che io in Gesù ci sono nata. Sì, ma
prima lo sentivo così lontano, ora invece so che Dio è dappertutto,
anche se noi non lo vediamo, addirittura il regno di Dio è in noi!»
(febbraio 1961).
Nel marzo 1962 Benedetta scrive ad una amica: «Nessuno è inutile, a tutti Dio ha assegnato un compito». Un anno dopo ad un’altra
amica scrive parlando del proprio «compito, che non deve essere solo
quello di scrutarmi dentro, ma di amare la sofferenza di tutti quelli
che vivono e vengono attorno al mio letto e mi danno e mi domandano l’aiuto di una preghiera». Si può dire che quanto più il cammino
della croce si fa duro, tanto più cresce l’attenzione premurosa verso
gli altri.
La consapevolezza della sua vocazione e della sua missione di apostolato verso gli altri, mi piace legarla al pellegrinaggio che Benedetta fece a Lourdes in giugno del 1963.
Lo ricorda così: «Il Signore proprio là a Lourdes mi fece capire la
ricchezza del mio stato… Mi piace dire ai sofferenti, agli ammalati
che, se noi saremo umili e docili, il Signore farà di noi grandi cose.
La Madonna mi ha donata la rassegnazione cristiana».
Riconoscere davanti a Dio che anche nello stato di sofferenza in cui
Benedetta si trovava, ella possedeva il grande tesoro della fede che
la illuminava sul mistero della giustizia di Dio, davvero è una cosa
grande.
Ricordando il viaggio a Lourdes del giugno 1963 scriverà: «Ed io
mi sono accorta più che mai della ricchezza del mio stato e non desidero altro che conservarlo. È stato questo per me il miracolo di Lourdes quest’anno». E qualche mese dopo scriverà a Nicoletta: «Dio ci
dà le cose non solo per noi, ma perché si possa anche distribuirle agli
altri. Qualche volta mi rattristo perché mi pare che così, nel mio stato, io non sia utile per nessuno ed allora vorrei che avvenisse l’Incontro. Ma forse queste sono tentazioni, perché io più vado avanti,
più ho la certezza che “grandi cose ha fatto in me Colui che è potente” e l’anima mia glorifica il Signore».
Davvero nel breve tempo della sua vita Benedetta ha comunicato
la fede e la certezza dell’amore di Dio a tante persone sofferenti,
facendo della sua vita un vero apostolato. Credo che si possa dire
che Benedetta è un dono per il nostro tempo, che sta arrivando invece
a legittimare la soppressione della vita degli ammalati terminali o
che sono in stato di incoscienza. Si tratta di far capire la “ricchezza
dello stato di chi soffre”, che non è inutile, e può far scoprire che nella vita ciò che conta non è star bene, ma sapere amare Dio e il prossimo.
Voglio concludere riportando un breve commento di Benedetta alla
affermazione centrale del brano del vangelo di oggi: «Se qualcuno
vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi
segua». Benedetta mette queste parole in bocca a Gesù e aggiunge:
«Prendi la tua croce e seguimi. Non cercare di spiegare il perché. Lascia il tuo criterio, ma accetta il mio» (ottobre 1963).
Dio in ogni tempo manda i suoi profeti, adatti ad annunciare il Regno in quel particolare momento storico; sta a noi riconoscere i messaggeri che passano sui monti ad annunciare la pace, portata dall’amore che nasce dalla croce di Cristo e che giunge fino a noi mediante la testimonianza dei suoi santi.
@ Claudio Stagni
l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78 ■ 13
Sirmione
Meditazioni sui testi di Benedetta sono proposte ogni 23 del mese nella chiesa parrocchiale di Santa Maria della Neve, al
termine della santa Messa. Siamo lieti di proporle, almeno in parte, ai nostri lettori, mentre ci complimentiamo ancora per
la felice iniziativa pastorale del parroco don Evelino Del Bon.
Meditazione di Romeo Mura
da Rivoltella del Garda
GIUGNO 2014
«Brancolo nel buio e ho la luce dentro». Da questa certezza
nasce la serenità, Benedetta conosce la lotta, conosce la prova,
conosce il deserto; sa che le nuvole possono oscurare il sole, ma
non possono spegnerlo.
BENEDETTA BIANCHI PORRO
a Lucio Mapelli
«Io so, Lucio, che la bontà di Dio ci fa espiare sulla terra, fino a perfezione avvenuta. Poi, liberi, andremo a godere Lui in
cielo».
Lucio Mapelli, giovane ragazzo di Gioventù Studentesca, era
da poco entrato in Seminario, conobbe Benedetta pochi mesi prima che lei morisse e la vide solo un paio di volte. Nello stesso
giorno in cui sarebbe morta, Benedetta chiese alla mamma di
‘’leggerle” l’ultima lettera dell’amico, nella quale, citando San
Paolo, egli parla del trionfo della Croce.
Attraverso la sua totale impotenza, Benedetta riceve la rivelazione dell’Amore, riscatta il proprio limite assoluto, riconosce
che «nella sofferenza si accende dentro di noi la luce di Cristo Signore; e il dolore ci butta tra le braccia di Dio e la croce diventa il senso di tutto». Essa è il segno supremo dell’amore divino,
allora «se si ama l’Amore, si finisce per vivere d’amore, anche
nelle prove più atroci» (Oltre il silenzio, pp. 119-122).
La testimonianza di Benedetta ci invita a trovare il senso cristiano del dolore e ad evangelizzarlo; tutto l’itinerario di Benedetta sarà un faticoso imparare dalla croce di Gesù.
«Lucio non siamo divisi, ma lavoriamo in un telaio uniti, perché venga il suo Regno» (1 ottobre 1963).
Benedetta nella sua esperienza spirituale si sente inserita nella
chiesa come in una grande famiglia, e nel telaio identifica il valore dei legami, dell’unione e dell’essere comunità in Cristo.
All’interno di questo telaio è importante essere uniti, ma non
uniformi. Ciascuno infatti è chiamato a seguire il Signore dove
Lui vuole. «Noi corriamo su un ponte...». Questo cammino racchiude il desiderio di raggiungere orizzonti nuovi. Benedetta sente in lei la consapevolezza di essere una pellegrina che sa dove
sta andando, che sa su chi contare lungo il cammino. Il ponte rappresenta anche l’obbligo di una scelta. Qui a Sirmione, chi vuole
visitare le bellezze di questo stupendo luogo deve passare dal
ponte del castello; si lascia una realtà ordinaria per entrare e vivere una realtà straordinaria. «Che se vorremmo ci porterà al cielo». È una proposta affidata alla libertà, quindi a una responsabilità personale di fronte alla volontà di corrispondere o no alla volontà del Signore.
«Leggo San Francesco (amo tanto San Francesco e Sant’Agostino, perché sono abissi di amore)».
Mi piace l’umiltà. “La santità inizia con un atto di umiltà”. Da
questa verità nasce la novità della santità cristiana: se Dio è Amore, il santo nel cristianesimo non è tanto colui che ama Dio, ma è
soprattutto colui che si lascia amare da Dio. L’amore di Dio è prima del nostro, il nostro amore è sempre e solo risposta.
Benedetta nei suoi richiami all’aria, ai fiori, al sole, alle cose
create, riconosce che esistono con lei, legate da un unico Creatore. Sia San Francesco d’Assisi, sia Benedetta, innalzano a Dio il
loro Cantico delle creature; Francesco in un testo unico, Benedetta lungo le lettere e i pensieri che scrive.
“Lasciarsi amare da Dio affinché l’amore di Dio passi in noi e
diventi vita nostra, vita in noi’’. Lo aveva capito Benedetta, che
annotò nei suoi pensieri: «L’umiltà è la chiave del cielo» o ancora «L’umiltà e la semplicità sono le scale per salire a Dio. Il mio
buio mi pesa» (7 novembre 1963).
«Nella preghiera, nella sofferenza, nasce in noi ciò che è buono e che dovrà poi germogliare. Tutto è grazia, ricordalo».
La preghiera permette a Benedetta di mantenere viva la coscienza di essere accanto al suo Signore, di essere quel seme che
ormai sa su chi poter contare e orientare la sua preghiera e anche
se la paura l’afferra, l’importante è farsi piccoli per essere certi di
arrivare all’Incontro.
«Pregherò per voi tutti, e vi aspetto in cielo» scriveva Benedetta nei suoi pensieri nell’ultima settimana prima della morte.
L’ultima parola pronunciata da Benedetta è «GRAZIE».
Il traguardo, e la luce e la coscienza, è Dio scelto e accolto
quale valore assoluto.
Il cammino è aperto, seguendo Benedetta si intravede il suo
traguardo, che è luce, conoscenza: è Dio.
«E la luce è anche speranza» (Andrea Vena).
Diciamo anche noi grazie a Benedetta, a lei che è Venerabile
per la Chiesa cattolica per il comportamento e la fede mantenuti
in vita nonostante la sofferenza.
«Dio ci fa capire man mano quello che vuole da noi e quello
che dobbiamo fare», e furono i suoi amici che l’aiutarono a capire i fatti della vita.
Il 23 gennaio 1964 alle 10,40, la morte l’ha raggiunta nella
sua casa di Sirmione.
Una rosa bianca, fiorita proprio quella mattina nel giardino
di casa venne interpretata da Benedetta come un “dolce segno”,
come la conferma dell’incontro ormai imminente con il Suo Signore.
E il bianco è il colore liturgico della Pasqua.
La Pasqua è la vita nuova in Cristo.
Continua a pag. 14
14 ■ l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78
Continua da pag. 13
Meditazione di don Domenico Capone
Parroco dello Spirito Santo
LUGLIO 2014
BENEDETTA a Umberto Merlo (24 luglio 1963)
Quest’anno ho completato 50 anni di sacerdozio e iniziare a
conoscere Benedetta è stato per me un altro segno del Signore,
che sembra dirmi: Vedi per te e per la buona riuscita del sacerdozio (Benedetta è volata al cielo il 23 gennaio 1964 e io nascevo
sacerdote il 28 giugno 1964) ho impegnato anche la santità di Benedetta, e diverse altre persone. […]
Ed ecco Umberto. L’ha conosciuto il 1° gennaio 1963. Il
24 luglio, ormai cieca, scrive per le mani di sua madre. Umberto
moriva gioioso e sereno il 30 agosto 1963.
Ormai cieca, Benedetta scrive: «Vorrei proprio avere la possibilità di illuminarla, perché solo così Lei soffrirebbe meno e
avrebbe di conseguenza lo spirito in pace! Lasci che Dio la ritrovi e se la tenga amorevolmente sulle spalle...».
A volte diciamo: Signore aiutami. Impariamo a dire: Signore
permettimi che io Ti aiuti. È la nostra libertà a favorire l’azione
di Dio o a impedirla. Lui, Padre affettuoso, vuole portarci sulle
spalle con la gioia che prova il pastore a riportare la pecorella
Meditazione del prof. Fiorenzo Pienazza
Istituto Rogazionisti Desenzano (Bs)
SETTEMBRE 2014
BENEDETTA a Roberto Corso (25 marzo 1963)
Caro Roberto,
[…] Cerca di essere sereno, leggero, e con la lampada dello
spirito accesa.
Tutti abbiamo ore di stanchezza e abbandono, ma scuotiamoci e offriamo a Dio la nostra volontà così com’è, a volte più tiepida a volte stanca, ma non schiacciata – mai – “Non premeditate… e se avrai paura dirai senza vergogna: ho paura e Dio mi
fortificherà”.
Per tutti c’è dolore, speranza e lagrime, ma una superiore
certezza vale a illuminarci e renderci sereni nella strada che ci
conduce al Signore.
