Dicembre - Benedetta Bianchi Porro
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Dicembre - Benedetta Bianchi Porro
AL PORTALETTERE: in caso di mancato recapito inviare all’Ufficio Poste di Cesena-Centro per la restituzione al mittente, che si impegna a pagare la relativa tassa. NOTIZIARIO «AMICI DI BENEDETTA» Anno XXIX - n. 2 - Dicembre 2014 Semestrale - Poste Italiane s.p.a. - Sped. abbon. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2 - DCB di Forlì - Aut. Trib. Forlì n. 18/86 Dir. Resp.: Gianfranco Amati - “Amici di Benedetta” Casella postale n. 62 - 47013 Dovadola (FC) - Amm.: Via Benedetta Bianchi Porro, 4 - Dovadola (FC) Tel. 0543 934676 - c.c.p. 1000159051 - Taxe perçue (tassa riscossa) - Stampa Stilgraf Cesena «Il popolo che camminava nelle tenebre «vide una grande luce; «su coloro che abitavano in terra tenebrosa, «una luce rifulse». (Is 9,1) Corrado Catani, Il buio e la luce, 2014 2 ■ l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78 Pagine di diario a cura di ROBERTA BÖSSMANN Carissimi tutti, • inizio queste pagine di diario con la notizia del 60º di ordinazione sacerdotale di don Alfeo Costa, ripresa il 3 luglio 2014 da «il momento». Un piccolo articolo, corredato da fotografia, ha ricordato che il Sindaco di Dovadola Gabriele Zelli ha consegnato a don Costa l’attestato di Cittadino Benemerito per il servizio svolto a favore della comunità e per l’impegno profuso per la causa di beatificazione di Benedetta. La consegna è avvenuta il 29 giugno, nell’abbazia di Sant’Andrea. Ancora tanti cari auguri al nostro caro don Alfeo e un grazie anche da parte nostra per il suo impegno e la sua fedeltà alla causa di Benedetta. • Sempre su «il momento», il 12 giugno c’era l’articolo Da Dovadola parte il “Cammino di Assisi”, un percorso per pellegrini, lungo 300 km, diviso in 11 tappe a piedi. Il percorso è ormai conosciuto in tutto il mondo e don Costa ha messo dei locali in canonica a disposizione dei pellegrini. Una bella foto del nostro don Alfeo era, sempre quel giorno, su un’altra pagina del periodico in cui veniva ricordato, assieme ad altri confratelli, il suo anniversario di sacerdozio. • Il 12 giugno il gruppo di Amici delle Marche che, bloccato dalla neve non aveva potuto partecipare alla celebrazione di gennaio a Dovadola, e il gruppo di Ostuni hanno partecipato a una santa Messa celebrata dal Card. Comastri davanti alla tomba di Pietro a Roma. Siamo particolarmente grati per questo gesto di squisita amicizia da parte del Cardinale. • Il 31 luglio, un articolo di Giovanni Amati su «il momento» informava sulle celebrazioni a Dovadola dell’8 e 10 agosto per il 78º anniversario della nascita di Benedetta. Ne parlava anche Quinto Cappelli su «Il Resto del Carlino» il 9 agosto. Il 10 agosto «La Voce» riferiva sulle celebrazioni alla Badia di Dovadola per ricordare Benedetta e poi l’indimenticabile Anna Cappelli nel nono anniversario della sua morte. • Dal 6 al 10 settembre, a Moneglia (Genova), si è svolta la mostra “Oggi grazie: 7 Parole e 2 dita. La Passione di Cristo in Benedetta Bianchi Porro”. Alla base della mostra c’è stato un grande lavoro coordinato da don Massimiliano Pendola. Erano esposte delle belle opere di Maria Grazia Rebuzzi, accompagnate da pensieri di Benedetta e di Madre Cànopi. All’inaugurazione Emanuela, sorella di Benedetta, ha portato la sua testimonianza. È stato poi proiettato il film Oggi grazie sulla Venerabile. La giornata inaugurale del 6 settembre ha visto così la celebrazione della Festa della Croce 2014 in modo originale, intelligente, profondamente sentito e partecipato. Un grazie alla Comunità di Moneglia è davvero doveroso. • La stessa Comunità si è poi recata a Dovadola il giorno 23 ottobre per attuare una visita ai luoghi di Benedetta. • Sabato 20 settembre un’interessante mostra fotografica dal titolo “Affettuosamente Benedetta” è stata allestita a Dovadola, da Giulio Sagradini, all’Oratorio di Sant’Antonio. L’Autore ha ripercorso i luoghi di Benedetta attraverso delle belle e significative immagini che evocano ed attualizzano il suo percorso di vita. • Domenica 5 ottobre a Dovadola, il Club “L’inguaribile voglia di vivere”, dopo un pranzo insieme, si è ritrovato alla Badia di Sant’Andrea per un pomeriggio in ricordo di Benedetta. Erano presenti anche il gruppo degli Amici delle Marche e gli Amici Gian Paolo e Nadia di Viareggio. C’è stato un incontro-testimonianza dal titolo: L’amore è un concime che rende fertile ogni terra. Tra gli altri è intervenuta Emanuela Bianchi Porro. La santa Messa, celebrata dal vescovo Mons. Lino Pizzi ha concluso la giornata che prevedeva anche una raccolta di fondi per aiutare Borel, un ragazzo di 14 anni, che necessita di due interventi chirurgici per poter tornare a camminare. Grazie ai soci de “L’inguaribile voglia di vivere” per quanto ci sanno testimoniare con amore, dedizione, impegno concreto e con i loro gesti di solidarietà. Anche Benedetta avrà fatto festa con loro dal cielo. Il club ha anche una bella rivista «Coccinella blu» che, nel numero di giugno, ha dedicato due intere pagine a Benedetta. • Il 12 ottobre l’Associazione “Amici di Benedetta” (Associazione per Benedetta Bianchi Porro - onlus) ha organizzato presso il teatro Diego Fabbri un concerto in ricordo di Benedetta in occasione del cinquantesimo della morte. Daniele Rubboli ha ideato un percorso dal titolo La redenzione nel melodramma italiano affidato alle voci del soprano Maria Simona Cianchi, del tenore Simone Mugnaini, del baritono Carlo Maria Cantoni, con la partecipazione del soprano forlivese Maria Francesca Poggiolini, accompagnati al pianoforte dal maestro Luca Santini. • Sabato 18 ottobre viene inaugurata a Dovadola la mostra d’arte, presso la corte San Ruffillo, organizzata dall’Associazione “Artisti dovadolesi”, dedicata alla Venerabile Benedetta Bianchi Porro in occasione del 50º della morte. All’inaugurazione erano presenti Serena Venturelli, ideatrice dell’esposizione, e il l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78 ■ 3 stesso giorno ha portato, come abbiamo visto, la sua testimonianza a Dovadola a 150 persone circa del Club “L’inguaribile voglia di vivere”. Forlì - Teatro “Diego Fabbri”: i protagonisti del concerto su “La redenzione nel melodramma italiano” (Foto Conficoni) Vice Sindaco Kabir Kanal. Gli artisti Corrado Catani, Iris Casamenti, Emanuela Dall’Agata, Aldo Gurioli, Liliana Lefebre, Foscolo Lombardi, Manuela Mercuriali, Sandra Vaudano, Serena Venturelli, Gabriella Vespignani, Anna Zamparini presentano ciascuno un’opera «per sottolineare le qualità straordinarie di bontà e di accettazione del male che durante la sua breve vita Benedetta ha saputo dimostrare». • Domenica 2 novembre alle ore 18, nella basilica di San Mercuriale (Forlì), si è celebrata la santa Messa dell’Artista, presieduta dall’Abate don A. Gurioli, Benedetta nel suo studio, 2014 Enrico Casadio, nel cinquantesimo anniversario della venerabile Benedetta Bianchi Porro. Durante la celebrazione, in memoria e a suffragio degli Artisti ed Esponenti della cultura forlivesi scomparsi e di tutti i defunti, è stata eseguita la “Cantata su Pensieri di Benedetta” di P. Bonaguri per solisti, coro e orchestra, sui seguenti testi: La sapienza è vedere le cose alla luce di Dio. La pace è Dio nel cuore. La gioia è il volto della pace. Dio dà la croce poi la resurrezione. Un giorno capiremo il perché di ogni cosa. Quando in primavera tutto fiorisce e profuma raccoglierem, cantando all’amore del Padre. Come preghiere in cammino verso il cielo. • Devo ricordare anche i molteplici incontri del 2014 di Emanuela Bianchi Porro che sono davvero tanti. Di alcuni ho già fatto cenno nel numero di maggio de «l’annuncio» o qui sopra, sugli altri vi informo ora. ❉ Il 27 aprile, sempre a Dovadola, era assieme a don Walter Amaducci con la parrocchia di Cesenatico, alla presenza di 80 persone. ❉ Il 17 giugno si è invece recata a Reggio Emilia su invito di don Gabriele della Parrocchia di San Luigi Gonzaga. ❉ Il 4 agosto Manuela era nella Parrocchia di San Giacomo Apostolo, su invito di don Pietro Casadei, nell’ambito degli incontri culturali organizzati dalla parrocchia. ❉ Il 18 settembre a Sirmione parlava su Benedetta a un gruppo di Castiglione Chiavarese. ❉ Il 5 ottobre era a Dovadola con don Mino Flamigni della parrocchia di San Paolo di Forlì, i catechisti, i ragazzi e i loro genitori per parlare di Benedetta. Nel pomeriggio dello • Due belle pubblicazioni sono uscite a Dovadola grazie all’impegno dell’“Associazione Artisti Dovadolesi” e della Presidente Serena Venturelli. Il primo volumetto dal titolo Dovadola e i suoi artisti 2014 presenta le opere esposte a Dovadola sul tema dell’Acqua nell’Oratorio settecentesco di Sant’Antonio. Il secondo testo, Arte per Benedetta, sempre a cura di Serena Venturelli e Nazzareno Giannelli, per l’“Associazione Artisti Dovadolesi” presenta le opere della mostra dedicata quest’anno a Benedetta, in occasione del 50º anniversario della morte. Sono lavori interessanti che cercano di farci comprendere come la venerabile sia “vista” oggi dagli artisti del luogo e come il suo messaggio di luce e di speranza sia sempre attuale e fonte d’ispirazione. Tra gli artisti vi sono persone che hanno conosciuto Benedetta, altre che ne hanno sentito parlare in famiglia o in paese, altre ancora che l’hanno avvicinata soltanto attraverso i suoi scritti. Per tutti è stata ed è motivo di stupore, uno stupore che gli artisti hanno voluto rappresentare nei loro lavori. C’è chi l’ha dipinta tra i petali di una rosa, chi si è ispirato a una fotografia, chi ha rappresentato un ambiente o soltanto una luce che scaturisce da un tunnel. Quasi tutti i lavori trasmettono una sensazione di pace che prende il sopravvento sulla sofferenza e sul dolore. La seconda parte del libro presenta poi artisti presenti nel museo dedicato a Benedetta e artisti che hanno donato qualche lavoro in sua memoria. Troviamo a Dovadola opere di Annigoni, Berti, Fazzini, Messina, Tommasi, Angelo Ranzi, Franca Mettica, Tonino Valmori, Romano Stefanelli, Bruno Innocenti, Aldo Gurioli, Bunaza (Lino Battistini), Francesco Bagnulo e Angelo Biancini che ha scolpito il sarcofago di Benedetta su commissione della famiglia Bianchi Porro. • Sul settimanale «La Madonna di Lourdes», n. 57 pubblicato dall’editore Hachette, troviamo un bell’articolo biografico su Benedetta dal titolo: Una rosa bianca fuori stagione (pp. 11-14). • Anche questa volta le notizie sono tante. Ringrazio tutti coloro che hanno collaborato alla realizzazione di questo numero con i loro contributi. Gli affezionati amici di Ascoli, guidati da Padre Paolo Castaldo, hanno preparato, con l’apporto determiContinua a pag. 4 4 ■ l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78 Continua da pag. 3 nante di Rossana, le quattro pagine dell’inserto centrale staccabile di questo numero de «l’annuncio»: è un sussidio utile per presentare Benedetta ai bambini. Ricordo anche con affetto e riconoscenza gli altri gruppi che operano, anche nel silenzio e con fedeltà, per pregare, studiare e meditare con riferimento a Benedetta. Mi vengono in mente gli Amici di Ostuni, che hanno seguito un ricco programma; quelli marchigiani, attorno a Graziella, sempre fedeli e attenti a Benedetta; gli Amici di Sirmione, sempre attivi e propositivi, e tutti gli altri Amici che sono come tante piccole luci di speranza che si accendono nel mondo. Voglio poi ricordare chi ci segue nella preghiera, soprattutto chi vive nella sofferenza e pure ci resta vicino con un pensiero, una poesia, uno scampolo di spiritualità che Benedetta ispira. Non tutto trova spazio in queste pagine, ma nulla va perduto. Ringrazio con affetto tutte queste persone. Un abbraccio e un caro augurio di un Natale ricco della gioia del Signore. Benedetta in Internet a cura di Gianfranco A. Nuova veste per www.benedetta.it • Dopo un lungo lavoro di aggiornamento ecco come si presenta il nostro sito www.benedetta.it/. Può essere uno strumento molto utile per conoscere Benedetta ed anche per presentarla in occasione di qualche incontro. Scritti e materiali audio-video significativi sono reperibili nelle varie sezioni che vi invitiamo a scoprire. Date anche un’occhiata alla nuova sezione in lingua inglese. Buona esplorazione dunque e tante grazie a Claudia e a coloro che hanno reso possibile questo aggiornamento! • Pier Giuseppe Campana ci segnala http://it-it.facebook.com/Rosario.Benedetta/info/. È un pagina su facebook dedicata al gruppo che recita il “Rosario con Benedetta” tutti i lunedì sera alle ore 21.00 nell’Abbazia di Sant’Andrea a Dovadola. PAPA PAOLO VI BEATO 19 ottobre 2014 «In questo giorno della beatificazione di Papa Paolo VI mi ritornano alla mente le sue parole, con le quali istituiva il Sinodo dei Vescovi: «scrutando attentamente i segni dei tempi, cerchiamo di adattare le vie ed i metodi... alle accresciute necessità dei nostri giorni ed alle mutate condizioni della società» (Lett. ap. Motu proprio Apostolica sollicitudo). Nei confronti di questo grande Papa, di questo coraggioso cristiano, di questo instancabile apostolo, davanti a Dio oggi non possiamo che dire una parola tanto semplice o sincera ed importante: grazie! Grazie nostro caro e amato Papa Paolo VI! Grazie per la tua umile e profetica testimonianza di amore a Cristo e alla sua Chiesa!». PAPA FrANCESCO l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78 ■ 5 LA NASCITA DI UN LIBRO All’anagrafe è Mariagrazia Bolzoni Rogora, ma lei preferisce scrivere Maria Grazia. È l’amica di Benedetta, sua compagna di studi all’università, nota anche per aver promosso la raccolta delle sue lettere, pubblicate, su iniziativa della famiglia, in un volume apparso con il profilo spirituale redatto da Padre Turoldo. Data anche la caratteristica di puntuale raccoglitrice di notizie e di dati, da “commissario di polizia”, così le dicevamo scherzosamente, abbiamo chiesto a Maria Grazia di scrivere il suo percorso di vita, in cui Benedetta ha svolto e svolge ancora un ruolo importante. Ci sembrava molto significativo far emergere, almeno un poco, il contesto di vita in cui si svolgevano la fitta corrispondenza e gli incontri con l’amica. Dopo molte insistenze e dopo esitazioni, dovute a qualche forma di timidezza, quando affioravano tracce di amori o di simpatie giovanili, provate a pensare ai dialoghi tra Agnese e Perpetua nei Promessi sposi, Maria Grazia ha finalmente scritto. È nata così una storia in cui l’autrice ripercorre dalla nascita, cosa ovvia per lei, un lungo tratto della propria vita, rivelando generosità, attenzione verso i sofferenti, talvolta irruenza, e anche un’altra caratteristica non secondaria. Benedetta la espresse in un incontro dell’estate 1963 con Maria Grazia e con un amico, Umberto, che l’accompagnava. A fatica, a causa della parziale paralisi facciale, gli rivolse alcune parole. Maria Grazia, abituata ad ascoltarla, le comprese benissimo, ma non le ripeté all’amico per non sembrare immodesta. Benedetta disse: “Maria Grazia è fedele”. Aveva ragione, non solo in quella circostanza, ma perchè esprimeva il rapporto che Maria Grazia aveva ed ha ancora oggi con lei. Ma c’è molto di più in questo libro. Roberta aiuta a scoprirlo nella breve presentazione del volume. Gianfranco Amati I dolci volti di Dio N on è da tutti ritrovarsi a 70 anni, ripercorrere la propria vita e accorgersi, immagine dopo immagine, che tutto ciò che è avvenuto aveva un preciso disegno, il disegno di Dio, tracciato per noi e solo per noi. È un disegno che comprende anche tutte le persone che in una vita abbiamo conosciuto o solo sfiorato in un incontro mancato, tutti i luoghi che sono stati il paesaggio davanti al quale i tratti del disegno hanno preso forma e colore. Sì, sono pennellate di colore quelle che Maria Grazia ci regala attraverso queste pagine che sono diventate dono. Un dono per tutti coloro che vorranno accostarsi a questo piccolo libro scritto per rendere grazie alla vita, in tutti i suoi aspetti. C’è poesia in queste pagine di Maria Grazia. C’è capacità di sorridere ai piccoli “grandi” poblemi che l’esistenza ci chiede di affrontare; c’è tanto amore verso coloro che Dio le ha messo accanto lungo il cammino, e poi c’è Dio stesso, che tesse la tela con la trama e l’ordito se gli permettiamo di farlo. “Dio è dove lo si lascia entrare”, dice Martin Buber, uno dei grandi profeti dell’ebraismo del 20º secolo. Maria Grazia ha aperto la porta della sua vita e ha fatto entrare Dio. Lui ne ha approfittato dolcemente e le ha permesso di vivere i suoi giorni in piena libertà, riuscendo a non farle rompere mai il filo invisibile che da sempre la lega a Lui. Ogni conoscente, ogni incontro diventano così il luogo dell’incontro con Dio e ciascuno viene valorizzato da questo filo invisibile che rende tutto “giusto e buono” e tutto degno di essere vissuto nella pienezza dell’amore. Grazie, Maria Grazia, per averci fatto partecipi della tua vita, scoperta con gli occhi di bambina prima, di giovane che si apre all’amore poi; delle tue amiche, di Nicoletta e di Benedetta, della bella amicizia che vi ha legate per sempre l’una all’altra, di Anna Cappelli, che nessuno può dimenticare, di Mario, tuo marito, che con dolcezza ti sta accanto da tanto tempo. Roberta Bössmann * Pubblicato dall’Editrice Stilgraf, Cesena, I dolci volti di Dio può essere richiesto al nostro indirizzo. 