Sul plagio letterario, artistico e musicale: la giurisprudenza italiana

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Sul plagio letterario, artistico e musicale: la giurisprudenza italiana
Sul plagio letterario, artistico e musicale:
la giurisprudenza italiana dal 1856 ad oggi
A cura di Roberto Caso e Giulia Dore
CORTE D’APPELLO di MILANO
1 giugno 2004
Rossi c. Fiorello
(Sentenza integrale)
AIDA, 2004, 891
Sul plagio letterario, artistico e musicale: la giurisprudenza italiana dal 1856 ad oggi (a cura di Caso, R., Dore, G.)
CORTE D' APPELLO DI MILANO
1 giugno 2004 - Pres. TROMBETTI - Est. TAVASSI - Annamaria Rossi (avv.ti Serafino, Zambet)
c. Rosario Fiorello (avv.ti Ghetta, Fauda, Pamphili, Bambelli), Piero Cassano (avv.ti A. Pojaghi, G.
Pojaghi).
(Omissis). L'ammissibilità e la rilevanza dei capitoli di prova articolati a sostegno delle domande
proposte nel giudizio. È quanto diligentemente è stato fatto dal giudice monocratico del
Tribunale, il quale, dopo aver escluso l'ammissione delle prove in sede istruttoria (all'udienza del
19.6.2001, con particolare riferimento alla memoria istruttoria depositata da parte attrice il
15.5.2001), avendo ritenuto la causa matura per la decisione, in sede di stesura della motivazione
della sentenza ha ritenuto che il giudizio negativo formulato circa la censura di plagio, in forza
della diligente comparazione dei testi giudicati più significativi dalla stessa attrice, consentisse di
definire il giudizio senza far luogo all'assunzione delle prove.
La Corte condivide pienamente tale valutazione. Non può in astratto mettersi in dubbio il
potere del giudice di non disporre l'assunzione delle prove, ove valuti che la causa sia matura per
la decisione, essendo tale facoltà espressamente a lui rimessa dall'art. 187 c.p. c.. La scelta è poi di
fatto da confermare, per evidenti ragioni di economia processuale sia in termini cronologici che di
conseguenti spese legali (essendo l'attrice, sig.ra Annamaria Rossi, già stata personalmente
danneggiata ed esposta a gravosissime spese legali dalla formulazione, sicuramente spropositata,
della richiesta di un risarcimento in ben 5 miliardi di lire, pari ad euro 2.582.284,50, che colloca
il valore della causa nello scaglione massimo previsto dalle tariffe professionali) nel rilievo che, se
è vero che la chiarificazione dei rapporti intercorsi fra le parti avrebbe potuto fornire un substrato
di credibilità alle affermazioni dell'attrice, circa la conoscenza e quindi l'utilizzazione dei suoi testi
per le canzoni oggetto della controversia, tuttavia, da un lato (come si dirà meglio in seguito), i
capitoli di prova non sono ammissibili né esaustivi sotto questo profilo, dall'altro, il riscontro dei
testi delle canzoni rispetto a quello delle poesie, porta comunque ad escludere che ricorrano nella
specie i presupposti del plagio.
Facendo riferimento ai capitoli dedotti nella memoria istruttoria depositata da parte attrice il
15.5.2001 si può rilevare che i capp. 1 , 4 e 6 appaiono del tutto generici ed irrilevanti al fine
della decisione, la circostanza dedotta nel cap. 2 è documentalmente provata (doc. 3 di parte
attrice), i capp. 3 e 5 invitano in sostanza il teste ad esprimere un giudizio circa l'interesse e
l'apprezzamento che Rosario Fiorello e/o altri - Giuseppe Fiorello e Antonio Germinaro avrebbero manifestato (quindi, una duplice percezione soggettiva, prima da parte di Giuseppe
Fiorello per quanto riguardava l'interessamento del fratello Rosario, il cui interesse ed
apprezzamento poteva essere attribuito anche a ragioni di semplice cortesia, e poi da parte del
teste circa l'atteggiamento manifestato da Giuseppe Fiorello e da Antonio Germinaro).
Il capitolato dedotto nella memoria depositata il 15.6.2001 e del quale fa parte la circostanza
(sulla quale particolarmente insiste la difesa dell'appellante) circa quanto riferito da tale Bassano a
proposito del fatto che i testi delle poesie sarebbero stati «rigirati», non solo non è stato
richiamato in sede di precisazione delle conclusioni, ma appariva comunque tardivo anche in
relazione ai termini assegnati ex art. 184 c.p.c., posto che tale circostanza non poteva dirsi
dedotta in replica rispetto alle circostanze articolate dalla controparte (nello specifico il solo
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convenuto che aveva dedotto prove era Cassano ed erano prove relative alla sua carenza di
legittimazione passiva).