Ti saluto caramente e parlo di te a Lui
Benedetta
Noi tutti credo – almeno qui a Sirmione – conosciamo la vicenda umana di Benedetta e ci siamo fatti un’idea “eroica” di
questa giovane donna che ha saputo cantare, alla luce della fede,
un inno alla vita nel calvario della sua sofferenza quotidiana.
Ma se pensassimo che una specie di predestinazione all’eroismo avesse purificato e quasi esentato Benedetta da ogni dubbio,
da ogni incertezza per correre diritta, senza sussulti, verso la via
della santità le faremmo, a mio avviso, un grave torto e rinunceremmo a vedere in lei quella dimensione di umana fragilità, una
fragilità che la accomuna a ciascuno di noi, che la fede in Dio e
l’amore per la vita le hanno permesso di sconfiggere.
Questo, a mio avviso, è il vero tratto eroico della sua santità.
La lettera all’amico Roberto, nella sua immediatezza e sponta-
smarrita. Diamogli questa gioia e Lui ci offrirà la sua Gioia infinita.
«Non creda di essere solo a soffrire». La sofferenza viene
sempre provocata da essere liberi come noi che non sempre ci
preoccupiamo di offrire solo bene agli altri. Tanti disastri ambientali...
Dio allora assegna ad ognuno di noi una piccola parte di sofferenza, mentre Gesù, come Dio, si è caricato di tutte le sofferenze umane.
La certezza (ecco la speranza) di poggiare la sua vita in Dio fa
dire a Benedetta: «Dio è nel suo cuore. Lo ami semplicemente
con umiltà».
La carità per Umberto porta Benedetta a dimenticare se stessa
(ormai completamente isolata da tutti per la malattia) per mettere
nel cuore di Umberto quella carica di gioia necessaria per cambiare tutto.
«L’eroismo non è ribellarsi. Accetti con coraggio tutto. E tutto per incanto diverrà fatalmente semplice e pieno di pace celeste».
Dicendo così fa dono della gioia a Umberto. Poi aggiunge:
«Lei al Signore domandi aiuto per me». È un invito a sperimentare come è possibile ricaricarsi di gioia mettendo se stessi al servizio di chi ha bisogno, dimenticando le proprie sofferenze.
Umberto certo rimase benevolmente sconvolto alla richiesta di
offrire l’elemosina di una preghiera per Benedetta.
neità, senza fronzoli o compiacimenti intimistici, ci presenta alcuni tratti caratteristici della sensibilità di Benedetta, primo tra i
quali il farsi carico dei problemi degli altri, nonostante la sua situazione personale, in uno slancio di generosità gratuita e di totale condivisione che si esprime nel chiedere all’amico se la mamma è guarita.
Molto spesso nelle sue lettere Benedetta, pur immersa in un
mare di dolore, dimostra questa partecipazione sincera e affettuosa alle preoccupazioni e alle sofferenze dei suoi interlocutori e
questo ci fa pensare, per contrasto, a tanti nostri atteggiamenti di
insensibilità nei confronti degli altri, delle loro preoccupazioni
quando ci chiudiamo nel nostro egoismo, pensando di essere gli
unici a soffrire in questo mondo.
Ma credo che i passaggi più alti e significativi della lettera siano quelli in cui Benedetta non nega di aver provato “ore di stanchezza e di abbandono”, non nega la fragilità della sua volontà,
non nega le sue paure ma proclama quella fiducia totale in Dio
che le permette di sublimare i suoi limiti umani trasformandoli in
punti di forza di quel cammino eroico che ha contraddistinto la
sua breve e travagliata esistenza.
Certo non tutti possiamo contare sulle virtù eroiche di Benedetta, ma tutti possiamo vedere in lei il miracolo di una natura
umana, come la nostra, che ha saputo infrangere i limiti che le sono propri per raggiungere uno stato di grazia particolare.
Per questo la figura di Benedetta può parlare agli uomini e alle donne del nostro tempo con un messaggio particolarmente efficace, un messaggio di speranza che ci può aiutare a districarci tra
le mille difficoltà del periodo che stiamo vivendo senza farci cogliere dallo sconforto, dalla depressione, dal senso della sconfìtta,
dal buio della rassegnazione.
Benedetta può essere per noi oggi un faro al quale guardare
con fiducia.
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Benedetta a Lourdes
di CARLO SPINELLI *
Non so quanto nell’ottenere quello splendido risultato
spirituale che è la santità di
Benedetta abbiano contribuito
la famiglia, gli amici d’infanzia, i compagni dell’Università, la lettura della Bibbia e
degli autori classici dell’800,
il gruppo di Gioventù studentesca, la contemplazione della vita dei santi, in particolare
Santa Teresa del Bambin Gesù e San Francesco o, e li ho
lasciati non a caso per ultimi,
i pellegrinaggi a Lourdes.
Certo, Lourdes è intervenuta in una fase nella quale la
personalità e il cammino ascetico di Benedetta erano già
ben chiaramente definiti. Però
il discorso di Lourdes parte
da molto lontano, non solo,
ma la devozione alla Madonna era parte importante e fondante della sua fede. Amava
ricordare che era nata in un
giorno di sabato, e che era
stata battezzata nella chiesa
dell’Annunziata, dove poi avrebbe anche ricevuto la sua
prima Eucaristia. Ma non si
deve dimenticare che, quando
era nata e una improvvisa
emorragia aveva fatto temere
di perdere la bambina, la
mamma l’aveva battezzata
con dell’acqua di Lourdes
che veniva conservata in casa
in una bottiglietta. E che di
andare a Lourdes si era già
pensato nel 1954, in dicembre, quando ormai da più di
un anno la sordità la disturbava già al punto che non riusciva a seguire le lezioni all’Università. Eppure questo
disturbo, che tanto ha inciso
sulla sua serenità in quei primi anni della malattia, non
era stato preso sul serio, anzi,
era stato considerato di natura
psicologica (per non dire che
era un po’ fissata), tanto che
fu sottoposta ad un trattamen-
to psicoanalitico cui ovviamente non seguì alcun miglioramento (anzi, la malattia
si aggravò sempre di più, come tutti sappiamo…). Allora
al pellegrinaggio, alla Madonna avrebbe chiesto che
«le fortificasse lo spirito».
Ma quando ci è andata davvero, a Lourdes, nel 1962,
con l’Unitalsi, Benedetta ha
fatto un cammino spirituale
ti, con i poveri, con i bambini
abbandonati». Ma torna che
non è guarita e, pur attraversando un periodo nel quale si
sente arida, avvilita, inutile,
afferma: «Il criterio di Dio
supera il nostro ed Egli agisce sempre per il nostro bene.
La Madonna mi ha fatto capire che ci dobbiamo gloriare
nella croce di Cristo. La grotta è un posto pieno di verde e
re felicemente nel buio, nell’attesa di una luce più viva e
più calda. Ma Dio mi aiuterà,
perché sa che io esisto. Quando le mie preoccupazioni diventano pungenti, e io lo chiamo, mi aiuta subito…».
Benedetta ha ormai raggiunto la vetta altissima della
santità: «Vado a chiedere una
guarigione dell’anima più
completa, perché molte volte
mi trovo a vacillare: non nella fede, ma nella generosità
verso il Signore».
Voglio chiudere con quello
che ha dettato al ritorno da
Lourdes: «Dalla città della
Madonna si ritorna nuovamente capaci di lottare, con
più dolcezza, pazienza e serenità. Ed io mi sono accorta,
più che mai, della ricchezza
del mio stato, e non desidero
altro che conservarlo. Ora ho
la dolcezza della rassegnazione. La Madonna mi ha ripagato di quello che non possiedo più. Ho capito che mi è
stato ripagato quello che mi
era stato tolto, perché possiedo la ricchezza di Spirito: ecco il miracolo di Lourdes
quest’anno, per me».
formidabile. Ha capito e accettato l’orizzonte ultimo verso cui Dio la sta chiamando;
ma il suo rapporto con Dio
non è ancora del tutto libero,
disinteressato, abbandonato
totalmente alla sua volontà. E
pensa di poter venire a patti
con Lui.
Tutti vanno a Lourdes per
chiedere la grazia, per sé o
per i loro cari, e anche Benedetta chiede la guarigione; e
fa un patto, un voto: «Se guarirò mi farò suora di quelle
suore che stanno con i mala-
di pace: la Madonna è molto
buona e bella…».
L’anno dopo, nel giugno
1963, Benedetta torna a Lourdes, con il pellegrinaggio di
Milano dell’OFTAL1. La sua
situazione clinica è disperata,
ma Benedetta scrive: «Il Signore prenderà quel poco che
so dargli e cercherà di aiutarmi a spogliarmi di tutte
quelle cose che si ribellano al
suo volere… Vado a Lourdes
ad attingere forza dalla mamma celeste, poiché non so
abituarmi come vorrei a vive-
* Presidente dell’OFTAL di Milano
1 Alcune note tecniche sul pellegrinaggio. La partenza è prevista
per le 12,20 del 24 giugno dallo
scalo di Porta Romana; l’arrivo a
Lourdes, dopo 26 ore di viaggio,
per le 14,01 del 25 giugno. Il pellegrinaggio è presieduto da mons.
Edoardo Piazza, e sono presenti
mons. Ferraris e il capo ospitaliero
Antonio Sessa e il vicecapo, Giannino Ferrario. Il capo barelliere è
Antonio Villa e il capo medico il
prof. Michelangelo Petrini. Benedetta è sistemata in uno scompartimento con altre due barellate e, all’Asile, in sala St. Pierre, dove è capo Mariola Cabella, medico il capomedico e assistente spirituale padre
Andreoli, gesuita.
20 ■ l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78
Benedetta e il mistero della sofferenza
di GIUSEPPE RIZZI
Chiunque viene a conoscere
la vita di Benedetta si pone la
domanda, inevitabile e difficile: come ha fatto Benedetta a
sopportare il peso di tanta sofferenza, come ha superato la
paura e la disperazione, «la
notte buia dei faticosi giorni»?
Non avrà avuto anche lei, che
alla fine della vita era cieca,
sorda e paralizzata, qualche
momento di angoscia profonda
e irrefrenabile? C’è un segreto
in lei? La risposta la troviamo
ripercorrendo nelle sue lettere
il suo cammino di fede.
cella, e Lui dovesse aiutarmi a
uscire» (22 aprile 1963). «Anche se ci troviamo nei più silenziosi deserti, Dio non ci lascia mai soli. Le mie giornate
sono lunghe, faticose, però
ugualmente dolci e con la luce
di Dio cerco, nel mio esilio,
di non perdere la serenità»
(15 maggio 1963).
È impressionante il suo senso della presenza di Dio, come
troviamo in queste lettere: «Sono brutte le tenebre, eppure io
so di non essere sola: nel mio
silenzio, nel mio deserto, mentre cammino, Lui è qui, mi sorride, mi precede, mi incoraggia a portare a Lui qualche
piccola briciola d’amore»
(1 giugno 1963). «Le mie giornate non sono facili; sono dure, ma dolci, perché Gesù è
con me, col mio patire, e mi dà
soavità nella solitudine e luce
nel buio» (1963).