6 ■ l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78 Dovadola, 8 agosto 2014 Celebrazione eucaristica OMELIA DI PADRE PAOLO CASTALDO volezza, con la fragilità, con la paura di quello che ci attende; eppure, in questa Eucarestia, il Signore vuol farci dono della sua grazia, non solo di credere ma anche di soffrire per Lui. Sia lodato Gesù Cristo. Non dovrei mai stupirmi di credere che la liturgia la fa il Signore. Questa sera veramente mi stupisce il Signore: innanzitutto le parole di Marino che non riusciva a trovare un brano sul libro e allora ha fatto “a braccio” e ha colto proprio nel segno con la sua spiegazione del Sì di Maria, così conforme con il messaggio che la liturgia vuol darci stasera perché «Chi vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua». Dire il Sì, rinnovare oggi il proprio Sì a questo invito di Gesù… ci vuole la grazia e Maria è la grazia. Infatti, anche il canto al Vangelo lo ripete: «A voi è stata data la grazia»; ricordiamoci, la grazia non è una parola comune, ma è il dono sostanziale, personale dello Spirito Santo in noi. Senza la grazia il cristianesimo non esiste, non sarebbe quello che è; è la grazia che ci sostiene, è la grazia che ci libera dalla nostra inerzia, è l’amore di Dio infuso nei nostri cuori. Sentite quello che dice San Paolo, che poi è il canto al Vangelo che spiega lo stesso Vangelo: «A voi è stata data la grazia non solo di credere in Cristo [è bello credere in Cristo, ma c’è una grazia che si aggiunge a questa] ma la grazia di soffrire per lui». E guardate, certe volte ci possiamo avvicinare, accostare alla Santa Messa proprio con la consape- Vedete, Gesù dirà oggi, e Benedetta spesso rifletteva su queste parole: «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda ogni giorno la sua croce e mi segua»; e poi: «Cosa potrà dare l’uomo in cambio della propria anima, e se perde la propria anima, cosa avrà in cambio?». Benedetta spesso rifletteva su questo tratto di Vangelo. Lo sappiamo anche da una lettera che per noi è diventata un canto, ed è questo: «Forse che il fine della vita è vivere? Forse che i figli di Dio resteranno con fermi piedi su questa miserabile terra? Non vivere, ma morire, e non digrossare la Croce, ma salirvi, e dare in letizia ciò che abbiamo. Qui sta la gioia, la libertà, la grazia, la giovinezza eterna! Che vale il mondo rispetto alla vita, e che vale la vita se non per esser donata? E perché tormentarsi tanto quando è così semplice obbedire?», e dire il nostro Sì come Maria, come Benedetta. Sapete, sono tanti anni che vengo qui, con i miei amici, i miei fratelli, ma qualche volta sono venuto anche da solo perché magari vivevo momenti in cui facevo fatica a ripetere il mio Sì e vi assicuro che ogni volta, lì accanto a Benedetta, dentro questa chiesa, indugiando nella preghiera, improvvisamente suonava l’Angelus che ricorda l’annuncio a Maria e mi ritrovavo di nuovo capace di dire il mio Sì. Quante volte mi è successo in venti, trenta anni, quante volte mi è successo di venire qui debilitato, im- paurito, tremante, e tornavo al mio paese con la forza, con la pace, con più serenità. Venire qui era come andare da Maria, come andare a Lourdes. Quest’anno sono tornato a Lourdes e anche Benedetta è andata a Lourdes due volte, nel ’62 e nel ’63. Nella prima volta ci fu un miracolo, ad una giovane accanto a lei; la seconda volta avvenne un miracolo a Benedetta; che tipo di miracolo? Era il ’63, era diventata da poco cieca, nel ’64 entrerà nella vita eterna; ce lo dice la stessa Benedetta nella lettera a Paola del 5 luglio ’63: «Cara Paola, eccomi a casa, meno stanca ma con tanta nostalgia nel cuore per quel meraviglioso viaggio di Lourdes; dalla città della Madonna [e io direi dal paese di Benedetta, vedete l’analogia] si ritorna nuovamente capaci di lottare, ma [attenzione qui] con più dolcezza, pazienza e serenità». Noi a volte lottiamo, tutti lottiamo, ma quante volte si arriva al punto che, quando non è proprio una disfatta, continuiamo a lottare avendo però perso la nostra dolcezza, la pazienza, la serenità. Vedete, c’è un brano, nella Bibbia, dell’Apocalisse dei sinottici (di Luca o Matteo) che dice: «In quel tempo, per il dilagare dell’iniquità che c’è nel mondo, in molti si raffredderà la carità». Che significa? Che arrivano dei tempi, delle epoche storiche, e noi potremo essere in questo tempo, ma anche delle epoche dell’anima, personali, nelle quali per il dilagare dell’iniquità, cioè del male che c’è intorno a noi, morale, fisico, mettiamoci tutto quello che volete, si raffredderà la carità, in molti si potrà raffreddare la carità. Sapete qual è la tragedia del cristiano? La tragedia del cristiano è proprio questa: che si raffreddi la carità. Magari lotto ma non c’è più la serenità, magari lotto ma non c’è più la vera pazienza, perché, ricordate come dice San Paolo, la carità è paziente, è benigna, non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non gode dell’ingiustizia ma si compiace della verità; tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. Quante volte mi è successo di pensare “eh no, non posso più sperare nella redenzione di quella persona, che possa cambiare”… ecco, ho perduto la carità. Quando io dico “non c’è più posto in me per quella persona nel mio cuore, me ne ha fatte troppe”, ho perduto la carità; è il momento più doloroso, non solo per colui che mi sta di fronte, ma per me, per la mia anima. A Lourdes, e qui accanto a Benedetta, si ritorna di nuovo capaci di lottare con più dolcezza, pazienza e serenità. Attenzione, questa affermazione che sto dicendo, vorrei che diventasse oggi la nostra preghiera; tra poco riceviamo l’Eucarestia e vorrei che oltre alle preghiere che diciamo formalmente, ci fosse una preghiera oggi: «Signore, fa’ che io possa tornare a casa capace di lottare con più dolcezza, pazienza e serenità, che possa tornare veramente riacceso nella carità. Rimedia tu, Signore, dal bene che ancora purtroppo non ho fatto, dalle omissioni che ho compiuto. Fa’ che tornando io possa riprendere a lottare»; ed è proprio l’Eucarestia che può darci questo; Maria che ci spinge a questo col suo Sì… e Benedetta. Immaginate quello che poteva essere la vita di Benedetta specialmente gli ultimi mesi: era un lottare continuo per essere dolce, pa- l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78 ■ 7 ziente, serena. Ecco, chiediamolo. E poi dice: «Ed io mi sono accorta, più che mai, della ricchezza del mio stato». Sarebbe bello per noi che siamo arrivati qui, magari con il presentimento di essere quasi da rottamare, “Signore sono un rottame”, scoprire invece che in effetti il nostro stato attuale è ricco, è ricco della grazia del Signore che ci permette di offrire con dolcezza, pazienza e serenità le nostre giornate al Signore. Questo è importante. Ecco, allora io vorrei che in questa Eucarestia si facesse una richiesta accorata, per intercessione della venerabile Benedetta, della Vergine Maria, che questa Eucarestia sia per noi un ritornare in pace, e continuare a lottare con più dolcezza, pazienza e serenità. E concludo, un testimone della fede, Enrico Medi, scriveva: «Le grazie che per Benedetta il Signore concede» [ecco ritorniamo alla grazia, ricordiamo che esiste la grazia, senza la grazia dello Spirito Santo noi siamo veramente da compiangere, ma con la grazia dello Spirito Santo noi possiamo veramente raggiungere la piena maturità in Cristo], parlo nella mia esperienza, entrano in punta di piedi, come gli amici che andavano a trovarla nel suo letto di dolore. [È vero: le grazie che il Signore ci concede attraverso Benedetta entrano in punta di piedi, magari torno a casa e mi dico “ma guarda co- me sono cambiato”]. Esse non fanno rumore. Se non si sta attenti non ci si accorge neppure che sono delle grazie; sono prodigi essenziali per la nostra povera vita, concatenati l’uno all’altro come una paziente tessitura d’amore, al tempo giusto e al posto esatto; vi è una commovente continuità in questa catena di grazia che assomiglia al ritmo di un respiro». Ecco, Benedetta intercede per noi presso il Signore per queste grazie, quelle che forse possono sembrare meno appariscenti ma più essenziali, perché attraverso queste grazie Dio concatena una paziente tessitura d’amore al tempo giusto e al posto esatto, al tempo giusto e al posto esatto. Ecco, vorrei ri- A Dovadola da Benedetta Sono sotto lo stesso tuo soffitto, questo Cielo di eterna bellezza, che ruba gli sguardi nella certezza dell’Infinito. Questo Cielo di sole raggiante, che non ti offende mai con la sua lontananza; solo qualche volta strizza l’occhio e si vergogna, e si copre la faccia con le nuvole. Questo Cielo che, affacciato tra gli alberi, a volte te la restituisce un’occhiata, brillante di luna, regalandoti il sussulto, per una stella d’agosto che cade, di voci calde e piane nel rosario di ogni sera recitato a testa in su. Non si è mai ciechi quando si guarda il Cielo, quando si rimira fin d’ora quella che sarà la nostra sola e vera Patria, come a cercarvi quel Posto che ci è Promesso. Sono tra le stesse tue pareti, queste pareti che fermano ancora tutto all’atmosfera polverosa di altri tempi e altre usanze, di parole antiche e sempre attuali, di gesta sconosciute e drammatiche, di memorie semplici e toccanti. Queste pareti che profumano del mistero di un’amicizia che vive e si rinnova in una presenza celata, silenziosa e potente. Queste pareti che, prese in prestito alla pace di una chiesa, abbracciano il letto rifatto di gioia e di bianca rosa, di un’anima consumata e fedele, che riposa un po’ qui, e anche un po’ là, accanto a Lui. E non c’è chiasso e non c’è clamore. Solo il silenzio, intorno, di una stanca estate in un paesino che sonnecchia all’ora media cullato da braccia di verdi colline, e mi lascia immaginare, mentre dondolo i piedi nell’acqua del suo fiume, sbirciata da papere indiscrete e dal guardingo avanzare: petere un pensiero di Milosz che diceva: «Tutto è dove deve essere, e tutto va dove deve andare, al luogo assegnato da una sapienza che, il Cielo sia lodato, non è la nostra». Se avessimo questa pazienza e questa fede nel credere in tutto ciò! Ed il Signore è così buono che magari ci dà anche qualche segno esterno di questa grazia che ci comunica continuamente. Ecco, oggi preghiamo per tutti, per rinnovare con Benedetta, con Maria, il nostro Sì al Signore, un Sì importante che permette l’irruzione di Cristo nella nostra esistenza. [Testo dalla registrazione dell’omelia, non rivisto dall’Autore. Ringraziamo l’amica Rossana per la trascrizione]. Rossana Castelli ci regala questa composizione liberamente ispirata al disegno, che qui riproponiamo. È di Marino della piccola Carovana di Gesù. Grazie a Rossana e grazie a Marino! chissà se anche tu, Benedetta, ti bagnavi i piedi in quest’acqua… Siamo nella stessa stanza io e te, Benedetta, oggi come allora, tra soffitto e pareti di azzurro Cielo, di profumati fiori, di nobile e leggiadro Creato, tra nuvole di Croci e certa brezza amica. E tu che in alto aleggi come farfalla… Stanza di dolore e di morte? No, stanza di Vita e d’Amore. Stanza di ricordi accartocciati e di prospettive inaspettate. Stanza di umana miseria e di sublime consolazione. Stanza di pauroso silenzio e di loquace conforto. Stanza di faticoso deserto e di provvidente approdo. Stanza di inutile solitudine e di dolce compagnia. Stanza di delusa impotenza e di insolito coraggio. Stanza di pesante buio e di luminoso cammino. Stanza di rinnovata sofferenza e di fiducioso abbandono. Stanza di sogni spezzati e di serena SPERANZA! Rossana 8 ■ l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78 L’amicizia di Anna Cappelli Chi ha conosciuto bene Anna Maria Cappelli, la nostra Anna, dice che lei aveva paura della malattia. E Anna ha incontrato Benedetta che ha vissuto la malattia nel senso, potremmo dire, più radicale, perché il male l’ha privata progressivamente di funzioni sensoriali e motorie, fino alla paralisi quasi totale. Che Benedetta riuscisse a trovare nella sua situazione anche la gioia e ad occuparsi con totale partecipazione alle vicende piccole e grandi di coloro che incontrava è straordinario. Anna fu così rassicurata interiormente, probabilmente anche rispetto alle sue paure. E la gioia che, grazie a Dio, Benedetta riuscì a trasmetterle, segnò la sua scelta di vita: farla conoscere. Ci riuscì nel modo profeticamente intuito da mons. Scaccini che disse ad Anna che avrebbe fatto conoscere Benedetta in tutto il mondo. Così infatti avvenne. Pensiamo che la chiave dello straordinario successo comunicativo di Anna sia costituita dalla centralità dell’amicizia. Anna lo imparò, come abbiamo accennato, da Benedetta stessa. Cosa significa amicizia? Dare innanzitutto spazio agli altri nel proprio cuore, con amore disinteressato. Non si finirà mai di chiosare il pensiero di Benedetta, che trova nel Vangelo la sua radice, La carità è abitare negli altri. “Abitare negli altri” è possibile soltanto se non viviamo come se fossimo davanti a uno specchio in cui noi vediamo soltanto noi stessi, mentre gli altri servono soltanto per dirci quanto siamo bravi, caritatevoli e così via, in una continua celebrazione del nostro narcisismo, che ha sempre bisogno di essere alimentato dagli altri. Ecco perché il card. Comastri non manca di sottolineare l’importanza dell’umiltà, nel mettere al centro di noi stessi il Signore. Anche Benedetta lo fece e trovò la sua pace e la straordinaria capacità di stare vicino agli altri: «Sono lenta nelle preghiere e nei colloqui e mi offro ugualmente così con umiltà. Lui, che è in me, mi guiderà a Sua Volontà, fino in fondo» (a P. Gabriele Casolari, 14 agosto 1963). Anna fece suo questo atteggiamento di umiltà che fece fiorire l’amicizia. Anna la testimoniò nell’ascolto delle persone, nell’aprire la sua casa a tanti amici, nel dedicare tempo, tanto tempo, ai problemi che le venivano confidati, nell’aiutare anche economicamente, con suo personale sacrificio, persone in difficoltà o impegnate ad assistere i più poveri, da Annalena Tonelli a Suor Magda, “missionaria felice”. Tutto questo fece Anna in modo costante, instancabilmente, sostenuta com’era da un ideale e dall’esempio di Benedetta. Le persone con cui condivideva l’amicizia si sentivano profondamente accolte ed erano quasi naturalmente indotte ad aiutarla nel suo apostolato e stimolate a mettere a disposizione risorse economiche, tempo e creatività. E così nacquero gruppi di amici nel mondo, proposte e traduzioni del fondamentale Oltre il silenzio, i viaggi con pesanti valigie da Ostuni a Dovadola delle amiche che portavano i materiali per i mercatini. L’elenco potrebbe proseguire. Con queste premesse, non c’è da stupirsi che l’Associazione “Amici di Benedetta” ebbe come prima finalità, nello statuto del 1976, redatto con l’apporto essenziale di Anna: «vivere il dono dell’amicizia in Cristo come soprannaturale ricchezza e come “ineffabile legame” che unisce nel nome di Benedetta». Non c’è da stupirsi che un’anziana amica abbia fatto mettere, dalla Sicilia, due mazzi di fiori sul sarcofago di Benedetta nella Badia di Dovadola il giorno anniversario della morte di Anna. Non c’è nemmeno da stupirsi che don Alfeo Costa, al termine della Messa di suffragio del 9 agosto 2014, con l’abituale schiettezza abbia detto: «Benedetta sarebbe indubbiamente in paradiso senza Anna, mentre noi, senza Anna, non saremmo oggi riuniti qui». Don Costa conferma la profezia di mons. Scaccini. A noi resta il messaggio di umiltà e amicizia di Anna, necessario per far conoscere Benedetta a noi stessi e agli altri. Gianfranco l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78 ■ 9 A Dovadola con mons. Lino Pizzi Da gennaio 2014 tutti i mesi hanno visto a Dovadola e Forlì un susseguirsi di manifestazioni per il 50º della salita al cielo della Venerabile Benedetta. Con esse la Diocesi ha concentrato in un certo modo la sua vita pastorale