Va considerato, inoltre, che in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado l'attrice
aveva concluso richiamando solo le conclusioni di cui all'atto di citazione, sia di merito che
istruttorie. In detto atto le conclusioni istruttorie erano sostanzialmente quelle di cui alla prima
memoria istruttoria. In base alle considerazioni svolte, il capitolato di prova articolato con l'atto
d'appello (che comprende i capitoli dedotti in entrambe le memorie istruttorie di primo grado)
appare parzialmente inammissibile anche in relazione all'art. 345 c.p.c.. Infatti, non può neppure
farsi ricorso al disposto del terzo comma di detto articolo (ammissibilità della prova
indispensabile) posto che la discrezionalità rimessa al giudice ai sensi di tale ultima disposizione
non può essere esercitata per sanare preclusioni o decadenze già verificatesi nel giudizio di primo
grado (Cass. 13.12.2000 n. 15716).
In ogni caso, assorbente rispetto ad ogni altro discorso è il giudizio, già espresso dal primo
giudice, e che in questa sede merita piena conferma, circa la superfluità dei mezzi istruttori
dedotti, in relazione della carenza dei requisiti per l'affermazione del dedotto plagio.
Seppure infatti l'odierna appellante fosse stata ammessa a dimostrare le circostanze relative alle
telefonate ed agli incontri dedotti nei capitoli di prova ciò non avrebbe mai consentito di andare
oltre l'idea di una semplice vaga ispirazione tratta dall'autore dei testi delle canzoni rispetto alle
poesie della Rossi.
Quanto alla censura riguardante l'omessa disposizione di una CTU la Corte deve ricordare come
tale mezzo sia un ausilio che l'ordinamento offre al giudice ed in relazione al quale questi è
sovrano circa la decisione se avvalersene o meno. Il giudizio sulla necessità ed utilità di disporre
una consulenza tecnica d'ufficio rientra nel potere discrezionale del giudice di merito (la cui
decisione peraltro è di regola incensurabile in Cassazione), tanto più allorché il giudice disponga di
elementi istruttori e di cognizioni propri, integrati da presunzioni e da nozioni di comune
esperienza, sufficienti a dar conto della soluzione adottata (così Cass. 16.7.2003 n. 11143, n.
583/2001).
La scelta potrebbe essere censurabile ove la materia di cui il giudice è chiamato ad occuparsi
abbia risvolti tecnici tali da essere difficilmente percepibili e valutabili se non da uno specialista di
comprovata esperienza dello specifico settore (si pensi, a puro titolo di esempio, alla materia
brevettuale o alle opere dell'ingegneria), ma nel caso in esame si trattava di comparare i testi delle
canzoni con i testi delle poesie al fine di verificare, non se, un esperto di letteratura o di linguistica
poteva cogliere il pregio delle poesie ed il valore artistico delle stesse, bensì - poiché è questo che
rileva - se fra i testi delle une e quello delle altre vi fossero similitudine ed assonanze tale da
costituire una totale o parziale sovrapposizione di detti testi, idonea da costituire gli elementi del
plagio.
Il giudice ben può farsi portatore del comune sentire e delle conoscenze diffuse fra il pubblico,
rendendosi interprete della percezione del consumatore medio, tanto più laddove, come nella
specie, si tratti di un giudice di grande esperienza, anche nello specifico settore del diritto
d'autore, e di profonda cultura e sensibilità (il Dott. Roda Bogetti, del cui giudizio tanto si
lamenta la difesa appellante, era Presidente, da molti anni, della prima sezione civile del Tribunale
di Milano, sezione appunto specializzata nella tutela della proprietà intellettuale).
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Il primo giudice ha correttamente posto a fondamento della sua decisione le nozioni di fatto che
rientrano nella comune esperienza, facendo puntuale e corretta applicazione della previsione del
secondo comma dell'art. 115 c.p.c.
Tale previsione autorizza il giudice a porre a fondamento della decisione le «nozioni di fatto che
rientrano nella comune esperienza», essendo tali le nozioni che fanno parte del bagaglio di
conoscenza di ogni uomo di media cultura, in un certo luogo e in un certo momento storico,
senza necessità di ricorso a particolari informazioni o giudizi tecnici (Cass. 5.5.2000 n. 5680,
1.2.2003 n. 1516, 19.8.2003 n. 12112).