Certamente Benedetta non
ha mai nascosto le sue sofferenze: i suoi sentimenti li troviamo esposti con grande sincerità e candore nelle sue lettere, nelle quali confessa la fatica e la durezza di certe giornate. Dice per esempio: «Io sono
come al solito; soffro molto,
credo ogni volta di non farcela
più, ma il Signore che fa grandi cose, mi sostiene pietoso e
io mi trovo sempre ritta ai piedi della Croce» (29 settembre
1962). «E se in qualche attimo
mi sento timorosa, io dico coi
discepoli: resta con noi, Signore, perché si fa sera» (maggio
1963). Confessa umilmente,
ma decisamente: «Se verrà la
paura, dirò senza vergogna:
Signore, ho paura delle tenebre. E Lui: non temere, io ho
vinto il mondo» (11 settembre
1963).
Non bisogna pensare che
questo senso della presenza di
Dio risolva automaticamente e
subito i problemi. Benedetta è
molto realista, anche per esperienza personale, e sa che non
si può pretendere che il Signore intervenga quando e come
vogliamo noi. Ecco il suo pensiero, detto con molta semplicità: «Occorre aver pazienza:
lo conosce Dio quando è il
momento di aiutarci» (Pensieri
1961-62).
Per Benedetta la strada per
superare i momenti più difficili
è stata quella di restare unita al
Signore. Può sembrare fin troppo semplice, ma questo è stato
in fin dei conti il suo segreto.
Sa che il Signore la vede e la
guarda con amore. «Da quando so che c’è Chi mi guarda
lottare, cerco di farmi forte»
(28 febbraio 1961). «Io lo
chiamo qui accanto a me, come se il mio letto fosse una
piccola grotta, o una deserta
Anche Benedetta si è interrogata a lungo sul significato
della sofferenza. Benedetta sa
che la sofferenza è mistero, il
perché sfugge, ma crede in un
perché anche della sofferenza
per un atto di fiducia e di abbandono totale a Dio. Lui sa il
perché e questo basta. «Certo
che il dolore e l’amore hanno
un valore per Lui, anche se noi
non lo vediamo. Il sole continua a splendere oltre le nubi e
l’arcobaleno viene dopo il tem-
porale. Giobbe dice che Egli fa
la piaga e la fascia» (14 luglio
1961). «La giustizia divina:
non si capisce per ora, ma è
vera, non c’è che da fidarsene
a occhi chiusi... Che mistero è
la croce» (30 agosto 1962).
«La croce prende sempre l’aspetto che meno ci saremmo
aspettati» (Pensieri 1961-62).
«Per tutti c’è dolore, speranza
e lagrime, ma una superiore
certezza vale a illuminarci e
renderci sereni nella strada
che ci conduce al Signore»
(25 marzo 1963). «Vivere lasciando che tutto il senso della
nostra vita lo sappia e lo conosca Lui solo, e ce lo faccia a
volte intravedere, se così a Lui
piace» (luglio 1963).
Cercando nelle sue lettere e
nei suoi scritti troviamo inoltre
dei particolari sorprendenti, degli sprazzi di luce del tutto personali, frutto delle sue lunghe
meditazioni. Essi dimostrano
quanto cammino personale ha
percorso. Per esempio vediamo
come riflette sul tema dell’offerta delle proprie sofferenze.
Dice Benedetta: «Offro sempre al Signore i miei dolori,
ma non chiedo di usarli per
qualche fine. Lui sa meglio di
me a quale fine gli possono
servire... Mi piace dire ai sofferenti, agli ammalati che se
noi saremo umili e docili, il Signore farà di noi grandi cose»
(24 maggio 1963).
Benedetta sente come sua
vocazione, suo compito, quello
di riuscire a dimenticare completamente se stessa e fare proprie le sofferenze degli altri:
«Il mio compito non è solo e
non deve essere solo quello di
scrutarmi dentro, ma di amare
la sofferenza di tutti quelli che
vivono o vengono intorno al
mio letto e mi danno o mi domandano l’aiuto di una preghiera» (22 aprile 1963).
Un altro aspetto che colpisce
e sorprende in Benedetta è la
coesistenza del soffrire e della
pace, del buio e della luce. «Il
mio buio mi pesa, ma lo preferisco, se questo è il prezzo per
camminare con più luce dentro
al cuore... Tutto è grazia: ricordalo» (7 giugno 1963).
«Anche se le mie giornate
sono eternamente lunghe e
buie, sono pur dolci di un’attesa infinitamente più grande del
dolore. Il cielo è la nostra patria vera, e là dobbiamo mirare, all’Incontro» (luglio 1963).
«Solo a intervalli mi sento sfinita e fiacca, ma sempre ancora lucida nella pace di Dio. So
che attraverso la sofferenza il
Signore mi conduce verso una
strada meravigliosa!» (28 agosto 1963).
Negli ultimi mesi Benedetta
riesce a fare la sintesi della sua
vita: il suo cammino si illumina e si semplifica nella luce
del traguardo ormai vicino.
«Più vado avanti, più ho la
certezza che grandi cose ha
fatto in me Colui che è potente
e l’anima mia glorifica il Signore. Davvero in ogni attimo,
in ogni soffio, io ho le prove
che Dio mi aiuta dolcissimamente» (11 ottobre 1963). «Prima nella poltrona, ora nel letto, che è la mia dimora, ho trovato una sapienza che è più
grande di quella degli uomini.
Ho trovato che Dio esiste ed è
amore, fedeltà, gioia, certezza,
fino alla consumazione dei secoli» (1963).
Queste parole “ho trovato”,
ripetute due volte, sono il suo
canto finale di vittoria. Che anche ciascuno di noi, al termine
della sua vita, possa dire questo semplice e gioioso “ho trovato”, come San Paolo che
scrive: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la
corsa, ho conservato la fede».
l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78 ■ 21
Il dialogo autentico:
BENEDETTA E MARTIN BUBER
Un amico
conosce la melodia
nel nostro cuore
e la canta
quando noi
ne dimentichiamo
le parole.
(Proverbio nigeriano)
Dialogare, dice Martin Buber, è la reciproca rivelazione di sé
all’altro. Di conseguenza, una caratteristica sembra appartenere
necessariamente al dialogo: la reciprocità.
«Due persone dialogicamente congiunte devono evidentemente
essere rivolte l’una verso l’altra»1. Ma per parlare di vero colloquio non basta rivolgersi all’altro, bisogna parlare con lui “in tutta verità”, quindi con la partecipazione dell’essere. È necessario
che colui che parla non si limiti a percepire l’altro, ma lo accetti
quale proprio partner.
Il dialogo tra persone deve tendere al radicale svelamento di sé
all’altro, senza però alcuna pretesa di esaurire tale svelamento.
Del resto, dice Buber, «non è essenziale che uno si ‘lasci andare’
di fronte all’altro ma che permetta a colui col quale comunica, di
partecipare al suo essere»2. Bisogna essere ‘nudo’ verso l’altro,
provocando nell’altro una corrispettiva apertura: è «l’autenticità
dell’inter-umano; dove ciò non avviene, non può essere autentico
nemmeno l’elemento umano»3.
Inoltre l’“essere aperto a...” implica il coglimento dell’altro come unità irripetibile. «Io percepisco la sua intimità, e che egli è
diverso, essenzialmente diverso da me, in questo determinato a
lui caratteristico modo unico»4.
Capire l’unicità dell’altro è molto importante per evitare di tentare di impormi all’altro che ha come conseguenza la morte del
dialogo autentico.
La relazione non è solo reciprocità, è anche attività. Soltanto se
«il mio Tu influisce su di me come io su di lui»5 può sorgere una
relazione autentica. Ciascuno nella relazione impegna tutto il proprio essere e non soltanto una facoltà o il sentimento. È un incontro all’insegna della responsabilità che è l’atto essenziale dell’amore. «L’amore è responsabilità di un Io per un Tu»6 afferma
Buber e dalle tante lettere di Benedetta e a Benedetta si comprende facilmente come sia lei che i suoi interlocutori abbiano
sempre cercato di realizzare ciò che è necessario ad un vero incontro.
Benedetta ha capito, ad un certo momento, che ciò che Dio voleva da lei era che divenisse un apostolo. Essere una testimone
dell’amore di Dio nel mondo diventa la sua missione.
A Benedetta interessava soprattutto far conoscere le meraviglie
che il Signore stava compiendo in lei e non tralasciava mai di
parlarne nelle sue lettere. Vive la sua malattia e il suo rapporto
con Dio come un compito da portare avanti e dalle lettere si comprende anche il suo itinerario spirituale. Benedetta sa di essere
fatta di fango, ma sa anche che il suo amore per Dio e l’amore di
Dio per lei la rendono qualcosa di unico ed irripetibile. «Nessuno
è inutile, a tutti Dio ha assegnato un compito» scrive a Maria
Grazia (26 marzo 1962) che, essendo un po’ in crisi, si sentiva
“inutile”. Quello che dobbiamo mettere di nostro, scrive ancora
all’amica il 5 maggio successivo, è la nostra buona o cattiva volontà: «Non si insegna con le parole. L’unico Maestro è Dio in
cielo che ci insegna dentro, senza parole».
Ma anche parlare con le amiche è di grande aiuto a Benedetta.
Ringrazia, infatti, Nicoletta per le sue lettere piene di preziosi
consigli sulla sua situazione spirituale: «è il Signore che te le ispira» scrive il 20 giugno ’62 all’amica.
E possiamo certamente affermare che è proprio grazie a Nicoletta e a Padre Gabriele Casolari che Benedetta scopre la sua vocazione in modo esplicito. Ma tutto questo è stato possibile proprio perché Benedetta è riuscita a mettere a nudo la propria anima davanti ai suoi amici. Si è fatta conoscere nella parte più
profonda del suo essere, ha fatto capire ciò di cui aveva bisogno
e i suoi interlocutori hanno saputo cogliere il suo messaggio e sono riusciti a farle avere quella consapevolezza di sé, della sua situazione che, forse, da sola avrebbe faticato a cogliere. Sapere
che “proprio” nel suo stato poteva diventare uno strumento nelle
mani del Signore, con un compito da assumere con consapevolezza e responsabilità, è stata la molla che l’ha aiutata a portare
con dignità e con amore la sua croce. Da quel momento avrà una
sola paura, la paura di perdere Dio perché «è Lui che ci dà la
forza, è Lui che ci guida» (a Paola Vitali 28 agosto 1963).
Abbandonarsi al Signore, serenamente: è questo l’insegnamento di Benedetta ai suoi amici. E vedendo la sua capacità di abbandono tra le braccia di Dio, l’insegnamento risultava naturale e
le difficoltà della vita trovavano il giusto posto per ognuno. Benedetta questo compito non ha mai smesso di portarlo avanti. Ancora oggi, per noi che conosciamo la sua vita, per noi che leggiamo i suoi pensieri attraverso i suoi scritti, lei è una testimone dell’amore di Dio verso le sue creature. È, la sua, una testimonianza
vissuta fino in fondo, nella propria carne e nel proprio spirito, ma
è in questa radicalità che sta la forza di Benedetta, di questa piccola grande donna che ha saputo trasformare anche il dolore e
farne un segno che continua ad affascinare chiunque la incontri.
Benedetta continua a dialogare con i suoi amici, continua a rivelarsi e a rivelare un amore che avvolge anche noi se glielo permettiamo. Davanti a Benedetta dobbiamo saperci mettere a nudo,
con le nostre povertà e le nostre disarmonie. Possiamo farlo senza paura e timore, perché da lei ci sentiamo compresi e accettati
e allora provare a farci avvolgere dall’amore di Dio sarà più facile, e abbandonarsi al Signore, serenamente, sarà un traguardo raggiungibile. Benedetta può aiutare molto a spianarci la strada. Lasciamoglielo fare.
Roberta Bössmann
BUBER, M., Dialogo, in IDEM, Il principio dialogico, Milano 1959,
pp. 114-115.