attorno alla sua grande figura. Il Vescovo ha in un certo senso mobilitato la Diocesi perché Benedetta fosse meglio conosciuta proprio dove è nata e dove è vissuta per metà della sua vita. Sono nate così molte iniziative sul piano liturgico-pastorale, editoriale, culturale, con una complessiva animazione del territorio. Da esse potremo attingere con frutto idee e riflessioni. Ne renderemo partecipi i lettori. La celebrazione del 10 agosto a Dovadola, preceduta dalle liturgie eucaristiche dell’8, contemporanea a Sirmione, e del 9 a Dovadola, in suffragio di Anna Cappelli, ha avuto allora, in un certo modo, un carattere intimo e familiare, incastonata tra gli eventi precedenti e le successive iniziative. Il momento centrale, come sempre è stata la santa Messa nella Badia di Dovadola, presieduta dal vescovo di Forlì-Bertinoro Mons. Lino Pizzi. Nella sua omelia, incentrata sull’episodio della tempesta sedata (Mt 14, 22-23), anche Benedetta «per le sue condizioni fisiche, per le limitazioni progressive, per la malattia e così via è stato un mare agitato, ma ha riconosciuto la presenza del Signore. È stata serena, è stata tranquilla proprio perché diceva: “Il Signore mi è vicino, il Signore non mi abbandona. Lo so che è con me”. Questa è fede». E così l’esempio di Benedetta diventa un segno per tutti. Al termine della santa Messa si è svolta la preghiera attorno al sarcofago di Benedetta (vedi foto). L’incontro poi degli amici sul sagrato e il pranzo alla “Rosa bianca” hanno completato la giornata. A lezione con Benedetta Per conoscere Benedetta è sempre importante ascoltare chi l’ha conosciuta direttamente. Questa volta, a Dovadola, abbiamo incontrato Zelinda Monti Giannelli, che ha superato gli “anta”. Non vi diciamo quali, ma sono veramente tanti. Lucidissima nel suo eloquio e nei ricordi, ci racconta ambientando il suo racconto durante l’ultimo periodo della seconda guerra mondiale: «Dopo il passaggio del fronte mi ero diplomata come maestra della scuola materna ed ho cominciato a dare lezione durante le vacanze a bambini della scuola elementare. Ne avevo raccolto una trentina. Venivano il pomeriggio in via Guido Guerra dove abitavo. Nella mia ampia cucina c’era un tavolo grande che veniva allungato e i bambini facevano i compiti. Benedetta veniva a fare i compiti La signora Zelinda Monti Giannelli [pensiamo nell’estate del 1945; NdR] con le sue cugine di Roma. Venivano da sole a lezione, allegre. Allora non c’era pericolo. Si mettevano con le seggioline attorno al tavolo. Era vispa, intelligente, vivace». Quando la vicenda di Benedetta è diventata più nota, ha sempre seguito le vicende della sua antica allieva. Ricorda Anna Cappelli e conserva con molta cura tutti i numeri de «l’annuncio». Ricorda anche un episodio legato alla traslazione di Benedetta dal cimitero di Dovadola alla Badia il 22 marzo 1969: «Quando ci fu la traslazione, mio figlio Carlo, con don Aldo Bandini, aiutò il muratore a mettere Benedetta nel sarcofago». La signora Zelinda non abita più in via Guido Guerra, ma il tavolo su cui Benedetta si appoggiò per fare i compiti è ancora lì, nella nuova cucina (vedi foto). Non è una reliquia, ma è un’occasione per ricordare quella bambina. G. 10 ■ l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78 Stare con loro di ARIANO BACCARINI Ariano Baccarini è un diacono permanente che dal 2006 incontra ammalati e loro familiari all’Hospice di Dovadola intitolato, da alcuni anni, a Benedetta Bianchi Porro. Ci dona alcuni flash di questi incontri in cui Benedetta sembra dare un po’ di luce a solitudini e paure dei suoi assistiti. Ariano Baccarini La solitudine • Entro nella stanza dell’Hospice dove una signora anziana è ricoverata da alcune settimane. È molto grave, spesso sola e assopita. Oggi è sveglia, risponde al mio saluto, mi chino verso di lei; mi dice con voce debole ma comprensibile: «La vita è brutta quando si è soli». Rimango sgomento, cerco di balbettare qualcosa di positivo, lei mi guarda con occhi sgranati e poi non mi risponde più, non vuole parlare: mi ha consegnato il suo messaggio estremo di solitudine. L’ho rivista ancora qualche volta, sempre assopita, finché ha lasciato questo mondo. La vita è brutta, è triste quando si è soli, quando non instauriamo relazioni significative, quando non possiamo condividere le gioie e i dolori della nostra esistenza. Quante solitudini attorno a noi causate dalla malattia, dall’anzianità, dalla disabilità, dall’essere soli fisicamente o presso Case di Riposo, dall’essere stranieri non sempre accettati e accolti... Carità • «La carità è abitare negli altri». Questo pensiero di Benedetta ci indica una via concreta nel nostro rapporto con gli altri. La carità non è un gesto sporadico per acquietarci la coscienza, ma uno “stile di vita” che trasforma ed informa il nostro essere e il nostro agire. Come cristiani, cioè seguaci di Gesù Cristo che ci ha amato fi- no a dare la vita per noi, non possiamo sentirci tranquilli o neutrali di fronte alla persona sofferente, sola, emarginata. L’altro che soffre non è uno fra tanti ma è mio fratello che mi interpella con la sua presenza e il suo bisogno. È il fratelloprossimo che incontro, bisognoso del mio aiuto, come il malcapitato ferito, soccorso dal buon samaritano. Dio vuole abbracciare tutti i suoi figli, specialmente chi soffre, e ci chiede di poterlo fare concretamente attraverso di noi. Possiamo essere noi le braccia di Dio, il cuore di Dio. È bellissimo e dà gioia profonda scoprirsi figli di Dio ma questo comporta anche scoprirsi continuamente fratelli fra noi, chiamati ad un amore vicendevole. «La carità è abitare negli altri», è sentire nella mia carne la sofferenza, la solitudine, la richiesta d’aiuto dell’altro. E allora freno il mio egoismo e mi tuffo nell’avventura della carità. Il senso della vita • «La vita è una fregatura!»: questa frase è rimbalzata tante volte da malati e loro familiari, anche cristiani, in questi anni. Mi dà tristezza e sofferenza questa affermazione che sembra porre un sigillo negativo ad un’esistenza che ormai volge al termine. Malati stremati dalla malattia che nonostante una vita piena di lavoro, di impegni, di affetti familiari, di fronte all’epilogo finale sentono azzerati tutti i valori umani e si ritrovano in un buio totale. Familiari, anche di persone molto anziane, che non accettano la morte del loro congiunto e se la prendono con Dio, con la crudeltà della vita che ci tradi- sce. La malattia e la morte sembrano annullare completamente il valore e lo spessore della vita umana. • «Io penso che cosa meravigliosa è la vita (anche nei suoi aspetti più terribili) e la mia anima è piena di gratitudine e di amore verso Dio per questo». Parole scandalose queste di Benedetta che rovesciano completamente un modo di pensare molto diffuso. È lo scandalo del Vangelo, di Gesù Cristo che è venuto per dirci che siamo figli di Dio, per salvarci da ogni male, per essere il Dio con noi, per sempre. «Ecco io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo». L’uomo ha bisogno di Dio, è fatto per Dio, solo Dio riempie il suo cuore e dà consistenza e valore a tutti gli aspetti della vita umana. Senza Dio, giunti alla sera della vita, tutto precipita in un tunnel oscuro; con Dio, riconosciuto come datore di vita e presenza salvifica, tutto viene conservato, purificato, trasfigurato (anche gli aspetti più terribili della vita). La morte - L’eternità • Verso la fine del 2013 ho avuto la grazia di incontrare una persona straordinaria di 80 anni, con la quale si è instaurato da subito un rapporto di fiducia e amicizia fraterna. Lo chiamerò Amico. Amico, conscio della gravità della sua malattia ma amante della vita e desideroso di vivere, esternava così i suoi sentimenti: «Voglio vivere, amo la vita, non voglio morire!». È il grido dell’uomo che non accetta la sua finitudine, che ha sete di vita e vorrebbe sconfiggere la morte. Quante volte ho sentito quest’angoscia prorompere dal cuore di tanti fratelli! • «Non muoio, ma entro nella vita», sono le parole di Santa Teresa di Lisieux incise sul sarcofago di Benedetta; parole che riassumono la vita di Benedetta con il suo anelito di eternità, desiderio di Dio, certezza che niente va perduto della nostra esistenza, consapevolezza che la vita è una marcia verso il cielo, la nostra sola e vera patria. È la risposta cristiana nella lotta immane contro la morte; è la vittoria di Gesù Cristo che con la sua morte e resurrezione ha definitivamente sconfitto l’ultima nemica dell’umanità, la morte, per riammetterci nella pienezza della vita di figli di Dio, nell’eternità dove vedremo Dio “faccia a faccia”. Amico credeva in Dio, era conscio della sua povertà creaturale, si abbandonava fiducioso alla misericordia di Dio perché diceva (in dialetto): «Da me il Signore ha poco da prendere sù». Abbiamo pregato insieme, ha ricevuto i sacramenti, ha accettato il suo declino pensando serenamente alla morte: «Pensa che vedrò il Signore faccia a faccia e questo deve essere bellissimo!». E mi ha lasciato un saluto straordinario: «Quando sarò in Paradiso pregherò per te, perché un giorno possiamo ritrovarci». Chiediamo a Benedetta che ha amato tanto la vita, ha amato tanto Dio, ha amato tanto gli altri fino a dimenticare se stessa, che ci aiuti con la sua preghiera a sentire la nostra vita come il dono più grande che Dio ci ha fatto e la consapevolezza che se sapremo donarci agli altri, avremo la pienezza della vita adesso e per l’eternità. l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78 ■ 11 A SIRMIONE Fa bella mostra “Cinquant’anni con Benedetta” di MAURIZIO TOSCANO I festeggiamenti del 50° della morte di Benedetta si sono conclusi a Sirmione con una mostra nella prestigiosa cornice di Palazzo Callas, nel cuore della cittadina termale, dal titolo “Cinquant’anni con Benedetta. Foto, ricordi, immagini della Venerabile Benedetta Bianchi Porro”. Precedentemente, lo ricordiamo, la locale Associazione Amici per Benedetta Bianchi Porro aveva allestito la sera dell’8 marzo al PalaCreBerg (il palazzo congressuale di Sirmione) il tradizionale Concerto di Primavera. La rassegna espositiva, inaugurata davanti alle autorità locali, è stata inaugurata il 18 ottobre per poi concludersi il 2 novembre. Due settimane in cui sono stati molti i visitatori che hanno fatto il loro ingresso nelle sale dello storico palazzo sirmionese, dove erano stati affissi i maxi pannelli che ripercorrono la breve, ma intensa e dolorosa, esistenza di Benedetta. In una sala, inoltre, è stato proiettato a ciclo continuo il docu-film “Oggi grazie. Un giorno con Benedetta” firmato dal regista Franco Palmieri e realizzato dalla Diocesi di Forlì-Bertinoro. Molti visitatori erano turisti di passaggio e la curiosità di vedere il nome di Benedetta li ha spinti a varcare il portone del palazzo comunale. Il taglio del nastro ha visto la partecipazione di due assessori e di numerosi consiglieri del Comune che, come sempre, ha contribuito e patrocinato la manifestazione, insieme all’Istituto Tecnico Superiore “Bazoli-Polo” il quale, a sua volta, ha messo a disposizione le hostess e gli steward durante tutta la rassegna. Alla cerimonia di apertura erano presenti anche la preside del citato istituto, professoressa Francesca Subrizi, affiancata dal vice preside professore Franco Ottonelli. Toccanti gli interventi di Luisa Lavelli, assessore comunale, sempre vicina alla nostra associazione, e di Manuela Bianchi Porro, infaticabile animatrice del locale sodalizio e messaggera del “verbo” di Benedetta. «Bene- detta non è solo di Sirmione» ha detto Lavelli «ma del mondo, per la nostra cittadina ella è una risorsa morale infinita. Benedetta ha la capacità di trasmettere la fede a tanti, vi invito per questo a farlo anche voi». Manuela, infine, ha ringraziato «tutti quelli che hanno lavorato, o in qualche modo, hanno fatto sì che questa mostra si potesse realizzare. Perché è giusto che la fede non sia immobile e inoperosa, ma che la stessa si renda operosa per mezzo della carità». Evidente il riferimento al messaggio lasciato da Benedetta. Sirmione - inaugurazione della Mostra “Cinquant’anni con Benedetta” 12 ■ l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78 Sirmione Nell’ambito delle celebrazioni in onore della Venerabile Benedetta Bianchi Porro è stata celebrata l’8 agosto 2014, nella Chiesa Parrocchiale di Sirmione una santa Messa, presieduta da Mons. Claudio Stagni, Vescovo della Diocesi di FaenzaModigliana. Riportiamo la sua omelia. Abbiamo conosciuto il Vescovo Stagni nel 2007 a Dovadola. Adesso è arrivato quasi al termine del suo mandato episcopale. Augurandogli ogni bene, ci piace ricordarlo sempre come un amico attento, discreto e fedele di Benedetta. La liturgia di oggi ricorda San Domenico, fondatore dell’Ordine dei predicatori. In questo giorno, 8 agosto 1936 Benedetta Bianchi Porro nasceva a Dovadola, provincia di Forlì, e morirà poi il 23 gennaio 1964 qui a Sirmione. Siamo dunque nell’anno 50° della sua morte. Il ricordo di San Domenico non vuole essere solo un accostamento nella data, ma mi piace fare un piccolo confronto tra la nostra Venerabile e quel grande Santo, non tanto perché tra di loro tutti i santi un po’ si rassomigliano, ma perché mi pare che entrambi abbiano avuto a cuore il far conoscere il più possibile il Signore Gesù, mediante un apostolato che poi ha assunto in Benedetta una modalità tutta singolare. Papa Francesco sta sollecitando la Chiesa sulla nuova evangelizzazione. Ha iniziato la sua esortazione con le parole: «La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù». Se questa fu l’esperienza che fece a suo tempo San Domenico con i suoi frati nel portare il Vangelo ai nuovi eretici che allora si stavano diffondendo in Europa, questa è stata anche la testimonianza di Benedetta quando si è resa conto che sarebbe stata quella la sua missione voluta dal Signore. La nuova evangelizzazione non comporta certamente un messaggio evangelico nuovo, ma il sapere andare incontro alle situazioni nuove di oggi e alle domande che anche l’uomo di oggi si pone, soprattutto quelle drammatiche sul perché del dolore, sul senso della sofferenza, sulla realtà di Dio. La vita di Benedetta in una famiglia benestante, pur avendo dovuto attraversare il periodo della guerra e del dopoguerra, trascorre come quella delle ragazze della sua età. È sui 16/17 anni che inizia a manifestarsi la sordità, il primo sintomo del male che la bloccherà completamente. Le prime reazioni non furono facili, soprattutto quando progressivamente si rese conto che doveva abbandonare tutto ciò che sperava di poter fare nella vita, a cominciare dagli studi di medicina che le servirono solo, dirà poi, a diagnosticare la sua malattia. Alcuni anni passano negli studi, nel cercare di affrontare i mali mano a mano che si manifestano, e nel coltivare le amicizie, in particolare di alcune ragazze di Gioventù studentesca che le sono vicine. Di una di esse, Nicoletta Padovani, dirà un giorno: «È lei che ha acceso in me la fiaccola della fede». Nell’estate del 1959 un sacerdote di Ferrara, don Elios Giuseppe Mori, che veniva qui a Sirmione per cure, mette per iscritto alcuni pensieri frutto di vari colloqui: «Cara Benedetta, voglio affidare a questo foglio quello che avrei dovuto dirti poco fa… Dio può ben capirti. Anche Gesù in croce non poteva più agire né parlare. Ma la sua croce era il momento più valido della sua vita. Anche la tua croce assomiglia alla sua; ne è una continuazione…Non desiderare di morire, ma di vivere. Lascia che Dio conduca la tua vita, ma non pensare che la tua vita sia inutile perché non puoi agire, parlare e fare…». L’anno dopo Mons. Mori le scriverà ancora: «Non misurare la tua vita col metro della sofferenza, pensando che abbia valore solo quello che ti costa. Il valore di ogni cosa è l’amore. Cerca di amare Dio con l’amore di una figlia. Quando stai bene gli sei vicina come quando stai male… non sei al mondo per soffrire ma per amare. Offri ogni pena come ogni gioia. La tua condizione attuale è la più vicina a Dio» (settembre 1960). Insieme a un cammino nella fede, per Benedetta c’è anche un cammino nella consapevolezza di ciò che Dio le stava chiedendo, cioè della sua vocazione, e di conseguenza della sua missione. Nel cammino di fede le furono di molto aiuto il dialogo e la corrispondenza con le ragazze di G.S., con le quali condivideva problemi, scoperte e ricerca sui misteri di Dio, aiutandosi con il Vangelo e lettu- re degli scrittori sacri. Dirà un giorno alla mamma: «Mammina, io credo all’Amore disceso dal Cielo, a Gesù Cristo e alla sua Croce gloriosa!! Sì, io credo all’Amore. Mi sembrava di avere