Il Presidente giudicante si è attenuto correttamente a tale principio senza che possa sostenersi,
stante la semplicità dello specifico caso, che lo stesso richiedesse nozioni tecniche o specifiche
competenze professionali.
Deve, infatti, escludersi che si trattasse e si tratti di esprimere un giudizio circa il grado di
creatività, di originalità, o circa il valore artistico complessivo dell'opera della sig.ra Rossi.
A tal proposito è utile richiamare il secondo motivo di gravame articolato dall'appellante con
riferimento agli artt. 2575, 2576, 2577 e 2583 c.c., nonché in genere alla legge sul diritto
d'autore, ed alla asserita contraddittoria, insufficiente ed errata motivazione ed interpretazione da
parte del Tribunale.
In sintesi può dirsi che il primo giudice ha rilevato che il motivo che ispira la poesia dell'attrice è
il sentimento dell'amore come dalla stessa provato ed elaborato per personale temperamento ed
esperienza di vita e capacità fantastica; tale motivo sarebbe ricorrente nell'ispirazione poetica
cosicché allo stesso non può riconoscersi originalità tale da poter affermare che gli autori dei testi
delle canzoni non avrebbero potuto ispirarsi se non avessero preso cognizione dell'ispirazione dell'
attrice. Replica parte attrice che il motivo che ispira le poesie non è un sentimento di amore
generico, bensì quello che scaturisce dal temperamento, carattere ed esperienza, fantasia
dell'attrice e che costituisce il primo segno di contatto tra le poesie ed i testi delle canzoni.
Secondo parte attrice-appellante il plagio sarebbe appunto consistito nell'elaborazione del testo
delle canzoni dalle poesie, con la tecnica del «mascheramento». Le censure dell'appellante si
articolano poi con riferimento al giudizio espresso dal primo giudice a proposito del carattere
banale delle poesie della Rossi, affermando l'appellante che se quelle poesie fossero state banali
sarebbero state maggiormente ispiratrici delle canzoni e quindi più appetibili per l'elaborazione ed
il mascheramento. Lamenta ancora la difesa dell'appellante che il giudizio circa il valore dell'arte
poetica della sig.ra Rossi avrebbe dovuto essere affidato ad un critico di professione, e ciò anche in
considerazione dei riconoscimenti ottenuti dalla poetessa nel mondo letterario.
Censura infine l'appellante che nel raffrontare i testi delle canzoni con quelli delle poesie il
primo giudice avrebbe dimenticato che l'utilizzo delle poesie era avvenuto attraverso
un'elaborazione mascherata, cosicché solo attraverso un esame che avesse tenuto conto di questo
fatto e superato tale filtro sarebbe stato possibile constatare il plagio, non certo con un esame
comparativo di singole parole e verbi isolati dal contesto del nucleo poetico complessivo e
ispiratore.
Sul punto può subito rilevarsi come il modus procedendi del giudice di I grado è stato quello di
affrontare direttamente il problema del plagio, dando così per scontato che la produzione
letteraria della sig.ra Rossi potesse assurgere al tipo di opera proteggibile mediante le norme
codicistiche sulla tutela del diritto d'autore. L'identità o quantomeno la riconducibilità
dell'ispirazione dell'una opera (le canzoni) all'espressione dell'altra (le poesie) è l'elemento
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caratterizzante del plagio e si pone quindi quale elemento fondamentale per la dimostrazione
dell'esistenza del plagio medesimo. Né si dica che nel caso di specie questo era «mascherato» per
essere state le poesie «rigirate» nel testo delle canzoni, posto che il raffronto tra i testi suggeriti
quali particolarmente significativi dalla difesa dell'attrice (e quindi sicuramente quelli fra di loro
più simili) induce ad escludere che le canzoni si siano anche solo ispirate alle poesie della sig.ra
Rossi, se non - forse - nella misura in cui una semplice lettura od occhiata al testo delle stesse
possa aver trasfuso, ma anche semplicemente richiamato, nella mente dell'autore o degli autori
dei testi delle canzoni dei sentimenti o delle modalità espressive che, proprio in relazione alla già
evidenziata genericità dei medesimi, non possono comunque essere considerate appannaggio
esclusivo della sig.ra Rossi, né sua fonte originale di produzione. Si tratta infatti di concetti e
modalità espressive ampiamente utilizzati in letteratura, dai tempi del «dolce stil novo» al
rinascimento, alla produzione letteraria dell'ottocento, fino ai giorni nostri; sentimenti, parole,