2 ID., Elementi del contatto diretto tra uomo e uomo, in ivi, p. 213.
3 Ibid.
4 Ivi, p. 125.
5 BUBER, M., L’Io e il Tu, in ID., Il principio dialogico, cit., p. 20.
6 Ivi, p. 48.
1
22 ■ l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78
Il segreto dei Chassidim
Cogliere la bontà e la bellezza della
creazione è ciò che anima il Cassidismo: i
suoi discepoli cercano di evidenziare tutta
la positività dell’ebraismo manifestando la
gioia per la vita, in tutti i suoi aspetti. Manifestare la gioia significa vivere ogni attimo della propria esistenza congiunti a Dio,
vuol dire vivere nel tempo, ma con lo
sguardo rivolto all’eternità. Per questo non
occorre essere saggi o dotti, «è sufficiente
avere un’anima indivisa, indirizzata eternamente verso la sua mèta divina. Il mondo
in cui vivi, così com’è, e non altrimenti, ti
permette quel rapporto con Dio che redime
allo stesso tempo te e quella parte del divino nel mondo che ti è stata affidata».
Ciò che può aiutare è pregare, ascoltare
la voce di Dio, cantare il suo canto. «Al limite, la preghiera è Dio stesso. Dio che assume in sé l’orante, lo coinvolge nella sua
vita, gli apre l’accesso ai suoi tesori di Padre» (p. 51).
L’uomo deve solo, con umiltà, riconoscere la propria derivazione da Dio, la propria povertà di creatura; il resto è dono, è
silenzio, è gioia. È la certezza di essere
amati anche quando l’infinita Presenza si
rivela come assenza» (p. 78).
È quanto è avvenuto con la Shoah. Gli
ebrei sono stati, nel buio della tragedia, dice la Ghini, «testimoni di un Dio assente,
ma vicino. Apparentemente dissolto nei
milioni di corpi bruciati, ma vivo nelle vittime disperatamente legate alla sua alleanza» (p. 83).
Partendo da queste considerazioni di Martin Buber ne I racconti dei Chassidim, Emanuela Ghini presenta il centro della spiritualità ebraica e del cristianesimo che da essa
deriva.
Il centro è costituito dalla positività della creazione, dalla sua bellezza che il nostro occhio non sa più vedere, perché è diventato opaco conformandosi alla mentalità del mondo. Si tratta ora di lasciarsi trasformare in una visione nuova, per ritrovare quella purezza originaria che solo un risveglio spirituale può donarci.
Dobbiamo rinnovare l’uomo, la società
e la religione stessa, e rinnovare significa
tornare alle origini, vivere la gioia di Dio
al momento della creazione, quando vedeva che «tutto era cosa buona»: significa
scorgere la scintilla divina che anima ogni
cosa. Non è un compito facile per l’uomo
fragile, attratto dall’apparenza delle cose,
«incapace di leggerle nella loro derivazione da Dio».
L’uomo in ricerca ha bisogno di consiglio e di aiuto che possono venire da un
uomo capace di orientare, di guidare, da
uno zaddik. Egli educa i suoi figli spirituali, i suoi chassidim, rendendosi trasparente
a Dio, essendo maestro di vita con la parola e con la vita. Saranno anche i discepoli,
con i loro dubbi e con le loro domande, ad
aiutarlo a trovare la via giusta per ciascuno
di loro. Si tratta, comunque, di condurre i
discepoli all’incontro con Dio, un Dio che
diventa presenza, un Dio che viene incontro, ma che non sarà mai posseduto, un
Dio nel contempo vicino e lontano.
«È il Dio nascosto, che vuol essere cercato, ma è anche il Dio che soffre, se l’uomo non lo cerca» (p. 18).
«Il Cassidismo, con le sue domande e le
risposte dei grandi maestri di spiritualità, ci
fa capire che, per entrare nel mistero di
Dio, bisogna accettare il limite umano, riconoscersi creature bisognose di Dio. Allora si riuscirà a scoprire Dio ovunque si è.
Bisogna però saperlo accogliere, fargli spazio, lasciarlo entrare»1.
Un altro aspetto sottolineato dalla Ghini
è che i Chassidim celebrano la tenerezza di
Dio, che accetta e comprende anche la preghiera più modesta dell’uomo, «come un
padre comprende sempre il balbettio del
suo bimbo» (pp. 22-23).
Il movimento chassidico è rivolto a tutti,
dunque anche agli uomini più semplici. Invita a rimuovere «la barriera tra il sacro e
il profano, insegnando a dare un significato sacro al compimento di ogni azione profana» (p. 13).
Bisogna diventare un «orecchio che
ascolta», dice ancora Buber e la Ghini ci
ricorda che per il cristiano ciò significa
«ascoltare lo Spirito che parla dentro, farsi
percezione del suo suono leggero e quasi
imprendibile (Gv 3, 8), lasciarsi guidare da
lui alla “verità tutta intera” (Gv 16, 31)»
(p. 39).
1
BUBER, M., I racconti dei Chassidim, Milano
1979, p. 605.
«Il dramma della Shoah testimonia la
perennità del popolo eletto» (p. 84) di uomini e donne «malati di Dio, cioè vivi di
lui e in lui, che lo confessano davanti alle
armi spianate per ucciderli, che cantano e
danzano danze chassidiche andando verso
la tomba» (p. 85).
Questi morti, conclude la Ghini, sono i
testimoni inesorabili di Dio, davanti ai
quali tutti, i cristiani per primi, devono interrogarsi. Ringraziamo l’Autrice che ce lo
ricorda. Ne abbiamo tutti bisogno.
Roberta Bössmann
GHINI, EMANUELA, Il segreto dei Chassidim, Casale Monferrato, Edizioni Piemme
Spa, 2001. Ove non diversamente specificato, tutte le citazioni sono tratte da questo
volume.
Siamo vicini a
suor EmanuEla Ghini
e alle sue consorelle
Carmelitane scalze
che ricordano,
nell’azione di grazie
e nella gioia,
il centenario
del loro monastero
di Savona, in via Firenze:
10 ottobre 1914-2014
l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78 ■ 23
La mia vita accanto a Benedetta
(parte XI)
di don ALFEO COSTA
1984
Ero tutto preso dalla situazione familiare. Il 25 gennaio, a
poco più di un mese dal ricovero in Casa di Riposo, mio padre
venne ricoverato all’Ospedale
di Dovadola, per problemi ad
un piede che andava in cancrena. Dopo pochi giorni tentarono
di asportargli le parti malate,
ma in modo primitivo, tagliando la carne viva senza un minimo di anestesia: faceva degli
urli strazianti. Mia madre rimase nella Casa di Riposo da sola.
Nei primi giorni dell’anno
facemmo un ritiro con i ragazzi a Marzano, guidati particolarmente da Suor Lorenza, la
quale aveva un buon ascendente sui ragazzi, per quanto invece avesse il dono (si fa per dire) di far sentire tutti in colpa.
Il 22 gennaio andammo a Sirmione per il 20° anniversario
di Benedetta, mentre il 23 lo
celebrammo alla Badia.
In quei giorni acuti per i
miei io facevo questa preghiera: Signore, se ci vedi preparati (malati e figli), sia fatta la
tua volontà. In febbraio mia
madre andava peggiorando e la
seguivamo, io e mia sorella,
nel migliore dei modi. Finché
il 23 febbraio fu il suo dies natalis. A pranzo avevano passato
la polenta. Sapevo che a lei
piaceva, allora insistetti perché
ne mangiasse, ma lo fece solo
con sforzo. Avevamo avvisato i
parenti e mio zio Severino era
venuto da Predappio per essere
di aiuto nell’assistenza diretta.
Nel pomeriggio, vedendo l’evolversi delle cose, ritenni opportuno amministrarle l’unzione degli infermi, cosa che feci
con l’animo teso. Quando poi
si giunse alla “raccomandazione dell’anima” incominciai la
preghiera: parti, o anima cristiana, da questo mondo… a
quel punto mi fermai; non potevo essere io a dirle di partire,
no, per me non doveva partire.
Poi andai a celebrare la Messa
dalle Suore. Appena finita ritornai da mia madre: stava
dando gli ultimi respiri; alle
18.45 del giovedì 23 febbraio
mia madre morì. Questo avvenne nella stanza n. 14 del
piano alto nella Casa di Riposo. Vennero anche mio fratello
e mia cognata Eugenia. Si
provvidero le cose di quei momenti. Venne trasportata nella
camera mortuaria, scendendo
per le scale, perché l’ascensore
non c’era, e uscendo all’esterno. Cercai di organizzare al
meglio il funerale di mia ma-
dre. In serata dello stesso giorno (due mesi dalla partenza)
ricomparve don Luigi Superga,
di ritorno dal Venezuela, ma,
bontà sua, non mosse un dito
per il da farsi. Mia madre venne sistemata e composta nella
bara e rimase nella camera
mortuaria del Ricovero. Chiesi
ad un amico di scattare qualche foto di mia madre nella bara. Al venerdì mattina facemmo il così detto ufficio delle
Messe, poi alla sera la portammo alla Badia. Mi sono rammaricato poi di non averla
messa accanto a Benedetta:
l’avrebbe senz’altro gradito,
ma non ci pensai. Sabato 25,
giorno del funerale, io celebrai
alla mattina perché poi preferii
rimanere tra i parenti. Alle
14.30 la concelebrazione pre-
sieduta dal vicario generale
Mons. Fabiani (il vescovo era
assente per malattia) e da 18
sacerdoti, alcuni erano intervenuti senza concelebrare. Cercai
infatti di avvertirne tanti, perché sapevo quanto ci teneva la
mamma ad avere molte Messe.
Finita la celebrazione facemmo
il corteo fino a piazza Marconi,
poi in macchina si proseguì per
il cimitero di Santa Marina di
Predappio. Si era fatta un
po’ di neve e il cimitero era
quasi tutto bianco; anche la neve piaceva a mia madre. All’indomani, domenica, cercai
di rimanere nel lutto. E quella
volta fu utile don Luigi, il quale celebrò le Messe di orario,
io invece celebrai all’Ospedale,
dove per altro era anche mio
padre, al quale però preferimmo non dire nulla, infatti la sua
lucidità era precaria. Passai
quella settimana sempre con
mia sorella nelle considerazioni che seguono un tale avvenimento, organizzando però una
settimana per assentarmi e riposare mente e ossa. Il lunedì
5 marzo andai a San Marino
nella casa degli Esercizi a Valdragone, dove andavo ogni
tanto. Ma passano appena tre
giorni e il giovedì 8 ricevo una
telefonata da mia cognata che
era morto anche mio padre.
Un susseguirsi di pensieri e
riflessioni. Rientro subito a casa. Mio padre in ospedale
l’hanno trovato morto di prima
mattina andando per misurare
la temperatura. Pensare che
mio padre desiderava morire a
casa, nel suo letto, attorniato
da tutti noi, invece è accaduto
in ospedale e noi eravamo tutti
via, anche mia sorella era andata addirittura in Svizzera e
dovemmo faticare per rintracciarla. Organizziamo di nuovo
il da farsi. Al giovedì sera rimane nella camera mortuaria
dell’ospedale, al mattino del
venerdì facciamo l’ufficio di
Messe e alla sera il trasferimento alla Badia, per celebrare
il funerale al sabato. Essendo
bisestile quell’anno, è avvenuto uno svolgimento identico a
quello di mia madre proprio
due settimane dopo.