qualcosa di altro da dirti: infatti… tu mi dirai che io in Gesù ci sono nata. Sì, ma prima lo sentivo così lontano, ora invece so che Dio è dappertutto, anche se noi non lo vediamo, addirittura il regno di Dio è in noi!» (febbraio 1961). Nel marzo 1962 Benedetta scrive ad una amica: «Nessuno è inutile, a tutti Dio ha assegnato un compito». Un anno dopo ad un’altra amica scrive parlando del proprio «compito, che non deve essere solo quello di scrutarmi dentro, ma di amare la sofferenza di tutti quelli che vivono e vengono attorno al mio letto e mi danno e mi domandano l’aiuto di una preghiera». Si può dire che quanto più il cammino della croce si fa duro, tanto più cresce l’attenzione premurosa verso gli altri. La consapevolezza della sua vocazione e della sua missione di apostolato verso gli altri, mi piace legarla al pellegrinaggio che Benedetta fece a Lourdes in giugno del 1963. Lo ricorda così: «Il Signore proprio là a Lourdes mi fece capire la ricchezza del mio stato… Mi piace dire ai sofferenti, agli ammalati che, se noi saremo umili e docili, il Signore farà di noi grandi cose. La Madonna mi ha donata la rassegnazione cristiana». Riconoscere davanti a Dio che anche nello stato di sofferenza in cui Benedetta si trovava, ella possedeva il grande tesoro della fede che la illuminava sul mistero della giustizia di Dio, davvero è una cosa grande. Ricordando il viaggio a Lourdes del giugno 1963 scriverà: «Ed io mi sono accorta più che mai della ricchezza del mio stato e non desidero altro che conservarlo. È stato questo per me il miracolo di Lourdes quest’anno». E qualche mese dopo scriverà a Nicoletta: «Dio ci dà le cose non solo per noi, ma perché si possa anche distribuirle agli altri. Qualche volta mi rattristo perché mi pare che così, nel mio stato, io non sia utile per nessuno ed allora vorrei che avvenisse l’Incontro. Ma forse queste sono tentazioni, perché io più vado avanti, più ho la certezza che “grandi cose ha fatto in me Colui che è potente” e l’anima mia glorifica il Signore». Davvero nel breve tempo della sua vita Benedetta ha comunicato la fede e la certezza dell’amore di Dio a tante persone sofferenti, facendo della sua vita un vero apostolato. Credo che si possa dire che Benedetta è un dono per il nostro tempo, che sta arrivando invece a legittimare la soppressione della vita degli ammalati terminali o che sono in stato di incoscienza. Si tratta di far capire la “ricchezza dello stato di chi soffre”, che non è inutile, e può far scoprire che nella vita ciò che conta non è star bene, ma sapere amare Dio e il prossimo. Voglio concludere riportando un breve commento di Benedetta alla affermazione centrale del brano del vangelo di oggi: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua». Benedetta mette queste parole in bocca a Gesù e aggiunge: «Prendi la tua croce e seguimi. Non cercare di spiegare il perché. Lascia il tuo criterio, ma accetta il mio» (ottobre 1963). Dio in ogni tempo manda i suoi profeti, adatti ad annunciare il Regno in quel particolare momento storico; sta a noi riconoscere i messaggeri che passano sui monti ad annunciare la pace, portata dall’amore che nasce dalla croce di Cristo e che giunge fino a noi mediante la testimonianza dei suoi santi. @ Claudio Stagni l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78 ■ 13 Sirmione Meditazioni sui testi di Benedetta sono proposte ogni 23 del mese nella chiesa parrocchiale di Santa Maria della Neve, al termine della santa Messa. Siamo lieti di proporle, almeno in parte, ai nostri lettori, mentre ci complimentiamo ancora per la felice iniziativa pastorale del parroco don Evelino Del Bon. Meditazione di Romeo Mura da Rivoltella del Garda GIUGNO 2014 «Brancolo nel buio e ho la luce dentro». Da questa certezza nasce la serenità, Benedetta conosce la lotta, conosce la prova, conosce il deserto; sa che le nuvole possono oscurare il sole, ma non possono spegnerlo. BENEDETTA BIANCHI PORRO a Lucio Mapelli «Io so, Lucio, che la bontà di Dio ci fa espiare sulla terra, fino a perfezione avvenuta. Poi, liberi, andremo a godere Lui in cielo». Lucio Mapelli, giovane ragazzo di Gioventù Studentesca, era da poco entrato in Seminario, conobbe Benedetta pochi mesi prima che lei morisse e la vide solo un paio di volte. Nello stesso giorno in cui sarebbe morta, Benedetta chiese alla mamma di ‘’leggerle” l’ultima lettera dell’amico, nella quale, citando San Paolo, egli parla del trionfo della Croce. Attraverso la sua totale impotenza, Benedetta riceve la rivelazione dell’Amore, riscatta il proprio limite assoluto, riconosce che «nella sofferenza si accende dentro di noi la luce di Cristo Signore; e il dolore ci butta tra le braccia di Dio e la croce diventa il senso di tutto». Essa è il segno supremo dell’amore divino, allora «se si ama l’Amore, si finisce per vivere d’amore, anche nelle prove più atroci» (Oltre il silenzio, pp. 119-122). La testimonianza di Benedetta ci invita a trovare il senso cristiano del dolore e ad evangelizzarlo; tutto l’itinerario di Benedetta sarà un faticoso imparare dalla croce di Gesù. «Lucio non siamo divisi, ma lavoriamo in un telaio uniti, perché venga il suo Regno» (1 ottobre 1963). Benedetta nella sua esperienza spirituale si sente inserita nella chiesa come in una grande famiglia, e nel telaio identifica il valore dei legami, dell’unione e dell’essere comunità in Cristo. All’interno di questo telaio è importante essere uniti, ma non uniformi. Ciascuno infatti è chiamato a seguire il Signore dove Lui vuole. «Noi corriamo su un ponte...». Questo cammino racchiude il desiderio di raggiungere orizzonti nuovi. Benedetta sente in lei la consapevolezza di essere una pellegrina che sa dove sta andando, che sa su chi contare lungo il cammino. Il ponte rappresenta anche l’obbligo di una scelta. Qui a Sirmione, chi vuole visitare le bellezze di questo stupendo luogo deve passare dal ponte del castello; si lascia una realtà ordinaria per entrare e vivere una realtà straordinaria. «Che se vorremmo ci porterà al cielo». È una proposta affidata alla libertà, quindi a una responsabilità personale di fronte alla volontà di corrispondere o no alla volontà del Signore. «Leggo San Francesco (amo tanto San Francesco e Sant’Agostino, perché sono abissi di amore)». Mi piace l’umiltà. “La santità inizia con un atto di umiltà”. Da questa verità nasce la novità della santità cristiana: se Dio è Amore, il santo nel cristianesimo non è tanto colui che ama Dio, ma è soprattutto colui che si lascia amare da Dio. L’amore di Dio è prima del nostro, il nostro amore è sempre e solo risposta. Benedetta nei suoi richiami all’aria, ai fiori, al sole, alle cose create, riconosce che esistono con lei, legate da un unico Creatore. Sia San Francesco d’Assisi, sia Benedetta, innalzano a Dio il loro Cantico delle creature; Francesco in un testo unico, Benedetta lungo le lettere e i pensieri che scrive. “Lasciarsi amare da Dio affinché l’amore di Dio passi in noi e diventi vita nostra, vita in noi’’. Lo aveva capito Benedetta, che annotò nei suoi pensieri: «L’umiltà è la chiave del cielo» o ancora «L’umiltà e la semplicità sono le scale per salire a Dio. Il mio buio mi pesa» (7 novembre 1963). «Nella preghiera, nella sofferenza, nasce in noi ciò che è buono e che dovrà poi germogliare. Tutto è grazia, ricordalo». La preghiera permette a Benedetta di mantenere viva la coscienza di essere accanto al suo Signore, di essere quel seme che ormai sa su chi poter contare e orientare la sua preghiera e anche se la paura l’afferra, l’importante è farsi piccoli per essere certi di arrivare all’Incontro. «Pregherò per voi tutti, e vi aspetto in cielo» scriveva Benedetta nei suoi pensieri nell’ultima settimana prima della morte. L’ultima parola pronunciata da Benedetta è «GRAZIE». Il traguardo, e la luce e la coscienza, è Dio scelto e accolto quale valore assoluto. Il cammino è aperto, seguendo Benedetta si intravede il suo traguardo, che è luce, conoscenza: è Dio. «E la luce è anche speranza» (Andrea Vena). Diciamo anche noi grazie a Benedetta, a lei che è Venerabile per la Chiesa cattolica per il comportamento e la fede mantenuti in vita nonostante la sofferenza. «Dio ci fa capire man mano quello che vuole da noi e quello che dobbiamo fare», e furono i suoi amici che l’aiutarono a capire i fatti della vita. Il 23 gennaio 1964 alle 10,40, la morte l’ha raggiunta nella sua casa di Sirmione. Una rosa bianca, fiorita proprio quella mattina nel giardino di casa venne interpretata da Benedetta come un “dolce segno”, come la conferma dell’incontro ormai imminente con il Suo Signore. E il bianco è il colore liturgico della Pasqua. La Pasqua è la vita nuova in Cristo. Continua a pag. 14 14 ■ l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78 Continua da pag. 13 Meditazione di don Domenico Capone Parroco dello Spirito Santo LUGLIO 2014 BENEDETTA a Umberto Merlo (24 luglio 1963) Quest’anno ho completato 50 anni di sacerdozio e iniziare a conoscere Benedetta è stato per me un altro segno del Signore, che sembra dirmi: Vedi per te e per la buona riuscita del sacerdozio (Benedetta è volata al cielo il 23 gennaio 1964 e io nascevo sacerdote il 28 giugno 1964) ho impegnato anche la santità di Benedetta, e diverse altre persone. […] Ed ecco Umberto. L’ha conosciuto il 1° gennaio 1963. Il 24 luglio, ormai cieca, scrive per le mani di sua madre. Umberto moriva gioioso e sereno il 30 agosto 1963. Ormai cieca, Benedetta scrive: «Vorrei proprio avere la possibilità di illuminarla, perché solo così Lei soffrirebbe meno e avrebbe di conseguenza lo spirito in pace! Lasci che Dio la ritrovi e se la tenga amorevolmente sulle spalle...». A volte diciamo: Signore aiutami. Impariamo a dire: Signore permettimi che io Ti aiuti. È la nostra libertà a favorire l’azione di Dio o a impedirla. Lui, Padre affettuoso, vuole portarci sulle spalle con la gioia che prova il pastore a riportare la pecorella Meditazione del prof. Fiorenzo Pienazza Istituto Rogazionisti Desenzano (Bs) SETTEMBRE 2014 BENEDETTA a Roberto Corso (25 marzo 1963) Caro Roberto, […] Cerca di essere sereno, leggero, e con la lampada dello spirito accesa. Tutti abbiamo ore di stanchezza e abbandono, ma scuotiamoci e offriamo a Dio la nostra volontà così com’è, a volte più tiepida a volte stanca, ma non schiacciata – mai – “Non premeditate… e se avrai paura dirai senza vergogna: ho paura e Dio mi fortificherà”. Per tutti c’è dolore, speranza e lagrime, ma una superiore certezza vale a illuminarci e renderci sereni nella strada che ci conduce al Signore. Ti saluto caramente e parlo di te a Lui Benedetta Noi tutti credo – almeno qui a Sirmione – conosciamo la vicenda umana di Benedetta e ci siamo fatti un’idea “eroica” di questa giovane donna che ha saputo cantare, alla luce della fede, un inno alla vita nel calvario della sua sofferenza quotidiana. Ma se pensassimo che una specie di predestinazione all’eroismo avesse purificato e quasi esentato Benedetta da ogni dubbio, da ogni incertezza per correre diritta, senza sussulti, verso la via della santità le faremmo, a mio avviso, un grave torto e rinunceremmo a vedere in lei quella dimensione di umana fragilità, una fragilità che la accomuna a ciascuno di noi, che la fede in Dio e l’amore per la vita le hanno permesso di sconfiggere. Questo, a mio avviso, è il vero tratto eroico della sua santità. La lettera all’amico Roberto, nella sua immediatezza e sponta- smarrita. Diamogli questa gioia e Lui ci offrirà la sua Gioia infinita. «Non creda di essere solo a soffrire». La sofferenza viene sempre provocata da essere liberi come noi che non sempre ci preoccupiamo di offrire solo bene agli altri. Tanti disastri ambientali... Dio allora assegna ad ognuno di noi una piccola parte di sofferenza, mentre Gesù, come Dio, si è caricato di tutte le sofferenze umane. La certezza (ecco la speranza) di poggiare la sua vita in Dio fa dire a Benedetta: «Dio è nel suo cuore. Lo ami semplicemente con umiltà». La carità per Umberto porta Benedetta a dimenticare se stessa (ormai completamente isolata da tutti per la malattia) per mettere nel cuore di Umberto quella carica di gioia necessaria per cambiare tutto. «L’eroismo non è ribellarsi. Accetti con coraggio tutto. E tutto per incanto diverrà fatalmente semplice e pieno di pace celeste». Dicendo così fa dono della gioia a Umberto. Poi aggiunge: «Lei al Signore domandi aiuto per me». È un invito a sperimentare come è possibile ricaricarsi di gioia mettendo se stessi al servizio di chi ha bisogno, dimenticando le proprie sofferenze. Umberto certo rimase benevolmente sconvolto alla richiesta di offrire l’elemosina di una preghiera per Benedetta. neità, senza fronzoli o compiacimenti intimistici, ci presenta alcuni tratti caratteristici della sensibilità di Benedetta, primo tra i quali il farsi carico dei problemi degli altri, nonostante la sua situazione personale, in uno slancio di generosità gratuita e di totale condivisione che si esprime nel chiedere all’amico se la mamma è guarita. Molto spesso nelle sue lettere Benedetta, pur immersa in un mare di dolore, dimostra questa partecipazione sincera e affettuosa alle preoccupazioni e alle sofferenze dei suoi interlocutori e questo ci fa pensare, per contrasto, a tanti nostri atteggiamenti di insensibilità nei confronti degli altri, delle loro preoccupazioni quando ci chiudiamo nel nostro egoismo, pensando di essere gli unici a soffrire in questo mondo. Ma credo che i passaggi più alti e significativi della lettera siano quelli in cui Benedetta non nega di aver provato “ore di stanchezza e di abbandono”, non nega la fragilità della sua volontà, non nega le sue paure ma proclama quella fiducia totale in Dio che le permette di sublimare i suoi limiti umani trasformandoli in punti di forza di quel cammino eroico che ha contraddistinto la sua breve e travagliata esistenza. Certo non tutti possiamo contare sulle virtù eroiche di Benedetta, ma tutti possiamo vedere in lei il miracolo di una natura umana, come la nostra, che ha saputo infrangere i limiti che le sono propri per raggiungere uno stato di grazia particolare. Per questo la figura di Benedetta può parlare agli uomini e alle donne del nostro tempo con un messaggio particolarmente efficace, un messaggio di speranza che ci può aiutare a districarci tra le mille difficoltà del periodo che stiamo vivendo senza farci cogliere dallo sconforto, dalla depressione, dal senso della sconfìtta, dal buio della rassegnazione. Benedetta può essere per noi oggi un faro al quale guardare con fiducia. l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78 ■ 15 16 ■ l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78 l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78 ■ 17 18 ■ l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78 l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78 ■ 19 Benedetta a Lourdes di CARLO SPINELLI * Non so quanto nell’ottenere quello splendido risultato spirituale che è la santità di Benedetta abbiano contribuito la famiglia, gli amici d’infanzia, i compagni dell’Università, la lettura della Bibbia e degli autori classici dell’800, il gruppo di Gioventù studentesca, la contemplazione della vita dei santi, in particolare Santa Teresa del Bambin Gesù e San Francesco o, e li ho lasciati non a caso per ultimi, i pellegrinaggi a Lourdes. Certo, Lourdes è intervenuta in una fase nella quale la personalità e il cammino ascetico di Benedetta erano già ben chiaramente definiti. Però il discorso di Lourdes parte da molto lontano, non solo, ma la devozione alla Madonna era parte importante e fondante della sua fede. Amava ricordare che era nata in un giorno di sabato, e che era stata battezzata nella chiesa dell’Annunziata, dove poi avrebbe anche ricevuto la sua prima Eucaristia. Ma non si deve dimenticare che, quando era nata e una improvvisa emorragia aveva fatto temere di perdere la bambina, la mamma l’aveva battezzata con dell’acqua di Lourdes che veniva conservata in casa in una bottiglietta. E che di andare a Lourdes si era già pensato nel 1954, in dicembre, quando ormai da più di un anno la sordità la disturbava già al punto che non riusciva a seguire le lezioni all’Università. Eppure questo disturbo, che tanto ha inciso sulla sua serenità in quei primi anni della malattia, non era stato preso sul serio, anzi, era stato considerato di natura psicologica (per non dire che era un po’ fissata), tanto che fu sottoposta ad un trattamen- to psicoanalitico cui ovviamente non seguì alcun miglioramento (anzi, la malattia si aggravò sempre di più, come tutti sappiamo…). Allora al pellegrinaggio, alla Madonna avrebbe chiesto che «le fortificasse lo