intrecci espressivi, similitudini e metafore, ampiamente percorsi e ripercorsi dai testi poetici di
ogni tempo - come già sostanzialmente rilevato dal primo giudice - senza che per esprimere un
simile giudizio occorra un critico letterario, posto che la percezione rientra a buon diritto nelle
nozioni di comune esperienza di qualsiasi persona che abbia un livello di istruzione medio ed abbia
letto, o per motivi scolastici o per personale cultura, qualche testo poetico. Ancora più
genericamente può dirsi che i sentimenti evocati nelle poesie della Rossi, amore, solitudine,
desiderio della persona amata, confronto fra amore e fonte d'acqua, fra la donna amata ed un
fiore, sono fra i concetti maggiormente ricorrenti in ogni epoca ed in ogni testo poetico e non
solo. Anche le canzoni, soprattutto quelle più tradizionali nel panorama della c.d. musica
moderna, ripetono e «rigirano», per dirla come parte appellante, questi concetti, senza che nelle
canzoni di Fiorello, sotto il profilo dei testi, possa ravviarsi una qualche originalità rispetto al
contenuto di altre canzoni dello stesso genere. L'opera della sig.ra Rossi può aver contribuito alla
creazione dei testi delle canzoni, ma non più di quanto non abbiano fatto altre fonti di ispirazione,
quali i testi notoriamente conosciuti dei poeti del passato, i «libretti» o anche solo le «arie» più
famose dei melodrammi, i testi delle canzoni d'amore di autori del passato e contemporanei,
italiani e stranieri. Troppo poco, quindi, per poter parlare, di plagio, anche se «mascherato».
Laddove con tale ultima espressione si voglia fare riferimento al plagio più comunemente detto
«camuffato», si deve considerare che per tale si intende la riproduzione dell'opera altrui con
alcune varianti apparenti e non idonee a rendere la seconda produzione autonoma e diversa
rispetto alla prima. Si deve tuttavia trattare di qualcosa di più di una semplice ispirazione, posto
che nella produzione di una qualsiasi opera dell'ingegno non si può prescindere dal proprio
substrato culturale e dalle diverse ispirazioni che possono derivare dall'esterno (ascolto, letture,
visione), purché su tali dati di fondo si collochi poi un'elaborazione diversa ed originale, tale da
rappresentare un'opera creativa autonoma.
Si tratta, infatti, di identificare gli elementi creativi dell'opera originaria e di confrontare se essi
siano stati interamente o parzialmente, e comunque subdolamente (in ciò consiste il
camuffamento o mascheramento), trasposti nell'opera asseritamente plagiaria. Tale attività ha
diligentemente compiuto il primo giudice, con un raffronto accurato dei testi delle poesie e delle
canzoni, prendendo in considerazione proprio i passaggi più significativi indicati dalla stessa difesa
dell' attrice. Da tale raffronto, che questa Corte ha collegialmente condotto, su tutti detti
passaggi, risulta evidente, che non sussiste identità neppure parziale fra poesie e testi delle
canzoni, ma che quei concetti ispiratori che possono in alcuni passaggi ritenersi simili (ancorché
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non identici) fra l'un testo e l'altro, per tutte le ragioni sopra evidenziate, non appartengono alla
creazione originale della sig.ra Rossi, ma rientrano in quel patrimonio culturale minimo che
ciascuna persona di media cultura ed istruzione, può dire appartenere alla propria sfera cognitiva.
Tali conclusioni devono essere ribadite anche per quanto concerne una lettura dei testi delle
poesie e delle canzoni fatta nell'insieme, senza parcellizzazione dei singoli versi delle une e delle
altre, bensì cogliendole nel loro insieme. Autorevole dottrina suggerisce, infatti, che il
procedimento di raffronto debba essere compiuto prendendo in considerazione non la semplice
idea ispiratrice dell'opera o dei singoli elementi non qualificanti dell'essenza creativa, ma
l'originale composizione ed organizzazione degli elementi che concorrono a formare il carattere
creativo dell'opera originaria, al fine di verificare se uno o più di tali elementi si trovano nell'opera
successiva. Ebbene, anche procedendo in questo modo, non si traggono conclusioni diverse,
dovendosi considerare, a tutto voler concedere e come già si è osservato, che entrambi i testi si
ispirano a comuni percezioni dell'amore e della persona amata già ampiamente percorsi dalla
letteratura e dalla produzione musicale, non riproducendo le canzoni per cui è causa né nel mezzo
espressivo né nel ritmo dei versi il discorso espressivo delle poesie della sig.ra Rossi.