Una sera, in casa con mia
sorella, abbiamo voluto immaginare: cosa si saranno detti incontrandosi nell’aldilà? Due
ipotesi; dapprima mia madre
gli avrà detto: ma con te non si
può stare un momento in pace,
sei già qui! Oppure: vieni via,
non vedi che hanno da fare!?
Comunque questo evento ho
cercato di viverlo come un segno: uniti in vita e vicini anche
in morte. Intanto in cuor mio si
faceva avanti il pensiero che
da solo non potevo rimanere a
Dovadola. E andavo accarezzando una mia antica vocazione monastica non seguita: mi
sento un monaco mancato. Andai a consultare l’Abate di Cesena, il quale mi dissuase parecchio.
Cercai di contattare l’Abbazia di Vedana nel bellunese.
L’abbazia di Vedana l’avevo
visitata anni addietro, dopo l’esperienza della Licenza in teologia a Roma. Là c’era stato
Mons. Roberto Montagnani,
sacerdote modiglianese di cui
mi occupai come tesina di licenza. Ora l’abbazia era abitata
da monache e non più monaci.
Ma quel pensiero mi stava
dentro. Nell’estate mi recai alla
Certosa di Firenze, vi rimasi
una settimana. Lì vidi il posto
adatto. Il Priore e il vice Priore
si resero pronti ad accogliermi.
Ne parlai quindi col mio Vicario Generale,
Mons. Fabiani, il quale pose
le sue argomentazioni perché
desistessi da quel proposito e
mi prospettò la possibilità di
un aiuto domenicale in parrocchia. Anche mio fratello si mostrò contrario. Così finii per
prendere tempo e per… non
essere andato. Feci bene? Mah!
Questo fu anche l’anno ventesiContinua a pag. 24
24 ■ l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78
Continua da pag. 23
mo della morte di Benedetta.
Anna giustamente pensò di
onorarlo con la presenza di un
personaggio importante nella
chiesa. Invitò il cardinale Anastasio Ballestrero, arcivescovo
di Torino e Presidente della
Cei. La data fu il 25 aprile.
Il cardinale venne di prima
mattina a Dovadola a rendere
omaggio al sarcofago di Benedetta. Avevo interessato le persone vicine, le quali si resero
presenti ad accogliere l’Eminentissimo. Poi in cattedrale la
solenne celebrazione con molti
sacerdoti. Nell’agenda di sagrestia di quell’anno, al 13 maggio
io scrissi una nota che dice così: A Badia è in notevole aumento l’afflusso dei “pellegrini”. Già è importante la presenza del sacerdote e forse anche della Messa vespertina.
La domenica 24 giugno (per
iniziativa delle Suore) si volle
celebrare il mio 30° di Messa.
Due sacerdoti (don Ernesto
Leoni e don Carlo Gatti) ven-
nero a concelebrare con me.
Capii che l’iniziativa aveva
una motivazione delicata come
per incoraggiamento dopo la
mancanza simultanea dei miei
genitori.
L’8 agosto, per il compleanno di Benedetta, celebrò la
Messa presso il sarcofago don
Ernesto Leoni, il quale era stato componente del Tribunale
nel processo diocesano. Lo
stesso sacerdote mi sostituì nei
giorni in cui andai fino a
Medjugorje (Iugoslavia) in auto assieme all’amico confratello comacchiese don Nino Mezzogori. Fu un viaggio bello,
passando via terra da Trieste,
arrivammo a destinazione dopo
due giorni. Da pochi anni
(1981) avvenivano là delle apparizioni quotidiane della Madonna.
Il luogo era in aperta campagna. Davanti alla chiesa vedemmo un cumulo di persone
addossate a qualcosa: era un
semplice tubo che terminava in
un rubinetto da cui si poteva
attingere acqua: l’unico ristoro
possibile. La chiesa parrocchiale, tenuta dai francescani
minori, si presentava ampia,
bella, con due campanili.
All’ora dell’apparizione era
gremitissima. Celebrammo (il
21 e 22 agosto) anche noi con
i molti sacerdoti, poi chiedemmo al Padre parroco una indicazione per passare la notte.
Infatti non c’erano alberghi e
nulla di simile. Il parroco ci
mandò un uomo ad indicarci
una casa che ci avrebbe accolti. Infatti lo fecero tanto volentieri da offrirci il proprio letto.
Subito ci fecero mettere l’auto
dietro casa perché non si vedesse dalla strada. Era ancora
il tempo del comunismo e temevano delle ritorsioni. Mangiammo con gli ospiti e in
qualche modo ci capimmo. Ci
dissero che una volta videro
tutti la croce alta di ferro situata in cima al monte che era in
fiamme. Ma chi accorse lassù
vide che non era accaduto nulla. All’indomani facemmo l’e-
NEL
RICORDO
DEI
NOSTRI
CARI
scursione fino alla croce, ma il
sentiero era quasi inesistente e
i sassi erano taglientissimi, eppure alcune persone erano salite e scendevano a piedi scalzi,
sanguinanti. In chiesa si faceva
la lunga preghiera: alle 18 iniziava il rosario di 150 Ave Maria, poi, ad un certo punto fecero entrare noi sacerdoti nella
sagrestia per assistere all’apparizione.
Entrarono i veggenti (quella
volta erano cinque e non sei)
recitando il rosario come tutti.
I ragazzi tutti in fila, guardavano verso la parete bianca, e ad
un tratto si gettarono in ginocchio con un sincronismo incredibile e a quel punto muovevano le labbra ma non si sentiva
la voce.
Qualcuno accennava a sorridere. La durata fu molto breve,
forse meno di un minuto. Poi
si alzarono e di nuovo si sentì
la loro voce. Uscirono e uscimmo tutti dalla sagrestia. Noi sacerdoti ci vestimmo per la celebrazione, la quale avveniva in
croato, ma avevamo un sussidio con le varie lingue e ognuno seguiva la sua. Dopo quella
interessantissima visita facemmo turismo iugoslavo a Mostar
e Spalato. Ma lì mi accadde un
incidente d’auto: ero il primo
fermo ad un semaforo, quando
dietro vidi venire un autobus di
città, il quale non si fermò, ma
venne addosso alla mia auto,
causandomi non poco danno al
bagagliaio posteriore. Per rimediare dovemmo rimanere due
giorni a Spalato.
Tornati in Italia, arrivammo
perfino a Rocca Pietore a rivedere i luoghi che avevo frequentato durante il periodo di
San Marino con la colonia alpina estiva. In settembre Padre
Antonino Rosso, cappuccino,
venne qui a Dovadola per raccogliere tutta la documentazione relativa a Benedetta: battesimo, cresima, matrimonio dei
genitori, pagella scolastica ecc.
materiale che avrebbe poi usato
per la positio completa. Egli
era un esperto avendo già fatto
così per il cappuccino cardinale
(Continua)
Massaia.
l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78 ■ 25
Accanto a Benedetta: una settimana diversa
di SILVIA CESARONI
Come ogni anno, nel mese di agosto, ci ritroviamo insieme
per vivere una settimana diversa, una vacanza alternativa, presso la Badia di Sant’Andrea, accanto alla nostra cara amica e sorella Benedetta, immersi in una natura stupenda che fa da cornice al nostro ritiro spirituale e ci restituisce energia vitale sia al
corpo che allo spirito.
Siamo un gruppo misto composto da famiglie, giovani e
adulti, che, guidati da Padre Paolo Castaldo, seguiamo un cammino di fede nella nostra città di Ascoli Piceno, con incontri
settimanali di adorazione eucaristica, preghiera mariana e appuntamenti mensili per i più piccoli, “Gli Angeli dell’Annunziata” che, come i grandi, imparano ad amare Gesù presente nell’Eucaristia, divenendo suoi piccoli adoratori e crescendo in età
e grazia.
È ormai diventato per tutti noi un appuntamento fisso da non
perdere, sono giorni vissuti in comunione fraterna, in un clima
di serenità e semplicità ed anche con spirito di adattamento, elementi essenziali per mettere insieme persone diverse per età,
esigenze, abitudini e carattere, ma tutte accomunate da un unico
intento: quello di attingere forza per poi tornare a lottare con
più dolcezza, pazienza e serenità come diceva Benedetta durante un suo pellegrinaggio a Lourdes.
Anche quest’anno, in cui celebriamo il 50° della nascita al
Cielo di Benedetta, nella sua stanzetta, accanto al suo letto, si
sono svolte le catechesi; il tema trattato è stato L’educazione del
bambino, tratto dal testo di Maria Montessori Dio e il bambino
che ci ha lasciato dei preziosi spunti di riflessione, soprattutto ai
genitori presenti, nonni ed educatori.
Ed ecco riassunti i suoi più incisivi insegnamenti: il bambino
deve suscitare un profondo rispetto, in particolare dopo il Battesimo, perché rinasce a vita nuova in Cristo e diviene vero figlio
di Dio; non sarà più un possesso geloso di chi lo ha procreato
ma piuttosto apparterrà a Dio e dovrà essere educato secondo il
piano divino.
Gli educatori dovranno rispettare i bisogni reali del bambino
come qualche cosa che Dio ci dice di soddisfare e la vera mentalità pedagogica significa realizzare la stessa Sapienza Divina;
se essi riconosceranno la chiamata Divina ad aiutare il bambino
nella sua crescita, si metteranno al servizio dei piani di Dio, come suoi collaboratori. Solo il riconoscimento di Dio con le Sue
esigenze, i Suoi diritti e i Suoi desideri nei bambini, ci renderà
capaci di vivere veramente per loro, rinunciando a noi stessi, al
nostro egoismo, al desiderio di dominio e di potere. Il vero rispetto del bambino è possibile solo quando si rispetta Dio presente nel bambino.
Anche l’educazione soprannaturale diviene una stretta collaborazione con la grazia Divina e l’educatore deve avere l’intento costante di dirigere il bambino in modo da poterlo mettere
sotto l’influsso della forza formativa della grazia di Dio. La crescita soprannaturale è collegata con quei mezzi di sviluppo che
Dio stesso ha fissati, di cui i più importanti sono la preghiera e
i Sacramenti.
In parallelo al pensiero della Montessori, Padre Paolo ci ha
presentato e letto la lettera che Benedetta scrisse pochi mesi prima della sua morte, il 25 ottobre 1963, alla sua amica Paola,
una maestra che probabilmente si trovava in difficoltà nel gestire i suoi alunni. Benedetta scriveva: «Cara Paola non farti del
male pensando che nella scuola non hai abbastanza autorità
con i tuoi scolaretti, loro devono attingere da te soprattutto la
pazienza e questa saprà miracolosamente correggerli, ne sono
certa. Voglia bene a quelle piccole formiche di Dio perché il
cielo si riflette su di loro».
Da queste poche righe emerge il pensiero di Benedetta riguardo ai bambini e la necessità di rispettarli perché appartengono a Dio, sono le sue “formichine”.
E proprio ai bambini, in questa settimana, è stato dedicato
ampio spazio, organizzando la loro giornata che era scandita da
momenti di preghiera, insieme agli adulti, alternati ad altri maggiormente ricreativi in cui si dedicavano a colorare, disegnare,
scrivere pensieri, esprimendosi liberamente; avevano all’interno
dell’antica villa, annessa alla chiesa di Sant’Andrea, un angolino tutto proprio, dove poter sprigionare la loro creatività e fantasia. Anche i più piccoli giocavano, correvano all’aperto e si
divertivano nel grande prato accanto alla Badia, sotto lo sguardo attento dei propri genitori o dei fratellini e sorelline più grandi, a cui venivano talvolta affidati per responsabilizzarli.