spirito». Ma quando ci è andata davvero, a Lourdes, nel 1962, con l’Unitalsi, Benedetta ha fatto un cammino spirituale ti, con i poveri, con i bambini abbandonati». Ma torna che non è guarita e, pur attraversando un periodo nel quale si sente arida, avvilita, inutile, afferma: «Il criterio di Dio supera il nostro ed Egli agisce sempre per il nostro bene. La Madonna mi ha fatto capire che ci dobbiamo gloriare nella croce di Cristo. La grotta è un posto pieno di verde e re felicemente nel buio, nell’attesa di una luce più viva e più calda. Ma Dio mi aiuterà, perché sa che io esisto. Quando le mie preoccupazioni diventano pungenti, e io lo chiamo, mi aiuta subito…». Benedetta ha ormai raggiunto la vetta altissima della santità: «Vado a chiedere una guarigione dell’anima più completa, perché molte volte mi trovo a vacillare: non nella fede, ma nella generosità verso il Signore». Voglio chiudere con quello che ha dettato al ritorno da Lourdes: «Dalla città della Madonna si ritorna nuovamente capaci di lottare, con più dolcezza, pazienza e serenità. Ed io mi sono accorta, più che mai, della ricchezza del mio stato, e non desidero altro che conservarlo. Ora ho la dolcezza della rassegnazione. La Madonna mi ha ripagato di quello che non possiedo più. Ho capito che mi è stato ripagato quello che mi era stato tolto, perché possiedo la ricchezza di Spirito: ecco il miracolo di Lourdes quest’anno, per me». formidabile. Ha capito e accettato l’orizzonte ultimo verso cui Dio la sta chiamando; ma il suo rapporto con Dio non è ancora del tutto libero, disinteressato, abbandonato totalmente alla sua volontà. E pensa di poter venire a patti con Lui. Tutti vanno a Lourdes per chiedere la grazia, per sé o per i loro cari, e anche Benedetta chiede la guarigione; e fa un patto, un voto: «Se guarirò mi farò suora di quelle suore che stanno con i mala- di pace: la Madonna è molto buona e bella…». L’anno dopo, nel giugno 1963, Benedetta torna a Lourdes, con il pellegrinaggio di Milano dell’OFTAL1. La sua situazione clinica è disperata, ma Benedetta scrive: «Il Signore prenderà quel poco che so dargli e cercherà di aiutarmi a spogliarmi di tutte quelle cose che si ribellano al suo volere… Vado a Lourdes ad attingere forza dalla mamma celeste, poiché non so abituarmi come vorrei a vive- * Presidente dell’OFTAL di Milano 1 Alcune note tecniche sul pellegrinaggio. La partenza è prevista per le 12,20 del 24 giugno dallo scalo di Porta Romana; l’arrivo a Lourdes, dopo 26 ore di viaggio, per le 14,01 del 25 giugno. Il pellegrinaggio è presieduto da mons. Edoardo Piazza, e sono presenti mons. Ferraris e il capo ospitaliero Antonio Sessa e il vicecapo, Giannino Ferrario. Il capo barelliere è Antonio Villa e il capo medico il prof. Michelangelo Petrini. Benedetta è sistemata in uno scompartimento con altre due barellate e, all’Asile, in sala St. Pierre, dove è capo Mariola Cabella, medico il capomedico e assistente spirituale padre Andreoli, gesuita. 20 ■ l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78 Benedetta e il mistero della sofferenza di GIUSEPPE RIZZI Chiunque viene a conoscere la vita di Benedetta si pone la domanda, inevitabile e difficile: come ha fatto Benedetta a sopportare il peso di tanta sofferenza, come ha superato la paura e la disperazione, «la notte buia dei faticosi giorni»? Non avrà avuto anche lei, che alla fine della vita era cieca, sorda e paralizzata, qualche momento di angoscia profonda e irrefrenabile? C’è un segreto in lei? La risposta la troviamo ripercorrendo nelle sue lettere il suo cammino di fede. cella, e Lui dovesse aiutarmi a uscire» (22 aprile 1963). «Anche se ci troviamo nei più silenziosi deserti, Dio non ci lascia mai soli. Le mie giornate sono lunghe, faticose, però ugualmente dolci e con la luce di Dio cerco, nel mio esilio, di non perdere la serenità» (15 maggio 1963). È impressionante il suo senso della presenza di Dio, come troviamo in queste lettere: «Sono brutte le tenebre, eppure io so di non essere sola: nel mio silenzio, nel mio deserto, mentre cammino, Lui è qui, mi sorride, mi precede, mi incoraggia a portare a Lui qualche piccola briciola d’amore» (1 giugno 1963). «Le mie giornate non sono facili; sono dure, ma dolci, perché Gesù è con me, col mio patire, e mi dà soavità nella solitudine e luce nel buio» (1963). Certamente Benedetta non ha mai nascosto le sue sofferenze: i suoi sentimenti li troviamo esposti con grande sincerità e candore nelle sue lettere, nelle quali confessa la fatica e la durezza di certe giornate. Dice per esempio: «Io sono come al solito; soffro molto, credo ogni volta di non farcela più, ma il Signore che fa grandi cose, mi sostiene pietoso e io mi trovo sempre ritta ai piedi della Croce» (29 settembre 1962). «E se in qualche attimo mi sento timorosa, io dico coi discepoli: resta con noi, Signore, perché si fa sera» (maggio 1963). Confessa umilmente, ma decisamente: «Se verrà la paura, dirò senza vergogna: Signore, ho paura delle tenebre. E Lui: non temere, io ho vinto il mondo» (11 settembre 1963). Non bisogna pensare che questo senso della presenza di Dio risolva automaticamente e subito i problemi. Benedetta è molto realista, anche per esperienza personale, e sa che non si può pretendere che il Signore intervenga quando e come vogliamo noi. Ecco il suo pensiero, detto con molta semplicità: «Occorre aver pazienza: lo conosce Dio quando è il momento di aiutarci» (Pensieri 1961-62). Per Benedetta la strada per superare i momenti più difficili è stata quella di restare unita al Signore. Può sembrare fin troppo semplice, ma questo è stato in fin dei conti il suo segreto. Sa che il Signore la vede e la guarda con amore. «Da quando so che c’è Chi mi guarda lottare, cerco di farmi forte» (28 febbraio 1961). «Io lo chiamo qui accanto a me, come se il mio letto fosse una piccola grotta, o una deserta Anche Benedetta si è interrogata a lungo sul significato della sofferenza. Benedetta sa che la sofferenza è mistero, il perché sfugge, ma crede in un perché anche della sofferenza per un atto di fiducia e di abbandono totale a Dio. Lui sa il perché e questo basta. «Certo che il dolore e l’amore hanno un valore per Lui, anche se noi non lo vediamo. Il sole continua a splendere oltre le nubi e l’arcobaleno viene dopo il tem- porale. Giobbe dice che Egli fa la piaga e la fascia» (14 luglio 1961). «La giustizia divina: non si capisce per ora, ma è vera, non c’è che da fidarsene a occhi chiusi... Che mistero è la croce» (30 agosto 1962). «La croce prende sempre l’aspetto che meno ci saremmo aspettati» (Pensieri 1961-62). «Per tutti c’è dolore, speranza e lagrime, ma una superiore certezza vale a illuminarci e renderci sereni nella strada che ci conduce al Signore» (25 marzo 1963). «Vivere lasciando che tutto il senso della nostra vita lo sappia e lo conosca Lui solo, e ce lo faccia a volte intravedere, se così a Lui piace» (luglio 1963). Cercando nelle sue lettere e nei suoi scritti troviamo inoltre dei particolari sorprendenti, degli sprazzi di luce del tutto personali, frutto delle sue lunghe meditazioni. Essi dimostrano quanto cammino personale ha percorso. Per esempio vediamo come riflette sul tema dell’offerta delle proprie sofferenze. Dice Benedetta: «Offro sempre al Signore i miei dolori, ma non chiedo di usarli per qualche fine. Lui sa meglio di me a quale fine gli possono servire... Mi piace dire ai sofferenti, agli ammalati che se noi saremo umili e docili, il Signore farà di noi grandi cose» (24 maggio 1963). Benedetta sente come sua vocazione, suo compito, quello di riuscire a dimenticare completamente se stessa e fare proprie le sofferenze degli altri: «Il mio compito non è solo e non deve essere solo quello di scrutarmi dentro, ma di amare la sofferenza di tutti quelli che vivono o vengono intorno al mio letto e mi danno o mi domandano l’aiuto di una preghiera» (22 aprile 1963). Un altro aspetto che colpisce e sorprende in Benedetta è la coesistenza del soffrire e della pace, del buio e della luce. «Il mio buio mi pesa, ma lo preferisco, se questo è il prezzo per camminare con più luce dentro al cuore... Tutto è grazia: ricordalo» (7 giugno 1963). «Anche se le mie giornate sono eternamente lunghe e buie, sono pur dolci di un’attesa infinitamente più grande del dolore. Il cielo è la nostra patria vera, e là dobbiamo mirare, all’Incontro» (luglio 1963). «Solo a intervalli mi sento sfinita e fiacca, ma sempre ancora lucida nella pace di Dio. So che attraverso la sofferenza il Signore mi conduce verso una strada meravigliosa!» (28 agosto 1963). Negli ultimi mesi Benedetta riesce a fare la sintesi della sua vita: il suo cammino si illumina e si semplifica nella luce del traguardo ormai vicino. «Più vado avanti, più ho la certezza che grandi cose ha fatto in me Colui che è potente e l’anima mia glorifica il Signore. Davvero in ogni attimo, in ogni soffio, io ho le prove che Dio mi aiuta dolcissimamente» (11 ottobre 1963). «Prima nella poltrona, ora nel letto, che è la mia dimora, ho trovato una sapienza che è più grande di quella degli uomini. Ho trovato che Dio esiste ed è amore, fedeltà, gioia, certezza, fino alla consumazione dei secoli» (1963). Queste parole “ho trovato”, ripetute due volte, sono il suo canto finale di vittoria. Che anche ciascuno di noi, al termine della sua vita, possa dire questo semplice e gioioso “ho trovato”, come San Paolo che scrive: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede». l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78 ■ 21 Il dialogo autentico: BENEDETTA E MARTIN BUBER Un amico conosce la melodia nel nostro cuore e la canta quando noi ne dimentichiamo le parole. (Proverbio nigeriano) Dialogare, dice Martin Buber, è la reciproca rivelazione di sé all’altro. Di conseguenza, una caratteristica sembra appartenere necessariamente al dialogo: la reciprocità. «Due persone dialogicamente congiunte devono evidentemente essere rivolte l’una verso l’altra»1. Ma per parlare di vero colloquio non basta rivolgersi all’altro, bisogna parlare con lui “in tutta verità”, quindi con la partecipazione dell’essere. È necessario che colui che parla non si limiti a percepire l’altro, ma lo accetti quale proprio partner. Il dialogo tra persone deve tendere al radicale svelamento di sé all’altro, senza però alcuna pretesa di esaurire tale svelamento. Del resto, dice Buber, «non è essenziale che uno si ‘lasci andare’ di fronte all’altro ma che permetta a colui col quale comunica, di partecipare al suo essere»2. Bisogna essere ‘nudo’ verso l’altro, provocando nell’altro una corrispettiva apertura: è «l’autenticità dell’inter-umano; dove ciò non avviene, non può essere autentico nemmeno l’elemento umano»3. Inoltre l’“essere aperto a...” implica il coglimento dell’altro come unità irripetibile. «Io percepisco la sua intimità, e che egli è diverso, essenzialmente diverso da me, in questo determinato a lui caratteristico modo unico»4. Capire l’unicità dell’altro è molto importante per evitare di tentare di impormi all’altro che ha come conseguenza la morte del dialogo autentico. La relazione non è solo reciprocità, è anche attività. Soltanto se «il mio Tu influisce su di me come io su di lui»5 può sorgere una relazione autentica. Ciascuno nella relazione impegna tutto il proprio essere e non soltanto una facoltà o il sentimento. È un incontro all’insegna della responsabilità che è l’atto essenziale dell’amore. «L’amore è responsabilità di un Io per un Tu»6 afferma Buber e dalle tante lettere di Benedetta e a Benedetta si comprende facilmente come sia lei che i suoi interlocutori abbiano sempre cercato di realizzare ciò che è necessario ad un vero incontro. Benedetta ha capito, ad un certo momento, che ciò che Dio voleva da lei era che divenisse un apostolo. Essere una testimone dell’amore di Dio nel mondo diventa la sua missione. A Benedetta interessava soprattutto far conoscere le meraviglie che il Signore stava compiendo in lei e non tralasciava mai di parlarne nelle sue lettere. Vive la sua malattia e il suo rapporto con Dio come un compito da portare avanti e dalle lettere si comprende anche il suo itinerario spirituale. Benedetta sa di essere fatta di fango, ma sa anche che il suo amore per Dio e l’amore di Dio per lei la rendono qualcosa di unico ed irripetibile. «Nessuno è inutile, a tutti Dio ha assegnato un compito» scrive a Maria Grazia (26 marzo 1962) che, essendo un po’ in crisi, si sentiva “inutile”. Quello che dobbiamo mettere di nostro, scrive ancora all’amica il 5 maggio successivo, è la nostra buona o cattiva volontà: «Non si insegna con le parole. L’unico Maestro è Dio in cielo che ci insegna dentro, senza parole». Ma anche parlare con le amiche è di grande aiuto a Benedetta. Ringrazia, infatti, Nicoletta per le sue lettere piene di preziosi consigli sulla sua situazione spirituale: «è il Signore che te le ispira» scrive il 20 giugno ’62 all’amica. E possiamo certamente affermare che è proprio grazie a Nicoletta e a Padre Gabriele Casolari che Benedetta scopre la sua vocazione in modo esplicito. Ma tutto questo è stato possibile proprio perché Benedetta è riuscita a mettere a nudo la propria anima davanti ai suoi amici. Si è fatta conoscere nella parte più profonda del suo essere, ha fatto capire ciò di cui aveva bisogno e i suoi interlocutori hanno saputo cogliere il suo messaggio e sono riusciti a farle avere quella consapevolezza di sé, della sua situazione che, forse, da sola avrebbe faticato a cogliere. Sapere che “proprio” nel suo stato poteva diventare uno strumento nelle mani del Signore, con un compito da assumere con consapevolezza e responsabilità, è stata la molla che l’ha aiutata a portare con dignità e con amore la sua croce. Da quel momento avrà una sola paura, la paura di perdere Dio perché «è Lui che ci dà la forza, è Lui che ci guida» (a Paola Vitali 28 agosto 1963). Abbandonarsi al Signore, serenamente: è questo l’insegnamento di Benedetta ai suoi amici. E vedendo la sua capacità di abbandono tra le braccia di Dio, l’insegnamento risultava naturale e le difficoltà della vita trovavano il giusto posto per ognuno. Benedetta questo compito non ha mai smesso di portarlo avanti. Ancora oggi, per noi che conosciamo la sua vita, per noi che leggiamo i suoi pensieri attraverso i suoi scritti, lei è una testimone dell’amore di Dio verso le sue creature. È, la sua, una testimonianza vissuta fino in fondo, nella propria carne e nel proprio spirito, ma è in questa radicalità che sta la forza di Benedetta, di questa piccola grande donna che ha saputo trasformare anche il dolore e farne un segno che continua ad affascinare chiunque la incontri. Benedetta continua a dialogare con i suoi amici, continua a rivelarsi e a rivelare un amore che avvolge anche noi se glielo permettiamo. Davanti a Benedetta dobbiamo saperci mettere a nudo, con le nostre povertà e le nostre disarmonie. Possiamo farlo senza paura e timore, perché da lei ci sentiamo compresi e accettati e allora provare a farci avvolgere dall’amore di Dio sarà più facile, e abbandonarsi al Signore, serenamente, sarà un traguardo raggiungibile. Benedetta può aiutare molto a spianarci la strada. Lasciamoglielo fare. Roberta Bössmann BUBER, M., Dialogo, in IDEM, Il principio dialogico, Milano 1959, pp. 114-115. 2 ID., Elementi del contatto diretto tra uomo e uomo, in ivi, p. 213. 3 Ibid. 4 Ivi, p. 125. 5 BUBER, M., L’Io e il Tu, in ID., Il principio dialogico, cit., p. 20. 6 Ivi, p. 48. 