Quanto agli elementi invocati da parte appellante a sostegno delle proprie tesi, nessun apporto
probatorio rilevante può trarsi dai medesimi. Così l'interessamento del Sindacato nazionale degli
Scrittori, su sollecitazione della stessa appellante, rappresenta una recensione in termini positivi
delle poesie della sig.ra Rossi, ma nulla chiaramente può dire in merito al dedotto plagio. Non è
poi vero quanto indicato in detta nota, circa l'intento del giudice del Tribunale di distinguere fra
poesia e non poesia, posto che detto giudice ha analizzato i testi della sig.ra Rossi, non certo per
escluderne la valenza ed il pregio poetici, ma semplicemente per verificare se gli stessi erano stati
riprodotti nelle canzoni di Fiorello. Parimenti i giudizi espressi dall'esperto incaricato dalla Rossi
ben possono essere validi nel cogliere il portato stilistico della Rossi e la «disarmante essenzialità»
del suo discorso amoroso, ma nulla aggiungono in merito al raffronto condotto dal primo giudice,
e pienamente condiviso da questa Corte, circa la mancanza della riproduzione di tale stile e di tale
discorso poetico nei testi delle canzoni per cui è causa.
Analoghe considerazioni valgono per il giudizio espresso dal prof. Alboreto (perizia data
13.8.98, doc. 8 fascicolo parte attrice in I grado), anch'esso interpellato dall'attrice-appellante,
non potendo dirsi che il plagio derivi dal raffronto fatto nella medesima perizia. Al contrario i testi
confrontati appaiono ad una semplice lettura, anche dei passaggi scelti dallo stesso esperto quali
idonei a supportare la teoria del plagio, totalmente diversi non solo nell'espressione utilizzata, ma
anche nei concetti e nei sentimenti espressi. Dal raffronto si evidenzia al contrario l'utilizzo di
certe parole (per altro di uso assolutamente comune) per esprimere concetti diversi. Si veda a
titolo esemplificativo il primo dato raffrontato dal prof. Alboreto: la poesia «Insicuro» dice
«troverai attraverso me/la forza buona che esiste in te»; la canzone recita «La forza è dentro me»,
ove appare evidente che anche concettualmente il pensiero espresso è totalmente diverso, avendo
perso completamente l'idea che la forza derivi dalla persona amata. O ancora, la poesia: «Non
giocare col mio cuore tu» e la canzone «quando l'amore capita/non ci giocare non ci ridere», ove
nella prima il gioco è rivolto al cuore e nella seconda all'amore, nella prima la raccomandazione è
diretta dalla persona che pronuncia quelle parole (con il mio cuore), mentre nella seconda la
raccomandazione è spersonalizzata e generica (non giocare con l'amore), entrambe riproducendo
un concetto un c.d. luogo comune, con il quale si raccomanda di non giocare col cuore e/o con
l'amore e/o con i sentimenti in genere. Lo stesso è a dirsi per quanto riguarda i concetti espressi
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in altre poesie (Voglio solo te e Non so perché) circa il desiderio della persona amata o il
tormento e la gioia che derivano dall'amore. I concetti sono ripresi nelle canzoni (Ti cercherò e
Tu solo), ma utilizzando espressioni linguistiche completamente diverse (ad esempio, «lacrime,
gioia, dolore», nella poesia, «tormento» nella canzone) e comunque trattandosi di concetti
appartenenti a sentimenti diffusi e ripetutamente espressi sia in letteratura che nel settore
musicale.
Infine deve rilevarsi che l'attrice-appellante non ha mai offerto un elemento di prova idoneo a
comprovare l'esistenza e l'ammontare dei danni, pur lamentati in una cifra considerevole, e ciò né
sotto il profilo del mancato guadagno, né sotto il profilo dell'arricchimento altrui, così da
consentire di formulare una valutazione ancorché in termini equitativi. La difesa di Piero Cassano
ha riproposto l'eccezione circa la carenza di legittimazione passiva del medesimo Cassano
nell'assunto che questi aveva partecipato alla produzione del disco di Fiorello solo in qualità di
autore della musica (c.d. compositore) e di collaboratore alla produzione (c.d. produttore
artistico). Anche la Corte, come già il primo giudice, ritiene che l'esame di detta eccezione sia
assorbito dalla conferma della sentenza impugnata circa il giudizio negativo espresso sulla
sussistenza dei requisiti per l'accoglimento della domanda di plagio.
In conclusione, anche alla luce dei motivi di gravame in questa sede formulati, si perviene ad
una piena conferma della sentenza del Tribunale. (Omissis)
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