Non sono mancati momenti di gioco, in cui grandi e piccoli
insieme si sono sfidati nella grande ed entusiasmante partita di
calcio, un vero e proprio torneo che ha visto infine pareggiare le
due squadre concorrenti… né vincitori, né perdenti!
Immancabile anche la visita agli anziani presso la Casa di cura di Castrocaro, a cui abbiamo dedicato qualche ora del nostro
pomeriggio, animata da canti, balli, preghiere e proprio i bambini sono stati i principali animatori, sentendosi investiti di un incarico importante nel portare un po’ di sollievo agli anziani ospiti. Si sono impegnati per regalare loro braccialetti colorati, realizzati con le loro mani, dei cartoncini con frasi tratte dal Vangelo; hanno anche spiegato ed illustrato, attraverso dei pannelli,
i principali momenti della vita di Benedetta Bianchi Porro.
Ma l’evento importante che sicuramente ha caratterizzato
questa settimana è stato quel “60” che ha accomunato, in modo
misterioso, la vita di Don Costa, nel sessantesimo anno di sacerdozio, a quella di Padre Paolo nel suo sessantesimo compleanno.
Una settimana di preghiera e di riflessione accanto a Benedetta, guardando la sua breve vita, il suo esempio luminoso,
l’abbandono fiducioso in Dio, ci ridona la forza per continuare
il nostro cammino, rinnovando quotidianamente il nostro sì al
Signore, di nuovo capaci di essere umili strumenti nelle Sue
mani.
26 ■ l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78
Chi crede... cammina!
di SOFIA CARLONI
Sono le 22:50.
E guardando le stelle ho
pensato a voi amici di Benedetta, a Benedetta, che è sicuramente una di quelle, una delle più luminose.
È guardando le stelle che ho
cominciato a sentire il bisogno,
la voglia di raccontarvi cos’è
successo quest’estate nella mia
vita... qualcosa di particolare...
qualcosa di bello.
Tutto è buio qui, all’Eremo
di San Liberato, un Santuario
francescano che si trova a San
Ginesio (Mc), dove sono in ritiro con il corso Terra dei Fioretti. Tutto è silenzio. E, prima
di mezzanotte, prima dell’alzata notturna per l’Adorazione
con i frati, ricordi, volti, parole
dette, altre ascoltate, momenti
vissuti, invadenti mi afferravano il pensiero. Tra tutti gli altri
si fa spazio un ricordo particolare, recente, ancora ardente: la
Marcia Francescana, un cammino di nove giorni per le strade marchigiane percorse da
San Francesco, che si conclude
il 2 agosto, per la giornata del
Perdono d’Assisi, nella Porziuncola, l’antica chiesetta di
San Francesco custodita tra le
mura della Basilica di Santa
Maria degli Angeli. Con il Perdono di Assisi, dopo aver recitato il Credo, e un Pater, Ave,
Gloria accompagnati dalla
Confessione, entrando in Porziuncola, si ottiene l’indulgenza plenaria. La chiese proprio
San Francesco al Papa Onorio
e vale la pena consultare Le
Fonti Francescane al passo
dell’Indulgenza della Porziuncola per rivivere il momento in
cui tale giorno divenne il Giorno del Perdono, ancora oggi
pieno della sua forza originaria. Nessun documento ufficiale chiese Francesco per istituire questa indulgenza, ma disse
al Papa: «Mi basta la vostra
parola, se è opera di Dio, Dio
stesso deve manifestare la Sua
opera. Non voglio nessun altro
documento di essa, ma la carta
sia solo la beata Vergine Maria, il notaio sia Gesù Cristo, e
gli angeli siano testimoni».
Così siamo arrivati davanti a
Santa Maria degli Angeli, noi,
110 ragazzi tutti per mano, immersi in una marea di gente
che ci stava attendendo, applaudendo, accogliendo. Noi,
piccolo gruppo tra tanti prove-
nienti dall’Italia e non solo lì, a
chiedere perdono a Dio, pronti
dopo grande fatica ad essere liberati da ogni colpa commessa
dal giorno del nostro battesimo
fino all’entrata nella chiesa,
con le lacrime agli occhi, gioia
nel cuore e spalle piegate da
zaini pesanti.
Un cammino che è metafora
della vita, durante la quale fai
incontri, conosci, hai paura, ti
senti solo, condividi, ti scoraggi, vuoi mollare, ce la fai.
Sì, ce la fai, ma non da solo.
È infatti un’esperienza che ti fa
riscoprire creatura, infinitamente piccola, infinitamente limitata.
Per ogni piccola cosa hai bisogno dell’altro, e l’altro è colui che ti fa capire che senza
Dio non sai stare. Per tutti questi giorni abbiamo vissuto di
niente: pochi vestiti, un solo
paio di scarpe, nessuna televisione disturbava le nostre ore e
il cibo doveva bastare per tutti,
eppure, eravamo tutti ‘inspiegabilmente’ felici. Dalle 4 di
mattina, l’orario in cui ci svegliavamo, a mezzanotte, quando ognuno tornava nel suo sacco a pelo, per terra, l’uno ser-
viva l’altro, l’uno sorrideva e
amava l’altro pur conoscendolo appena, perché con l’altro
stava condividendo qualcosa di
unico, che indubbiamente li legava. E poi marciavamo, per
20 o 25 km ogni mattina, verso
un’Assisi che ci attendeva paziente.
Molte sono state le catechesi
che, insieme alle preghiere,
scandivano le nostre giornate,
tutte legate da un unico tema:
il desiderio, questo grandissimo atto di volontà che è comune a molti audaci, Gesù compreso! Un po’ come l’amore,
un nome sicuramente noto a
tutti, ma un concetto proprio di
pochi: Dio è amore ma non
ogni amore è Dio. Ognuno di
noi cerca un affetto stabile che
ci fa compiere un meraviglioso
salto di qualità. Nel cuore sentiamo un desiderio di appartenenza, non che qualcuno ci appartenga, ma che noi possiamo
appartenere a qualcuno! Non si
può vivere dunque di continui
ed eterni innamoramenti guidati dal sentimento e basta. Il Signore ci manda persone, e tra
queste c’è il “volto stabile” che
cerchiamo! Sta a noi riconoscerlo tra tutti e sceglierlo! Come aveva perfettamente capito
Benedetta, soltanto se ti doni
completamente riuscirai a trovare qualcuno in risonanza con
te, come i suoi amici per esempio! C’è invece chi sta sempre
con se stesso, si copre di maschere e così è sempre e irrimediabilmente triste! Invece
chi ‘rischia’ per amore, come
Gesù, per seguire un progetto o
un ideale buono che fa circolare positivamente la vita, è sempre benedetto e protetto da
Dio, che lotterà al suo fianco!
Questi sono i miei pensieri
di stanotte. Questo mi hanno
detto le stelle.
È qui, in questa piccola stanzetta lontana da tutti ma non da
Dio, che ho pensato alla bellezza delle cose, della vita che
forse mi aspetta. Ma anche se
dovesse essere questo il mio ultimo cielo stellato, dico grazie
a Dio per averlo reso stanotte
così luminoso.
La vostra Sofia
l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78 ■ 27
Testimonianze
Dall’amica Concettina Giunta riceviamo la bella testimonianza, provvidenzialmente ritrovata, di un sacerdote di
Caltanissetta che ha conosciuto Benedetta a Sirmione nel 1962 e non l’ha più dimenticata.
Caltanissetta, 18 novembre 2000
Nel 1962, assieme ad alcuni giovani di Azione Cattolica,
ho avuto modo di vedere per circa 30 minuti Benedetta nella sua residenza a Sirmione presso il lago di Garda. È stato
un incontro puramente casuale, ma personalmente l’ho sempre ritenuto un incontro provvidenziale, una grazia, concessami dalla bontà del Signore. Non conoscevo Benedetta, ma
da quel giorno è rimasta sempre presente e viva nella mia
mente e nel mio cuore. Anche dopo la sua morte, avvenuta
poco più di un anno dopo, la ricordo sempre come l’ho vista
in quel pomeriggio di settembre. Sono rimasto profondamente edificato e mentre la invoco ogni giorno, sono certo che
lei già partecipa della gloria dei santi.
Due cose mi hanno particolarmente colpito: la sua gioia
e la vasta rete di amicizie che riusciva a tessere, specialmente con i giovani, dal letto della sua malattia.
Nonostante l’aggravarsi progressivo del male, lei era d’una serenità disarmante e lasciava trasparire la gioia profonda dello spirito. Anche il suo corpo martoriato, privato ormai di ogni sensibilità percettiva, sembrava partecipe di questa gioia ineffabile, attratto come da una corrente di grazia.
Pochi come lei hanno cantato le meraviglie della vita. Ma
per lei la gioia del vivere era ben più che un sentimento naturale: era il ringraziamento per la partecipazione al salire
eterno dell’universo verso il suo compimento divino. Era la
gioia della fede e dell’amore, la gioia per la bellezza del
mondo, per l’incanto delle stagioni, per le piccole, felici cose quotidiane, per le vacanze, per gli anniversari, per la fragranza di un fiore; tutto per lei era grazia e un rendimento
di grazia per il dono della vita.
La malattia non oscurava minimamente la luce della sua
anima, né smorzava la gioia che sperimentava nel dolore,
gioia che in lei nasceva non solo dalla rassegnazione e dalla sofferenza accolta con amorosa fiducia, ma dalla consapevolezza di essere amata da Dio, perché Dio è amore e può
rendere gioia ogni pena, e vita la stessa morte.
Nel suo muto linguaggio, nella immobilità quasi assoluta
del corpo, mi è sembrato di capire che Benedetta si offriva
continuamente al Signore come se il Signore non le chiedesse nient’altro che di essere contenta.
Per questo manteneva rapporti con molte persone: i giovani e le ragazze si sentivano particolarmente attratti dal fascino della sua spiritualità e della sua personalità.
Nei pochi minuti che rimasi nella sua stanza, fu un accorrere di giovani che andavano e tornavano facendo a gara
per starle vicino e per ricevere da lei un segno di accoglienza e di amore. Erano compagni di università, erano amici e
amiche che una volta conosciutala non riuscivano più a
staccarsene perché da lei ricevevano incitamento al bene, a
lottare con tutte le loro forze per dare ragione della loro
speranza.
Tale rete di amicizie ha lasciato in me il segno; e ora che
sono avanti negli anni (sono trascorsi quasi 40 anni) capisco che non sono né l’organizzazione, né le svariate strategie pastorali che possono tenere legati i giovani ai valori
perenni della vita cristiana, quanto una testimonianza sincera e silenziosa, che però lascia trasparire il fascino dello
spirito e una ricchezza interiore che dà pace e gioia.
Grazie Benedetta di tanto bene; tu sei stata un dono del
Signore alla Chiesa.
Mons. Liborio Campione
25 maggio 2014
Tutto comincia con una gita a Montepaolo, all’eremo di Sant’Antonio, quando alcuni amici di Roma vi accompagnano una coppia di
cingalesi, originari cioè dalla lontana isola di Ceylon, all’estrema
punta sud dell’India.
La gita prosegue a Dovadola con la visita al sarcofago di Benedetta. E poi? Gli amici ci informano che i due cingalesi: «Non avevano figli e hanno pregato a lungo nella Badia. La stessa sera è stata concepita Benedetta, la bambina nella foto».
Grazie, Benedetta, e auguri di ogni bene alla piccola Benedetta
ed ai suoi genitori e agli amici con Massimo Prosperi che ci ha
informati!
28 ■ l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78
Testimonianze
Attilio Gardini ci racconta di un suo viaggio estivo a
Sirmione alla ricerca delle tracce di Benedetta. Dal suo
itinerario cogliamo la seguente testimonianza.