1 22 ■ l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78 Il segreto dei Chassidim Cogliere la bontà e la bellezza della creazione è ciò che anima il Cassidismo: i suoi discepoli cercano di evidenziare tutta la positività dell’ebraismo manifestando la gioia per la vita, in tutti i suoi aspetti. Manifestare la gioia significa vivere ogni attimo della propria esistenza congiunti a Dio, vuol dire vivere nel tempo, ma con lo sguardo rivolto all’eternità. Per questo non occorre essere saggi o dotti, «è sufficiente avere un’anima indivisa, indirizzata eternamente verso la sua mèta divina. Il mondo in cui vivi, così com’è, e non altrimenti, ti permette quel rapporto con Dio che redime allo stesso tempo te e quella parte del divino nel mondo che ti è stata affidata». Ciò che può aiutare è pregare, ascoltare la voce di Dio, cantare il suo canto. «Al limite, la preghiera è Dio stesso. Dio che assume in sé l’orante, lo coinvolge nella sua vita, gli apre l’accesso ai suoi tesori di Padre» (p. 51). L’uomo deve solo, con umiltà, riconoscere la propria derivazione da Dio, la propria povertà di creatura; il resto è dono, è silenzio, è gioia. È la certezza di essere amati anche quando l’infinita Presenza si rivela come assenza» (p. 78). È quanto è avvenuto con la Shoah. Gli ebrei sono stati, nel buio della tragedia, dice la Ghini, «testimoni di un Dio assente, ma vicino. Apparentemente dissolto nei milioni di corpi bruciati, ma vivo nelle vittime disperatamente legate alla sua alleanza» (p. 83). Partendo da queste considerazioni di Martin Buber ne I racconti dei Chassidim, Emanuela Ghini presenta il centro della spiritualità ebraica e del cristianesimo che da essa deriva. Il centro è costituito dalla positività della creazione, dalla sua bellezza che il nostro occhio non sa più vedere, perché è diventato opaco conformandosi alla mentalità del mondo. Si tratta ora di lasciarsi trasformare in una visione nuova, per ritrovare quella purezza originaria che solo un risveglio spirituale può donarci. Dobbiamo rinnovare l’uomo, la società e la religione stessa, e rinnovare significa tornare alle origini, vivere la gioia di Dio al momento della creazione, quando vedeva che «tutto era cosa buona»: significa scorgere la scintilla divina che anima ogni cosa. Non è un compito facile per l’uomo fragile, attratto dall’apparenza delle cose, «incapace di leggerle nella loro derivazione da Dio». L’uomo in ricerca ha bisogno di consiglio e di aiuto che possono venire da un uomo capace di orientare, di guidare, da uno zaddik. Egli educa i suoi figli spirituali, i suoi chassidim, rendendosi trasparente a Dio, essendo maestro di vita con la parola e con la vita. Saranno anche i discepoli, con i loro dubbi e con le loro domande, ad aiutarlo a trovare la via giusta per ciascuno di loro. Si tratta, comunque, di condurre i discepoli all’incontro con Dio, un Dio che diventa presenza, un Dio che viene incontro, ma che non sarà mai posseduto, un Dio nel contempo vicino e lontano. «È il Dio nascosto, che vuol essere cercato, ma è anche il Dio che soffre, se l’uomo non lo cerca» (p. 18). «Il Cassidismo, con le sue domande e le risposte dei grandi maestri di spiritualità, ci fa capire che, per entrare nel mistero di Dio, bisogna accettare il limite umano, riconoscersi creature bisognose di Dio. Allora si riuscirà a scoprire Dio ovunque si è. Bisogna però saperlo accogliere, fargli spazio, lasciarlo entrare»1. Un altro aspetto sottolineato dalla Ghini è che i Chassidim celebrano la tenerezza di Dio, che accetta e comprende anche la preghiera più modesta dell’uomo, «come un padre comprende sempre il balbettio del suo bimbo» (pp. 22-23). Il movimento chassidico è rivolto a tutti, dunque anche agli uomini più semplici. Invita a rimuovere «la barriera tra il sacro e il profano, insegnando a dare un significato sacro al compimento di ogni azione profana» (p. 13). Bisogna diventare un «orecchio che ascolta», dice ancora Buber e la Ghini ci ricorda che per il cristiano ciò significa «ascoltare lo Spirito che parla dentro, farsi percezione del suo suono leggero e quasi imprendibile (Gv 3, 8), lasciarsi guidare da lui alla “verità tutta intera” (Gv 16, 31)» (p. 39). 1 BUBER, M., I racconti dei Chassidim, Milano 1979, p. 605. «Il dramma della Shoah testimonia la perennità del popolo eletto» (p. 84) di uomini e donne «malati di Dio, cioè vivi di lui e in lui, che lo confessano davanti alle armi spianate per ucciderli, che cantano e danzano danze chassidiche andando verso la tomba» (p. 85). Questi morti, conclude la Ghini, sono i testimoni inesorabili di Dio, davanti ai quali tutti, i cristiani per primi, devono interrogarsi. Ringraziamo l’Autrice che ce lo ricorda. Ne abbiamo tutti bisogno. Roberta Bössmann GHINI, EMANUELA, Il segreto dei Chassidim, Casale Monferrato, Edizioni Piemme Spa, 2001. Ove non diversamente specificato, tutte le citazioni sono tratte da questo volume. Siamo vicini a suor EmanuEla Ghini e alle sue consorelle Carmelitane scalze che ricordano, nell’azione di grazie e nella gioia, il centenario del loro monastero di Savona, in via Firenze: 10 ottobre 1914-2014 l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78 ■ 23 La mia vita accanto a Benedetta (parte XI) di don ALFEO COSTA 1984 Ero tutto preso dalla situazione familiare. Il 25 gennaio, a poco più di un mese dal ricovero in Casa di Riposo, mio padre venne ricoverato all’Ospedale di Dovadola, per problemi ad un piede che andava in cancrena. Dopo pochi giorni tentarono di asportargli le parti malate, ma in modo primitivo, tagliando la carne viva senza un minimo di anestesia: faceva degli urli strazianti. Mia madre rimase nella Casa di Riposo da sola. Nei primi giorni dell’anno facemmo un ritiro con i ragazzi a Marzano, guidati particolarmente da Suor Lorenza, la quale aveva un buon ascendente sui ragazzi, per quanto invece avesse il dono (si fa per dire) di far sentire tutti in colpa. Il 22 gennaio andammo a Sirmione per il 20° anniversario di Benedetta, mentre il 23 lo celebrammo alla Badia. In quei giorni acuti per i miei io facevo questa preghiera: Signore, se ci vedi preparati (malati e figli), sia fatta la tua volontà. In febbraio mia madre andava peggiorando e la seguivamo, io e mia sorella, nel migliore dei modi. Finché il 23 febbraio fu il suo dies natalis. A pranzo avevano passato la polenta. Sapevo che a lei piaceva, allora insistetti perché ne mangiasse, ma lo fece solo con sforzo. Avevamo avvisato i parenti e mio zio Severino era venuto da Predappio per essere di aiuto nell’assistenza diretta. Nel pomeriggio, vedendo l’evolversi delle cose, ritenni opportuno amministrarle l’unzione degli infermi, cosa che feci con l’animo teso. Quando poi si giunse alla “raccomandazione dell’anima” incominciai la preghiera: parti, o anima cristiana, da questo mondo… a quel punto mi fermai; non potevo essere io a dirle di partire, no, per me non doveva partire. Poi andai a celebrare la Messa dalle Suore. Appena finita ritornai da mia madre: stava dando gli ultimi respiri; alle 18.45 del giovedì 23 febbraio mia madre morì. Questo avvenne nella stanza n. 14 del piano alto nella Casa di Riposo. Vennero anche mio fratello e mia cognata Eugenia. Si provvidero le cose di quei momenti. Venne trasportata nella camera mortuaria, scendendo per le scale, perché l’ascensore non c’era, e uscendo all’esterno. Cercai di organizzare al meglio il funerale di mia ma- dre. In serata dello stesso giorno (due mesi dalla partenza) ricomparve don Luigi Superga, di ritorno dal Venezuela, ma, bontà sua, non mosse un dito per il da farsi. Mia madre venne sistemata e composta nella bara e rimase nella camera mortuaria del Ricovero. Chiesi ad un amico di scattare qualche foto di mia madre nella bara. Al venerdì mattina facemmo il così detto ufficio delle Messe, poi alla sera la portammo alla Badia. Mi sono rammaricato poi di non averla messa accanto a Benedetta: l’avrebbe senz’altro gradito, ma non ci pensai. Sabato 25, giorno del funerale, io celebrai alla mattina perché poi preferii rimanere tra i parenti. Alle 14.30 la concelebrazione pre- sieduta dal vicario generale Mons. Fabiani (il vescovo era assente per malattia) e da 18 sacerdoti, alcuni erano intervenuti senza concelebrare. Cercai infatti di avvertirne tanti, perché sapevo quanto ci teneva la mamma ad avere molte Messe. Finita la celebrazione facemmo il corteo fino a piazza Marconi, poi in macchina si proseguì per il cimitero di Santa Marina di Predappio. Si era fatta un po’ di neve e il cimitero era quasi tutto bianco; anche la neve piaceva a mia madre. All’indomani, domenica, cercai di rimanere nel lutto. E quella volta fu utile don Luigi, il quale celebrò le Messe di orario, io invece celebrai all’Ospedale, dove per altro era anche mio padre, al quale però preferimmo non dire nulla, infatti la sua lucidità era precaria. Passai quella settimana sempre con mia sorella nelle considerazioni che seguono un tale avvenimento, organizzando però una settimana per assentarmi e riposare mente e ossa. Il lunedì 5 marzo andai a San Marino nella casa degli Esercizi a Valdragone, dove andavo ogni tanto. Ma passano appena tre giorni e il giovedì 8 ricevo una telefonata da mia cognata che era morto anche mio padre. Un susseguirsi di pensieri e riflessioni. Rientro subito a casa. Mio padre in ospedale l’hanno trovato morto di prima mattina andando per misurare la temperatura. Pensare che mio padre desiderava morire a casa, nel suo letto, attorniato da tutti noi, invece è accaduto in ospedale e noi eravamo tutti via, anche mia sorella era andata addirittura in Svizzera e dovemmo faticare per rintracciarla. Organizziamo di nuovo il da farsi. Al giovedì sera rimane nella camera mortuaria dell’ospedale, al mattino del venerdì facciamo l’ufficio di Messe e alla sera il trasferimento alla Badia, per celebrare il funerale al sabato. Essendo bisestile quell’anno, è avvenuto uno svolgimento identico a quello di mia madre proprio due settimane dopo. Una sera, in casa con mia sorella, abbiamo voluto immaginare: cosa si saranno detti incontrandosi nell’aldilà? Due ipotesi; dapprima mia madre gli avrà detto: ma con te non si può stare un momento in pace, sei già qui! Oppure: vieni via, non vedi che hanno da fare!? Comunque questo evento ho cercato di viverlo come un segno: uniti in vita e vicini anche in morte. Intanto in cuor mio si faceva avanti il pensiero che da solo non potevo rimanere a Dovadola. E andavo accarezzando una mia antica vocazione monastica non seguita: mi sento un monaco mancato. Andai a consultare l’Abate di Cesena, il quale mi dissuase parecchio. Cercai di contattare l’Abbazia di Vedana nel bellunese. L’abbazia di Vedana l’avevo visitata anni addietro, dopo l’esperienza della Licenza in teologia a Roma. Là c’era stato Mons. Roberto Montagnani, sacerdote modiglianese di cui mi occupai come tesina di licenza. Ora l’abbazia era abitata da monache e non più monaci. Ma quel pensiero mi stava dentro. Nell’estate mi recai alla Certosa di Firenze, vi rimasi una settimana. Lì vidi il posto adatto. Il Priore e il vice Priore si resero pronti ad accogliermi. Ne parlai quindi col mio Vicario Generale, Mons. Fabiani, il quale pose le sue argomentazioni perché desistessi da quel proposito e mi prospettò la possibilità di un aiuto domenicale in parrocchia. Anche mio fratello si mostrò contrario. Così finii per prendere tempo e per… non essere andato. Feci bene? Mah! Questo fu anche l’anno ventesiContinua a pag. 24 24 ■ l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78 Continua da pag. 23 mo della morte di Benedetta. Anna giustamente pensò di onorarlo con la presenza di un personaggio importante nella chiesa. Invitò il cardinale Anastasio Ballestrero, arcivescovo di Torino e Presidente della Cei. La data fu il 25 aprile. Il cardinale venne di prima mattina a Dovadola a rendere omaggio al sarcofago di Benedetta. Avevo interessato le persone vicine, le quali si resero presenti ad accogliere l’Eminentissimo. Poi in cattedrale la solenne celebrazione con molti sacerdoti. Nell’agenda di sagrestia di quell’anno, al 13 maggio io scrissi una nota che dice così: A Badia è in notevole aumento l’afflusso dei “pellegrini”. Già è importante la presenza del sacerdote e forse anche della Messa vespertina. La domenica 24 giugno (per iniziativa delle Suore) si volle celebrare il mio 30° di Messa. Due sacerdoti (don Ernesto Leoni e don Carlo Gatti) ven- nero a concelebrare con me. Capii che l’iniziativa aveva una motivazione delicata come per incoraggiamento dopo la mancanza simultanea dei miei genitori. L’8 agosto, per il compleanno di Benedetta, celebrò la Messa presso il sarcofago don Ernesto Leoni, il quale era stato componente del Tribunale nel processo diocesano. Lo stesso sacerdote mi sostituì nei giorni in cui andai fino a Medjugorje (Iugoslavia) in auto assieme all’amico confratello comacchiese don Nino Mezzogori. Fu un viaggio bello, passando via terra da Trieste, arrivammo a destinazione dopo due giorni. Da pochi anni (1981) avvenivano là delle apparizioni quotidiane della Madonna. Il luogo era in aperta campagna. Davanti alla chiesa vedemmo un cumulo di persone addossate a qualcosa: era un semplice tubo che terminava in un rubinetto da cui si poteva attingere acqua: l’unico ristoro possibile. La chiesa parrocchiale, tenuta dai francescani minori, si presentava ampia, bella, con due campanili. All’ora dell’apparizione era gremitissima. Celebrammo (il 21 e 22 agosto) anche noi con i molti sacerdoti, poi chiedemmo al Padre parroco una indicazione per passare la notte. Infatti non c’erano alberghi e nulla di simile. Il parroco ci mandò un uomo ad indicarci una casa che ci avrebbe accolti. Infatti lo fecero tanto volentieri da offrirci il proprio letto. Subito ci fecero mettere l’auto dietro casa perché non si vedesse dalla strada. Era ancora il tempo del comunismo e temevano delle ritorsioni. Mangiammo con gli ospiti e in qualche modo ci capimmo. Ci dissero che una volta videro tutti la croce alta di ferro situata in cima al monte che era in fiamme. Ma chi accorse lassù vide che non era accaduto nulla. All’indomani facemmo l’e- NEL RICORDO DEI NOSTRI CARI scursione fino alla croce, ma il sentiero era quasi inesistente e i sassi erano taglientissimi, eppure alcune persone erano salite e scendevano a piedi scalzi, sanguinanti. In chiesa si faceva la lunga preghiera: alle 18 iniziava il rosario di 150 Ave Maria, poi, ad un certo punto fecero entrare noi sacerdoti nella sagrestia per assistere all’apparizione. Entrarono i veggenti (quella volta erano cinque e non sei) recitando il rosario come tutti. I ragazzi tutti in fila, guardavano verso la parete bianca, e ad un tratto si gettarono in ginocchio con un sincronismo incredibile e a quel punto muovevano le labbra ma non si sentiva la voce. Qualcuno accennava a sorridere. La durata fu molto breve, forse meno di un minuto. Poi si alzarono e di nuovo si sentì la loro voce. Uscirono e uscimmo tutti dalla sagrestia. Noi sacerdoti ci vestimmo per la celebrazione, la quale avveniva in croato, ma avevamo un sussidio con le varie lingue e ognuno seguiva la sua. Dopo quella interessantissima visita facemmo turismo iugoslavo a Mostar e Spalato. Ma lì mi accadde un incidente d’auto: ero il primo fermo ad un semaforo, quando dietro vidi venire un autobus di città, il quale non si fermò, ma venne addosso alla mia auto, causandomi non poco danno al bagagliaio posteriore. Per rimediare dovemmo rimanere due giorni a Spalato. Tornati in Italia, arrivammo perfino a Rocca Pietore a rivedere i luoghi che avevo frequentato durante il periodo di San Marino con la colonia alpina estiva. In settembre Padre Antonino Rosso, cappuccino, venne qui a Dovadola per raccogliere tutta la documentazione relativa a Benedetta: battesimo, cresima, matrimonio dei genitori, pagella scolastica ecc. materiale che avrebbe poi usato per la positio completa. Egli era un esperto avendo già fatto così per il cappuccino cardinale (Continua) Massaia. l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78 ■ 25 Accanto a Benedetta: una settimana diversa di SILVIA CESARONI Come ogni anno, nel mese di agosto, ci ritroviamo insieme per vivere una settimana diversa, una vacanza alternativa, presso la Badia di Sant’Andrea, accanto alla nostra cara amica e sorella Benedetta, immersi in una natura stupenda che fa da cornice al nostro ritiro spirituale e ci restituisce energia vitale sia al corpo che allo spirito. Siamo un gruppo misto composto da famiglie, giovani e adulti, che, guidati da Padre Paolo Castaldo, seguiamo un cammino di fede nella nostra città di Ascoli Piceno, con incontri settimanali di adorazione eucaristica, preghiera mariana e appuntamenti mensili per i più piccoli, “Gli Angeli dell’Annunziata” che, come i grandi, imparano ad amare Gesù presente nell’Eucaristia, divenendo suoi piccoli adoratori e crescendo in età e grazia. È ormai diventato per tutti noi un appuntamento fisso da non perdere, sono giorni vissuti in comunione fraterna, in un clima di serenità e semplicità ed anche con spirito di adattamento, elementi essenziali per mettere insieme persone diverse per età, esigenze, abitudini e carattere, ma tutte accomunate da un unico intento: quello di attingere forza per poi tornare a lottare con più dolcezza, pazienza e serenità come diceva Benedetta durante un suo pellegrinaggio a Lourdes. Anche quest’anno, in cui celebriamo il 50° della nascita al Cielo di Benedetta, nella sua stanzetta, accanto al suo letto, si sono svolte le catechesi; il tema trattato è stato L’educazione del bambino, tratto dal testo di Maria Montessori Dio e il bambino che ci ha lasciato dei preziosi spunti di riflessione, soprattutto ai genitori presenti, nonni ed educatori. Ed ecco riassunti i suoi più incisivi insegnamenti: il bambino deve suscitare un profondo rispetto, in particolare dopo il