Luglio 2014
Presto giungiamo alla chiesa di “Sant’Anna della rocca”,
che è una piccola cappella costruita nei pressi del castello
scaligero. Dedicata alla madre della Madonna, fu edificata
nel Quattrocento al servizio della guarnigione veneta posta a
difesa del fortilizio. All’interno, prima di ammirare gli affreschi del Cinquecento, un dipinto su pietra raffigurante Maria
santissima e una icona con i Santi Gioacchino e Anna, il nostro occhio è rapito dal quadro che mostra il ritratto di Benedetta eseguito da
Pietro Annigoni. Sì,
ci siamo…, sulla balaustra molti santini
di Benedetta che riportano anche la fotografia della lapide
in memoria del soggiorno a Sirmione
della nostra Venerabile.
Ci sembra che le
mura siano impregnate di suppliche
elevate dai fedeli per
tanti secoli e ci viene
spontaneo innalzare
Sirmione - Chiesa di Sant’Anna
un’invocazione a Benedetta, mostrando a
lei i nostri problemi familiari, tanto che la preghiera esce
istintiva dall’animo, ponendoci in confidenza presso lei come
fosse una cara sorella. Accendo una candela, poi scrivo un
saluto e una richiesta di intercessione sul libro delle presenze ed esco col cuore gonfio di dolcezza.
Oltrepassata la rocca di epoca scaligera, unico punto
d’accesso al centro storico di Sirmione, ignoriamo la trafila
di negozi che incuriosiscono i turisti, quindi giunti ad un bivio puntiamo a destra dove raggiungiamo in via Catullo, 5,
“Hotel Meridiana” che sul muro esterno mostra la lapide
marmorea con la scritta: “In questa casa Benedetta Bianchi
Porro, segnata dalla Croce, ha compiuto il cammino di
trasfigurazione verso il grande incontro con Dio. La comunità di Sirmione pose, il 17 novembre 1996”.
Siamo a conoscenza che all’età di 15 anni Benedetta si trasferì a Sirmione e che quello che oggi è l’Hotel Meridiana un
tempo era la sua casa. Sappiamo anche che la sua esistenza
terrena si chiuse il 23 gennaio 1964 e proprio in questo giorno e in questo giardino sbocciò una bellissima rosa bianca.
Ancora oggi presso l’Hotel Meridiana è conservata la stanza
che era la sua camera, aperta a chiunque sia interessato a visitarla, e l’aiuola con la “Rosa Bianca di Benedetta”, sbocciata la prima volta nel gennaio di cinquant’anni fa. Alla re-
In copertina
Il quadro scelto per la
copertina di questo numero de «l’annuncio» è di
Corrado Catani, dovadolese che vive e lavora a
Milano come architetto.
L’opera fa parte della mostra attuata dagli “Artisti Corrado Catani, Il buio e la luce,
dovadolesi” per il 50º an- 2014, acrilico e cemento, cm 50x50
no della morte di Benedetta. Quando ho visto il lavoro, mi è subito venuto in
mente il passo di Isaia (9,1) riportato in copertina, e mi
è sembrato perfetto per questo numero di Natale.
Il quadro in realtà rappresenta Dovadola, descritta con
pochi segni colorati. È il luogo in cui Benedetta ha trascorso momenti felici della sua fanciullezza, prima che il
buio prendesse il sopravvento con il dolore e la fatica di
vivere. La parte materica, nera, copre copre gran parte
del dipinto, illuminato, secondo l’Autore, da un raggio
di luce che esplode con la morte fisica di Benedetta e
trasforma il suo spirito in una stella che continua a brillare anche ai nostri giorni.
È un quadro essenziale, profondo, evocativo, che ci
mette di fronte al mistero della sofferenza e della morte
con un impatto visivo fulmineo. Ma c’è anche quella luce in cielo che trasmette speranza, gioia vera, al di là
delle frivolezze che questo tempo di Avvento, sempre
più pieno di luci artificiali ci vuole imporre.
Roberta B.
ception, infatti, sembra ci aspettassero e ci conducono al primo piano dell’albergo dove tra le stanze 101 e 103 c’è una
porta che rimane sempre aperta. Un ritratto di Benedetta, incorniciato in oro, ci conferma che siamo nel posto giusto, un
inginocchiatoio, un tappeto, un tavolino già apparecchiato
per l’Eucaristia, la rosa bianca e un quaderno dove gli ospiti
lasciano le loro invocazioni. Spontaneamente nascono preghiere e ringraziamenti rivolti alla nostra Venerabile.
(Foto Laura Pedicini)
l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78 ■ 29
Testimonianze
Ringraziamo Luigi Riceputi che ci manda altri due esempi che testimoniano, in tempi diversi, l’ispirazione che Benedetta
dà alla sua poesia. Ringraziamo molto il poeta cesenate e l’amico Attilio Gardini che ci ha trasmesso i testi.
Passando per Casticciano in un giorno d’inverno
Perduta la strada diretta
ne prendo una che mi porta
davanti alla casa
dove trascorse l’infanzia
la ragazza beata Benedetta.
La stessa emozione provata
passando davanti a quella
della mia fanciullezza…
Ardono i fuochi nei campi,
ma l’anima si scalda soltanto
alla fiamma che arde
nel cuore dei santi.
Casticciano - Uno scorcio dalla casa di Benedetta
Luigi Riceputi (5 dicembre 1989)
***
Piccolo commento in versi alla frase sublime di Benedetta, vergata in limine mortis con mano tremante come foglia sfiorata dal
vento dello Spirito, e incisa dallo scalpello del dolore con scritta infantile nell’alabastro della sua anima: Il dolore è stare con la
Madonna ai piedi della Croce.
Il cammino verso la luce
ai piedi della croce conduce.
Una sosta nel deserto che fiorisce.
Sboccia tra le spine
come una rosa alla fine
sulla vetta del Calvario
la parola della piccola
donna dei dolori Benedetta.
Luigi Riceputi (11 luglio 2014)
Agosto 2014
Sono contenta che il Signore mi abbia finalmente riempito il cuore della sua pace. Cerco di amare Dio, che per me è Padre e
Madre, con l’amore di una figlia. Se a volte ho sbagliato perdendo la pazienza o il coraggio, non voglio sprecare tempo a considerare i miei errori: ciò che conta è “ripartire” con la forza e il coraggio che vengono da Dio. Lui è un Padre immensamente meraviglioso e questo lo sto scoprendo sempre meglio grazie al mio padre spirituale, all’ascolto della Parola, al dono dell’Eucarestia e alle varie esperienze di tipo religioso che ho fatto e continuo a fare.
La scorsa estate, dal 3 al 9 agosto, ho avuto la gioia e la fortuna di vivere un’esperienza molto bella.
A Dovadola, ho conosciuto meglio la Venerabile Benedetta Bianchi Porro di cui avevo già sentito parlare.
La sua forte fede mi ha subito colpito, affascinato e ho provato a specchiarmi in Lei. Anch’io, come Benedetta, ho dovuto superare prove molto impegnative, ma esse non hanno inasprito il mio carattere, anzi lo hanno addolcito rendendomi più matura,
più affabile, più consapevole dei doni ricevuti. Alleandomi con Gesù, ho sperimentato che Lui ha sempre il potere di contagiare
di gioia il mio cuore anche nelle prove più terribili e questa gioia penetra così profondamente nel mio intimo.
La Venerabile Benedetta mi ha anche aiutato a capire meglio che, sulla terra, tutto è una brevissima passerella, per chi vuole
sfrenatamente godere, ma sicura per chi vuole cooperare con Lui per raggiungere la salvezza. Infatti, io desidero vivere ogni giornata con i piedi sulla terra ma lo sguardo dell’anima rivolto spesso al cielo, perché legandomi troppo alle cose materiali di questo
mondo, mi sento meno libera e più misera. Da quando il Signore mi ha afferrato, le mie paure non mi soffocano più: io sono tranquilla tra le Sue braccia, so che la luce tornerà e non devo fare altro che accogliere il Suo amore misericordioso perché solo Lui
mi conosce nel profondo. La fiducia in Dio, l’abbandono in Lui è per me una grande conquista e desidero ardentemente fidarmi
della Sua bontà. Come Benedetta, voglio essere una donna forte, serena, gioiosa, spontanea, dinamica, sicura di sé, ma questi frutti meravigliosi possono maturare, nella mia vita, solo se mi lascio conquistare e riscaldare dall’amore del Signore.
Anna Collina
30 ■ l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78
Grazie Benedetta!
Misilmeri, 6 agosto 2014
Mi chiamo Giuseppa, ho 49 anni e vivo a Misilmeri, un
paesino distante pochi chilometri da Palermo.
Voglio raccontarvi come ho conosciuto la Venerabile Benedetta e come ho ottenuto la grazia che ho chiesto.
Circa due mesi fa, una domenica che precedeva il 7 giugno, mi trovavo con i miei genitori in chiesa a Portella di
Mare, una frazione di Misilmeri, per assistere alla Santa
Messa, come tutte le domeniche. Nel prendere posto, sui banchi si trovavano le immaginette di Benedetta. Ne presi una e
lessi la sua biografia; mi colpirono tanto la sua bellezza e il
suo amore per la vita.
Tornando a casa, la poggiai sul mio comodino, non pensando che avrei avuto bisogno di lei da lì a pochi giorni.
Infatti la domenica successiva, arriva a casa una chiamata da Gela di mia sorella che in lacrime ci avverte che il marito R., che si trovava a Lodi per lavoro, veniva trasportato
Peter Fellin
in Ospedale a Civitavecchia, in terapia intensiva, in pericolo
di vita, colpito da una grave polmonite che lo potrebbe portare alla morte, visto che è un trapiantato di cuore.
Dopo due giorni di degenza in Ospedale, viene trasportato al “San Camillo” di Roma con l’elisoccorso, visto che la
situazione sta precipitando.
Immaginate il dolore e la paura di tutti noi, nel pensare
mia sorella lì da sola a Gela con le ragazzine che presto
avrebbero perduto il loro papà.
Io, in quel momento così disperato, mi sono ricordata di
Benedetta e, con le lacrime agli occhi, cominciai a pregare
davanti alla sua immaginetta, supplicandola di salvare R..
Dopo circa un mese, mio cognato si sveglia dal coma farmacologico e comincia a migliorare giorno dopo giorno. Sono
trascorsi due mesi e finalmente mio cognato è guarito. Adesso ci parla pure al telefono, i medici presto lo dimetteranno
e potrà finalmente tornare a casa dalla sua famiglia.
Grazie a Benedetta, Gesù ha guarito Rocco. Le sue preghiere sono state esaudite.
Non finirò mai di ringraziare Benedetta e continuerò a
pregare Gesù per vederla al più presto glorificata.
Grazie Benedetta! Ti voglio tantissimo bene!
Ti ringrazio tantissimo!
Giuseppa P.
Accompagniamo anche con la nostra preghiera il lavoro del
Postulatore, del Vice Postulatore e di tutti coloro che sono
impegnati nella causa per la beatificazione di Benedetta.
Importante è anche la segnalazione di nuove grazie ottenute
con l’intercessione di Benedetta.
Auguriamo a tutti i nostri lettori
un Natale sereno e un Anno Nuovo
ricco di speranza
Preghiera per la glorificazione di
Benedetta Bianchi Porro
Padre nostro, noi ti ringraziamo per averci donato in
Benedetta una cara sorella. Attraverso la gioia e il dolore
di cui hai riempito la sua breve giornata terrena, Tu l’hai
plasmata quale immagine viva del tuo Figlio.