Battesimo, perché rinasce a vita nuova in Cristo e diviene vero figlio di Dio; non sarà più un possesso geloso di chi lo ha procreato ma piuttosto apparterrà a Dio e dovrà essere educato secondo il piano divino. Gli educatori dovranno rispettare i bisogni reali del bambino come qualche cosa che Dio ci dice di soddisfare e la vera mentalità pedagogica significa realizzare la stessa Sapienza Divina; se essi riconosceranno la chiamata Divina ad aiutare il bambino nella sua crescita, si metteranno al servizio dei piani di Dio, come suoi collaboratori. Solo il riconoscimento di Dio con le Sue esigenze, i Suoi diritti e i Suoi desideri nei bambini, ci renderà capaci di vivere veramente per loro, rinunciando a noi stessi, al nostro egoismo, al desiderio di dominio e di potere. Il vero rispetto del bambino è possibile solo quando si rispetta Dio presente nel bambino. Anche l’educazione soprannaturale diviene una stretta collaborazione con la grazia Divina e l’educatore deve avere l’intento costante di dirigere il bambino in modo da poterlo mettere sotto l’influsso della forza formativa della grazia di Dio. La crescita soprannaturale è collegata con quei mezzi di sviluppo che Dio stesso ha fissati, di cui i più importanti sono la preghiera e i Sacramenti. In parallelo al pensiero della Montessori, Padre Paolo ci ha presentato e letto la lettera che Benedetta scrisse pochi mesi prima della sua morte, il 25 ottobre 1963, alla sua amica Paola, una maestra che probabilmente si trovava in difficoltà nel gestire i suoi alunni. Benedetta scriveva: «Cara Paola non farti del male pensando che nella scuola non hai abbastanza autorità con i tuoi scolaretti, loro devono attingere da te soprattutto la pazienza e questa saprà miracolosamente correggerli, ne sono certa. Voglia bene a quelle piccole formiche di Dio perché il cielo si riflette su di loro». Da queste poche righe emerge il pensiero di Benedetta riguardo ai bambini e la necessità di rispettarli perché appartengono a Dio, sono le sue “formichine”. E proprio ai bambini, in questa settimana, è stato dedicato ampio spazio, organizzando la loro giornata che era scandita da momenti di preghiera, insieme agli adulti, alternati ad altri maggiormente ricreativi in cui si dedicavano a colorare, disegnare, scrivere pensieri, esprimendosi liberamente; avevano all’interno dell’antica villa, annessa alla chiesa di Sant’Andrea, un angolino tutto proprio, dove poter sprigionare la loro creatività e fantasia. Anche i più piccoli giocavano, correvano all’aperto e si divertivano nel grande prato accanto alla Badia, sotto lo sguardo attento dei propri genitori o dei fratellini e sorelline più grandi, a cui venivano talvolta affidati per responsabilizzarli. Non sono mancati momenti di gioco, in cui grandi e piccoli insieme si sono sfidati nella grande ed entusiasmante partita di calcio, un vero e proprio torneo che ha visto infine pareggiare le due squadre concorrenti… né vincitori, né perdenti! Immancabile anche la visita agli anziani presso la Casa di cura di Castrocaro, a cui abbiamo dedicato qualche ora del nostro pomeriggio, animata da canti, balli, preghiere e proprio i bambini sono stati i principali animatori, sentendosi investiti di un incarico importante nel portare un po’ di sollievo agli anziani ospiti. Si sono impegnati per regalare loro braccialetti colorati, realizzati con le loro mani, dei cartoncini con frasi tratte dal Vangelo; hanno anche spiegato ed illustrato, attraverso dei pannelli, i principali momenti della vita di Benedetta Bianchi Porro. Ma l’evento importante che sicuramente ha caratterizzato questa settimana è stato quel “60” che ha accomunato, in modo misterioso, la vita di Don Costa, nel sessantesimo anno di sacerdozio, a quella di Padre Paolo nel suo sessantesimo compleanno. Una settimana di preghiera e di riflessione accanto a Benedetta, guardando la sua breve vita, il suo esempio luminoso, l’abbandono fiducioso in Dio, ci ridona la forza per continuare il nostro cammino, rinnovando quotidianamente il nostro sì al Signore, di nuovo capaci di essere umili strumenti nelle Sue mani. 26 ■ l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78 Chi crede... cammina! di SOFIA CARLONI Sono le 22:50. E guardando le stelle ho pensato a voi amici di Benedetta, a Benedetta, che è sicuramente una di quelle, una delle più luminose. È guardando le stelle che ho cominciato a sentire il bisogno, la voglia di raccontarvi cos’è successo quest’estate nella mia vita... qualcosa di particolare... qualcosa di bello. Tutto è buio qui, all’Eremo di San Liberato, un Santuario francescano che si trova a San Ginesio (Mc), dove sono in ritiro con il corso Terra dei Fioretti. Tutto è silenzio. E, prima di mezzanotte, prima dell’alzata notturna per l’Adorazione con i frati, ricordi, volti, parole dette, altre ascoltate, momenti vissuti, invadenti mi afferravano il pensiero. Tra tutti gli altri si fa spazio un ricordo particolare, recente, ancora ardente: la Marcia Francescana, un cammino di nove giorni per le strade marchigiane percorse da San Francesco, che si conclude il 2 agosto, per la giornata del Perdono d’Assisi, nella Porziuncola, l’antica chiesetta di San Francesco custodita tra le mura della Basilica di Santa Maria degli Angeli. Con il Perdono di Assisi, dopo aver recitato il Credo, e un Pater, Ave, Gloria accompagnati dalla Confessione, entrando in Porziuncola, si ottiene l’indulgenza plenaria. La chiese proprio San Francesco al Papa Onorio e vale la pena consultare Le Fonti Francescane al passo dell’Indulgenza della Porziuncola per rivivere il momento in cui tale giorno divenne il Giorno del Perdono, ancora oggi pieno della sua forza originaria. Nessun documento ufficiale chiese Francesco per istituire questa indulgenza, ma disse al Papa: «Mi basta la vostra parola, se è opera di Dio, Dio stesso deve manifestare la Sua opera. Non voglio nessun altro documento di essa, ma la carta sia solo la beata Vergine Maria, il notaio sia Gesù Cristo, e gli angeli siano testimoni». Così siamo arrivati davanti a Santa Maria degli Angeli, noi, 110 ragazzi tutti per mano, immersi in una marea di gente che ci stava attendendo, applaudendo, accogliendo. Noi, piccolo gruppo tra tanti prove- nienti dall’Italia e non solo lì, a chiedere perdono a Dio, pronti dopo grande fatica ad essere liberati da ogni colpa commessa dal giorno del nostro battesimo fino all’entrata nella chiesa, con le lacrime agli occhi, gioia nel cuore e spalle piegate da zaini pesanti. Un cammino che è metafora della vita, durante la quale fai incontri, conosci, hai paura, ti senti solo, condividi, ti scoraggi, vuoi mollare, ce la fai. Sì, ce la fai, ma non da solo. È infatti un’esperienza che ti fa riscoprire creatura, infinitamente piccola, infinitamente limitata. Per ogni piccola cosa hai bisogno dell’altro, e l’altro è colui che ti fa capire che senza Dio non sai stare. Per tutti questi giorni abbiamo vissuto di niente: pochi vestiti, un solo paio di scarpe, nessuna televisione disturbava le nostre ore e il cibo doveva bastare per tutti, eppure, eravamo tutti ‘inspiegabilmente’ felici. Dalle 4 di mattina, l’orario in cui ci svegliavamo, a mezzanotte, quando ognuno tornava nel suo sacco a pelo, per terra, l’uno ser- viva l’altro, l’uno sorrideva e amava l’altro pur conoscendolo appena, perché con l’altro stava condividendo qualcosa di unico, che indubbiamente li legava. E poi marciavamo, per 20 o 25 km ogni mattina, verso un’Assisi che ci attendeva paziente. Molte sono state le catechesi che, insieme alle preghiere, scandivano le nostre giornate, tutte legate da un unico tema: il desiderio, questo grandissimo atto di volontà che è comune a molti audaci, Gesù compreso! Un po’ come l’amore, un nome sicuramente noto a tutti, ma un concetto proprio di pochi: Dio è amore ma non ogni amore è Dio. Ognuno di noi cerca un affetto stabile che ci fa compiere un meraviglioso salto di qualità. Nel cuore sentiamo un desiderio di appartenenza, non che qualcuno ci appartenga, ma che noi possiamo appartenere a qualcuno! Non si può vivere dunque di continui ed eterni innamoramenti guidati dal sentimento e basta. Il Signore ci manda persone, e tra queste c’è il “volto stabile” che cerchiamo! Sta a noi riconoscerlo tra tutti e sceglierlo! Come aveva perfettamente capito Benedetta, soltanto se ti doni completamente riuscirai a trovare qualcuno in risonanza con te, come i suoi amici per esempio! C’è invece chi sta sempre con se stesso, si copre di maschere e così è sempre e irrimediabilmente triste! Invece chi ‘rischia’ per amore, come Gesù, per seguire un progetto o un ideale buono che fa circolare positivamente la vita, è sempre benedetto e protetto da Dio, che lotterà al suo fianco! Questi sono i miei pensieri di stanotte. Questo mi hanno detto le stelle. È qui, in questa piccola stanzetta lontana da tutti ma non da Dio, che ho pensato alla bellezza delle cose, della vita che forse mi aspetta. Ma anche se dovesse essere questo il mio ultimo cielo stellato, dico grazie a Dio per averlo reso stanotte così luminoso. La vostra Sofia l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78 ■ 27 Testimonianze Dall’amica Concettina Giunta riceviamo la bella testimonianza, provvidenzialmente ritrovata, di un sacerdote di Caltanissetta che ha conosciuto Benedetta a Sirmione nel 1962 e non l’ha più dimenticata. Caltanissetta, 18 novembre 2000 Nel 1962, assieme ad alcuni giovani di Azione Cattolica, ho avuto modo di vedere per circa 30 minuti Benedetta nella sua residenza a Sirmione presso il lago di Garda. È stato un incontro puramente casuale, ma personalmente l’ho sempre ritenuto un incontro provvidenziale, una grazia, concessami dalla bontà del Signore. Non conoscevo Benedetta, ma da quel giorno è rimasta sempre presente e viva nella mia mente e nel mio cuore. Anche dopo la sua morte, avvenuta poco più di un anno dopo, la ricordo sempre come l’ho vista in quel pomeriggio di settembre. Sono rimasto profondamente edificato e mentre la invoco ogni giorno, sono certo che lei già partecipa della gloria dei santi. Due cose mi hanno particolarmente colpito: la sua gioia e la vasta rete di amicizie che riusciva a tessere, specialmente con i giovani, dal letto della sua malattia. Nonostante l’aggravarsi progressivo del male, lei era d’una serenità disarmante e lasciava trasparire la gioia profonda dello spirito. Anche il suo corpo martoriato, privato ormai di ogni sensibilità percettiva, sembrava partecipe di questa gioia ineffabile, attratto come da una corrente di grazia. Pochi come lei hanno cantato le meraviglie della vita. Ma per lei la gioia del vivere era ben più che un sentimento naturale: era il ringraziamento per la partecipazione al salire eterno dell’universo verso il suo compimento divino. Era la gioia della fede e dell’amore, la gioia per la bellezza del mondo, per l’incanto delle stagioni, per le piccole, felici cose quotidiane, per le vacanze, per gli anniversari, per la fragranza di un fiore; tutto per lei era grazia e un rendimento di grazia per il dono della vita. La malattia non oscurava minimamente la luce della sua anima, né smorzava la gioia che sperimentava nel dolore, gioia che in lei nasceva non solo dalla rassegnazione e dalla sofferenza accolta con amorosa fiducia, ma dalla consapevolezza di essere amata da Dio, perché Dio è amore e può rendere gioia ogni pena, e vita la stessa morte. Nel suo muto linguaggio, nella immobilità quasi assoluta del corpo, mi è sembrato di capire che Benedetta si offriva continuamente al Signore come se il Signore non le chiedesse nient’altro che di essere contenta. Per questo manteneva rapporti con molte persone: i giovani e le ragazze si sentivano particolarmente attratti dal fascino della sua spiritualità e della sua personalità. Nei pochi minuti che rimasi nella sua stanza, fu un accorrere di giovani che andavano e tornavano facendo a gara per starle vicino e per ricevere da lei un segno di accoglienza e di amore. Erano compagni di università, erano amici e amiche che una volta conosciutala non riuscivano più a staccarsene perché da lei ricevevano incitamento al bene, a lottare con tutte le loro forze per dare ragione della loro speranza. Tale rete di amicizie ha lasciato in me il segno; e ora che sono avanti negli anni (sono trascorsi quasi 40 anni) capisco che non sono né l’organizzazione, né le svariate strategie pastorali che possono tenere legati i giovani ai valori perenni della vita cristiana, quanto una testimonianza sincera e silenziosa, che però lascia trasparire il fascino dello spirito e una ricchezza interiore che dà pace e gioia. Grazie Benedetta di tanto bene; tu sei stata un dono del Signore alla Chiesa. Mons. Liborio Campione 25 maggio 2014 Tutto comincia con una gita a Montepaolo, all’eremo di Sant’Antonio, quando alcuni amici di Roma vi accompagnano una coppia di cingalesi, originari cioè dalla lontana isola di Ceylon, all’estrema punta sud dell’India. La gita prosegue a Dovadola con la visita al sarcofago di Benedetta. E poi? Gli amici ci informano che i due cingalesi: «Non avevano figli e hanno pregato a lungo nella Badia. La stessa sera è stata concepita Benedetta, la bambina nella foto». Grazie, Benedetta, e auguri di ogni bene alla piccola Benedetta ed ai suoi genitori e agli amici con Massimo Prosperi che ci ha informati! 28 ■ l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78 Testimonianze Attilio Gardini ci racconta di un suo viaggio estivo a Sirmione alla ricerca delle tracce di Benedetta. Dal suo itinerario cogliamo la seguente testimonianza. Luglio 2014 Presto giungiamo alla chiesa di “Sant’Anna della rocca”, che è una piccola cappella costruita nei pressi del castello scaligero. Dedicata alla madre della Madonna, fu edificata nel Quattrocento al servizio della guarnigione veneta posta a difesa del fortilizio. All’interno, prima di ammirare gli affreschi del Cinquecento, un dipinto su pietra raffigurante Maria santissima e una icona con i Santi Gioacchino e Anna, il nostro occhio è rapito dal quadro che mostra il ritratto di Benedetta eseguito da Pietro Annigoni. Sì, ci siamo…, sulla balaustra molti santini di Benedetta che riportano anche la fotografia della lapide in memoria del soggiorno a Sirmione della nostra Venerabile. Ci sembra che le mura siano impregnate di suppliche elevate dai fedeli per tanti secoli e ci viene spontaneo innalzare Sirmione - Chiesa di Sant’Anna un’invocazione a Benedetta, mostrando a lei i nostri problemi familiari, tanto che la preghiera esce istintiva dall’animo, ponendoci in confidenza presso lei come fosse una cara sorella. Accendo una candela, poi scrivo un saluto e una richiesta di intercessione sul libro delle presenze ed esco col cuore gonfio di dolcezza. Oltrepassata la rocca di epoca scaligera, unico punto d’accesso al centro storico di Sirmione, ignoriamo la trafila di negozi che incuriosiscono i turisti, quindi giunti ad un bivio puntiamo a destra dove raggiungiamo in via Catullo, 5, “Hotel Meridiana” che sul muro esterno mostra la lapide marmorea con la scritta: “In questa casa Benedetta Bianchi Porro, segnata dalla Croce, ha compiuto il cammino di trasfigurazione verso il grande incontro con Dio. La comunità di Sirmione pose, il 17 novembre 1996”. Siamo a conoscenza che all’età di 15 anni Benedetta si trasferì a Sirmione e che quello che oggi è l’Hotel Meridiana un tempo era la sua casa. Sappiamo anche che la sua esistenza terrena si chiuse il 23 gennaio 1964 e proprio in questo giorno e in questo giardino sbocciò una bellissima rosa bianca. Ancora oggi presso l’Hotel Meridiana è conservata la stanza che era la sua camera, aperta a chiunque sia interessato a visitarla, e l’aiuola con la “Rosa Bianca di Benedetta”, sbocciata la prima volta nel gennaio di cinquant’anni fa. Alla re- In copertina Il quadro scelto per la copertina di questo numero de «l’annuncio» è di Corrado Catani, dovadolese che vive e lavora a Milano come architetto. L’opera fa parte della mostra attuata dagli “Artisti Corrado Catani, Il buio e la luce, dovadolesi” per il 50º an- 2014, acrilico e cemento, cm 50x50 no della morte di Benedetta. Quando ho visto il lavoro, mi è subito venuto in mente il passo di Isaia (9,1) riportato in copertina, e mi è sembrato perfetto per questo numero di Natale. Il quadro in realtà rappresenta Dovadola, descritta con pochi segni colorati. È il luogo in cui Benedetta ha trascorso momenti felici della sua fanciullezza, prima che il buio prendesse il sopravvento con il dolore e la fatica di vivere. La parte materica, nera, copre copre gran parte del dipinto, illuminato, secondo l’Autore, da un raggio di luce che esplode con la morte fisica di