Con Benedetta al nostro fianco ti chiediamo, Padre, di
poterci sentire più vicini a te e ai fratelli, nell’amore, nel
dolore e nella speranza. In una accettazione piena e
incondizionata del tuo disegno.
Fa’ che la sua testimonianza così radicale della potenza
salvifica della croce c’insegni che il dolore è grazia e che la
tua volontà è gioia. Concedi, o Padre, la luce del tuo Spirito
alla Chiesa, affinché possa riconoscere Benedetta fra i
testimoni esemplari del tuo amore. Questa grazia ...... che
per sua intercessione umilmente ti chiedo, possa contribuire
alla glorificazione della tua serva Benedetta. Amen.
con approvazione ecclesiastica
l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78 ■ 31
Prossimi appuntamenti
DoVADoLA – ABBAZIA DI S. ANDREA
DOMENICA 25 GENNAIO 2015 ore 10,30
per il 51º anniversario
della nascita al cielo di
BENEDETTA
Solenne
Concelebrazione
Eucaristica
presieduta da
S. E. Card.
GIUSEPPE VERSALDI
Prefetto degli Affari economici della Santa Sede
con la partecipazione dell’ordinario
S. E. Mons. LINo PIZZI
Vescovo di Forlì-Bertinoro
ore 12,30: pranzo insieme nella casa di accoglienza “Rosa bianca” di Dovadola
«Un giorno
capiremo
il perché
di ogni cosa,
raccoglieremo
cantando,
ora ci
abbandoniamo
nel tuo amore
fedele,
Padre,
come preghiere
in cammino».
BENEDETTA
A
S
I
R
M
I
O
N
E
Nella stanza
di Benedetta
all’Hotel Meridiana
in via Catullo 15,
sarà celebrata il
23 GENNAIO 2015
alle ore 10
una S. Messa
commemorativa
della Venerabile
32 ■ l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78
Foto Amati
L’ annuncio è sostenuto soltanto con le offerte degli Amici.
Un grazie di cuore a tutti i benefattori che, con il loro aiuto e
la loro generosità, ci permettono di continuare la diffusione
del messaggio di Benedetta nel mondo.
I
M
P
O
R
T
A
N
T
E
Chi desidera partecipare al pranzo
di domenica 25 gennaio 2015 alla “Rosa bianca”
è pregato di rivolgersi a “Amici di Benedetta”,
Casella Postale 62, 47013 Dovadola,
o di telefonare a Don Alfeo Costa,
parroco di Dovadola,
0543 934676: tel., fax e segreteria telefonica
entro il 20 gennaio 2015.
Chi avesse bisogno di alloggiare presso la “Rosa Bianca”
è pregato di interpellare direttamente il gestore
Moreno Pretolani telefonando al n. 349 8601818.
In lingua straniera
«BEYOND SILENCE» («Oltre il Silenzio» in inglese) «Amici di Benedetta» Forlì
«MAS ALLA DEL SILENCIO» («Oltre il Silenzio» in spagnolo) «Amigos de Benedetta» Bilbao
«MAS ALLA DEL SILENCIO» («Oltre il Silenzio» in spagnolo) Ed.
Claretiana - Buenos Aires
«AU DELÀ DU SILENCE» («Oltre il Silenzio» in francese) Editions
de l’Escalade - Paris
«UBER DAS SCHWEIGEN HINAUS» («Oltre il Silenzio» in tedesco)
Freundeskreis «Benedetta» - Hamburg
«CUDO ZIVOTA» («Il Volto della Speranza» in croato) a cura di
Srecko Bezic - Split
«OBLICZE NADZIEI» («Il Volto della Speranza» in polacco) Romagrafik - Roma
«ALÉM DO SILÊNCIO» («Oltre il Silenzio» in portoghese) Ed. Loyola - San Paulo
«TRANS LA SILENTIO» («Oltre il Silenzio» in esperanto) Cesena - Fo
«DINCOLO DE TACERE» («Oltre il Silenzio» in rumeno) Chisinau,
Rep. Moldava
«SESSIZLIGIN IÇINDEN» («Oltre il Silenzio» in turco) Iskenderun
«TÙLA CSENDEN» («Oltre il Silenzio» in ungherese) Budapest, 1997
«OLTRE IL SILENZIO» in giapponese - Tokio
«OLTRE IL SILENZIO» in arabo - Beirut
«OLTRE IL SILENZIO» in ebraico
«OLTRE IL SILENZIO» in russo - Bologna
«OLTRE IL SILENZIO» in cinese - Taipei
«OLTRE IL SILENZIO» in maltese - La Valletta
«OLTRE IL SILENZIO» in slovacco - Trnava
«OLTRE IL SILENZIO» in swahili - Nairobi
«BENEDETTA» M.G. Dantoni, opuscoli in inglese, francese, spagnolo,
russo, tedesco, thailandese, ucraino, bulgaro
«BENEDETTA» opuscolo in indonesiano, a cura di Fr. Antonio Carigi
Per conoscere Benedetta
SIATE NELLA GIOIA - Diari, lettere, pensieri di Benedetta Bianchi Porro, a cura e con introduzione di David M. Turoldo - Cesena «Amici di Benedetta» - Villanova del Ghebbo (Ro) - pp. 255.
IL VOLTO DELLA SPERANZA - Note biografiche. Lettere di Benedetta
e lettere di amici a Benedetta. Testimonianze di amici che l’hanno
conosciuta, a cura di Anna Cappelli - Cesena - «Amici di Benedetta» pp. 480.
OLTRE IL SILENZIO - Note biografiche. Diari e lettere di Benedetta.
Lettere degli Amici a Benedetta. Testimonianze di chi l’ha conosciuta, a cura di Anna Cappelli - «Amici di Benedetta» - pp. 168.
TESTIMONE DI RESURREZIONE - Pensieri di Benedetta disposti seguendo il suo itinerario spirituale, a confronto con passi della Sacra Scrittura, presentazione di Enrico Galbiati - Cesena - «Amici di
Benedetta» - pp. 152.
PENSIERI 1961 - Pensieri autografi di Benedetta, tratti dal suo diario Forlì - «Amici di Benedetta» - pp. 180.
PENSIERI 1962 - Pensieri autografi di Benedetta, tratti dal suo diario Ravenna - «Amici di Benedetta» - pp. 200.
BENEDETTA BIANCHI PORRO - I suoi volti - Gli ambienti - I documenti, a
cura di P. Antonino Rosso - «Amici di Benedetta» 2006 - pp. 255.
VIVERE È BELLO - Appunti per una biografia di Benedetta
Bianchi Porro, di Emanuela Ghini, presentazione del Card. A. Ballestrero - Cesena - «Amici di Benedetta» - pp. 200.
BENEDETTA - Sintesi biografica a cura di Maria G. Dantoni - Stilgraf Cesena - pp. 32.
BENEDETTA di Alma Marani - Stilgraf - Cesena - “Amici di Benedetta” pp. 48.
BENEDETTA BIANCHI PORRO di Walter Amaducci - Stilgraf - Cesena,
2012 - pp. 30.
BENEDETTA BIANCHI PORRO di Walter Amaducci - Stilgraf Cesena, 2014 - pp. 30 (in lingua inglese).
BENEDETTA BIANCHI PORRO di Andrea Vena. Biografia autorizzata Ed. S. Paolo - pp. 221.
SCRITTI COMPLETI di Benedetta Bianchi Porro, a cura di Andrea Vena Ed. San Paolo - pp. 815.
ABITARE NEGLI ALTRI - Testimonianze di uomini di oggi su Benedetta, lettere, discorsi, studi, meditazioni - Cesena - «Amici di Benedetta» - pp. 416.
LA STORIA DI BENEDETTA - Narrata ai bambini, di Laura Vestrucci
con illustrazioni di Franco Vignazia - «Amici di Benedetta» - pp. 66.
DIO ESISTE ED È AMORE - Veglia di preghiera sulla vita di Benedetta di Angelo Comastri - «Amici di Benedetta» - pp. 33.
OGGI È LA MIA FESTA - Benedetta Bianchi Porro nel ricordo della madre, di
Carmela Gaini Rebora - Ed. Dehoniane - pp. 144 - Ristampato.
BENEDETTA BIANCHI PORRO - LETTERA VIVENTE - Scritti di
sacerdoti e di religiosi alla luce della parola di Benedetta - Cesena «Amici di Benedetta» - pp. 256.
BENEDETTA O LA PERCEZIONE DELLA GIOIA - Biografia di
Timoty Holme - Gabrielli Editore, Verona - pp. 230.
APPROCCIO TEOLOGICO AL MISTERO DI BENEDETTA BIANCHI
PORRO del Card. Giacomo Biffi - Cesena - «Amici di Benedetta».
BENEDETTA BIANCHI PORRO di Piero Lazzarin, Messaggero di
Sant’Antonio - Padova 2006 - pp. 221.
IL SANTO ROSARIO CON BENEDETTA a cura della Parrocchia di
Dovadola.
L’ANELLO NUZIALE - La spiritualità “sponsale” di Benedetta Bianchi
Porro, di E. Giuseppe Mori, Quinto Fabbri - Ed. Ave, Roma 2004 pp. 107.
CASSETTA REGISTRATA DELLE LETTERE DI BENEDETTA a cura
degli «Amici di Benedetta».
CARO LIBRO - Diario di Benedetta, illustrato con 40 tavole a colori dagli alunni di una IV elementare di Lugo (Ra) con presentazione di
Carlo Carretto e Vittorio Messori - pp. 48 formato 34x49 Ed. Morcelliana.
ERO DI SENTINELLA di Corrado Bianchi Porro. La lettera di Benedetta nascosta in un libro - Ed. S. Paolo.
QUALCHE COSA DI GRANDE di Walter Amaducci - Ed. Stilgraf,
Cesena 2009 - pp. 120.
I DOLCI VOLTI DI DIO di Maria Grazia Bolzoni Rogora - Ed. Stilgraf,
Cesena 2014 - pp. 156.
FILMATO SU BENEDETTA (documentario) in videocassetta.
DVD BENEDETTA BIANCHI PORRO - Testimonianze (filmato in Dvd).
L’ANNUNCIO - semestrale a cura degli «Amici di Benedetta».
LETTERA A NATALINO di Benedetta Bianchi Porro. Illustrazioni di Roberta Bössmann Amati - Ed. Stilgraf Cesena - pp. 24.
BENEDETTA BIANCHI PORRO Un cammino di luce di Piersandro
Vanzan, Prefazione del Card. Angelo Comastri, Editrice Velar, Gorle (BG), 2011 - pp. 48.
QUADERNI DI BENEDETTA 1 - Benedetta Bianchi Porro. Il cammino
verso la luce, di don Divo Barsotti, Fondazione Benedetta Bianchi
Porro e Associazione per Benedetta Bianchi Porro, 2007 - pp. 46.
QUADERNI DI BENEDETTA 2 - Benedetta Bianchi Porro. Dio mi
ama, di Angelo Comastri, Fondazione Benedetta Bianchi Porro e
Associazione per Benedetta Bianchi Porro, 2008.
Postulatore della Causa di Beatificazione Padre GUGLIELMO CAMERA
Missionari Saveriani - Via Angaia, 7 - 48125 S. Pietro in Vincoli (RA)
tel. 0544 551009 - cell. 333 2902646 - e-mail [email protected]
Vice Postulatore della Causa di Beatificazione Don ALFEO COSTA
Via Benedetta Bianchi Porro, 6 - 47013 Dovadola (FC)
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Per comunicare con noi, per richiedere libri o altro materiale potete rivolgervi a:
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