Benedetta e trasforma il suo spirito in una stella che continua a brillare anche ai nostri giorni. È un quadro essenziale, profondo, evocativo, che ci mette di fronte al mistero della sofferenza e della morte con un impatto visivo fulmineo. Ma c’è anche quella luce in cielo che trasmette speranza, gioia vera, al di là delle frivolezze che questo tempo di Avvento, sempre più pieno di luci artificiali ci vuole imporre. Roberta B. ception, infatti, sembra ci aspettassero e ci conducono al primo piano dell’albergo dove tra le stanze 101 e 103 c’è una porta che rimane sempre aperta. Un ritratto di Benedetta, incorniciato in oro, ci conferma che siamo nel posto giusto, un inginocchiatoio, un tappeto, un tavolino già apparecchiato per l’Eucaristia, la rosa bianca e un quaderno dove gli ospiti lasciano le loro invocazioni. Spontaneamente nascono preghiere e ringraziamenti rivolti alla nostra Venerabile. (Foto Laura Pedicini) l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78 ■ 29 Testimonianze Ringraziamo Luigi Riceputi che ci manda altri due esempi che testimoniano, in tempi diversi, l’ispirazione che Benedetta dà alla sua poesia. Ringraziamo molto il poeta cesenate e l’amico Attilio Gardini che ci ha trasmesso i testi. Passando per Casticciano in un giorno d’inverno Perduta la strada diretta ne prendo una che mi porta davanti alla casa dove trascorse l’infanzia la ragazza beata Benedetta. La stessa emozione provata passando davanti a quella della mia fanciullezza… Ardono i fuochi nei campi, ma l’anima si scalda soltanto alla fiamma che arde nel cuore dei santi. Casticciano - Uno scorcio dalla casa di Benedetta Luigi Riceputi (5 dicembre 1989) *** Piccolo commento in versi alla frase sublime di Benedetta, vergata in limine mortis con mano tremante come foglia sfiorata dal vento dello Spirito, e incisa dallo scalpello del dolore con scritta infantile nell’alabastro della sua anima: Il dolore è stare con la Madonna ai piedi della Croce. Il cammino verso la luce ai piedi della croce conduce. Una sosta nel deserto che fiorisce. Sboccia tra le spine come una rosa alla fine sulla vetta del Calvario la parola della piccola donna dei dolori Benedetta. Luigi Riceputi (11 luglio 2014) Agosto 2014 Sono contenta che il Signore mi abbia finalmente riempito il cuore della sua pace. Cerco di amare Dio, che per me è Padre e Madre, con l’amore di una figlia. Se a volte ho sbagliato perdendo la pazienza o il coraggio, non voglio sprecare tempo a considerare i miei errori: ciò che conta è “ripartire” con la forza e il coraggio che vengono da Dio. Lui è un Padre immensamente meraviglioso e questo lo sto scoprendo sempre meglio grazie al mio padre spirituale, all’ascolto della Parola, al dono dell’Eucarestia e alle varie esperienze di tipo religioso che ho fatto e continuo a fare. La scorsa estate, dal 3 al 9 agosto, ho avuto la gioia e la fortuna di vivere un’esperienza molto bella. A Dovadola, ho conosciuto meglio la Venerabile Benedetta Bianchi Porro di cui avevo già sentito parlare. La sua forte fede mi ha subito colpito, affascinato e ho provato a specchiarmi in Lei. Anch’io, come Benedetta, ho dovuto superare prove molto impegnative, ma esse non hanno inasprito il mio carattere, anzi lo hanno addolcito rendendomi più matura, più affabile, più consapevole dei doni ricevuti. Alleandomi con Gesù, ho sperimentato che Lui ha sempre il potere di contagiare di gioia il mio cuore anche nelle prove più terribili e questa gioia penetra così profondamente nel mio intimo. La Venerabile Benedetta mi ha anche aiutato a capire meglio che, sulla terra, tutto è una brevissima passerella, per chi vuole sfrenatamente godere, ma sicura per chi vuole cooperare con Lui per raggiungere la salvezza. Infatti, io desidero vivere ogni giornata con i piedi sulla terra ma lo sguardo dell’anima rivolto spesso al cielo, perché legandomi troppo alle cose materiali di questo mondo, mi sento meno libera e più misera. Da quando il Signore mi ha afferrato, le mie paure non mi soffocano più: io sono tranquilla tra le Sue braccia, so che la luce tornerà e non devo fare altro che accogliere il Suo amore misericordioso perché solo Lui mi conosce nel profondo. La fiducia in Dio, l’abbandono in Lui è per me una grande conquista e desidero ardentemente fidarmi della Sua bontà. Come Benedetta, voglio essere una donna forte, serena, gioiosa, spontanea, dinamica, sicura di sé, ma questi frutti meravigliosi possono maturare, nella mia vita, solo se mi lascio conquistare e riscaldare dall’amore del Signore. Anna Collina 30 ■ l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78 Grazie Benedetta! Misilmeri, 6 agosto 2014 Mi chiamo Giuseppa, ho 49 anni e vivo a Misilmeri, un paesino distante pochi chilometri da Palermo. Voglio raccontarvi come ho conosciuto la Venerabile Benedetta e come ho ottenuto la grazia che ho chiesto. Circa due mesi fa, una domenica che precedeva il 7 giugno, mi trovavo con i miei genitori in chiesa a Portella di Mare, una frazione di Misilmeri, per assistere alla Santa Messa, come tutte le domeniche. Nel prendere posto, sui banchi si trovavano le immaginette di Benedetta. Ne presi una e lessi la sua biografia; mi colpirono tanto la sua bellezza e il suo amore per la vita. Tornando a casa, la poggiai sul mio comodino, non pensando che avrei avuto bisogno di lei da lì a pochi giorni. Infatti la domenica successiva, arriva a casa una chiamata da Gela di mia sorella che in lacrime ci avverte che il marito R., che si trovava a Lodi per lavoro, veniva trasportato Peter Fellin in Ospedale a Civitavecchia, in terapia intensiva, in pericolo di vita, colpito da una grave polmonite che lo potrebbe portare alla morte, visto che è un trapiantato di cuore. Dopo due giorni di degenza in Ospedale, viene trasportato al “San Camillo” di Roma con l’elisoccorso, visto che la situazione sta precipitando. Immaginate il dolore e la paura di tutti noi, nel pensare mia sorella lì da sola a Gela con le ragazzine che presto avrebbero perduto il loro papà. Io, in quel momento così disperato, mi sono ricordata di Benedetta e, con le lacrime agli occhi, cominciai a pregare davanti alla sua immaginetta, supplicandola di salvare R.. Dopo circa un mese, mio cognato si sveglia dal coma farmacologico e comincia a migliorare giorno dopo giorno. Sono trascorsi due mesi e finalmente mio cognato è guarito. Adesso ci parla pure al telefono, i medici presto lo dimetteranno e potrà finalmente tornare a casa dalla sua famiglia. Grazie a Benedetta, Gesù ha guarito Rocco. Le sue preghiere sono state esaudite. Non finirò mai di ringraziare Benedetta e continuerò a pregare Gesù per vederla al più presto glorificata. Grazie Benedetta! Ti voglio tantissimo bene! Ti ringrazio tantissimo! Giuseppa P. Accompagniamo anche con la nostra preghiera il lavoro del Postulatore, del Vice Postulatore e di tutti coloro che sono impegnati nella causa per la beatificazione di Benedetta. Importante è anche la segnalazione di nuove grazie ottenute con l’intercessione di Benedetta. Auguriamo a tutti i nostri lettori un Natale sereno e un Anno Nuovo ricco di speranza Preghiera per la glorificazione di Benedetta Bianchi Porro Padre nostro, noi ti ringraziamo per averci donato in Benedetta una cara sorella. Attraverso la gioia e il dolore di cui hai riempito la sua breve giornata terrena, Tu l’hai plasmata quale immagine viva del tuo Figlio. Con Benedetta al nostro fianco ti chiediamo, Padre, di poterci sentire più vicini a te e ai fratelli, nell’amore, nel dolore e nella speranza. In una accettazione piena e incondizionata del tuo disegno. Fa’ che la sua testimonianza così radicale della potenza salvifica della croce c’insegni che il dolore è grazia e che la tua volontà è gioia. Concedi, o Padre, la luce del tuo Spirito alla Chiesa, affinché possa riconoscere Benedetta fra i testimoni esemplari del tuo amore. Questa grazia ...... che per sua intercessione umilmente ti chiedo, possa contribuire alla glorificazione della tua serva Benedetta. Amen. con approvazione ecclesiastica l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78 ■ 31 Prossimi appuntamenti DoVADoLA – ABBAZIA DI S. ANDREA DOMENICA 25 GENNAIO 2015 ore 10,30 per il 51º anniversario della nascita al cielo di BENEDETTA Solenne Concelebrazione Eucaristica presieduta da S. E. Card. GIUSEPPE VERSALDI Prefetto degli Affari economici della Santa Sede con la partecipazione dell’ordinario S. E. Mons. LINo PIZZI Vescovo di Forlì-Bertinoro ore 12,30: pranzo insieme nella casa di accoglienza “Rosa bianca” di Dovadola «Un giorno capiremo il perché di ogni cosa, raccoglieremo cantando, ora ci abbandoniamo nel tuo amore fedele, Padre, come preghiere in cammino». BENEDETTA A S I R M I O N E Nella stanza di Benedetta all’Hotel Meridiana in via Catullo 15, sarà celebrata il 23 GENNAIO 2015 alle ore 10 una S. Messa commemorativa della Venerabile 32 ■ l’annuncio (XXIX) dicembre 2014 – n. 78 Foto Amati L’ annuncio è sostenuto soltanto con le offerte degli Amici. Un grazie di cuore a tutti i benefattori che, con il loro aiuto e la loro generosità, ci permettono di continuare la diffusione del messaggio di Benedetta nel mondo. I M P O R T A N T E Chi desidera partecipare al pranzo di domenica 25 gennaio 2015 alla “Rosa bianca” è pregato di rivolgersi a “Amici di Benedetta”, Casella Postale 62, 47013 Dovadola, o di telefonare a Don Alfeo Costa, parroco di Dovadola, 0543 934676: tel., fax e segreteria telefonica entro il 20 gennaio 2015. Chi avesse bisogno di alloggiare presso la “Rosa Bianca” è pregato di interpellare direttamente il gestore Moreno Pretolani telefonando al n. 349 8601818. In lingua straniera «BEYOND SILENCE» («Oltre il Silenzio» in inglese) «Amici di Benedetta» Forlì «MAS ALLA DEL SILENCIO» («Oltre il Silenzio» in spagnolo) «Amigos de Benedetta» Bilbao «MAS ALLA DEL SILENCIO» («Oltre il Silenzio» in spagnolo) Ed. Claretiana - Buenos Aires «AU DELÀ DU SILENCE» («Oltre il Silenzio» in francese) Editions de l’Escalade - Paris «UBER DAS SCHWEIGEN HINAUS» («Oltre il Silenzio» in tedesco) Freundeskreis «Benedetta» - Hamburg «CUDO ZIVOTA» («Il Volto della Speranza» in croato) a cura di Srecko Bezic - Split «OBLICZE NADZIEI» («Il Volto della Speranza» in polacco) Romagrafik - Roma «ALÉM DO SILÊNCIO» («Oltre il Silenzio» in portoghese) Ed. Loyola - San Paulo «TRANS LA SILENTIO» («Oltre il Silenzio» in esperanto) Cesena - Fo «DINCOLO DE TACERE» («Oltre il Silenzio» in rumeno) Chisinau, Rep. Moldava «SESSIZLIGIN IÇINDEN» («Oltre il Silenzio» in turco) Iskenderun «TÙLA CSENDEN» («Oltre il Silenzio» in ungherese) Budapest, 1997 «OLTRE IL SILENZIO» in giapponese - Tokio «OLTRE IL SILENZIO» in arabo - Beirut «OLTRE IL SILENZIO» in ebraico «OLTRE IL SILENZIO» in russo - Bologna «OLTRE IL SILENZIO» in cinese - Taipei «OLTRE IL SILENZIO» in maltese - La Valletta «OLTRE IL SILENZIO» in slovacco - Trnava «OLTRE IL SILENZIO» in swahili - Nairobi «BENEDETTA» M.G. Dantoni, opuscoli in inglese, francese, spagnolo, russo, tedesco, thailandese, ucraino, bulgaro «BENEDETTA» opuscolo in indonesiano, a cura di Fr. Antonio Carigi Per conoscere Benedetta SIATE NELLA GIOIA - Diari, lettere, pensieri di Benedetta Bianchi Porro, a cura e con introduzione di David M. Turoldo - Cesena «Amici di Benedetta» - Villanova del Ghebbo (Ro) - pp. 255. IL VOLTO DELLA SPERANZA - Note biografiche. Lettere di Benedetta e lettere di amici a Benedetta. Testimonianze di amici che l’hanno conosciuta, a cura di Anna Cappelli - Cesena - «Amici di Benedetta» pp. 480. OLTRE IL SILENZIO - Note biografiche. Diari e lettere di Benedetta. Lettere degli Amici a Benedetta. Testimonianze di chi l’ha conosciuta, a cura di Anna Cappelli - «Amici di Benedetta» - pp. 168. TESTIMONE DI RESURREZIONE - Pensieri di Benedetta disposti seguendo il suo itinerario spirituale, a confronto con passi della Sacra Scrittura, presentazione di Enrico Galbiati - Cesena - «Amici di Benedetta» - pp. 152. PENSIERI 1961 - Pensieri autografi di Benedetta, tratti dal suo diario Forlì - «Amici di Benedetta» - pp. 180. PENSIERI 1962 - Pensieri autografi di Benedetta, tratti dal suo diario Ravenna - «Amici di Benedetta» - pp. 200. BENEDETTA BIANCHI PORRO - I suoi volti - Gli ambienti - I documenti, a cura di P. Antonino Rosso - «Amici di Benedetta» 2006 - pp. 255. VIVERE È BELLO - Appunti per una biografia di Benedetta Bianchi Porro, di Emanuela Ghini, presentazione del Card. A. Ballestrero - Cesena - «Amici di Benedetta» - pp. 200. BENEDETTA - Sintesi biografica a cura di Maria G. Dantoni - Stilgraf Cesena - pp. 32. BENEDETTA di Alma Marani - Stilgraf - Cesena - “Amici di Benedetta” pp. 48. BENEDETTA BIANCHI PORRO di Walter Amaducci - Stilgraf - Cesena, 2012 - pp. 30. BENEDETTA BIANCHI PORRO di Walter Amaducci - Stilgraf Cesena, 2014 - pp. 30 (in lingua inglese). BENEDETTA BIANCHI PORRO di Andrea Vena. Biografia autorizzata Ed. S. Paolo - pp. 221. SCRITTI COMPLETI di Benedetta Bianchi Porro, a cura di Andrea Vena Ed. San Paolo - pp. 815. ABITARE NEGLI ALTRI - Testimonianze di uomini di oggi su Benedetta, lettere, discorsi, studi, meditazioni - Cesena - «Amici di Benedetta» - pp. 416. LA STORIA DI BENEDETTA - Narrata ai bambini, di Laura Vestrucci con illustrazioni di Franco Vignazia - «Amici di Benedetta» - pp. 66. DIO ESISTE ED È AMORE - Veglia di preghiera sulla vita di Benedetta di Angelo Comastri - «Amici di Benedetta» - pp. 33. OGGI È LA MIA FESTA - Benedetta Bianchi Porro nel ricordo della madre, di Carmela Gaini Rebora - Ed. Dehoniane - pp. 144 - Ristampato. BENEDETTA BIANCHI PORRO - LETTERA VIVENTE - Scritti di sacerdoti e di religiosi alla luce della parola di Benedetta - Cesena «Amici di Benedetta» - pp. 256. BENEDETTA O LA PERCEZIONE DELLA GIOIA - Biografia di Timoty Holme - Gabrielli Editore, Verona - pp. 230. APPROCCIO TEOLOGICO AL MISTERO DI BENEDETTA BIANCHI PORRO del Card. Giacomo Biffi - Cesena - «Amici di Benedetta». BENEDETTA BIANCHI PORRO di Piero Lazzarin, Messaggero di Sant’Antonio - Padova 2006 - pp. 221. IL SANTO ROSARIO CON BENEDETTA a cura della Parrocchia di Dovadola. L’ANELLO NUZIALE - La spiritualità “sponsale” di Benedetta Bianchi Porro, di E. Giuseppe Mori, Quinto Fabbri - Ed. Ave, Roma 2004 pp. 107. CASSETTA REGISTRATA DELLE LETTERE DI BENEDETTA a cura degli «Amici di Benedetta». CARO LIBRO - Diario di Benedetta, illustrato con 40 tavole a colori dagli alunni di una IV elementare di Lugo (Ra) con presentazione di Carlo Carretto e Vittorio Messori - pp. 48 formato 34x49 Ed. Morcelliana. ERO DI SENTINELLA di Corrado Bianchi Porro. La lettera di Benedetta nascosta in un libro - Ed. S. Paolo. QUALCHE COSA DI GRANDE di Walter Amaducci - Ed. Stilgraf, Cesena 2009 - pp. 120. I DOLCI VOLTI DI DIO di Maria Grazia Bolzoni Rogora - Ed. Stilgraf, Cesena 2014 - pp. 156. FILMATO SU BENEDETTA (documentario) in videocassetta. DVD BENEDETTA BIANCHI PORRO - Testimonianze (filmato in Dvd). L’ANNUNCIO - semestrale a cura degli «Amici di Benedetta». LETTERA A NATALINO di Benedetta Bianchi Porro. Illustrazioni di Roberta Bössmann Amati - Ed. Stilgraf Cesena - pp. 24. BENEDETTA BIANCHI PORRO Un cammino di luce di Piersandro Vanzan, Prefazione del Card. Angelo Comastri, Editrice Velar, Gorle (BG), 2011 - pp. 48. QUADERNI DI BENEDETTA 1 - Benedetta Bianchi Porro. Il cammino verso la luce, di don Divo Barsotti, Fondazione Benedetta Bianchi Porro e Associazione per Benedetta Bianchi Porro, 2007 - pp. 46. QUADERNI DI BENEDETTA 2 - Benedetta Bianchi Porro. Dio mi ama, di Angelo Comastri, Fondazione Benedetta Bianchi Porro e Associazione per Benedetta Bianchi Porro, 2008. Postulatore della Causa di Beatificazione Padre GUGLIELMO CAMERA Missionari Saveriani - Via Angaia, 7 - 48125 S. Pietro in Vincoli (RA) tel. 0544 551009 - cell. 333 2902646 - e-mail [email protected] Vice Postulatore della Causa di Beatificazione Don ALFEO COSTA Via Benedetta Bianchi Porro, 6 - 47013 Dovadola (FC) tel. e fax e segreteria 0543 934676 - e-mail [email protected] Per comunicare con noi, per richiedere libri o altro materiale potete rivolgervi a: AMICI DI BENEDETTA Casella postale 62 - 47013 Dovadola (FC) - Tel. 0543 934676 E-mail: [email protected] oppure [email protected] – http: //www.benedetta.it c/c postale 1000159051 (Codice IBAN IT 88 Y 07601 13200 001000159051) intestato a Fondazione Benedetta Bianchi Porro Forlì D. Lgs 196/03 “Codice in materia di protezione dei dati personali” - Il suo indirizzo fa parte dell’archivio de “l’annuncio”. In virtù di questo, nel pieno rispetto di quanto stabilito dal D.Lgs 196/03 “Codice in materia di protezione dei dati personali” lei ha l’opportunità di ricevere la nostra rivista. 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